Le brigate nere Sono pochi, nel dietro del palazzo del

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Le brigate nere Sono pochi, nel dietro del palazzo del
Le brigate nere
Sono pochi, nel dietro del palazzo del Ridotto
La crisi della GNR, incominciata in giugno con la fuga dei carabinieri, si allargò
a macchia d’olio sino al suo crollo totale, che fu sancito pubblicamente, il 14
agosto 1944, dal decreto legislativo 469/1944. Decreto con cui si cercò di
salvarne ciò che ancora ne restava, inquadrando la guardia nazionale
nell’esercito repubblicano. Il suo comandante, il generale Renato Ricci, il 19
agosto, è destituito dal suo incarico ed è Mussolini ad assumerne
“temporaneamente” il comando. Da questo momento i veri padroni della GNR
saranno i tedeschi e per loro, il capo delle SS in Italia, Karl Wolff.
Il 13 corrente, alle ore 24, in Carpinello (Forlì), circa 50 banditi catturarono due militi della G.N.R.
di guardia a un aereo inglese abbattuto, obbligandoli ad accompagnarli alla caserma del
distaccamento. Il milite di servizio udite le voci dei camerati aprì la porta dando la possibilità ai
banditi di penetrare nei locali e disarmare i legionari presenti. Il comandante del distaccamento,
aiutante Enrico Capaci e il vice brigadiere Ildo Bergamini vennero uccisi. (Dal Notiziario della
GNR del 19 giugno 1944 – ISRFC GNR 1205)
Nella notte del 27 luglio u.s., in Montescudo (Forlì), alcuni banditi, fattisi aprire con un espediente
la porta della caserma del distaccamento, penetravano nello stabile e prelevavano un sottufficiale e
due militi della G.N.R., effetti di casermaggio, armi, munizioni, denaro e un apparecchio radio. (Dal
Notiziario della GNR del 5 agosto 1944 – ISRFC GNR 1252)
Ricci, quando fu comandante, non poteva impiegare neanche un uomo. Non uno ne poteva
impiegare. Quindi Mussolini esonerò Ricci. E prese il comando della GNR lui direttamente. Wolff
pretese una dichiarazione scritta firmata da Mussolini, nella quale era specificato che per tutto
quello che riguardava l’impiego, Wolff rimaneva arbitro. Cosa inaudita, Mussolini la firmò. Io ne
lessi una copia, firmata, che poi è andata perduta nel Nord. (Dalla testimonianza del gen. Alberto
Graziani al suo processo, in: L’esercito di Salò / Giampaolo Pansa. - Milano : Mondadori, 1970)
Nei giorni in cui la Repubblica di Salò sta perdendo Roma, Mussolini parlando
con il suo ufficiale di collegamento, il tenente colonnello tedesco Johann Jandl,
affermava la necessità di armare i vecchi fascisti che si ritiravano verso il nord,
qualificandoli come i soli veri difensori della patria. Vista la miseria del nuovo
esercito repubblicano e lo stato di disfacimento in cui versava la GNR, in lui si
era ormai fatta strada l’idea della necessità di armare il partito. Alessandro
Pavolini, segretario del PNF, che da tempo insisteva in questa direzione, vide
venire il suo momento e presentò al duce e ai tedeschi il proprio progetto: la
creazione di brigate mobili composte da volontari iscritti al partito con funzione
antipartigiana, pagate dal governo di Salò, ma armate dai tedeschi da cui
avrebbero preso le direttive. Sia Mussolini che i tedeschi trovarono l’idea di
proprio gusto e approvarono. Il 21 giugno Mussolini firmò l’ordine di
militarizzazione del partito. Il 1° luglio fu costituito il corpo ausiliario delle
camice nere: le brigate nere, al comando di Pavolini e furono messi a sua
disposizione tutti gli iscritti al partito fascista, dai 18 ai 60 anni, non
appartenenti alle forze armate. Le federazioni del PNF si trasformarono in
brigate comandate dai capi politici locali. L’ordine di Mussolini assunse veste
legale solo un mese più tardi, il 3 agosto, con la pubblicazione del decreto
legislativo del duce 446/1944 sulla gazzetta ufficiale. Si parlò di circa 30.000
uomini, ma in realtà, quelli disponibili ad essere impiegati in azione, sembra
siano stati solamente fra i tre e i quattromila.
[Forlì] 26 [luglio] = Il Segretario del Partito, Pavolini, che oggi ha parlato agli squadristi di Torino
annunzia per radio la costituzione delle brigate nere di cui assume il comando; la forlivese avrà il
nome di “Capanni”, la ravennate “Muti”. In ciascuna provincia saranno impiegate agli ordini del
Capo della provincia stessa, soggette alla disciplina ed al codice militare del tempo di guerra, nel
momento con compiti di repressione del ribellismo: quindi di combattere al fronte; non vi saranno
gradi ma funzioni di comando. Per deliberazione di Mussolini il partito si trasforma in tal modo in
organo militare e mobilita gli iscritti tutti dai 18 ai 60 anni non avendo obblighi di leva o che si
trovano già inquadrati nelle forze armate. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Il provvedimento però è tardivo e per le sorti della nuova repubblica non sortì
alcun effetto.
19 agosto 1944 - Anche tutti i fascisti cesenati sono stati trasformati militarmente. Sono pochi, nel
dietro del palazzo del Ridotto. Fanno parte delle nuove “Brigate nere” formate da Mussolini. (Dal
diario di don Leo Bagnoli - Cesena)
Ai fascisti, sempre più disorientati dagli eventi e impauriti dalle minacce dei
partigiani è rimasta poca voglia di combattere.
…a que [a Martorano] a i n’avema tri di fasestar che a i cnesum bollare un po’… fermarli, parché a
glj era al spei. A i cnusama tot. A i cnusama e alora a i gesum che se lou i vo avei seluv la vita
bisogna ch’i s’ cumpurta… Quel ch’l’è stè l’è stè. Perché del male, loro, non ne avevano forse fatto.
Ma che d’ora in avanti ch’j epa una zerta rettitudine parché nun a i fasema saltè… (Otello Sbrighi –
1998)
19/6/1944-CESENA- Un GAP disarma un soldato dell’esercito fascista repubblicano.
23/6/1944 -CESENA- GAP disarma due fascisti a Cesena.
23/6/ 1944 -CESENA- Due militi della G.N.R., di vigilanza alla linea ferroviaria, disarmati da un
GAP.
26/6/1944 -CESENA- GAP disarma un sottufficiale della G.N.R. liberando un giovane renitente da
lui arrestato.
27/6/1944 -CESENA- GAP disarma due guardie nazionali repubblicane liberando due renitenti da
loro arrestati.
28/6/1944 -CESENA- Da parte di un Gapista sono disarmati un brigadiere di P.S. e un Vigile
Urbano. (Dal Bollettino Ufficiale n. 3 della 29a. brigata Garibaldi “Gastone Sozzi” – ISREC ANPI
Forlì)
Ricordo che dovevo scrivere le lettere ai fascisti e ai loro collaboratori, quando ad esempio
dovevano uscire dall’Arrigoni gli alimenti per rifornire le brigate in montagna. Alla portineria
c’erano quasi tutti fascisti o spie dei fascisti, ricordo che in queste lettere dicevo che dovevano
ottemperare a quanto richiesto, pena la loro vita! (…) ricordo che mandammo una lettera come CLN
all’ex segretario del fascio che era B. Ronconi, il padre di…, era un cantoniere comunale. Pur
avendo dei contatti non ci fidavamo; comunque ai due o tre fascisti di Martorano mandammo la
stessa lettera comunicando che se loro denunciavano qualche antifascista a Martorano, saltavano per
aria loro e le loro famiglie: perché si erano manifestati dicendo che non davano noia agli antifascisti,
avevano capito anche loro che il fascismo era stato qualcosa di brutto (…) Le lettere che come CNL
mandavamo ai collaborazionisti dei fascisti, che dovevano comportarsi in un certo modo, altrimenti
la giustizia della democrazia… erano battute a macchina da qualcuno che ce l’aveva. A mano non
venivano scritte, perché potevano essere riconosciute, avevamo i nostri timbri del CLN. (Otello
Sbrighi – dattiloscritto 1983)
3/7/44 -CESENA- Un GAP disarma un tenente dell’esercito fascista
5/7/44 -CESENA- Un GAP disarma un soldato e un carabiniere al servizio dei fascisti.
8/7/44 -CESENA- Un GAP perquisisce la casa di un fascista recuperando un fucile da caccia.
10/7/44 -CESENA- Un GAP disarma un milite dei battaglioni “M”.
10/7/44 -CESENA- Due GAP disarmano una guardia di Finanza e un Carabiniere. (Dal Bollettino
Ufficiale n. 4 della 29a. brigata Garibaldi “Gastone Sozzi” – ISREC ANPI Forlì)
Tino: E’ prit ad Ronta l’era un fasesta. Quant che e’ prit ad Ronta l’andet int e’ camp sent, ch’j era
dria ch’i caveva agli ermi d’int ona tomba (…) Cal tombi... ad cl’epoca che lè… l’era ad cal
tombi... Un quèl grand. (...) Ades an l’ò int la ment ad chi ch’u s’ fos. U j era nenca e’ nom. E a lè j
tniva sempra aglj ermi. J era a lè ch’i tuleva aglj ermi e l’arivet e’ prit. Quest a l’ò sempra santì
arcurdé da e’ mi ba’... Che e’ dé dop j andet da e’ prit e i dis… che j i get “Reverendo lo un à vest
nisun eh!”
Vittorio: I dis che u j andet nenca Ricci [Fabio] ch’u i puntet la pistola que int e’ barbet. (Tino e
Vittorio (Quarto) Fusconi - 1998)
13/7/44 -CESENA- Un GAP eseguisce la sentenza di morte contro nota spia che aveva denunciato
un Patriotta provocandone la fucilazione.
13/7/44 -CESENA- Un GAP attacca e ferisce un ufficiale della milizia disarmandolo: Un mitra e
una rivoltella. (Dal Bollettino Ufficiale n. 5 della 29a. brigata Garibaldi “Gastone Sozzi” – ISREC
ANPI Forlì)
8 luglio - Girano di notte individui mascherati e armati fino ai denti che minacciano le persone e
fanno imposizioni di vario genere. A Massi Pierino di Villa Calabra ieri sera sul tardi quattro hanno
imposto di non uscire di casa. Ma lui, armato di bombe a mano, è uscito dalla porta di dietro, s’è
messo a discutere e a sua volta a minacciarli, e sono partiti con le pive nel sacco o quasi. Tutti
vanno armati di bombe a mano.
16 [luglio] - Pure questa notte i ribelli hanno disarmato un capitano della milizia, sfollato da un
colono detto “i Grott” presso le Chiaviche. Dormiva nel suo letto colla moglie, la quale, volendo
rispondere, ha preso uno schiaffo. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
5/7/44 -CESENA- Un GAP disarma milite fascista.
7/7/44 -CESENA- Un Gap disarma milite fascista.
8/7/44 -CESENA- Un GAP disarma milite fascista.
8/7/44 -CESENA- In località Savignano un noto sfruttatore viene giustiziato da un GAP con vivo
consenso della popolazione.
13/7/44 -CESENA- Un GAP disarma milite custode della Fabbrica Arrigoni
13/7/44 -CESENA- Un GAP disarma un capitano dell’esercito fascista repubblicano.
15/7/44 -CESENA- Un GAP disarma un milite fascista.
16/7/44 -CESENA- Un GAP disarma milite fascista. (Dal Bollettino Ufficiale n. 6 della 29a.
brigata Garibaldi “Gastone Sozzi” – ISREC ANPI Forlì)
[Forlì] 17 [luglio] - Fascisti, reduci di Spagna squadristi e militi sono oggetto di gravi minacce.
[Forlì] 20 [luglio] - Mentre da parte germanica si moltiplicano le minacce di morte alla popolazione
e si esigono ogni giorno nuovi patiboli, la nostra polizia usa maniere assai cortesi con i sovversivi
più noti e rivolge ad essi raccomandazioni in privato, di mantenersi calmi e di non esporsi, di fatto
come autorità, la polizia più non esiste, che la vera è la tedesca, in quanto ridotta a semplice organo
di trasmissione delle ordinanze germaniche agli abitanti. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
La linea del fronte avanza. Ai primi di luglio stanno per cadere Ancona, Arezzo
e Firenze.
[Forlì] 4 [luglio] = Siena, Cortona, Osimo, Loreto occupate; Ancona starebbe per cedere, così
Arezzo e Firenze. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
7 [luglio] - la notte si vedono segnalazioni per mezzo di razzi multicolori da terra e dal mare: alcuni
dicono trattarsi di spionaggio, altri di segnali dell’artiglieria contraerea. L’impressione di tali segni
fa che la paura sia forte.
8 luglio - I razzi luminosi che tutta la notte, e anche questa notte passata, vengono lanciati in alto
sono, secondo più precise informazioni, segnali convenzionali, per noi di incerta interpretazione,
fatti agli aerei anglo-americani da paracadutisti nemici: forse indicano gli obbiettivi da colpire.
Stanotte coloro che li lanciavano percorrevano un campo di sotto al Violone. (Dal diario di don
Pietro Burchi - Gattolino)
8 luglio 1944 - Tedeschi sempre in maggior numero (...) Un avviso ammonisce che in campagna,
notte e giorno i contadini tengano aperti i cancelli e le porte dei cascinali lungo le strade, per gli
automezzi tedeschi, che debbono trovare pronto rifugio dalle offese aeree del nemico. In città si
vedono girare pochi uomini. Moltissimi invece i tedeschi, in tenute estive e calzoncini cortissimi.
Notizie dai fronti oggi favorevoli ai tedeschi. Pare che resistano sulla linea Pesaro-Livorno. Che
sarà di Cesena, nell’immediato retrofronte, nel quale verrà a trovarsi? Ecco la domanda che tutti si
pongono. (Dal diario di don Leo Bagnoli - Cesena)
10 luglio - Il nemico s’è quasi fermato a sud di Ancona, Arezzo e Livorno.
13 luglio - Il fronte italiano è quasi fermo.
16 luglio - Arezzo è perduta sabato mattina. Da alcune notti l’artiglieria antiaerea di Cesena fa uso
dei riflettori per individuare gli apparecchi nemici: lunghe liste luminose saettano nel cielo,
intersecandosi. Il popolo guarda e trema. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
[Forlì] 18 [luglio] = Voce di uno sbarco a Rimini.
[Forlì] 19 [luglio] = Due vasti attacchi alla città di Rimini nella notte ed al mattino, obiettivi
consueti: la ferrovia, i ponti, il porto canale, l’abitato in genere; e bombardamento contemporaneo
di Savignano e dintorni (...) Si vive nel timore, di prossimi e gravi eventi militari per le voci che
corrono della caduta di Livorno e di Ancona; gli stessi tedeschi ammettono infiltrazioni alleate nelle
difese dell’Arno. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
L’attacco alla Gotica sembra imminente e il grosso dei fascisti, piuttosto che a
combattere, è molto più interessato a sfollare al nord o a garantirsi in qualche
modo l’incolumità.
[Forlì] 25 [luglio] = I fascisti devono presentarsi in Federazione nella mattinata del 31 corr., pare
che vi riceveranno un buono di sfollamento ed una somma per le spese di viaggio. (Dal diario di
Antonio Mambelli - Forlì)
Battistini, il fratello di quel famoso [Augusto] Battistini (...) ci faceva da staffetta fra noi e suo
fratello; dopo il fatto di S. Giorgio, quando vennero uccisi Barbieri [Ernesto] e Fusconi [Venanzio
(Urbano)], io gli dissi che tirava una brutta aria e che se niente fosse accaduto, per lui ci pensavo io,
per quello che aveva fatto, ma per suo fratello ci penserà la giustizia. Allora lui andò da suo fratello
e poi tornò giù dicendoci di non muoverci, perché suo fratello era al corrente di tutto, ma prima di
fare un rastrellamento a Calabrina, gli avrebbe fatto sapere qualche cosa. (Dino Giorgini dattiloscritto 1983)
La notizia dell’attentato a Hitler del 20 luglio e le voci di una probabile rivolta
in Germania, che si diffusero nei giorni immediatamente successivi, non
servirono di certo a sollevare il loro morale.
20 luglio - Notizia data alle 18,30 d’un attentato a Hitler: sfiorato. Ha ricevuto subito dopo
Mussolini. Che cosa si saranno detto? Noi insensati! Credevamo di essere imbattibili, di vincere, di
conquistare mezzo mondo, invece siamo vinti. Ed ora che faremo noi stessi? Montes, operite nos.
(Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
20 luglio 1944 - Stasera per radio apprendiamo la notizia dell’attentato a Hitler in Germania. Una
certa viva impressione piena di speranza. Pochi i soldati tedeschi per città, stasera. (Dal diario di
don Leo Bagnoli - Cesena)
[Forlì] 20 [luglio] = Mussolini si trova in Germania, ove è fallito un attentato alla vita del Fuerer,
cui sono giunte le felicitazioni del fascismo repubblicano.
[Forlì] 21 [luglio] = Voce di controrivoluzione in Germania a seguito dell’attentato contro Hitler e
grande speranza che se ne vadano all’inferno i tedeschi ed i loro satelliti. (Dal diario di Antonio
Mambelli - Forlì)
21 luglio - Alle 8,30 la radio di Londra ha dato notizia di un governo dissidente formatosi in
Germania... la guerra volge alla fine. (Dal diario di don Pietro Burchi - Gattolino)
[Forlì] 24 [luglio] = Insieme agli ordigni gli aviatori alleati hanno gettato volantini in tedesco,
relativi all’attentato ad Hitler ed ai prodromi di una insurrezione antinazista.
[Forlì] 9 [agosto] = Verso le 16,40; un grosso apparecchio scortato da caccia, ha lasciato cadere
gran numero di volantini fra Villa S. Giorgio e Pieve Acquedotto, scritti in tedesco, perciò diretti
alle truppe germaniche, le testimonianze di prigionieri sulle condizioni del Reich ed i motivi
dell’attentato ad Hitler; i soldati ne hanno raccolti fasci nei campi e fatto presente che se trovati in
possesso di un cittadino l’avrebbero fucilato. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
La bomba fatta esplodere il 20 di luglio, in una baracca del quartier generale del Führer,
presso Rastemburg (Prussia orientale), uccise parecchi dei presenti, ma non Adolf Hitler, che
rimase ferito solo leggermente. I cospiratori, a Berlino, tralasciarono di occupare la centrale
della gestapo e il ministero della propaganda e questo permise ad Hitler di riprendere
immediatamente in mano la situazione. Individuati, i congiurati furono subito uccisi o
imprigionati e questi ultimi, dopo essere stati torturati, furono comunque condannati a morte,
con processi sommari. Si calcola che il numero delle vittime ammonti a 7000. La Germania fu
sommersa da una nuova ondata di terrore e gli ufficiali dell’esercito, di cui Hitler sospettava,
vennero posti sotto lo stretto controllo delle SS. Ad ogni reparto di truppa si assegnò un
ufficiale guida, di stretta osservanza nazionalsocialista, incaricato di vigilare
sull’atteggiamento dei suoi sottoposti. In questo modo Hitler riuscì a garantirsi la fedeltà
assoluta dell’esercito sino alla fine della guerra, che continuò ancora per un altro anno.
… dopo due giorni arrivò la notizia dell’attentato a Hitler. Nei giornali spiccavano i messaggi degli
accoliti del Führer come quello di Göring: “Ira e sconfinato furore...”, in una siepe di solidarietà
intorno alle dichiarazioni di Hitler che ancora una volta tirava in ballo la provvidenza e prometteva
la resa dei conti “nel modo a cui siamo abituati noi nazionalsocialisti”. Fu abolito il saluto militare e
gli ufficiali, in segno di fedeltà, alzavano ora il braccio nel saluto nazista: si sentiva dovunque,
ingigantito dalla congiura fallita, l’incubo di Hitler. Il suo sguardo chiaro, che per le donne naziste
avvolte dal fascino magnetico era di una infinita dolcezza, fissava implacabile ogni creatura del suo
impero. (In: Da inverno a inverno / Giulio Cattaneo. - Milano : Il Saggiatore di A. Mondadori,
1968)
22-23 luglio 1944 - Ieri il Can. Carlo Urbini, cappellano delle Carceri, ha raccontato che andando a
celebrare alla rocca la messa domenicale, ha trovato molti soldati tedeschi carcerati per aver
manifestato troppo desiderio di andarsene a casa ed anche per qualche ribellione. (Dal diario di don
Leo Bagnoli - Cesena)
25 luglio - In Germania non è scoppiata la rivolta. Hitler domina la situazione. Dolore di quasi tutti
gli italiani! Però, a mio avviso, al fronte russo c’è qualcosa che non funziona: opera il disfattismo e,
quantunque occulta, la ribellione: in altro modo difficile spiegare la precipitosa ritirata. (...) Un tale
che aveva dato ad un soldato germanico uno dei volantini in tedesco gettati dagli aerei, ha ricevuto
per risposta uno schiaffo. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Solo i fascisti più motivati, quelli che intendono resistere sino all’ultimo, sono
quelli che confluiscono nelle brigate nere, che cominceranno ad essere operative
fra la fine di luglio ed i primi di agosto.
[Forlì] 3 [agosto] = Gli iscritti al fascio repubblicano, già mobilitati, indossano la camicia nera e
recano un bracciale bianco con la scritta “Brigata Nera: A. Capanni”; altri sono in divisa caki, hanno
sul capo una bustina grigio-verde, ornata dell’aquila rossa
[Forlì] 6 [agosto] = Iniziano le loro azioni repressive le b.n. di Padova.
[Forlì] 7 [agosto] = E’ in atto la mobilitazione della brigata nera “A. Capanni o [e] requisiti allo
scopo materiali e biancheria del Collegio orfane dei ferrovieri, sfollato dalla sede della scuola
elementare “Rosa Maltoni Mussolini”. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Compito delle brigata nere è la lotta antipartigiana. Praticamente autonome
all’interno della propria giurisdizione, non inceppate da pastoie burocratiche e
lavorando in stretto contatto con le SS tedesche, riuscirono, basandosi
soprattutto si di una fitta rete di spie che copriva l’intero territorio, a mettere a
fuoco una efficace strategia di lotta, che permise loro di infliggere, sino
all’ultimo, duri colpi alla resistenza.
Nei primi di luglio ’44 [probabilmente più tardi], ci trovavamo nella casa base di Via Ex Tiro Segno
io, Casali Mario, Castagnoli Mario, Pieri Aldo, Lucchi Pio e Zandoli Antonio, stavamo preparando
il spostamento di armi per la nuova Casa base di Via Maceri [e] per incaricare il gappista Castagnoli
Mario di disarmare un fascista del luogo, di cognome Chiesa ora deceduto quando all’improviso ci
accorgemmo che dall’argine del Fiume Savio all’altezza della Casa Base, stavamo per essere presi
in trappola da 5 fascisti della brigata Nera di Cesena, conobbi il fascista Morghenti det e’ Moc di
Pievesestina, riuscimmo a scappare in tempo e dileguarsi e nascondersi in un pescheto dal quale
controllavamo benissimo le mosse dei fascisti, i quali però riuscivano a bloccare il partigiano
Lucchi Pio, il quale con mossa fulminea riuscì a sottrarsi alla cattura, e raggiungendosi poi nel
pescheto. Questo avenne verso le 17. L’intervento dei fascisti fù provocato da una soffiata che mai
siamo riusciti a sapere chi fosse stato. Alla sera del giorno stesso, il partigiano Castagnoli Mario, si
appostò nel luogo prestabilito nelle vicinanze di S. Mauro in attesa del passaggio del fascista, che
mai passò! (…) Il 20 settembre [no, probabilmente in ottobre] alle ore 15 due fascisti in Borghese,
in seguito di una soffiata, si portarono a colpo sicuro in una casa di Molino Cento, dove era nascosto
il Responsabile del Fronte della Gioventù, Pagliacci Bruno il quale fu arrestato per essere tradotto al
Comando della Brigata Nera, di questo episodio, ne fui immediatamente informato dalla Staffetta
Casali Marisa, poiché il tragitto dei due fascisti con il partigiano Pagliacci era lungo la via Maceri,
decisi assieme al Commissario del Distaccamento Daltri Duilio, di appostarci in un canneto sul cilio
della strada vicino alla 2° Casa Base, e li attendemmo il passaggio dei due fascisti, mancavano
ancora 100 metri da[l] posto dove eravamo in attesa di intervenire, quando una seconda staffetta
Zoffoli Maria Pia, ci venne ad informare che alle nostre spalle si erano fermati 20 fascisti della
Brigata Nera di Cesena al Comando di un tenente di Rimini, vistosi a mal partito, fummo a gioco
forza costretti ad abbandonare l’impresa, e fuggire attraverso il Vigneto di Farabegoli sovrastante il
canneto, ed incominciammo a salire verso la Villa Monti oltre ai Cappuccini, nel mentre che si
saliva, il fascista Rocchi di Porta Fiume, mi riconobbe, e mi invitò dal basso ad arrendermi, gli
risposi che se voleva la mia resa doveva personalmente a venirmi a prendere, di fronte al mio
rifiuto, incominciò a spararci con raffiche di mitra unitamente a tutti gli altri. In due non erevamo
nella condizione di poter reagire in quanto erevamo muniti soltanto di due pistole impossibilitati di
poter sparare in quanto il bersaglio non era alla portata delle pistole. Così raggiungemmo la Villa
Monti, nella quale vi erano famiglie sfollate di Cesena, delle quali conobbi l’antifascista Panzavolta
Tommaso, il quale ci pregò di non sostare e di metterci in cammino, in quanto le famiglie sfollate
avevano paura di una rappresaglia, nel mentre che decidemmo di andarsene, all’improvviso dietro
alle nostre spalle sbuccarono due fascisti a circa 100 metri, imboccammo il lungo Viale della Villa
completamente allo scoperto inseguiti da raffiche di mitra, le pallottole ci passavano fra le gambe e
vicino alle orecchie per fortuna nostra non subimmo alcun danno, raggiunto alla fine del viale, sulla
sinistra del viale sulla strada del Passo Quaranta, nella Villa sovrastante, ci trovammo di fronte a
due tedeschi della gendarmeria con in pugno due Parabellum, pronti a sparare, invece rimasero
immobili [e] noi approffitando di questo attimo di indecisione dei tedeschi, saltammo un grande
bosco di porco spino, giù a capofitto lungo il vigneto sottostante in un baleno, ci portammo a Ponte
Abradesse nella casa colonica di Sirri Giovanni, il quale aveva sentito tutti gli spari, aiutandoci ad
attraversare la strada ed accompagnandosi in una altra casa colonica occupata da tedeschi, per nostra
fortuna in questa seconda casa era sfollata una nostra amica, Martuscelli Rosina, la quale alla
richiesta dei tedeschi se eravamo partigiani, lei disse che erevamo due sfollati del posto, e così ci
dileguammo lungo un altro vigneto verso la casa del mio cugino pure lui partigiano di nome
Lugaresi Senofonte, in questa casa era pure sfollata mia madre e mia sorella. Immediatamente ci
nascondemmo nella cantina della casa dalla quale si entrava da un cunicolo nel vigneto. Nella
cantina con poco ossigeno, ci rimanemmo fino alla mattina del 21 settembre, la Brigata Nera non
rinuncio all’inseguimento, e ci cercò per tutta la notte, senza esito. (Luciano Rasi – dattiloscritto
[1983])
Mi presero proprio in quel… mo la colpa fu di mia sorella… Il mio arresto era... in settembre. Il 14
son stato arrestato. Avevamo una riunione … eravamo già alla guerra che il fronte era poco lontano.
C’era stato un rastrellamento su… perché noi ci trovavamo… io ero andato a fare una riunione con
Rasi nella casa dei suoi parenti… sarebbe stata la casa dei genitori del cognato di Rasi, erano i
Maldini u m’ pè che j i ciames i Sintun se non sbaglio, di soprannome. Erano ortolani, eran
famosi… E allora eravamo lì (…) che dovevamo decidere qualcosa (…) tutt’uno si sa che ci sono
dei rastrellamenti perché avevano ammazzato un fascista... Non so... Insomma c’erano dei grossi
rastrellamenti. Erano anche forestieri questi fascisti e la notte dormii in quella casa dei Maldini e il
giorno dopo mia sorella, la più grande che era sfollata lassù alla centrale “Vieni su. Vieni su ch’i fa
e’ rastrelament, che l’è pericolos ch’i ven zó…” e io cosa faccio vado via con lei e quando sono a
metà strada mi fermano e mi portano via. Quindi se lei mi lasciava... se lasciava stare le cose con
molta probabilità io non venivo arrestato e invece fui arrestato. (…) [Ma lei era imputato di
qualcosa?] No. Rastrellato. Basta. Ma era sufficiente. Era la quarta volta che mi rastrellavano ma mi
avevano sempre lasciato libero. No, no perché non avevano le prove non avevano nessuna prova.
(Bruno Pagliacci – 1984)
Fra i primi a cadere sotto i colpi delle brigate nere sono i capi della Banda
Corbari, che opera autonomamente nel faentino. Con loro cadrà tutta
l’organizzazione legata alla missione ORI di Radio Zella, di tendenza
repubblicana e vicina al partito italiano del lavoro, a cui Silvio Corbari si era
appoggiato per ottenere dagli alleati l’invio di armi e materiali.
Non ci era mai stato possibile, nonostante i ripetuti e rischiosi tentativi, ricevere un lancio aereo di
armi dagli Alleati. Quando ormai si stava per realizzare il nostro sogno, avendo finalmente trovato
un posto adatto per il lancio, fu scoperta dal servizio di controspionaggio tedesco la nostra radio
trasmittente, proprio mentre eravamo in ascolto per la conferma del suddetto lancio da parte del
comando del O.S.S. americano (Office Strategic Service). Questa disavventura fece svanire per
sempre il nostro sogno di poterci armare efficientemente e inoltre costò la vita ad alcuni valorosi
amici, che furono torturati e poi impiccati ai lampioni della piazza centrale di Forlì. Fra questi non
posso non ricordare il prode e generoso Tonino Spazzoli, il quale, prima di essere fucilato, fu
portato in piazza ad… ammirare suo fratello impiccato! (Da: E zirandlòn / Francesco Montanari
(Cincino). – Cesena : Costantini, 1977)
[Forlì] 16 [luglio] = A seguito dell’arresto dell’operatore radio Antonio Grimandi [Grimaldi],
residente in Bari, con nome di Andrea Zanco fra i partigiani, e delle torture inflittegli durante dieci
giorni, i tedeschi hanno operato la cattura dei patriotti faentini Vittorio Bellenghi e Bruno Neri,
quest’ultimo rinomato calciatore della squadra nazionale. L’arresto è avvenuto sul monte Gamogna,
seguito dall’uccisione previa tortura inenarrabile: ai poveri martiri sono stati strappati gli occhi, il
cuore ed i testicoli. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
L’ORI (Organizzazione per la resistenza italiana) fu un servizio segreto composto da italiani,
dipendente dall’OSS (Office of stratec service) americano, con il compito di dare aiuto alla
resistenza nell’Italia occupata dai tedeschi. Le missioni ORI avevano il compito di contattare
le bande partigiane esistenti, o di favorirne la formazione. Collegate per radio al loro
comando, potevano organizzare i lanci di materiale necessario alle formazioni ed inviare
preziose informazioni di carattere militare. La missione ORI di Radio Zella, destinata alla
zona di Forlì-Bologna-Appennino Romagnolo, partì da Brindisi il 16 febbraio 1944, su di un
sommergibile, assieme ad altre due missioni destinate rispettivamente alla Venezia Giulia e
alla zona di Ravenna-Ferrara-Rimini. Tutti i
erano equipaggiati con una radio
ricetrasmittente, e un operatore radio, proveniente dall’esercito. Quello di radio Zella era
composto da Antonio Farneti (Roberti), Celso Minardi (Benazzi) e il radiotelegrafista, Alberto
Grimaldi (Andrea Zanco) che sbarcarono, nella zona di Ravenna, la mezzanotte del 19
febbraio, dove presero contatto con gli antifascisti repubblicani. L’8 marzo, a Faenza, il
gruppo contattò BrunoNeri, che a sua volta mise in contatto i tre agenti dell’ORI con il
repubblicano Enrico Blosi di Lugo, che trovò loro una sistemazione adeguata. A Lugo
rimasero circa un mese. Nel frattempo, il 15 marzo, Antonio Farneti conobbe Virgilio Neri,
che si offrì ad ospitare la stazione radio nella sua villa di Rivalta, dove fu trasportata il 16 di
aprile del 1943. Il 18 iniziarono le trasmissioni. A fine aprile attorno a Radio Zella si era
formato un gruppo che comprendeva anche Tonino Spazzoli, Vincenzo Lega, Vittorio
Bellenghi, che si occupavano principalmente della raccolta di informazioni e del collegamento
con gli altri gruppi antifascisti e da Virgilio Neri, Bruno Neri e Antonio Bellenghi, che oltre
alle informazioni, curavano l’organizzazione degli aviolanci ed il coordinamento per il
recupero del materiale.
[Ha mai avuto rapporti con esponenti dell’ULI o del PIL?] Sa avnivi da Ravena quii che lè? Ch’à j
aveva d’andé me a quilè... una stazion, a dirigere la stazione parché me... Io provenivo dall’EIAR,
alora a s’era competent. E i republichen... [Avevano una radio a Faenza] e e’ mi cugned [voleva
che mi metttesssi a loro disposizione]... Me aveva d’andé a finì là atravers e’ mi cugned. [Perché
non è andato?] Parché non accettai. Parché int e’ quèl... in che setor che lé an m’ un fideva ad lor.
Erano troppo semplici... e trop quél... i s’ cardeva di farlo un po’ troppo allo scoperto. Invece nun
avnama da un’ organizazion ferrea ch’a n’ ami da sgarè par gnint. [Chi l’aveva contattata?] I
republichen. E’ mi cugned. Ubaldo Fellini. [Quindi lui era in contatto con loro?] Sei. E io seppi (...)
che l’era guasi pu tot ad cl’orientament, via. (...) Eva d’andè a direz a là parché me da militare e
prema a s’era stè... come lavoro, a s’era a la RAI... No. A ngn’ j andet gnenca zó... No. Me avet
daglj informazion da i nost da là zó, via! Da i nost da là zó che l’è un quèl che è troppo esposto...
L’a n’ va ‘venti i get. Quela che lè la aburtes (...) parché j amaza tot. (...) parché s’l’era una [radio
trasmittente]... u t’ toca a prutezla ben ad che poch! E’ pó u t’ toca a fèla mobile e pó s’ i vo i t’
atrova. Gnent da fè parché sta la fé nenca mobile cun i radio[goniometri] orientè (...) i t’ atrova. E
me al saveva. A l’ eva imparè da pó da i studi ch’eva fat a là da militer. (Otello Sbrighi - 1998)
Attraverso Radio Zella, la banda Corbari era riuscita ad ottenere dagli alleati l’invio di armi e
materiali. Il lancio sarebbe stato effettuato il 17 luglio sul monte Lavane. Bruno Neri, Vittorio
Bellenghi e Vincenzo Lega partirono da Rivalta, il 7 luglio per raggiungere la zona indicata
per il lancio, dove erano già convenuti una cinquantina di uomini dei Gap di Faenza,
Brisighella e Castel Bolognese. Oltre coordinare l’azione di recupero, era loro compito
contattare gli uomini di Corbari, cui sarebbe spettata una parte del materiale. L’11 luglio, nei
pressi del cimitero dell’eremo di Gamogna, Neri e Bellenghi si scontrarono con una pattuglia
tedesca di una quindicina di uomini e rimasero uccisi.
Il giorno 10 luglio 1944, verso le ore 19, venivamo informati da un passante che in località
Gamogna (comune di Marradi) e precisamente nei pressi della parrocchia, giacevano sul ciglio della
strada i corpi di due partigiani. Ci recammo immediatamente sul posto, non prima però di aver
predisposto un adeguato servizio di difesa, sapendo che nella zona si trovavano dei militari tedeschi,
e con nostro grande dolore ravvisammo nei due caduti Vittorio Bellenghi e Bruno Neri (...). Lo
spettacolo che si presentò ai nostri occhi era straziante in quanto i corpi dei nostri poveri compagni
presentavano orrende mutilazioni prodotte con arma da taglio, il che significava che la rabbia
nemica si era selvaggiamente sfogata mentre forse, benché agonizzanti, erano ancora in vita. (...)
Vittorio Bellenghi e Bruno Neri si dirigevano vero Gamogna, quando nei pressi del cimitero della
parrocchia suddetta, nel punto dove il sentiero che vi conduce forma una svolta che impedisce di
vedere la strada che divide Gamogna dalla valle, si imbattevano in un gruppo di una quindicina di
militari tedeschi che salivano il monte. Vittorio e Bruno, imbracciato il mitragliatore imponevano ai
tedeschi di allontanarsi; questi, fatti pochi passi indietro, trovarono riparo dietro a un terrapieno
situato sul lato destro della strada ed aprirono immediatamente il fuoco. Il testimone dice che Bruno
e Vittorio si gettarono a terra e risposero con le loro armi ma ebbe l’impressione che fossero stati
colpiti dai primi colpi. Il combattimento non durò a lungo e, data la breve distanza ed il posto
scoperto dei nostri, fu impossibile una lunga difesa. Ricorda solo di aver visto che uno di essi, forse
Bruno Neri, colpito alla testa, si rivoltava su se stesso, sparava ancora due colpi poi rimaneva
immobile. Bellenghi e Neri si erano allontanati dal nostro reparto per accertarsi personalmente della
possibilità di farci attraversare la strada che i tedeschi stavano costruendo da Marradi a San
Benedetto in Alpe, per poterci recare a Monte Lavane per recuperare un aviolancio. (Dalla relazione
di Vincenzo Lega a Antonio Farneti, in: Dalla bici al sommergibile : le missioni ORI dirette dai
romagnoli / Luigi Martini. - Milano : La Pietra, 1980)
Giunta a Faenza la notizia della loro morte, la radio, non più ritenuta sicura, fu trasferita il 13
luglio a Pieve Cesato (Faenza), presso la casa di Pietro Fabbri, da tempo in collegamento con il
gruppo. Corbari e i suoi, intanto, avevano raggiunto la zona del lancio ma non essendosi
presentato nessuno all’appuntamento, erano ritornati alla loro base, a San Valentino. Il 15
luglio Virgilio Neri riuscì nuovamente a contattare Corbari e a comunicargli il luogo del
lancio ed i segnali di riconoscimento concordati. La situazione era pericolosa. C’era il sospetto
che i tedeschi avessero intercettato le trasmissioni radio o che, comunque, fossero a
conoscenza del lancio e lo scontro in cui Neri e Bellenghi avevano perso la vita, poteva non
essere stato casuale. Corbari decise di non rinunciare al lancio. Il 16 luglio, i suoi uomini
erano di nuovo sul Làvane. La benzina necessaria per segnalare la presenza dei partigiani al
ricognitore, che quella notte stessa sorvolò la zona, la fornirono i tedeschi. Adriano Casadei,
che comandava il gruppo, durante la marcia di avvicinamento catturò un automezzo guidato
da due tedeschi che avevano con se una buona scorta di benzina. Il 17, come previsto, furono
lanciati 36 paracadute carichi di armi e materiale di ogni genere. Il 18 fu avvistata sul
fondovalle una pattuglia tedesca e senza sospettare che si trattasse solo dell’avanguardia, di
una formazione composta da circa 500 tedeschi e 200 fascisti, una decina di ragazzi guidati da
Casadei, scese per affrontarli. Sopraffatti dal numero i partigiani incominciarono poco a poco
ad indietreggiare. Lo scontro durò parecchie ore. Giunti alla capanna in cui erano stati
nascosti i 6 quintali d’esplosivo lanciati dagli alleati predisposero la carica in modo tale da
farla saltare all’approssimarsi dei nemici. L’esplosione fermò l’avanzata dei nazi-fascisti che
si ritirarono immediatamente, abbandonando sul posto morti e feriti. I partigiani ebbero un
solo ferito, Elio Ghiselli e le armi nascoste sul Làvane furono messe in salvo.
Il lavoro per mettere tutto al sicuro durò febbrile per tutta la notte: Al mattino del 18 vedemmo le
prime pattuglie delle SS italo-tedesche prendere posizione; l’attacco ebbe inizio alle 10 del mattino
e durò fino a notte ma noi, nonostante la grande sproporzione delle forze, potemmo, dopo dura lotta,
nella quale avevamo le migliori posizioni, sganciarci dal nemico con soli sei feriti (...) le armi del
lancio (...) furono salvate. (In: Dalla bici al sommergibile : le missioni ORI dirette dai romagnoli /
Luigi Martini. - Milano : La Pietra, 1980)
Partimmo la sera da San Valentino, camminammo tutta la notte e arrivammo la mattina. Bisognava
preparare la piazzola per il lancio: accendemmo la batteria che dando impulsi dava il segnale
convenuto. La notte venne effettuato il lancio: c’era il gruppo di Palì di Brisighella e la Garibaldi;
raccogliemmo insieme i materiali lanciati e dopo che ciascuno ebbe preso la sua parte rimasero
dell’esplosivo e delle munizioni, che collocammo in una capanna. Poi gli altri se ne andarono e
rimanemmo solo noi della Corbari. La mattina una sentinella (uno di Modigliana che chiamavano
“il volontario”) avvistò i tedeschi e i militi che stavano salendo (provenienti da San Benedetto), non
so quanti erano ma urlavano in modo tremendo per spaventarci. Ci dividemmo in quattro gruppi, ci
appostammo in posizioni diverse e cominciammo a sparare. Il combattimento durò dalle dieci alle
diciassette: io ero insieme a Casadio (di Modigliana) e Adriano Casadei. Quando ci accorgemmo
che dalle posizioni non si sparava più, decidemmo di ritirarci anche noi. Io avevo imparato a San
Bovello come si faceva una miccia e la feci. Mentre arrivavano i nazifascisti, la capanna saltò. Non
so quanti morti e feriti ebbe il nemico, noi non potevamo saperlo. Noi avemmo un ferito: Ghiselli.
Io gli legai le gambe con la corda di un paracadute e volevo portarlo con noi, ma lui non volle
venire. Casadei voleva tornare indietro, ma poi capì che non era giusto ci fosse un morto per un
ferito. Il giorno dopo lo trovarono i pastori e lo portarono in salvo. (Da: Intervista ad un ex
partigiano, componente del gruppo Corbari, in: IBC n.3/2002)
Il 28 luglio, a Pieve Cesato, i tedeschi catturano il marconista di Radio Zella, il barese Alberto
Grimaldi (Andrea Zanco), che sarà fucilato a Bologna il 22 agosto. Saranno, probabilmente, le
sue rivelazioni a mettere i fascisti sulle tracce dei principali esponenti dell’organizzazione
faentina: Virgilio Neri, rappresentante del CLN romagnolo e Antonino Spazzoli. Quest’ultimo
sarà catturato il 7 agosto.
Il mattino del 28 luglio (...) mi recai a Pieve Cesato, presso la Casa Fabbri, ove era collocato
l’apparecchio radio (...) Arrivai alla casa non prima delle 9, tutto era nella più perfetta normalità. Mi
intrattenni alcuni minuti con Andrea e Pietro Fabbri [e] lasciai la Casa diretto a Lugo, dove mi recai
per un appuntamento importante ed iniziai il viaggio di ritorno (...) a pochi km da Russi incontrai la
staffetta <<Big>> (Rina Zaccaria) (...) la quale, visibilmente preoccupata, mi annunciò l’arresto di
mio padre, avvenuto la stessa mattina alle 6, da parte delle SS tedesche, affermò poi di aver
incontrato, durante il tragitto, in una macchina tedesca, sotto forte scorta, il radiotelegrafista Andrea
Zanco. Ci precipitammo perciò a Pieve Cesato (...) Dopo che io lasciai la Casa Fabbri, alle 9,30
circa, Andrea si dispose a cifrare i messaggi, che gli avevo consegnato, in una tavola sotto un
pergolato, a poche decine di metri dalla casa stessa. Un quarto d’ora dopo, si presentarono alla Casa
un ufficiale ed un soldato carrista tedeschi, per sistemare una cucina da campo. Questi, dopo aver
ispezionato a lungo la casa, si diressero verso Andrea, che nel frattempo aveva inspiegabilmente
continuato a fare il suo lavoro. Non si ebbero poi i particolari esatti dell’arresto perché i presenti si
diedero alla fuga. Sembra, però, che, ad un certo punto, quando cioè Andrea si accorse che i due
tedeschi cominciavano a prestargli attenzione, abbia tentato di fuggire. Questo forse compromise
totalmente la sua posizione. Gli furono richiesti i documenti e gli furono sequestrati i messaggi che
stava scrivendo, poi fu caricato su di un’auto e trasportato ad un vicino Comando tedesco e qui fu
lungamente percosso (...) Ricevuta un’ampia relazione della cattura, mi portai a Forlì per avvisare
Tonino Spazzoli e gli altri dell’accaduto (...) nello stesso giorno, 29 luglio, Pietro Fabbri,
precedentemente fuggito da casa, dietro insistenza dei familiari, vi era tornato ed era stato arrestato.
Su di una macchina tedesca Andrea e Pietro furono accompagnati alla Casa e messi a confronto con
i familiari. Furono tutti minacciati di impiccagione se non avessero rivelato il nascondiglio
dell’apparecchio. Sotto questa minaccia, il garzone della Casa, un giovane di 16 anni, che aveva
scorto, durante il trasporto al nuovo nascondiglio, la valigetta contenente la radio, ne indicò il luogo
ai tedeschi. Al convegno stabilito per il 1° agosto a Villafranca (Forlì) si recarono Antonio Farneti,
Antonio Spazzoli, Virgilio Neri, Luigi Savelli, Quinto Sirotti (da poco giunto con una nuova
missione ORI) e Afro Giunchi (...) la possibilità che i detenuti, sottoposti a tortura, facessero i nomi
dei componenti l’organizzazione, non era remota, pertanto i sette antifascisti deliberarono di operare
come se le più ampie delazioni fossero già state fatte e disposero di restare alla macchia fino alla
constatazione del cessato pericolo. (...) Antonio Spazzoli non rispettò le decisioni di stare alla
macchia, il 6 o il 7 agosto tornò a casa per prendere abiti e valigia ed allontanarsi dalla zona di Forlì.
Durante questo breve ritorno la casa venne accerchiata dai tedeschi e Spazzoli arrestato. A questo
arresto si aggiunsero quelli di: Vincenzo Lega, Giacomo Neri padre di Virgilio, Ottorino Neri padre
di Bruno. La situazione era completamente precipitata. (In: Dalla bici al sommergibile : le missioni
ORI dirette dai romagnoli / Luigi Martini. - Milano : La Pietra, 1980)
Franz [Giuseppe Mamini] (...) è ritornato in pianura e si è recato subito a Ravenna per la questione
dei lanci; senonché quei signori non avevano ancora riuscito a prendere i contatti con il Comando
anglo-americano. Sono rimasto d’accordo con Franz che se nel giro di pochi giorni non arrivavano a
prenderli li avremmo inviati (i telegrammi) al Comando a Bologna. (...) per i telegrammi che
richiedono i lanci inviarli a Bologna sarebbe un ripiego in caso disperato, ma un pessimo ripiego,
perchè la risposta arriva sempre all’ultimo momento e si correrebbe il rischio di non inviarla in
tempo sino a voi. (...) se potessimo realizzare il collegamento diretto tutti gli inconvenienti
sarebbero eliminati. Quello del Gruppo Rivalta che è stato arrestato [Alberto Grimaldi] s’è messo al
servizio dei tedeschi. (Da: una lettera di Primo Dellacava (Renzo) al comandante dell’8a. brigata
Garibaldi Ilario Tabarri (Pietro Mauri). 7 agosto 1944 - ISRFC 3/13 1597)
[Forlì] 7 [agosto] - Sono arrestati Tonino Spazzoli, commerciante da Coccolia, notissimo
repubblicano qui residente, il figlio suo; Aroldo di anni 18; e la nipote Franca Orsola Ferrini di 21
anni. (...) Un giovane, catturato dai tedeschi, è loro sfuggito saltando dall’auto in Borgo Schiavonia
[forse Stelio Ghetti].
[Forlì] 8 [agosto] - Tale Pietro Fabbri da Faenza, impiegato di 32 anni, è ucciso da una sentinella
tedesca all’esterno delle carceri dopo essere riuscito a varcare il cancello, la sua morte è avvenuta
nel pomeriggio, all’ospedale. (...) L’arresto del Fabbri era avvenuto in Pieve di Corleto giorni fa per
la scoperta di una radio clandestina, e con lui era stato pure arrestato uno sfollato [Antonio
Grimaldi] che portava un falso nome e pare fosse il radio trasmettitore, è riuscito poi a fuggire; il
padre e la nonna dell’ucciso furono invece percossi dai tedeschi: questo secondo le dichiarazioni
fatte da un congiunto (Preciso che il Fabbri doveva essere condotto per interrogatorio al Brefotrofio
dal soldato e che il giovane saltato ieri dall’auto era appunto lo sfollato, partigiano della banda
Corbari.) (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Pezzo per pezzo tutta l’organizzazione cade nelle mani dei nazi-fascisti. Il 10 agosto, a Terra
del Sole, sono fucilati i due fratelli Verardo e Rolando Verità, accusati di avere rapporti con la
banda Corbari.
[Forlì] 10 [agosto] - I militi della btg “IX Settembre” scesi a Castrocaro a titolo di... riposo; vi
fucilano i coloni possidenti Verardo e Rolando Verità, nativi di Terra del Sole, rispettivamente di 27
e 33 anni; ecco la versione genuina del misfatto: sei dei ricordati militi si sono presentati oggi circa
le ore 14 a casa dei Verità e li hanno invitati a seguirli al comando al fine di chiarire una vecchia
discordia che i due fratelli avevano con i contadini d’un loro podere detto di Mezzacollina. Ciò fatto
e dopo l’interrogatorio sull’argomento, i sei militi riaccompagnando i due giovani con pretesto di
recarsi insieme al ricordato podere, pervenuti da una scorciatoia al muro del cimitero Comunale,
legavano ad essi i polsi e allontanatosi di una decina di passi li fucilavano dopo la lettura di una
sentenza sommaria, per il rinvenimento di alcuni fucili vecchi in un capanno di Mezzacollina. (I due
fratelli appartenevano alla banda Corbari e, come pare, erano stati denunciati per vendetta dai
contadini.). (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
L’11 agosto a monte Paolo è fucilato Amedeo Ragazzini, partigiano della banda Corbari.
[Forlì] 11 [agosto] - L’operaio Amedeo Ragazzini di anni 45, partigiano della banda Corbari, è
fucilato dai militi del btg. “9 settembre”, con il colono Bondini, nel podere “Prato” di Monte Paolo
all’Eremo. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Il 12 è arrestato il marchese Gian Raniero Paolucci de Calboli Ginnasi, anch’egli accusato di
essere in rapporto con Corbari. Sarà fucilato il 14 agosto.
[Forlì] 12 [agosto] - Il marchese Gian Raniero Paolucci Ginnasi è tratto di nuovo in arresto da militi
della b.n. unitamente alla portinaia del suo palazzo, Maria Fabbri, e con essa condotto alla caserma
“Caterina Sforza” dove altri sospetti antifascisti si trovano, quindi tutti insieme tradotti a Castrocaro
nella sera su di un autocarro per subire l’interrogatorio da parte dei militi del battaglione “IX
settembre”. La Fabbri è accusata di aver recapitato un biglietto del marchese ai partigiani.
[Forlì] 14 [agosto] - Il cosiddetto Tribunale Straordinario di Castrocaro, presieduto da un sergente
del battagl. “IX Settembre” risiedendo nella caserma dei carabinieri del luogo con apparato di
sgherri, condanna a morte i seguenti cittadini e militari:
March. Gian Raniero Paolucci di Calboli Ginnasi, possidente e scrittore di 52 anni.
Cav. Antonio Benzoni, segret. Tecn. Principale FF.SS. di anni 56 da Forlì.
Fiorenzo Grassi, universitario da Bergamo, sergente b.n.
Livio Ciccarelli da Montiano, sergente b.n.
Antonio Buranti di Battista da Collinello (Bertinoro) gnr.
La sentenza è stata eseguita stamane dietro il muro esterno del cimitero, nel contempo è apparso un
manifesto (...) con queste motivazioni rispettive: i primi due fornivano armi e denaro ai partigiani, il
terzo consegnava la pistola a un amico (è figlio di un colonnello) gli ultimi fornivano armi e notizie
ai partigiani. Al Benzoni rinvenuto un fucile. Umberto Mercuri di Giovanni, mentre veniva
interrogato per lo stesso motivo e pretesto di aver fornito armi ai partigiani precipitandosi da una
finestra della stanza restava morto sul colpo (...) Trattenute la portinaia del marchese Paolucci,
Maria Fabbri, la moglie e la figlia del Benzoni. Fucilato inoltre il repubblicano Angelo Mariani
dell’Ospedaletto di Bertinoro, con sentenza ed esecuzione a parte. (...) Molte cose si sono dette del
Marchese in questi giorni circa le cause del suo arresto; cioè che il Maggiore tedesco ospitato in
Ladino l’accusava di sentimenti antigermanici e di ascoltare radio-Londra. Altri affermavano ch’egli
avesse redatto un proclama che Corbari intendeva lanciare alla gioventù italiana; la realtà, come da
dichiarazione fatta dal morto all’arciprete di Castrocaro, si è che aveva per vero ricevuto una lettera
dal capo partigiano, in cui lo pregava di metterlo, a suo mezzo, in relazione con il Papa, ma alla
lettera non aveva data risposta. (...) I giudici (...) Insistendo (...) [con Antonio Benzoni] perché
rivelasse i nomi di partigiani in relazione alla banda Corbari, rifiutò deciso: “So che mi ucciderete,
ma io non ho nulla da dirvi”. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Subito dopo la cattura di Antonio Spazzoli, il fratello Arturo cercò di mettersi in contatto con
la banda Corbari per tentare di liberarlo. Il 10 o l’11 incontrò Farneti che seppe dargli le
indicazioni necessarie e lo munì di una lettera in cui era dichiarato che il fratello faceva parte
dell’ORI e caldeggiava l’iniziativa. Il 12 luglio, Arturo Spazzoli si incontrò con Adriano
Casadei (il vice di Corbari), nei pressi di Monte Poggiolo. Insieme, presi contatto con altri
antifascisti di Forlì, decisero di penetrare nelle carceri e di liberare i prigionieri. Si fissò la
data per il 14, ma l’azione non si poté portare a termine, per il venir meno delle condizioni
necessarie. Il 15 agosto, Spazzoli e Casadei, mentre sono di ritorno alla base della banda,
vengono contattati, a Cella di Modigliana, da due giovani Franco Rossi e Antonio Benenati,
che chiedono loro di poter incontrare Silvio Corbari. Il primo, che aveva già fatto parte della
banda e ne era stato allontanato, proprio da Casadei, raccontò di essere stato incarcerato
assieme alla madre, di essere riuscito a fuggire e che temendo per la madre ancora in carcere
era disposto a presentarsi ai fascisti di Castrocaro, per salvarla. Casadei, non convinto della
faccenda, non diede alcuna informazione e li indirizzò verso un’altra direzione dove un altro
componente della banda, per precauzione, li rinchiuse all’interno di Casa Ronconi, nella
parrocchia di San Casciano. Riusciti a fuggire, i due, il 17 agosto, rintracciarono Corbari a
San Valentino (Modigliana), poi ritornarono, indisturbati, in pianura.
Il 15 agosto 1944, bussarono due giovani alla mia porta di casa: uno si chiamava Franco, l’altro non
so: era un meridionale dal petto a carena e dalle gambe un po’ storte, magro, pallido e bruno. Dopo
aver mangiato e bevuto essi volevano ad ogni costo sapere da me dove si trovava la squadra di
Ettore (detto Turìn); io in verità non lo sapevo. (...) Partirono da casa mia accompagnati da due
giovani della parrocchia che sapevano dove dimorava Turìn; da ultimo i due erano un po’ restii ad
andarci; Turìn poi li chiuse in una casa della parrocchia di S. Casciano, Casa Ronconi. (Dal
Memoriale di don Antonio Vespignani, parroco di San Savino. Riportato in: Uomini e gesta della
banda Corbari-Casadei. - Forlì : gruppo patrioti della banda Corbari-Casadei, [1945])
Corbari, insospettito dal comportamento di Rossi e Benenati, inviò dietro di loro due
inseguitori. Adriano Casadei e Arturo Spazzoli che stavano dirigendosi in direzione opposta,
verso la casa del podere Cornio, dove si trovava la base della banda, incontrarono i due
inseguitori lungo il percorso e confermarono loro gli ordini di Corbari, aggiungendo di
ritornare comunque alla base entro le sedici, ma questi non tornarono indietro. Adriano e
Arturo giunsero alla base verso mezzanotte e sicuramente, incontrato Corbari, parlarono di
tutta la faccenda ma, pur sospettando il tradimento, data la loro stanchezza e la ferita alla
gamba di Iris Versari, che non gli permetteva di camminare, decisero di rinviare la partenza.
Alle 5 del mattino del 18 agosto, la casa in cui si trovavano è circondata dai tedeschi, che li
attaccano facendo uso anche di un mortaio. Iris, già ferita, non può fuggire e si uccide. Silvio
fugge da una finestra. Adriano e Arturo escono dalla porta della stalla. Arturo, cade ferito
con le gambe falciate da una raffica. Silvio e Adriano sono già lontani un centinaio di metri,
nascosti da una macchia ma Silvio mette un piede in fallo e precipita, da venti metri, sul letto
di un torrente. Adriano, torna sui suoi passi e cerca di trascinare Silvio rimasto ferito ma i
fascisti li individuano, li bersagliano di colpi di mitra e li catturano. Silvio è gravemente ferito
alla testa. Adriano leggermente al viso. Arturo, ferito alle gambe viene ucciso durante il
trasporto a Monte Trebbio. Adriano e Silvio, già moribondo, sono impiccati a Castrocaro.
Il 9 settembre del 1942 ricervetti la cartolina precetto e fui arruolato nel primo reggimento genio
pontieri di stanza a Legnago. Tra me e Corbari [Silvio], nonostante lui fosse del ’23, c’erano solo
pochi mesi di differenza ed era anche lui una recluta nello stesso reggimento. Essendo della stessa
zona era normale che ci conoscessimo. Poi diventammo anche amici e rimanemmo insieme fino
all’ottobre-novembre, quando lui tornò a casa perché, mi disse, aveva la fidanzata incinta (...) Dopo
l’8 settembre (...) mi arruolai volontario nella milizia. (...) io volevo essere coerente. (...) io avevo
conosciuto bene Corbari. Sapevo che non era comunista, ma un individualista, faceva una guerra
personale, non aveva molti rapporti con le altre formazioni partigiane (...) sapevo che aveva
occupato Tredozio per quindici-venti giorni e che poi una ventina del suo gruppo erano stati
catturati. Seppi che aveva ucciso il console Marabini, fu proprio questa azione a dare inizio alla
caccia all’uomo che portò alla sua cattura. La sera dell’8 agosto io ero a Castrocaro e vidi i due
impiccati. Chiesi ad alcuni militi dell’”M 9 settembre” come fosse andata e mi dissero che avevano
infiltrato nella banda due spie che aveva[no] indicato loro dove si trovava Corbari. (...) [Quelli del
battaglione M 9 settembre] erano per lo più slavi italianizzati, venivano dall’Istria, dalla Dalmazia,
avevano combattuto nella campagna di Russia, da cui erano tornati decimati. Sicuramente erano
destinati ad operazioni antiguerriglia. (Da: Intervista ad un ex milite fascista, in: IBC n.3/2002)
Dopo un’ora, i corpi dei 4 sono di nuovo appesi ai lampioni di piazza Saffi a Forlì. Il giorno
dopo viene fucilato Tonino Spazzoli, fratello di Arturo nei pressi di Coccolia.
[Forlì] 18 [agosto] = Allacciate due lunghe corde ad un braccio delle antenne della luce di fronte al
Palazzo del Littorio ed a quello contiguo del Credito Romagnolo a mezzo di una scala dei vigili del
fuoco, i fascisti della b.n., briachi di odio, vi hanno appeso i due corpi alla presenza dei tedeschi e di
poca folla inorridita, e, purtroppo, con il concorso anche di alcune donne che hanno a loro volta
tirato le funi e lanciato insulti ai morti, cui si sono aggiunti più tardi gli altri due: Corbari e l’amante
insieme alla prima delle antenne; Casadei e Spazzoli alla seconda; tutti ad una altezza d’uomo,
hanno i piedi e il dorso nudi, i pantaloni a brandelli (...) la donna in veste nera aperta ed il suo corpo
snello, ricoperto di una maglia intera attillata (...) un vecchio che alla loro vista si era tolto
spontaneamente il cappello, subito veniva con violenza percosso, così una donna che ignara
dell’accaduto in passare prorompeva in singhiozzi. (...) ammanettato e con i polsi sanguinanti,
Tonino Spazzoli è stato (...) condotto sulla piazza prima di sera, a vedere il fratello penzolante. (Dal
diario di Antonio Mambelli - Forlì)
[Forlì] 20 [agosto] = Dopo inaudite torture i nazifascisti fucilano in località Chiavicone, fra
Coccolia e Ghibullo, a ridosso dell’argine della strada ravegnana Tonino Spazzoli fratello di Arturo,
industriale di 45 anni. (Dal diario di Antonio Mambelli - Forlì)
Il comando della 29a. Gap per capire come fossero andate le cose e chi eventualmente avesse
fatto la spia, inviò due partigiani travestiti da brigatisti neri a Forlì. I due però non riuscirono
a venire a capo di nulla.
Io e Mario (...) quando hanno fucilato Corbari [Silvio], Spazzoli [Antonio], Iris Versari che li
portarono... a Forlì e impiccati nei lampioni. Da Cesena, il comando... fu Luciano Lama o non so
chi... avevano bisogno di mandare due persone vestite da brigata nera a Forlì per sentire coi fascisti
chi era responsabile... se c’era modo di sapere di trovare la spia... di chi aveva fatto la spia perché
loro son stati ammazzati... Corbari, Casadei [Adriano] e quelli lì... in una famiglia. Perché li hanno
circondati, gli hanno sparato e li hanno fucilati e poi li hanno portati giù e tacati ai lampioni. E per
vedere se c’era il modo di sapere qualcosa e ‘lora hanno avuto l’idea di mandare due partigiani
vestiti da brigata nera (...) a Forlì. E sapendo... conoscendo i segnali... chi c’era di brigata, di
comando, eccetera (...) Andiamo a Forlì (...) Però per andare Forlì c’era un mitro... e pistola a tutti e
due e una divisa. Questo era quello che avevamo quando siam partiti da Ronta. (...) Partiamo da
Ronta. Mitra in un sacco legato nel cannone della bicicletta. Pistole sotto camicetta. Questi due
ragazzini... e partono e vanno con gli ordini che avevano ricevuto... con... in un pacco avevamo dei
volantini... dei manifesti da attaccare a Forlì... da mettere... buttar via a Forlì. (...) A sem a lé (...) a
Case Murate u m’s’ fora la bicicleta a me. E ‘lora, a lì, sulla sinistra andando verso Forlì c’era
un’osteria, allora... Adesso penso che ci sia un bar. (...) Ci siam bevuto una bibita e gli abbiam
chiesto, a lei, se sapeva dov’era un meccanico “Ah!... Il meccanico è lì prima del ponte sulla
destra”. Infatti andammo via di lì. Andammo dal meccanico. Ci hanno sistemato la bicicletta (...)
alora siamo lì (...) che metto giù la bicicletta dal scalino del meccanico [e] uno mi fa “Altolà. Io
sono un fascista. Cosa avete lì nel sacco?”. Si vede che quella dell’osteria aveva avvisato... Che [il
fascista] era dietro alla macchina che trebbiava (...) l’è andato a beccare là (...) Dico “Noi ci
abbiamo un mitro”. (...) Cum a degh acsé salto su la camicetta e c’ho la P38 in mano. Lui urlava, il
poverino “No. No. Io... il cuore... non voglio saper niente” (...) “No. No. Adesso tu vuoi sapere”. E
insomma lo feci prender su una bicicletta. Ci mollammo in là verso Forlì per portarlo un po’ fuori
zona che... Poi quando fummo in là... prima di arrivare a Pieve Quinta l’abbiamo lasciato andare per
conto suo e lui è andato per conto suo. (...) E ‘lora a questo punto noi andammo a finire a casa ad
Fior... Fiore Fiorini. Lia la s’ ciameva... la partigena, Fiorini Fiore (...) e i s’ met int un rifugio (...)
int e’ mez a un furminton (...) Dop, e’ dé dop, andam a fè la nosta azion. Ci mettiamo su la strada
che va su da Cervia (...) “E quello non va bene... Quello lì anche, ha la divisa troppo grande...”.
Arriva... Arriva il pesce giusto giusto. “Guarda quello lì ha la divisa che proprio è la tua misura.
Quello che ci vuole a noi”. L’abbiamo accompagnato prema de’ pont ad Bagnola. Di dietro, così, e
poi ci arriviamo di fianco di scatto e lo facciamo girare in un stradellino, lì, di campagna (...)
Insomma ci togliamo... ci facciamo prender via la giacca... rimane la camicia. A noi ci bisognava la
giacca, i calzoni... [Lui] non aveva i mutandini (...) faceva un gran caldo non li aveva. Alora giacca,
calzoni e camicia è rimasto come Cristo l’ha creato e di lì la bicicletta l’abbiam buttata di traverso
alla siepe e lui... c’era, avevano lavorato la terra, un solco in mezzo che avevano fatto i contadini. A
degh “ Dì. Guerda. Va fort piò ch’t’ pu parché me... se no ti sparo”. Be se vedeste questo culo
bianco come andava giù lungo questo sentiero... Abbiam procurato la divisa e le scarpe e tutto
insomma via... la bicicletta l’abbiam lasciata là e lui andava per questo... in mezzo a questa terra
lavorata ch’u j era che soich... Chi sa quant ch’l’andeva e’ puren (...) Con le divise siamo andati a
Forlì (...) Una notte abbiam cercato di sapere qualche cosa... Una notte abbiam disteso i volantini
per corso della Repubblica (...) e la piazza del monumento, la parte di qua. E poi, dopo, fatto quello
lì, siam rimasti lì, alla meglio alla peggio, in dei posti... [a] mangiare [andavamo] in una casa
bombardata... vicino al monumento che fanno la fiera (...) dell’aeronautica (...) Si mangiava come si
poteva e si andava durante il giorno a cercare di trovare qualcuno da parlare del più e del [meno].
E... non abbiam saputo niente. (...) era un po’ difficoltà per mangiare alora una mattina eravamo
dalla parte di là di Forlì. Me e Mario decidemmo di andare (...) a bussare alla porta di un contadino
se ci faceva due uova con un po’ di pane, a pagamento. C’era, in questa camera che siamo entrati,
(...) una signora, là dietro. Dice “Venite avanti” e pensavo che ci volesse dare le uova. A Villa
Grappa, in questa casa... Invece vien giù da una scala dal piano di sopra... in una di quelle scale che
vien giù dalla camera di sopra così... a scalino uno dopo l’altro. Vien giù un gigante. Uno che avrà
avuto trenta, trentacinque anni. A voce alta “Chi siete voi! Documenti!” E alora io aveva il mitro
alle spalle. La prima cosa che feci mi tirai giù il mitro. Questa signora m’ha preso il mitro così... se
l’è infilato mezzo allo stomaco e... La battaglia per sfilare quel mitro... E lui intanto su di sopra. E
[io] riuscì a sfilare il mitro (...) a me dal mitro non è uscito un colpo (...) e abbiam preso la porta
appena che c’è stato il modo di liberare il mitro e via sotto un filare di vigna (...) E allora [a] quel
punto lì è finita (...) a Forlì. L’allarme era entrato. E siam tornati a casa. Ecco che siam rivati a casa
in divisa, a Ronta (...) che dovevamo andare verso a San Giorgio. A cento metri prima di San
Giorgio u i è un calzolaio, lì sulla sinistra e sulla destra c’era una casa, che c’era non so chi... due
che non erano in regola. Quand ch’i ved stal dó divisi. Vrummm. Ch’i è scapé e i s’ è infilé an e’ sò
dov. Roba che i s’ spares ados a nun! (Primo Pasolini - 2001)
Con il passare del tempo, nonostante il “buon lavoro” svolto, le brigate nere
verranno in odio anche agli stessi tedeschi, che gli erano stati maestri.
“Autentico flagello della popolazione, le Brigate Nere sono altrettanto odiate dai cittadini come
dalle autorità e da me”. (Rapporto da Bologna del comandante del XIV corpo d’armata corazzato,
gen. Frido von Senger und Etterlin, a Benito Mussolini. In: Soldati a Salò / Silvio Bertoldi. –
Milano : Rizzoli, 1995)