IL LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE IN EUROPA

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IL LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE IN EUROPA
“IL LAVORO IN SOMMINISTRAZIONE IN EUROPA
TRA FUNZIONI, TUTELE E DEGENERAZIONI:
Vizi privati e pubbliche virtù”
Giorgio Paterna
“Non esiste più l’operaio o l’operaia alla quale si chiedeva di non pensare, di eseguire soltanto
degli ordini meticolosamente preordinati, a cui si toglieva anche quei piccoli accorgimenti che
costituivano il suo saper fare, la sua cultura del lavoro. Ecco oggi si carica anche i lavoratori a
media e bassa qualifica […] di sempre nuove responsabilità, di sempre nuovi vincoli, di necessità
di garantire non soltanto un’operazione meccanica ma anche un risultato, un risultato nella sua
qualità, di impedire la formazione di scarti, di prevenire addirittura la formazione di scarti e di
errori. E cioè, si chiede alle persone, e questa è la grande rivoluzione di questa fine del secolo, un
lavoro concreto. Ecco, in questo modo entra in campo non più quella che si chiamava “la mercelavoro” o “il lavoro astratto”, entra in campo la persona.
Ci troviamo di fronte ad una persona dotata di prime competenze, che ha bisogno anche di
aggiornare i suoi saperi, a che è priva di diritti, che non ha un diritto a discutere del proprio
lavoro, che non ha il diritto ad acquisire continuamente conoscenze, formazione che la mettano in
condizione non solo di fare il suo lavoro oggi, ma domani, cambiando lavoro, di trovare una
collocazione in un’attività produttiva o di servizio che sia sempre più capace di permettere di
realizzare sé stessi. Questa è la nuova frontiera dei diritti che il sindacato deve sapere occupare.”
Bruno Trentin, 1998
1
INDICE
Introduzione
pag. 3
Dalla Strategia di Lisbona
pag.4
Le evoluzioni normative nazionali: i casi di Francia, Germania, Spagna e
Italia
In Francia
pag. 7
In Germania
pag. 10
In Spagna
pag. 15
In Italia
pag. 19
Considerazioni
pag. 23
Conclusioni
pag. 25
Bibliografia
pag. 29
2
INTRODUZIONE
“Vizi privati e pubbliche virtù” era il sottotitolo di un opera satirica inglese di
Bernard de Mandeville dal titolo “La favola delle api” scritta in un periodo, il
settecento, che viveva della forte influenza delle idee libertine che prendevano
piede in Europa, in Francia e in Inghilterra in particolar modo. L’opera, attraverso
l’utilizzo del genere fiabesco, fa una fotografia della società inglese, delle sue
diseguaglianze e dei suoi sperperi come dello sfruttamento della classe lavoratrice,
dei vizi di una parte molto minoritaria della popolazione che aveva gran parte
della ricchezza della comunità come delle virtù di una classe lavoratrice che
sapeva sacrificarsi sempre e comunque pur nell’insofferenza di veder godere solo
la nobiltà della ricchezza prodotta grazie al suo lavoro. Le conclusioni del poema
erano un manifesto della necessità dei vizi, delle lussurie, degli sprechi anche se
questi più o meno direttamente erano a danno delle classi più povere, perché la
loro assenza e una conseguente pace sociale e maggiore uguaglianza avrebbe
portato all’indebolimento della comunità e ad una facile disgregazione di questa
fino alla sua scomparsa.
La globalizzazione dei mercati, da decenni a questa parte, impone un tema di
competitività delle imprese di una comunità rispetto ad un'altra che, se affrontato
solo dal punto di vista dell’abbassamento dei costi fissi, tra i quali il più corposo
in Europa è quello del lavoro, rischia di generare le conseguenze di una società
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divisa tra i vizi di pochi che godono della competitività sul piano globale delle
proprie imprese e le virtù di molti lavoratori che si sacrificano perché si offra una
resistenza del loro Paese del quale però si sentono ogni giorno meno cittadini, in
un processo in cui la globalizzazione diventa solo un grimaldello per inasprire
diseguaglianze sociali e ridurre il numero di chi può godere delle ricchezze
prodotte dalla classe lavoratrice.
DALLA STRATEGIA DI LISBONA DEL 2000
ALLE DIRETTIVA EUROPEA DEL 2008
Con il prendere piede della globalizzazione, le economie europee, che hanno in sé
le conseguenze sociali di una lunga storia di sviluppo industriale combinata con
numerosi e grandi movimenti popolari di rivendicazioni sociali, hanno cominciato
a soffrire la competitività che il libero mercato ha generato in uno sfrenato gioco
all’abbassamento dei costi. La globalizzazione del solo mercato, accompagnata e
assecondata dalle teorie economiche liberiste, dalla pratica della deregulation,
dalla finanziarizzazione esasperata dell’economia, ha accentuato e continua ad
accentuare le diseguaglianze tra i paesi e nei paesi.
In queste considerazioni di fondo trova le sue ragioni la Strategia di Lisbona del
23 e 24 marzo 2000 attraverso cui il Consiglio Europeo di allora, vedendo uniti i
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Paesi membri, individua una serie di direttrici su cui lavorare tra i Paesi e
all’interno di questi in un’azione corale che guardi alla formazione,
all’innovazione, all’occupazione e all’inclusività sociale.
Nelle prime righe, il documento conclusivo del Consiglio Europeo di Lisbona
spiega:
“L'Unione europea si trova dinanzi a una svolta epocale risultante dalla
globalizzazione e dalle sfide presentate da una nuova economia basata sulla
conoscenza. Questi cambiamenti interessano ogni aspetto della vita delle persone
e richiedono una trasformazione radicale dell'economia europea. L'Unione deve
modellare tali cambiamenti in modo coerente con i propri valori e concetti di
società, anche in vista del prossimo allargamento.”
Mentre l’unico passaggio che il documento di Lisbona fa sulla flessibilità del
lavoro è in riferimento all’orario di lavoro, dando una lettura della necessità di
flessibilità all’interno del processo produttivo e, quindi, in chiave interna
all’azienda;
“attribuire una più elevata priorità all'attività di apprendimento lungo tutto l'arco
della vita quale elemento di base del modello sociale europeo, promuovendo
altresì accordi tra le parti sociali in materia di innovazione e apprendimento
lungo tutto l'arco della vita, sfruttando la complementarità tra tale apprendimento
e l'adattabilità delle imprese e del loro personale mediante una gestione
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flessibile dell'orario di lavoro e l'impiego a rotazione e introducendo un
riconoscimento europeo per imprese particolarmente avanzate […]”
Il terreno fertile su cui si è sviluppato il mercato del lavoro interinale, che ha
trovato sempre più spazio e cittadinanza nelle richieste delle imprese e nelle
norme nazionali sul lavoro, è stata una tendenza europea ad adottare politiche di
flessibilità al lavoro, incentivando la flessibilità interna e accogliendo con favore
la nuova forma di flessibilità esterna, il lavoro interinale, che si andava
sviluppando già nei mercati del lavoro oltreoceano.
La Comunità Europea, per seguire l’andamento normativo del lavoro interinale
che i Paesi membri andavano costruendo, al fine di incardinarlo nelle due direttrici
di un trattamento retributivo paritario tra lavoratori delle imprese ed interinali e di
un utilizzo finalizzato ad aumentare l’occupazione in armonia con l’esigenza delle
imprese di maggiore flessibilità, emana la “Direttiva 208/104/CE del Parlamento
Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 relativa al lavoro tramite agenzia
interinale”, influenzando le normative dei Paesi membri nell’ottica ben esplicitata
dall’art. 2:
“Finalità
La presente direttiva è volta a garantire la tutela dei lavoratori tramite agenzia
interinale e migliorare la qualità del lavoro tramite agenzia interinale garantendo
il rispetto del principio della parità di trattamento di cui all’art. 5 nei confronti
dei lavoratori tramite agenzia interinale e riconoscendo tali agenzie quali datori
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di lavoro, tenendo conto nel contempo della necessità di inquadrare
adeguatamente il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale al fine di
contribuire efficacemente alla creazione di posti di lavoro e allo sviluppo di forme
di lavoro flessibili.”
LE EVOLUZIONI NORMATIVE NAZIONALI:
I CASI DI FRANCIA, GERMANIA, SPAGNA E ITALIA.
In Francia.
In questo Paese il lavoro interinale fa parte di una tipologia di contratti a parte,
classificati generalmente come contratti di lavoro conclusi con un’impresa di
lavoro temporaneo (contrats de travail conclu avec une entreprise de travail
temporaire).
Ai sensi dell’art. L 1251-1 del nuovo Codice del lavoro, il ricorso al lavoro
temporaneo ha per oggetto la messa a disposizione temporanea di un lavoratore,
da parte di un’impresa di lavoro temporaneo, a beneficio di un’impresa
utilizzatrice per l’esecuzione di una missione. Per quanto riguarda invece il
contratto di missione, qualunque ne sia il motivo, esso non può avere né per
oggetto né per effetto di fornire durevolmente un impiego legato all’attività
normale e permanente dell’impresa utilizzatrice (art. L 125 1-5).
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Si può fare appello a un lavoratore temporaneo solo per l’esecuzione di un
compito preciso e temporaneo denominato “missione” e solo in determinati casi
(art. L 1251-6), fra i quali si citano in particolare i seguenti:
 sostituzione di un dipendente in caso di assenza, di passaggio provvisorio a
tempo parziale, di sospensione del suo contratto a tempo indeterminato, di
partenza definitiva precedente la soppressione del suo posto di lavoro, di
attesa dell’entrata in servizio del dipendente reclutato con contratto a
tempo indeterminato destinato a sostituirlo;
 aumento temporaneo dell’attività dell’impresa;
 impieghi a carattere stagionale oppure appartenenti a settori determinati
dalla legge o dalla contrattazione in cui è uso costante non ricorrere al
contratto a tempo indeterminato in ragione della natura intrinseca
dell’attività o dell’impiego.
Oltre ai casi sopra citati, il contratto di missione può essere concluso nei seguenti
casi, previsti dall’art. L 1251-7:
 quando la missione di lavoro temporaneo è finalizzata, in applicazione di
disposizioni legali o di un accordo di comparto, a favorire il reclutamento
di persone senza impiego con particolari difficoltà sociali e professionali;
 quando l’impresa di lavoro temporaneo e l’impresa utilizzatrice si
impegnano, per una durata e a condizioni fissate con decreto o con accordo
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di comparto, ad assicurare un complemento di formazione professionale al
lavoratore.
Il contratto di missione deve contenere un termine fissato con precisione sin dalla
sua stipula (art. L 1251-11), salvo alcune eccezioni previste dallo stesso articolo.
Ciò che rende quanto sopra descritto molto rigido e rispettoso nei confronti della
particolarità del contratto di lavoro in somministrazione è che ogni violazione è
punita con ammenda, la recidiva con incarcerazione e ammenda (art. L 1254-6).
Questa tipologia contrattuale può avere una durata massima complessiva di 18
mesi (art. L 1251-1 2), ivi compreso l’eventuale unico rinnovo previsto dall’art. L
1251-35. In alcuni casi, la durata è portata a 24 mesi, in particolare quando il
contratto di missione è concluso nel quadro della partenza definitiva di un
dipendente precedente la soppressione del suo posto di lavoro o quando
sopravviene nell’impresa principale o in un suo appaltatore un’ordinazione
eccezionale all’esportazione. Anche qui la violazione è punita con ammenda, la
recidiva con incarcerazione e ammenda (art. L 1254-7). Inoltre, quando
un’impresa utilizzatrice ricorre a un lavoratore di un’impresa di lavoro
temporaneo in violazione degli articoli fin qui citati, tale lavoratore può far valere
presso di essa diritti corrispondenti a quelli di un CDI (contratto di durata
indeterminata) con effetto dal primo giorno della sua missione (art. L 1251-40).
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Inoltre, se al termine di una missione il lavoratore non beneficia immediatamente
di un CDI con l’impresa utilizzatrice, egli ha diritto, a titolo di complemento
retributivo, ad un’indennità di fine missione destinata a compensare la sua
situazione di precarietà (art. 1251-32). Anche se vi sono alcuni casi tuttavia
questa indennità non è dovuta.
I contratti di lavoro conclusi con un’impresa di lavoro temporaneo sono anche
detti in francese, con espressione atecnica, contrats de travail intérimaire. Insieme
ai contratti a tempo determinato essi costituiscono i cosiddetti contrats courts,
formulazione anch’essa informale. Nel 2006 questi “contratti corti” includevano il
10% dei lavoratori del settore privato. Essi sono stati utilizzati principalmente per
consentire alle imprese di adattarsi rapidamente alle fluttuazioni congiunturali
della loro attività.
In Germania.
La normativa sul lavoro interinale disciplina i rapporti che intercorrono tra un
datore di lavoro (Verleiher) che mette temporaneamente a disposizione di un terzo
soggetto (Entleiher) uno o più lavoratori (Leiharbeitnehmer) per l’esecuzione di
una prestazione lavorativa. Pur essendo inserito nell’impresa utilizzatrice
(Einsatzbetrieb) e soggetto alle direttive di quest’ultima, il lavoratore non è legato
da nessun vincolo contrattuale con l’impresa alla quale è stato ceduto: il contratto
di lavoro interinale (Arbeitnehmerüberlassungsvertrag) è stipulato dal soggetto
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che “somministra” un lavoratore con l’impresa che lo utilizzerà, mentre sussiste
un rapporto di lavoro ordinario tra datore di lavoro e lavoratore “somministrato”
dall’altra. In base alla legge, il soggetto che intende fornire lavoratori ad
un’impresa deve richiedere per iscritto una specifica autorizzazione (Erlaubnis)
che di regola viene concessa per un anno. La richiesta di proroga va presentata al
più tardi tre mesi prima della scadenza del termine. Non necessita invece di
autorizzazione il datore di lavoro con meno di 50 dipendenti che cede in prestito
un lavoratore ad un altro soggetto, per la durata massima di un anno, al fine di
evitare la riduzione obbligata dell’orario di lavoro o licenziamenti, purché abbia
precedentemente inviato una comunicazione scritta all’Agenzia federale del
lavoro (Bundesagentur für Arbeit). La legge pone inoltre alcune limitazioni
specifiche al rapporto di lavoro interinale per le imprese operanti nel settore
edilizio (art. 1b dell’Arbeitnehmerüberlassungsgesetz).
La prima disciplina del lavoro interinale, che risale al 1972, stabiliva già l’obbligo
di autorizzazione per il datore di lavoro e conteneva una serie di disposizioni per
la tutela del lavoratore ceduto “in prestito”. A partire dalla metà degli anni
Ottanta si è delineata una evidente e progressiva tendenza alla liberalizzazione
finalizzata ad ampliare e potenziare l’offerta dei posti di lavoro, premessa della
successiva legislazione adottata per incentivare e promuovere l’occupazione. Con
la c.d. legge Job-AQTIV
(Gesetz zur Reform der ar beitsmarktpolitischen
Instrumente), entrata in vigore all’inizio del 2002, la disciplina è stata
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ulteriormente liberalizzata con l’elevazione della durata massima del contratto di
lavoro interinale a 24 mesi rispetto al termine originario di 3 mesi previsto dalla
legge del 1972. Successivamente, con la prima legge Hartz (Erstes Gesetz für
moderne Dienstleistungen am Arbeitsmarkt) del 23 dicembre 2002, sono stati
eliminati quasi tutti i vincoli all’utilizzo del lavoro interinale ed è stato stabilito il
principio di parità di trattamento in base al quale al lavoratore somministrato non
può essere corrisposto un trattamento inferiore a quello a cui hanno diritto i
dipendenti di pari livello dell’impresa utilizzatrice.
Erano tuttavia previste alcune deroghe: era infatti consentito non rispettare tale
principio nelle prime sei settimane del rapporto di lavoro, purché la retribuzione
corrisposta non fosse inferiore all’ammontare del sussidio di disoccupazione.
Inoltre, come in altri casi, la contrattazione collettiva poteva stabilire ulteriori
fattispecie di deroga, teoricamente senza alcun limite. Ma con la prima legge di
modifica delle norme che regola il lavoro temporaneo (Erstes Gesetz zur
Änderung des Arbeitnehmerüberlassungsgesetzes – Verhinderung von Missbrauch
der Arbeitnehmerüberlassung), del 28 aprile 2011, è stata eliminata la possibilità,
prevista nel precedente Arbeitnehmerüberlassungsgesetz, di occupare i lavoratori
interinali disoccupati da un periodo massimo sei settimane, offrendo loro una
retribuzione netta pari al valore dell’ultima indennità di disoccupazione pagata;
tale previsione, infatti, era in contrasto con il principio della parità di trattamento
con gli altri lavoratori dell’impresa utilizzatrice, poiché una tale eccezione è
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consentita solo in caso si contratti o rapporti di lavoro conclusi nell’ambito di un
programma specifico di formazione, di inserimento o di riqualificazione
professionali (articolo 1, comma 3, della Direttiva 2008/104/CE INSERIRE
NOTA). Pur essendo stata migliorata la posizione del lavoratore con
l’introduzione del principio dell’equal treatment, sono stati tuttavia aboliti altri
principi della norrmativa precedente a favore del lavoratore. Ai fini di una
maggiore flessibilizazione, infatti, il fornitore di lavoro può licenziare il lavoratore
quando non c’è più possibilità di occuparlo, anche se può riassumerlo quando la
situazione migliora. Inoltre, le limitazioni relative alla proroga e alla
continuazione di un contratto di lavoro interinale sono state rimosse rendendo così
possibili assunzioni successive.
Una particolarità importante della legge del 28 aprile 2011, che prova a correggere
le storture della precedente normativa, è l’introduzione della cosiddetta “clausola
della porta girevole” (Drehtürklausel), che pone fine alla pratica, posta in atto
dalle imprese, di licenziare i propri lavoratori allo scopo di ricollocarli poco dopo
nella stessa azienda o in un’azienda del medesimo gruppo come lavoratori
temporanei per svolgere attività equivalenti, ma a condizioni peggiori.
Inoltre, in attuazione dell’articolo 6 della direttiva europea (INSERISCI NOTA),
le nuove disposizioni obbligano le imprese utilizzatrici a garantire ai lavoratori
interinali l’accesso alle strutture o alle attrezzature collettive e, in particolare, ai
servizi di ristorazione, alle infrastrutture di accoglienza dell’infanzia e ai servizi di
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trasporto, alle stesse condizioni dei lavoratori impiegati direttamente dall’impresa
stessa e ad informare gli stessi sui posti vacanti nell’impresa utilizzatrice, affinché
possano aspirare, al pari degli altri dipendenti dell’impresa, a ricoprire posti di
lavoro a tempo indeterminato.
La nuova legge stabilisce, infine, l’inefficacia di accordi sui compensi alle agenzie
di lavoro internale da parte dei lavoratori interinali in cambio di un’assunzione
presso un’impresa utilizzatrice.
Le Agenzie di impiego temporaneo (Personal Service Agenturen – PSA ),
disciplinate dall’art. 37c del secondo Libro del Codice di legislazione sociale,
rappresentano il principale risultato della liberalizzazione del lavoro a tempo
determinato (Zeitarbeit) e di quello di tipo interinale (Leiharbeit). Con alcune
successive modifiche al Codice di legislazione
sociale è stata abrogata la
disposizione che prevedeva di istituire almeno un’Agenzia di lavoro temporaneo
presso ciascun ufficio distrettuale dell’Agenzia federale del lavoro. Possono
fungere da agenzie di questo tipo soltanto soggetti privati già operanti sul mercato
del lavoro a tempo determinato o interinale, i quali vengono selezionati e nominati
dall’autorità pubblica con bando di gara. È infatti escluso l’intervento diretto
dell’Agenzia federale del lavoro in questo settore occupazionale, salvo in alcune
aree particolarmente svantaggiate sotto il profilo lavorativo. In tutte le altre aree
le Agenzie di impiego temporaneo hanno il compito di fornire velocemente i
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lavoratori disoccupati alle imprese, in modo da evitarne il passaggio al sistema
degli ammortizzatori sociali. Fra l’Agenzia di impiego temporaneo e il lavoratore
sussiste un rapporto di lavoro ordinario. Nei periodi in cui non riesce a fornire
lavoratori ad un’impresa utilizzatrice, l’Agenzia di impiego temporaneo deve
istituire corsi di formazione e qualificazione.
In Spagna.
Prima del 1994 la cessione temporanea di lavoratori da un’impresa ad un’altra era
considerata in Spagna, in base all’articolo 43 della precedente versione dello
Statuto dei Lavoratori (Legge 8/1980), come traffico illegale di manodopera ed
era quindi vietata dalla legge.
A seguito dell’entrata in vigore della Ley 14/1994, de 1 de junio, por la que
regulan las Empresas de Trabajo Temporal, il legislatore spagnolo ha voluto
adeguare la normativa interna a quella di altri paesi dell’Unione Europea,
introducendo così quella forma di impiego allora nota come “lavoro interinale”.
Il rapporto dell'impresa di lavoro temporaneo con l'azienda beneficiaria avviene
mediante la sottoscrizione di contratti di mobilità (contratos de puesta a
disposición) che possono realizzarsi in quattro casi, corrispondenti alle tipologie
già esposte con riferimento ai contratti a tempo determinato disciplinati
dall’articolo 15 dello Statuto dei lavoratori: 1) realizzazione di opere o servizi
determinati; 2) presenza di carichi eccezionali di lavoro, eccesso di richieste od
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altre esigenze congiunturali del mercato; 3) sostituzione di lavoratori con diritto
alla conservazione del posto; 4) copertura temporanea di posti durante operazioni
di selezione o promozione di personale.
Il contratto di mobilità può avere la durata massima di 6 mesi nel secondo caso e
di 3 mesi nel quarto; nelle altre due fattispecie coincide con il periodo di
sussistenza della causa per cui è stato sottoscritto; se alla scadenza del contratto il
lavoratore continua a prestare servizio nell'impresa beneficiaria, viene considerato
vincolato ad essa con un contratto a tempo indeterminato. E' vietato stipulare
contratti di mobilità per sostituire lavoratori in sciopero, svolgere lavori od attività
di particolare pericolosità per la salute o la sicurezza del lavoratore, cedere
lavoratori ad altre imprese di lavoro interinale, e nei casi in cui, nei dodici mesi
immediatamente precedenti, i posti di lavoro che si vuole coprire si si ano resi
vacanti per licenziamento ingiusto o per soppressione dei posti per ragioni
economiche, tecnologiche o per rescissione del contratto da parte del lavoratore
per giusta causa.
Il lavoratore è a sua volta legato all'impresa di lavoro interinale da contratto a
tempo determinato od indeterminato. In quest'ultimo caso viene applicata la
normativa generale per i contratti a tempo indefinito; nel primo caso il lavoratore
ha diritto ad essere retribuito secondo quanto stabilito nei contratti collettivi,
incluse le quote proporzionali di eventuali paghe straordinarie, di giorni festivi e
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di ferie, e deve ricevere inoltre un'indennità economica, alla scadenza del
contratto di mobilità, equivalente alla quota proporzionale della somma ottenuta
moltiplicando d o dici gi orni di salario per ogni anno di servizio.
La legge 14/1994 è stata successivamente modificata dalla Ley 29/1999, de 16 de
julio, de modificación de la Ley 1 4/1994, de 1 de junio, por la que se regulan las
empresas de trabajo temporal, poiché il legislatore spagnolo aveva ritenuto che la
diffusione del lavoro interinale avesse accentuato i problemi di precarietà del
lavoro dipendente, in considerazione di due fattori. In primo luogo la netta
preferenza, da parte delle imprese intermediarie, per la sottoscrizione di contratti
a tempo determinato con i lavoratori ad essa legati e, soprattutto, in secondo
luogo, per il fatto che i lavoratori ceduti, durante il periodo di attività nelle
aziende (contratti di mobilità), fossero retribuiti in base a contratti collettivi
appositamente predisposti per il lavoro interinale, determinando spesso situazioni
di disparità economica tra dipendenti dell'azienda e lavoratori temporanei,
assegnati alla stessa mansione.
La legge di riforma del 1999 ha quindi modificato diversi articoli della legge di
base. In particolare, ai fini della valutazione del
requisito della "struttura
organizzativa" adeguata dell'impresa di intermediazione, la nuova legge ha
indicato la preferenza per le imprese che dispongano di più lavoratori legati con
contratti a tempo indefinito, imponendo in ogni caso il numero minimo di 12
dipendenti con contratti stabili (sia a tempo pieno sia a tempo parziale) ogni 1000
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(o frazione di mille) lavoratori ceduti alle aziende nell'anno immediatamente
precedente. Il calcolo va effettuato sommando tutti i giorni di messa a
disposizione dell'insieme dei lavoratori ceduti e dividendo per 365. Con
riferimento al problema della disparità di trattamento, è stato invece riformulato
l'articolo 11 della legge del 1994, eliminando nei contratti di mobilità la
possibilità di ricorso ad accordi economici particolari ed obbligando
all’applicazione tout court del contratto collettivo in uso nell'azienda interessata.
Gli
interventi
normativi
successivi
arrivano
dopo
quasi
cinque
mesi
dall’approvazione del Regio decreto legge n. 3 del 2102, con il quale il Governo
spagnolo aveva approvato misure urgenti di riforma del mercato del lavoro. Con
questo passaggio legislativo il Parlamento spagnolo ha definitivamente approvato
una nuova legge contenente alcune modifiche e integrazioni al testo originario
dell’esecutivo, pur confermando l’impianto fondamentale della normativa iniziale,
ispirato al modello della flexicurity (flexiseguridad in spagnolo), già sperimentato
in alcuni paesi dell’Europa del Nord (Danimarca, Svezia, Olanda).
La legge ha tradotto tale modello in quattro ordini di misure specifiche,
corrispondenti ai quattro capitoli principali in cui era suddiviso il testo del decreto,
seguiti da un quinto capitolo con norme riguardanti il processo del lavoro e da
numerose disposizioni aggiuntive, transitorie, abrogative e finali. In particolare, si
punta a:
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 favorire l’occupazione dei lavoratori, riformando gli aspetti relativi
all’intermediazione lavorativa e alla formazione professionale;
 sostenere la contrattazione a tempo indeterminato ed altre forme di lavoro,
con particolare attenzione all’occupazione dei giovani e da parte delle
piccole e medie imprese;
 incentivare la flessibilità interna all’impresa come misura alternativa al
licenziamento;
 promuovere l’efficienza del mercato del lavoro, adottando misure
riguardanti le modalità di rescissione dei contratti di lavoro, al fine di
ridurre il dualismo tra lavoratori protetti e lavoratori precari.
Il riferimento al lavoro in somministrazione è, però, nel dettaglio, solo al capitolo
I dal titolo “Misure per favorire l’impiego dei lavoratori”, dove si estende le
competenze delle Agenzie di lavoro interinale, autorizzandole ad operare anche
come agenzie private di collocamento.
In Italia
La somministrazione di lavoro è stata introdotta per la prima volta nel nostro
ordinamento dal D.Lgs. 276/2003. Fino ad allora la Legge 1369/1960 (NOTA!!
CON IL TITOLO DELLA NORMA) vietava, come regola generale, che il
lavoratore potesse intrattenere rapporti di lavoro con un soggetto diverso da quello
che, organizzando il suo lavoro ed esercitando su di lui il potere direttivo,
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utilizzava la sua prestazione. Questa regola generale era stata più recentemente
limitata dalla Legge 196/1997, il cosiddetto “pacchetto Treu”, che aveva
introdotto il lavoro interinale cui, peraltro, si poteva ricorrere solo a termine e solo
in presenza di ben circoscritte ipotesi previste dalla contrattazione collettiva.
Il D.Lgs. 276/2003 ha completamente rinnovato la materia in esame, disponendo
che un’impresa, denominata "utilizzatrice", possa rivolgersi ad un'altra impresa
autorizzata denominata "di somministrazione", al fine di ottenere una certa
fornitura di manodopera, e con essa concludere, appunto, un contratto di
somministrazione. Il lavoratore, utilizzato a seguito di questo contratto, svolge la
sua attività lavorativa per l’utilizzatore, sotto la sua direzione e controllo, ma
intrattiene un rapporto di lavoro solo nei confronti del somministratore, al quale
rimane l’esercizio del potere disciplinare in virtù del rapporto di lavoro.
La legge e la contrattazione collettiva dei diversi settori produttivi stabiliscono
limitazioni alla somministrazione di manodopera. Le limitazioni legislative sono
le definizioni dei casi nei quali è vietato ricorrere al contratto di
somministrazione:
 per la sostituzione di lavoratori in sciopero;
 da parte di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per
la sicurezza sul lavoro ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. n. 81/2008;
 presso unità produttive in cui si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti,
a licenziamenti collettivi che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle
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stesse mansioni a cui si riferisce il contratto di somministrazione (salvo
deroghe sindacali);
 presso imprese in cui siano in corso sospensioni di rapporti o riduzione
dell'orario di lavoro con diritto al trattamento di integrazione salariale
(CIG) che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce
il contratto di somministrazione (salvo deroghe sindacali);
 da parte di imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi per
la sicurezza sul lavoro ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. n. 81/2008.
La Legge 191/2009 (finanziaria 2010) ha notevolmente limitato la portata del
divieto di utilizzo della somministrazione da parte di imprese in crisi
consentendo la possibilità di ricorrere a tale istituto per provvedere alla
sostituzione di lavoratori assenti oppure in caso di assunzione di lavoratori
dalle liste di mobilità o ancora nel caso in cui il contratto di somministrazione
abbia una durata iniziale inferiore a tre mesi.
Alla contrattazione collettiva nazionale è lasciata invece la definizione, per
ciascun settore produttivo, dei limiti numerici di utilizzo di lavoratori in
somministrazione, solitamente definiti in percentuale sulla forza lavoro a tempo
indeterminato dell’impresa.
Le ragioni per cui può essere assunto un lavoratore somministrato sono molteplici,
ben definite dal dlgs 276/2003 e di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo; è importante considerare che l’onere della prova della sussistenza di
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tali ragioni spetta all’utilizzatore. Ma ciò che è altrettanto importante considerare
è che, con l’occasione di dare attuazione alla direttiva europea del 2008 (che
ribadisce il principio della parità di trattamento anche in Italia), il dlgs 24/2012
rafforza il principio di “acausalità” che si inseriva nella normativa sul lavoro in
somministrazione già con la L. 191/2009 (legge finanziaria 2010) per andare in
contro alle difficoltà dei lavoratori in difficoltà a causa degli effetti della crisi.
Con il dlgs 24/2012. quindi, la normativa prevede l’acausalità della
somministrazione in caso di invio in missione anche di:
a) lavoratori disoccupati percettori, da almeno sei mesi, dell’indennità di
disoccupazione (ora ASpI);
b) lavoratori beneficiari, da almeno sei mesi, di ammortizzatori sociali
(diversi dall’ASpI), anche in deroga;
c) lavoratori cosiddetti “svantaggiati” o “molto svantaggiati” (ai sensi dei
numeri 18) e 19) dell’articolo 2 del regolamento (CE) n. 800/2008 del 6
agosto 2008).
Rimane comunque importante, per la normativa italiana del lavoro in
somministrazione che scaturisce dalla contrattazione nazionale, il ruolo degli enti
bilaterali che forniscono strumenti di sostegno al reddito che, anche se non
esaustivi di una politica di flexecurity, aiutano il lavoratore in somministrazione
dal punto di vista delle prestazioni sociali per malattie, maternità, disoccupazione.
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Considerazioni
Non c’è dubbio che il lavoro in somministrazioni, tra le tipologie contrattuale a
tempo determinato, sia uno dei più tutelati e che, anche se in misure diverse da
paese a paese, ha assolto, quantomeno nel periodo antecedente la crisi economica,
alla funzione “cuscinetto” tra la disoccupazione e il mondo del lavoro.
Da uno studio di Eurociett (la Confederazione europea delle agenzie per il lavoro)
del 2011 si può avere una fotografia delle caratteristiche del lavoro in
somministrazione in europa.
grafico n. 1
Osservando il grafico 1, ad esempio, i cui dati risalgono però al 2008, si evince in
modo chiaro che i settori produttivo in cui si fa un uso più largo della
somministrazione sono il manifatturiero e i servizi.
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grafico n. 2
grafico n. 3
Analizzando, invece il secondo ed il terzo grafico, i cui dati sono più recenti e
quindi anche “inflazionati” dalla crisi, notiamo una netta differenza tra la
lunghezza della media delle missioni tra la Germania e l’Italia, il che lascia
intendere un abuso della somministrazione in Italia per sfuggire alle tutele e ai
costi che periodi più lunghi di una missioni comportano. Si può, inoltre notare
come sia frequente il ricordo a questa tipologia contrattuale per lavoratori in età
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compresa tra i 31 e i 45 anni, sicuramente conseguente all’espulsione dal mondo
del lavoro cui la crisi ha portato molti lavoratori e alla loro lontananza all’età
pensionabile che li costringe a trovare altre soluzioni per compensare il reddito
perso. Negli ultimi anni, infatti, anche secondo i dati dell’Osservatorio Ebitemp
(ente bilaterale del lavoro in somministrazione) oltre ad un calo del numero medio
di lavoratori interinali a tempo determinato occupati, si registra un considerevole
aumento degli occupati ultraquarantenni fino a ricoprire il 25% del totale nel 2011
mentre si riduce la componente femminile.
Se, infatti, il lavoro in somministrazione era, prima dell’inizio della crisi
economica, uno strumento caratterizzato da un età giovanile dei lavoratori, oggi
invece la platea di chi ricorre alle agenzie interinali è di età ben più alta,
accrescendo il carattere di reinserimento nel mondo del lavoro da parte della
somministrazione più che di primo inserimento per i lavoratori fuoriusciti da
un’occupazione stabile colpita dalla crisi.
CONCLUSIONI
L’adeguamento alle flessioni del mercato, come la possibilità di costruire i bilanci
in modo più attento rispetto ai costi e ai profitti sulla base dei periodi dell’anno e
della maggiore o minore necessità di produttività, rende la flessibilità esterna uno
strumento sicuramente utile per l’abbassamento del costo del lavoro. Se a questo
aspetto affianchiamo la funzione “cuscinetto” (tra la disoccupazione e il lavoro
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stabile) che ha portato, in tempi pre-crisi, un sostanziale innalzamento dei livelli
occupazionali, avremmo un bilancio sostanzialmente positivo di questa tipologia
contrattuale se non fosse per le mancanze che la legislazione italiana ha
nell’aspetto della sicurezza che compone la flexecurity. Ma il rischio connaturato
a questo strumento di avvicinamento al mondo del lavoro è che in un momento di
contrazione dell’economia, come quello che stiamo vivendo, diventi una colonna
sempre più importante nella struttura produttiva del sistema imprenditoriale al
punto da diventare non più uno strumento straordinario per le aziende ma
strumento ordinario che crea un canale preferenziale per questa tipologia
contrattuale rispetto al tempo indeterminato. Se la fotografia dell’utilizzo di
questo strumento pone il tema del cambiamento delle necessità produttive rispetto
alle strutture contrattuali esistenti e alla loro concezione, nello stesso tempo
evidenzia in Italia anche tutte le mancanze di una flexsecurity mai sviluppata nel
nostro Paese che manca di strumenti sostanziali di sostegno al reddito per chi
passa rapidamente da una breve occupazione ad un’altra con periodi anche lunghi
di disoccupazione. E se a questo aggiungiamo il fatto che gli ultimi provvedimenti
normativi, come l’acausalità, che trovano giustificazione in un momento di crisi
economica per incentivare il ruolo di reinserimento nel mondo del lavoro che sta
sviluppando la somministrazione, possano incentivare un utilizzo di questa più
largo dalle aziende e in modo strutturale, e che quindi la somministrazione diventi
un escamotage per evitare di assumere dipendenti diretti a tempo indeterminato a
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prescindere dalla crisi, il risultato che otteniamo è una prospettiva preoccupante
per le condizioni sociali della classe lavoratrice che ci ritroveremo alla ripresa
economica, con conseguente difficoltà per i sindacati a trarre forza contrattuale da
lavoratori, nei nel lavoro come nella vita, precari.
L’analisi dell’evoluzione e delle prospettive del lavoro in somministrazione,
nell’offrirci una visuale sul mercato del lavoro, non può non consegnarci anche ad
una riflessione più grande, quella da cui sono partito da questa tesi, la
globalizzazione e la sua sfida per non rimanerne schiacciati e vederla acuire le
disuguaglianze tra i paesi e nei paesi, a vantaggio degli interessi profittuali di
pochi e a scapito delle condizioni sociali di molti, dei vizi di pochi e delle virtù di
molti. Una sfida, quella della globalizzazione, che si vince sicuramente
nell’efficientamento del sistema produttivo, tra riduzioni del costo del lavoro
(come incidenza del costo del lavoro nei margini di produzione, quindi anche in
termini di flessibilità interna, e di conseguenza nell’incremento di fatturato) e
incentivi pubblici alla competitività e maggior incidenza dell’innovazione
attraverso la formazione e la ricerca, ma sicuramente anche attraverso una
globalizzazione di diritti e tutele per il mondo del lavoro anche nei paesi dove lo
sfruttamento del lavoro è il paradigma su cui si costruiscono intere fliere
produttive che sfornano prodotti a basso costo in grado di competere nei mercati
interni dei paesi occidentali. Perché il prezzo della competitività non può essere
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una divaricazione delle condizioni sociali di vita, la cui tutela è anche questa parte
integrante dei contenuti della Strategia di Lisbona ma lontana dalle intenzioni vere
e, quindi, dalle scelte forti cui è chiamato il nostro Paese.
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