N. 06146/2014REG.PROV.COLL. N. 02965/2013 REG.RIC

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N. 06146/2014REG.PROV.COLL.
N. 02965/2013 REG.RIC.
R E P U B B L I C A
I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2965 del 2013, proposto dall’Autorità portuale di Brindisi,
rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato e presso la medesima domiciliata in
Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Associazione Agenti Marittimi Raccomandatari del Compartimento di Brindisi (Federagenti),
Aversa Francesco in proprio e nella qualità di rappresentante della Flanmare Lines Sa, Endeavor
Lines Maritime Company, Taveri Cosimo in proprio e nella qualità di rappresentante della
Bergamont Shipping Co. Ltd, rappresentati e difesi dall'avv. Tommaso Marrazza, con domicilio
eletto presso l’avv. Manlio Abati in Roma, via Antonio Mordini 14;
per la riforma della sentenza del t.a.r. puglia - sez. staccata di lecce, sezione i, n. 00164/2013, resa
tra le parti, concernente determinazione dei diritti portuali per le operazioni di imbarco e di
sbarco di passeggeri e veicoli;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle parti appellate
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Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 ottobre 2014 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le
parti l’avvocato dello Stato Andrea Fedeli e l’avv. Marrazza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
FATTO
Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, Lecce, sez. I, n. 164/13 del 25
gennaio 2013 (che non risulta notificata) è stato accolto il ricorso proposto dall’Associazione
Agenti Marittimi Raccomandatari del Compartimento di Brindisi e da altri operatori del settore,
avverso l’ordinanza n. 3/12 del 21 marzo 2012, emessa dall’Autorità portuale di Brindisi ed avente
ad oggetto “Determinazione dei diritti portuali, per l’espletamento dei compiti di vigilanza e per la
fornitura di servizi di sicurezza previsti….a favore dei passeggeri e dei mezzi che imbarcano e
sbarcano dalle navi….”; erano anche oggetto di impugnativa tutti gli atti presupposti, preparatori,
connessi e consequenziali e, in particolare, le ordinanze nn. 4 del 24 aprile 2009, 5 del 21 marzo
2006, 7 del 28 ottobre 2005 e 1/2005, aventi ad oggetto la rideterminazione delle varie tipologie di
tariffe da applicare, oltre al bilancio di previsione dell’Autorità portuale di Brindisi, in cui veniva
determinata quale “entrata diversa” la somma, derivante dall’applicazione delle tariffe di cui
trattasi.
Avverso la predetta sentenza è stato proposto l’atto di appello in esame, sulla base dei seguenti
motivi di gravame:
1) violazione o falsa applicazione dell’art. 29 c.p.a., con riferimento alle ordinanze del 2009 e del
2005, nonché al bilancio di previsione del 2012, essendo starti annullati provvedimenti
amministrativi pregressi e non più sindacabili, oltre che superati da provvedimenti successivi e
oggetto, peraltro, di un diverso giudizio, solo recentemente concluso. Quanto al bilancio di
previsione, approvato il 22 novembre 2012, il ricorso sarebbe stato ugualmente tardivo, fermo
restando che la tariffa risulterebbe regolarmente istituita, con puntuale espressione contabile nel
bilancio stesso, approvato dal Collegio dei Revisori dei conti, nonché dai Ministeri dell’Economia e
delle Infrastrutture;
2) violazione o falsa applicazione dell’art. 9 della legge n. 84 del 28 gennaio 1994, non essendo
previsto alcun parere del Comitato portuale, in quanto organo di amministrazione e non di
controllo, investito del compito di approvare il bilancio – previo parere del Collegio dei Revisori – e
di trasmetterlo ai Ministeri vigilanti; solo in altre materie – elencate nell’art. 8, comma 1, lettere h)
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ed i) della medesima legge – il predetto Comitato sarebbe chiamato ad esprimere il proprio parere;
in base all’art. 8, comma 3, lettera n bis), inoltre, il Presidente dell’Autorità portuale “esercita ogni
altra competenza…non attribuita…agli altri organi dell’Autorità”, ivi comprese – deve ritenersi –
“le addizionali su tasse, canoni e diritti per l’espletamento dei compiti di vigilanza e per la
fornitura di servizi di sicurezza”, a norma dell’art. 1, comma 984, della legge n. 296 del 2006.
Un’ulteriore fonte di legittimazione del provvedimento di cui trattasi sarebbe ravvisabile nell’art. 5
del Regolamento CE n. 300 del 2008, che prevede il diretto collegamento di “qualsiasi tassa o
trasferimento di costi inerenti alla sicurezza” con i “costi di fornitura dei servizi in questione”, al
fine di assicurare il recupero di tali costi. I servizi di security e vigilanza sarebbero peraltro distinti
da altri servizi, pure di interesse generale ma fruibili su domanda, a titolo oneroso per gli utenti:
solo per questi ultimi sarebbe richiesta una delibera del Comitato portuale, in base al combinato
disposto degli articoli 6, commi 1 lettera c) e 5, nonché dell’art. 9, comma 3, lettera e).
I diritti portuali, in conclusione, rappresenterebbero lo strumento, attraverso cui le navi concorrono
al funzionamento del porto, in conformità alla normativa comunitaria e – non rientrando fra le
competenze, espressamente attribuite al Comitato portuale – rientrerebbero tra i compiti del
Presidente dell’Ente.
L’iter procedurale, contestato nella fattispecie, sarebbe stato più volte confermato dalle pronunce
del giudice amministrativo, che avrebbe escluso la natura tributaria della tariffa, qualificata come
controprestazione, per specifici oneri assolti dall’Amministrazione. Venivano quindi riproposte le
ulteriori argomentazioni difensive, non trattate nella sentenza di primo grado.
Si sono costituiti in giudizio l’Associazione Agenti Marittimi Raccomandatari del Compartimento
di Brindisi ed altri operatori, censurando in primo luogo la proposizione di argomentazioni
difensive nuove nel presente grado di appello ed escludendo anche la pregressa piena conoscenza
delle altre delibere impugnate in primo grado. In pratica sarebbe stato addebitato agli utenti, senza il
parere del Comitato Portuale (necessario ex art. 9 della legge n. 84 del 1994), un obbligo posto ex
lege a carico dell’Autorità portuale, essendo le entrate dell’Autorità stessa puntualmente disciplinate
dall’articolo 13 della medesima normativa. Non attribuirebbe tale potere impositivo “ex novo” l’art.
1, commi 296 e seguenti della legge n. 296 del 2006, che attribuisce la facoltà di imporre
addizionali su tasse, canoni e diritti, ma non anche di introdurre tariffe di nuova istituzione (peraltro
con pagamento diretto all’Autorità portuale, anziché come negli altri casi agli uffici doganali).
Illogiche e discriminatorie, inoltre, sarebbero anche alcune previsioni di sgravio (ad esempio, in
funzione dell’età della nave e della frequenza degli approdi), essendo tali previsioni del tutto
scollegate dalle esigenze di sicurezza.
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Con memoria integrativa, infine, la medesima Associazione rendeva nota l’emanazione
dell’ordinanza n. 8 del 24 aprile 2014, previo parere del Comitato portuale: l’acquisizione di tale
parere costituirebbe manifestazione di acquiescenza dell’attuale parte appellante.
DIRITTO
La questione sottoposta all’esame del Collegio presuppone la valutazione, in ordine logico, delle
seguenti questioni (alcune delle quali sarebbero state rilevabili anche d’ufficio, ove non eccepite
dall’appellante):
a) impugnabilità, con ricorso giurisdizionale proposto nel 2012, delle ordinanze nn. 4 del 24 aprile
2009 e 5 del 21 marzo 2006, emesse dall’Autorità Portuale di Brindisi per la determinazione delle
tariffe, dovute per l’imbarcazione e lo sbarco di passeggeri e veicoli nel porto omonimo, nonché
delle ordinanze nn. 7 del 2005 e 1 del 2005, riferite alla tariffa di pertinenza dell’Autorità Portuale
in questione, da applicarsi per il traffico di navi traghetto e da crociera;
b) impugnabilità del bilancio della citata Autorità, nella parte in cui la tariffa in esame non avrebbe
trovato espressione fra le previsioni di entrata, attraverso una nota di variazione;
c) attribuzione, o meno, alla medesima Autorità di potestà amministrativa, per la determinazione di
dette tariffe;
c) necessità, o meno, che per tale determinazione dovesse, comunque, acquisirsi il parere del
Comitato portuale.
Per affrontare le problematiche sopra sintetizzate, il Collegio ritiene necessario effettuare alcune
puntualizzazioni, per quanto riguarda la natura giuridica dell’Ente interessato e quella delle tariffe
in contestazione.
Appare utile infatti sottolineare come l’Autorità Portuale sia una particolare tipologia di ente
pubblico, introdotta nell’ordinamento dalla legge n. 84 del 28 gennaio 1994, che espressamente
(nell’articolo 6, comma 2) attribuisce alla stessa “personalità giuridica di diritto pubblico” e
“autonomia amministrativa”, con regolamento di contabilità approvato dal Ministro dei Trasporti e
della Navigazione, di concerto con il Ministro del Tesoro; il rendiconto della gestione finanziaria,
inoltre, è soggetto al controllo della Corte dei Conti.
In tale contesto, mentre alcune pronunce della Corte di Cassazione definiscono le Autorità in
questione come enti pubblici economici, prevalentemente per i criteri imprenditoriali cui dovrebbe
essere ispirata la gestione e per la natura privatistica del rapporto di lavoro dei relativi addetti (Cass.
civ., sentenze nn. 12232 del 3 luglio 2004, 13729 del 14 ottobre 2000 e 10729 del 28 ottobre 1998),
il Collegio ritiene preferibile il prevalente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui tali Autorità –
pur avendo forte connotazione economica – possono definirsi organismi di diritto pubblico, ai sensi
dell’art. 3, comma 26, del d.lgs. n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici), in quanto dotate di
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personalità giuridica, istituite per soddisfare esigenze di interesse generale, a carattere non
industriale o commerciale, e soggette al controllo dello Stato (cfr. anche in tal senso Cons. St., sez.
II, 25 luglio 2008, parere n. 2361 e Cons. St., sez. IV, 8 maggio 2013, ordinanza n. 2492, emessa ai
sensi dell’art. 267 TFUE). In coerenza con detta natura giuridica – sicuramente più affine a quella
dell’ente pubblico non economico – risulta oggetto di giurisprudenza consolidata che la formazione
delle tariffe, per le prestazioni delle compagnie e gruppi portuali, nonché l’emanazione di norme
regolamentari per la relativa applicazione corrispondono ad attribuzioni pubblicistiche – da
esercitare nel preminente interesse generale – di disciplina e sorveglianza, per lo svolgimento in
sicurezza delle operazioni portuali; quanto sopra, prima a norma degli articoli 110 e 112 del codice
della navigazione e dell’art. 203 del relativo regolamento di esecuzione, poi in base alle analoghe
disposizioni della legge 28 gennaio 1994, n. 84 ( recante “Riordino della legislazione in materia
portuale”), con conseguente affermata giurisdizione del giudice amministrativo, essendo
individuabili nei decreti impositivi di dette tariffe delle norme di azione, a fronte delle quali le
posizioni dei privati hanno natura e consistenza di interessi legittimi (cfr. in tal senso, fra le tante,
Cass. civ., SS.UU. 11 luglio 1984, n. 4056, 9 novembre 1992, n. 12071, 25 maggio 1993, n. 5846,
19 ottobre 1993, n. 10342).
Le considerazioni svolte inducono a ritenere – con riferimento al quesito, di cui al precedente punto
a) – che il generico annullamento di tutti gli atti impugnati, contenuto nella sentenza appellata, non
potesse riferirsi anche alle ricordate ordinanze del 2005, 2006 e 2009, in quanto non rese oggetto di
gravame nei termini decadenziali, previsti per la tutela degli interessi legittimi; a seguito
dell’omessa tempestiva impugnazione, pertanto, deve ritenersi che tali ordinanze avessero ormai
acquisito l’attributo dell’inoppugnabilità (o consolidazione), tipico dell’azione amministrativa
autoritativa in funzione dei superiori interessi pubblici perseguiti (con residua possibilità solo di
annullamento in via di autotutela, o di eventuale disapplicazione nei giudizi civili e penali).
Le controdeduzioni delle parti resistenti, circa la mancata conoscenza degli atti in questione,
appaiono a loro volta inammissibili per genericità, non risultando specificata l’eventuale omissione
di forme adeguate di pubblicità e risultando, peraltro, poco plausibile la mancata conoscenza delle
tariffe portuali vigenti, da parte di operatori del settore.
Ugualmente inammissibile per ragioni diverse (passando al quesito, di cui al precedente punto b),
deve ritenersi l’impugnazione del bilancio, la cui natura giuridica non appare assimilabile a quella
dei provvedimenti amministrativi, trattandosi di atto interno a carattere contabile, inidoneo ad
incidere su situazioni soggettive protette, tutelabili innanzi al giudice amministrativo (fatto salvo il
controllo delle Autorità specificamente preposte: nel caso di specie, il Collegio dei Revisori dei
Conti, nonché i Ministeri dell’Economia e delle Infrastrutture, con ulteriore possibile intervento
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degli organismi comunitari, parimenti investiti di funzioni di controllo, con particolare riguardo al
regime – che non rileva nel caso di specie – degli aiuti di Stato).
Il primo ordine di censure prospettato nell’appello – e riferibile ai quesiti sopra affrontati – appare
pertanto condivisibile.
Il secondo ordine di censure investe i quesiti, di cui ai precedenti punti c) e d).
Il primo, logicamente prioritario, viene approfondito dalle parti resistenti, che negano radicalmente
la sussistenza di base normativa (ovviamente indispensabile, per la riserva di legge contenuta
nell’art. 23 della Costituzione) in rapporto alle istituite tariffe, connesse all’imbarco ed allo sbarco
da navi e traghetti di passeggeri e veicoli. Il Collegio non condivide tale argomentazione.
Appare ragionevole ritenere, in primo luogo, che tariffe e tributi portuali e aeroportuali siano
configurabili – come sostenuto da autorevole dottrina – quali vere e proprie tasse e non quali
corrispettivi di specifici servizi, poichè non derivanti da un rapporto contrattuale fra la nave e il
fornitore, ma istituiti quale strumento, attraverso cui la nave concorre al funzionamento generale del
porto, ovvero alle spese di manutenzione, funzionamento e sicurezza, da assicurare in ambito
portuale. Non a caso, ai sensi dell’art. 13, comma 2 bis, della già citata legge n. 84 del 1994 “le
Autorità portuali possono avvalersi, per la riscossione coattiva dei canoni demaniali e degli altri
proventi di loro competenza, della procedura ingiuntiva di cui al Regio Decreto 14 aprile 1910, n.
638”, costituente il “Testo Unico delle disposizioni di legge, relative alla riscossione delle entrate
patrimoniali dello Stato”. Di tale natura sono normalmente ritenuti i proventi delle tariffe, applicate
per l’imbarco e lo sbarco di merci, passeggeri e veicoli e la tassa di ancoraggio, mentre la diversa
qualificazione di corrispettivi deve essere riservata ai proventi di altri servizi, effettuati dai fornitori
a fronte di un rapporto contrattuale (servizi tecnico-nautici e simili, per i quali le imprese portuali
hanno soltanto un obbligo di pubblicità e comunicazione all’Autorità, portuale o marittima, a norma
16, comma 5 della legge n. 84 del 1994).
Posto dunque che, come già accennato, le tasse di imbarco e di sbarco risultano da tempo istituite in
numerosi ambiti portuali, è anche vero che la base normativa, per la relativa istituzione, non può
essere individuata nell’art. 1, comma 984, della legge n. 296 del 27 dicembre 2006 (legge
finanziaria 2007), che consente alle autorità portuali di applicare un’addizionale su “tasse, canoni e
diritti per l’espletamento dei compiti di vigilanza e per la fornitura di servizi di sicurezza, previsti
nei piani di sicurezza portuali”. Nell’impugnata ordinanza n. 3 del 2012, d’altra parte, la predetta
norma viene citata come presupposto per modifiche tariffarie, previste su tributi già in precedenza
istituiti, in base a presupposti normativi meglio specificati nell’ordinanza n. 1 del 2005, che
richiama tutte le esigenze – anche di sicurezza – che già all’epoca imponevano adeguamenti
tariffari, in rapporto a tributi, in effetti riconducibili agli articoli 6, 13 e 16 della più volte citata
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legge n. 84 del 1994. La prima di tali norme infatti, al comma 1, lettera c), dispone che l’Autorità
portuale effettui in una serie di porti – fra cui, per quanto qui interessa, quello di Brindisi –
“affidamento e controllo delle attività, dirette alla fornitura a titolo oneroso agli utenti portuali di
servizi di interesse generale, non coincidenti né strettamente connessi alle operazioni portuali di
cui all’art. 16, comma 1, individuati con decreto del Ministro dei Trasporti e della
Navigazione….”; l’art. 13, comma 1, lettere a, b, c, d ed e, elenca le entrate delle autorità portali,
aggiungendo ai canoni di concessione, eventuali cessioni di impianti, gettito delle tasse sulle merci
imbarcate e sbarcate e contributi regionali o di altri enti anche “entrate diverse”; l’art. 16, comma 1,
definisce “operazioni portuali il carico, lo scarico, il trasbordo, il deposito, il movimento in genere
delle merci e di ogni altro materiale….”, con ulteriore richiamo ai servizi, riferiti a “prestazioni
specialistiche, complementari e accessorie” rispetto a dette operazioni; al comma 2, inoltre, la
medesima norma prevede la “vigilanza” delle Autorità portuali sulle operazioni e sui servizi sopra
indicati, nonché sull’applicazione delle tariffe di cui al comma 5.
Il decreto del Ministero dei Trasporti e della Navigazione in data 14 novembre 1994
(“Identificazione dei servizi di interesse generale nei porti, da fornire a titolo oneroso all’utenza
portuale”), a sua volta, fa riferimento ad una vasta gamma di prestazioni da assicurare (servizi di
illuminazione, pulizia e raccolta rifiuti, forniture idriche, manutenzione e riparazione, nonché
“gestione delle stazioni marittime e servizi di supporto ai passeggeri”): nell’amplissima prospettiva,
così delineata, non possono certamente escludersi dai servizi di interesse generale quelli attinenti
alla sicurezza, che anche nella dimensione comunitaria debbono considerarsi insiti nella corretta
gestione degli approdi marittimi.
A quest’ultimo riguardo sono state ricordate l’introduzione, in data 1 luglio 2004, del nuovo
capitolo XI-2 della Convenzione internazionale Solas 74 (Misure speciali per migliorare la security
marittima – International Ship Port Port Security – ISPS), nonché il Regolamento (CE) 725/2004
del 31 marzo 2004, la direttiva 2005/65/CE ed il Piano Nazionale di Sicurezza Marittima, approvato
con decreto del Ministero dei Trasporti: norme, quelle appena indicate, impositive di standards che
l’Autorità portuale è chiamata ad assicurare. Ragionevolmente, pertanto, l’appellante riconduce a
servizi di interesse generale tutta la complessa serie di attività, connesse all’utilizzo delle banchine e
al transito dei passeggeri in condizioni di sicurezza, con riferimento a tutti i parametri previsti. E’
già stato sottolineato dalla giurisprudenza, d’altra parte, come il principio del “chi usa paga”,
sancito a livello comunitario, comporta che l’Autorità di cui trattasi possa rivalersi delle spese a
carattere generale affrontate sui fruitori del servizio (Cons. St., sez. VI, 7 febbraio 2014, n. 586).
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Il Collegio ritiene, pertanto, che il combinato disposto delle norme sopra richiamate, nonché il
citato articolo 1, comma 984, della legge n. 296 del 2006 fornissero adeguato supporto legislativo
all’emanazione dell’impugnata ordinanza n. 3 del 2012.
A diverse conclusioni il Collegio stesso perviene, tuttavia, per quanto riguarda l’emanazione della
predetta ordinanza a firma del Presidente dell’Autorità portuale, senza previa acquisizione del
parere del Comitato portuale. Quest’ultimo infatti, a norma dell’art. 9, comma 3, lettera f) della più
volte citata legge n. 84 del 1994,“esprime i pareri di cui all’art. 8, comma 3, lettere h) ed i)”; il
citato articolo 8 – col quale sono disciplinate le competenze del Presidente dell’Autorità portuale –
fa a sua volta riferimento nelle lettere richiamate all’amministrazione delle aree e dei beni del
demanio marittimo e, per quanto qui interessa, alle attribuzioni stabilite nell’art. 68 del codice della
navigazione e relative norme di attuazione, nonché alle competenze previste negli articoli 16 e 18
della stessa legge n. 84.
Il citato art. 68, cod. nav., a sua volta, concerne la “vigilanza sull’esercizio di attività nei porti”,
mentre l’art. 16 l. n. 84 del 1994 concerne, come già ricordato, le operazioni e i servizi portuali,
come individuati dalle competenti Autorità “attraverso una specifica regolamentazione, da
emanare in conformità dei criteri vincolanti fissati con decreto del Ministro dei trasporti e della
navigazione”.
In tale contesto, non può ritenersi che dalla determinazione delle tariffe di cui trattasi – inerenti a
servizi fondamentali, per il transito in sicurezza di passeggeri e veicoli – fosse escluso l’apporto
consultivo del citato Comitato, tenuto conto anche della composizione dello stesso, comprensiva di
rappresentanze dei fruitori dei diversi servizi in questione (senza quindi che si debbano richiamare –
come sostenuto dall’appellante – le competenze residuali di cui al medesimo art. 8, comma 3, lettera
n-bis, in presenza delle attribuzioni più specifiche sopra indicate).
Sotto il profilo in questione, pertanto, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto. Anche
se sulla base di diverse argomentazioni, pertanto, deve essere confermato l’annullamento
dell’ordinanza n. 3 del 2012, con assorbimento di ogni ulteriore ragione difensiva, ivi comprese
alcune contestazioni, riferite alle ragioni di parziale sgravio delle tariffe di cui trattasi, in ragione
della frequenza degli approdi e della data di fabbricazione delle navi. Tali sgravi, in sé non
irragionevoli, richiederanno comunque attenta valutazione in rapporto alla normativa comunitaria,
in materia di liberalizzazione dei trasporti marittimi tra Stati membri e fra Stati membri e Paesi terzi
(Regolamento CE n. 4055/86).
Per le ragioni esposte, in conclusione, l’appello è solo parzialmente accolto, con le conseguenze
precisate in dispositivo; quanto alle spese giudiziali, infine, la parziale soccombenza di entrambe le
parti ne rende equa, ad avviso del Collegio, la compensazione.
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P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, accoglie
in parte il ricorso in appello indicato in epigrafe, nei termini precisati in motivazione e per l’effetto,
in riforma della sentenza appellata, conferma solo l’annullamento dell’ordinanza n. 3 del 21 marzo
2012.
Compensa le spese giudiziali.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 ottobre 2014 con l'intervento dei
magistrati:
Luciano Barra Caracciolo, Presidente
Maurizio Meschino, Consigliere
Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore
Carlo Mosca, Consigliere
Vincenzo Lopilato, Consigliere
L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 15/12/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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