Annita Malavasi - Valeria Fedeli
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Annita Malavasi - Valeria Fedeli
Annita Malavasi, detta Laila Nata a Quattro Castella il 21 maggio 1921, dopo l’8 settembre del ’43 contribuisce alla lotta partigiana. Nella primavera del ’44 inizia l’attività di staffetta nella clandestinità: trasporta armi dalla città alla montagna e utilizza come nome di battaglia quello di “Laila”. Entra a far parte della 144° Brigata Garibaldi “Antonio Gramsci”: dal 2 gennaio del 1945 alla Liberazione è protagonista della lotta armata nell’Appennino reggiano. In seguito è una delle poche donne che divengono comandanti di Distaccamento (dal 2 gennaio al 25 aprile ’45). Sarà smobilitata con il grado di sergente maggiore. Ha partecipato alla costruzione e diffusione dei Gruppi di difesa della donna. Con la riconquistata libertà è eletta per dieci anni, dal 1960 al 1970 , consigliere comunale del Comune di Reggio e si dedica alla ricostruzione del sindacato, la Cgil, tra le lavoratrici della città e provincia. E’ stata responsabile della commissione femminile Provinciale della Cgil, Segretaria del Sindacato tessile e abbigliamento, componente della Segreteria provinciale della Federbraccianti e Federmezzadri, della Segreteria Provinciale e del Consiglio nazionale dell’Anpi, nel Coordinamento femminile dell’Anpi stessa. Da sindacalista, ha dedicato tutte le sue energie a far maturare la coscienza dei propri diritti e della propria dignità, garantite dalla Costituzione, nelle donne lavoratrici delle fabbriche reggiane e nelle lavoranti a domicilio, promuovendo e sostenendo nella nostra città e provincia storiche lotte per la difesa e lo sviluppo dell’occupazione femminile, per la parità salariale tra uomini e donne e per la tutela delle lavoratrici madri, per il riconoscimento dei diritti delle lavoranti a domicilio. Una sua testimonianza Mi chiamo Anita Malavasi e il mese di maggio compio ottantanove anni. Sono diventata partigiana dopo l'8 settembre 1943, a Reggio Emilia, facevo trasporto munizioni, stampa, vettovagliamento. Poi, in montagna, mi hanno insegnato le armi, come usarle e accudirle. Il mio nome di battaglia era «Laila». Lo presi da un romanzo che raccontava di una ragazza in Sud America che combatteva al posto del suo fidanzata ucciso. Ero una bella ragazza, ma noi eravamo state educate severamente, anche nel modo di vestire. Però sfruttavamo la nostra bellezza. Quando, con le armi addosso, passavo al posto di blocco in bicicletta mi mettevo la gonna stretta e fingevo di abbassarmela, loro, fessacchiotti, fischiavano e io passavo. In montagna mi è capitato di uccidere. La donna è sempre donna. Ma nel momento del pericolo anche la donna accetta le regole della guerra. Non è facile. Nata ed educata per dare la vita, in guerra la vita la togli. È importante capire che non siamo diventate combattenti per spirito d'avventura. Ci furono torture orrende. Nella mia formazione avevo una ragazza, Francesca, che era incinta, ma era lo stesso cosi magra che scappò dalla prigione passando tra le sbarre della finestrina del bagno. Per raggiungerci camminò scalza nella neve per dieci chilometri. Quando il bambino nacque lo allattò solo da un seno perché il capezzolo dell' altro le era stato strappato a morsi da un fascista. ... Era un mondo maschilista. Soltanto tra i partigiani la donna aveva diritti, era un compagno di lotta. La Resistenza ci ha fatto capire che nella società potevamo occupare un posto diverso. I diritti paritari garantiti dalla Costituzione non sono stati un regalo, ma una conquista e un riconoscimento per ciò che le donne hanno fatto nella guerra di Liberazione. Difendere la Costituzione significa difendere la possibilità di garantire un futuro di libertà e democrazia ai figli delle donne. In montagna si dormiva insieme, per terra, nei boschi, uomini e donne, ma se uno mancava di rispetto veniva punito. L'amore non contava niente. L'importante per noi era aiutare. Io ero anche fidanzata, lo lasciai quando mi disse che fare la partigiana mi avrebbe reso indegna di crescere i suoi figli. Non mi sono più sposata, anche se in montagna, avevo trovato un ragazzo ... lui si, lo avrei sposato se non me lo avessero ucciso, aveva una mentalità aperta, ma uomini così non ne ho più trovati. Si chiamava Trolli Giambattista, nome di battaglia «Fifa», anche se era coraggiosissimo. È morto nella battaglia di Monte Caio nel 1944, a ventitre anni. L'ho saputo solo sei mesi dopo, quando a primavera la neve si sciolse e il corpo fu ritrovato. È sepolto al cimitero di San Bartolomeo. Gli porto ancora i fiori ... Dev'essere stato importante per me, se mentre ne scrivo me lo rivedo davanti agli occhi. L'unico nostro bacio è stato d'addio. La sua vita è raccontata nell'autobiografia: "Laila. Storia di una donna nel 900. La fatica della libertà"