EMOCROMATOSI: una malattia eterogenea La parola al medico

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EMOCROMATOSI: una malattia eterogenea La parola al medico
EMOCROMATOSI: una malattia eterogenea
La parola al medico
DEFINIZIONE
GENI COINVOLTI
MANIFESTAZIONI
CLINICHE
TERAPIA
PROGNOSI
ESENZIONE
Malattia ereditaria caratterizzata dallo sviluppo di un progressivo
accumulo di ferro nell’organismo
HFE, HFE2, HAMP, TfR2, SLC40A1
Fibrosi/cirrosi epatica
Diabete mellito
Cardiopatia
Ipogonadismo
Artropatia
Salasso
Farmaci chelanti del ferro
Normale aspettativa di vita se diagnosi precoce
RCG 100 (elenco malattie rare)
Si riconoscono oggi quattro forme di emocromatosi, ognuna con caratteristiche diverse. La forma più
comune (emocromatosi tipo 1), è dovuta a mutazioni del gene HFE. Le altre tre forme sono rare:
l’emocromatosi giovanile (tipo 2a e 2b) i cui geni responsabili sono HFE2 e HAMP; una forma di
emocromatosi dell’adulto (tipo 3) determinata da mutazioni del gene del recettore 2 della trasferrina
(TfR2); l’unica forma dominante (tipo 4) è dovuta a mutazioni del gene SLC40A1 o ferroportina. La
maggior parte dei dati relativi alla clinica, diagnosi e terapia dell'emocromatosi è desunta dagli studi
sull'emocromatosi classica (tipo 1) e buona parte di essi può essere applicata anche alle altre forme.
L’emocromatosi classica (tipo 1) è una malattia relativamente comune, particolarmente nel nord
Europa. La maggior parte dei pazienti sono omozigoti per la mutazione C282Y del gene HFE.
L’omozigosi C282Y spiega l’80-100% dei casi di emocromatosi nelle popolazioni nord europee, ma
solo il 65% in Italia. La frequenza degli omozigoti C282Y è di 1:100 in Irlanda, 1:300 in Inghilterra
e nel Centro-Europa, 1:500 nel Nord-Europa. In Italia si osserva un gradiente in decrescendo andando
verso Sud, con una frequenza di 1:500 nel Nord del paese e 1:2000 nel CentroSud. Un’altra
mutazione, H63D, può essere responsabile di una piccola percentuale di casi di emocromatosi in
associazione con la mutazione C282Y o quando presente in omozigosi. Sebbene sia molto comune la
mutazione H63D conferisce un lieve rischio di sovraccarico di ferro. Gli eterozigoti composti
C282Y/H63D e gli omozigoti H63D, quindi manifestano raramente un fenotipo emocromatosico e,
quando presente, è in genere lieve- moderato.
I maschi manifestano più frequentemente la malattia. L’esordio è più precoce (quarta decade) rispetto
alle donne (sesta decade). Ciò è dovuto al ruolo protettivo delle mestruazioni e delle gravidanze. Il
quadro clinico esordisce generalmente con sintomi aspecifici quali astenia, dolori articolari o
addominali. Il danno d’organo indotto dal progressivo accumulo di ferro può interessare il fegato, il
cuore, il pancreas, le articolazioni, l’ipofisi, la tiroide e la cute. Tutte le manifestazioni cliniche
escluse l’artropatia sono correlate all’entità del sovraccarico di ferro. La malattia epatica (che varia da
una modica ipertransaminemia con o senza epatomegalia alla fibrosi/cirrosi fino all’evoluzione in
epatocarcinoma) solitamente predomina, ma si possono riscontrare coinvolgimenti a livello endocrino
(diabete, ipogonadismo ipogonadotropo e ipotiroidismo), cardiaco (aritmie e scompenso
cardiocircolatorio) e articolare (artrite erosiva, osteoporosi) con variabile frequenza.
Le altre forme di emocromatosi presentano quadri clinici simili o più gravi rispetto
all'emocromatosi classica. L'emocromatosi giovanile è caratterizzata da un accumulo di ferro molto
precoce con danni severi che si manifestano nei primi vent’anni di vita. Ciò dipende dal fatto che la
sregolazione dell’assorbimento intestinale del ferro è più severa e il ritmo di accumulo di ferro è più
rapido che nella forma classica HFE correlata. La malattia giovanile conduce allo sviluppo delle
medesime complicanze dell’emocromatosi classica in maniera molto più severa e rapida.
Ipogonadismo e cardiopatia sono molto più precoci del danno epatico, probabilmente perché le
cellule pituitarie e i miociti cardiaci presentano un maggiore suscettibilità al rapido accumulo di ferro.
I sintomi cardiaci dominano il corso della patologia non trattata e scompenso cardiaco e/o aritmie
sono le principali cause di morte. Le caratteristiche descritte, quali esordio precoce, elevato
assorbimento di ferro e piena penetranza in entrambi i sessi, differenziano l’emocromatosi giovanile
da quella classica. L’emocromatosi di tipo 3 presenta un quadro clinico meno severo delle forme
giovanili, ma più severo della forma classica. L’accumulo di ferro può iniziare già nella seconda-terza
decade di vita. L’emocromatosi di tipo 4 ha alcune caratteristiche che si discostano dalle prime tre
forme. E’ l’unica forma ad eredità dominante. Presenta una maggiore eterogeneità sia a livello degli
indici biochimici che dell’istologia epatica. Esistono, infatti, situazioni che simulano il quadro
classico e altre caratterizzato da un fenotipo peculiare con saturazione della transferrina normale e un
accumulo di ferro epatico prevalentemente macrofagico (cellule di Kupffer).
Una diagnosi precoce e una pronta impostazione terapeutica conferiscono al paziente una normale
aspettativa di vita e riducono l’incidenza di complicanze ferro-correlate in tutte le forme di
emocromatosi.
La diagnosi di emocromatosi si basa su:
1) test biochimici: la saturazione della transferrina è l’esame di 1° livello, semplice, poco costoso e
sensibile: il cut-off prescelto sulla base dei dati disponibili in letteratura è 45%. Questo indice non è
però utilizzabile per le forme di emocromatosi di tipo 4. La ferritina sierica misura l’entità del
sovraccarico di ferro: viene considerato patologico (cioè espressione di un possibile sovraccarico di
ferro) un valore > 200 µg/L nella donna e > 300 µg/L nell’uomo. La ferritina sierica inoltre ha valore
predittivo sulla possibile esistenza di una danno epatico (un valore > 1000 µg/L si accompagna ad un
alto rischio di cirrosi nell’emocromatosi). Studi recenti hanno messo in evidenza che per valori di
ferritina sierica inferiori a 1000 µg/L, in presenza di transaminasi normali, non c'è rischio di cirrosi
epatica (a meno che non coesista un introito elevato di alcool o una coinfezione dei virus epatitici),
rendendo praticamente inutile, in questi casi, la biopsia epatica. Poiché nell'emocromatosi dell'adulto
le altre complicanze, esclusa l'artropatia, sono in genere presenti solo nelle fasi più avanzate di
malattia, non è necessario ricorrere con sistematicità alla valutazione approfondita delle complicanze
nei soggetti in fase precoce, a meno che non esistano dei sintomi o dei segni che possano suggerirle.
2) l’analisi molecolare dei diversi geni coinvolti nel metabolismo del ferro è l’esame di 2° livello. La
mutazione C282Y è la più frequente nell’emocromatosi, La possibilità di analizzare altre più rare
mutazioni del gene HFE e di ricorrere ad indagini molecolari su altri geni (gene TfR2, ferriportina,
emojuvelina, epcidina) è in funzione dei dati biochimici e clinici ed è bene che venga eseguita c/o i
centri di riferimento.
L'introduzione dei test genetici può condurre, soprattutto durante gli screening famigliari,
all'identificazione di soggetti geneticamente a rischio, ma con valori di ferritina nella norma per età e
sesso. In questi casi comunque le scelte, anche terapeutiche, sono determinate dai livelli degli indici
dello stato del ferro e non dallo status genetico.
La terapia consiste nel rimuovere il ferro in eccesso fino a raggiungere la ferrodeplezione (assenza di
depositi di ferro) o la normalizzazione dei depositi di ferro. Il salasso è il modo più semplice per
eliminare il ferro accumulato. Tale procedura è distinta in due fasi: una fase iniziale che prevede la
rimozione di circa 400 ml di sangue nell’uomo e 350 ml nella donna alla settimana. La
ferrodeplezione viene definita quando i valori di ferritina sono inferiori o uguali a 50 g/L e la
percentuale di saturazione della transferrina inferiore o uguale al 45%. Nell’emocromatosi di tipo 4
va applicato un protocollo a minore frequenza dal momento che i pazienti possono tollerare male la
terapia e sviluppare un’anemizzazione anche nelle fasi precoci del trattamento.
Una volta raggiunta la ferrodeplezione, il paziente viene inserito in un regime terapeutico di
mantenimento che prevede la rimozione di un’unità di sangue con una frequenza variabile da
individuo a individuo (in genere ogni 2-4 mesi).
Nei casi in cui non è possibile la salassoterapia (cardiopatia, cirrosi di grado avanzato, anemia
associata) si può ricorrere a procedure alternative quali la salassoterapia con reinfusione o associata
ad eritropoietina e l'eritrocitoaferesi o ci si può avvalere dei chelanti del ferro (desferrioxamina
[Desferal]) in prima istanza. L’uso del deferiprone [Ferriprox] non è approvato nei pazienti con
emocromatosi. Sono in corso protocolli di studio, presso centri specializzati, per valutare l’uso di un
nuovo chelante orale (deferasirox [Exjade]) che ha il vantaggio di un’unica somministrazione
giornaliera.
Associazione per lo Studio dell’Emocromatosi e delle Malattie da Sovraccarico di Ferro.
Ospedale San Gerardo.
www.emocromatosi.it
e-mail: [email protected]
Dr.ssa Raffaella Mariani
Centro per la Diagnosi e Terapia dell’Emocromatosi
Ambulatorio Metabolismo del Ferro
Responsabile: Prof Alberto Piperno
Azienda Ospedaliera San Gerardo
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Via Pergolesi 33, 20052 Monza
Tel. 039/2339555 039/2332300
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La parola all’infermiere
La terapia d’elezione per il paziente affetto da emocromatosi è il salasso. All’ospedale San Gerardo
di Monza è attivo il Centro per la diagnosi e terapia dell’Emocromatosi dal 1988. L’ambulatorio è
aperto all’utenza due volte alla settimana e durante tali giornate vengono svolte visite e salassi
terapeutici. Il salasso coinvolge sia la figura del medico che quella dell’infermiere.
Sono Cinzia, lavoro presso il Centro per la diagnosi e terapia dell’Emocromatosi dal 2003 e
settimanalmente effettuo circa 20 salassi terapeutici. Durante i miei anni ho constatato che il
problema principale che accomuna tutti i pazienti (chi più, chi meno) è il posizionamento dell’ago
(un ago da 16 French) e cercare e trovare una vena ottimale per rendere la procedura rapida, efficace e
indolore (non sempre!). Sono riuscita ad instaurare nel tempo un rapporto “piacevole” con i pazienti
a tal punto che la procedura non viene più vissuta come momento “drammatico” e addirittura alcuni
affermano che è un piacevole momento di incontro. Svolgo due salassi contemporaneamente in una
stanza appositamente attrezzata: i pazienti salassati possono così condividere dubbi, paure e emozioni
e, perché no, sostenersi a vicenda. Particolare attenzione è rivolta verso i nuovi “arruolati”, essi
ricevono sia il mio supporto che anche quello degli altri pazienti “veterani” che si presentano al
nostro ambulatorio ormai da decenni. Rimane sempre una regola, sia per i nuovi che per i vecchi, che
il salasso viene effettuato solo se in pieno benessere, con una buona colazione alle spalle e soprattutto
con una buona dose di tranquillità che spero di saper infondere già fin dal primo incontro. Al
secondo incontro generalmente il paziente giunge già più tranquillo e affronta il momento del salasso
in pieno “relax”. Certo non sempre tutto fila liscio….. qualche incidente di percorso può accadere sia
legato ad un’ipersensibilità (vagale) personale che a qualche colazione mancata e non dichiarata.
Tutto comunque si risolve in tempi brevi e bene con un po’ di Trendelemburg.
Anche se dalla mia descrizione il salasso può apparire come una manovra banale, sono ben
consapevole dell’importanza di questo momento per la salute del paziente. Penso che la forte
compliance alla terapia nel nostro Centro sia dovuta alla professionalità dello staff intero, medici e
infermiera compresa.
Cinzia Ferrante
Centro per la Diagnosi e Terapia dell’Emocromatosi
Ambulatorio Metabolismo del Ferro
Responsabile: Prof Alberto Piperno
Azienda Ospedaliera San Gerardo
Università degli Studi di Milano-Bicocca
Via Pergolesi 33, 20052 Monza
Tel. 039/2339555 039/2332300