un`intervista - Guia Soncini
Transcript
un`intervista - Guia Soncini
LA STAMPA SABATO 23 NOVEMBRE 2013 GENNARO NUNZIANTE Il diario di lettura Il regista di “Sole a catinelle”: “Il semiologo francese ci insegna che solo il banale può sorprenderci” M ICHELA TAMBURRINO rosamente dall’essere cretino) come «nucleo della posizione soggettiva di un “rivoluzionario radicale”» (quale si sente nella sua denuncia degli «abissi delle economie capitalistiche», fra crisi e guerre). E, si sa, non si dà Zizek senza esplorazione dell’immaginario, dal momento che «al di là della finzione della realtà, c’è la realtà della finzione». Dunque, per non smentirsi mai, incrocia e «contamina» Hegel – la cui opinione in materia non ci è dato sapere… – con una sequela di tendenze, fenomeni e prodotti della cultura pop, da Hitchcock alle fiction e ai serial tv (cinema e schermi sono un altro terreno di predilezione per le sue scorribande Il rivoluzionario radicale? Deve sentirsi un imbecille quando denuncia gli abissi del capitalismo analitiche). L’idealismo speculativo e dialettico, «filosofia aperta», si rivela pertanto utile a comprendere una figura centrale degli apparati simbolici della nostra epoca attraverso la nozione di «abitudine» (esito del processo attraverso il quale lo spirito, con la ripetizione, consente all’uomo di rompere con la Natura, divenendone esso stesso una seconda natura). Quella – tenetevi forte… – dello zombie; il quale, difatti, è abitudine allo stato puro, «grado zero» dell’umanità: considerazione che porta l’intellettuale sloveno ad affermare che «siamo tutti zombie». Dalla Fenomenologia dello spirito a quella dei morti viventi: puro, purissimo Zizek, giustappunto. flessione su di un evento indubbiamente non meno importante, e cioè la nascita. La necessità di dare un senso alla nostra esistenza ha reso doveroso pensare mirando alla fine delle cose, quantomeno della nostra vita. Questo ha fatto sì che si che la nascita stessa si sia trasformata quanto al suo significato. Essa non rappresenta un inizio naturale del nostro tempo che dipende da altri, ma qualcosa che dobbiamo guadagnarci e meritarci. Guadagnare la nostra nascita vuol dire ritrovarsi inventivamente come individui all’interno della comunità storica e politica presente. Una comunità che attraversa una crisi potente dei propri modelli fondanti, della democrazia che non è oggi in grado, e non è forse mai riuscita a fornire identità organiche come era riuscito invece alla polis an- Guardare a Hegel per immaginare proficuamente, razionalmente, un futuro tica. I totalitarismi sono state risposte quanto mai inquietanti a questa necessità di un’identificazione in nuovi miti che fittiziamente dovrebbero restaurare l’autorità tradizionale venuta meno. Per uscire da questo angoscioso passaggio tra Scilla e Cariddi Bodei suggerisce, con eccellenti ragioni, di guardare nuovamente a Hegel. E di approfittare della sua distinzione tra la realtà nel suo volto effettuale e diveniente e la realtà semplicemente empirica, intesa come un fatto inamovibile. Se guardiamo alla realtà nella prima accezione, quella dinamica, saremmo in grado di pensare proficuamente, di immaginare, razionalmente, altre vite. “ Dietro Checco Zalone si nasconde Barthes” GIUSEPPE SALVAGGIULO er Gennaro Nunziante, sceneggiatore e regista di «Sole a catinelle», il film di Luca Medici, alias Checco Zalone, che ha stabilito il record di incassi nella storia del cinema italiano, «il complimento più bello è quando dicono che non è cinema. E’ proprio quello che non volevo fare». P Che cosa vuol dire? «Che il mio approccio con il linguaggio cinematografico è ironico: non mi prendo troppo sul serio e mi diverte più sovvertire un codice che omologarmi». Qual è il codice dei film di Checco Zalone? «Ci sono i codici di Luca e ci sono i miei, mescolati bene grazie alla differenza generazionale tra noi. Ho imparato da Leo Bassi l’indegnità del comico, da Leo De Berardinis la mescolanza dell’alto con il basso culturale in un linguaggio comico e poetico, da Roland Barthes che solo il banale può sorprenderci, da Maurice Blanchot che non bisogna essere padroni di un linguaggio, e che il fine ultimo d’ogni cosa che pensiamo o facciamo deve essere la gioia». La sua gioia? «Da sempre far sorridere. Ho cominciato negli Anni ’80 in una piccola tv locale barese. Un giorno vidi una telenovela argentina, Anche i ricchi piangono con Veronica Castro e decisi di trasformarla in una parodia in compagnia di due amici, Antonio Stornaiolo ed Emilio Solfrizzi. Funzionò». Il Re Mida del cinema bre per Lleggereditore con la speranza di ottenere gli stessi risultati. Il perché è scritto tra le righe del romanzo stesso nato per riprodurre in salsa piccante una minestra più volte riscaldata e per titillare non più la casalinga inquieta bensì l’impiegata frustrata. Bennet e Chloe, lui il capo, lei l’assistente; lui prepotente, senza riguardi, irresistibile, lei intelligente, brava e guarda caso anche bellissima. Sono scintille, descritte. Un esempio della prosa?«...Unica regola da rispettare, niente avventure sul posto di lavoro! Anche se, a quanto pare, non c’è scrivania che possa resistergli...». Alle lettrici più romantiche, perché è a loro che è dedicato il libro, un’aggiunta di «sesso bollente ad alta tensione». Per l’impiegata frustrata e forse bruttina stagionata, un modo per sognare vendetta. VII . Gennaro Nunziante e Checco Zalone durante le riprese del film «Sole a catinelle». Regista, sceneggiatore, attore, Nunziante è nato a Bari nel 1963 I PREFERITI La chiave del successo? «La nostra telenovela si chiamava Filomena Coza Depurada, mescolava linguaggio alto e basso, citazioni colte e scadimenti ignobili, che poi è sempre stato il mio codice narrativo». Altri libri giovanili che sono ancora fonti di ispirazione? Ma il regista di Checco Zalone che faceva prima di Checco Zalone? «Scrivevo racconti e poesie ironiche, la raccolta s’intitolava Sfasciando biscotti. Leggevo Marianne Moore, Sandro Penna, Mario Luzi (tra i più grandi di sempre, la sua profonda fede gli è valsa una ridicola emarginazione), Camillo Sbarbaro, a cui ho reso omaggio durante le riprese a Santa Margherita Ligure, sua città natale, tanto che mia moglie Margherita mi ha regalato la prima edizione del 1954 di Neri Pozza di Pianissimo. Poi, oltre Barthes e Blanchot, Ronald David Laing, Gilles Deleuze. Amavo i dadaisti». C’è molta Francia. «L’amore per la Francia nasce con Paul Valéry, l’estate andavo a Sete, sua città natale. Anche Brassens e Vilar sono setoise, poi sulle tracce di Barthes ho frequentato Parigi negli Anni 90». E Laing? «Scoperta giovanile, mi colpì un suo scritto: l’insegnante interroga l’alunno che non sa rispondere, allora chiede la stessa cosa a un alunno al banco che risponde perfettamente. Laing chiosa: “La vittoria del secondo è stata costruita sulla sconfitta del primo”». Paul Valéry «Opere poetiche» Guanda pp. 521, € 30 «Il grande tiratore di Kurt Vonnegut è un libro che ho amato tantissimo da ragazzo, me lo consigliò Stefano Cavedoni, cantante degli Skiantos. L’uomo che fu giovedì di Gilbert Keith Chesterton è un capolavoro di scrittura e trovate comiche. E poi Vila Matas con Storia abbreviata della letteratura portatile. Tutte le volte che lo ritrovo nella mia libreria rispunta una vecchia idea di scrivere un film comico sui dadaisti». Manca la letteratura italiana. «No, ha un posto rilevante. Oltre ai poeti preferiti - Saba, Penna, Sbarbaro - penso al primo libro che ho letto, Se la luna mi porta fortuna di Achille Campanile. Rimasi folgorato da un passaggio: racconta un aneddoto, va a capo e scrive “Incredibile non disse nessuAchille no”. E poi c’è il mio sceneggiaCampanile tore ideale, Ennio Flaiano». «Se la luna mi E la sua Puglia, così di moda? porta fortuna» «Voglio bene e apprezzo i roBur Rizzoli manzi di Donato Carrisi e Ma€ 8,20 rio Desiati. Mi piacciono gli «Amo la Francia, a cominciare da Paul Valéry, l’estate andavo a Sète, sua città natale» scritti di Franco Cassano, un nuovo modo di intendere la nostra terra e i nostri destini». Come incontra il cinema? «Mio padre era un tappezziere e gli commissionarono un sipario per il cineteatro parrocchia- le. Cominciai come aiutante proiezionista e con altri ragazzi facevamo spettacoli comici». E da grande? «Ho scritto un soggetto che si chiamava Film muto, è piaciuto molto ad Alessandro D’Alatri, Leone Pompucci e Cristina Comencini che mi hanno chiesto di scrivere insieme i loro film». Quando e come nasce il personaggio Checco Zalone? «Luca ha inventato una maschera modernissima che evolve senza perdere freschezza e incisività. L’ho conosciuto in una tv locale, condividendo subito un modo di fare ridere oltre che di stare in questo ambiente, senza prenderci sul serio». C’è differenza tra un vostro film e un cinepanettone? La comicità di Checco è soprattutto facciale e trova radici nei cartoni animati di cui si è cibato da ragazzino e nei film di Celentano e Pozzetto». Mentre scrivevate il film che cosa leggevate? «Io poco, in quei momenti mi aiuta di più ascoltare musica. Durante le riprese ho riletto Il genio di Teresa di Lisieux di Jean Guitton. Quando ci siamo chiusi in sala montaggio non c’era tempo. Ora ho ripreso a leggere, ho terminato da poco Il soffio del mite di Barbara Spinelli, a ogni pagina mi veniva voglia d’abbracciarla, e Stress e libertà di Peter Sloterdijk. Luca legge tanto e va al cinema più di me, è innamorato di Kaurismäki. In «Durante le riprese del film «Il cinepanettone è stato il risul- ho riletto “Il genio di Teresa tato di piccole di Lisieux” di Jean Guitton» sovversioni sul canovaccio della commedia al- hotel aveva la biografia di Steve l’italiana degli Anni 60, quelle Jobs e un libro di quel terrone piccole sovversioni che poi pro- comunista di Pino Aprile». ducono grandi conformismi. E’ Gli ha mai regalato libri? andato in crisi di cinismo; per «In principio era la gioia di Matuna parte della società risulta thew Fox: sembra il manifesto vecchio perchè c’è un cinismo del nuovo papato. È incredibile, più avanzato, un’altra non sente da troppi anni siamo cristiani più bisogno di cinismo perchè lo senza sorriso. Mi piacerebbe resubisce quotidianamente. Il no- alizzare una nuova versione delstro processo comico poggia su la messa televisiva, senza quei una diversa costruzione, simile “cattolici osservati” dalle telealle finte di Diego Milito: fare camere, un rito spoglio di preandare tutto il discorso da una ghiera e profondità». parte e poi chiudere in comicità E il Checco cinematografico da un’altra che non t’aspetti». legge? Che cosa pensa dell’associa- «In Cado dalle nubi comprava un libro e diceva al commesso zione con il filone cafonal? «Quel filone è una semplifica- “se non è buono te lo porto inzione, un’omissione di comodo. dietro”».