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SCORCI LOCALI...ORIZZONTI ALLARGATI Il progetto tra livello cittadino e piano nazionale Esperienza veneziana 2013 - 2014 a cura di Beatrice Ferraboschi e Rosanna Rosada INDICE: 1. PREMESSA 1.2 “Scorci locali…orizzonti allargati: il progetto tra livello cittadino e piano nazionale” a cura di Beatrice Ferraboschi, pag. 3 2. IL SERVIZIO TERRITORIALE 2.1 “Tracce socio – politiche per l’accoglienza” a cura di Angelo Sopelsa, pag.8 3. LA SCUOLA 3.1 “La scuola co-progetta con istituzioni locali e nazionali” a cura di Tiziano Battaggia, pag.9 3.2 “Alleanza educativa tra scuola e famiglia” a cura di Eliana Bedetti, pag.11 3.3 “Fatiche e meriti del lavoro di rete” a cura di Mara Castellaro, pag.12 4. IN CLASSE 4.1 classe1°A, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci “Un caldo abbraccio per ogni differenza” a cura di Lucia Cerino, pag.14 4.2 classe 1° A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci “Nuovi compagni di viaggio” a cura di Anna Barbiero, pag.15 4.3 classe 2°A, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci “ Laboratorio? Sì, grazie!”a cura di Donatella De Cal, Daniele Zuccato,pag.16 4.4 classe 2° A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci “Dedica” a cura di Mariagrazia Silvestri, pag. 18 4.5 classi 1°B e 1°E, Secondaria di I° Volpi, I.C. Alpi “Nessun uomo è un’isola” a cura di Matteo Benedetti, Martina Bettio, Katia Torriani, pag. 18 4.6 “Lago Shaino, un momento da ricordare” a cura di Davide Carnemolla, pag.24 4.7 “L’educazione artigiana” a cura di Laura Tegon e Marco Tombolani, pag. 25 5. A CASA 5.1 “Un’attività…di famiglia” a cura di Davide Carnemolla, pag. 27 5.2 “Differenziare gli interventi” a cura di Laura Tegon , Marco Tombolani, pag. 28 5.3 “Tiro alla fune” a cura di Alessandro Zanetti, pag. 29 6. L’INCONTRO INSEGNANTI - OPERATORI 6.1 “Per ascoltare meglio: incontri con insegnanti e operatori” a cura di Domenico Canciani, pag.31 6.2 “Guardarsi negli occhi…allargare lo sguardo: Insegnanti e operatori: un pensiero che include” a cura di Rosanna Rosada, pag. 33 7. SUPPORTO RIELABORATIVO SULL’ESPERIENZA DEL PROGETTO RSC 7.1 “Verso una progettualità condivisa” a cura di Annalisa Busato e Nerina Vretenar, pag. 35 8. RILANCI E PROSPETTIVE 8.1 “….a partire dal metodo” a cura di Paola Sartori, pag. 37 2 1. PREMESSA 1.2 “Scorci locali…orizzonti allargati: il progetto tra livello cittadino e piano nazionale” a cura di Beatrice Ferraboschi “Un viaggio in treno ad alta velocità destinazione Sala G. Rossa al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a Roma”…. e la città di Venezia, insieme ad altre dodici città, è entrata a far parte del Progetto per l’inclusione e l’integrazione di bambini e ragazzi Rom, Sinti e Caminanti. Questo progetto, che interpreta gli intenti declamati nel Terzo Piano Nazionale di azione ed interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, accoglie le raccomandazioni del Comitato ONU sui diritti del fanciullo emanate il 31 ottobre 2011 e si attiene alle indicazioni date dalla “Strategia nazionale d’inclusione dei rom, sinti e caminanti 2012 – 2020”, è stato vissuto fin da subito come un’opportunità per ampliare la prospettiva del lavoro svolto localmente nei quindici anni precedenti e soprattutto del progetto Minori Sinti che è stato realizzato nell’anno 2012 – 2013. La prima peculiarità del progetto RSC è che la forza propulsiva scaturisce da un’equipe multidisciplinare non prettamente di operatori sociali: fanno il loro ingresso gli insegnanti, non solo come partner durante il lavoro a scuola, ma come colleghi nella fase di definizione del modello, nelle fasi decisionali rispetto alle singole situazioni…in sunto, nella governance. Altra prerogativa è che si lavora a scuola oltre che a domicilio. Nel 2012 – 2013 avevamo condotto dei laboratori sperimentali all’interno delle scuole primarie Baracca e Virgilio dell'I. C. Da Vinci di Mestre, in collaborazione con la Fondazione “Elena Trevi sanato”. Questi laboratori che hanno dato e danno tutt’oggi i loro risultati ( la Fondazione infatti prosegue le attività sia alla scuola primaria che alla scuola secondaria di primo grado), non prevedono il lavoro con il gruppo classe, ma consistono in attività extra classe in cui si va, con i bambini RSC (la maggioranza) e non (pochi), a recupero di alcuni aspetti delle materie in accordo con gli insegnanti, anche attraverso attività ludico creative, risultando alle volte però avulsi dalla storia e dal percorso della classe. Con il Progetto RSC si sancisce invece l’importanza del lavoro all’interno della classe e con l’intero gruppo classe, cavalcando quel concetto di prevenzione a noi caro per cui il gruppo è strumento per il singolo e viceversa e in questo caso più che mai, perché un progetto dedicato ai bambini rom e tinsi, si occupa potenzialmente di tutti i bambini della città. Ulteriore elemento che ci permette di ampliare la prospettiva è che il progetto prevede una dimensione cittadina, dove noi per anni abbiamo concentrato le nostre forze sul villaggio di via del granoturco (ex-campo di via Vallenari), non avendo visione della situazione delle famiglie RSC abitanti in appartamento o in altri contesti della città. In alcune situazioni abbiamo potuto osservare “dal di dentro” le ricadute del trasferimento di alcune famiglie, conosciute dal servizio, dal campo agli appartamenti. Detto ciò non è difficile intuire che l’intreccio tra piano nazionale e realtà locale e l’incontro tra singoli punti di vista rappresentati dai componenti della neo equipe multidisciplinare abbia generato quanto meno inizialmente incertezze, incomprensioni…un vero e proprio conflitto fondante. 3 Ci siamo misurati con la necessità di “praticarci” ovvero conoscersi, affermare il proprio sé, trovare il proprio personale modo di stare in questa situazione, entrare in relazione, in empatia, parlarsi, ascoltarsi e provare a capirsi, fino a funzionare come gruppo. Ci siamo misurati con la necessità di stare dentro a determinati standard richiesti dalla cabina di regia, tenendo insieme la proposta del Servizio Politiche Cittadine per l’Infanzia e l’Adolescenza che ha la funzione di coordinamento e l’identità, le esigenze e le proposte di ogni altra realtà rappresentata in equipe: le tre scuole I.C. Da Vinci, I.C. Volpi, I.C. Gramsci e le due Municipalità: Mestre – Carpenedo e Favaro Veneto, oltre che gli operatori della Cooperativa sociale Gea. Ci si è frequentati molto, si è data particolare cura alle relazioni tra noi, convinti che ciò si sia propagato positivamente anche nella relazione tra insegnanti, famiglie, bambini e ragazzi. Il nostro percorso insieme è passato attraverso gli incontri di equipe a cadenza mensile, a taglio tecnico - operativo – decisionale e di raccordo. E' stato arricchito da momenti di supporto rielaborativo, partiti dalla necessità di accompagnare un progetto tanto complesso con l’obiettivo di tutelare un tempo e uno spazio di pensiero del gruppo dove star “comodi”, portare le proprie esperienze, i propri pensieri, rinforzando connessioni, convergenze, creando sicuramente prospettive, con “leggerezza” senza schiacciamento su operatività e fasi decisionali. Oltre alla formazione organizzata dal Comitato Scientifico Nazionale, a livello locale si è realizzata una sessione formativa sulla metodologia Cooperative Learning, grazie alla disponibilità della dottoressa Anna Valeria Guazzieri e una sessione formativa organizzata dal Servizio Politiche Educative in collaborazione con Novamedia-Cooperativa Onlus intitolata: “Strategie didattiche attivabili a fronte di percorsi migratori ed inserimenti scolastici non continuativi” in cui si sono trattati i temi “La discontinuità dei percorsi di formazione scolastica di studenti rom, sinti e non” e “Riflessione partecipata sulla didattica in classe, proposte e pratiche di lavoro”. Si sono inoltre realizzati due appuntamenti pubblici, in cui poter rappresentare questo modo di operare, in cui poter cercare dialogo e confronto sulle questioni aperte con colleghi del territorio e non, per proseguire nel nostro delicato lavoro con nuovi spunti. Così hanno trovato realizzazione, in simbolica attesa dell’evento conclusivo “Bambini e ragazzi a scuola: esperienze di cittadinanza”: “Bambini rom, sinti e non…tutti cittadini! Intese e malintesi dell’interculturalità” che ha visto nostro ospite il dott. Vinicio Ongini del MIUR, con cui ci si è interrogati sul concetto di distinguere come bussola per orientarsi nel campo delle “diversità”, sui dati di presenza/assenza dei bambini, sugli esiti scolastici, sulle certificazioni e l’uso improprio degli insegnanti di sostegno, attraversando i principi generali e la normativa nazionale, fino ad analizzare alcuni esempi di malintesi interculturali. “Bambini rom sinti e non…una scuola per tutti!” durante il quale si è dialogato con il dott. Marco Brazzoduro, Djiana Pavlovic e partecipanti di ogni dove. Partendo da quesiti emersi durante il lavoro dell’equipe multidisciplinare sui margini di sviluppo del progetto stesso, sull’idea di voto come accordo sui requisiti minimi raggiungibili dal bambino/ragazzo, ci si è interrogati se investire le poche risorse su pochi o su tutti. Ci si è confrontati sul come tramutare la minoranza rom, sinti da nicchia di emarginazione a forza propulsiva, assodato che se si costruiscono rapporti stabili e personalizzati con i singoli nuclei familiari e le singole persone è provato che si ottengono maggiori risultati nella frequenza, nell'inclusione, nello stare bene a scuola, nel rendimento di bambini e ragazzi. Ci si è interrogati su quali strategie mettere in campo per creare e curare delle buone relazioni con la famiglia, al fine di favorire il buon esito di tutti i bambini e ragazzi a scuola e per restituire loro la libertà di sognare! Il nostro percorso insieme ci ha permesso di realizzare sei laboratori a scuola e otto interventi presso gli insediamenti abitativi, che troverete raccontati nei capitoli successivi. La scelta, tutta veneziana, di far sì che i due operatori che svolgono i laboratori a scuola affianco agli insegnanti siano gli stessi che poi incontrano bambini e famiglie rom e sinti a casa propria, costituisce un valore aggiunto. La possibilità data agli operatori di osservare e affiancare lo stesso bambino nei due contesti, potendone 4 carpire le modalità relazionali, le reazioni, i sentimenti, ha incrementato sensibilmente il margine di incisività degli interventi educativi stessi. Oltre al rilancio delle dinamiche locali, il progetto RSC ha creato la possibilità di contatto con i colleghi delle altre città. Dai primi timidi e misurati scambi durante le formazioni a Firenze e gli incontri a Roma sono nate delle vere e proprie collaborazioni con le città di Bologna (sperimentazione di parti di formazione condivise), Torino (azioni di rinforzo per avere certezza del prosieguo del progetto) e Napoli (testimonianza dell’esperienza veneziana e confronto durante l’evento conclusivo a Scampia), prendendo la palla al balzo per evitare di rimanere eccessivamente concentrati sul “proprio ombelico”, a rischio miopia, contribuendo a quel sano strabismo fatto di scorci locali misti a orizzonti allargati che regalano equilibrio al proprio operare. Con Fabiana, la collega di Bologna, è bastato sedersi affiancate in pulmino durante il viaggio studio in Slovenia, che aveva l’obiettivo di conoscere le strategie avanzate messe in atto dal giovane governo sloveno per l’inclusione di rom e sinti, per ideare una giornata di formazione avanzata e condivisa tra colleghi di Venezia e colleghi di Bologna con metodologia Cooperative learning tenuta dalla dott.ssa Stefania Lamberti. Questo momento formativo, costruito sul confronto di buone prassi emerse nelle due esperienze, quella di Venezia e quella di Bologna e sull'emersione di punti di forza, criticità e possibili sviluppi del progetto, si è tenuto in apertura della già prevista giornata di studio “Bambini rom sinti…una scuola per tutti”. Questo esperimento ci è piaciuto al punto che vorremmo cocostruire una parte della formazione e tra città vicine, quali sono Venezia e Bologna, è possibile, consapevoli che tanta potenzialità va coltivata e valorizzata. Vale la pena di sottolineare poi come questo progetto, che si rifà ad un approccio pluralista, abbia potuto contaminarsi con il Programma di prevenzione alla istituzionalizzazione P.I.P.P.I. sempre del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sia sul Piano Nazionale, ad esempio per la formazione sull’utilizzo degli strumenti di valutazione che sul piano locale. Nella fase intermedia del progetto infatti, si è sperimentata la convocazione e gestione condivisa del cosiddetto Tavolo Locale per RSC e/o Gruppo Territoriale per PIPPI, partendo dal presupposto che i due progetti ministeriali hanno in comune un approccio di intervento eco sistemico e utilizzano in parte gli stessi strumenti di valutazione, quale ad esempio il Mondo del Bambino, oltre che i dirigenti coinvolti in questi incontri coincidono nella stragrande maggioranza. Hanno reso possibile il progetto: a livello nazionale, oltre al Ministero stesso, i colleghi dell’Istituto degli Innocenti che ci hanno saputo sostenere concretamente ogni qualvolta lo abbiamo chiesto e i colleghi dell’Università di Padova che nutrono i nostri bisogni conoscitivi e formativi anche a distanza. A livello locale: le tre scuole coinvolte I.C. Da Vinci, I.C. Gramsci, I.C. Alpi, la Cooperativa sociale Gea, partner storica nello sviluppo di progettualità in ambito sinti, la Fondazione Elena Trevisanato, che oltre ad aver continuato il proprio operato con i laboratori di supporto scolastico presso i plessi Baracca e Virgilio dell’I. C. Da Vinci e il plesso Volpi dell’I. C. Alpi, ha sostenuto la creazione di pensiero all’interno del progetto RSC, partecipando al supporto rielaborativo, il Movimento di Cooperazione Educativa per l’apporto a livello formativo e di consulenza e le Municipalità Mestre Carpenedo, Favaro Veneto e il Servizio Politiche Educative e il Servizio Politiche Cittadine per l’Infanzia e l’Adolescenza del Comune di Venezia. In chiusura segue l’istantanea di quanto emerso durante l’équipe multidisciplinare conclusiva incentrata sulla verifica finale del progetto del 9 giugno 2014, in cui si chiedeva di compilare liberamente dei post it relativi a cose da tenere, criticità e rilanci rispetto a governance, attività a scuola attività presso gli insediamenti abitativi e formazione: 5 6 7 2. IL SERVIZIO TERRITORIALE 2.1 “Tracce socio-politiche per l’accoglienza” a cura di Angelo Sopelsa Come referente per la Municipalità di Mestre Carpenedo, partecipante all’equipe multidisciplinare e al percorso formativo della stessa, ho vissuto quest’anno di sperimentazione come un anno di passaggio e di osservazione dei bisogni e delle criticità emergenti evidenziati da nuovi sguardi e nuovi strumenti fornitici dal “Progetto nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini rom, sinti e caminanti”. Lo sguardo nuovo che ci viene dato a livello nazionale è quello di ri-considerare i minori rom, sinti e caminanti come bambini e ragazzi presenti nel territorio comunale al di là della loro presenza fisica legata alla territorialità e alle specifiche competenze territoriali (nel nostro caso municipali). Ho trovato importante l’accento posto sulla formazione dell’equipe multidisciplinare, e trasversale ai servizi territoriali, dentro la quale le esperienze e le competenze, acquisite negli anni, si sono potute intrecciare all’interno di una cornice uguale su tutto il territorio nazionale. Una cornice che diventa anche una traccia “socio-politica” relativa alle modalità di accogliere e di costruire l’accoglienza. Accogliere significa pensare e ipotizzare ciò che non c’è ancora ma che non per questo ci esime dal collaborare con gli altri più direttamente coinvolti dalle problematiche dell’inclusione sociale e scolastica. L’orientamento del Servizio sociale di Mestre Carpenedo, rispetto ai residenti al Villaggio di Via del Granoturco, negli ultimi due anni è stato quello di accogliere i bisogni dei cittadini così come le richieste di collaborazione/segnalazione da parte dei contesti scolastici e territoriali secondo le prassi ordinarie. Così come era stato sancito tra Servizi nel passaggio delle competenze relative ai minori sinti già nell’anno 2012-2013. Alla Municipalità spettano: “… le competenze di cura e protezione e i connessi compiti diretti con i minori, le loro famiglia e i loro contesti educativi di riferimento… in alleanza con le Politiche cittadine… che coordinano il progetto specifico… “. Lo strumento del Servizio sociale nell’accogliere le richieste di collaborazione da parte della scuola per le situazioni di singoli minori è il Team Scuola che è stato utilizzato così come da accordi e prassi. Inoltre rimangono aperte le collaborazioni sul fronte adulto e dell’accompagnamento agli spazi di accoglienza/lettura della domanda sia per l’area minori che per l’area adulti. Rimane da mettere a punto, da quello che ho potuto osservare, uno scambio più celere di informazioni tra l’arrivo delle richieste e l’accoglienza ai servizi territoriali così come, per quanto concerne il Servizio sociale della nostra Municipalità, c’è da strutturare con più chiarezza i passaggi dell’accoglienza affinché, nonostante i carichi di lavoro già in essere, si possano ottimizzare le alleanze fatte dagli operatori del Progetto, con le famiglie e con le scuole. Rispetto ai contesti scolastici il Progetto è stato un buon contenitore delle specifiche criticità e risorse relative ai minori sinti, rom e caminanti. Come referente dei contesti scolastici avrei bisogno di un maggior raccordo sulla specificità delle scuole con i referenti del Progetto, per meglio comprendere come intrecciare le diverse azioni di ascolto e di co-progettazione nei/con i contesti scolastici. L’obiettivo è avere una visione d’insieme in modo da poter veicolare prassi e obiettivi, in alleanza tra operatori e servizi, nei confronti dei referenti e dei dirigenti scolastici, tanto più se il progetto si allargherà ad altri contesti scolastici della città. Credo che quest’anno di lavoro abbia significato per molti di noi che hanno lavorato nei precedenti progetti dedicati, prima al Campo di Via Vallenari e poi al Villaggio di Via del Granoturco, un cambiamento di prospettiva e di rappresentazione: i minori rom, sinti e caminanti, oggi, non sono più solo quelli residenti in Via del Granoturco! 8 3. SCUOLA 3.1 “La scuola co-progetta con istituzioni locali e nazionali” a cura di Tiziano Battaggia Ci sono alcuni spunti di riflessione che intendo condividere a conclusione delle attività svolte nella scuola primaria “Virgilio” nell’ambito del Progetto Nazionale per l’integrazione e l’inclusione dei bambini rom, sinti e caminanti (PN). Essi corrispondono a una personale lettura dal punto di vista dell’istituzione scolastica nel suo complesso. Innanzitutto, ritengo importante rilevare come di recente la scuola sia sempre più coinvolta in progetti complessi che la vedono co-protagonista alla pari con altre istituzioni sociali. Ciò che mi preme evidenziare è come l’autonomia nell’orientare le scelte della propria offerta formativa pone la scuola di fronte alla responsabilità di ricercare e sperimentare in sinergia con altre istituzioni risposte di tipo educativo e formativo a quelle emergenze sociali, che per essere affrontate richiedono anche altri tipi di risposte e la messa in campo di risorse, mezzi e strumenti adeguati alla complessità dei problemi che implicano. Scegliendo di partecipare al PN, anche la nostra scuola è “chiamata a concorrere affinché siano assolti impegni che il governo italiano ha assunto in sede nazionale, europea e internazionale per l'inclusione delle popolazioni rom, sinte e caminanti. Tra gli altri è necessario ricordare la “Strategia nazionale d’inclusione dei rom, sinti e caminanti 2012-2020”, adottata in attuazione della Comunicazione della Commissione Europea n. 173/2011, che mira a guidare nei prossimi anni una concreta attività di inclusione dei RSC, superando definitivamente la fase emergenziale. L’obiettivo generale della Strategia nazionale è quello di promuovere la parità di trattamento e l’inclusione economica e sociale delle comunità RSC nella società, assicurare un miglioramento duraturo e sostenibile delle loro condizioni di vita per renderne effettiva e permanente la responsabilizzazione, la partecipazione al proprio sviluppo sociale, l’esercizio e il pieno godimento dei propri diritti.”1 Trasformare tale sfida in compito non è stato e non è facile, perché non ha comportato una semplice collaborazione con le altre istituzioni, quanto piuttosto un lavoro di co-progettazione, esigenza, ormai, piuttosto comune nell’affrontare le complesse problematiche sociali che incontriamo quotidianamente. Per la scuola ciò ha significato abbandonare, almeno in parte, l’illusione di governare in proprio il campo dell’educazione, per porsi più realisticamente il problema di cosa significa tutelare lo sviluppo educativo dei minori rom, sinti e caminanti in un quadro di multiservizi, con obbiettivi, interessi e modi di funzionare diversi. Ha significato, inoltre, cercare di comprendere meglio cosa vuol dire fare educazione oggi, costruire scambi con culture diverse e come per questo occorra abbracciare prospettive differenti sull’educazione e sulla formazione. Avendo a che fare con soggetti fragili e gruppi emarginati lo scarto fra la percezione dei servizi e gli stereotipi sociali, come quello tra opinioni e pregiudizi tende ad allargarsi o a ridursi secondo i contesti considerati, senza, peraltro, chiarire il compito o fornire indicazioni utili a riguardo. 1 Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Progetto Nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini rom sinti e caminanti, <http://www.minori.it/progetti-sperimentali285/il-progetto-rsc>, 2014. 9 D’altra parte, focalizzare troppo l’attenzione sull’identità dei protagonisti, i bambini cui destinare l’intervento, rischia di eludere l’attenzione sul rapporto tra il target individuato, la metodologia proposta e gli obbiettivi relazionali mirati a tutto il gruppo classe. È stato quindi necessario rinunciare a qualsiasi “mission” salvifica e orientarsi a costruire ipotesi organizzative, azioni, eventi e interventi, confidando sul fatto che i pensieri, le discussioni e le riflessioni che emergevano a livello locale fossero sufficientemente significativi e coerenti con le indicazioni a livello nazionale, in grado, cioè, di garantire la realizzazione del PN. La continuità delle riunioni dell’Equipe Multidisciplinare ha aiutato a non perdere il filo del lavoro da un appuntamento all’altro, cercando di tener sempre presente lo “stato delle cose”. Gli incontri nel Gruppo di Supporto Rielaborativo hanno favorito lo sviluppo del processo formativo dell’Equipe, anche tenendo conto dei diversi livelli d’esperienza di ciascuno, e hanno aiutato a lasciarsi attraversare dall’inevitabile confusione connaturata alle situazioni complesse dove interagiscono più persone, s’intrecciano relazioni diverse, si costruiscono intraprese, si sperimentano innovazioni. Il paragone corre al lavoro con i bambini, dove spesso la confusione e l’imprevisto, se gestiti in modo accorto, possono condurre a risultati inattesi e promuovere nuove conoscenze e abilità. L’incertezza e la confusione che hanno attraversato le diverse fasi della realizzazione del PN sono anche connaturate alle stesse problematiche da affrontare con i bambini e le famiglie rom sinti e caminanti: • la frequenza scolastica irregolare; • l’apprendimento scolastico spesso inadeguato all’età e alle necessità della vita quotidiana; • la scarsa consapevolezza delle famiglie rispetto al diritto/dovere allo studio e all’apprendimento dei figli. La co-progettazione ha permesso di entrare in contatto con tali problemi, apparentemente già noti alla scuola, con una capacità più matura d’identificarsi con l’altro, le difficoltà, i rifiuti, le reciproche paure e incomprensioni, l’isolamento, ecc., perché attraverso linguaggi diversi si sono prefigurate altre realtà, prima sconosciute e/o inesplorate.2 L’ascolto e l’osservazione reciproca degli approcci dei diversi operatori presenti ai tavoli locali, delle situazioni e delle esperienze di altre città riservatarie hanno avviato una conoscenza diversa dei problemi favorendone una lettura più condivisa. Infine, la scelta del cooperative learning e la proposta di costruire insieme agli insegnanti attività laboratoriali da realizzare attraverso la metodologia del learning by doing è stata generativa di una serie di esiti in vista della prosecuzione del PN. C’è stato, soprattutto, un riconoscimento di quelle pratiche cooperative e di pedagogia attiva già condotte dalle/gli insegnanti della scuola. Queste/i, attraverso il pur breve percorso formativo, hanno potuto approfondire alcune tecniche e proporle nelle loro classi col supporto degli operatori della Cooperativa Gea. È stato così possibile sperimentare, attraverso un’attenta regia educativa, buone pratiche cooperative di laboratorio, non come attività extracurricolari ma costitutive del curricolo e interdisciplinari, in continuità con l’insieme dell’azione educativa. Le attività, che hanno coinvolto l’intero gruppo classe sono state praticate con pari dignità da tutti, fornendo così valide indicazioni di lavoro che possono contribuire ad una formazione più inclusiva. 2 Come afferma un celebre studioso del comportamento umano: “La comunicazione crea quella che noi chiamiamo realtà”. In P. Watzlawick, La realtà della realtà. Comunicazione, disonformazione, confusione, Astrolabio Ubaldini, Roma, 1976, p. 7. 10 3.2 “Alleanza educativa tra scuola e famiglia” a cura di Eliana Bedetti Nel contesto scolastico si rende evidente quanto sia importante l’impegno dei docenti, degli operatori e anche della famiglia. Se si costruiscono rapporti stabili, personalizzati con i singoli nuclei familiari e le singole persone, è comprovato che si ottengano migliori risultati nella frequenza, nell’inclusione, nello stare bene a scuola, nel rendimento scolastico di bambini e ragazzi. Nella nostra scuola abbiamo compreso quanto sia necessario creare strategie per la realizzazione di ogni percorso scolastico per bambini e ragazzi. Questa comprensione non è avvenuta in breve tempo, ma negli anni, in quanto c’è stato bisogno di un allenamento per imparare a capire il giusto e corretto rispetto delle distanze e riservatezza richieste dalle famiglie e le modalità più opportune di relazionarsi con le famiglie RSC. E’ necessario conoscere fino a quanto ci si può spingere nel richiedere informazioni alle famiglie e con quali modalità, facendo attenzione e rispettando i loro tempi. E’ anche necessario porre attenzione e avere tempo per i nostri alunni. Se si creano buone relazioni poi tutti stiamo bene e anche la scuola sta bene… Situazioni di disagio familiare, alunni stranieri e sinti sono frequenti nella nostra scuola. Può succedere che il docente o i docenti di classe mettano in campo molte risorse e poi venga detto loro dalle famiglie a fine anno o a fine ciclo che non hanno fatto niente o che la scuola non ha fatto niente… Bisogna essere preparati anche a questi risultati o a queste risposte. Permalosità e frustrazione non vivono bene insieme alla possibilità di costruire relazioni con famiglie in difficoltà o con culture molto diverse dalla nostra. Questi gap che spesso si vengono a creare con le famiglie, vanno affrontati cercando di far decantare le situazioni di conflittualità, rotture o contrasti che si possono presentare, riaggiustando e riprendendo il rapporto in un altro momento più favorevole, ma senza mai dimenticare o abbandonare il bambino o il ragazzo. Una nostra ultima esperienza con un bambino della scuola Primaria ci ha mostrato che cambiando il clima della classe e il contesto, il bambino ha partecipato molto più serenamente alle diverse attività, alla gita di classe con i compagni, alle giornate scolastiche, e ha frequentato l’anno con meno assenze. Inoltre circa un mese fa, con la Dirigente Scolastica abbiamo fissato degli incontri con alcune famiglie sinti per esplorare la possibilità di iscrivere i loro figli in plessi diversi, per evitare che un alto numero di bambini sinti siano presenti nella stessa classe, una futura prima. Infine abbiamo constatato che dove è stato adottato il Cooperative learning, dove si è creato un contesto nuovo e adatto al bambino e si è cercato di farlo partecipe di un gruppo classe, il bambino e pure il genitore sono diventati maggiormente inclusivi. Ora ci chiediamo quali possano essere le strategie che servono a creare e curare delle buone relazioni con la famiglia, al fine di favorire una positiva frequenza scolastica di tutti i bambini e ragazzi? 11 3.3 “Fatiche e meriti del lavoro di rete” a cura di Mara Castellaro 3.3.1 Ingresso in equipe multidisciplinare: o o o o o o o o o Per la prima volta coloro che intervengono con gli stessi soggetti (Scuola, Servizi sociali, Terzo settore) si sono seduti ad un tavolo per instaurare un dialogo proficuo e cooperare per la ricerca di strategie comuni Finalmente le energie e le risorse dei vari soggetti sono state indirizzate verso un comune obiettivo evitando azioni troppo parcellizzate, dispersive o addirittura incoerenti L’importanza assegnata alle relazioni umane non è stata inferiore a quella data al compito ufficiale dell’equipe e questa rilevanza ha contribuito a determinare un clima di ascolto e collaborazione reale all’interno del gruppo I vari rappresentanti si sono impegnati ad illustrare la “mission” e i servizi concretamente offerti dalle loro agenzie limitando così aspettative non realistiche, possibili fraintendimenti o recriminazioni In alcuni momenti è stata fondamentale la figura di un supervisore per stemperare alcune inevitabili tensioni dentro al gruppo e valorizzare gli apporti di tutti i membri Un grande sforzo è stato compiuto per trovare un linguaggio comune, per coordinare le tante visioni e sensibilità individuali, per sintetizzare tale ricchezza in concretezza progettuale Al fine di rendere proficui gli incontri, ci si è posti il problema di elaborare una comune proceduraprotocollo per: o individuare correttamente il problema da affrontare o declinare in modo chiaro gli obiettivi o darsi un efficiente metodo di lavoro per raggiungerli o scandire i tempi delle azioni previste o valutare l’efficacia delle stesse per modificare il progetto in corso d’opera E’ auspicabile che l’equipe multidisciplinare in particolari momenti ampli la sua rappresentanza alle etnie Sinti e Rom perché ciò consentirebbe di ponderare e calibrare in modo più funzionale gli interventi del progetto Particolare cura e rilevanza hanno assunto le iniziative pubbliche che hanno il merito di allargare il dibattito ad altri settori impegnati nelle politiche sociali della cittadinanza attiva e dell’inclusione delle minoranze linguistiche e culturali 3.3.2 Riflessioni critiche in merito al progetto: o o o o o Un progetto nazionale vasto, complesso che coinvolgeva più attori ed agenzie educative impegnate a far dialogare tra loro molteplici specializzazioni e competenze per attivare strategie condivise Un progetto che eleggeva la scuola come contesto privilegiato di intervento, ma che non prevedeva da parte dell’amministrazione centrale e periferica del MIUR un riconoscimento adeguato in termini di sperimentazione e relativa dotazione di risorse Alle diverse figure impegnate nell’ambito scolastico, il referente scuola e due o più docenti di classe, veniva richiesto un impegno assai gravoso senza riconoscere loro alcun compenso economico per il tempo dedicato Scadenze ed organizzazione declinate dall’alto determinavano una tensione ed uno sforzo costante per comprendere e trasferire tali indicazioni nell’ambiente scolastico senza stravolgere i ritmi e gli obiettivi disciplinari adottati dall’istituto A livello nazionale non è stata prevista un’adeguata informazione - formazione iniziale per i docenti che dovevano attuare il progetto didattico in classe e il rapporto tra loro ed il referente scuola, che 12 o o o o o o o aveva un orientamento declinato prevalentemente sul piano organizzativo e di contatto con gli altri soggetti, non è sempre stato in grado di supplire a tale carenza La necessità di programmare e realizzare l’attività in classe con un operatore esterno alla scuola ha arricchito le opportunità, ma ha anche introdotto elementi di complessità nella ricerca di linguaggi, visioni ed azioni comuni Il progetto, che aveva come finalità dichiarata l’inclusione e l’inserimento dei ragazzi Sinti, prevedeva un’attività di accoglienza e l’adozione della metodologia del C. L.; le numerose assenze di molti alunni Sinti non hanno permesso loro di avvalersi completamente delle opportunità offerte dal progetto di cui erano i principali destinatari La gestione delle assenze degli alunni Sinti era e rimane problematica perché non sono ancora stati individuati efficaci metodi di persuasione affinché le famiglie ottemperino all’obbligo scolastico Alla fine della loro esperienza i docenti di classe hanno espresso l’esigenza di instaurare un confronto costruttivo con altri docenti dello stesso grado di scuola per poter scambiare riflessioni e valutazioni sull’attuazione del progetto nelle classi La realizzazione del progetto ha comunque messo in evidenza che le attività di accoglienza e l’adozione della metodologia del C. L. sono importanti per valorizzare le personalità degli alunni e motivarli all’apprendimento, ma non esauriscono i bisogni legati alla loro formazione cioè all’acquisizione di abilità e conoscenze che li rendano davvero autonomi nell’attuale contesto sociale, culturale e lavorativo In seguito al documento del MIUR (febbraio 2014) Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri che colloca i ragazzi Sinti tra questi ultimi, emerge ancora più chiaramente la necessità che i consigli di classe predispongano dei PEP (piani educativi personalizzati) che tengano conto dei singoli livelli di preparazione e di modalità di apprendimento, prevedendo anche dei momenti di rinforzo individuali a scuola e al campo Nella scuola secondaria di primo grado si è rivelato pure importante avviare un’attività di orientamento verso corsi di studi e professionali che offrano sbocchi lavorativi in grado di completare la loro formazione scolastica e il loro inserimento sociale 13 4. IN CLASSE 4.1 Classe 1°A, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci “Un caldo abbraccio per ogni differenza” a cura di Lucia Cerino Cosa riportare delle attività svolte durante questo progetto? Come ricreare l’atmosfera d’aspettativa del mercoledì,quando Laura e Marco entravano in classe e ricevevano un sacco di richieste:-Dove andiamo…? Cosa facciamo oggi… ? Sai cos’è successo sta mattina…? A casa ho fatto…:Un‘attività, nata con un ‘esigenza e una finalità apparentemente espresse nel titolo,si è rivelata invece fondante di esperienze per tutti,dove l’eventuale diversità d’etnia o di genere è diventata diversità di modo di vedere,di essere,di sentire,di giocare perdendo la valenza negativa d’esclusione,che diamo al termine,ma ritrovando il valore positivo,arricchente per il gruppo eterogeneo di una classe. Come insegnante nel lavoro quotidiano mi era naturale cogliere e assecondare momenti di confronto tra bambini,dove tra loro si suggerivano di osservare”..con gli occhi del bradipo..” riprendendo una modalità di lavoro del primo laboratorio presentato,sentirci tutti nella stessa Arca come gli animali di Noè e riuscire a coordinare i nostri sforzi per poter stare meglio usando un altro punto di vista ,quello del bradipo appunto,è diventato il loro modo per provare ad affrontare le situazioni quotidiane. Accogliendo e ascoltando anche chi non è d’accordo e lo esprime sia con le parole sia con un’ irrequietezza troppo manifesta. Riprendere i racconti o i lavori sulle immagini proposti ha permesso di creare un continuum di esperienze e azioni ,per potersi esprimere tutti in libertà e senza temere un giudizio,in questo,per esempio si è inserita un’attività legata alla musica:vedere ed ascoltare un’orchestra e un coro dove tutti sono diversi ma legati in un unico progetto,dal piccolo triangolo al primo violino. Vale la pena di veder luccicare gli occhi di tutti i bambini,un po’ come se fosse Natale,per accogliere come regali i giochi e le attività di gruppo. E’ imparare senza sapere che lo stai per fare e senza sentirne il peso e forse,troppo spesso,la noia. Imparare appunto a sentirsi legati ad un gruppo che dipende anche dal tuo contributo. Ho visto bambini cambiare di volta in volta, riuscendo a domare la voglia di essere il primo e il solo ad avere idea di come e cosa fare ,per ritrovarsi con altri che avevano gli stessi bisogni d’affermazione ma, modalità diverse per affermarlo e quindi scegliere “il compromesso “ o l”l’idea che le salva tutte”come usiamo ormai dire tra noi classe 1°A,per essere felici si deve cercare di vincere insieme, non per appiattire il risultato ma per trovare una mediazione che salva e che riconosce tutti. Se l’amicizia tra un delfino e un cane,immagine ricostruita in un puzzle come gioco di squadra, è possibile perché come hanno detto loro “..l’acqua è come un caldo abbraccio per tutti e due..”così il contesto generale per noi,“la classe”,deve essere il caldo abbraccio per ogni differenza ,”alunni e insegnanti” e non un ring dove combattere. 14 4.2 Classe 1° A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci “Nuovi compagni di viaggio” a cura di Anna Barbiero Quasi per magia per pochi minuti mi sono trasformata in una "alunna" certa di esprimere ciò che la maggior parte degli alunni hanno sperimentato. Rientrati dalle vacanze di Natale, dopo aver raccontato le varie avventure e le sorprese che avevamo vissuto in questo lungo periodo di vacanza, la nostra maestra ci ha svelato una sorpresa: a partire dal mese di febbraio avremo avuto il piacere di conoscere due nuovi "insegnanti": Laura e Marco. Riccardo, che non aveva ancora capito che per parlare in classe bisognava alzare prima la mano, è balzato in piedi e con aria preoccupata ha risposto che lui voleva continuare la scuola con le sue solite insegnanti. Allora la maestra, sorridendo, lo ha rassicurato dicendo che nulla sarebbe cambiato, anzi avremo avuto l'opportunità di accogliere in classe, una volta alla settimana, due esperti con i quali potevamo svolgere varie attività e giochi, coinvolgendo i cinque sensi, imparato come gli animali si difendono dal freddo, come e dove costruiscono le loro tane e dato risposte a tutte le nostre curiosità. I giorni passavano ed io non vedevo l'ora di conoscere Laura e Marco, ero curiosa e cercavo nella mia fantasia di immaginarli. Finalmente un mercoledì mattina sono arrivata a scuola e, essendo in ritardo, mi sono precipitata di fretta verso la classe, ho aperto la porta e ho visto accanto alla maestra Anna un ragazzo e una ragazza molto giovani, saluto tutti e siedo al mio posto e penso: finalmente sono arrivati! Ora, voglio proprio vedere se queste attività che ci proporranno saranno così divertenti ed interessanti come ci ha anticipato la nostra insegnante. Sono trascorsi quattro mesi da quel giorno, con cadenza settimanale Laura e Marco hanno lavorato con noi: banchi spostati, bambini e insegnanti accovacciati per terra a costruire puzzle, abbiamo raccolto foglie , erbe, legnetti in giardino, costruito tane, cartelloni, nidi per gli uccellini, filmati con la LIM e per finire un grandissimo gioco dell'oca realizzato da noi con tutti gli animali protagonisti di questa nostra entusiasmante esperienza. Devo dire che mi sono divertita molto, come pure il resto della classe; io frequento una classe prima e a differenza dei miei compagni provengo da un'altra scuola dell'infanzia e molti di loro non li conoscevo ancora bene. Questa occasione ha sicuramente rafforzato i legami tra noi bambini, anche i più timidi lentamente si sono fatti coinvolgere, ci si aiutava e di volta in volta i componenti dei gruppi si mescolavano ed ogni bambino arricchiva il lavoro con le proprie esperienze e capacità. Domani è l'ultimo giorno di scuola, Laura e Marco li abbiamo salutati e ringraziati perché come ha detto il nostro compagno di classe Riccardo: "sono stati i nostri compagni di viaggio" e speriamo che questo viaggio prosegua anche nel prossimo anno scolastico. 15 4.3 Classe 2° A, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci “Laboratorio? Sì, grazie!” a cura di Donatella De Cal e Daniele Zuccato Non nascondiamo che, quando ci è stato proposto questo progetto, abbiamo avuto qualche perplessità nell’accettarlo: ci sembrava infatti molto impegnativo (sia dal punto di vista del monte ore previsto che delle modalità di svolgimento) e non ritenevamo corretto il fatto che non venissero riconosciute economicamente le ore che ci venivano richieste per la sua attuazione . A percorso ultimato, possiamo dire che queste perplessità non avrebbero avuto motivo di sussistere, essendosi rivelato il lavoro meno gravoso del previsto e anche giustamente ricompensato. Ciò che ci ha spinti ad accettarlo è stata, oltre al riconoscere in esso un buon modo per consolidare la socializzazione all’interno della classe del nostro bambino sinto, l’organizzazione oraria che ci era stata imposta quest’anno, che impediva la possibilità di programmare alcun laboratorio con gli alunni, mancando quasi del tutto momenti di compresenza tra gli insegnanti. Questa proposta ci è sembrata un’ottima occasione per ovviare a questa carenza (per noi assai grave): per buona parte del primo quadrimestre saremmo stati affiancati, per due ore alla settimana, da due operatori (rivelatisi poi molto simpatici e competenti) che ci avrebbero permesso di offrire alla classe delle attività divertenti e stimolanti, in modo da alleggerire il tempo-scuola, costituito sostanzialmente da ore di insegnamento frontale. Già dal primo incontro di progettazione con Laura e Davide (12-11-2013), nel quale ci hanno proposto un percorso sugli animali attraverso il quale sarebbero state affrontate alcune tematiche relative al mondo infantile, ci siamo resi conto che lavorare con loro sarebbe stato piacevole e interessante. Il programma era ampio e, ciò che per noi era importante, non si distanziava dalla programmazione di classe nei contenuti e nelle finalità. Nell’ambito linguistico-espressivo già si pensava di sviluppare l’argomento delle favole (dove i protagonisti sono animali) e in quello scientifico, anticipando un pochino i tempi, si sono potuti trovare degli agganci presentando alcune caratteristiche del regno animale, relativamente alle diversità tra le specie e alle strategie di sopravvivenza. I dieci incontri con la classe si sono svolti di martedì, dalle ore 14.30 alle 16.30. I bambini, ai quali era stato spiegato sommariamente il “laboratorio”, si sono subito dimostrati interessati e hanno accolto con entusiasmo Laura e Davide, instaurando con loro un rapporto di fiducia e affetto. Le attività, sotto forma di gioco (identificazione con animali), lettura di favole (“Il lupo e la capretta”), drammatizzazioni (“La volpe e la pantera”), visione di film (“La gabbianella e il gatto”), proiezione di immagini (percezione visiva), disegni (mimetismo), ecc., hanno portato via via gli alunni ad esplorare alcuni aspetti del mondo animale (la diversità, il mimetismo, ecc.) rapportandoli inconsapevolmente al proprio e ad affrontare in modo adeguato argomenti importanti come l’amicizia, la solidarietà, la diversità,la paura, ecc. In questo contesto J. (il bambino sinto), dimostratosi all’inizio piuttosto intimidito, si è un po’ alla volta sciolto e si è lasciato sempre più coinvolgere nelle attività collettive. Ha dimostrato particolare interesse nella costruzione di una sorta di “protezione” per l’uovo della gabbianella dove, con l’utilizzo di cannucce, carta e altro materiale, i bambini dovevano progettare e costruire in gruppo una specie di custodia per impedire che l’uovo (vero), cadendo, si rompesse. I vari argomenti sono stati poi recuperati, nei giorni successivi, all’interno della programmazione di classe. 16 Ogni incontro è stato descritto attraverso relazioni personali o collettive, disegni, dettati, ecc. ed è servito da stimolo per osservazioni, discussioni e riflessioni su tematiche che sono state poi approfondite nel corso dell’anno. Nelle varie attività si è anche cercato di coinvolgere, secondo le sue possibilità, anche un nostro alunno affetto da sindrome di Down, seguito dall’insegnante di sostegno. Riteniamo che buoni spunti per un approccio positivo a questo tipo di lavoro siano stati offerti dai due incontri sul Cooperative Learning tenutisi presso l’I. C. “Gramsci”. Molto utili per l’analisi periodica della situazione scolastica e relazionale di J. sono stati i tre incontri con il pedagogista e l’educatrice che, con i loro suggerimenti, ci hanno permesso di comprendere maggiormente alcune modalità di comportamento di J. e di calibrare, di conseguenza, il nostro intervento su di lui, sul gruppo classe e sulla sua famiglia. Il lavoro è stato documentato con fotografie e disegni che hanno consentito di tracciarne il percorso in un librone collettivo, arricchito da didascalie e pensieri degli alunni, nonché dalle firme di ognuno di loro. E’ stato anche allestito un cartellone murale con i testi e i disegni più significativi prodotti durante lo svolgimento delle attività. 17 4.4 Classe 2°A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci “Dedica” a cura di Mariagrazia Silvestri A settembre mi sembrava di dover scalare una montagna per poter raggiungere alcuni fondamentali obbiettivi all’interno della mia classe. A Giugno ho conquistato la vetta! Faticoso, emozionante, altalenante, coinvolgente ….è stato tutto il percorso, ma con l ‘appoggio dei miei colleghi e con la grande collaborazione e partecipazione di Marco e Laura a qualsiasi sfumatura riguardante la personalità di ogni bambino e bambina, si è concluso l’anno scolastico con un bel sorriso . Grazie a tutti di cuore e spero di riavervi con me anche il prossimo anno . 4.5 Classi 1°B – 1°E, Secondaria di I° Volpi, I.C. Alpi “Nessun uomo è un’isola” a cura di Matteo Benedetti, Martina Bettio, Katia Torriani Tempi: 2 ore settimanali per un totale di 12 incontri (24 ore a classe) a partire da: Martedì 12 novembre -classe 1E: ore 12.00 - 14.00. Conclusione 04 febbraio 2014 Giovedì 7 novembre –classe 1B: ore 10.00 - 12.00. Conclusione 06 febbraio 2014 Con pausa di una settimana per preparazione Attivita’ finale Finalità: Costruire un gruppo classe cooperante e valorizzante Competenza: Riconoscere i tratti della propria identità personale e culturale come luogo di partenza per aprirsi all’altro in un’ottica di scambio e di condivisione che valorizzi le abilità di ognuno, mediando le diversità. Tematica: il superamento dell’individualità e l’apertura all’altro vengono affrontati attraverso il potente simbolismo dell’isola-persona e dell’arcipelago-gruppo classe. Vengono sottoposte all’analisi e alla riflessione dei ragazzi 4 isole diverse, come tappe di un percorso di sviluppo delle peculiarità del singolo in sinergie di gruppo. Solo attraverso la collaborazione e il rispetto è possibile sviluppare a pieno le potenzialità di ognuno e sostenerne le fragilità. FASI ITACA, l’isola di Ulisse = IO L’IO bambino, l’affetto, la famiglia, le paure. Rappresenta le radici profonde dell’IO. E’il luogo dell’infanzia con le sue paure di crescere e la protezione degli affetti familiari. Da questo luogo si parte, forti delle proprie peculiarità per entrare nel mondo degli altri. L’ISOLA DI ROBINSON CRUSOE = IO E TE La scoperta dell’Altro. L’isola del progetto e della costruzione. Progettare la propria vita significa saper soddisfare i propri bisogni e superare la solitudine aprendosi agli altri e collaborando con essi. Casa, Cibo, Amicizia con l’Altro. L’ISOLA DEL TESORO = NOI Il gruppo come risorsa. Cooperare per un obiettivo comune, porta alla conquista del tesoro. L’isola dell’esplorazione e della conoscenza, è un’isola piena di avventure. L’ISOLA CHE NON C’E’ = TUTTI INSIEME 18 Lo stare insieme come benessere regolato: L’isola che non c’è e che dobbiamo costruire noi, con la fantasia, l’esperienza. L’isola del vivere civile e del benessere di tutti. L’isola in cui alla fine il gruppo classe approda. Obiettivi Avviare un processo di decentramento dal sé e di apertura e comprensione dell’Altro Avviare la capacità di mediare i propri bisogni nel rispetto dell’Altro e del gruppo Avviare la costruzione di un gruppo cooperante Metodo: Cooperative learning, role-playning, MATERIALI: cartelloni, colori, carta, oggetti di riciclo, colla, skoch, forbici, post-it adesivi, Testi fotocopiati, fotografie delle attività. Cibo per la caccia al Tesoro finale. REALIZZAZIONE FASE 1 L’isola degli AFFETTI e del Sé - ITACA ATTIVITA’ A PREMESSA Descrizione del PROGETTO da parte dei conduttori: breve introduzione del percorso, durata, modalità. Brain Storming: spiegazione del significato del Titolo dato all’Attività: “Nessun uomo è un’isola” con enucleazione di concetti e immagini guida (viaggio, isola, equipaggio, esplorazione, scoperta, gruppo). Narrazione esperienziale individuale: il mio viaggio più bello (reale, immaginario, simbolico, desiderato). Ritualizzazione simbolica: Consegna della valigia e preparazione del materiale per la partenza. La partenza viene ritualizzata attraverso la consegna di una cartellina a forma di valigia che conterrà tutto il materiale raccolto nel viaggio. DENTRO la mia valigia: inserimento individuale di post-it di colori diversi con scritto 1) Un BISOGNO da soddisfare per stare bene; 2) Una QUALITA’ del proprio carattere; 3) Un OGGETTO prezioso (reale o astratto). Tali elementi saranno utilizzati nel corso delle attività. Brain storming iniziale sul significato di BISOGNO e QUALITA’ Le finalità sono quelle di presentarsi, di avere un simbolo del viaggio e di riportare l’attenzione sul fatto che il gruppo può contare su un capitale di oggetti e valori umani che possono essere messi a disposizione dell’equipaggio intero. Già alla partenza quindi, vi è il supporto del gruppo. ATTIVITA’ B INDIVIDUAZIONE DEI BISOGNI PRIMARI DEGLI ALUNNI E DELL’AREA AFFETTIVA COME BASE DELL’INDIVIDUO: ITACA Collocazione individuale a scelta dei post-it dei BISOGNI su fogli-lavagna che rappresentano le 4 isole: in quale isola posso soddisfare il mio bisogno? 1. AFFETTI (famiglia, amici, casa...) 2. PROGETTI (costruzione, ingegno, organizzazione ... per ripararsi, nutrirsi, ...) 3. SCOPERTA (esplorazione, 4. FANTASIA (creatività, sogno, desiderio...) conoscenza ...) COSTRUZIONE dei GRUPPI di lavoro per Cooperative Learning: per comunanza di sentire. I gruppi si formano raggruppando tutti i ragazzi che hanno collocato il post-it dei BISOGNI nella stessa isola. Costruzione di 4 gruppi. ASSEGNAZIONE DEI RUOLI: portavoce del gruppo, moderatore, verbalista. ESPLICITAZIONE DELLE REGOLE: compiti, tempi, turni di parola, esposizione, feed-back finale. Utilizzo di matite colorate cambio turno di parola. COMPITO: verbalizzazione e scrittura testo collettivo su 3 punti: Perché ho scelto questo bisogno Perché l’ho collocato in questa isola Soddisfacendo questo bisogno io miglioro in che modo? 19 Conclusione: discussione sui risultati e feed-back sull’attività. ATTIVITA’ C L’ARRIVO A ITACA Il gruppo condivide un obiettivo Cooperative learning: rotazione dei ruoli nel gruppo già costituito in precedenza ATTIVITA’: creazione del puzzle dell’isola ricostruendo il testo della canzone lTACA di Lucio DALLA La canzone fa esplicito riferimento al ruolo del capitano della nave e al ruolo dei marinai che sono diversi ma complementari per il raggiungimento di un obiettivo comune. Ogni gruppo riceve il tassello di un puzzle con incollata sopra la parte scritta di un testo. 2 tasselli vuoti vengono collocati al centro del pavimento. COMPITO: Interpretare il testo, esporlo ai compagni. Ricostruire il testo della canzone nel corretto ordine formando il puzzle dell’isola di Itaca grazie all’unione dei pezzi. Ogni gruppo, ascoltando l’esposizione dei compagni, discute e comprende la posizione della propria parte di testo nell’insieme della canzone. Creare un “ponte ideale” fra le parti (o gruppi): ogni gruppo scrive una frase di sintesi sui tasselli vuoti dell’isola. L’insieme crea un messaggio collettivo. Ascolto finale della canzone Itaca di Lucio Dalla. Feed-back sull’attività ATTIVITA’ D LA NOSTALGIA DI ULISSE: mettersi nei panni degli altri e comprendere i loro sentimenti e le loro ragioni ATTIVITA’: SCRITTURA DI UN BREVE COPIONE E DRAMMATIZZAZIONE del testo dal punto di vista di uno dei personaggi Cooperative learning: rotazione dei ruoli nel gruppo già costituito in precedenza Testo di riferimento: La nostalgia di Ulisse, Odissea Lettura guidata del testo e sua contestualizzazione nell’Odissea, a cura dei docenti. COMPITO: Comprensione analitica del testo su indicazioni date dall’insegnante. Individuare le differenze fra Ogigia, l’isola di Calipso in cui è trattenuto Ulisse e Itaca, l’isola dove Ulisse vuole tornare. Individuazione dei personaggi: Calipso, Ulisse, Zeus, Atena, Ermes. Le ragioni di ogni personaggio: cosa desiderano, cosa vorrebbero, che sentimenti provano. Ogni gruppo, a sorteggio, riceve il nome del personaggio dal cui punto di vista devono raccontare la storia Scrittura del testo e drammatizzazione in costume Feed-back sull’attività FASE 2 L’ISOLA DI ROBINSON – PROGETTARE INSIEME ATTIVITA’ A LA VOGLIA DI SCOPRIRE IL MONDO: IL DESIDERIO DI CONOSCERE FA CRESCERE E ANDARE LONTANO ATTIVITA’: SCRITTURA DI UN BREVE COPIONE E DRAMMATIZZAZIONE del testo dal punto di vista di uno dei personaggi Lettura di un brano dal libro di Defoe “ROBINSON CRUSOE”. Il testo verte sul confronto fra Robinson e il padre che non vuole permettergli di partire per mare. Cooperative learning: costituzione di nuovi gruppi casuali, rotazione dei ruoli Role-playing Presentazione del libro e contestualizzazione del brano, a cura dei docenti. Lettura guidata del testo e comprensione. COMPITO: Comprensione analitica su indicazioni date: 20 La storia della famiglia di Robinson Le motivazioni dei genitori (padre) Le motivazioni di Robinson Discussione e confronto fra gruppi sulle diverse opinioni Formazione di 2 gruppi distinti in base alle opinioni personali: 1. Sostiene il padre 2. Sostiene Robinson. Ogni gruppo individua un rappresentante che drammatizzerà il ruolo con i suggerimenti dei compagni. Ogni volta che il recitante si blocca e dichiara di non avere argomenti, viene sostituito a rotazione da quello nel suo gruppo che si ritiene possa rispondere alle obiezioni dell’antagonista nel confronto. Regola: si parla solo alla fine dell’intervento dell’antagonista riassumendo brevemente quanto da lui detto e poi rispondendo. Feed-back sull’attività. ATTIVITA’B IL NAUFRAGIO DI ROBINSON: SAPER SODDISFARE I PROPRI BISOGNI PROGETTANDO INSIEME UN OGGETTO UTILE ALLA SOPRAVVIVENZA DI TUTTI Lettura del brano del secondo naufragio di Robinson e del suo arrivo nell’isola tratto da “Robinson Crusoe” di De Foe. Robinson deve affrontare la sua vita da naufrago sull’isola. ATTIVITA’: COSTRUZIONE DI UN OGGETTO ASSEMBLANDO PARTI CASUALI COMPITO: Ogni gruppo pesca a caso 5 oggetti da un cassone portato nel laboratorio. Assembla i pezzi per costruire un oggetto utile alla sopravvivenza nell’isola. Descrive l’oggetto agli altri gruppi. Motiva la costruzione dell’oggetto legandolo ad un particolare aspetto dell’isola decisa in precedenza dal gruppo (ad es. costruzione di una mongolfiera perché l’isola è ventosa e montuosa al centro senza valichi). Feed-back sull’attività. FASE 3 L’ISOLA DEL TESORO ESPLORARE E TROVARE IL TESORO COME SIMBOLO DELLA CRESCITA ATTIVITA’ A ATTIVITA’: COSTRUIRE LA MAPPA DELL’ISOLA CON DISEGNI E COLLAGE SEGUENDO LA DESCRIZIONE Lettura di un brano dall’ “Isola del Tesoro” di Stevenson in cui si descrive l’isola del Tesoro Cooperative learning: costituzione di nuovi gruppi casuali, rotazione dei ruoli Introduzione al libro, Lettura e comprensione del brano, a cura dei docenti COMPITO: Individuazione nella descrizione di 5 elementi del paesaggio: la spiaggia dell’approdo, la montagna del Cannocchiale, la palude, la tana del mostro, la foresta. Tali elementi fissi costituiscono le basi fondamentali nel disegno a gruppi dell’isola. Disegno su cartelloni della mappa dell’isola, completamento con collage di immagini geografiche portate dagli alunni. Si incollano le parti di testo relative alla descrizione dei 5 elementi. Creazione di nomi di fantasia. Presentazione agli altri gruppi dell’isola. Feed-back sull’attività. ATTIVITA’ B ATTIVITA’: LA COSTRUZIONE DELLA MAPPA DEL TESORO e la scoperta del TESORO COMPITO: Su carta pergamena ogni gruppo predispone la mappa del tesoro, decide il nascondiglio e sceglie il tesoro: un arricchimento sotto forma di dono simbolico da lasciare al gruppo che esplorerà l’isola. Ogni gruppo predispone indovinelli, quiz, prove da superare per avvicinarsi al tesoro. Per avere il tesoro è necessario affrontare il mostro dell’isola che protegge il tesoro. 21 Si abbinano a caso isole e gruppi. Un componente dell’isola rimane a guidare l’esplorazione del gruppo che deve indovinare. Caccia al tesoro e descrizione del tesoro trovato. Feed-back sull’attività. FASE 4 L’ISOLA CHE NON c’è LA SINTESI DEL VIAGGIO ATTIVITA’A ATTIVITA’: CREARE L’ISOLA CHE NON C’E’ COME SINTESI DELLE ALTRE ISOLE Cooperative learning: costituzione di nuovi gruppi casuali, rotazione dei ruoli COMPITO: costruire un’isola divisa in 4 parti dove riportare (affetti, progetto, conoscenza, la quarta parte sono le acquisizioni personali e di gruppo come sintesi finale. Riordinare il materiale prodotto nel laboratorio e commentarlo a voce. Sistemare negli spazi disegnati pensieri, parti di fotografie, disegni, altro. Discutere sul percorso e scrivere le riflessioni finali sulla parte dell’isola che NON c’è. Presentazione agli altri gruppi del lavoro finale. Feed-back sull’attività. ATTIVITA’ B IL TESORO COME CONDIVISIONE e il TEMPO DELLA FESTA INSIEME ATTIVITA’: GRANDE CACCIA AL TESORO CACCIA AL TESORO Preparazione a cura di docenti ed educatori con ruolo di Assistenti nel gioco. N° squadre: 4 squadre: squadra Gialla, Rossa Verde, Azzurra. 4 MAPPE dei luoghi usati per la caccia, 1 per squadra. Le Mappe servono per trovare i Biglietti colorati, nascosti dagli organizzatori in precedenza, indicanti la PROVA da superare per progredire nel gioco. L’indicazione del LUOGO in cui cercare, invece viene data dall’Assistente alla squadra dopo il superamento della prova. 6 TAPPE di GIOCO NUMERATE. Ogni tappa corrisponde ad un luogo dove è nascosto un Biglietto colorato con indicazioni della PROVA da superare per avanzare nel gioco. Il biglietto contenente la prova viene nascosto all’inizio del gioco, mentre l’indicazione del luogo dove cercare il biglietto successivo si guadagna superando la prova. Sono predisposti 4 percorsi diversi di ricerca, 1 per squadra, utilizzando i 4 colori, ma le prove sono uguali poiché il TESORO sarà comune. Abbinamento Assistenti alle squadre; l’Assistente controlla e decide il superamento della PROVA. Consegna il biglietto con le indicazioni per raggiungere il LUOGO in cui cercare e lo consegna DOPO il superamento della prova. SVOLGIMENTO L’Assistente di riferimento consegna ai partecipanti la mappa dei posti dove sono nascoste le prove da sostenere per proseguire nella caccia. Consegna il primo biglietto indicante il primo luogo in cui cercare. Ogni prova richiederà il nulla osta dell’assistente per procedere alla tappa successiva e quindi alla ricerca del biglietto con la seconda prova. PROVE Fare l’acrostico delle seguenti parole con attinenza al significato: Itaca; Neverland; Robinson. Imparare a memoria la seguente frase, recitarla in coro in modo neutro e in altre due modalità ad estrazione (ad es.: ridendo, piangendo, remando, saltando, cantando). La frase: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo di continente, un pezzo di tutto…La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce perché io sono parte dell’umanità.” Per viaggiare è importante saper leggere le mappe geografiche: trovate i seguenti luoghi sulla cartina e scrivete il nome di alcuni dei personaggi incontrati nel nostro viaggio che abitano là. 22 Longitudine 0°-Latitudine 55° Nord (Inghilterra); Longitudine 25° Est- Latitudine 38° Nord (Grecia) Longitudine 77° Ovest- Latitudine 18° Nord (Giamaica –Caraibi); Longitudine (15x15 – 20)°Est Latitudine (10x 8 +11)°Sud (Isola che non c’è). Ricomponi i pezzi delle foto (selezioniamo e stampiamo 2/3 foto tra quelle scattate durante i laboratori tagliandole poi a quadretti per fare il puzzle) e scrivi il momento corrispondente (cosa stavamo facendo? che isola era? come ci sentivamo?) Ricomponete la canzone “Itaca” di Lucio Dalla (la dividiamo parola per parola) e alla fine cantatela insieme ai compagni. L’isola che si mangia. Preparate una merenda per i vostri compagni curando la presentazione che deve essere a tema con i laboratori svolti. (Dare a disposizione: grissini, pancarrè, marmellata, crema nocciola, caramelle assortite, biscotti, salviette). La squadra costruisce l’isola con il cibo. La descrive ai compagni e alla fine tutti insieme si mangiano le isole. CONQUISTA DEL TESORO: Premio Visione di un Film sul tema del viaggio insieme all’altra classe della scuola che ha svolto il Laboratorio. EXTRA PROGETTO DIVERSI MA INSIEME: PERCORSI PARALLELI FRA LE DUE CLASSI COINVOLTE 1B-1E ATTIVITA’: VISIONE DEL FILM, premio della CACCIA al TESORO e confronto fra le esperienze FEED-BACK finale con le famiglie dei ragazzi 23 4.6 “Lago Shaino, un momento da ricordare” a cura di Davide Carnemolla Penso che l'esperienza del cooperative learning sia stata molto positiva sia per gli alunni delle classi in generale che per i minori sinti: gli incontri sono stati vissuti con grande partecipazione ed entusiasmo e il metodo cooperativo ha permesso ad ognuno/a sia di ritagliarsi i propri spazi sia di sviluppare una maggiore capacità di lavorare in gruppo. Positivo è stato anche il fatto di aver assegnato dei ruoli (come “portavoce”, “coordinatore”, ecc...) facendoli ruotare ad ogni nuovo incontro in modo da conferire sempre nuovi incarichi e responsabilità. I minori sinti, sia coloro maggiormente presenti che coloro che hanno fatto più assenze, hanno partecipato con interesse (pur con qualche titubanza e difficoltà iniziale) riuscendo, incontro dopo incontro, a contribuire in maniera creativa valorizzando le loro qualità e i loro interessi (ad es. attraverso il disegno o le performance teatrali). Molto buono anche il rapporto con gli insegnanti che hanno lavorato con grande interesse e costanza condividendo i contenuti e le modalità di svolgimento dei percorsi con gli operatori del progetto, valorizzando le attività svolte e in diversi casi anche dando continuità a tali attività fuori dalle ore dedicate al laboratorio. Momenti da ricordare: il dispiacere di una classe quando ha saputo che il giorno del laboratorio ci sarebbe stata vacanza (“è la prima volta che vedo dei ragazzi tristi perché non devono andare a scuola” ha detto la loro insegnante); l'esuberanza e la bravura di Davide nelle performance teatrali; la felicità di Marco nel poter disegnare sul cartellone dell'isola del tesoro un lago e chiamarlo col suo nome (“lago Shaino”). Suggerimenti per il futuro: avviare sin dall'inizio della programmazione un lavoro pienamente condiviso tra i vari soggetti coinvolti tenendo in considerazione le rispettive proposte ma anche i tempi di svolgimento delle attività (ad es. valutando i tempi scolastici). Al tempo stesso sarebbe auspicabile coinvolgere – sia nelle attività laboratoriali che negli altri impegni all'interno del progetto - più insegnanti delle classi inserite nel progetto sia per non sovraccaricare troppo un numero ristretto di insegnanti sia per allargare a più insegnanti la partecipazione e quindi l'impatto e l'effetto moltiplicatore del progetto stesso. 24 4.7 “L’educazione artigiana” a cura di Laura Tegon e Marco Tombolani Quando quest’anno ci dissero che il nuovo progetto avrebbe previsto dei laboratori per tutta la classe con la metodologia dell’apprendimento cooperativo e del “learning by doing”, ci guardammo tra colleghi esclamando: “ interessante …e impegnativo!”. Era interessante soprattutto perché avremmo avuto la possibilità di entrare nelle classi e di lavorare con tutti i bambini “rom , sinti e gagi “ respirando e vivendo le loro emozioni proprio in diretta… proprio nel posto dove, spesso, molti bambini rom e sinti vivono delle difficoltà trasformandosi rispetto a come siamo abituati a vederli fuori dal contesto scolastico! Ci piaceva molto anche l’idea di lavorare con l’apprendimento cooperativo perché siamo cresciuti professionalmente con alcuni pensatori ( come Freire, Tagore, Bion, Spaltro, Branca, ecc…) e con la convinzione che il gruppo eterogeneo sia fondamentale per la crescita di ogni contesto e in particolare nel lavoro sociale… Ci solleticava la fantasia il fatto di poterci sperimentare insieme a un gruppo numeroso con quella che mi piace chiamare “l’educazione artigiana” (libera e personale traduzione del “learning by doing”) perché per noi la crescita è una complessa rielaborazione che parte proprio dal fare delle esperienze concrete e specifiche di significato, personali, contemplando sempre il sapere cognitivo con quello emotivo. Pensavamo invece che sarebbe stato impegnativo perché se da una parte avremmo potuto finalmente creare una forte alleanza con gli insegnanti e i genitori, dall’altra parte avremmo dovuto “co-progettare” con delle professionalità differenti dalle nostre che non avevano richiesto espressamente il progetto e che non avevano tempo perché erano già oberate di lavoro. Temevamo di non riuscire a conciliare in poco tempo i vari impegni e temevamo di non trovare insieme agli insegnanti quella preziosa mediazione tra i diversi stili educativi e tra i diversi aspetti della formazione-educazione e della didattica… A distanza di tempo tutti questi pensieri iniziali si sono moltiplicati a livello esponenziale per ogni parte in gioco (la collaborazione con gli insegnanti, la conoscenza delle peculiarità dei bambini e del gruppo, la progettazione e la creazione delle attività, ecc…) ed è ancora difficile dare loro un ordine e considerare se le nostre premesse e i nostri timori iniziali fossero tutti pertinenti poiché la sfavillante e vivace umanità che ci ha animato nelle classi è stata piuttosto travolgente e qualche cosa sta ancora cercando di essere indagata… Tuttavia di seguito scriverò solo alcune osservazioni che possono essere trasversali nel lavoro svolto con le diverse classi incontrate della scuola primaria e di quella secondaria. Inizio con il racconto di un episodio molto semplice che, mentre eravamo a scuola, ha risuonato però come una sorta di monito per noi educatori... In una classe prima della primaria avevamo chiesto a tutti gli alunni di “firmare” l’ultima mattonella-tessera che rappresentava l’arrivo di una specie di percorso simile a un gioco dell’oca che avevano costruito i bambini lavorando in gruppetti. Nel momento di assemblaggio delle varie tessere, giunti alla visione dell’ultima mattonella il mio collega ed io ci siamo ritrovati a leggere una quindicina di “firma, firma, firma, firma…” e così via! Il gruppo di bambini aveva firmato scrivendo “firma” al posto del proprio nome! Dopo un primo sorriso un po’ disorientato abbiamo mostrato la mattonella alla maestra e abbiamo iniziato a fare delle osservazioni… Abbiamo raccontato l’episodio anche nelle altre classi e, con gran piacere, ci siamo confrontati con degli insegnanti che condividevano senza conoscersi la stessa rilettura: “Quanta responsabilità abbiamo noi insegnanti! Come è facile il rischio di condizionarli” . 25 Da questa consapevolezza credo sia nata proprio la fiducia che ho maturato per tutti gli insegnanti incontrati in questa esperienza. Una consapevolezza del proprio ruolo educativo che sente la responsabilità non solo della didattica ma anche della formazione concependo l’apprendimento come un processo strettamente legato alla delicatezza dell’essere bambini che provano emozioni e che ti rilanciano in mille modi i loro bisogni anche se spesso non li sanno ancora codificare. In classe infatti c’era chi ti ipnotizzava con lo sguardo senza perderti mai di vista, chi invece non riusciva neppure a incrociare il nostro sguardo, chi parlava sempre, chi non aveva il coraggio di esporsi, chi si alzava e ti prendeva per mano, ecc…Con tante sfumature emergevano il bisogno di avere delle relazioni e di saperle vivere al meglio e allo stesso tempo il bisogno di differenziarsi, il bisogno di essere riconosciuti come autonomi e indipendenti ma anche quello di essere supportati dalle figure adulte in modo accogliente trovando la giusta vicinanza-distanza. Prorompenti erano poi il bisogno di esprimere le proprie emozioni, paure, fantasie e desideri… Di fronte a tutto ciò ci siamo quindi confrontati per cercare di capire come rielaborare praticamente il tutto nella nostra idea di “artigianato dell’educazione”. Abbiamo pensato che alcuni fili conduttori con cui intrecciare la conoscenza, l’affettività, la motivazione e l’esperienza potessero essere alcuni argomenti a me molto cari come la bellezza degli animali con le loro somiglianze e diversità rispetto agli “animali umani” e le loro capacità di collaborare in modo rispettoso nella natura… un altro argomento, caldeggiato in particolare da due professoresse, è stato poi il tema del “viaggio” concreto ma anche poetico e metaforico… Penso che noi tutti (educatori, insegnanti e bambini) ci siamo impegnati per costruire un bel percorso e siamo diventati noi stessi una squadra con diversi compiti dove la qualità è aumentata con l’aumento del livello di collaborazione… perché il lavoro di gruppo ha in effetti anche un valore pratico e non solo morale. Durante le diverse tipologie di attività (letture di racconti, giochi cooperativi, attività creative e manipolative, visione di filmati, ecc…) non sono sicuramente mancati alcuni momenti di conflitto o di difficoltà che sono state preziose occasioni di apprendimento soprattutto quando ci si trovava a fare delle esperienze concrete con la necessità di condividere delle risorse o di dover prendere delle decisioni o di dover collaborare con compagni che non si impegnavano. Ricordo, per fare un esempio semplice, un momento di riflessione in cerchio dopo aver letto una storia in cui si parlava di un litigio tra diversi animali che condividevano uno spazio molto stretto. In quel momento molti bambini avrebbero potuto vincere il premio nobel per la pace dimostrando una saggezza quasi “gandhiana” nella rilettura dei fatti… ma solo nel momento in cui abbiamo invitato gli stessi bambini a mettersi in gioco condividendo nella pratica uno spazio sempre più ridotto è stato possibile sperimentare quanto sia difficile la condivisione; nel gioco è stato possibile apprendere dall’esperienza e coinvolgersi nell’immaginare soluzioni per provare a stare bene in quella situazione.... Potrei raccontare davvero molte altre esperienze simili, alcune molto semplici come quella per cui, all’inizio, anche riuscire a stare in due o in tre per lavorare attorno allo stesso foglio non era facile e scontato né nella scuola primaria né nella scuola secondaria… o potrei ricordare come i bambini, dopo aver faticato ed essersi impegnati molto in vari appuntamenti, nel tempo, sono riusciti a collaborare, in modo sempre più sereno, diventando orgogliosi dei propri “prodotti” senza il timore di scomparire o di essere giudicati nel gruppo. Per questo, la possibilità di creare un pensiero insieme ai bambini su alcune esperienze emotivamente significative vissute attraverso il gioco e i lavori di gruppo, ci ha aiutato ad incoraggiarli e spronarli a trovare le parole più adatte per esprimere i bisogni più sinceri e autentici e per cercare di trovare il loro posto in quelle relazioni che stavamo vivendo senza temere di dover proteggere la loro identità. 26 5. A CASA 5.1 “Un’attività… di famiglia” a cura di Davide Carnemolla Positivo in generale il rapporto sia con i minori che con le famiglie. Le due situazioni che ho seguito sono state tuttavia abbastanza diverse tra loro. In un caso la famiglia è stata molto collaborativa e ha perfettamente compreso l'importanza ed il senso delle attività del progetto (sia a scuola che a casa) mentre in un altro caso la famiglia, pur dimostrando di comprendere l'importanza di tali attività, non ha sempre collaborato affinché l'attività di supporto presso casa loro si potesse svolgere nella maniera migliore (in più di un caso ad esempio la famiglia usciva con il figlio e non si faceva trovare in casa al momento dell'inizio dell'attività). Ciò è avvenuto ad ogni modo più per superficialità e per un coinvolgimento non sempre elevato nel progetto piuttosto che per un reale disinteresse o un'indifferenza verso le attività del progetto. L'attività a domicilio è in ogni caso importante sia per il supporto specifico che si può dare al singolo bambino/ragazzo sia perché diventa un'attività più “globale” che coinvolge l'intera famiglia andando a toccare anche situazioni non strettamente legate all'ambito scolastico e configurandosi quindi come un tipo di attività significativa per tutti i membri della famiglia. Momenti da ricordare: la partecipazione dei fratellini di Gianni alle attività svolte dallo stesso Gianni e il clima positivo che si respirava a casa loro. Le chiacchierate con Fabio a casa sua (in attesa dell'arrivo di Marco). Suggerimenti per il futuro: così come le altre attività anche questa, forse ancora più delle altre, andrebbe programmata calcolando un certo grado di flessibilità. In particolare, visto il numero limitato di ore, andrebbe valutata l'efficacia e l'impatto di tali attività (ad es. quanto il supporto a domicilio influisce o meno sul rendimento scolastico o sul grado di socializzazione del minore). Il monte ore andrebbe quindi modulato in base a questo aspetto prevedendo anche un maggiore allargamento dell'attività ad altri minori appartenenti allo stesso nucleo familiare o se possibile, anche ad alcuni coetanei dei minori supportati in modo da estendere i benefici del progetto a più minori e non solo a quelli “direttamente” coinvolti. Quest'ultimo è un aspetto a mio parere significativo che andrebbe considerato in tutto il progetto dato che i minori sinti non inseriti nel progetto RSC hanno visto ridotto o eliminato il supporto loro garantito negli anni precedenti. 27 5.2 “Differenziare gli interventi” a cura di Laura Tegon e Marco Tombolani Molte volte ci siamo ritrovati a discutere tra colleghi sulla modalità più funzionale per lavorare insieme ad alcune famiglie rom e sinte e i loro bambini nell’orario extrascolastico considerando i bisogni e gli aspetti che ci sembravano più “peculiarmente rom e sinti” e quelli che, invece, potevano essere delle caratteristiche trasversali a diverse famiglie indipendentemente dall’origine rom e sinti. Per questo, come ci ha ricordato in un seminario anche Vinicio Ongini, l’atteggiamento più corretto è forse quello di riuscire a differenziare gli interventi e ciò lo conferma anche il fatto che ormai la struttura familiare rom e sinti analizzata e studiata (a volte forse anche “vivisezionata” in determinati e presunti contenitori culturali) da vari antropologi e sociologi dagli anni ‘60 non ha più alcun riscontro e a volte può anche rischiare di depistare e aumentare le distanze. Con queste premesse, il nostro lavoro insieme ha cercato di saper differenziare gli interventi nonostante ci si sia concentrati soprattutto sull’ambito scolastico perché, considerate le risorse a disposizione, ci sembrava la scelta più proficua per poter valorizzare, intensificare e supportare il lavoro che si stava facendo con tutti i compagni di classe nell’orario scolastico; avevamo infatti la possibilità di riprendere in un rapporto individuale e privilegiato con le singole famiglie e i bambini alcuni aspetti (alcune potenzialità o alcune vulnerabilità) osservati in classe. Con alcuni bambini e i loro genitori abbiamo quindi lavorato sulla tenuta di certi impegni, con altri abbiamo lavorato sulla mediazione e sulla comunicazione più corretta con il mondo della scuola, con altri sul bisogno di sostenere certe relazioni, con altri sul bisogno di scardinare alcuni meccanismi di isolamento aprendo nuovi scenari… A proposito di nuovi scenari, quest’anno è stato interessante poter vedere il cambiamento che è avvenuto nella vita di alcune famiglie che hanno voluto e potuto trasferirsi dal villaggio in alcuni appartamenti. Mi hanno detto di essere tutte soddisfatte di questa scelta e di questo cambiamento nel loro stile di vita. E’ cambiato anche il modo dei ragazzi di vivere la città e il gruppo di amici… Ricordo che nei primi anni di lavoro al campo di via Vallenari, circa dieci anni fa, raramente vedevo uscire i ragazzi più giovani per frequentare “i gagi” e la città… mentre quest’anno ho visto parecchi ragazzi frequentare compagnie di amici formati dai compagni o da alcuni vicini di casa. In tutto questo cambiamento, però, resta ancora forte il sentimento di disorientamento, di paura e di angoscia che le famiglie mi hanno comunicato rispetto alla situazione lavorativa che nella maggior parte dei casi, si basa su un lavoro sempre più precario come la raccolta del ferro. La nostra speranza più profonda è proprio che ci potrà essere un investimento maggiore sia da parte delle istituzioni sia da parte dei ragazzi per creare dei nuovi e originali progetti di vita. 28 5.3 “Tiro alla fune” a cura di Alessandro Zanetti Da alcuni mesi mi occupo, come volontario del Servizio Civile, dell’attività di supporto didattico ai minori Sinti, in media una o due volte alla settimana mi reco a casa loro e li aiuto a fare i compiti. Detta così potrebbe sembrare una cosa semplice e in effetti lo è, ma c’è una parte emergente dallo stare insieme a loro che rende il lavoro più complesso di quello che si può pensare. Senza voler trascurare l’unicità di ciascuno, c’è un tratto caratteristico che sembra accomunare questi ragazzi e che ho potuto osservare emergere in diversi contesti (una parte del progetto comprende anche il supporto a scuola) la scarsa fiducia in loro stessi. Non sono rare le volte in cui mi sento dire “non sono capace”, “non capisco niente”, “il disegno che ho fatto fa schifo”, “la tua A è bella, la mia no”, autostima traballante e insicurezze che si insinuano facilmente risultano essere gli aspetti più impegnativi da gestire nei processi di apprendimento. Allora mi chiedo se provare a stare in questa incertezza assieme a loro e guidarli un po’ alla volta verso una consapevolezza diversa possa essere una strada, è quello che tento di fare ad esempio attraverso la ripetizione continuata di un compito negli esercizi di italiano o matematica, cioè dimostrargli che ci sono delle strategie concrete che possono aiutare a migliorare le proprie abilità, che non è sempre così come dicono o pensano, che alle volte le competenze già le hanno, necessitano soltanto di uno stimolo a metterle in pratica. Il problema della motivazione è un'altra questione fondamentale a mio modo di vedere. Spesso questa, apparentemente carente, necessita di essere rinforzata attraverso diversivi e varianti dell’attività didattica. L’utilizzo del gioco si dimostra molto utile ed efficace in questo senso. Ad esempio le partite a “Memory” coinvolgono e stimolano molto i ragazzi, rafforzando contemporaneamente le loro capacità di memoria e attenzione ma anche il piacere di stare insieme, di partecipare, di condividere rispettando turni, regole, tempi propri e dell’altro. Spesso mi ritrovo anche a far uso della calcolatrice dello smartphone per rendere più accattivanti gli esercizi di aritmetica; loro, ho visto, sono molto attratti dalla tecnologia, soprattutto quella di ultima generazione, sfruttare uno strumento che suscita il loro interesse applicandolo ad un compito scolastico sembra favorire la motivazione, l’impegno profuso nel compito e la relazione. Ovviamente la calcolatrice non va a sostituire il calcolo mentale, ma funge da supporto finale per la verifica di quanto svolto manualmente. Molti di loro sono entusiasti di poter riprodurre su di un cellulare quello che hanno appena prodotto mentalmente. Così del resto dopo lo sforzo, il piacere. Un grande vantaggio mi si è dimostrato essere il trovare un elemento che possa fungere da collante con i ragazzi, qualcosa che possa favorire un aggancio produttivo e rafforzare la relazione educativa. Con Ibrahim per esempio fin dal primo incontro ho condiviso la musica, ho imbracciato la chitarra e lui il flauto e abbiamo suonato i pezzi studiati da lui a scuola. È stato divertente ed è servito a stabilire un contatto che si è poi mantenuto solido e proficuo negli incontri successivi. È fondamentale cercare i punti in comune, degli interessi o predisposizioni, modi di sentire, passioni condivise, perché queste possono rappresentare i presupposti per un incontro effettivo, unire e non isolare nelle rispettive posizioni, se una buona alleanza è il presupposto per una buona riuscita direi che l’adulto è chiamato a fare il primo passo e tutti i tentativi seguenti per il raggiungimento di questo obiettivo. Ho notato che la difficoltà più grande per la maggior parte di loro è quella di stare sul compito, faticano a trattenere l’informazione e a mantenere la concentrazione su quello che stanno facendo perché c’è sempre qualcosa che li porta altrove; è qualcosa che talvolta parte da dentro, altre volte proviene dall’esterno. Ad esempio la famiglia di Kevin, bambino che seguo a casa, con l’intento di mantenersi “a disposizione” in alcuni casi diventa un ostacolo, o quantomeno un fattore di distrazione che distoglie l’attenzione dell’interessato dal compito: i fratelli che cercano di partecipare agli esercizi sostituendosi a lui o cercano di aiutarlo suggerendogli le risposte, o che giocano alla Play Station nella stessa stanza, i cani che si inseguono per la cucina, i genitori fin troppo presenti che a 29 volte partecipano alle attività, altre volte inducono a sospendere le stesse perché devono andare via. Il rischio è quello di una confusione di spazi, tempi e ruoli, o di un eccesso di stimolazione che può rivelarsi controproducente laddove l’obiettivo è focalizzare le risorse del bambino sull’attività in corso. Ma al di là di questo, la famiglia è una risorsa preziosa che in molti casi aiuta a coinvolgere il ragazzo o a sintonizzarsi con i suoi umori o i suoi bisogni e a motivarlo alla partecipazione. In conclusione, credo che lavorare con questi ragazzi sia una bella prova di resistenza, sia per chi sta dalla mia parte che per chi dalla loro, si procede a passo lento, inciampando di frequente, ma rialzandosi ogni volta, insieme. La sfida più grande per me è forse riuscire a mantenere uno spazio libero e definito allo stesso tempo in cui muoversi quell’ora e mezza con determinazione e costanza. Faticoso da un lato, ma stimolante, avvincente dall’altro. Anche perché in questo bisogno di confini si insinua poi la necessità di fare affidamento alla creatività per spiazzare le reciproche difese e costruire una fiducia che diventi non solo lo scopo ma anche il motore dell’attività. Un poco alla volta ci si conosce e si migliora e i risultati, riscontrabili, sono la soddisfazione più grande. * I nomi dei minori sono inventati per tutela e rispetto della privacy degli stessi e delle loro famiglie. 30 6. L’INCONTRO INSEGNANTI - OPERATORI 6.1 “Per ascoltare meglio: incontri con insegnanti e operatori” a cura di Domenico Canciani SENTIRE MEGLIO. Nel corso di questa ricerca-intervento, uno dei temi sui quali ci siamo più volte soffermati è stato quello della invisibilità dei bambini Rom e Sinti. Nel corso della ricercaintervento ci siamo via via confermati nella convinzione che per lavorare sulla loro integrazione occorre che essi “siano visti” e “si facciano vedere”. Lavorare per settori di competenza (scuola, dopo-scuola, territorio, villaggio) è una condizione che non sempre consente di percepire il bambino intero e dunque di farlo sentire ascoltato, riconosciuto, motivato ad un percorso di inclusione socioeducativa. Si è dunque cercato di lavorare con modalità capaci di intrecciare le esperienze che ai ragazzi vengono proposte e facendo dialogare tra loro le figure che di essi si occupano. I colloqui che si sono svolti hanno visto compartecipi più figure educative (gli operatori del laboratori, gli insegnanti di classe, l’operatrice del Servizio e il pedagogista): più occhi aiutano a guardare meglio; più orecchie ad ascoltare meglio; più voci raccontano meglio la varietà dei percorsi di crescita che questi bambini si trovano a gestire. Abbiamo cercato di “tenerli a mente e nel cuore “ con le loro difficoltà e le loro specificità, in modo di farli uscire dall’invisibilità , di dar loro una fiducia sufficiente da permettergli di “uscire allo scoperto”. Il percorso di INTE(g)RAZIONE. Riporto due frasi che mi sono rimaste in mente durante un recente convegno sul tema dell’integrazione di adolescenti Rom: “non sanno far niente, non hanno sogni”. Nella loro crudezza queste parole racchiudono e svelano qualche realtà di cui abbiamo cercato di tener conto. Noi che lavoriamo nelle fasce di età precedenti, dobbiamo fare il possibile perché questi nostri bambini non siano adolescenti privi di competenze e di progetti. Lavorare insieme a scuola, insegnanti ed operatori in maniera collaborativa, ha la finalità di favorire la loro inclusione nel gruppo classe; l’uso di tecniche educative come i laboratori ha lo scopo di favorire l’interazione e l’integrazione migliorando le loro relazioni interpersonali, e le loro competenze strumentali (conoscenze e abilità nel campo logico e linguistico in particolare: parlare, leggere-scrivere). A nostro modo di vedere si tratta di due compiti interconnessi: più strumenti e occasioni di espressione avranno i bambini per “lasciarsi vedere”, più potranno avere un posto nel gruppo, un ruolo ”sociale”. SFONDI INTEGRATORI. Per le attività di laboratorio sono state scelti degli sfondi narrativi capaci di fornire un contesto in cui tutti i bambini-ragazzi potessero trovare espressione e costruire cooperazione. Si tratta di sfondi narrativi capaci, nel corso della loro realizzazione , di dare una motivazione all’espressione di sé attraverso tecniche animative (gestuali, pittoriche, fotografiche…), di favorire l’intrecciarsi di nuove relazioni, di formare e riformare gruppi e sottogruppi, di dare immagini di sé, di sperimentare l’emozione di essere ascoltati, visti, riconosciuti. Es. ne sono stati: L’ arca di Noè, le isole (di Robinson di Ulisse, del Tesoro, di Peter Pan), Lo zoo con le varietà di figure animali personalizzate, Il mondo alla rovescia (come lo vede un bradipo a testa in giù…) , Il mondo delle fiabe quali musicanti di Brema (tema accennato e non realizzato). Alcuni insegnanti ci hanno sottolineato come questi ed altri sfondi abbiano consentito di superare l’episodicità degli interventi laboratoriali, aumentando la possibilità che siano costruiti ponti con l’attività “di classe”, facendo dunque continuare l‘esperienza anche oltre il laboratorio settimanale. Ponti che possono consolidare le relazioni anche tra bambini e ragazzi sinti e gli altri compagni. La scelta di lavorare per laboratori con sfondi integratori permette di non incentrare l’intervento sui soli ragazzi sinti, ma di consentire un’autentica nuova chance, ovvero permettere a tutti i ragazzi di essere messi in condizioni paritarie di espressione-intervento. 31 CONTINUITÀ DELL’AZIONE EDUCATIVA. Il gioco-laboratorio in classe si è svolto con cadenza settimanale per dieci incontri: una grande ricorsa per creare aspettativa, motivazione, per cercare continuità. Tuttavia non sempre si è riusciti a dare percezione di continuità all’attività. Il mondo adulto che circonda questi bambini è a volte un territorio poco attento alle attività che essi svolgono; altre volte essi sono tirati da un capo all’altro delle loro famiglie-clan da necessità oggettive e intersoggettive… così le loro priorità finiscono in secondo piano. Possiamo dire che i loro bisogni diventano “invisibili” e allora si verificano assenze e allontanamenti temporanei dalla scuola. Il gruppo classe a poco a poco finisce per ridurre le proprie aspettative nei confronti di questi bambini “discontinui”, ritirando la propria fiducia quando vede che non c’è certezza dopo la promessa. MISSIONI E DISMISSIONI. Succede a volte anche agli educatori: proprio coloro che maggiormente sono motivati a intervenire, che si prodigano per favorire attività e occasioni di integrazione (vedi ad es. le gite scolastiche) può accadere di vedere deluse le loro aspettative. I bambini stanno assenti, non progrediscono nei percorsi di apprendimento, dimenticano …e c’è il rischio che vengano “dimenticati”. Così le attività laboratoriali hanno avuto particolare attenzione nel fare in modo che proprio quei bambini lasciassero un prodotto (un semplice disegno ad es.) come segnaposto, tale che nessuno sia lasciato fuori, a ciascuno sia “tenuto il posto” anche se momentaneamente non c’è. I laboratori si sono allora impegnati a trovare modalità sempre nuove per richiamarli, ricercarli, riportarli dentro il gruppo attraverso il prender parte all’attività animativa. PROPOSTE. A. Occorre a nostro avviso cercare di rendere visibile e comunicativo l’oggetto laboratorio: l’attività che si è svolta, deve confluire alla fine in un oggetto (giornalino, performance, puzzle…) che permetta a questi nostri ragazzi in difficoltà di percepire l’interezza del lavoro fatto da soli, il percorso svolto con i compagni, di esserne un po’ orgogliosi e felici e mostrare questa nuova immagine simbolica di sé insieme agli altri. B. nella stessa direzione (restituire interezza all’immagine frammentaria di sé) va la proposta di cui si è parlato insieme agli insegnanti e agli animatori: la costruzione di un “libro di vita”: un quaderno itinerante, capace di raccogliere le attività del bambino seguendolo da casa, a scuola, dal laboratorio ad altre attività… Sarà possibile, sarà verosimilmente sostenibile? 32 6.2 “Guardarsi negli occhi..allargare lo sguardo: Insegnanti e operatori: un pensiero che include” a cura di Rosanna Rosada “Quando il gruppo classe non è sufficientemente adatto a facilitare lo sviluppo delle abilità di un bambino in difficoltà sul piano didattico, si può recuperare nel supporto individuale”(Un insegnante).”Prima di decidere se portare un bambino fuori della classe bisogna valutare i suoi bisogni in rapporto al gruppo classe, così da valutare se è più opportuno che apprenda nel gruppo o recuperi in separata sede (Un operatore). “Si va a scuola per obbligo ma si apprende per desiderio”. Le parole di questo insegnante ci riportano al cuore del compito di chi gestisce un gruppo ed ha il compito di farlo crescere nelle competenze, sviluppare nelle abilità degli individui, evolvere nelle relazioni. E allora si insegna ad esempio la matematica ma allo stesso tempo ad aspettare il proprio turno per parlare, a guardarti negli occhi se deve dirti qualcosa, a fermarsi un attimo prima di agire quando un'emozione forte invade il suo mondo interno, a dare la parola al compagno per raccontarsi, a scambiarsi le parole per essere riconosciuti e riconoscere l'altro così da entrare in quel gruppo e costruire appartenenze. Un gruppo non costruito su categorie predefinite, ma che gioca di tanto in tanto ad invertire i ruoli che i membri si danno, a scambiare le appartenenze, proprio perché questo rafforza e dà evidenza alle singole identità, mette in luce le diversità e le individualità con la possibilità di accendere il desiderio, la curiosità e la spinta verso la conoscenza. L'attenzione e la cura nell'accompagnare i bambini/ragazzi rom e sinti a transitare tra classe e famiglia, scuola e campo, parlato e scritto, ha offerto ad operatori ed insegnanti la possibilità di incrociare, scambiare e sviluppare saperi che aiutano i contesti di crescita a rinnovarsi e trovare nuovi significati e contenuti nella funzione educativa, formativa nei confronti di tutti gli alunni. Insegnanti , operatori, alunni hanno accettato di esplorare le diverse sfaccettature e visioni che il gioco simbolico e cooperativo offre, partecipando alla “messa in scena” di una storia tematica, lo studio, l'interpretazione dei personaggi e l'osservazione di quanto emerge. E' così che la “nostalgia di Ulisse” ha permesso a Nico di esprimere e superare l'assenza della sua compagna di classe che era per lui un riferimento importante, che per qualche mese ha cambiato città: “Non capisco niente, mi manca Danica” racconta Nico con atteggiamento depresso. Nico nel momento in cui si doveva mettere in scena una parte della storia, dapprima decide di fare scena muta, osserva i compagni che cominciano a fare qualche battuta e mentre la scena prende forma, lui decide di inserirsi e interpreta proprio Ulisse. Racconta l'insegnante “non lo abbiamo forzato, non è stata un'attività troppo didattica, era più sull'esprimere le emozioni”. Se la paura e il blocco che Nico dimostra in classe è sul piano cognitivo in questa circostanza ha capito che poteva giocarsi su altro. E' così che le attività espressive permettono di esprimere il loro mondo interiore, mettendo fuori fragilità e doti, sperimentando la possibilità di farle diventare occasione di apprendimento. Là dove emergono difficoltà legate alla fatica di inserirsi in classe, di recuperare le lacune didattiche, con il rischio di assenze prolungate e dispersione scolastica sono necessari degli incontri tra i servizi e gli operatori che possono aiutare a comprendere come attivare la famiglia e i contesti per non lasciare inascoltate le domande e i segnali. L'impegno dell'operatore che incontra il ragazzo a casa allora può far sentire alla famiglia quanto il bambino ci tiene alla scuola e che può essere un legame altro che non necessariamente rappresenta una minaccia al legame familiare. Portare alla riflessione di tutti e cercare di conoscere cosa sta dietro l'assenza da scuola prolungata di un ragazzo rom o sinto ha aperto delle strade. Sappiano che l'assenza alle lezioni e alle uscite appartiene alla cultura, ma sappiamo che se non si cerca di comprendere si incorre nel rischio di mettere l'etichetta. Per questo le azioni che si mettono in campo vanno condivise nella consapevolezza che per ogni problema c'è un'interpretazione multipla e che è importante contrastare la tendenza ad agire; abbiamo sperimentato come l'unica via d'uscita sia sostituire la reattività a volte messa in campo dalle famiglie 33 o dalla scuola che si sentono minacciate o poco riconosciute negli sforzi messi in campo, con la riflessività. Questo soprattutto nella relazione e collaborazione tra gli adulti chiamati in causa: scuola, famiglia, servizi. “La nostra esperienza ha mostrato come la figura della donna sinta stia cambiando: alla mamma spetta la decisione, vengono a scuola a parlare con gli insegnanti, partecipano attivamente là dove sono coinvolte nei processi decisionali.” E' interessante appurare come le forme di accompagnamento istituzionale siano fondamentali con gli alunni che appartengono a queste famiglie che frequentemente durante l'anno compiono viaggi prolungati spostandosi di città in città. E' il caso di Aurora: genitori e insegnanti hanno accompagnato il suo viaggio, la mamma ha avvisato la scuola prima della partenza e le insegnanti hanno preparato un quaderno con le attività didattiche iniziate, le insegnanti attraverso le segreterie hanno fatto un passaggio nello scrutinio così non andavano perse le prove fatte, i risultati raggiunti. In questo caso il quaderno, insieme all'attenzione che l'insegnante presta fa da collante, rassicura che nell'assenza non si viene dimenticati ma qualcuno ti tiene il posto, che i viaggi vanno raccontati, che si può “essere amici” con il gruppo di prima come anche con quello di dopo senza tradire nessuno. Sono sfumature sulle quali è fondamentale lavorare con questi ragazzi se vogliamo aiutarli a crescere nelle diverse appartenenze così apparentemente distanti e diverse. Educare a familiarizzare con le parti diverse, ad essere amici con le persone che sembrano così diverse e distanti da noi ha dimostrato di essere un buon modo per evitare forme di esclusione sociale o razziali. Un ambito sul quale molto ci siamo soffermati operatori e insegnanti è stato il come tenere l'attenzione sul gruppo in modo che nessuno restasse fuori, convinti che ciascun membro, interpretando nel gioco e nella storia il suo ruolo, “mettendo “sul piatto quello che è” racconta una parte che in fondo appartiene in misura e in momenti diversi un po' a tutti. I bambini ci hanno mostrato che hanno bisogno di parlare della morte del nonno, della disabilità propria o del compagno, della povertà materiale, della solitudine che si vive dentro un separazione. Nelle attività di laboratorio proposte dal progetto hanno sperimentato come nel lutto si cerca l'emozione riparatoria, nella disabilità si cerca l'abilità, nella povertà materiale si cerca la ricchezza interiore, nelle separazioni sentimentali si cercano parole che consolano. E quindi ci hanno mostrato come compito del gioco è consolare, arricchire, insegnare parole, mettere in campo azioni, generare immagini riparatorie che fanno evolvere la condizione affettiva o intellettiva in cui ti trovi. Quante volte hanno fatto e rifatto il gioco del nascondersi e farsi trovare, essere invisibili e poi riconosciuti, mimetizzarsi nell'ambiente cambiando “muta” e poi ritrovare i propri colori che ti rendono visibile perché distinto dallo sfondo. Si è potuto raccontare e scambiare in forma narrativa ciò che si portava dentro a volte come un segreto o una diversità da difendere e proteggere gelosamente. Hanno potuto rinascere e venire al mondo come individui originali, distinti ma appartenenti a quel gruppo classe “Tu vieni al mondo e devi trovare una calore, un luogo dove essere accudito e accolto. Sam è arrivato che batteva la testa e si procurava gli ematomi, ora nel suo nuovo gruppo non ne sente più il bisogno...” “In un gruppo chi è molto diverso, chi si isola e si rende invisibile viene percepito come debole dagli altri e per questo preso in giro; la via d'uscita possibile può essere che i miei valori vengono integrati con i tuoi, che nel gruppo ci sia una circolarità tra ciò che vale e ciò che non vale, tra ciò che conta e ciò che è debole.” Abbiamo potuto verificare come le attività tematiche del progetto hanno contribuito a costruire un sistema valoriale condiviso da tutti i componenti del gruppo. Introdurli in uno sfondo narrativo, fare delle cose, costruire degli oggetti, fa emergere quello che a parole non riescono a dire. Un'attività non del tutto strutturata permette al bambino di sperimentarsi in libere identificazioni e proiezioni di parti del sé; una storia non del tutto scritta ma da completare consente di superare gli stereotipi e aiuta tutti a trovare un ruolo; un viaggio o un'impresa, anche un po' stravagante, richiede a tutti di attivarsi e mettere in campo competenze, ma soprattutto da valore all'incontro con lo sconosciuto e da evidenza alla spinta naturale dei bambini e dei ragazzi del “fare amicizia” con le diversità per costruire relazioni e conoscenza. 34 7. SUPPORTO RIELABORATIVO SULL’ ESPERIENZA DEL PROGETTO RSC 7.1 “Verso una progettualità condivisa” a cura di Annalisa Busato e Nerina Vretenar Un’esperienza di incontro Il gruppo è stato un’importante occasione di incontro e di scambio tra operatrici e operatori con culture professionali diverse. Diverse tra loro erano anche le singole persone: insegnanti con alle spalle molti anni di attività professionale, giovani operatori e operatrici delle associazioni, operatori e operatrici dei Servizi Sociali con esperienze in diversi campi. Lavorare insieme per uno scopo comune ha permesso la conoscenza reciproca, ha favorito il riconoscimento delle competenze legate alle specificità dei ruoli, ha permesso, a volte, di superare dei pregiudizi in merito alla capacità di ciascuno/a di superare atteggiamenti legati alla propria funzione per lavorare a un progetto condiviso in una condizione di parità. Il lavoro comune ha consolidato la convinzione che ciascuno/a (persona o istituzione) non può fare a meno dell’altro per raggiungere degli obiettivi significativi e che solo insieme è possibile trovare risposte creative ed efficaci ai problemi. Nel corso degli incontri varie esperienze di lavoro in gruppo e di gioco hanno permesso di assumere e capire il punto di vista degli altri. L’incontro e il confronto, inoltre, hanno permesso a ciascuno/a di ridurre l’ansia e di accettare l’idea che sono necessari tempi lunghi per raggiungere dei risultati positivi sul terreno complesso dell’integrazione. Molti sguardi diversi sui bambini e le bambine Mettere a confronto i tanti sguardi diversi dei diversi operatori ha permesso di ricomporre una visione non unilaterale sia della cultura dei Sinti del nostro territorio, sia dei singoli bambini/e di cui si occupa il progetto. Ha permesso, inoltre, di “vedere” più chiaramente ogni bambino/a all’interno del suo mondo, in cui si intrecciano le relazioni e gli stimoli del contesto familiare, della scuola, della città con le sue istituzioni e le sue regole, un mondo che rimanda un’immagine che muta continuamente nel tempo in risposta alle vicende personali e collettive. La scuola riveste, in questo mondo, una grande importanza, soprattutto ora che “il villaggio si è spostato a scuola”, come ha osservato efficacemente un’operatrice. Allargare lo sguardo, come si è cercato di fare nel gruppo, ha permesso di inserire le diverse informazioni sui ragazzi/e destinatari del progetto, portate dalle diverse persone, in un quadro più leggibile, in un contesto significativo in cui si è cercato di comporre i diversi frammenti per iniziare a costruire una narrazione comune. Verso una progettualità condivisa Gli incontri hanno permesso al gruppo di acquisire maggiore consapevolezza del valore per tutti insegnanti, operatori e operatrici delle associazioni e del servizio pubblico – degli strumenti e dell’esperienza acquisita, da cui ripartire per costruire con gli altri un progetto condiviso, creativo, declinato al di fuori di binari obbligati. Il percorso del gruppo ha portato all’elaborazione della bozza di un documento condiviso, una sorta di proposta di “protocollo di intesa” tra istituzioni e associazioni che lavorano nel medesimo ambito, documento in cui vengono suggerite alcune indicazioni di percorso, da adattare di volta in volta ai bisogni e ai contesti. 35 Ad esempio: l’indicazione di valorizzare l’attività laboratoriale come fonte preziosa per la costruzione di relazioni significative e dell’identità; la necessità di richiamare i dirigenti scolastici alla loro responsabilità rispetto all’integrazione degli alunni/e più fragili, che deve tradursi in interventi importanti: coordinare i progetti, favorire una maggiore flessibilità della proposta scolastica, costituire equipe multidisciplinari formate da operatori scolastici e operatori dei servizi, garantire la continuità dei percorsi per i bambini/e anche prevedendo l’istituzione della figura del tutor. Il traguardo cui tendere è l’orientamento, l’offerta a ciascun ragazzo/a di opportunità che gli/le permettano di non rinunciare al sogno di trovare un proprio posto nella città di tutti. Si è infatti rilevato che l’uscita dalla marginalità e la conquista di un’affermazione identitaria positiva è certamente difficile per le comunità più fragili, ma è sempre possibile per i singoli. 36 8. RILANCI E PROSPETTIVE 8.1 “...a partire dal metodo” a cura di Paola Sartori In conclusione del primo anno di sperimentazione del Progetto nazionale RSC sul territorio veneziano e in occasione di questi materiali di riflessione prodotti dai protagonisti adulti del Progetto, si può provare a tirare le fila dell'esperienza e proporre alcuni rilanci per il prossimo anno. E' utile porsi dal nostro usuale punto di osservazione, ovvero centrando lo sguardo sulle condizioni di crescita dei bambini e dei ragazzi della nostra città, sulle situazioni di rischio presenti nei contesti sociali e familiari in cui i bambini vivono e sui fenomeni anche migratori che cambiano di continuo la composizione culturale dei bambini e dei ragazzi presenti. Più di uno sono gli aspetti che risulta utile evidenziare come maggiormente innovativi nell'esperienza fatta, e che si possono rilanciare come piste da percorrere per il prosieguo dell'esperienza stessa. Il primo e forse più importante di questi aspetti è il metodo di lavoro seguito nella realizzazione del Progetto. Un metodo che, se non si può definire nuovo, tuttavia, ancor oggi viene raramente utilizzato nelle azioni e negli interventi che vedono coinvolte istituzioni diverse: il metodo cooperativo. Il Progetto RSC infatti si è proposto ed ha provato a far lavorare cooperativamente in classe i bambini e i ragazzi rom, sinti e non; inoltre ha proposto pratiche di lavoro cooperativo anche alle persone che, per le loro diverse istituzioni, portano avanti il Progetto (educatori, insegnanti, volontari, operatori…). Non si tratta solo di favorire una buona comunicazione tra scuola, servizi e soggetti del Terzo settore e del volontariato, ne' solo di creare contesti collaborativi tra adulti al fine di realizzare alcune attività educative particolarmente inclusive, ma si tratta di costruire gruppi capaci di cooperare, tutti insieme, per il conseguimento dell'obiettivo dell’integrazione di tutti i bambini nei percorsi formativi, garantendo così maggiormente il diritto allo studio, quello all'apprendimento, insieme a quello alla socialità. Cooperare fin da subito, ovvero dall’inizio dell’intervento, non solo ha permesso una coprogettazione delle linee generali del Progetto, ma anche una condivisione sulle attività specifiche da proporre al gruppo classe al fine di favorire relazioni e apprendimenti. Inoltre, lo stesso metodo ha consentito di mettere insieme anche tutte le azioni di contenuto e di cornice fondamentali per la realizzazione del Progetto, coinvolgendo classi, bambini e ragazzi e permettendo di produrre gli esiti di cui le pagine precedenti danno conto. Tutto frutto di un lavoro cooperativo. Il solo fatto di definire quale prerequisito per la realizzazione del Progetto, la formazione di una Equipe multidisciplinare tra soggetti diversi , attori socio-educativi che nel Progetto operano, evidenzia una precisa scelta di campo metodologica: il Progetto va elaborato e gestito da un gruppo di lavoro cooperativo. Analogamente si procede per il lavoro nelle classi con tutti i bambini e ragazzi che le frequentano: le proposte laboratoriali vengono progettate e gestite da un team operatori-insegnanti con il metodo cooperativo. E fino qui, si potrebbe dire, tutto regolare, nelle dichiarazioni di intenti. Ora occorre chiedersi, ancora una volta insieme, cosa sia avvenuto realmente . 37 Si riesce davvero ad essere cooperativi tra adulti e a proporre un lavoro cooperativo ai bambini e ragazzi che si seguono in classe? Quali azioni necessita mettere in atto per agevolare il passaggio dalla dichiarazione delle intenzioni alla realizzazione concreta di ciò che ci si propone? Servono assetti precisi, patti organizzativi ed educativi chiari, occorre apprendere e sperimentare le varie forme di lavoro cooperativo, quali il cooperative learning, nonché altre pratiche formative e tecniche didattiche utili. Un lavoro, quello intrapreso, importante e da rilanciare, in quanto la strada e' stata sì segnata, ma va ancora percorsa e ripercorsa più e più volte affinché diventi davvero patrimonio condiviso. E perché ciò avvenga è indispensabile essere consapevoli dell'intreccio che sussiste tra l'operare in modo cooperativo degli adulti e la proposta cooperativa che viene fatta nei gruppi classe. Si tratta di un intreccio preciso e forte che si può tradurre in brevi parole: non è possibile proporre e gestire attività cooperative con i gruppi di bambini e ragazzi, se gli adulti che se ne occupano non lavorano tra loro con questo metodo. E se nel team ci sono pensieri diversi sul da farsi, letture differenti su ciò che il lavoro comune produce, sensazioni opposte su come le attività entrano in relazione con i singoli bambini … occorre impegnarsi in un grande lavoro di scambio. Intendendo con scambio non solo un confronto di opinioni, ma un impegno corale in un’ attività attiva e concreta, (un laboratorio) capace di centrarsi sull’oggetto, sui soggetti e sugli obiettivi, e di mediare attraverso di esso le relazioni interpersonali… Cooperare spesso viene inteso come "pensarla allo stesso modo" , condividere tutto...in poche parole non avere conflitti di idee, di stili, di modalità. Invece adottare un metodo di lavoro cooperativo è impegnativo, è una ricerca intensa di trovare fili comuni, idee terze, di tenere al centro l'obiettivo da conseguire, l'oggetto da costruire. Se il gruppo di lavoro macro, nel caso del Progetto RSC , l'equipe multidisciplinare ce la fa, ce la può fare anche il team operativo che lavora nella classe e soprattutto sarà possibile proporre e gestire delle attività veramente cooperative e quindi capaci di aiutare bambini e ragazzi a porsi in questa ottica nei confronti dei compagni e delle loro diversità, gettando così le basi per una maggiore interazione reciproca. La consapevolezza di questo strettissimo legame tra l'esperienza che vivono gli adulti e quella che poi essi riescono a proporre ai bambini e ai ragazzi non è sempre così immediata e, anche se teoricamente fondata, va sperimentata e riconosciuta. Per questo e' fondamentale fornire dei supporti nel delicato lavoro di grande e piccolo gruppo che insegnanti ed educatori svolgono tra di loro, magari predisponendo dei dispositivi di rielaborazione dell'esperienza che li aiutino a costruire significati condivisi di ciò che accade nell'esperienza, tra loro e con i gruppi classe. Dispositivi diretti anche a favorire una riflessione più complessiva sul processo attivato che si rivela poi utile per la riprogettazione periodica del Progetto nel suo complesso. Un secondo aspetto significativo emerso con forza nel corso di questa annualità e da rinforzare è quello dei contenuti da proporre ai gruppi classe nei laboratori loro rivolti, ma anche ai bambini e ragazzi seguiti a domicilio. Può essere, infatti, una necessità condivisa quella di continuare a ricercare sui percorsi formativi più appropriati da proporre ai bambini e ai ragazzi per favorire lo sviluppo delle relazioni sociali, l’apprendimento di strumenti comunicativi, insomma crescita e integrazione. E' necessario infatti individuare con sempre maggiore attenzione gli sfondi narrativi nei quali sviluppare le attività laboratoriali per arrivare a costruire un prodotto comune del gruppo che rappresenti, per tutti e in modo consapevole, l'esito del processo di integrazione reciproca avvenuto nel gruppo classe proprio grazie al Progetto. 38 Un ultimo aspetto non meno importante degli altri, ma sicuramente meno praticato nell'esperienza fatta e quindi molto più da sviluppare in futuro, riguarda le potenzialità insite nel metodo cooperativo sperimentato nel Progetto sia tra gli adulti che con i bambini nelle classi. L'osservazione di quello che operare in questo modo ha prodotto nei gruppi di lavoro multidisciplinari e nelle classi, impone di pensare a quali esiti si potrebbero conseguire sul piano dell'apprendimento integrato tra tutti i bambini di una classe a partire dalle molte diversità culturali presenti. Questa esperienza infatti evidenzia che forse uno dei metodi più utili per affrontare il tema dell'integrazione fra diversi può essere proprio questo: un metodo cooperativo tra gli adulti chiamati ad occuparsi di quei bambini e ragazzi che possa poi realizzare attività cooperative con i ragazzi stessi. La via è stata aperta ora si tratta di percorrerla, ampliando il raggio dei protagonisti. 39