Il ruolo del tempo di ischemia nell`infarto del miocardio STEMI

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Il ruolo del tempo di ischemia nell`infarto del miocardio STEMI
Attualità
Recenti Prog Med 2010; 101: 7-70
Il ruolo del tempo di ischemia nell’infarto del miocardio STEMI
trattato con intervento percutaneo primario coronarico.
Attuali conoscenze
Daniele Berardi, Luciano Agati
Riassunto. L’infarto miocardico acuto con sopraslivellamento
del tratto ST rappresenta a tutt’oggi un importante problema
clinico ed epidemiologico a causa della sua elevata incidenza
e dell’alto tasso di decessi da cui è gravato. Alla luce di ciò sono in continuo sviluppo linee di intervento per una diagnosi
accurata ed un rapido trasporto del paziente nelle strutture
ospedaliere più adeguate. Poiché l’unico strumento in grado
di modificare la storia naturale della malattia è la restaurazione precoce del flusso coronarico nella zona miocardica ischemica, si comprende come il tempo di riperfusione costituisca
il parametro guida nella definizione di percorsi assistenziali e
terapeutici mirati a fronteggiare la patologia in fase acuta e limitarne le conseguenti disfunzioni in fase cronica. Recentemente il nostro gruppo di ricerca ha pubblicato un lavoro in
cui si dimostrava l’importanza fondamentale di rivascolarizzare il paziente entro 90 minuti dall’insorgenza dei sintomi
dell’infarto. Scopo del presente articolo è quello di fornire uno
stato dell’arte della letteratura internazionale relativamente
alla questione del tempo di intervento nello STEMI e di sottolineare come dai nostri risultati emerga la necessità di una revisione critica delle attuali linee guida al fine di consentire una
ottimizzazione del trattamento.
Summary. State of art on the role of ischemic time in ST-segment
elevation myocardial infarction treated with PTCA.
Parole chiave. Angioplastica coronarica percutanea transluminale, estensione dell’area infartuale, infarto del miocardio
STEMI, miocardio salvabile, tempo di riperfusione coronarica,
trombolisi.
Key words. Infarct size, myocardial infarction STEMI, myocardial salvage, percutaneous transluminal coronary angioplasty, restoration of coronary flow, time to reperfusion,
thrombolysis.
Up till now ST-segment elevation myocardial infarction (STEMI) is an important clinical and epidemiological question because of its high incidence and death rate. In this light, intervention principles continue to be developed to reach a precise diagnosis and a fast transport of the patient towards adequate hospitals. As the only instrument able to modify the
natural course of this disease is the early restoration of coronary flow in the myocardial ischemic area, we can understand
that time to reperfusion is the driving parameter in defining
sanitary and therapeutic ways aimed at facing up to this
pathology in its acute phase and limiting the subsequent
chronic disfunction. Recently, our group have published a paper demonstrating the fundamental importance of reperfusing the patient within 90 minutes from the onset of the
AMI symptoms. The aim of this article is to give a state of art
of the international literature about timing question in STEMI and to underline that from our results emerges the necessity of a critical revision of the actual guidelines in order to
allow a real optimization and therapy of this pathology.
Introduzione
12
Tutte le attuali strategie terapeutiche nei pazienti con sindrome coronarica acuta associata a sopraslivellamento del tratto ST mirano a riperfondere precocemente il vaso responsabile dell’infarto,
così da poter salvare quella quota di miocardio che
si trova in sofferenza ischemica ma non ancora in
necrosi. Questo concetto è supportato da numerosi
studi in letteratura, tanto che si può affermare che
ogni minuto di ritardo nel rivascolarizzare il paziente con STEMI (sia mediante angioplastica che
trombolisi) ne influenza negativamente la prognosi: secondo De Luca et al.1, infatti, la mortalità ad
1 anno aumenta del 7,5 % ogni 30 minuti di ritardo nel ripristino del flusso coronarico (figura 1) e lo
sforzo di ridurre il tempo precoronarico deve essere ulteriormente ottimizzato in relazione al profilo
di rischio dei singoli pazienti2.
10
Mortalità 1 anno (%)
7
8
6
4
Y = 2.86 (+ 1.46) + 0.00145X1 + 0.000043X2
p < 0.001
2
0
0
60
120
180
240
300
360
Tempo di ischemia (minuti)
Figura 1. Il rischio relativo di morte ad 1 anno dell’IMA con STEMI
aumenta del 7,5 % ogni 30 minuti di ritardo nel rivascolarizzare il
paziente. In rosso è indicata la finestra terapeutica ottimale per
procedere alla rivascolarizzazione. Modificata da: De Luca et al1.
Dipartimento di Scienze Cardiovascolari, Respiratorie e Morfologiche, Policlinico Umberto I, Università La Sapienza, Roma.
Pervenuto il 4 giugno 2010.
Recenti Progressi in Medicina, 101 (12), dicembre 2010
D’altronde già nel 1971 lo stesso Braunwald affermava che la necrosi miocardica è un fenomeno
tempo-dipendente (“time is muscle”) e da questo
principio hanno mosso i passi numerosi trial nell’animale e nell’uomo3. Ad esempio, Reimer4 ha dimostrato che, nel cane, un’interruzione del flusso
coronarico da 20 a 60 minuti può dare luogo a un
danno miocardico irreversibile che inizialmente interessa il subendocardio; successivamente il fronte
d’onda ischemico-necrotico avanza al subepicardio
in un periodo di circa 6 ore. Dunque, la quota di miocardio salvabile si riduce all’aumentare della durata dell’ischemia, ed il tempo di trattamento appare
essere direttamente correlato alla estensione dell’area infartuale e alla transmuralità della necrosi.
Non tutti i dati presenti in letteratura, però, sono concordi sulla questione del tempo di riperfusione. Infatti, uno studio di Schomig5, in pazienti
con infarto STEMI rivascolarizzati con angioplastica coronarica percutanea transluminale (PTCA)
o trombolisi (a seconda del tempo in cui sono giunti all’osservazione medica) e successivamente studiati mediante scintigrafia miocardica, non ha individuato una relazione significativa tra tempo di
riperfusione ed estensione dell’area infartuale, ed
anzi ha evidenziato la presenza di un indice di salvataggio miocardico comunque elevato anche in
pazienti riperfusi dopo 12 ore dall’insorgenza dei
sintomi. Analogamente, ed in maniera più esaustiva, una metanalisi di Boersma6 ha dimostrato
che il trattamento con angioplastica primaria comporta una riduzione importante della mortalità a
30 giorni dall’evento acuto rispetto alla fibrinolisi,
ma questo effetto risulta essere indipendente dal
tempo di trattamento.
Di fronte a tale scenario, dunque, emerge chiaramente la necessità di comprendere il peso reale
del tempo di riperfusione nell’infarto STEMI e di
definire in maniera inequivocabile i limiti cronologici entro cui si circoscrive la massima efficacia
dell’ intervento medico, in quanto da questi fattori
dipende lo sviluppo di una congrua rete di collegamento assistenziale tra ospedale e territorio che
possa consentire un significativo miglioramento
dell’esito clinico di questi pazienti.
Influenza del tempo di riperfusione
sull’estensione dell’area infartuale
e ripercussioni nella scelta terapeutica
tra PTCA e trombolisi
Il nostro lavoro ha voluto analizzare l’estensione e la natura (reversibile o irreversibile) del danno miocardico in pazienti con infarto STEMI in relazione a diversi tempi di riperfusione. Il dato fondamentale che è emerso consiste nel fatto che la
quota di miocardio salvabile (definito come differenza tra miocardio a rischio e area infartuale) diminuisce drasticamente quando il tempo di riperfusione supera i 90 minuti, mentre le differenze si
vanno attenuando nel confronto tra gli altri gruppi analizzati (figura 2).
10.00
Miocardio salvabile (%)
8.00
6.00
4.00
2.00
0.00
≤90
>90-150
>150-350
>350
Tempo di riperfusione (min)
Figura 2. La quota di miocardio salvabile diminuisce drasticamente quando il tempo di riperfusione coronarica supera i 90 minuti, mentre le differenze si vanno attenuando nel confronto tra
gli altri gruppi analizzati7.
Analogamente, nel follow-up eseguito a 6 mesi,
solo nel gruppo di pazienti riperfusi prima dei 90
minuti si è documentato un aumento significativo
della frazione di eiezione7.
Questo dato di tempistica, che peraltro è in accordo con i risultati del recente CAPTIM trial, ribadisce dunque l’assunto per cui è basilare ricanalizzare precocemente il paziente infartuato e costituisce una innovazione fondamentale nello scenario delle impostazioni terapeutiche dello STEMI8.
Le attuali linee guida dell’ACC/AHA, infatti, definiscono come gold standard un trattamento riperfusivo effettuato entro i 30 minuti se si utilizza la
fibrinolisi, ed entro i 90 minuti se si fa riferimento
alla PTCA9. Le linee guida ESC, invece, pongono
come limite temporale per l’esecuzione di una rivascolarizzazione altamente efficace un intervallo
di 120 minuti a partire dal «first medical contact»10
(figura 3). In quest’ottica, nella pratica clinica si è
andata affermando una sorta di forma mentis che
supporterebbe la superiorità assoluta dell’angioplastica primaria (che risulta una valida opzione
terapeutica fino alla 3°-4° ora dall’insorgenza dei
sintomi) sulla fibrinolisi (che, invece, oltrepassati i
90 minuti perde la quasi totalità della sua azione
terapeutica in quanto il trombo coronarico va incontro ad un processo anatomopatologico di “organizzazione” che vanifica l’effetto dei farmaci trombolitici). Questo assunto del “PPCI-for-all” (superiorità assoluta dell’intervento coronarico percutaneo primario), però, viene a ridimensionarsi proprio in funzione dell’importanza, da noi dimostrata, del target temporale dei 90 minuti, tempo cardine oltre il quale si riduce drammaticamente la
possibilità di migliorare la prognosi del paziente.
In funzione di questo dato, riacquista luce l’opzione terapeutica della fibrinolisi: un paziente con infarto STEMI godrà di beneficî clinici molto maggiori se verrà sottoposto a fibrinolisi entro i 90 mi-
D. Berardi, L. Agati: Importanza del tempo di ischemia nell’IMA STEMI
Figura 3. Algoritmo della strategia terapeutica nell’infarto STEMI in funzione del tempo di riperfusione secondo le attuali linee guida ESC.
Modificata da : European Heart Journal (200) 29, 2909–295 : l’algoritmo illustra il percorso ideale che dovrebbe eseguire un paziente infartuato al fine di ottimizzare il trattamento. Se il paziente giunge in un ospedale dotato di un laboratorio di emodinamica entro due ore
dall’insorgenza del dolore, l’intervento di angioplastica rappresenta la prima scelta. Viceversa, nel caso in cui il paziente acceda ad una struttura priva del Servizio di emodinamica, se entro due ore vi è la possibilità di trasferimento in un Centro abilitato ad eseguire la procedura
percutanea, si potrà optare per questa possibilità ; laddove il tempo richiesto per il trasferimento superi le due ore, ed in assenza di controindicazioni assolute, rimane sempre valida l’opzione terapeutica di effettuare la fibrinolisi. In quest’ottica, il rischio base del paziente si
integra con i limiti temporali di intervento e permette di orientarsi anche verso la possibilità, laddove sia realizzabile, di eseguire un trattamento fibrinolitico pre-ospedaliero10.
nuti piuttosto che attendere di essere trasferito
presso una struttura superspecialistica dotata del
Servizio di angioplastica primaria presso la quale
giungerà, magari, alla 3°-4° ora dall’insorgenza del
dolore. Questo concetto clinico, peraltro, è suffragato anche dal trial Prague-2 che ha dimostrato
che, in pazienti che giungono all’osservazione medica dopo 3 ore dall’insorgenza dei sintomi, il trasferimento in un Centro terziario dotato di PTCA è
effettivamente in grado di ridurre la mortalità, ma
in caso contrario, entro tre ore dall’insorgenza dei
sintomi, è comunque preferibile attuare la terapia
trombolitica in quanto i risultati in termini di mortalità sono sovrapponibili a quelli del trattamento
con angioplastica11; analogamente, va sottolineato
che anche le attuali linee guida internazionali raccomandano di eseguire l’angioplastica primaria se
il PCI-related-delay è inferiore a 60 minuti e se il
presentation-delay è superiore a 3 ore (PCI-related delay: tempo necessario a trasportare il paziente in Unità di Emodinamica. Presentation delay: tempo intercorso tra insorgenza dei sintomi e
presentazione all’osservazione medica)12.
Relativamente alla tempistica, è necessaria
un’ultima riflessione : sicuramente il tempo è il
modulatore chiave della scelta tra i due tipi di riperfusione da effettuare, ma non può essere considerato come l’unico fattore che viene a determinare la prognosi del paziente; essa, infatti, va sempre contestualizzata in relazione alle caratteristiche cliniche dell’individuo. Esistono numerosi trial
che, accanto all’importanza del tempo di riperfusione, hanno sottolineato quella del concetto di “baseline risk” del paziente: inteso come un insieme
di peculiarità cliniche del soggetto che, definendone il rischio cardiovascolare di base, vanno ad inficiare, congiuntamente ad altri variabili, l’efficacia
della strategia di rivascolarizzazione, in quanto determinano una maggiore o minore incidenza di
complicanze del trattamento. Il “baseline risk”,
pertanto, viene a configurarsi come una chiave di
lettura nella valutazione del confronto di efficacia
tra PTCA e fibrinolisi, fermo restando, ovviamente, che il ritardo dall’insorgenza dei sintomi alla osservazione medica costituisce sempre e comunque
il fattore prognostico di maggiore rilevanza13.
9
70
Recenti Progressi in Medicina, 101 (12), dicembre 2010
Conclusioni
Il trattamento dell’infarto STEMI è molto complesso ed articolato, ma il presupposto fondamentale per poter influenzare la prognosi della malattia è
la rivascolarizzazione precoce e a tal fine è fondamentale porre limiti temporali di intervento che
possano concretamente conferire un beneficio clinico al paziente. In questo ambito, PTCA e trombolisi
costituiscono due strumenti terapeutici che vanno
ben utilizzati in funzione del tempo di presentazione del paziente e, nell’ottica di una riperfusione
tempestiva, i futuri potenziali sviluppi nell’ottimizzazione logistica delle strategie terapeutiche dello
STEMI potrebbero anche prevedere una iniziale riperfusione farmacologica pre-ospedaliera accoppiata ad una successiva angioplastica primaria sempre
in regime di urgenza, come già ci insegna un ricco filone letterario14-17.
Alla luce dei nostri risultati, è dunque necessaria una revisione critica della attuale tempistica terapeutica della patologia: il riconoscimento che entrambe le strategie di riperfusione hanno un ruolo
centrale nel trattamento costituisce lo strumento
per ottimizzare l’intervento, e la scelta della via da
seguire non può mai prescindere dalla valutazione
clinica di base del paziente. Solo in questo modo il
permanente sforzo di creare una adeguata connessione tra medicina territoriale e ospedaliera, il rafforzamento dei servizi del 118 e di continuità assistenziale e la diffusione della cultura della prevenzione della malattia cardiovascolare potranno produrre un reale miglioramento prognostico dei pazienti infartuati.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Dott. Daniele Berardi
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