IL LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE IN EUROPA
Transcript
IL LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE IN EUROPA
“IL LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE IN EUROPA TRA FUNZIONI, TUTELE E DEGENERAZIONI: Vizi privati e pubbliche virtù” Giorgio Paterna “Non esiste più l’operaio o l’operaia alla quale si chiedeva di non pensare, di eseguire soltanto degli ordini meticolosamente preordinati, a cui si toglieva anche quei piccoli accorgimenti che costituivano il suo saper fare, la sua cultura del lavoro. Ecco oggi si carica anche i lavoratori a media e bassa qualifica […] di sempre nuove responsabilità, di sempre nuovi vincoli, di necessità di garantire non soltanto un’operazione meccanica ma anche un risultato, un risultato nella sua qualità, di impedire la formazione di scarti, di prevenire addirittura la formazione di scarti e di errori. E cioè, si chiede alle persone, e questa è la grande rivoluzione di questa fine del secolo, un lavoro concreto. Ecco, in questo modo entra in campo non più quella che si chiamava “la mercelavoro” o “il lavoro astratto”, entra in campo la persona. Ci troviamo di fronte ad una persona dotata di prime competenze, che ha bisogno anche di aggiornare i suoi saperi, a che è priva di diritti, che non ha un diritto a discutere del proprio lavoro, che non ha il diritto ad acquisire continuamente conoscenze, formazione che la mettano in condizione non solo di fare il suo lavoro oggi, ma domani, cambiando lavoro, di trovare una collocazione in un’attività produttiva o di servizio che sia sempre più capace di permettere di realizzare sé stessi. Questa è la nuova frontiera dei diritti che il sindacato deve sapere occupare.” Bruno Trentin, 1998 1 INDICE Introduzione pag. 3 Dalla Strategia di Lisbona pag.4 Le evoluzioni normative nazionali: i casi di Francia, Germania, Spagna e Italia In Francia pag. 7 In Germania pag. 10 In Spagna pag. 15 In Italia pag. 19 Considerazioni pag. 23 Conclusioni pag. 25 Bibliografia pag. 29 2 INTRODUZIONE “Vizi privati e pubbliche virtù” era il sottotitolo di un opera satirica inglese di Bernard de Mandeville dal titolo “La favola delle api” scritta in un periodo, il settecento, che viveva della forte influenza delle idee libertine che prendevano piede in Europa, in Francia e in Inghilterra in particolar modo. L’opera, attraverso l’utilizzo del genere fiabesco, fa una fotografia della società inglese, delle sue diseguaglianze e dei suoi sperperi come dello sfruttamento della classe lavoratrice, dei vizi di una parte molto minoritaria della popolazione che aveva gran parte della ricchezza della comunità come delle virtù di una classe lavoratrice che sapeva sacrificarsi sempre e comunque pur nell’insofferenza di veder godere solo la nobiltà della ricchezza prodotta grazie al suo lavoro. Le conclusioni del poema erano un manifesto della necessità dei vizi, delle lussurie, degli sprechi anche se questi più o meno direttamente erano a danno delle classi più povere, perché la loro assenza e una conseguente pace sociale e maggiore uguaglianza avrebbe portato all’indebolimento della comunità e ad una facile disgregazione di questa fino alla sua scomparsa. La globalizzazione dei mercati, da decenni a questa parte, impone un tema di competitività delle imprese di una comunità rispetto ad un'altra che, se affrontato solo dal punto di vista dell’abbassamento dei costi fissi, tra i quali il più corposo in Europa è quello del lavoro, rischia di generare le conseguenze di una società 3 divisa tra i vizi di pochi che godono della competitività sul piano globale delle proprie imprese e le virtù di molti lavoratori che si sacrificano perché si offra una resistenza del loro Paese del quale però si sentono ogni giorno meno cittadini, in un processo in cui la globalizzazione diventa solo un grimaldello per inasprire diseguaglianze sociali e ridurre il numero di chi può godere delle ricchezze prodotte dalla classe lavoratrice. DALLA STRATEGIA DI LISBONA DEL 2000 ALLE DIRETTIVA EUROPEA DEL 2008 Con il prendere piede della globalizzazione, le economie europee, che hanno in sé le conseguenze sociali di una lunga storia di sviluppo industriale combinata con numerosi e grandi movimenti popolari di rivendicazioni sociali, hanno cominciato a soffrire la competitività che il libero mercato ha generato in uno sfrenato gioco all’abbassamento dei costi. La globalizzazione del solo mercato, accompagnata e assecondata dalle teorie economiche liberiste, dalla pratica della deregulation, dalla finanziarizzazione esasperata dell’economia, ha accentuato e continua ad accentuare le diseguaglianze tra i paesi e nei paesi. In queste considerazioni di fondo trova le sue ragioni la Strategia di Lisbona del 23 e 24 marzo 2000 attraverso cui il Consiglio Europeo di allora, vedendo uniti i 4 Paesi membri, individua una serie di direttrici su cui lavorare tra i Paesi e all’interno di questi in un’azione corale che guardi alla formazione, all’innovazione, all’occupazione e all’inclusività sociale. Nelle prime righe, il documento conclusivo del Consiglio Europeo di Lisbona spiega: “L'Unione europea si trova dinanzi a una svolta epocale risultante dalla globalizzazione e dalle sfide presentate da una nuova economia basata sulla conoscenza. Questi cambiamenti interessano ogni aspetto della vita delle persone e richiedono una trasformazione radicale dell'economia europea. L'Unione deve modellare tali cambiamenti in modo coerente con i propri valori e concetti di società, anche in vista del prossimo allargamento.” Mentre l’unico passaggio che il documento di Lisbona fa sulla flessibilità del lavoro è in riferimento all’orario di lavoro, dando una lettura della necessità di flessibilità all’interno del processo produttivo e, quindi, in chiave interna all’azienda; “attribuire una più elevata priorità all'attività di apprendimento lungo tutto l'arco della vita quale elemento di base del modello sociale europeo, promuovendo altresì accordi tra le parti sociali in materia di innovazione e apprendimento lungo tutto l'arco della vita, sfruttando la complementarità tra tale apprendimento e l'adattabilità delle imprese e del loro personale mediante una gestione 5 flessibile dell'orario di lavoro e l'impiego a rotazione e introducendo un riconoscimento europeo per imprese particolarmente avanzate […]” Il terreno fertile su cui si è sviluppato il mercato del lavoro interinale, che ha trovato sempre più spazio e cittadinanza nelle richieste delle imprese e nelle norme nazionali sul lavoro, è stata una tendenza europea ad adottare politiche di flessibilità al lavoro, incentivando la flessibilità interna e accogliendo con favore la nuova forma di flessibilità esterna, il lavoro interinale, che si andava sviluppando già nei mercati del lavoro oltreoceano. La Comunità Europea, per seguire l’andamento normativo del lavoro interinale che i Paesi membri andavano costruendo, al fine di incardinarlo nelle due direttrici di un trattamento retributivo paritario tra lavoratori delle imprese ed interinali e di un utilizzo finalizzato ad aumentare l’occupazione in armonia con l’esigenza delle imprese di maggiore flessibilità, emana la “Direttiva 208/104/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa al lavoro tramite agenzia interinale”, influenzando le normative dei Paesi membri nell’ottica ben esplicitata dall’art. 2: “Finalità La presente direttiva è volta a garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale e migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale garantendo il rispetto del principio della parità di trattamento di cui all’art. 5 nei confronti dei lavoratori tramite agenzia interinale e riconoscendo tali agenzie quali datori 6 di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità di inquadrare adeguatamente il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme di lavoro flessibili.” LE EVOLUZIONI NORMATIVE NAZIONALI: I CASI DI FRANCIA, GERMANIA, SPAGNA E ITALIA. In Francia. In questo Paese il lavoro interinale fa parte di una tipologia di contratti a parte, classificati generalmente come contratti di lavoro conclusi con un’impresa di lavoro temporaneo (contrats de travail conclu avec une entreprise de travail temporaire). Ai sensi dell’art. L 1251-1 del nuovo Codice del lavoro, il ricorso al lavoro temporaneo ha per oggetto la messa a disposizione temporanea di un lavoratore, da parte di un’impresa di lavoro temporaneo, a beneficio di un’impresa utilizzatrice per l’esecuzione di una missione. Per quanto riguarda invece il contratto di missione, qualunque ne sia il motivo, esso non può avere né per oggetto né per effetto di fornire durevolmente un impiego legato all’attività normale e permanente dell’impresa utilizzatrice (art. L 125 1-5). 7 Si può fare appello a un lavoratore temporaneo solo per l’esecuzione di un compito preciso e temporaneo denominato “missione” e solo in determinati casi (art. L 1251-6), fra i quali si citano in particolare i seguenti: sostituzione di un dipendente in caso di assenza, di passaggio provvisorio a tempo parziale, di sospensione del suo contratto a tempo indeterminato, di partenza definitiva precedente la soppressione del suo posto di lavoro, di attesa dell’entrata in servizio del dipendente reclutato con contratto a tempo indeterminato destinato a sostituirlo; aumento temporaneo dell’attività dell’impresa; impieghi a carattere stagionale oppure appartenenti a settori determinati dalla legge o dalla contrattazione in cui è uso costante non ricorrere al contratto a tempo indeterminato in ragione della natura intrinseca dell’attività o dell’impiego. Oltre ai casi sopra citati, il contratto di missione può essere concluso nei seguenti casi, previsti dall’art. L 1251-7: quando la missione di lavoro temporaneo è finalizzata, in applicazione di disposizioni legali o di un accordo di comparto, a favorire il reclutamento di persone senza impiego con particolari difficoltà sociali e professionali; quando l’impresa di lavoro temporaneo e l’impresa utilizzatrice si impegnano, per una durata e a condizioni fissate con decreto o con accordo 8 di comparto, ad assicurare un complemento di formazione professionale al lavoratore. Il contratto di missione deve contenere un termine fissato con precisione sin dalla sua stipula (art. L 1251-11), salvo alcune eccezioni previste dallo stesso articolo. Ciò che rende quanto sopra descritto molto rigido e rispettoso nei confronti della particolarità del contratto di lavoro in somministrazione è che ogni violazione è punita con ammenda, la recidiva con incarcerazione e ammenda (art. L 1254-6). Questa tipologia contrattuale può avere una durata massima complessiva di 18 mesi (art. L 1251-1 2), ivi compreso l’eventuale unico rinnovo previsto dall’art. L 1251-35. In alcuni casi, la durata è portata a 24 mesi, in particolare quando il contratto di missione è concluso nel quadro della partenza definitiva di un dipendente precedente la soppressione del suo posto di lavoro o quando sopravviene nell’impresa principale o in un suo appaltatore un’ordinazione eccezionale all’esportazione. Anche qui la violazione è punita con ammenda, la recidiva con incarcerazione e ammenda (art. L 1254-7). Inoltre, quando un’impresa utilizzatrice ricorre a un lavoratore di un’impresa di lavoro temporaneo in violazione degli articoli fin qui citati, tale lavoratore può far valere presso di essa diritti corrispondenti a quelli di un CDI (contratto di durata indeterminata) con effetto dal primo giorno della sua missione (art. L 1251-40). 9 Inoltre, se al termine di una missione il lavoratore non beneficia immediatamente di un CDI con l’impresa utilizzatrice, egli ha diritto, a titolo di complemento retributivo, ad un’indennità di fine missione destinata a compensare la sua situazione di precarietà (art. 1251-32). Anche se vi sono alcuni casi tuttavia questa indennità non è dovuta. I contratti di lavoro conclusi con un’impresa di lavoro temporaneo sono anche detti in francese, con espressione atecnica, contrats de travail intérimaire. Insieme ai contratti a tempo determinato essi costituiscono i cosiddetti contrats courts, formulazione anch’essa informale. Nel 2006 questi “contratti corti” includevano il 10% dei lavoratori del settore privato. Essi sono stati utilizzati principalmente per consentire alle imprese di adattarsi rapidamente alle fluttuazioni congiunturali della loro attività. In Germania. La normativa sul lavoro interinale disciplina i rapporti che intercorrono tra un datore di lavoro (Verleiher) che mette temporaneamente a disposizione di un terzo soggetto (Entleiher) uno o più lavoratori (Leiharbeitnehmer) per l’esecuzione di una prestazione lavorativa. Pur essendo inserito nell’impresa utilizzatrice (Einsatzbetrieb) e soggetto alle direttive di quest’ultima, il lavoratore non è legato da nessun vincolo contrattuale con l’impresa alla quale è stato ceduto: il contratto di lavoro interinale (Arbeitnehmerüberlassungsvertrag) è stipulato dal soggetto 10 che “somministra” un lavoratore con l’impresa che lo utilizzerà, mentre sussiste un rapporto di lavoro ordinario tra datore di lavoro e lavoratore “somministrato” dall’altra. In base alla legge, il soggetto che intende fornire lavoratori ad un’impresa deve richiedere per iscritto una specifica autorizzazione (Erlaubnis) che di regola viene concessa per un anno. La richiesta di proroga va presentata al più tardi tre mesi prima della scadenza del termine. Non necessita invece di autorizzazione il datore di lavoro con meno di 50 dipendenti che cede in prestito un lavoratore ad un altro soggetto, per la durata massima di un anno, al fine di evitare la riduzione obbligata dell’orario di lavoro o licenziamenti, purché abbia precedentemente inviato una comunicazione scritta all’Agenzia federale del lavoro (Bundesagentur für Arbeit). La legge pone inoltre alcune limitazioni specifiche al rapporto di lavoro interinale per le imprese operanti nel settore edilizio (art. 1b dell’Arbeitnehmerüberlassungsgesetz). La prima disciplina del lavoro interinale, che risale al 1972, stabiliva già l’obbligo di autorizzazione per il datore di lavoro e conteneva una serie di disposizioni per la tutela del lavoratore ceduto “in prestito”. A partire dalla metà degli anni Ottanta si è delineata una evidente e progressiva tendenza alla liberalizzazione finalizzata ad ampliare e potenziare l’offerta dei posti di lavoro, premessa della successiva legislazione adottata per incentivare e promuovere l’occupazione. Con la c.d. legge Job-AQTIV (Gesetz zur Reform der ar beitsmarktpolitischen Instrumente), entrata in vigore all’inizio del 2002, la disciplina è stata 11 ulteriormente liberalizzata con l’elevazione della durata massima del contratto di lavoro interinale a 24 mesi rispetto al termine originario di 3 mesi previsto dalla legge del 1972. Successivamente, con la prima legge Hartz (Erstes Gesetz für moderne Dienstleistungen am Arbeitsmarkt) del 23 dicembre 2002, sono stati eliminati quasi tutti i vincoli all’utilizzo del lavoro interinale ed è stato stabilito il principio di parità di trattamento in base al quale al lavoratore somministrato non può essere corrisposto un trattamento inferiore a quello a cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice. Erano tuttavia previste alcune deroghe: era infatti consentito non rispettare tale principio nelle prime sei settimane del rapporto di lavoro, purché la retribuzione corrisposta non fosse inferiore all’ammontare del sussidio di disoccupazione. Inoltre, come in altri casi, la contrattazione collettiva poteva stabilire ulteriori fattispecie di deroga, teoricamente senza alcun limite. Ma con la prima legge di modifica delle norme che regola il lavoro temporaneo (Erstes Gesetz zur Änderung des Arbeitnehmerüberlassungsgesetzes – Verhinderung von Missbrauch der Arbeitnehmerüberlassung), del 28 aprile 2011, è stata eliminata la possibilità, prevista nel precedente Arbeitnehmerüberlassungsgesetz, di occupare i lavoratori interinali disoccupati da un periodo massimo sei settimane, offrendo loro una retribuzione netta pari al valore dell’ultima indennità di disoccupazione pagata; tale previsione, infatti, era in contrasto con il principio della parità di trattamento con gli altri lavoratori dell’impresa utilizzatrice, poiché una tale eccezione è 12 consentita solo in caso si contratti o rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di un programma specifico di formazione, di inserimento o di riqualificazione professionali (articolo 1, comma 3, della Direttiva 2008/104/CE INSERIRE NOTA). Pur essendo stata migliorata la posizione del lavoratore con l’introduzione del principio dell’equal treatment, sono stati tuttavia aboliti altri principi della norrmativa precedente a favore del lavoratore. Ai fini di una maggiore flessibilizazione, infatti, il fornitore di lavoro può licenziare il lavoratore quando non c’è più possibilità di occuparlo, anche se può riassumerlo quando la situazione migliora. Inoltre, le limitazioni relative alla proroga e alla continuazione di un contratto di lavoro interinale sono state rimosse rendendo così possibili assunzioni successive. Una particolarità importante della legge del 28 aprile 2011, che prova a correggere le storture della precedente normativa, è l’introduzione della cosiddetta “clausola della porta girevole” (Drehtürklausel), che pone fine alla pratica, posta in atto dalle imprese, di licenziare i propri lavoratori allo scopo di ricollocarli poco dopo nella stessa azienda o in un’azienda del medesimo gruppo come lavoratori temporanei per svolgere attività equivalenti, ma a condizioni peggiori. Inoltre, in attuazione dell’articolo 6 della direttiva europea (INSERISCI NOTA), le nuove disposizioni obbligano le imprese utilizzatrici a garantire ai lavoratori interinali l’accesso alle strutture o alle attrezzature collettive e, in particolare, ai servizi di ristorazione, alle infrastrutture di accoglienza dell’infanzia e ai servizi di 13 trasporto, alle stesse condizioni dei lavoratori impiegati direttamente dall’impresa stessa e ad informare gli stessi sui posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché possano aspirare, al pari degli altri dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di lavoro a tempo indeterminato. La nuova legge stabilisce, infine, l’inefficacia di accordi sui compensi alle agenzie di lavoro internale da parte dei lavoratori interinali in cambio di un’assunzione presso un’impresa utilizzatrice. Le Agenzie di impiego temporaneo (Personal Service Agenturen – PSA ), disciplinate dall’art. 37c del secondo Libro del Codice di legislazione sociale, rappresentano il principale risultato della liberalizzazione del lavoro a tempo determinato (Zeitarbeit) e di quello di tipo interinale (Leiharbeit). Con alcune successive modifiche al Codice di legislazione sociale è stata abrogata la disposizione che prevedeva di istituire almeno un’Agenzia di lavoro temporaneo presso ciascun ufficio distrettuale dell’Agenzia federale del lavoro. Possono fungere da agenzie di questo tipo soltanto soggetti privati già operanti sul mercato del lavoro a tempo determinato o interinale, i quali vengono selezionati e nominati dall’autorità pubblica con bando di gara. È infatti escluso l’intervento diretto dell’Agenzia federale del lavoro in questo settore occupazionale, salvo in alcune aree particolarmente svantaggiate sotto il profilo lavorativo. In tutte le altre aree le Agenzie di impiego temporaneo hanno il compito di fornire velocemente i 14 lavoratori disoccupati alle imprese, in modo da evitarne il passaggio al sistema degli ammortizzatori sociali. Fra l’Agenzia di impiego temporaneo e il lavoratore sussiste un rapporto di lavoro ordinario. Nei periodi in cui non riesce a fornire lavoratori ad un’impresa utilizzatrice, l’Agenzia di impiego temporaneo deve istituire corsi di formazione e qualificazione. In Spagna. Prima del 1994 la cessione temporanea di lavoratori da un’impresa ad un’altra era considerata in Spagna, in base all’articolo 43 della precedente versione dello Statuto dei Lavoratori (Legge 8/1980), come traffico illegale di manodopera ed era quindi vietata dalla legge. A seguito dell’entrata in vigore della Ley 14/1994, de 1 de junio, por la que regulan las Empresas de Trabajo Temporal, il legislatore spagnolo ha voluto adeguare la normativa interna a quella di altri paesi dell’Unione Europea, introducendo così quella forma di impiego allora nota come “lavoro interinale”. Il rapporto dell'impresa di lavoro temporaneo con l'azienda beneficiaria avviene mediante la sottoscrizione di contratti di mobilità (contratos de puesta a disposición) che possono realizzarsi in quattro casi, corrispondenti alle tipologie già esposte con riferimento ai contratti a tempo determinato disciplinati dall’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori: 1) realizzazione di opere o servizi determinati; 2) presenza di carichi eccezionali di lavoro, eccesso di richieste od 15 altre esigenze congiunturali del mercato; 3) sostituzione di lavoratori con diritto alla conservazione del posto; 4) copertura temporanea di posti durante operazioni di selezione o promozione di personale. Il contratto di mobilità può avere la durata massima di 6 mesi nel secondo caso e di 3 mesi nel quarto; nelle altre due fattispecie coincide con il periodo di sussistenza della causa per cui è stato sottoscritto; se alla scadenza del contratto il lavoratore continua a prestare servizio nell'impresa beneficiaria, viene considerato vincolato ad essa con un contratto a tempo indeterminato. E' vietato stipulare contratti di mobilità per sostituire lavoratori in sciopero, svolgere lavori od attività di particolare pericolosità per la salute o la sicurezza del lavoratore, cedere lavoratori ad altre imprese di lavoro interinale, e nei casi in cui, nei dodici mesi immediatamente precedenti, i posti di lavoro che si vuole coprire si si ano resi vacanti per licenziamento ingiusto o per soppressione dei posti per ragioni economiche, tecnologiche o per rescissione del contratto da parte del lavoratore per giusta causa. Il lavoratore è a sua volta legato all'impresa di lavoro interinale da contratto a tempo determinato od indeterminato. In quest'ultimo caso viene applicata la normativa generale per i contratti a tempo indefinito; nel primo caso il lavoratore ha diritto ad essere retribuito secondo quanto stabilito nei contratti collettivi, incluse le quote proporzionali di eventuali paghe straordinarie, di giorni festivi e 16 di ferie, e deve ricevere inoltre un'indennità economica, alla scadenza del contratto di mobilità, equivalente alla quota proporzionale della somma ottenuta moltiplicando d o dici gi orni di salario per ogni anno di servizio. La legge 14/1994 è stata successivamente modificata dalla Ley 29/1999, de 16 de julio, de modificación de la Ley 1 4/1994, de 1 de junio, por la que se regulan las empresas de trabajo temporal, poiché il legislatore spagnolo aveva ritenuto che la diffusione del lavoro interinale avesse accentuato i problemi di precarietà del lavoro dipendente, in considerazione di due fattori. In primo luogo la netta preferenza, da parte delle imprese intermediarie, per la sottoscrizione di contratti a tempo determinato con i lavoratori ad essa legati e, soprattutto, in secondo luogo, per il fatto che i lavoratori ceduti, durante il periodo di attività nelle aziende (contratti di mobilità), fossero retribuiti in base a contratti collettivi appositamente predisposti per il lavoro interinale, determinando spesso situazioni di disparità economica tra dipendenti dell'azienda e lavoratori temporanei, assegnati alla stessa mansione. La legge di riforma del 1999 ha quindi modificato diversi articoli della legge di base. In particolare, ai fini della valutazione del requisito della "struttura organizzativa" adeguata dell'impresa di intermediazione, la nuova legge ha indicato la preferenza per le imprese che dispongano di più lavoratori legati con contratti a tempo indefinito, imponendo in ogni caso il numero minimo di 12 dipendenti con contratti stabili (sia a tempo pieno sia a tempo parziale) ogni 1000 17 (o frazione di mille) lavoratori ceduti alle aziende nell'anno immediatamente precedente. Il calcolo va effettuato sommando tutti i giorni di messa a disposizione dell'insieme dei lavoratori ceduti e dividendo per 365. Con riferimento al problema della disparità di trattamento, è stato invece riformulato l'articolo 11 della legge del 1994, eliminando nei contratti di mobilità la possibilità di ricorso ad accordi economici particolari ed obbligando all’applicazione tout court del contratto collettivo in uso nell'azienda interessata. Gli interventi normativi successivi arrivano dopo quasi cinque mesi dall’approvazione del Regio decreto legge n. 3 del 2102, con il quale il Governo spagnolo aveva approvato misure urgenti di riforma del mercato del lavoro. Con questo passaggio legislativo il Parlamento spagnolo ha definitivamente approvato una nuova legge contenente alcune modifiche e integrazioni al testo originario dell’esecutivo, pur confermando l’impianto fondamentale della normativa iniziale, ispirato al modello della flexicurity (flexiseguridad in spagnolo), già sperimentato in alcuni paesi dell’Europa del Nord (Danimarca, Svezia, Olanda). La legge ha tradotto tale modello in quattro ordini di misure specifiche, corrispondenti ai quattro capitoli principali in cui era suddiviso il testo del decreto, seguiti da un quinto capitolo con norme riguardanti il processo del lavoro e da numerose disposizioni aggiuntive, transitorie, abrogative e finali. In particolare, si punta a: 18 favorire l’occupazione dei lavoratori, riformando gli aspetti relativi all’intermediazione lavorativa e alla formazione professionale; sostenere la contrattazione a tempo indeterminato ed altre forme di lavoro, con particolare attenzione all’occupazione dei giovani e da parte delle piccole e medie imprese; incentivare la flessibilità interna all’impresa come misura alternativa al licenziamento; promuovere l’efficienza del mercato del lavoro, adottando misure riguardanti le modalità di rescissione dei contratti di lavoro, al fine di ridurre il dualismo tra lavoratori protetti e lavoratori precari. Il riferimento al lavoro in somministrazione è, però, nel dettaglio, solo al capitolo I dal titolo “Misure per favorire l’impiego dei lavoratori”, dove si estende le competenze delle Agenzie di lavoro interinale, autorizzandole ad operare anche come agenzie private di collocamento. In Italia La somministrazione di lavoro è stata introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 276/2003. Fino ad allora la Legge 1369/1960 (NOTA!! CON IL TITOLO DELLA NORMA) vietava, come regola generale, che il lavoratore potesse intrattenere rapporti di lavoro con un soggetto diverso da quello che, organizzando il suo lavoro ed esercitando su di lui il potere direttivo, 19 utilizzava la sua prestazione. Questa regola generale era stata più recentemente limitata dalla Legge 196/1997, il cosiddetto “pacchetto Treu”, che aveva introdotto il lavoro interinale cui, peraltro, si poteva ricorrere solo a termine e solo in presenza di ben circoscritte ipotesi previste dalla contrattazione collettiva. Il D.Lgs. 276/2003 ha completamente rinnovato la materia in esame, disponendo che un’impresa, denominata "utilizzatrice", possa rivolgersi ad un'altra impresa autorizzata denominata "di somministrazione", al fine di ottenere una certa fornitura di manodopera, e con essa concludere, appunto, un contratto di somministrazione. Il lavoratore, utilizzato a seguito di questo contratto, svolge la sua attività lavorativa per l’utilizzatore, sotto la sua direzione e controllo, ma intrattiene un rapporto di lavoro solo nei confronti del somministratore, al quale rimane l’esercizio del potere disciplinare in virtù del rapporto di lavoro. La legge e la contrattazione collettiva dei diversi settori produttivi stabiliscono limitazioni alla somministrazione di manodopera. Le limitazioni legislative sono le definizioni dei casi nei quali è vietato ricorrere al contratto di somministrazione: per la sostituzione di lavoratori in sciopero; da parte di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza sul lavoro ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. n. 81/2008; presso unità produttive in cui si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle 20 stesse mansioni a cui si riferisce il contratto di somministrazione (salvo deroghe sindacali); presso imprese in cui siano in corso sospensioni di rapporti o riduzione dell'orario di lavoro con diritto al trattamento di integrazione salariale (CIG) che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione (salvo deroghe sindacali); da parte di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per la sicurezza sul lavoro ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. n. 81/2008. La Legge 191/2009 (finanziaria 2010) ha notevolmente limitato la portata del divieto di utilizzo della somministrazione da parte di imprese in crisi consentendo la possibilità di ricorrere a tale istituto per provvedere alla sostituzione di lavoratori assenti oppure in caso di assunzione di lavoratori dalle liste di mobilità o ancora nel caso in cui il contratto di somministrazione abbia una durata iniziale inferiore a tre mesi. Alla contrattazione collettiva nazionale è lasciata invece la definizione, per ciascun settore produttivo, dei limiti numerici di utilizzo di lavoratori in somministrazione, solitamente definiti in percentuale sulla forza lavoro a tempo indeterminato dell’impresa. Le ragioni per cui può essere assunto un lavoratore somministrato sono molteplici, ben definite dal dlgs 276/2003 e di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; è importante considerare che l’onere della prova della sussistenza di 21 tali ragioni spetta all’utilizzatore. Ma ciò che è altrettanto importante considerare è che, con l’occasione di dare attuazione alla direttiva europea del 2008 (che ribadisce il principio della parità di trattamento anche in Italia), il dlgs 24/2012 rafforza il principio di “acausalità” che si inseriva nella normativa sul lavoro in somministrazione già con la L. 191/2009 (legge finanziaria 2010) per andare in contro alle difficoltà dei lavoratori in difficoltà a causa degli effetti della crisi. Con il dlgs 24/2012. quindi, la normativa prevede l’acausalità della somministrazione in caso di invio in missione anche di: a) lavoratori disoccupati percettori, da almeno sei mesi, dell’indennità di disoccupazione (ora ASpI); b) lavoratori beneficiari, da almeno sei mesi, di ammortizzatori sociali (diversi dall’ASpI), anche in deroga; c) lavoratori cosiddetti “svantaggiati” o “molto svantaggiati” (ai sensi dei numeri 18) e 19) dell’articolo 2 del regolamento (CE) n. 800/2008 del 6 agosto 2008). Rimane comunque importante, per la normativa italiana del lavoro in somministrazione che scaturisce dalla contrattazione nazionale, il ruolo degli enti bilaterali che forniscono strumenti di sostegno al reddito che, anche se non esaustivi di una politica di flexecurity, aiutano il lavoratore in somministrazione dal punto di vista delle prestazioni sociali per malattie, maternità, disoccupazione. 22 Considerazioni Non c’è dubbio che il lavoro in somministrazioni, tra le tipologie contrattuale a tempo determinato, sia uno dei più tutelati e che, anche se in misure diverse da paese a paese, ha assolto, quantomeno nel periodo antecedente la crisi economica, alla funzione “cuscinetto” tra la disoccupazione e il mondo del lavoro. Da uno studio di Eurociett (la Confederazione europea delle agenzie per il lavoro) del 2011 si può avere una fotografia delle caratteristiche del lavoro in somministrazione in europa. grafico n. 1 Osservando il grafico 1, ad esempio, i cui dati risalgono però al 2008, si evince in modo chiaro che i settori produttivo in cui si fa un uso più largo della somministrazione sono il manifatturiero e i servizi. 23 grafico n. 2 grafico n. 3 Analizzando, invece il secondo ed il terzo grafico, i cui dati sono più recenti e quindi anche “inflazionati” dalla crisi, notiamo una netta differenza tra la lunghezza della media delle missioni tra la Germania e l’Italia, il che lascia intendere un abuso della somministrazione in Italia per sfuggire alle tutele e ai costi che periodi più lunghi di una missioni comportano. Si può, inoltre notare come sia frequente il ricordo a questa tipologia contrattuale per lavoratori in età 24 compresa tra i 31 e i 45 anni, sicuramente conseguente all’espulsione dal mondo del lavoro cui la crisi ha portato molti lavoratori e alla loro lontananza all’età pensionabile che li costringe a trovare altre soluzioni per compensare il reddito perso. Negli ultimi anni, infatti, anche secondo i dati dell’Osservatorio Ebitemp (ente bilaterale del lavoro in somministrazione) oltre ad un calo del numero medio di lavoratori interinali a tempo determinato occupati, si registra un considerevole aumento degli occupati ultraquarantenni fino a ricoprire il 25% del totale nel 2011 mentre si riduce la componente femminile. Se, infatti, il lavoro in somministrazione era, prima dell’inizio della crisi economica, uno strumento caratterizzato da un età giovanile dei lavoratori, oggi invece la platea di chi ricorre alle agenzie interinali è di età ben più alta, accrescendo il carattere di reinserimento nel mondo del lavoro da parte della somministrazione più che di primo inserimento per i lavoratori fuoriusciti da un’occupazione stabile colpita dalla crisi. CONCLUSIONI L’adeguamento alle flessioni del mercato, come la possibilità di costruire i bilanci in modo più attento rispetto ai costi e ai profitti sulla base dei periodi dell’anno e della maggiore o minore necessità di produttività, rende la flessibilità esterna uno strumento sicuramente utile per l’abbassamento del costo del lavoro. Se a questo aspetto affianchiamo la funzione “cuscinetto” (tra la disoccupazione e il lavoro 25 stabile) che ha portato, in tempi pre-crisi, un sostanziale innalzamento dei livelli occupazionali, avremmo un bilancio sostanzialmente positivo di questa tipologia contrattuale se non fosse per le mancanze che la legislazione italiana ha nell’aspetto della sicurezza che compone la flexecurity. Ma il rischio connaturato a questo strumento di avvicinamento al mondo del lavoro è che in un momento di contrazione dell’economia, come quello che stiamo vivendo, diventi una colonna sempre più importante nella struttura produttiva del sistema imprenditoriale al punto da diventare non più uno strumento straordinario per le aziende ma strumento ordinario che crea un canale preferenziale per questa tipologia contrattuale rispetto al tempo indeterminato. Se la fotografia dell’utilizzo di questo strumento pone il tema del cambiamento delle necessità produttive rispetto alle strutture contrattuali esistenti e alla loro concezione, nello stesso tempo evidenzia in Italia anche tutte le mancanze di una flexsecurity mai sviluppata nel nostro Paese che manca di strumenti sostanziali di sostegno al reddito per chi passa rapidamente da una breve occupazione ad un’altra con periodi anche lunghi di disoccupazione. E se a questo aggiungiamo il fatto che gli ultimi provvedimenti normativi, come l’acausalità, che trovano giustificazione in un momento di crisi economica per incentivare il ruolo di reinserimento nel mondo del lavoro che sta sviluppando la somministrazione, possano incentivare un utilizzo di questa più largo dalle aziende e in modo strutturale, e che quindi la somministrazione diventi un escamotage per evitare di assumere dipendenti diretti a tempo indeterminato a 26 prescindere dalla crisi, il risultato che otteniamo è una prospettiva preoccupante per le condizioni sociali della classe lavoratrice che ci ritroveremo alla ripresa economica, con conseguente difficoltà per i sindacati a trarre forza contrattuale da lavoratori, nei nel lavoro come nella vita, precari. L’analisi dell’evoluzione e delle prospettive del lavoro in somministrazione, nell’offrirci una visuale sul mercato del lavoro, non può non consegnarci anche ad una riflessione più grande, quella da cui sono partito da questa tesi, la globalizzazione e la sua sfida per non rimanerne schiacciati e vederla acuire le disuguaglianze tra i paesi e nei paesi, a vantaggio degli interessi profittuali di pochi e a scapito delle condizioni sociali di molti, dei vizi di pochi e delle virtù di molti. Una sfida, quella della globalizzazione, che si vince sicuramente nell’efficientamento del sistema produttivo, tra riduzioni del costo del lavoro (come incidenza del costo del lavoro nei margini di produzione, quindi anche in termini di flessibilità interna, e di conseguenza nell’incremento di fatturato) e incentivi pubblici alla competitività e maggior incidenza dell’innovazione attraverso la formazione e la ricerca, ma sicuramente anche attraverso una globalizzazione di diritti e tutele per il mondo del lavoro anche nei paesi dove lo sfruttamento del lavoro è il paradigma su cui si costruiscono intere fliere produttive che sfornano prodotti a basso costo in grado di competere nei mercati interni dei paesi occidentali. Perché il prezzo della competitività non può essere 27 una divaricazione delle condizioni sociali di vita, la cui tutela è anche questa parte integrante dei contenuti della Strategia di Lisbona ma lontana dalle intenzioni vere e, quindi, dalle scelte forti cui è chiamato il nostro Paese. 28