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Maria Felice <[email protected]>
Bollettino Radiogiornale
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29 febbraio 2016 17:55
Sommario del 29/02/2016
Il Papa e la Santa Sede
Papa a ortodossi etiopi: contro i cristiani “violenza devastante”
Papa: la salvezza di Dio non viene da cordate clericali o politiche
Papa ai Carabinieri: il vostro servizio indispensabile a San Pietro
Da Papa Francesco i vertici della Chiesa di Porto Rico
Lombardi saluta Radio Vaticana: guardare con fiducia a riforma dei media
Becciu: attenzione a chi non ha mezzi tecnologici, sfida media vaticani
Santa Sede: non abbandonare persone colpite da malattie rare
Australia: testimonianza card. Pell a Commissione su abusi
Oggi su "L'Osservatore Romano"
Oggi in Primo Piano
Immigrazione: forte tensione al confine greco­macedone
Iran: moderati prevalgono in parlamento e in assemblea esperti
Pakistan, Coutts: passi positivi verso modifica legge blasfemia
Caso Vendola. Livia Turco: mercificazione, figlio non è diritto
Assegnati gli Oscar: "Il caso Spotlight" miglior film
P. Zollner: vescovi esortano a vedere "Il caso Spotlight"
Nella Chiesa e nel mondo
Vescovi svizzeri: nota su referendum su famiglia e stranieri
Terra Santa: sempre meno cristiani nella Striscia di Gaza
Iraq: cristiani chiedono riforme a favore delle minoranze
Iraq: misure contro i funzionari corrotti a danno dei cristiani
Africa. Minerali in Paesi in guerra: appello a organismi Ue
Vescovi dominicani: per le elezioni appello a pace e dialogo
Il Papa e la Santa Sede
Papa a ortodossi etiopi: contro i cristiani “violenza devastante”
◊ La storia ha lasciato un fardello di “malintesi e diffidenza”, ma i martiri delle nostre Chiese sono un “seme
di unità” sul quale è possibile costruire un “nuovo tempo” di fraternità. È quanto Papa Francesco ha voluto
esprimere a Sua Santità Abuna Matthias I, Patriarca della Chiesa ortodossa Tewahedo di Etiopia, ricevuto in
udienza. Il Papa ha anche lanciato un nuovo appello in favore dei cristiani perseguitati in Africa e Medio
Oriente da una “violenza devastante”. Il servizio di Alessandro De Carolis: La chiave dell’unità fra le Chiese sta nell’“ecumenismo dei martiri”. È un concetto chiave del suo magistero,
che Papa Francesco ripete al cospetto del Patriarca Abuna Matthias I, capo di una popolosa comunità
cristiana, quella Tewahedo etiopica, facente parte della “famiglia” delle Chiese ortodosse orientali.
Cristiani perseguitati, il mondo agisca
E proprio a questa antica Chiesa, legata a Roma da rapporti di grande cordialità, che Francesco riconosce il
merito di una fedeltà al Vangelo pagata con un alto prezzo di sangue:
“La vostra è stata una Chiesa di martiri fin dal principio, e ancora oggi siete testimoni di una violenza
devastante contro i cristiani e contro le altre minoranze in Medio Oriente e in alcune parti dell’Africa. Non
possiamo esimerci dal domandare, ancora una volta, a coloro che reggono le sorti politiche ed economiche
del mondo, di promuovere una coesistenza pacifica basata sul rispetto reciproco e sulla riconciliazione, sul
mutuo perdono e sulla solidarietà”.
Il martirio è strada di unità
In quella fedeltà fino al sacrificio più estremo, il Papa ravvisa l’elemento unificante più sacro, che in certo
modo annulla le divisioni che la storia dell’ecumenismo lungo i secoli ha partorito:
“Nello stesso modo in cui lo spargimento del sangue dei martiri è diventato il seme di nuovi cristiani nella
Chiesa primitiva, oggi il sangue di così tanti martiri appartenenti a tutte le Chiese diventa seme dell’unità dei
cristiani. I martiri e i santi di tutte le tradizioni ecclesiali sono già una cosa sola in Cristo; i loro nomi sono
scritti nell’unico martyrologium della Chiesa di Dio. L’ecumenismo dei martiri è un invito rivolto a noi qui e
adesso a percorrere insieme il cammino verso un’unità sempre più piena”.
C’è molto che ci unisce
Sul piano del dialogo teologico con la Chiesa ortodossa etiopica, Francesco ricorda la strada intrapresa dai
suoi predecessori con gli incontri del ’93 e del 2009 di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI con il precedente
Patriarca, Abuna Paulos, grazie ai quali – sostiene il Papa – è stato possibile instaurare e accrescere un
intenso dialogo teologico già dal 2004:
“Abbiamo quasi tutto in comune: una sola fede, un solo Battesimo, un solo Signore e Salvatore Gesù Cristo.
Siamo uniti in virtù del Battesimo, che ci ha incorporati nell’unico Corpo di Cristo. Siamo uniti grazie ai vari
elementi comuni delle nostre ricche tradizioni monastiche e pratiche liturgiche. Siamo fratelli e sorelle in
Cristo. Come è stato più volte osservato, ciò che ci unisce è molto più grande di ciò che ci divide”.
Un nuovo temo di fraternità
Francesco elenca i “grandi sforzi” che l’Etiopia sta compiendo “per migliorare le condizioni di vita della
popolazione”, fondandola “sullo Stato di diritto e sul rispetto del ruolo delle donne”. Non dimentica “il problema
della mancanza di acqua, con le sue gravi ripercussioni sociali ed economiche” e poi conclude con l’auspicio
che si apra tra le due Chiese “un nuovo tempo di fraterna amicizia”:
“Siamo consapevoli che la storia ha lasciato un fardello di dolorosi malintesi e di diffidenza, per il quale
chiediamo il perdono e la guarigione di Dio. Preghiamo gli uni per gli altri, invocando la protezione dei martiri e
dei santi su tutti i fedeli affidati alle nostre cure pastorali. Che lo Spirito Santo continui a illuminarci e a
guidarci verso la concordia e la pace, alimentando in noi la speranza del giorno in cui, con l’aiuto di Dio,
saremo uniti intorno all’altare del Sacrificio di Cristo, nella pienezza della comunione eucaristica”.
Papa: la salvezza di Dio non viene da cordate clericali o politiche
◊ La salvezza di Dio non viene dalle cose grandi, dal potere o dai soldi, dalle cordate clericali o politiche, ma
dalle cose piccole e semplici: è quanto ha detto Papa Francesco durante la Messa del mattino celebrata
nella cappellina di Casa Santa Marta. Il servizio di Sergio Centofanti: La salvezza viene dalla semplicità delle cose di Dio, non dai potenti
Le letture del giorno ci parlano dello sdegno: si sdegna un lebbroso, Naamàn il Siro, che chiede al profeta
Elisèo di guarirlo, ma non apprezza il modo semplice in cui questa guarigione dovrebbe avvenire. E si
sdegnano gli abitanti di Nazaret di fronte alle parole di Gesù, loro conterraneo. E’ lo sdegno di fronte al
progetto di salvezza di Dio che non segue i nostri schemi. Non è “come noi pensiamo che sia la salvezza,
quella salvezza che tutti noi vogliamo”. Gesù sente il “disprezzo” dei “dottori della Legge che cercavano la
salvezza nella casistica della morale” e in tanti precetti, ma il popolo non aveva fiducia in loro:
“O i sadducei che cercavano la salvezza nei compromessi con i poteri del mondo, con l’Impero … gli uni con
le cordate clericali, gli altri con le cordate politiche, cercavano la salvezza così. Ma il popolo aveva fiuto e
non credeva. Sì, credeva a Gesù perché parlava ‘con autorità’. Ma perché, questo sdegno? Perché nel
nostro immaginario, la salvezza deve venire da qualcosa di grande, da qualcosa di maestoso; solo ci
salvano i potenti, quelli che hanno forza, che hanno soldi, che hanno potere: questi possono salvarci. E il
piano di Dio è altro! Si sdegnano perché non possono capire che la salvezza soltanto viene dal piccolo, dalla
semplicità delle cose di Dio”.
I due pilastri del Vangelo che ci sdegnano
“Quando Gesù fa la proposta della via di salvezza – prosegue il Papa ­ mai parla di cose grandi” ma “di cose
piccole”. Sono “i due pilastri del Vangelo” che si leggono in Matteo, le Beatitudini e, nel capitolo 25, il
Giudizio finale, “Vieni, vieni con me perché hai fatto questo”:
“Cose semplici. Tu non hai cercato la salvezza o la tua speranza nel potere, nelle cordate, nei negoziati …
no … hai fatto semplicemente questo. E questo sdegna tanti. Come preparazione alla Pasqua, io vi invito –
anche lo farò io, pure, – a leggere le Beatitudini e a leggere Matteo 25, e pensare e vedere se qualcosa di
questo mi sdegna, mi toglie la pace. Perché lo sdegno è un lusso che soltanto possono permettersi i
vanitosi, gli orgogliosi. Se alla fine delle Beatitudini Gesù dice una parola che sembra … ‘Ma perché dice
questo?’. ‘Beato colui che non si scandalizza di me’, che non ha sdegno di questo, che non sente sdegno”.
La pazzia della Croce
Papa Francesco così conclude l’omelia:
“Ci farà bene, prendere un po’ di tempo – oggi, domani – leggere le Beatitudini, leggere Matteo 25, e stare
attenti a cosa succede nel nostro cuore: se c’è qualcosa di sdegno e chiedere la grazia al Signore di capire
che l’unica via della salvezza è la ‘pazzia della Croce’, cioè l’annientamento del Figlio di Dio, del farsi
piccolo. Rappresentato, qui, nel bagno nel Giordano o nel piccolo villaggio di Nazareth”.
Papa ai Carabinieri: il vostro servizio indispensabile a San Pietro
◊ “Riconoscenza” per “un servizio impegnativo e indispensabile” ha espresso il Papa ai Carabinieri della
Compagnia di Roma­San Pietro, chiamati a collaborare con la Santa Sede per il tranquillo svolgimento degli
eventi nella piazza antistante la basilica vaticana. Francesco li ha incontrati stamane nella sala Clementina
del Palazzo apostolico. Il servizio di Roberta Gisotti: “La vostra presenza sul territorio – ha sottolineato il Papa rivolto ai 150 carabinieri, accompagnati dal
Comandante generale dell’Arma – diventa tramite della concreta solidarietà dell’intera comunità”, specie
verso “le persone svantaggiate”, che “possono trovare un prezioso aiuto nelle loro difficoltà”.
“Vi ringrazio molto per il vostro lavoro che si pone a servizio dei pellegrini e dei turisti. Si tratta di un’attività
che richiede professionalità e senso di responsabilità, come anche attenzione alle persone – molte delle quali
sono anziane –, continua pazienza e disponibilità verso tutti. Sono qualità non facili, per le quali è importante
poter contare sull’aiuto di Dio”.
L’Anno Santo della Misericordia, che apre a tutti “la possibilità di essere rinnovati”, riflettendo nel
comportamento e nelle attività quotidiane “una purificazione interiore”, sia ­ ha auspicato Francesco ­ anche
per i Carabinieri “un’occasione propizia di verifica personale e comunitaria” sulle opere di misericordia
realizzate, memori dell’insegnamento evangelico: “Tutto quello che avete a uno solo di questi miei fratelli più
piccoli, l’avete fatto a me”.
“Questo insegnamento di Gesù sia di guida anche a voi, responsabili della tutela dell’ordine pubblico, e vi
aiuti ad essere in ogni circostanza promotori di solidarietà, specialmente verso i più deboli e indifesi; ad
essere custodi del diritto alla vita, attraverso l’impegno per la sicurezza e per l’incolumità delle persone”.
“Vi sia sempre presente – ha concluso il Papa – che ogni persona è amata da Dio, è sua creatura e merita
accoglienza e rispetto”.
Da Papa Francesco i vertici della Chiesa di Porto Rico
◊ Papa Francesco ha ricevuto nel corso della mattinata, in successive udienze, il vertice della Conferenza
episcopale portoricana, guidato dal suo presidente, mons. Roberto Octavio González Nieves, arcivescovo di
San Juan de Puerto Rico, il cardinale Theodoro Edgar McCarrick, arcivescovo emerito di Washington, negli
Usa, e il neo vesovo Paul Tighe, segretario aggiunto del Pontificio Consiglio della Cultura, accompagnato da
un gruppo di familiari.
Lombardi saluta Radio Vaticana: guardare con fiducia a riforma dei media
◊ Missione, conversione, comunione. Sono i tre punti forti dell'omelia che padre Federico Lombardi ha
pronunciato nella Chiesa di Santa Maria in Traspontina, in occasione della conclusione del suo servizio come
direttore generale della Radio Vaticana. In una chiesa gremita di persone, il nostro direttore generale ha
esortato la comunità dell'emittente pontificia a guardare con speranza e fiducia alla riforma dei media
vaticani, in un rinnovato servizio al Papa e alla Chiesa. Tra i concelebranti anche mons. Dario Edoardo
Viganò, prefetto della Segreteria per la Comunicazione, e mons. Lucio Adrian Ruiz, segretario del medesimo
dicastero. Dopo la Messa, nella Sala Marconi della nostra emittente, è stato il momento del congedo alla
nostra comunità di lavoro da parte di padre Lombardi e Alberto Gasbarri, il direttore amministrativo della
Radio Vaticana. A loro è andato il grazie anche della Segreteria di Stato, attraverso il saluto del sostituto,
mons. Angelo Becciu, presente alla cerimonia. Il servizio di Alessandro Gisotti: In un clima di grande intensità spirituale e sincera commozione, padre Federico Lombardi ha celebrato nella
Chiesa di Santa Maria in Traspontina la Messa di ringraziamento a conclusione del suo servizio di 25 anni
alla Radio Vaticana. Nella Chiesa, a pochi passi dalla sede dell’emittente pontificia, si sono raccolti non solo
i dipendenti della Radio, né sono mancati molti colleghi in pensione, ma pure molti giornalisti e dipendenti di
altri enti vaticani che hanno collaborato con padre Lombardi in questi 5 lustri di servizio alla “Radio del Papa”
e che hanno voluto ringraziare un grande servitore della Chiesa, impegnato nel vasto mondo della
comunicazione sociale. Un servizio che padre Lombardi continua alla Sala Stampa della Santa Sede.
Missione della Radio Vaticana: portare il Vangelo ai confini della Terra
Nell’omelia, padre Lombardi si è soffermato su tre punti forti: missione, conversione e comunione.
Innanzitutto, ha sottolineato che non bisogna mai perdere di vista, come comunicatori al servizio della
Chiesa, quale sia la missione: annunciare la Parola di Dio a tutti. Per molti decenni, ha rammentato, il portare
il Vangelo fino ai confini della Terra era rappresentato dalle antenne della Radio; ora, bisogna lavorare sui
nuovi strumenti e nuovi linguaggi che possano portare la Buona Notizia fino ai confini geografici della Terra e
alle periferie esistenziali. Questa è la missione, portare Gesù al cuore di tutti:
“Missione: mi pare bello anche per noi, pregare su questo tema; capire a che cosa siamo stati chiamati
anche noi, nella nostra vita e con il nostro servizio. Gesù è venuto per questa salvezza fino ai confini della
terra; la Chiesa continua la sua opera per questo; i Papi – il Papa – continua a servire questa missione; noi
siamo stati chiamati a collaborare, nel nostro piccolo, a questa missione”.
Sempre necessaria conversione, essere disponibili e responsabili
Padre Lombardi ha, quindi, constatato che in molti ­ in questo momento di transizione per i media vaticani ­
vivono la situazione con un sentimento misto di disponibilità e di perplessità:
“Attenzione anche ai rischi, a volte, di sfiducia o di dubbio, di paura, a volte di divisione, a volte di
chiacchiere portate dalle incertezze e dalla non conoscenza chiara del futuro. In questo tempo, in questa
situazione che però è anche ricchissima di potenzialità, perché il Signore continua sempre a chiamarci nel
nuovo, dobbiamo pregare e pregare molto; dobbiamo assumere l’atteggiamento giusto della disponibilità,
della responsabilità, della speranza e della fiducia”.
In questo tempo quaresimale, dunque, ha ribadito che bisogna trovare nella preghiera le vie per servire al
meglio nella missione a cui siamo stati chiamati.
Costruire una comunità di “comunicatori in uscita”
Infine, padre Lombardi ha messo l’accento sullo spirito di comunione che deve contraddistinguere questo
momento di passaggio. Siamo chiamati, ha detto il nostro direttore generale, a costruire sempre più una
“comunità di comunicatori”. Non bisogna aver paura, ha ribadito, incoraggiati da quanto ci chiede Papa
Francesco di essere, anche nella comunicazione, una Chiesa in uscita, in movimento:
“Domandiamo veramente anche nella nostra preghiera, di continuare a costruire comunità e sempre di più,
una comunità che adesso si trova in un momento anche di evoluzione e di cambiamento, perché sarà un po’
diversa da quella che abbiamo vissuto e costruito finora parlando di ‘Radio Vaticana’. E’ la comunità dei
comunicatori al servizio della missione, in unione con il Papa, sotto la guida del nuovo Dicastero … Ecco,
costruiamo pregando insieme a Gesù Cristo, la comunità più ampia di lavoro dei comunicatori”.
Di qui bisogna andare avanti con fiducia e speranza. Al momento delle intenzioni di preghiera, padre
Lombardi ha così rivolto una pensiero proprio ai responsabili della Segreteria per la Comunicazione, mons.
Dario Edorardo Viganò per primo, affinché svolgano al meglio quanto gli è stato affidato dal Papa. La
celebrazione si è conclusa con il grazie di padre Lombardi ai presenti e a quanti erano vicini spiritualmente,
accompagnato da un lunghissimo applauso dei presenti.
Il congedo di Lombardi e Gasbarri: la comunicazione cuore della Chiesa
Dopo la Messa, padre Federico Lombardi assieme ad Alberto Gasbarri, direttore amministrativo della Radio
Vaticana, si sono congedati dalla nostra comunità di lavoro. La cerimonia informale, a cui ha preso parte
anche mons. Angelo Becciu e i vertici della Segreteria per la Comunicazione, si è svolta nella Sala Marconi
della nostra emittente. Tuttavia, tanta era la folla di gente presente che anche lo spazio all’ingresso della
Radio era gremito di persone che seguivano l’evento su due televisori. Padre Lombardi ha ringraziato quanti
in questi anni hanno lavorato con lui alla Radio e con la Radio. Quindi, ha recitato commosso la preghiera del
capo scout che, ha confidato, lo ha accompagnato e ancora lo accompagna in ogni sua giornata. Dal canto
suo, Alberto Gasbarri ha messo l’accento sulla missione svolta dalla Radio Vaticana, ribadendo che la
comunicazione non può essere un accessorio, ma una centralità nella missione della Chiesa. E in questa
direzione, ha rammentato, sono stati rivolti gli sforzi della Compagnia di Gesù alla Radio Vaticana negli ultimi
50 anni:
“Nella Santa Sede la comunicazione è centrale, perché questa non fa altro che divulgare un messaggio.
Quindi se cade una comunicazione, cade tutto. La Santa Sede e la Chiesa diventano fabbriche di vescovi e
di preti che non fanno nulla se non comunicano! Quindi, quella che una volta si chiamava predicazione oggi
si chiama comunicazione. L’invito e l’augurio che io faccio a don Dario Viganò è che lui riesca dove noi
abbiamo fallito. Dico 'fallito' perché fino ad oggi questa sensazione non c’è, quindi di far capire che la
comunicazione è una centralità della Santa Sede. Ringrazio tutti”.
Becciu: attenzione a chi non ha mezzi tecnologici, sfida media vaticani
◊ La Radio Vaticana “non è una radio grande e potente, secondo i criteri del mondo, ma è importante agli
occhi di Dio e di tanti fedeli”, perché “guarda le cose” secondo l’ottica del Papa. Così l’arcivescovo Giovanni
Angelo Becciu, sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, intervenendo presso la nostra
emittente alla cerimonia di saluto di padre Federico Lombardi e Alberto Gasbarri, rispettivamente direttore
generale e direttore amministrativo uscenti di Radio Vaticana.
In un momento di trasformazione come l’attuale, “per la Radio Vaticana ­ ha aggiunto mons. Becciu ­ si
prospettano nuove speranze e nuovi compiti; il fine specifico resterà però lo stesso: l’evangelizzazione,
attraverso la diffusione radiofonica del messaggio cristiano”. Perché la missione specifica dell’emittente
pontificia è quella “di guardare il mondo dal punto di vista della Santa Sede, proponendo una lettura della
realtà alla luce delle parole del Papa sui grandi temi e le grandi questioni che affliggono l’umanità: la pace, la
guerra, la povertà, la giustizia, l’ambiente, l’allontanamento da Dio e la necessità della fede e del Vangelo”.
Il sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato ha quindi voluto ricordare come padre Lombardi e il
dottor Gasbarri abbiano “donato una parte consistente della loro vita al servizio di questo importante
strumento di comunicazione”, per l’annuncio evangelico, la difesa dei popoli e dei diritti umani. A proposito
dei colloqui e degli incontri avuti negli anni, il presule ha voluto raccontare come padre Lombardi “amava” e
“difendeva” la comunità della Radio Vaticana nei suoi diritti e nelle sue esigenze, “con tutto il cuore, anche
con parole particolari, speciali”: vedevo, ha proseguito rivolgendosi ai dipendenti, “che vi era tutto l’amore per
voi”.
In questi 25 anni di guida di padre Federico Lombardi, ha osservato mons. Becciu, la Radio Vaticana,
“accanto ai necessari ampiamenti tecnologici”, ha mantenuto e sviluppato la linea secondo cui “chiunque la
ascoltasse, dovunque nel mondo, potesse trovare la prospettiva del Papa e della Sede Apostolica in ogni
Paese, in ogni Regione, anche la più lontana”. Essa è quindi “un mezzo di comunicazione sociale come gli
altri” ma “diverso da tutti gli altri”: è “singolare, sui generis”. L’attenzione particolare “agli ultimi, alle persone
meno attrezzate tecnologicamente, agli oppressi” è stata un elemento “qualificante della direzione di padre
Lombardi e costituisce una sfida da tener presente nel discernimento sull’evoluzione della comunicazione
vaticana”.
Santa Sede: non abbandonare persone colpite da malattie rare
◊ “Non siano abbandonati e isolati” quanti sono colpiti da malattie rare: è l’appello contenuto nel Messaggio
di mons. Zygmunt Zimowski, presidente Pontificio Consiglio Operatori Sanitari, in occasione della Giornata
Mondiale delle Malattie Rare che si celebra questo 29 febbraio sul tema “Al centro la voce del paziente.
Unitevi a noi per far sentire la voce delle malattie rare”.
Da alcuni anni ­ si legge nel documento ­ il dicastero “segue con attenzione diverse iniziative a favore di
coloro che sono affetti da malattie rare, così come dei loro familiari, i quali, con la loro premura, sono a volte
gli unici a dare voce ad un problema che non può essere disatteso dalle diverse istanze civili, scientifiche e
pastorali”.
“Si tratta, in particolare – afferma il Messaggio ­ di rendere queste persone sempre più protagoniste, dotate
dei necessari punti di riferimento; e al tempo stesso di sensibilizzare le autorità competenti, gli operatori
sanitari, i ricercatori, l’industria farmaceutica e chiunque abbia un sincero interesse per le malattie rare. Tutto
questo al fine di rompere quella cortina di silenzio o di esclusività che rischia in molti casi di nascondere un
problema che, invece, attiene all’intera società”.
La prossima Conferenza Internazionale, organizzata dal Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari in
Vaticano nei giorni 10­12 novembre 2016, si svolgerà proprio “nel segno della prossimità solidale con le
persone affette da patologie rare, così come nei confronti di quelle popolazioni povere e vulnerabili segnate
da malattie neglette, che solitamente vivono in zone rurali tra le più remote del mondo”.
Australia: testimonianza card. Pell a Commissione su abusi
◊ “Non sono qui a difendere l'indifendibile”: così il cardinale George Pell, prefetto della Segreteria per
l’Economia, secondo quanto riportano le agenzie di stampa in merito alla sua testimonianza, in
videoconferenza da Roma, davanti alla Commissione Reale d’inchiesta australiana sulle risposte delle
istituzioni agli abusi commessi da esponenti del mondo della Chiesa negli anni ’70 e ’80. Il porporato
australiano, già arcivescovo di Melbourne e poi di Sydney, è intervenuto dalla Sala Verdi dell’Hotel Quirinale,
davanti a 150 persone: nelle prime file erano presenti alcune vittime arrivate dall’Australia con i loro
accompagnatori. La Chiesa cattolica “sta lavorando per rimediare”, ha affermato il cardinale ­ proseguono le
agenzie ­ nella prima delle tre­quattro udienze, che riprenderanno stasera in collegamento con la
Commissione in seduta a Ballarat, presso Melbourne. All’epoca, ha detto, la Chiesa era “fortemente
propensa” ad accettare smentite degli abusi da parte di chi ne era accusato, perché l’istinto era più di
“proteggere dalla vergogna l'istituzione”.
Oggi su "L'Osservatore Romano"
◊ Ecumenismo dei martiri: con il patriarca ortodosso etiopico il Papa ricorda le sofferenze dei cristiani.
La salvezza viene dal piccolo: messa a Santa Marta.
Una nuova atmosfera: Antonio Zanardi Landi sulle legislative in Iran.
Non è un film anticattolico: un editoriale di Lucetta Scaraffia sul film "Il caso Spotlight", vincitore di due
Oscar, e un articolo di Emilio Ranzato dal titolo "Il coraggio di denunciare".
Corpo e anima: Antonella Lumini sulla teologia dei sensi nel libro di José Tolentino Mendonca.
Curie scrittrice e diplomatica: Cristiana Dobner sulla biografia della figlia degli scienziati che studiarono i
fenomeni radioattivi.
Poirot e l'affaire dei croissant raddrizzati: Gabriele Nicolò sulla decisione della Tesco di cambiarne le antiche
fattezze.
Oggi in Primo Piano
Immigrazione: forte tensione al confine greco­macedone
◊ Giornata di tensione sul fronte dell’immigrazione, soprattutto lungo il confine tra Grecia e Macedonia.
Centinaia di migranti sono riusciti a sfondare un tratto della barriera. In Francia, intanto, è iniziato lo
sgombero della parte meridionale del campo profughi a Calais. Il servizio di Amedeo Lomonaco: La forza della disperazione è più forte dei lacrimogeni e del filo spinato. Centinaia di migranti, tra cui molte
donne e bambini, hanno varcato il confine tra Grecia e Macedonia. Attualmente, sono oltre 20 mila gli
immigrati bloccati in territorio greco. Slovenia, Croazia, Serbia e Macedonia hanno imposto un limite agli
ingressi. Giro di vite anche dell'Austria, che ha introdotto un tetto giornaliero di ottanta richiedenti asilo.
L’effetto imbottigliamento sembra destinato a peggiorare. Secondo il governo ellenico, il prossimo mese il
numero di migranti “intrappolati” in Grecia aumenterà superando quota 70 mila. Un altro fronte caldo è quello
di Calais, in Francia, dove è iniziato lo sgombero di una parte del campo profughi, la cosiddetta “giungla”,
dove si sono accampati migliaia di migranti. Sul versante politico la cancelliera tedesca, Angela Merke,l ha
dichiarato che il tetto limite dei profughi non è la soluzione. L’importante, ha detto, è “tenere insieme l'Europa
e mostrare umanità”.
E’ arrivato stamani in Italia, all’aeroporto romano di Fiumicino, il primo cospicuo gruppo di profughi siriani
grazie al progetto dei “corridoi umanitari” promosso dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle
Chiese Evangeliche e dalla Tavola Valdese. E’ una iniziativa ecumenica per consentire a profughi e rifugiati
di lasciare terre martoriate da conflitti, evitando pericolosi e drammatici viaggi della disperazione. E’ quanto
sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco, il presidente della Comunità di Sant’Egidio, Marco
Impagliazzo: R. – Vorrei sottolineare questo valore ecumenico. Ringrazio ancora le comunità protestanti in Italia per il
grande contributo che stanno dando alla realizzazione di questo progetto. È un progetto della misericordia:
nell’Anno Santo oggi apriamo una sorta di Porta Santa qui in Italia, a Roma, per accogliere tante persone che
altrimenti si sarebbero imbarcate nei viaggi della morte. Noi siamo molto felici che queste persone siano
arrivate in tutta sicurezza in Italia e soprattutto che siano accolte e integrate dai cittadini del nostro Paese
che sono molto felici di compiere un atto di solidarietà.
D. – Oggi, con questo primo corridoio umanitario sono arrivate 24 famiglie: 93 persone in tutto, tra cui 41
minori, che hanno ottenuto un visto umanitario. Ognuna delle storie di queste famiglie è segnata da
sofferenza, da dolore, ma ora anche da speranza. E non è solo accoglienza. C’è un progetto integrale che li
attende...
R. – Sì, perché la nostra idea è che queste persone debbano integrarsi e non debbano certo rimanere ai
margini della società. Quindi, immediatamente frequenteranno le scuole gratuite di lingua e cultura italiana e
poi, pian piano, dei corsi di formazione e di avviamento al lavoro. I bambini saranno iscritti a scuola. E poi
dopo, quando otterranno il permesso di soggiorno, decideranno se il loro futuro sarà in Italia o da qualche
altra parte in Europa. O con la pace – speriamo – potranno tornare anche in Siria.
D. – Prosegue intanto il dramma di decine di migliaia di migranti bloccati in Grecia in attesa di varcare il
confine. Sono necessarie, come ha chiesto il Papa, risposte urgenti…
R. – Non dobbiamo mai dimenticare che ognuna di queste persone porta con sé una storia di sofferenza, di
umiliazioni – perché la guerra è una grande umiliazione dell’uomo e della donna – e soprattutto non dobbiamo
mai dimenticare quanti minori, quanti bambini, sono tra loro. La voce del Papa è la voce dei poveri, degli
ultimi, e le istituzioni hanno il dovere morale di ascoltarla.
Iran: moderati prevalgono in parlamento e in assemblea esperti
◊ Grande affluenza alle urne in Iran – col 62% dei 55 milioni di elettori che hanno votato – e grande avanzata
dei riformisti sia nel nuovo parlamento che nella nuova Assemblea degli Esperti. Questi i dati più rilevanti a
tre giorni dal voto nella Repubblica islamica, insieme alla notizia che almeno 15 sarebbero le donne a sedere
nei seggi parlamentari. Le reazioni internazionali parlano di “speranza” e di una “svolta” nel Paese innescata
dal negoziato sul ridimensionamento del nucleare. "Sicuramente, la scelta di votare in massa è un dato
positivo, ma la lettura del voto deve essere attenta", spiega al microfono di Gabriella Ceraso, Farian
Sabahi scrittrice, collaboratrice del Corriere della sera ed esperta di Medio Oriente: R. – L'affluenza al voto sta ad indicare che gli iraniani sono ben consapevoli che soltanto votare possa
incidere sulla politica del Paese. Per il resto, il problema grosso è che non hanno vinto i riformatori, perchè i
riformatori veri in realtà non ci sono più in Iran, perché c’è chi è finito in carcere, chi è morto e chi invece ha
scelto la via dell’esilio. A vincere sono i moderati del centro.
D. – Questa moderazione si è affermata nell’Assemblea degli esperti, quella che sceglierà la guida suprema.
Che significato ha?
R. – L’importante è che il capo dell’Assemblea degli esperti vada dall’ex presidente, Hashemi Rafsanjani, con
l’attuale capo del governo Rohani. Il problema è che in realtà nella lista di Rafsanjani ci sono anche due
politici che non sono proprio moderati. Quindi, bisogna tenere ben presente che la politica iraniana è liquida,
per cui ci si sposta da una coalizione all’altra senza tanti problemi. Bisognerà vedere quindi come al di là
delle elezioni poi gli uni si potranno alleare agli altri. Importante però il segnale che il popolo iraniano ha dato,
perché due ayatollah ultra conservatori non sono stati votati .
D. – Quindi, lei come definirebbe il voto, un voltare pagina, un'aria nuova per il Paese?
R. – Un’aria nuova. Il voltar pagina è un’espressione un po’ grande. Diciamo che ci si è rifatti il "maquillage",
ma di fatto gli attori rimangono gli stessi così come il palcoscenico, perché si tratta di un’oligarchia e tale
rimane. Però, è importante il fatto che siano stati eletti dei personaggi pragmatici che hanno intenzione di
aprire il Paese agli investimenti stranieri. Nell'economia è la chiave delle elezioni, in un Paese dove
l’inflazione è a due cifre e dove la disoccupazione giovanile è arrivata al 25%.
D. – Il ruolo delle donne: si è parlato di un numero record. Ovviamente, nessuna donna è stata eletta
nell’Assemblea degli esperti che rimane un club maschile, però in parlamento si è parlato di una presenza
femminile nuova. Per lei rappresenta un’effettiva novità? Avrà un peso? Un significato?
R. – Essere donna non vuol dire necessariamente essere riformatrice moderata. Ci sono donne e donne: per
esempio, un’attuale deputata dice che le donne devono studiare ma assolutamente studio e lavoro non
devono mettere i bastoni di traverso ai doveri in famiglia. Non è detto che queste 20 donne elette in
parlamento quindi possano poi cambiare effettivamente qualcosa. Si può, secondo me bisogna lasciare da
parte i pregiudizi tipicamente occidentali. Ci sono anche tanti diritti che sono stati acquisiti, come ad esempio
il diritto di voto alle iraniane riconosciuto nel 1963: hanno il diritto di essere elette in parlamento, ma non
come presidente della Rrepubblica o come membro dell’Assemblea degli esperti. Le iraniane in questo
momento stanno facendo molte battaglie come, ad esempio, dare la propria cittadinanza iraniana ai figli in
caso di matrimonio misto, una battaglia che le italiane hanno vinto nel 1983, quindi in tempo neanche troppo
lontano.
D. – I giovani: i nuovi leader sono riusciti ad attirare il loro voto?
R. – Sicuramente, i giovani sono parte importante dell’elettorato. Il 30% dell’elettorato ha meno di 30 anni e
questo è un dato significativo. Ma per esperienza personale ho conosciuto tantissimi giovani in Iran che
rappresentano lo zoccolo duro del regime. Quindi, bisogna fare attenzione anche qui: donna non è
necessariamente riformista ed essere giovane non significa necessariamente essere una persona aperta.
Pakistan, Coutts: passi positivi verso modifica legge blasfemia
◊ A cinque anni dall’uccisione di Shahbaz Bhatti, primo ministro pakistano per le minoranze religiose,
continua la difficile situazione dei cristiani in Pakistan. Vittime come Asia Bibi, imprigionata dal 2009, della
legge sulla blasfemia, che prevede la pena di morte per chiunque sia sospettato di offendere Maometto. Tra
conversioni forzate e difficoltà a manifestare la propria fede, i tre milioni di cristiani pakistani vedono in
Shahbaz Bhatti un modello, come spiega mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi e presidente della
Conferenza episcopale pakistana, in questi giorni in Italia ospite di “Aiuto alla Chiesa che soffre”, al
microfono di Michele Raviart: R. – Shahbaz Bhatti per noi non era soltanto un ministro, ma era un cristiano, cattolico, un uomo buono,
onesto che cercava di fare qualcosa per creare rapporti tra i musulmani e i non­musulmani e una società
multireligiosa. Lui lottava contro questa legge anti­blasfemia, che crea molti problemi non solo ai non­
musulmani, ma anche ai musulmani. I fanatici hanno interpretato questa legge anche contro l’islam. Per noi,
il fatto che sia stato ucciso è una grande tragedia. Lui non aveva fatto nulla contro le leggi del Pakistan, non
aveva fatto nulla contro il governo e per noi è un modello. Aveva una visione del Pakistan nel quale
potessero esserci pace e armonia nella società. Tocca a noi, adesso, continuare nello stesso modo, in pace.
D. – Che eredità lascia Shahbaz Bhatti alla comunità cristiana?
R. – Shahbaz Bhatti era un ministro e come tale per lui sarebbe stato facile uscire, scappare. Anche i suoi
amici gli hanno detto: “E’ meglio andare via per sei mesi, un anno …”. E lui ha detto: “No. Io sono cristiano.
Non ho detto niente di male. Vorrei solo creare una situazione migliore per tutti”.
D. – C’è bisogno, quindi, secondo lei, di ristabilire un Ministero per le minoranze religiose, in Pakistan?
R. – Adesso, ogni provincia ha il suo ministro per le minoranze religiose. Io sono nella provincia di Sindh –
Karachi è la capitale della provincia di Sindh ­ e qui ci sono più indù che cristiani. Il ministro è un indù. E’
importante per noi avere rapporti buoni con tutte le altre religioni, non essere solo noi a lottare parlando solo
dei cristiani: questo è importante. Il governo federale, centrale adesso ha incominciato a dialogare. Prima non
abbiamo sentito questa parola, dal governo; sono state avviate molte iniziative per promuovere il dialogo e
questa è una cosa positiva. Adesso, noi dobbiamo fare pressione insieme con gli altri, anche con i
musulmani moderati e illuminati. Per esempio, la nostra Commissione per i diritti umani del Pakistan: sono
uomini buonissimi, molto aperti. Parlano di diritti, non di religioni.
D. – A che punto è la lotta contro la legge sulla blasfemia?
R. – Non è stata ancora cancellata, neanche modificata. Ma ci sono alcuni passi positivi: quando la nostra
Corte Suprema ha detto, due­tre mesi fa, a novembre, che criticare la legge non è un’offesa, mentre prima
per i fanatici anche parlare contro questa legge anti­blasfemia era un grande peccato. Ci sono anche tanti
giudici e anche tanti musulmani che adesso capiscono che questa legge, che nasce per proteggere l’onore
del "Profeta", è usata in senso negativo e che dobbiamo fare qualcosa. Questo ora è chiaro anche al governo
anche a tanti musulmani.
D. – E’ stata aperta una nuova chiesa, quindi c’è più solidarietà da parte delle istituzioni ufficiali?
R. – Noi le chiese le costruiamo, molte anche: negli ultimi quattro anni, a Karachi, abbiamo già avviato la
costruzione di quattro­cinque nuove chiese, piccole, nei quartieri nei quali abitano i cristiani. Ma la cosa
buona e nuova è stata che il capo militare è venuto all’inaugurazione di questa nuova chiesa: una cosa bella.
D. – Qual è la situazione dei cristiani in Pakistan, davanti all’estremismo?
R. – Noi rappresentiamo il 2 per cento della popolazione; le azioni degli islamisti non sono rivolte
direttamente contro i cristiani, ma vogliono fare del Pakistan uno Stato islamico, con le leggi islamiche
secondo la Sharìa.
Caso Vendola. Livia Turco: mercificazione, figlio non è diritto
◊ Fa discutere in Italia il caso Nichi Vendola. L’ex governatore della Regione Puglia ha annunciato la nascita
del piccolo Tobia Antonio, che sarebbe nato dal “seme” del suo compagno Eddy Testa, da una donna
californiana che ha fornito l’ovulo e da una donna indonesiana che l’ha partorito. La notizia arriva a pochi
giorni dall’approvazione in Senato della legge sulle unioni civili e va ad intrecciarsi con il dibattito
sull’annunciato ddl sulle adozioni. “Sorpresa e turbata” si dice Livia Turco, del Pd, storica esponente della
sinistra italiana, oggi presidente della Fondazione “Nilde Iotti: le donne, la cultura, la società”. Paolo
Ondarza l’ha intervistata: R. – Nichi Vendola è una persona a cui voglio bene, perché è un "compagno" con tutto il senso che ha avuto
questa parola in una grande storia politica, che ha vissuto con grande riserbo la sua omosessualità. Ha degli
ideali forti: di giustizia, di eguaglianza, di riconoscimento della dignità femminile… E io rispetto
profondamente il suo desiderio di paternità. E’ un uomo con forti valori di sinistra, è coerente con i valori della
sinistra: in questo caso, lo sento un po’ meno coerente. Non riesco a condividere la sua scelta. Mi ha
turbata, perché credo che ne venga in qualche modo stravolto il senso della maternità, della paternità
e soprattutto del corpo femminile, così come io l'ho imparato dal femminismo.
D. – Perché lei è contraria all’utero in affitto?
R. – La maternità è una relazione umana, d’amore… Questa relazione umana in qualche modo viene
stravolta, perché il figlio non lo crescerà la madre, perché il figlio lo cresceranno altri, perché c’è una
distinzione tra “crescere” e “generare”. Il “generare” resta un mistero, una relazione specialissima con la
creatura che si porta in grembo. Ci possono essere donne che generano e poi, per disperazione,
nell’impossibilità di crescere il figlio lo lasciano in ospedale, ma è una cosa diversa, questa. Qui ci troviamo
di fronte alla scelta di generare per altri: mi sembra che sia uno stravolgimento dell’identità, della
differenza femminile e anche del valore della generazione.
D. – Nichi Vendola ha detto: “Uso provocatoriamente questo mio sogno contro la pigrizia della politica sul
tema dei diritti civili”…
R. – Contesto a Vendola l’espressione “diritti civili”, perché avere un figlio non è un diritto: avere un
figlio è una responsabilità e credo che ci sia una cultura dei diritti, albergata nella sinistra ma che
non è figlia della sinistra; una cultura che ha banalizzato i diritti, che ha dimenticato che c’è prima di
tutto una umanità. Perché “diritto” può anche significare “egoismo”, “egocentrismo”, “solipsismo”…
Io preferisco parlare di dignità della persona, preferisco parlare di responsabilità: le sento molto di più parole
della sinistra e le sento molto di più appropriate a quando si parla di maternità e di paternità. Io, per esempio,
sono a favore delle adozioni da parte delle coppie omosessuali, se il giudice – come è già successo – valuta
che l’interesse del minore sia stare con “quella” coppia. Ma il “crescere” è diverso dal “generare”; il mettere al
mondo un figlio non è un diritto, non appartiene alla categoria dei diritti.
D. – Ritiene che quella per la maternità surrogata, quindi, non sia una battaglia della sinistra?
R. – Assolutamente non è una battaglia di sinistra…
D. – Lui parla di “una bellissima storia d’amore”…
R. – …ci sarà una bellissima storia d’amore, però resta il fatto che chi ha generato, ha generato un figlio che
altri cresceranno, che non sarà figlio di quella donna. Nichi Vendola giustamente rivendica un suo desiderio
personale, una sua vicenda personale. Però, questa vicenda personale diventerà simbolo e questo simbolo
rischia di avvalorare una pratica che, se per alcuni, pochi, è storia d’amore, è dono, per la stragrande
maggioranza è mercificazione e sfruttamento. E io mi sento di chiedere a quelli e a quelle che invece dicono
di viverla come “dono” e come “storia d’amore” che in nome di una causa più generale, dovrebbero rinunciare,
e non diventare complici di un fenomeno che invece è sfruttamento e mercificazione. Costa molto dire
queste cose, perché sto parlando di una scelta di una persona e sulle scelte delle persone non sono
mai abituata a sindacare; però, quando le scelte hanno questo rilievo pubblico e vengono da queste
persone pubbliche, le persone si sottopongono anche a un giudizio. Quindi mi dovrà scusare Nichi
Vendola se mi sono permessa di parlare della sua scelta: lo faccio con molto e profondo rispetto.
Assegnati gli Oscar: "Il caso Spotlight" miglior film
◊ Sono stati assegnati i premi Oscar nella cerimonia della scorsa notte a Los Angeles. Miglior film è stato
riconosciuto "Il caso Spotlight", con il quale il regista statunitense, Thomas McCarty, ripercorre la storia dei
giornalisti che a Boston scoprirono e denunciarono i casi di pedofilia compiuti dai sacerdoti cattolici della
diocesi. Il servizio di Luca Pellegrini: La polemica sulla mancata candidatura agli Oscar di artisti di colore ha segnato pesantemente tutta la
conduzione di Chris Rock della più attesa celebrazione del cinema, nella quale sono state distribuite le
famose statuette d'oro. Il miglior film è stato riconosciuto "Il caso Spothlight", una rigorosa e autentica
ricostruzione di come i giornalisti del quotidiano Boston Globe affrontarono nel 2002, facendolo emergere, lo
scandalo e l'orrore della pedofilia in seno alla diocesi americana. Il produttore, Michael Sugar, statuetta in
mano, circondato dagli attori e dal regista, ha lanciato un appello: "E' venuto il momento di proteggere i
bambini e far risorgere la fede". Mentre i due sceneggiatori del film, Oscar pure per loro, lo hanno dedicato ai
giornalisti e alle vittime delle violenze. Hollywood, dunque, non manca di dare un segnale in qualche modo
politico ai titoli premiati. Da ricordare le due standing ovation nella lunga e poco briosa cerimonia: quella per
Leonardo Di Caprio, che finalmente, dopo anni e nomination ricevute, viene riconosciuto come miglior attore
nel film "The Revenant ­ Redivivo" di Alejandro Iñárritu e dal palco, memore probabilmente anche del suo
incontro con Papa Francesco, lancia un allarme ecologico e un appello al rispetto della natura. E quella
tributata all'ottantasettenne, Ennio Morricone, che riceve anche lui finalmente l'Oscar per la migliore
colonna sonora ­ dopo aver ricevuto quello alla carriera nel 2007 ­ scritta per "The Hateful Eight" di Quentin
Tarantino. Queste le parole del Maestro:
“Non c’è una musica importante senza un grande film che la ispiri. Ringrazio Quentin Tarantino per avermi
scelto. Dedico questa musica e questa vittoria dell’Oscar a mia moglie Maria”.
Infine, dopo aver segnalato l'ascesa di un'attrice sconosciuta come Brie Larson quale protagonista dell'anno
nel drammatico "Room", l'Oscar per il miglior film straniero è stato assegnato a "Il figlio di Saul"
dell'ungherese László Nemes: l'orrore vissuto da un ebreo nel campo di Auschwitz nel 1944. “Il film vuole
ricordarci ­ ha detto il regista, che ha già collezionato numerosi premi ­ che anche nei momenti più oscuri
nella storia dell'umanità si può trovare una voce dentro di noi che ci fa rimanere umani". Mentre Disney Pixar
con lo splendido "Inside Out" vince l'ennesimo Oscar per il miglior film di animazione e Pete Docter, uno dei
due registi, ha confessato ­ immagine bellissima ­ che l’idea è semplicemente nata guardando crescere i suoi
figli e che per loro e tutti i bambini il film è stato infine realizzato.
P. Zollner: vescovi esortano a vedere "Il caso Spotlight"
◊ “Papa Francesco: è ora di proteggere i bambini e restaurare la fede”. Si è espresso così Michael Sugar,
produttore di “Il caso Spotlight”, vincitore del premio Oscar come miglior film 2016, ritirando la statuetta sul
palco degli Academy Awards. La pellicola è dedicata ai giornalisti del Boston Globe, che 14 anni fa svelarono
la copertura di numerosi casi di abusi commessi da sacerdoti su minori. Su questo appello Fabio
Colagrande ha intervistato il gesuita padre Hans Zollner, membro della Pontificia Commissione per la
tutela dei minori e presidente del Centro per la protezione dei minori della Gregoriana: R. – Si vede certamente che sia il produttore, sia tutti quelli che sono stati coinvolti nella produzione del film
stesso, hanno lavorato per trasmettere questo messaggio ed è un messaggio connesso con quello che il film
racconta, un richiamo affinché la Chiesa faccia quello che dal 2002, proprio contemporaneamente a questi
eventi che il film racconta, è stato già avviato. Fin dalla fine degli anni ’90, il cardinale Ratzinger, da prefetto
della Congregazione per la Dottrina della fede, si era infatti reso conto che la Chiesa non poteva più né
tollerare questi abusi né la loro copertura da parte di vescovi. E così Joseph Ratzinger, poi come Papa
Benedetto, ha fatto grandi passi per rendere la Chiesa un’istituzione trasparente e impegnata nella lotta
contro gli abusi. Poi, Papa Francesco ha continuato sulla linea di Papa Benedetto, rafforzando ancora la
legislazione della Chiesa, istituendo la Pontificia Commissione per la tutela dei minori. Il Papa ha già messo
in pratica alcune misure e attendiamo ulteriori sviluppi su questa stessa linea, che daranno certamente il
messaggio chiaro che la Chiesa cattolica nella sua leadership si rende conto della gravità della situazione e vuole e deve continuare la lotta per la giustizia e perché non ci siano più vittime di abuso.
D. – Quindi, possiamo dire che dalle vicende che sono raccontate da questo film a oggi, molto è stato fatto
proprio per la protezione dei minori, dalla Santa Sede e dalle Chiese locali in tutto il mondo?
R. – Sì, ciò che ha fatto la Santa Sede è molto evidente: abbiamo altre norme, abbiamo leggi più severe,
abbiamo le lettere circolari della Congregazione per la Dottrina della fede che chiedono a tutte le Conferenze
episcopali di inviare le bozze per le loro linee­guida su come incontrare le vittime, cosa fare con gli abusatori,
come lavorare per la prevenzione degli abusi. Molto è stato fatto, da parte della Santa Sede, e poi anche da
alcune Chiese locali. Per cui, un film come questo e anche le parole dette alla premiazione, certamente
danno un ulteriore slancio a questo nostro lavoro che, ad esempio, abbiamo iniziato dal 2012 qui alla
Gregoriana con un convegno internazionale, il Simposio “Verso la guarigione e il rinnovamento”, che ha visto
partecipare 110 vescovi di tutte le Conferenze episcopali del mondo e che è stato un primo passo anche per
le aree dell’Africa e dell’America Latina, dove il tema a quell’epoca non era ancora arrivato. Con l’istituzione
del nostro “Centre for Child Protection”, il Centro per la protezione dei minori, vogliamo lavorare per costruire
pian piano una competenza locale, cioè persone che sappiano come reagire, come creare spazi sicuri per i
bambini e gli adolescenti…
D. – Qual è stata l’accoglienza che questo film ha ricevuto da parte di uomini di Chiesa che sono stati – e
sono – impegnati nel contrastare gli abusi sessuali?
R. – Una voce molto autorevole che si è pronunciata è quella dell’arcivescovo di Malta, mons. Charles
Scicluna, che per dieci anni è stato il promotore di giustizia ed è stata la persona impegnata nella
persecuzione di questi crimini commessi da sacerdoti. Lui, qualche giorno fa, ha detto pubblicamente che
raccomanderebbe a tutti, anche ai vescovi, di guardare questo film. Lo stesso ha detto anche un vescovo
australiano… C’è quindi un grande apprezzamento per il film e ovviamente anche un apprezzamento per il
messaggio e il modo in cui viene trasmesso il messaggio. Questi vescovi raccomandano ai loro confratelli di
vedere questo film, quindi è un forte invito a riflettere e a prendere sul serio il messaggio centrale, cioè che la
Chiesa cattolica può e deve essere trasparente, giusta e impegnata nella lotta contro gli abusi e che deve
impegnarsi affinché non si verifichino più. E’ importante capire che dobbiamo cambiare quel nostro
atteggiamento che in italiano si può esprimere con quella famosa parola: “omertà”. Non parlare, voler
risolvere tutto spazzando via tutto sotto il tappeto, nascondersi e pensare che tutto passerà. Bisogna capire
che non passerà: ormai dobbiamo renderci conto che o con molto coraggio e la capacità di affrontare le cose
guardandole in faccia ci pensiamo noi, oppure un giorno, prima o poi, saremo obbligati a farlo. E questo
penso sia uno dei messaggi centrali di questo film.
Nella Chiesa e nel mondo
Vescovi svizzeri: nota su referendum su famiglia e stranieri
◊ Ha vinto il fronte del “no” alle due votazioni popolari che si sono svolte ieri in Svizzera, la prima riguardante
la famiglia e la seconda gli stranieri che commettono reati. Entrambi gli esiti delle urne sono stati commentati
dalla Conferenza episcopale elvetica, con due note distinte, ma dal diverso contenuto: nel primo caso, infatti,
i vescovi esprimono rammarico per il risultato della votazione; nel secondo caso, invece, soddisfazione.
Grande diversità di opinioni sul tema del matrimonio e della famiglia Il primo quesito riguardava l’iniziativa "Per il matrimonio e la famiglia – No agli svantaggi per le coppie
sposate”, che si poneva l’obiettivo di non penalizzare le famiglie dal punto di vista fiscale. Attualmente,
infatti, nel Paese elvetico, il calcolo delle imposte per le coppie sposate prevede che i redditi dei coniugi
vengano cumulati, mentre i conviventi vengano tassati individualmente. Cosicché, una coppia sposata, e
quindi con doppio reddito, paga un’imposta più elevata rispetto ad una coppia convivente. L’iniziativa è stata
bocciata dalla popolazione, un risultato che “non ha sorpreso i vescovi svizzeri”, si legge nella nota
episcopale, dato che già l’ultimo Sinodo generale dei vescovi sulla famiglia, svoltosi in Vaticano lo scorso
ottobre, “aveva chiaramente dimostrato una grande diversità di opinioni all’interno della Chiesa e della società
sul modo migliore di sviluppare e rafforzare il matrimonio e la famiglia”.
Evidenziata comunque importanza della famiglia per presente e futuro della società
Tuttavia, la Ces sottolinea che tale iniziativa ha raggiunto comunque uno dei suoi obiettivi, ossia “mettere in
evidenza l’alto valore posto sulla famiglia dalla popolazione elvetica”. “Molti oppositori dell’iniziativa, infatti –
conclude la nota – hanno ugualmente sottolineato l’importanza fondamentale dei nuclei familiari per il
presente ed il futuro della società”.
Soddisfazione per il no al referendum su stranieri che commettono reati
Al contrario, la vittoria del no al referendum sugli stranieri che commettono reati ha suscitato soddisfazione
tra i vescovi svizzeri. Il quesito referendario riguardava una proposta avanzata dall’Unione democratica di
centro e che prevedeva, per gli stranieri che commettono crimini passibili di una pena superiore a tre anni,
l’espulsione dalla Svizzera, e quindi il rimpatrio automaticamente nei loro Paesi d’origine, per un periodo che
andasse dai cinque ai quindici anni. I reati in questione erano gli omicidi, la violenza carnale, furto aggravato,
la tratta di esseri umani, il traffico di droga, ma anche le lesioni semplici, l’incendio intenzionale e la
contraffazione di monete.
Occorre politica legislativa ragionevole
Nella nota diffusa dalla Commissione Giustizia e pace, si ribadisce che “la proposta era inutile, irrispettosa
ed ingiusta”, anche perché “una pena equa” per un reato commesso “deve essere anche proporzionata”. I
presuli svizzeri, inoltre, sottolineano che la discussione politica sull’argomento ha lasciato spesso il posto
“alle polemiche”, più che ai contenuti; di qui, l’auspicio che, “dopo l’esito della votazione, si possa tornare ad
una politica legislativa ragionevole sul tema degli stranieri, dei rifugiati e dei migranti”.
Giudicare le azioni, non le persone in quanto tali
Infatti, sottolinea la Commissione episcopale, “al centro della concezione dell’uomo, così come la intende la
​
fede cristiana, c’è il principio che bisogna giudicare le azioni, non le persone in quanto tali”. Per questo, “i
diritti umani valgono anche per gli stranieri, anche per coloro che hanno commesso atti illeciti”, mentre
l’iniziativa proposta, “con il suo rigore, era in contraddizione con i principi della dignità umana e della
misericordia”. Infine, la Commissione Giustizia e pace ringrazia “tutti coloro che si sono impegnati con forza
e convinzione per respingere tale progetto” ed “accoglie con favore la decisione presa dal popolo svizzero”.
(I.P.)
Terra Santa: sempre meno cristiani nella Striscia di Gaza
◊ La piccola realtà cristiana della Striscia di Gaza continua ad assottigliarsi: nell'arco degli ultimi mesi, sono
almeno trenta i giovani che hanno lasciato la terra in cui erano nati per emigrare, mentre nelle chiese si
celebrano spesso i funerali degli anziani che terminano la loro vita terrena. Lo racconta padre Mario da Silva,
parroco della chiesa latina dedicata alla Sacra Famigia, in un reportage raccolto da Andres Bergamini e
diffuso dai media ufficiali del Patriarcato Latino di Gerusalemme. Le partenze – viene annotato nel report
ripreso dall'agenzia Fide – sono un sintomo che nessuno crede in un cambiamento vicino, rispetto a una
condizione collettiva segnata dall’isolamento internazionale, dalla mancanza di lavoro e dalla minaccia mai
sopita di nuove guerre.
I cristiani nella Striscia di Gaza sono ormai poco più di un migliaio La condizione in cui vivono forse li rende più pronti a riconoscere ciò che può custodire e far crescere, in ogni
situazione, la speranza cristiana. Insieme al parroco, che appartiene all'Istituto del Verbo Incarnato, i ragazzi
e le suore si recano periodicamente a distribuire aiuti in cibo alle famiglie più povere. Racconta suor Milagro,
dopo una giornata trascorsa a offrire quel servizio di carità: “Abbiamo sentito i racconti strazianti di persone
disperate e affamate: nessuno lavora, i bambini sono numerosi, spesso ci sono malati gravi che necessitano
di cure. Le abitazioni sono fatiscenti perché le pareti e il tetto sono di lamiera, e senza energia elettrica. Il
freddo dell’inverno penetra dappertutto”.
La Chiesa spera che i giovani cristiani possano recarsi a Gerusalemme per la Pasqua
La parrocchia latina sta portando avanti 12 progetti per creare spazi e avviare servizi a vantaggio della
popolazione. Nel salone polivalente, inaugurato prima di Natale, cominciano a svolgersi regolarmente anche
le attività tipiche di ogni oratorio: momenti di preghiera, catechismo, giochi in comune. Mentre il parroco
spera che almeno 5 ragazzi cristiani di Gaza possano partecipare insieme a Papa Francesco alla prossima
Giornata Mondiale della Gioventù, in programma a Cracovia per il prossimo luglio. Padre Mario da Silva si
augura anche che le autorità israeliane concedano l'ingresso a Gerusalemme per i riti della prossima Pasqua
anche ai giovani cristiani di Gaza della fascia di età 16­35 anni, normalmente esclusa nella concessione dei
permessi. (G.V.)
Iraq: cristiani chiedono riforme a favore delle minoranze
◊ Maggiore rappresentanza delle minoranze nel Governo di tecnici guidato dal Primo Ministro sciita Haydar
al­Abadi e la modifica dell’articolo 26 della legge che di fatto impone il passaggio automatico alla religione
musulmana dei minori quando anche uno solo dei due genitori si converte all’islam: sono le richieste dei
membri cristiani presenti nell’assemblea parlamentare irachena tese ad arginare, almeno in parte, la
marginalizzazione subita nel Paese da cristiani e da altre minoranze. Le richieste sono state inviate al
presidente del Parlamento, il sunnita Salim al­Juburi.
Modificare la recente legge riguardante l’islamizzazione dei figli
Con tale iniziativa — riferisce l’agenzia Fides — i membri che rappresentano le minoranze intendono
soprattutto sollecitare la messa in atto della risoluzione di modifica del provvedimento riguardante
l’islamizzazione dei figli, adottata a maggioranza a metà novembre, ma finora senza alcun seguito. Giorni fa
Haydar al­Abadi ha risposto alle critiche ribadendo che il Governo iracheno non discrimina i propri concittadini
in base alla loro appartenenza religiosa, considera anche i cristiani come una “componente genuina”
dell’identità nazionale e farà il possibile per impedire la loro emigrazione.
La legge approvata a ottobre tra le proteste delle minoranze religiose
Fra coloro che si battono per cambiare l’articolo 26 c’è il Patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphael I
​
Sako che all’indomani dell’approvazione della risoluzione di modifica della norma aveva espresso, insieme
alla comunità cristiana, grande soddisfazione per la decisione del Parlamento iracheno. Nei mesi precedenti
era stato presentato un emendamento che prevedeva che i minori restassero nella religione di nascita fino a
18 anni, per poi decidere in modo personale la loro fede. Ma a fine ottobre il Parlamento aveva respinto tale
proposta, sollevando la protesta della comunità cristiana e dei vertici della Chiesa caldea. (L.Z.)
Iraq: misure contro i funzionari corrotti a danno dei cristiani
◊ I funzionari pubblici che favoriscono truffe immobiliari a danno dei cristiani verranno puniti con severe pene
amministrative, dalla sospensione temporanea fino al licenziamento definitivo. Lo ha annunciato in
un'intervista televisiva il Ministro della Giustizia iracheno, Haider Zamili, confermando che le truffe e le
sottrazioni illecite di case e terreni appartenenti a cristiani vengono consumate con l'apporto documentato di
funzionari corrotti tra quelli addetti alla registrazione dei passaggi di proprietà immobiliari negli uffici catastali. Rese più siciure le regole di compravendita
D'ora in poi, secondo le dichiarazioni fornite dal ministro iracheno, le pene amministrative scatteranno nei
casi documentati di partecipazione diretta alle frodi da parte di funzionari pubblici. La lotta alle truffe, oltre
all'introduzione di pene severe per i funzionari corrotti, si baserà anche su nuove regole, per rendere più
sicure le procedure di compravendita, in modo che sia accertato oltre ogni possibile dubbio il reale consenso
dei proprietari a cedere il proprio immobile alla parte acquirente.
A Ninive molte proprietà dei cristiani cambiavano illecitamente proprietario
Già nel marzo 2014 il politico cristiano Imad Youkhana, esponente dell'Assyrian Democratic Movement
(Zowaa) e membro del Parlamento iracheno, aveva denunciato alcuni funzionari pubblici della provincia di
Ninive dopo aver raccolto testimonianze documentate sul sistema corrotto con cui molte proprietà – terreni e
case ­ appartenenti a cristiani cambiavano proprietario in maniera illecita, senza alcuna autorizzazione da
parte dei legittimi titolari dei beni. Le frodi, connesse a tangenti, avvenivano in combutta con alcuni addetti al
registro delle proprietà immobiliari, ed erano facilitate dal fatto che che gran parte dei proprietari cristiani si
trovavano da anni fuori dal Paese. Una “fatwa” contro le truffe e gli espropri illeciti a danno dei cristiani
Il parlamentare Youkhana aveva sollecitato i governi locali e federali dell'Iraq a intervenire per smantellare il
sistema truffaldino, individuarne i responsabili e restituire le proprietà passate di mano illecitamente ai
legittimi proprietari. Il politico aveva anche invitato i cristiani iracheni emigrati a verificare lo status delle
proprietà che avevano lasciato in Iraq e a riaffermare il proprio pieno diritto su di esse, coinvolgendo in
questa azione anche le ambasciate irachene all'estero. Nell'estate 2015, lo stesso Youkhrana aveva chiesto
alle autorità religiose islamiche di emettere una “fatwa” contro le truffe e gli espropri illeciti compiuti a danno
delle proprietà appartenenti ai cristiani. (G.V.)
Africa. Minerali in Paesi in guerra: appello a organismi Ue
◊ Due settimane dopo l'inizio del Trialogo, cioè delle negoziazioni tra il Parlamento europeo, la Commissione
europea e i 28 Stati membri dell'Unione Europea che formano il Consiglio dell'Unione Europea, la Focsiv
(Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario) e il Cidse, che raggruppa una serie
di organizzazioni cattoliche internazionali impegnate per lo sviluppo, invitano gli Stati membri dell'Unione
Europea a considerare seriamente la questione dei minerali dei Paesi di conflitto, piuttosto che sostenere una
posizione che antepone il profitto ai diritti. “Il Consiglio si oppone ad una legge basata su un approccio
obbligatorio mentre è a favore di un sistema volontario e parziale, che non è sufficiente a risolvere la
questione dei minerali dei conflitti e a garantire che, dietro i dispositivi elettronici che utilizziamo, non si
nascondano crimini e sofferenze” afferma un comunicato ripreso dall’agenzia Fides, nel quale si sottolinea
che è possibile estrarre in Africa minerali rispettando i diritti dei minatori.
In una miniera in Congo vietato il lavoro minorile
È il caso della miniera Fungamwaka nella Repubblica Democratica del Congo, definita “un esempio di una
‘miniera pulita’, dove il lavoro minorile è vietato e dove non sono presenti gruppi ribelli che si finanziano
tassando illegalmente i minatori”. In un video messaggio, mons. Fridolin Ambongo Beseungu, vescovo di
Bokungu­Ikela, afferma: "Auspichiamo fortemente che la posizione degli Stati membri dell'Unione Europea
possa evolvere in direzione di un regolamento vincolante, perché a mio parere una legge che non è
vincolante non è una legge". Paesi Ue più sensibili agli affari economici che agli aspetti umanitari
Secondo mons. Ambongo, gli Stati membri dell'Ue sono più sensibili a certi affari economici e meno alla
dimensione umanitaria e agli aspetti etici e morali legati allo sfruttamento minerario. Mons. Ambongo
sottolinea che la mancanza di una vera e propria legislazione in materia di minerali dei conflitti pone un
problema per i consumatori: "Utilizzare un prodotto, senza sapere da dove proviene, con il rischio che possa
provenire da una zona di conflitto e contenere minerali sporchi di sangue, può creare un problema di
coscienza per molti cittadini europei". (L.M.)
Vescovi dominicani: per le elezioni appello a pace e dialogo
◊ Il prossimo 15 maggio sarà una data importante per la Repubblica Dominicana: in quel giorno, infatti, si
svolgeranno le elezioni generali e dal 1994 sarà la prima volta in cui tutte le autorità pubbliche saranno elette
contemporaneamente e direttamente. In vista della tornata elettorale ed in coincidenza con la Festa
dell’Indipendenza che ricorreva il 27 febbraio scorso, dunque, la Conferenza episcopale locale ha diffuso un
lungo messaggio, incentrato su quattro tematiche: le elezioni, la tutela della vita, la promozione della
giustizia e la salvaguardia del Creato.
Campagna elettorale ispiri a promozione di pace, dialogo e rispetto
Riguardo al primo punto, i vescovi esortano i cittadini a “partecipare attivamente al processo elettorale” ed
invitano i candidati ad accettare le scelte della volontà popolare. Di qui, il richiamo a non fare una campagna
elettorale incentrata sulla denigrazione dell’avversario, sulle false promesse, il clientelismo, l’inquinamento
ambientale perpetrato tramite l’affissione abusiva ed invadente di manifesti elettorali. Al contrario, la Chiesa
dominicana richiama ai principi della pace, del rispetto, del dialogo: onestà, spirito di servizio, capacità di
amministrare la res publica con giustizia e trasparenza, dunque, devono essere le caratteristiche dei futuri
politici dominicani.
No alla corruzione, investire sulle opere sociali
“È deplorevole infatti – si legge nel messaggio – che la politica sia spesso vista come un mezzo per
l’arricchimento personale e non come un servizio al bene comune”. In particolare, i presuli criticano quelle
campagne elettorali finanziate “dal denaro sporco”, proveniente “dal narcotraffico, dal gioco d’azzardo,
dall’evasione fiscale di alcune imprese”. “Tutti abbiamo bisogno di una politica sana, lontana dalla corruzione,
dal riciclaggio, dal furto – è il monito dei vescovi dominicani – Tutti abbiamo il diritto di sperare il meglio da
parte delle nostre istituzioni e dei nostri leader politici”. Perciò, si chiede ai candidati di “investire sui
lavoratori e sulle opere sociali”, perché questa è “la base di una democrazia solida”.
Vigilare sulla democrazia e rafforzare sistema educativo
Al contempo, gli elettori vengono esortati a “non vendere la propria coscienza al momento di votare” ed a
“vigilare sulla democrazia”, mentre si invita il futuro governo a “sviluppare l’economia, rafforzare il sistema
sanitari ed educativo, creare opportunità di lavoro, investire sulla sicurezza, migliorare il sistema energetico,
guardare alle esigenze dei giovani, tutelare lo Stato di diritto e tenere lontana la corruzione e l’impunità”.
Vita, dono di Dio da preservare. Non dimenticare i più disagiati
Riguardo, invece, alla tutela della vita, la Chiesa dominicana deplora l’aumento della violenza nel Paese e
ricorda che “la vita è un dono di Dio dal valore unico ed incalcolabile, da apprezzare, curare e preservare”.
Per questo, le autorità vengono richiamate al loro compito di “fare tutto il possibile per porre fine al clima di
violenza ed insicurezza asfissiante” che predomina nel Paese. “Lanciamo una campagna di educazione delle
coscienze a tutti i livelli – scrivono i vescovi – sulla pace, la fratellanza, la tolleranza, il valore della vita ed il
rispetto del prossimo”. Di qui, anche il richiamo a non dimenticare i più disagiati economicamente che non
possono accedere, ad esempio, ai servizi sanitari di base: “I nostri ospedali pubblici – auspica la Conferenza
episcopale dominicana – usino le loro risorse con maggior trasparenza, così da offrire un servizio migliore ai
pazienti meno abbienti”, nell’ottica di un “sistema sociale che faciliti l’inclusione di tutta la popolazione”.
Giustizia rispetti la legge. Salvaguardia del Creato, compito di tutti
Sul tema della giustizia, poi, i vescovi scrivono: “Non possiamo andare avanti con un potere giudiziario
legato ad interessi politici, né con giudici corrotti che fanno compravendita di sentenze”. Per questo, i presuli
invocano sanzioni per chi “commette errori gravi nell’esercizio delle sue funzioni” ed auspicano “una giustizia
rispettosa della legge, uguale per tutti, a prescindere dalle condizioni sociali, economiche o politiche” di
ciascuno. Infine, guardando all’Enciclica “Laudato si’ sulla cura della casa comune”, siglata da Papa
Francesco, i vescovi esortano tutti i dominicani a maturare “una vera coscienza ecologica, compiendo tutti
gli sforzi necessari per proteggere ed accudire il pianeta”. Su questo tema, i presuli si ripropongono di offrire
prossimamente “una riflessione più ampia”. (A cura di Isabella Piro)
Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LX no. 60
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