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SCORCI LOCALI...ORIZZONTI ALLARGATI
Il progetto tra livello cittadino e piano nazionale
Esperienza veneziana 2013 - 2014
a cura di Beatrice Ferraboschi e Rosanna Rosada
INDICE:
1. PREMESSA
1.2 “Scorci locali…orizzonti allargati: il progetto tra livello cittadino e piano
nazionale” a cura di Beatrice Ferraboschi, pag. 3
2. IL SERVIZIO TERRITORIALE
2.1 “Tracce socio – politiche per l’accoglienza” a cura di Angelo Sopelsa, pag.8
3. LA SCUOLA
3.1 “La scuola co-progetta con istituzioni locali e nazionali”
a cura di Tiziano Battaggia, pag.9
3.2 “Alleanza educativa tra scuola e famiglia” a cura di Eliana Bedetti, pag.11
3.3 “Fatiche e meriti del lavoro di rete” a cura di Mara Castellaro, pag.12
4. IN CLASSE
4.1 classe1°A, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci
“Un caldo abbraccio per ogni differenza” a cura di Lucia Cerino, pag.14
4.2 classe 1° A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci
“Nuovi compagni di viaggio” a cura di Anna Barbiero, pag.15
4.3 classe 2°A, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci
“ Laboratorio? Sì, grazie!”a cura di Donatella De Cal, Daniele Zuccato,pag.16
4.4 classe 2° A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci
“Dedica” a cura di Mariagrazia Silvestri, pag. 18
4.5 classi 1°B e 1°E, Secondaria di I° Volpi, I.C. Alpi
“Nessun uomo è un’isola” a cura di Matteo Benedetti, Martina Bettio,
Katia Torriani, pag. 18
4.6 “Lago Shaino, un momento da ricordare”
a cura di Davide Carnemolla, pag.24
4.7 “L’educazione artigiana” a cura di Laura Tegon e Marco Tombolani, pag. 25
5. A CASA
5.1 “Un’attività…di famiglia” a cura di Davide Carnemolla, pag. 27
5.2 “Differenziare gli interventi”
a cura di Laura Tegon , Marco Tombolani, pag. 28
5.3 “Tiro alla fune” a cura di Alessandro Zanetti, pag. 29
6. L’INCONTRO INSEGNANTI - OPERATORI
6.1 “Per ascoltare meglio: incontri con insegnanti e operatori”
a cura di Domenico Canciani, pag.31
6.2 “Guardarsi negli occhi…allargare lo sguardo: Insegnanti e operatori:
un pensiero che include” a cura di Rosanna Rosada, pag. 33
7. SUPPORTO RIELABORATIVO SULL’ESPERIENZA DEL PROGETTO RSC
7.1 “Verso una progettualità condivisa”
a cura di Annalisa Busato e Nerina Vretenar, pag. 35
8. RILANCI E PROSPETTIVE
8.1 “….a partire dal metodo” a cura di Paola Sartori, pag. 37
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1. PREMESSA
1.2 “Scorci locali…orizzonti allargati:
il progetto tra livello cittadino e piano nazionale”
a cura di Beatrice Ferraboschi
“Un viaggio in treno ad alta velocità destinazione Sala G. Rossa al Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali a Roma”…. e la città di Venezia, insieme ad altre dodici città, è entrata a far parte del
Progetto per l’inclusione e l’integrazione di bambini e ragazzi Rom, Sinti e Caminanti.
Questo progetto, che interpreta gli intenti declamati nel Terzo Piano Nazionale di azione ed interventi
per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, accoglie le raccomandazioni del
Comitato ONU sui diritti del fanciullo emanate il 31 ottobre 2011 e si attiene alle indicazioni date
dalla “Strategia nazionale d’inclusione dei rom, sinti e caminanti 2012 – 2020”, è stato vissuto fin da
subito come un’opportunità per ampliare la prospettiva del lavoro svolto localmente nei quindici anni
precedenti e soprattutto del progetto Minori Sinti che è stato realizzato nell’anno 2012 – 2013.
La prima peculiarità del progetto RSC è che la forza propulsiva scaturisce da un’equipe
multidisciplinare non prettamente di operatori sociali: fanno il loro ingresso gli insegnanti, non solo
come partner durante il lavoro a scuola, ma come colleghi nella fase di definizione del modello, nelle
fasi decisionali rispetto alle singole situazioni…in sunto, nella governance.
Altra prerogativa è che si lavora a scuola oltre che a domicilio. Nel 2012 – 2013 avevamo condotto dei
laboratori sperimentali all’interno delle scuole primarie Baracca e Virgilio dell'I. C. Da Vinci di Mestre,
in collaborazione con la Fondazione “Elena Trevi sanato”. Questi laboratori che hanno dato e danno
tutt’oggi i loro risultati ( la Fondazione infatti prosegue le attività sia alla scuola primaria che alla
scuola secondaria di primo grado), non prevedono il lavoro con il gruppo classe, ma consistono in
attività extra classe in cui si va, con i bambini RSC (la maggioranza) e non (pochi), a recupero di alcuni
aspetti delle materie in accordo con gli insegnanti, anche attraverso attività ludico creative, risultando
alle volte però avulsi dalla storia e dal percorso della classe.
Con il Progetto RSC si sancisce invece l’importanza del lavoro all’interno della classe e con l’intero
gruppo classe, cavalcando quel concetto di prevenzione a noi caro per cui il gruppo è strumento per il
singolo e viceversa e in questo caso più che mai, perché un progetto dedicato ai bambini rom e tinsi,
si occupa potenzialmente di tutti i bambini della città.
Ulteriore elemento che ci permette di ampliare la prospettiva è che il progetto prevede una
dimensione cittadina, dove noi per anni abbiamo concentrato le nostre forze sul villaggio di via del
granoturco (ex-campo di via Vallenari), non avendo visione della situazione delle famiglie RSC abitanti
in appartamento o in altri contesti della città. In alcune situazioni abbiamo potuto osservare “dal di
dentro” le ricadute del trasferimento di alcune famiglie, conosciute dal servizio, dal campo agli
appartamenti.
Detto ciò non è difficile intuire che l’intreccio tra piano nazionale e realtà locale e l’incontro tra singoli
punti di vista rappresentati dai componenti della neo equipe multidisciplinare abbia generato quanto
meno inizialmente incertezze, incomprensioni…un vero e proprio conflitto fondante.
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Ci siamo misurati con la necessità di “praticarci” ovvero conoscersi, affermare il proprio sé, trovare il
proprio personale modo di stare in questa situazione, entrare in relazione, in empatia, parlarsi,
ascoltarsi e provare a capirsi, fino a funzionare come gruppo. Ci siamo misurati con la necessità di
stare dentro a determinati standard richiesti dalla cabina di regia, tenendo insieme la proposta del
Servizio Politiche Cittadine per l’Infanzia e l’Adolescenza che ha la funzione di coordinamento e
l’identità, le esigenze e le proposte di ogni altra realtà rappresentata in equipe: le tre scuole I.C. Da
Vinci, I.C. Volpi, I.C. Gramsci e le due Municipalità: Mestre – Carpenedo e Favaro Veneto, oltre che gli
operatori della Cooperativa sociale Gea.
Ci si è frequentati molto, si è data particolare cura alle relazioni tra noi, convinti che ciò si sia
propagato positivamente anche nella relazione tra insegnanti, famiglie, bambini e ragazzi.
Il nostro percorso insieme è passato attraverso gli incontri di equipe a cadenza mensile, a taglio
tecnico - operativo – decisionale e di raccordo. E' stato arricchito da momenti di supporto
rielaborativo, partiti dalla necessità di accompagnare un progetto tanto complesso con l’obiettivo di
tutelare un tempo e uno spazio di pensiero del gruppo dove star “comodi”, portare le proprie
esperienze, i propri pensieri, rinforzando connessioni, convergenze, creando sicuramente
prospettive, con “leggerezza” senza schiacciamento su operatività e fasi decisionali.
Oltre alla formazione organizzata dal Comitato Scientifico Nazionale, a livello locale si è realizzata una
sessione formativa sulla metodologia Cooperative Learning, grazie alla disponibilità della dottoressa
Anna Valeria Guazzieri e una sessione formativa organizzata dal Servizio Politiche Educative in
collaborazione con Novamedia-Cooperativa Onlus intitolata: “Strategie didattiche attivabili a fronte
di percorsi migratori ed inserimenti scolastici non continuativi” in cui si sono trattati i temi “La
discontinuità dei percorsi di formazione scolastica di studenti rom, sinti e non” e “Riflessione
partecipata sulla didattica in classe, proposte e pratiche di lavoro”.
Si sono inoltre realizzati due appuntamenti pubblici, in cui poter rappresentare questo modo di
operare, in cui poter cercare dialogo e confronto sulle questioni aperte con colleghi del territorio e
non, per proseguire nel nostro delicato lavoro con nuovi spunti. Così hanno trovato realizzazione, in
simbolica attesa dell’evento conclusivo “Bambini e ragazzi a scuola: esperienze di cittadinanza”:
“Bambini rom, sinti e non…tutti cittadini! Intese e malintesi dell’interculturalità” che ha visto
nostro ospite il dott. Vinicio Ongini del MIUR, con cui ci si è interrogati sul concetto di distinguere
come bussola per orientarsi nel campo delle “diversità”, sui dati di presenza/assenza dei bambini,
sugli esiti scolastici, sulle certificazioni e l’uso improprio degli insegnanti di sostegno,
attraversando i principi generali e la normativa nazionale, fino ad analizzare alcuni esempi di
malintesi interculturali.
“Bambini rom sinti e non…una scuola per tutti!” durante il quale si è dialogato con il dott. Marco
Brazzoduro, Djiana Pavlovic e partecipanti di ogni dove. Partendo da quesiti emersi durante il
lavoro dell’equipe multidisciplinare sui margini di sviluppo del progetto stesso, sull’idea di voto
come accordo sui requisiti minimi raggiungibili dal bambino/ragazzo, ci si è interrogati se investire
le poche risorse su pochi o su tutti. Ci si è confrontati sul come tramutare la minoranza rom, sinti
da nicchia di emarginazione a forza propulsiva, assodato che se si costruiscono rapporti stabili e
personalizzati con i singoli nuclei familiari e le singole persone è provato che si ottengono
maggiori risultati nella frequenza, nell'inclusione, nello stare bene a scuola, nel rendimento di
bambini e ragazzi. Ci si è interrogati su quali strategie mettere in campo per creare e curare delle
buone relazioni con la famiglia, al fine di favorire il buon esito di tutti i bambini e ragazzi a scuola
e per restituire loro la libertà di sognare!
Il nostro percorso insieme ci ha permesso di realizzare sei laboratori a scuola e otto interventi presso
gli insediamenti abitativi, che troverete raccontati nei capitoli successivi. La scelta, tutta veneziana, di
far sì che i due operatori che svolgono i laboratori a scuola affianco agli insegnanti siano gli stessi che
poi incontrano bambini e famiglie rom e sinti a casa propria, costituisce un valore aggiunto. La
possibilità data agli operatori di osservare e affiancare lo stesso bambino nei due contesti, potendone
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carpire le modalità relazionali, le reazioni, i sentimenti, ha incrementato sensibilmente il margine di
incisività degli interventi educativi stessi.
Oltre al rilancio delle dinamiche locali, il progetto RSC ha creato la possibilità di contatto con i colleghi
delle altre città. Dai primi timidi e misurati scambi durante le formazioni a Firenze e gli incontri a
Roma sono nate delle vere e proprie collaborazioni con le città di Bologna (sperimentazione di parti di
formazione condivise), Torino (azioni di rinforzo per avere certezza del prosieguo del progetto) e
Napoli (testimonianza dell’esperienza veneziana e confronto durante l’evento conclusivo a Scampia),
prendendo la palla al balzo per evitare di rimanere eccessivamente concentrati sul “proprio
ombelico”, a rischio miopia, contribuendo a quel sano strabismo fatto di scorci locali misti a orizzonti
allargati che regalano equilibrio al proprio operare.
Con Fabiana, la collega di Bologna, è bastato sedersi affiancate in pulmino durante il viaggio studio in
Slovenia, che aveva l’obiettivo di conoscere le strategie avanzate messe in atto dal giovane governo
sloveno per l’inclusione di rom e sinti, per ideare una giornata di formazione avanzata e condivisa tra
colleghi di Venezia e colleghi di Bologna con metodologia Cooperative learning tenuta dalla dott.ssa
Stefania Lamberti. Questo momento formativo, costruito sul confronto di buone prassi emerse nelle
due esperienze, quella di Venezia e quella di Bologna e sull'emersione di punti di forza, criticità e
possibili sviluppi del progetto, si è tenuto in apertura della già prevista giornata di studio “Bambini
rom sinti…una scuola per tutti”. Questo esperimento ci è piaciuto al punto che vorremmo cocostruire una parte della formazione e tra città vicine, quali sono Venezia e Bologna, è possibile,
consapevoli che tanta potenzialità va coltivata e valorizzata.
Vale la pena di sottolineare poi come questo progetto, che si rifà ad un approccio pluralista, abbia
potuto contaminarsi con il Programma di prevenzione alla istituzionalizzazione P.I.P.P.I. sempre del
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sia sul Piano Nazionale, ad esempio per la formazione
sull’utilizzo degli strumenti di valutazione che sul piano locale. Nella fase intermedia del progetto
infatti, si è sperimentata la convocazione e gestione condivisa del cosiddetto Tavolo Locale per RSC
e/o Gruppo Territoriale per PIPPI, partendo dal presupposto che i due progetti ministeriali hanno in
comune un approccio di intervento eco sistemico e utilizzano in parte gli stessi strumenti di
valutazione, quale ad esempio il Mondo del Bambino, oltre che i dirigenti coinvolti in questi incontri
coincidono nella stragrande maggioranza.
Hanno reso possibile il progetto: a livello nazionale, oltre al Ministero stesso, i colleghi dell’Istituto
degli Innocenti che ci hanno saputo sostenere concretamente ogni qualvolta lo abbiamo chiesto e i
colleghi dell’Università di Padova che nutrono i nostri bisogni conoscitivi e formativi anche a distanza.
A livello locale: le tre scuole coinvolte I.C. Da Vinci, I.C. Gramsci, I.C. Alpi, la Cooperativa sociale Gea,
partner storica nello sviluppo di progettualità in ambito sinti, la Fondazione Elena Trevisanato, che
oltre ad aver continuato il proprio operato con i laboratori di supporto scolastico presso i plessi
Baracca e Virgilio dell’I. C. Da Vinci e il plesso Volpi dell’I. C. Alpi, ha sostenuto la creazione di pensiero
all’interno del progetto RSC, partecipando al supporto rielaborativo, il Movimento di Cooperazione
Educativa per l’apporto a livello formativo e di consulenza e le Municipalità Mestre Carpenedo,
Favaro Veneto e il Servizio Politiche Educative e il Servizio Politiche Cittadine per l’Infanzia e
l’Adolescenza del Comune di Venezia.
In chiusura segue l’istantanea di quanto emerso durante l’équipe multidisciplinare conclusiva
incentrata sulla verifica finale del progetto del 9 giugno 2014, in cui si chiedeva di compilare
liberamente dei post it relativi a cose da tenere, criticità e rilanci rispetto a governance, attività a
scuola attività presso gli insediamenti abitativi e formazione:
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2. IL SERVIZIO TERRITORIALE
2.1 “Tracce socio-politiche per l’accoglienza”
a cura di Angelo Sopelsa
Come referente per la Municipalità di Mestre Carpenedo, partecipante all’equipe multidisciplinare
e al percorso formativo della stessa, ho vissuto quest’anno di sperimentazione come un anno di
passaggio e di osservazione dei bisogni e delle criticità emergenti evidenziati da nuovi sguardi e nuovi
strumenti fornitici dal “Progetto nazionale per l’inclusione e l’integrazione dei bambini rom, sinti e
caminanti”.
Lo sguardo nuovo che ci viene dato a livello nazionale è quello di ri-considerare i minori rom, sinti e
caminanti come bambini e ragazzi presenti nel territorio comunale al di là della loro presenza fisica
legata alla territorialità e alle specifiche competenze territoriali (nel nostro caso municipali).
Ho trovato importante l’accento posto sulla formazione dell’equipe multidisciplinare, e trasversale
ai servizi territoriali, dentro la quale le esperienze e le competenze, acquisite negli anni, si sono
potute intrecciare all’interno di una cornice uguale su tutto il territorio nazionale. Una cornice che
diventa anche una traccia “socio-politica” relativa alle modalità di accogliere e di costruire
l’accoglienza.
Accogliere significa pensare e ipotizzare ciò che non c’è ancora ma che non per questo ci esime dal
collaborare con gli altri più direttamente coinvolti dalle problematiche dell’inclusione sociale e
scolastica.
L’orientamento del Servizio sociale di Mestre Carpenedo, rispetto ai residenti al Villaggio di Via del
Granoturco, negli ultimi due anni è stato quello di accogliere i bisogni dei cittadini così come le
richieste di collaborazione/segnalazione da parte dei contesti scolastici e territoriali secondo le prassi
ordinarie. Così come era stato sancito tra Servizi nel passaggio delle competenze relative ai minori
sinti già nell’anno 2012-2013. Alla Municipalità spettano: “… le competenze di cura e protezione e i
connessi compiti diretti con i minori, le loro famiglia e i loro contesti educativi di riferimento… in
alleanza con le Politiche cittadine… che coordinano il progetto specifico… “.
Lo strumento del Servizio sociale nell’accogliere le richieste di collaborazione da parte della scuola
per le situazioni di singoli minori è il Team Scuola che è stato utilizzato così come da accordi e prassi.
Inoltre rimangono aperte le collaborazioni sul fronte adulto e dell’accompagnamento agli spazi di
accoglienza/lettura della domanda sia per l’area minori che per l’area adulti.
Rimane da mettere a punto, da quello che ho potuto osservare, uno scambio più celere di
informazioni tra l’arrivo delle richieste e l’accoglienza ai servizi territoriali così come, per quanto
concerne il Servizio sociale della nostra Municipalità, c’è da strutturare con più chiarezza i passaggi
dell’accoglienza affinché, nonostante i carichi di lavoro già in essere, si possano ottimizzare le
alleanze fatte dagli operatori del Progetto, con le famiglie e con le scuole.
Rispetto ai contesti scolastici il Progetto è stato un buon contenitore delle specifiche criticità e
risorse relative ai minori sinti, rom e caminanti. Come referente dei contesti scolastici avrei bisogno di
un maggior raccordo sulla specificità delle scuole con i referenti del Progetto, per meglio
comprendere come intrecciare le diverse azioni di ascolto e di co-progettazione nei/con i contesti
scolastici. L’obiettivo è avere una visione d’insieme in modo da poter veicolare prassi e obiettivi, in
alleanza tra operatori e servizi, nei confronti dei referenti e dei dirigenti scolastici, tanto più se il
progetto si allargherà ad altri contesti scolastici della città.
Credo che quest’anno di lavoro abbia significato per molti di noi che hanno lavorato nei precedenti
progetti dedicati, prima al Campo di Via Vallenari e poi al Villaggio di Via del Granoturco, un
cambiamento di prospettiva e di rappresentazione: i minori rom, sinti e caminanti, oggi, non sono più
solo quelli residenti in Via del Granoturco!
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3. SCUOLA
3.1 “La scuola co-progetta con istituzioni locali e nazionali”
a cura di Tiziano Battaggia
Ci sono alcuni spunti di riflessione che intendo condividere a conclusione delle attività svolte nella
scuola primaria “Virgilio” nell’ambito del Progetto Nazionale per l’integrazione e l’inclusione dei
bambini rom, sinti e caminanti (PN). Essi corrispondono a una personale lettura dal punto di vista
dell’istituzione scolastica nel suo complesso. Innanzitutto, ritengo importante rilevare come di
recente la scuola sia sempre più coinvolta in progetti complessi che la vedono co-protagonista alla
pari con altre istituzioni sociali.
Ciò che mi preme evidenziare è come l’autonomia nell’orientare le scelte della propria offerta
formativa pone la scuola di fronte alla responsabilità di ricercare e sperimentare in sinergia con altre
istituzioni risposte di tipo educativo e formativo a quelle emergenze sociali, che per essere affrontate
richiedono anche altri tipi di risposte e la messa in campo di risorse, mezzi e strumenti adeguati alla
complessità dei problemi che implicano.
Scegliendo di partecipare al PN, anche la nostra scuola è
“chiamata a concorrere affinché siano assolti impegni che il governo italiano ha assunto in
sede nazionale, europea e internazionale per l'inclusione delle popolazioni rom, sinte e caminanti. Tra gli altri è necessario ricordare la “Strategia nazionale d’inclusione dei rom, sinti e
caminanti 2012-2020”, adottata in attuazione della Comunicazione della Commissione Europea n. 173/2011, che mira a guidare nei prossimi anni una concreta attività di inclusione dei
RSC, superando definitivamente la fase emergenziale. L’obiettivo generale della Strategia nazionale è quello di promuovere la parità di trattamento e l’inclusione economica e sociale delle comunità RSC nella società, assicurare un miglioramento duraturo e sostenibile delle loro
condizioni di vita per renderne effettiva e permanente la responsabilizzazione, la partecipazione al proprio sviluppo sociale, l’esercizio e il pieno godimento dei propri diritti.”1
Trasformare tale sfida in compito non è stato e non è facile, perché non ha comportato una semplice
collaborazione con le altre istituzioni, quanto piuttosto un lavoro di co-progettazione, esigenza,
ormai, piuttosto comune nell’affrontare le complesse problematiche sociali che incontriamo
quotidianamente.
Per la scuola ciò ha significato abbandonare, almeno in parte, l’illusione di governare in proprio il
campo dell’educazione, per porsi più realisticamente il problema di cosa significa tutelare lo sviluppo
educativo dei minori rom, sinti e caminanti in un quadro di multiservizi, con obbiettivi, interessi e
modi di funzionare diversi. Ha significato, inoltre, cercare di comprendere meglio cosa vuol dire fare
educazione oggi, costruire scambi con culture diverse e come per questo occorra abbracciare
prospettive differenti sull’educazione e sulla formazione. Avendo a che fare con soggetti fragili e
gruppi emarginati lo scarto fra la percezione dei servizi e gli stereotipi sociali, come quello tra opinioni
e pregiudizi tende ad allargarsi o a ridursi secondo i contesti considerati, senza, peraltro, chiarire il
compito o fornire indicazioni utili a riguardo.
1
Centro Nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza, Progetto Nazionale per
l’inclusione e l’integrazione dei bambini rom sinti e caminanti, <http://www.minori.it/progetti-sperimentali285/il-progetto-rsc>, 2014.
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D’altra parte, focalizzare troppo l’attenzione sull’identità dei protagonisti, i bambini cui destinare
l’intervento, rischia di eludere l’attenzione sul rapporto tra il target individuato, la metodologia
proposta e gli obbiettivi relazionali mirati a tutto il gruppo classe. È stato quindi necessario rinunciare
a qualsiasi “mission” salvifica e orientarsi a costruire ipotesi organizzative, azioni, eventi e interventi,
confidando sul fatto che i pensieri, le discussioni e le riflessioni che emergevano a livello locale
fossero sufficientemente significativi e coerenti con le indicazioni a livello nazionale, in grado, cioè, di
garantire la realizzazione del PN. La continuità delle riunioni dell’Equipe Multidisciplinare ha aiutato a
non perdere il filo del lavoro da un appuntamento all’altro, cercando di tener sempre presente lo
“stato delle cose”. Gli incontri nel Gruppo di Supporto Rielaborativo hanno favorito lo sviluppo del
processo formativo dell’Equipe, anche tenendo conto dei diversi livelli d’esperienza di ciascuno, e
hanno aiutato a lasciarsi attraversare dall’inevitabile confusione connaturata alle situazioni
complesse dove interagiscono più persone, s’intrecciano relazioni diverse, si costruiscono intraprese,
si sperimentano innovazioni. Il paragone corre al lavoro con i bambini, dove spesso la confusione e
l’imprevisto, se gestiti in modo accorto, possono condurre a risultati inattesi e promuovere nuove
conoscenze e abilità.
L’incertezza e la confusione che hanno attraversato le diverse fasi della realizzazione del PN sono
anche connaturate alle stesse problematiche da affrontare con i bambini e le famiglie rom sinti e
caminanti:
• la frequenza scolastica irregolare;
• l’apprendimento scolastico spesso inadeguato all’età e alle necessità della vita quotidiana;
• la scarsa consapevolezza delle famiglie rispetto al diritto/dovere allo studio e all’apprendimento dei
figli.
La co-progettazione ha permesso di entrare in contatto con tali problemi, apparentemente già noti
alla scuola, con una capacità più matura d’identificarsi con l’altro, le difficoltà, i rifiuti, le reciproche
paure e incomprensioni, l’isolamento, ecc., perché attraverso linguaggi diversi si sono prefigurate
altre realtà, prima sconosciute e/o inesplorate.2
L’ascolto e l’osservazione reciproca degli approcci dei diversi operatori presenti ai tavoli locali, delle
situazioni e delle esperienze di altre città riservatarie hanno avviato una conoscenza diversa dei
problemi favorendone una lettura più condivisa.
Infine, la scelta del cooperative learning e la proposta di costruire insieme agli insegnanti attività
laboratoriali da realizzare attraverso la metodologia del learning by doing è stata generativa di una
serie di esiti in vista della prosecuzione del PN.
C’è stato, soprattutto, un riconoscimento di quelle pratiche cooperative e di pedagogia attiva già
condotte dalle/gli insegnanti della scuola. Queste/i, attraverso il pur breve percorso formativo, hanno
potuto approfondire alcune tecniche e proporle nelle loro classi col supporto degli operatori della
Cooperativa Gea. È stato così possibile sperimentare, attraverso un’attenta regia educativa, buone
pratiche cooperative di laboratorio, non come attività extracurricolari ma costitutive del curricolo e
interdisciplinari, in continuità con l’insieme dell’azione educativa. Le attività, che hanno coinvolto
l’intero gruppo classe sono state praticate con pari dignità da tutti, fornendo così valide indicazioni di
lavoro che possono contribuire ad una formazione più inclusiva.
2
Come afferma un celebre studioso del comportamento umano: “La comunicazione crea quella che noi
chiamiamo realtà”. In P. Watzlawick, La realtà della realtà. Comunicazione, disonformazione, confusione,
Astrolabio Ubaldini, Roma, 1976, p. 7.
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3.2 “Alleanza educativa tra scuola e famiglia”
a cura di Eliana Bedetti
Nel contesto scolastico si rende evidente quanto sia importante l’impegno dei docenti, degli
operatori e anche della famiglia. Se si costruiscono rapporti stabili, personalizzati con i singoli nuclei
familiari e le singole persone, è comprovato che si ottengano migliori risultati nella frequenza,
nell’inclusione, nello stare bene a scuola, nel rendimento scolastico di bambini e ragazzi.
Nella nostra scuola abbiamo compreso quanto sia necessario creare strategie per la realizzazione di
ogni percorso scolastico per bambini e ragazzi.
Questa comprensione non è avvenuta in breve tempo, ma negli anni, in quanto c’è stato bisogno di
un allenamento per imparare a capire il giusto e corretto rispetto delle distanze e riservatezza
richieste dalle famiglie e le modalità più opportune di relazionarsi con le famiglie RSC.
E’ necessario conoscere fino a quanto ci si può spingere nel richiedere informazioni alle famiglie e con
quali modalità, facendo attenzione e rispettando i loro tempi. E’ anche necessario porre attenzione e
avere tempo per i nostri alunni.
Se si creano buone relazioni poi tutti stiamo bene e anche la scuola sta bene…
Situazioni di disagio familiare, alunni stranieri e sinti sono frequenti nella nostra scuola. Può
succedere che il docente o i docenti di classe mettano in campo molte risorse e poi venga detto loro
dalle famiglie a fine anno o a fine ciclo che non hanno fatto niente o che la scuola non ha fatto
niente…
Bisogna essere preparati anche a questi risultati o a queste risposte.
Permalosità e frustrazione non vivono bene insieme alla possibilità di costruire relazioni con famiglie
in difficoltà o con culture molto diverse dalla nostra.
Questi gap che spesso si vengono a creare con le famiglie, vanno affrontati cercando di far decantare
le situazioni di conflittualità, rotture o contrasti che si possono presentare, riaggiustando e
riprendendo il rapporto in un altro momento più favorevole, ma senza mai dimenticare o
abbandonare il bambino o il ragazzo.
Una nostra ultima esperienza con un bambino della scuola Primaria ci ha mostrato che cambiando il
clima della classe e il contesto, il bambino ha partecipato molto più serenamente alle diverse attività,
alla gita di classe con i compagni, alle giornate scolastiche, e ha frequentato l’anno con meno assenze.
Inoltre circa un mese fa, con la Dirigente Scolastica abbiamo fissato degli incontri con alcune famiglie
sinti per esplorare la possibilità di iscrivere i loro figli in plessi diversi, per evitare che un alto numero
di bambini sinti siano presenti nella stessa classe, una futura prima.
Infine abbiamo constatato che dove è stato adottato il Cooperative learning, dove si è creato un
contesto nuovo e adatto al bambino e si è cercato di farlo partecipe di un gruppo classe, il bambino e
pure il genitore sono diventati maggiormente inclusivi.
Ora ci chiediamo quali possano essere le strategie che servono a creare e curare delle buone relazioni
con la famiglia, al fine di favorire una positiva frequenza scolastica di tutti i bambini e ragazzi?
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3.3 “Fatiche e meriti del lavoro di rete”
a cura di Mara Castellaro
3.3.1 Ingresso in equipe multidisciplinare:
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Per la prima volta coloro che intervengono con gli stessi soggetti (Scuola, Servizi sociali, Terzo
settore) si sono seduti ad un tavolo per instaurare un dialogo proficuo e cooperare per la ricerca di
strategie comuni
Finalmente le energie e le risorse dei vari soggetti sono state indirizzate verso un comune obiettivo
evitando azioni troppo parcellizzate, dispersive o addirittura incoerenti
L’importanza assegnata alle relazioni umane non è stata inferiore a quella data al compito ufficiale
dell’equipe e questa rilevanza ha contribuito a determinare un clima di ascolto e collaborazione
reale all’interno del gruppo
I vari rappresentanti si sono impegnati ad illustrare la “mission” e i servizi concretamente offerti
dalle loro agenzie limitando così aspettative non realistiche, possibili fraintendimenti o
recriminazioni
In alcuni momenti è stata fondamentale la figura di un supervisore per stemperare alcune
inevitabili tensioni dentro al gruppo e valorizzare gli apporti di tutti i membri
Un grande sforzo è stato compiuto per trovare un linguaggio comune, per coordinare le tante
visioni e sensibilità individuali, per sintetizzare tale ricchezza in concretezza progettuale
Al fine di rendere proficui gli incontri, ci si è posti il problema di elaborare una comune proceduraprotocollo per:
o individuare correttamente il problema da affrontare
o declinare in modo chiaro gli obiettivi
o darsi un efficiente metodo di lavoro per raggiungerli
o scandire i tempi delle azioni previste
o valutare l’efficacia delle stesse per modificare il progetto in corso d’opera
E’ auspicabile che l’equipe multidisciplinare in particolari momenti ampli la sua rappresentanza alle
etnie Sinti e Rom perché ciò consentirebbe di ponderare e calibrare in modo più funzionale gli
interventi del progetto
Particolare cura e rilevanza hanno assunto le iniziative pubbliche che hanno il merito di allargare il
dibattito ad altri settori impegnati nelle politiche sociali della cittadinanza attiva e dell’inclusione
delle minoranze linguistiche e culturali
3.3.2 Riflessioni critiche in merito al progetto:
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Un progetto nazionale vasto, complesso che coinvolgeva più attori ed agenzie educative impegnate
a far dialogare tra loro molteplici specializzazioni e competenze per attivare strategie condivise
Un progetto che eleggeva la scuola come contesto privilegiato di intervento, ma che non prevedeva
da parte dell’amministrazione centrale e periferica del MIUR un riconoscimento adeguato in
termini di sperimentazione e relativa dotazione di risorse
Alle diverse figure impegnate nell’ambito scolastico, il referente scuola e due o più docenti di
classe, veniva richiesto un impegno assai gravoso senza riconoscere loro alcun compenso
economico per il tempo dedicato
Scadenze ed organizzazione declinate dall’alto determinavano una tensione ed uno sforzo costante
per comprendere e trasferire tali indicazioni nell’ambiente scolastico senza stravolgere i ritmi e gli
obiettivi disciplinari adottati dall’istituto
A livello nazionale non è stata prevista un’adeguata informazione - formazione iniziale per i docenti
che dovevano attuare il progetto didattico in classe e il rapporto tra loro ed il referente scuola, che
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aveva un orientamento declinato prevalentemente sul piano organizzativo e di contatto con gli altri
soggetti, non è sempre stato in grado di supplire a tale carenza
La necessità di programmare e realizzare l’attività in classe con un operatore esterno alla scuola ha
arricchito le opportunità, ma ha anche introdotto elementi di complessità nella ricerca di linguaggi,
visioni ed azioni comuni
Il progetto, che aveva come finalità dichiarata l’inclusione e l’inserimento dei ragazzi Sinti,
prevedeva un’attività di accoglienza e l’adozione della metodologia del C. L.; le numerose assenze
di molti alunni Sinti non hanno permesso loro di avvalersi completamente delle opportunità offerte
dal progetto di cui erano i principali destinatari
La gestione delle assenze degli alunni Sinti era e rimane problematica perché non sono ancora stati
individuati efficaci metodi di persuasione affinché le famiglie ottemperino all’obbligo scolastico
Alla fine della loro esperienza i docenti di classe hanno espresso l’esigenza di instaurare un
confronto costruttivo con altri docenti dello stesso grado di scuola per poter scambiare riflessioni e
valutazioni sull’attuazione del progetto nelle classi
La realizzazione del progetto ha comunque messo in evidenza che le attività di accoglienza e
l’adozione della metodologia del C. L. sono importanti per valorizzare le personalità degli alunni e
motivarli all’apprendimento, ma non esauriscono i bisogni legati alla loro formazione cioè
all’acquisizione di abilità e conoscenze che li rendano davvero autonomi nell’attuale contesto
sociale, culturale e lavorativo
In seguito al documento del MIUR (febbraio 2014) Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione
degli alunni stranieri che colloca i ragazzi Sinti tra questi ultimi, emerge ancora più chiaramente la
necessità che i consigli di classe predispongano dei PEP (piani educativi personalizzati) che tengano
conto dei singoli livelli di preparazione e di modalità di apprendimento, prevedendo anche dei
momenti di rinforzo individuali a scuola e al campo
Nella scuola secondaria di primo grado si è rivelato pure importante avviare un’attività di
orientamento verso corsi di studi e professionali che offrano sbocchi lavorativi in grado di
completare la loro formazione scolastica e il loro inserimento sociale
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4. IN CLASSE
4.1 Classe 1°A, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci
“Un caldo abbraccio per ogni differenza”
a cura di Lucia Cerino
Cosa riportare delle attività svolte durante questo progetto?
Come ricreare l’atmosfera d’aspettativa del mercoledì,quando Laura e Marco entravano in classe e
ricevevano un sacco di richieste:-Dove andiamo…? Cosa facciamo oggi… ? Sai cos’è successo sta
mattina…? A casa ho fatto…:Un‘attività, nata con un ‘esigenza e una finalità apparentemente espresse nel titolo,si è rivelata
invece fondante di esperienze per tutti,dove l’eventuale diversità d’etnia o di genere è diventata
diversità di modo di vedere,di essere,di sentire,di giocare perdendo la valenza negativa
d’esclusione,che diamo al termine,ma ritrovando il valore positivo,arricchente per il gruppo
eterogeneo di una classe.
Come insegnante nel lavoro quotidiano mi era naturale cogliere e assecondare momenti di confronto
tra bambini,dove tra loro si suggerivano di osservare”..con gli occhi del bradipo..” riprendendo una
modalità di lavoro del primo laboratorio presentato,sentirci tutti nella stessa Arca come gli animali di
Noè e riuscire a coordinare i nostri sforzi per poter stare meglio usando un altro punto di vista ,quello
del bradipo appunto,è diventato il loro modo per provare ad affrontare le situazioni quotidiane.
Accogliendo e ascoltando anche chi non è d’accordo e lo esprime sia con le parole sia con un’
irrequietezza troppo manifesta.
Riprendere i racconti o i lavori sulle immagini proposti ha permesso di creare un continuum di
esperienze e azioni ,per potersi esprimere tutti in libertà e senza temere un giudizio,in questo,per
esempio si è inserita un’attività legata alla musica:vedere ed ascoltare un’orchestra e un coro dove
tutti sono diversi ma legati in un unico progetto,dal piccolo triangolo al primo violino.
Vale la pena di veder luccicare gli occhi di tutti i bambini,un po’ come se fosse Natale,per accogliere
come regali i giochi e le attività di gruppo. E’ imparare senza sapere che lo stai per fare e senza
sentirne il peso e forse,troppo spesso,la noia.
Imparare appunto a sentirsi legati ad un gruppo che dipende anche dal tuo contributo. Ho visto
bambini cambiare di volta in volta, riuscendo a domare la voglia di essere il primo e il solo ad avere
idea di come e cosa fare ,per ritrovarsi con altri che avevano gli stessi bisogni d’affermazione ma,
modalità diverse per affermarlo e quindi scegliere “il compromesso “ o l”l’idea che le salva
tutte”come usiamo ormai dire tra noi classe 1°A,per essere felici si deve cercare di vincere insieme,
non per appiattire il risultato ma per trovare una mediazione che salva e che riconosce tutti.
Se l’amicizia tra un delfino e un cane,immagine ricostruita in un puzzle come gioco di squadra, è
possibile perché come hanno detto loro “..l’acqua è come un caldo abbraccio per tutti e due..”così il
contesto generale per noi,“la classe”,deve essere il caldo abbraccio per ogni differenza ,”alunni e
insegnanti” e non un ring dove combattere.
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4.2 Classe 1° A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci
“Nuovi compagni di viaggio”
a cura di Anna Barbiero
Quasi per magia per pochi minuti mi sono trasformata in una "alunna" certa di esprimere ciò che la
maggior parte degli alunni hanno sperimentato.
Rientrati dalle vacanze di Natale, dopo aver raccontato le varie avventure e le sorprese che avevamo
vissuto in questo lungo periodo di vacanza, la nostra maestra ci ha svelato una sorpresa: a partire dal
mese di febbraio avremo avuto il piacere di conoscere due nuovi "insegnanti": Laura e Marco.
Riccardo, che non aveva ancora capito che per parlare in classe bisognava alzare prima la mano, è
balzato in piedi e con aria preoccupata ha risposto che lui voleva continuare la scuola con le sue solite
insegnanti.
Allora la maestra, sorridendo, lo ha rassicurato dicendo che nulla sarebbe cambiato, anzi avremo
avuto l'opportunità di accogliere in classe, una volta alla settimana, due esperti con i quali potevamo
svolgere varie attività e giochi, coinvolgendo i cinque sensi, imparato come gli animali si difendono
dal freddo, come e dove costruiscono le loro tane e dato risposte a tutte le nostre curiosità.
I giorni passavano ed io non vedevo l'ora di conoscere Laura e Marco, ero curiosa e cercavo nella mia
fantasia di immaginarli.
Finalmente un mercoledì mattina sono arrivata a scuola e, essendo in ritardo, mi sono precipitata di
fretta verso la classe, ho aperto la porta e ho visto accanto alla maestra Anna un ragazzo e una
ragazza molto giovani, saluto tutti e siedo al mio posto e penso: finalmente sono arrivati!
Ora, voglio proprio vedere se queste attività che ci proporranno saranno così divertenti ed
interessanti come ci ha anticipato la nostra insegnante.
Sono trascorsi quattro mesi da quel giorno, con cadenza settimanale Laura e Marco hanno lavorato
con noi: banchi spostati, bambini e insegnanti accovacciati per terra a costruire puzzle, abbiamo
raccolto foglie , erbe, legnetti in giardino, costruito tane, cartelloni, nidi per gli uccellini, filmati con
la LIM e per finire un grandissimo gioco dell'oca realizzato da noi con tutti gli animali protagonisti di
questa nostra entusiasmante esperienza.
Devo dire che mi sono divertita molto, come pure il resto della classe; io frequento una classe prima e
a differenza dei miei compagni provengo da un'altra scuola dell'infanzia e molti di loro non li
conoscevo ancora bene. Questa occasione ha sicuramente rafforzato i legami tra noi bambini, anche
i più timidi lentamente si sono fatti coinvolgere, ci si aiutava e di volta in volta i componenti dei
gruppi si mescolavano ed ogni bambino arricchiva il lavoro con le proprie esperienze e capacità.
Domani è l'ultimo giorno di scuola, Laura e Marco li abbiamo salutati e ringraziati perché come ha
detto il nostro compagno di classe Riccardo: "sono stati i nostri compagni di viaggio" e speriamo che
questo viaggio prosegua anche nel prossimo anno scolastico.
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4.3 Classe 2° A, Primaria Virgilio, I.C. Da Vinci
“Laboratorio? Sì, grazie!”
a cura di Donatella De Cal e Daniele Zuccato
Non nascondiamo che, quando ci è stato proposto questo progetto, abbiamo avuto qualche
perplessità nell’accettarlo: ci sembrava infatti molto impegnativo (sia dal punto di vista del monte ore
previsto che delle modalità di svolgimento) e non ritenevamo corretto il fatto che non venissero
riconosciute economicamente le ore che ci venivano richieste per la sua attuazione .
A percorso ultimato, possiamo dire che queste perplessità non avrebbero avuto motivo di sussistere,
essendosi rivelato il lavoro meno gravoso del previsto e anche giustamente ricompensato.
Ciò che ci ha spinti ad accettarlo è stata, oltre al riconoscere in esso un buon modo per consolidare la
socializzazione all’interno della classe del nostro bambino sinto, l’organizzazione oraria che ci era
stata imposta quest’anno, che impediva la possibilità di programmare alcun laboratorio con gli alunni,
mancando quasi del tutto momenti di compresenza tra gli insegnanti. Questa proposta ci è sembrata
un’ottima occasione per ovviare a questa carenza (per noi assai grave): per buona parte del primo
quadrimestre saremmo stati affiancati, per due ore alla settimana, da due operatori (rivelatisi poi
molto simpatici e competenti) che ci avrebbero permesso di offrire alla classe delle attività divertenti
e stimolanti, in modo da alleggerire il tempo-scuola, costituito sostanzialmente da ore di
insegnamento frontale.
Già dal primo incontro di progettazione con Laura e Davide (12-11-2013), nel quale ci hanno proposto
un percorso sugli animali attraverso il quale sarebbero state affrontate alcune tematiche relative al
mondo infantile, ci siamo resi conto che lavorare con loro sarebbe stato piacevole e interessante.
Il programma era ampio e, ciò che per noi era importante, non si distanziava dalla programmazione di
classe nei contenuti e nelle finalità. Nell’ambito linguistico-espressivo già si pensava di sviluppare
l’argomento delle favole (dove i protagonisti sono animali) e in quello scientifico, anticipando un
pochino i tempi, si sono potuti trovare degli agganci presentando alcune caratteristiche del regno
animale, relativamente alle diversità tra le specie e alle strategie di sopravvivenza.
I dieci incontri con la classe si sono svolti di martedì, dalle ore 14.30 alle 16.30.
I bambini, ai quali era stato spiegato sommariamente il “laboratorio”, si sono subito dimostrati
interessati e hanno accolto con entusiasmo Laura e Davide, instaurando con loro un rapporto di
fiducia e affetto.
Le attività, sotto forma di gioco (identificazione con animali), lettura di favole (“Il lupo e la capretta”),
drammatizzazioni (“La volpe e la pantera”), visione di film (“La gabbianella e il gatto”), proiezione di
immagini (percezione visiva), disegni (mimetismo), ecc., hanno portato via via gli alunni ad esplorare
alcuni aspetti del mondo animale (la diversità, il mimetismo, ecc.) rapportandoli inconsapevolmente
al proprio e ad affrontare in modo adeguato argomenti importanti come l’amicizia, la solidarietà, la
diversità,la paura, ecc.
In questo contesto J. (il bambino sinto), dimostratosi all’inizio piuttosto intimidito, si è un po’ alla
volta sciolto e si è lasciato sempre più coinvolgere nelle attività collettive. Ha dimostrato particolare
interesse nella costruzione di una sorta di “protezione” per l’uovo della gabbianella dove, con
l’utilizzo di cannucce, carta e altro materiale, i bambini dovevano progettare e costruire in gruppo
una specie di custodia per impedire che l’uovo (vero), cadendo, si rompesse.
I vari argomenti sono stati poi recuperati, nei giorni successivi, all’interno della programmazione di
classe.
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Ogni incontro è stato descritto attraverso relazioni personali o collettive, disegni, dettati, ecc. ed è
servito da stimolo per osservazioni, discussioni e riflessioni su tematiche che sono state poi
approfondite nel corso dell’anno.
Nelle varie attività si è anche cercato di coinvolgere, secondo le sue possibilità, anche un nostro
alunno affetto da sindrome di Down, seguito dall’insegnante di sostegno.
Riteniamo che buoni spunti per un approccio positivo a questo tipo di lavoro siano stati offerti dai
due incontri sul Cooperative Learning tenutisi presso l’I. C. “Gramsci”.
Molto utili per l’analisi periodica della situazione scolastica e relazionale di J. sono stati i tre incontri
con il pedagogista e l’educatrice che, con i loro suggerimenti, ci hanno permesso di comprendere
maggiormente alcune modalità di comportamento di J. e di calibrare, di conseguenza, il nostro
intervento su di lui, sul gruppo classe e sulla sua famiglia.
Il lavoro è stato documentato con fotografie e disegni che hanno consentito di tracciarne il percorso
in un librone collettivo, arricchito da didascalie e pensieri degli alunni, nonché dalle firme di ognuno
di loro.
E’ stato anche allestito un cartellone murale con i testi e i disegni più significativi prodotti durante lo
svolgimento delle attività.
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4.4 Classe 2°A, Primaria Don Milani, I.C. Gramsci
“Dedica”
a cura di Mariagrazia Silvestri
A settembre mi sembrava di dover scalare una montagna per poter raggiungere alcuni fondamentali
obbiettivi all’interno della mia classe. A Giugno ho conquistato la vetta!
Faticoso, emozionante, altalenante, coinvolgente ….è stato tutto il percorso, ma con l ‘appoggio dei
miei colleghi e con la grande collaborazione e partecipazione di Marco e Laura a qualsiasi sfumatura
riguardante la personalità di ogni bambino e bambina, si è concluso l’anno scolastico con un bel sorriso .
Grazie a tutti di cuore e spero di riavervi con me anche il prossimo anno .
4.5 Classi 1°B – 1°E, Secondaria di I° Volpi, I.C. Alpi
“Nessun uomo è un’isola”
a cura di Matteo Benedetti, Martina Bettio, Katia Torriani
Tempi: 2 ore settimanali per un totale di 12 incontri (24 ore a classe) a partire da:
Martedì 12 novembre -classe 1E: ore 12.00 - 14.00. Conclusione 04 febbraio 2014
Giovedì 7 novembre –classe 1B: ore 10.00 - 12.00. Conclusione 06 febbraio 2014
Con pausa di una settimana per preparazione Attivita’ finale
Finalità: Costruire un gruppo classe cooperante e valorizzante
Competenza: Riconoscere i tratti della propria identità personale e culturale come luogo di partenza
per aprirsi all’altro in un’ottica di scambio e di condivisione che valorizzi le abilità di ognuno,
mediando le diversità.
Tematica: il superamento dell’individualità e l’apertura all’altro vengono affrontati attraverso il
potente simbolismo dell’isola-persona e dell’arcipelago-gruppo classe. Vengono sottoposte all’analisi
e alla riflessione dei ragazzi 4 isole diverse, come tappe di un percorso di sviluppo delle peculiarità del
singolo in sinergie di gruppo. Solo attraverso la collaborazione e il rispetto è possibile sviluppare a
pieno le potenzialità di ognuno e sostenerne le fragilità.
FASI
ITACA, l’isola di Ulisse = IO
L’IO bambino, l’affetto, la famiglia, le paure.
Rappresenta le radici profonde dell’IO. E’il luogo dell’infanzia con le sue paure di crescere e la
protezione degli affetti familiari. Da questo luogo si parte, forti delle proprie peculiarità per entrare
nel mondo degli altri.
L’ISOLA DI ROBINSON CRUSOE = IO E TE
La scoperta dell’Altro. L’isola del progetto e della costruzione. Progettare la propria vita significa
saper soddisfare i propri bisogni e superare la solitudine aprendosi agli altri e collaborando con essi.
Casa, Cibo, Amicizia con l’Altro.
L’ISOLA DEL TESORO = NOI
Il gruppo come risorsa. Cooperare per un obiettivo comune, porta alla conquista del tesoro. L’isola
dell’esplorazione e della conoscenza, è un’isola piena di avventure.
L’ISOLA CHE NON C’E’ = TUTTI INSIEME
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Lo stare insieme come benessere regolato: L’isola che non c’è e che dobbiamo costruire noi, con la
fantasia, l’esperienza. L’isola del vivere civile e del benessere di tutti. L’isola in cui alla fine il gruppo
classe approda.
Obiettivi
Avviare un processo di decentramento dal sé e di apertura e comprensione dell’Altro
Avviare la capacità di mediare i propri bisogni nel rispetto dell’Altro e del gruppo
Avviare la costruzione di un gruppo cooperante
Metodo: Cooperative learning, role-playning,
MATERIALI: cartelloni, colori, carta, oggetti di riciclo, colla, skoch, forbici, post-it adesivi, Testi
fotocopiati, fotografie delle attività. Cibo per la caccia al Tesoro finale.
REALIZZAZIONE
FASE 1 L’isola degli AFFETTI e del Sé - ITACA
ATTIVITA’ A
PREMESSA
Descrizione del PROGETTO da parte dei conduttori: breve introduzione del percorso, durata,
modalità.
Brain Storming: spiegazione del significato del Titolo dato all’Attività: “Nessun uomo è un’isola” con
enucleazione di concetti e immagini guida (viaggio, isola, equipaggio, esplorazione, scoperta, gruppo).
Narrazione esperienziale individuale: il mio viaggio più bello (reale, immaginario, simbolico,
desiderato).
Ritualizzazione simbolica: Consegna della valigia e preparazione del materiale per la partenza. La
partenza viene ritualizzata attraverso la consegna di una cartellina a forma di valigia che conterrà
tutto il materiale raccolto nel viaggio.
DENTRO la mia valigia: inserimento individuale di post-it di colori diversi con scritto 1) Un BISOGNO
da soddisfare per stare bene; 2) Una QUALITA’ del proprio carattere; 3) Un OGGETTO prezioso (reale
o astratto). Tali elementi saranno utilizzati nel corso delle attività.
Brain storming iniziale sul significato di BISOGNO e QUALITA’
Le finalità sono quelle di presentarsi, di avere un simbolo del viaggio e di riportare l’attenzione sul
fatto che il gruppo può contare su un capitale di oggetti e valori umani che possono essere messi a
disposizione dell’equipaggio intero. Già alla partenza quindi, vi è il supporto del gruppo.
ATTIVITA’ B
INDIVIDUAZIONE DEI BISOGNI PRIMARI DEGLI ALUNNI E DELL’AREA AFFETTIVA COME BASE
DELL’INDIVIDUO: ITACA
Collocazione individuale a scelta dei post-it dei BISOGNI su fogli-lavagna che rappresentano le 4
isole: in quale isola posso soddisfare il mio bisogno?
1. AFFETTI (famiglia, amici, casa...)
2.
PROGETTI
(costruzione,
ingegno,
organizzazione ... per ripararsi, nutrirsi, ...)
3.
SCOPERTA
(esplorazione,
4. FANTASIA (creatività, sogno, desiderio...)
conoscenza ...)
COSTRUZIONE dei GRUPPI di lavoro per Cooperative Learning: per comunanza di sentire.
I gruppi si formano raggruppando tutti i ragazzi che hanno collocato il post-it dei BISOGNI nella stessa
isola. Costruzione di 4 gruppi.
ASSEGNAZIONE DEI RUOLI: portavoce del gruppo, moderatore, verbalista.
ESPLICITAZIONE DELLE REGOLE: compiti, tempi, turni di parola, esposizione, feed-back finale.
Utilizzo di matite colorate cambio turno di parola.
COMPITO: verbalizzazione e scrittura testo collettivo su 3 punti:
Perché ho scelto questo bisogno
Perché l’ho collocato in questa isola
Soddisfacendo questo bisogno io miglioro in che modo?
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Conclusione: discussione sui risultati e feed-back sull’attività.
ATTIVITA’ C
L’ARRIVO A ITACA Il gruppo condivide un obiettivo
Cooperative learning: rotazione dei ruoli nel gruppo già costituito in precedenza
ATTIVITA’: creazione del puzzle dell’isola ricostruendo il testo della canzone lTACA di Lucio DALLA
La canzone fa esplicito riferimento al ruolo del capitano della nave e al ruolo dei marinai che sono
diversi ma complementari per il raggiungimento di un obiettivo comune.
Ogni gruppo riceve il tassello di un puzzle con incollata sopra la parte scritta di un testo. 2 tasselli
vuoti vengono collocati al centro del pavimento.
COMPITO:
Interpretare il testo, esporlo ai compagni.
Ricostruire il testo della canzone nel corretto ordine formando il puzzle dell’isola di Itaca grazie
all’unione dei pezzi. Ogni gruppo, ascoltando l’esposizione dei compagni, discute e comprende la
posizione della propria parte di testo nell’insieme della canzone.
Creare un “ponte ideale” fra le parti (o gruppi): ogni gruppo scrive una frase di sintesi sui tasselli vuoti
dell’isola. L’insieme crea un messaggio collettivo.
Ascolto finale della canzone Itaca di Lucio Dalla.
Feed-back sull’attività
ATTIVITA’ D
LA NOSTALGIA DI ULISSE: mettersi nei panni degli altri e comprendere i loro sentimenti e le loro
ragioni
ATTIVITA’: SCRITTURA DI UN BREVE COPIONE E DRAMMATIZZAZIONE del testo dal punto di vista di
uno dei personaggi
Cooperative learning: rotazione dei ruoli nel gruppo già costituito in precedenza
Testo di riferimento: La nostalgia di Ulisse, Odissea
Lettura guidata del testo e sua contestualizzazione nell’Odissea, a cura dei docenti.
COMPITO: Comprensione analitica del testo su indicazioni date dall’insegnante.
Individuare le differenze fra Ogigia, l’isola di Calipso in cui è trattenuto Ulisse e Itaca, l’isola dove
Ulisse vuole tornare.
Individuazione dei personaggi: Calipso, Ulisse, Zeus, Atena, Ermes.
Le ragioni di ogni personaggio: cosa desiderano, cosa vorrebbero, che sentimenti provano.
Ogni gruppo, a sorteggio, riceve il nome del personaggio dal cui punto di vista devono raccontare la
storia
Scrittura del testo e drammatizzazione in costume
Feed-back sull’attività
FASE 2 L’ISOLA DI ROBINSON – PROGETTARE INSIEME
ATTIVITA’ A
LA VOGLIA DI SCOPRIRE IL MONDO: IL DESIDERIO DI CONOSCERE FA CRESCERE E ANDARE
LONTANO
ATTIVITA’: SCRITTURA DI UN BREVE COPIONE E DRAMMATIZZAZIONE del testo dal punto di vista di
uno dei personaggi
Lettura di un brano dal libro di Defoe “ROBINSON CRUSOE”. Il testo verte sul confronto fra Robinson e
il padre che non vuole permettergli di partire per mare.
Cooperative learning: costituzione di nuovi gruppi casuali, rotazione dei ruoli
Role-playing
Presentazione del libro e contestualizzazione del brano, a cura dei docenti.
Lettura guidata del testo e comprensione.
COMPITO:
Comprensione analitica su indicazioni date:
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La storia della famiglia di Robinson
Le motivazioni dei genitori (padre)
Le motivazioni di Robinson
Discussione e confronto fra gruppi sulle diverse opinioni
Formazione di 2 gruppi distinti in base alle opinioni personali: 1. Sostiene il padre 2. Sostiene
Robinson. Ogni gruppo individua un rappresentante che drammatizzerà il ruolo con i suggerimenti dei
compagni.
Ogni volta che il recitante si blocca e dichiara di non avere argomenti, viene sostituito a rotazione da
quello nel suo gruppo che si ritiene possa rispondere alle obiezioni dell’antagonista nel confronto.
Regola: si parla solo alla fine dell’intervento dell’antagonista riassumendo brevemente quanto da lui
detto e poi rispondendo.
Feed-back sull’attività.
ATTIVITA’B
IL NAUFRAGIO DI ROBINSON: SAPER SODDISFARE I PROPRI BISOGNI PROGETTANDO INSIEME UN
OGGETTO UTILE ALLA SOPRAVVIVENZA DI TUTTI
Lettura del brano del secondo naufragio di Robinson e del suo arrivo nell’isola tratto da “Robinson
Crusoe” di De Foe. Robinson deve affrontare la sua vita da naufrago sull’isola.
ATTIVITA’: COSTRUZIONE DI UN OGGETTO ASSEMBLANDO PARTI CASUALI
COMPITO: Ogni gruppo pesca a caso 5 oggetti da un cassone portato nel laboratorio.
Assembla i pezzi per costruire un oggetto utile alla sopravvivenza nell’isola.
Descrive l’oggetto agli altri gruppi.
Motiva la costruzione dell’oggetto legandolo ad un particolare aspetto dell’isola decisa in precedenza
dal gruppo (ad es. costruzione di una mongolfiera perché l’isola è ventosa e montuosa al centro senza
valichi).
Feed-back sull’attività.
FASE 3 L’ISOLA DEL TESORO ESPLORARE E TROVARE IL TESORO COME SIMBOLO DELLA CRESCITA
ATTIVITA’ A
ATTIVITA’: COSTRUIRE LA MAPPA DELL’ISOLA CON DISEGNI E COLLAGE SEGUENDO LA DESCRIZIONE
Lettura di un brano dall’ “Isola del Tesoro” di Stevenson in cui si descrive l’isola del Tesoro
Cooperative learning: costituzione di nuovi gruppi casuali, rotazione dei ruoli
Introduzione al libro, Lettura e comprensione del brano, a cura dei docenti
COMPITO:
Individuazione nella descrizione di 5 elementi del paesaggio: la spiaggia dell’approdo, la montagna
del Cannocchiale, la palude, la tana del mostro, la foresta. Tali elementi fissi costituiscono le basi
fondamentali nel disegno a gruppi dell’isola.
Disegno su cartelloni della mappa dell’isola, completamento con collage di immagini geografiche
portate dagli alunni. Si incollano le parti di testo relative alla descrizione dei 5 elementi.
Creazione di nomi di fantasia.
Presentazione agli altri gruppi dell’isola.
Feed-back sull’attività.
ATTIVITA’ B
ATTIVITA’: LA COSTRUZIONE DELLA MAPPA DEL TESORO e la scoperta del TESORO
COMPITO: Su carta pergamena ogni gruppo predispone la mappa del tesoro, decide il nascondiglio e
sceglie il tesoro: un arricchimento sotto forma di dono simbolico da lasciare al gruppo che esplorerà
l’isola.
Ogni gruppo predispone indovinelli, quiz, prove da superare per avvicinarsi al tesoro.
Per avere il tesoro è necessario affrontare il mostro dell’isola che protegge il tesoro.
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Si abbinano a caso isole e gruppi. Un componente dell’isola rimane a guidare l’esplorazione del
gruppo che deve indovinare.
Caccia al tesoro e descrizione del tesoro trovato.
Feed-back sull’attività.
FASE 4 L’ISOLA CHE NON c’è LA SINTESI DEL VIAGGIO
ATTIVITA’A
ATTIVITA’: CREARE L’ISOLA CHE NON C’E’ COME SINTESI DELLE ALTRE ISOLE
Cooperative learning: costituzione di nuovi gruppi casuali, rotazione dei ruoli
COMPITO: costruire un’isola divisa in 4 parti dove riportare (affetti, progetto, conoscenza, la quarta
parte sono le acquisizioni personali e di gruppo come sintesi finale.
Riordinare il materiale prodotto nel laboratorio e commentarlo a voce.
Sistemare negli spazi disegnati pensieri, parti di fotografie, disegni, altro.
Discutere sul percorso e scrivere le riflessioni finali sulla parte dell’isola che NON c’è.
Presentazione agli altri gruppi del lavoro finale.
Feed-back sull’attività.
ATTIVITA’ B
IL TESORO COME CONDIVISIONE e il TEMPO DELLA FESTA INSIEME
ATTIVITA’: GRANDE CACCIA AL TESORO
CACCIA AL TESORO
Preparazione a cura di docenti ed educatori con ruolo di Assistenti nel gioco.
N° squadre: 4 squadre: squadra Gialla, Rossa Verde, Azzurra.
4 MAPPE dei luoghi usati per la caccia, 1 per squadra.
Le Mappe servono per trovare i Biglietti colorati, nascosti dagli organizzatori in precedenza, indicanti
la PROVA da superare per progredire nel gioco. L’indicazione del LUOGO in cui cercare, invece viene
data dall’Assistente alla squadra dopo il superamento della prova.
6 TAPPE di GIOCO NUMERATE. Ogni tappa corrisponde ad un luogo dove è nascosto un Biglietto
colorato con indicazioni della PROVA da superare per avanzare nel gioco. Il biglietto contenente la
prova viene nascosto all’inizio del gioco, mentre l’indicazione del luogo dove cercare il biglietto
successivo si guadagna superando la prova.
Sono predisposti 4 percorsi diversi di ricerca, 1 per squadra, utilizzando i 4 colori, ma le prove sono
uguali poiché il TESORO sarà comune.
Abbinamento Assistenti alle squadre; l’Assistente controlla e decide il superamento della PROVA.
Consegna il biglietto con le indicazioni per raggiungere il LUOGO in cui cercare e lo consegna DOPO il
superamento della prova.
SVOLGIMENTO
L’Assistente di riferimento consegna ai partecipanti la mappa dei posti dove sono nascoste le prove
da sostenere per proseguire nella caccia.
Consegna il primo biglietto indicante il primo luogo in cui cercare.
Ogni prova richiederà il nulla osta dell’assistente per procedere alla tappa successiva e quindi alla
ricerca del biglietto con la seconda prova.
PROVE
Fare l’acrostico delle seguenti parole con attinenza al significato: Itaca; Neverland; Robinson.
Imparare a memoria la seguente frase, recitarla in coro in modo neutro e in altre due modalità ad
estrazione (ad es.: ridendo, piangendo, remando, saltando, cantando).
La frase: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso; ogni uomo è un pezzo di continente, un
pezzo di tutto…La morte di qualsiasi uomo mi sminuisce perché io sono parte dell’umanità.”
Per viaggiare è importante saper leggere le mappe geografiche: trovate i seguenti luoghi sulla cartina
e scrivete il nome di alcuni dei personaggi incontrati nel nostro viaggio che abitano là.
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Longitudine 0°-Latitudine 55° Nord (Inghilterra); Longitudine 25° Est- Latitudine 38° Nord (Grecia)
Longitudine 77° Ovest- Latitudine 18° Nord (Giamaica –Caraibi); Longitudine (15x15 – 20)°Est Latitudine (10x 8 +11)°Sud (Isola che non c’è).
Ricomponi i pezzi delle foto (selezioniamo e stampiamo 2/3 foto tra quelle scattate durante i
laboratori tagliandole poi a quadretti per fare il puzzle) e scrivi il momento corrispondente (cosa
stavamo facendo? che isola era? come ci sentivamo?)
Ricomponete la canzone “Itaca” di Lucio Dalla (la dividiamo parola per parola) e alla fine cantatela
insieme ai compagni.
L’isola che si mangia. Preparate una merenda per i vostri compagni curando la presentazione che
deve essere a tema con i laboratori svolti. (Dare a disposizione: grissini, pancarrè, marmellata, crema
nocciola, caramelle assortite, biscotti, salviette). La squadra costruisce l’isola con il cibo. La descrive ai
compagni e alla fine tutti insieme si mangiano le isole.
CONQUISTA DEL TESORO: Premio Visione di un Film sul tema del viaggio insieme all’altra classe della
scuola che ha svolto il Laboratorio.
EXTRA PROGETTO
DIVERSI MA INSIEME: PERCORSI PARALLELI FRA LE DUE CLASSI COINVOLTE 1B-1E
ATTIVITA’: VISIONE DEL FILM, premio della CACCIA al TESORO e confronto fra le esperienze
FEED-BACK finale con le famiglie dei ragazzi
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4.6 “Lago Shaino, un momento da ricordare”
a cura di Davide Carnemolla
Penso che l'esperienza del cooperative learning sia stata molto positiva sia per gli alunni delle classi in
generale che per i minori sinti: gli incontri sono stati vissuti con grande partecipazione ed entusiasmo
e il metodo cooperativo ha permesso ad ognuno/a sia di ritagliarsi i propri spazi sia di sviluppare una
maggiore capacità di lavorare in gruppo. Positivo è stato anche il fatto di aver assegnato dei ruoli
(come “portavoce”, “coordinatore”, ecc...) facendoli ruotare ad ogni nuovo incontro in modo da
conferire sempre nuovi incarichi e responsabilità.
I minori sinti, sia coloro maggiormente presenti che coloro che hanno fatto più assenze, hanno
partecipato con interesse (pur con qualche titubanza e difficoltà iniziale) riuscendo, incontro dopo
incontro, a contribuire in maniera creativa valorizzando le loro qualità e i loro interessi (ad es.
attraverso il disegno o le performance teatrali).
Molto buono anche il rapporto con gli insegnanti che hanno lavorato con grande interesse e costanza
condividendo i contenuti e le modalità di svolgimento dei percorsi con gli operatori del progetto,
valorizzando le attività svolte e in diversi casi anche dando continuità a tali attività fuori dalle ore
dedicate al laboratorio.
Momenti da ricordare: il dispiacere di una classe quando ha saputo che il giorno del laboratorio ci
sarebbe stata vacanza (“è la prima volta che vedo dei ragazzi tristi perché non devono andare a
scuola” ha detto la loro insegnante); l'esuberanza e la bravura di Davide nelle performance teatrali; la
felicità di Marco nel poter disegnare sul cartellone dell'isola del tesoro un lago e chiamarlo col suo
nome (“lago Shaino”).
Suggerimenti per il futuro: avviare sin dall'inizio della programmazione un lavoro pienamente
condiviso tra i vari soggetti coinvolti tenendo in considerazione le rispettive proposte ma anche i
tempi di svolgimento delle attività (ad es. valutando i tempi scolastici). Al tempo stesso sarebbe
auspicabile coinvolgere – sia nelle attività laboratoriali che negli altri impegni all'interno del progetto
- più insegnanti delle classi inserite nel progetto sia per non sovraccaricare troppo un numero
ristretto di insegnanti sia per allargare a più insegnanti la partecipazione e quindi l'impatto e l'effetto
moltiplicatore del progetto stesso.
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4.7 “L’educazione artigiana”
a cura di Laura Tegon e Marco Tombolani
Quando quest’anno ci dissero che il nuovo progetto avrebbe previsto dei laboratori per tutta la classe
con la metodologia dell’apprendimento cooperativo e del “learning by doing”, ci guardammo tra
colleghi esclamando: “ interessante …e impegnativo!”.
Era interessante soprattutto perché avremmo avuto la possibilità di entrare nelle classi e di lavorare
con tutti i bambini “rom , sinti e gagi “ respirando e vivendo le loro emozioni proprio in diretta…
proprio nel posto dove, spesso, molti bambini rom e sinti vivono delle difficoltà trasformandosi
rispetto a come siamo abituati a vederli fuori dal contesto scolastico!
Ci piaceva molto anche l’idea di lavorare con l’apprendimento cooperativo perché siamo cresciuti
professionalmente con alcuni pensatori ( come Freire, Tagore, Bion, Spaltro, Branca, ecc…) e con la
convinzione che il gruppo eterogeneo sia fondamentale per la crescita di ogni contesto e in
particolare nel lavoro sociale…
Ci solleticava la fantasia il fatto di poterci sperimentare insieme a un gruppo numeroso con quella che
mi piace chiamare “l’educazione artigiana” (libera e personale traduzione del “learning by doing”)
perché per noi la crescita è una complessa rielaborazione che parte proprio dal fare delle esperienze
concrete e specifiche di significato, personali, contemplando sempre il sapere cognitivo con quello
emotivo.
Pensavamo invece che sarebbe stato impegnativo perché se da una parte avremmo potuto
finalmente creare una forte alleanza con gli insegnanti e i genitori, dall’altra parte avremmo dovuto
“co-progettare” con delle professionalità differenti dalle nostre che non avevano richiesto
espressamente il progetto e che non avevano tempo perché erano già oberate di lavoro.
Temevamo di non riuscire a conciliare in poco tempo i vari impegni e temevamo di non trovare
insieme agli insegnanti quella preziosa mediazione tra i diversi stili educativi e tra i diversi aspetti
della formazione-educazione e della didattica…
A distanza di tempo tutti questi pensieri iniziali si sono moltiplicati a livello esponenziale per ogni
parte in gioco (la collaborazione con gli insegnanti, la conoscenza delle peculiarità dei bambini e del
gruppo, la progettazione e la creazione delle attività, ecc…) ed è ancora difficile dare loro un ordine e
considerare se le nostre premesse e i nostri timori iniziali fossero tutti pertinenti poiché la sfavillante
e vivace umanità che ci ha animato nelle classi è stata piuttosto travolgente e qualche cosa sta ancora
cercando di essere indagata…
Tuttavia di seguito scriverò solo alcune osservazioni che possono essere trasversali nel lavoro svolto
con le diverse classi incontrate della scuola primaria e di quella secondaria.
Inizio con il racconto di un episodio molto semplice che, mentre eravamo a scuola, ha risuonato però
come una sorta di monito per noi educatori... In una classe prima della primaria avevamo chiesto a
tutti gli alunni di “firmare” l’ultima mattonella-tessera che rappresentava l’arrivo di una specie di percorso simile a un gioco dell’oca che avevano costruito i bambini lavorando in gruppetti.
Nel momento di assemblaggio delle varie tessere, giunti alla visione dell’ultima mattonella il mio collega ed io ci siamo ritrovati a leggere una quindicina di “firma, firma, firma, firma…” e così via! Il gruppo di bambini aveva firmato scrivendo “firma” al posto del proprio nome! Dopo un primo sorriso un
po’ disorientato abbiamo mostrato la mattonella alla maestra e abbiamo iniziato a fare delle osservazioni… Abbiamo raccontato l’episodio anche nelle altre classi e, con gran piacere, ci siamo confrontati con degli insegnanti che condividevano senza conoscersi la stessa rilettura: “Quanta responsabilità abbiamo noi insegnanti! Come è facile il rischio di condizionarli” .
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Da questa consapevolezza credo sia nata proprio la fiducia che ho maturato per tutti gli insegnanti incontrati in questa esperienza. Una consapevolezza del proprio ruolo educativo che sente la responsabilità non solo della didattica ma anche della formazione concependo l’apprendimento come un processo strettamente legato alla delicatezza dell’essere bambini che provano emozioni e che ti rilanciano in mille modi i loro bisogni anche se spesso non li sanno ancora codificare.
In classe infatti c’era chi ti ipnotizzava con lo sguardo senza perderti mai di vista, chi invece non riusciva neppure a incrociare il nostro sguardo, chi parlava sempre, chi non aveva il coraggio di esporsi, chi
si alzava e ti prendeva per mano, ecc…Con tante sfumature emergevano il bisogno di avere delle relazioni e di saperle vivere al meglio e allo stesso tempo il bisogno di differenziarsi, il bisogno di essere
riconosciuti come autonomi e indipendenti ma anche quello di essere supportati dalle figure adulte in
modo accogliente trovando la giusta vicinanza-distanza. Prorompenti erano poi il bisogno di esprimere le proprie emozioni, paure, fantasie e desideri…
Di fronte a tutto ciò ci siamo quindi confrontati per cercare di capire come rielaborare praticamente il
tutto nella nostra idea di “artigianato dell’educazione”. Abbiamo pensato che alcuni fili conduttori
con cui intrecciare la conoscenza, l’affettività, la motivazione e l’esperienza potessero essere alcuni
argomenti a me molto cari come la bellezza degli animali con le loro somiglianze e diversità rispetto
agli “animali umani” e le loro capacità di collaborare in modo rispettoso nella natura… un altro
argomento, caldeggiato in particolare da due professoresse, è stato poi il tema del “viaggio” concreto
ma anche poetico e metaforico…
Penso che noi tutti (educatori, insegnanti e bambini) ci siamo impegnati per costruire un bel percorso
e siamo diventati noi stessi una squadra con diversi compiti dove la qualità è aumentata con
l’aumento del livello di collaborazione… perché il lavoro di gruppo ha in effetti anche un valore
pratico e non solo morale.
Durante le diverse tipologie di attività (letture di racconti, giochi cooperativi, attività creative e
manipolative, visione di filmati, ecc…) non sono sicuramente mancati alcuni momenti di conflitto o di
difficoltà che sono state preziose occasioni di apprendimento soprattutto quando ci si trovava a fare
delle esperienze concrete con la necessità di condividere delle risorse o di dover prendere delle
decisioni o di dover collaborare con compagni che non si impegnavano.
Ricordo, per fare un esempio semplice, un momento di riflessione in cerchio dopo aver letto una
storia in cui si parlava di un litigio tra diversi animali che condividevano uno spazio molto stretto. In
quel momento molti bambini avrebbero potuto vincere il premio nobel per la pace dimostrando una
saggezza quasi “gandhiana” nella rilettura dei fatti… ma solo nel momento in cui abbiamo invitato gli
stessi bambini a mettersi in gioco condividendo nella pratica uno spazio sempre più ridotto è stato
possibile sperimentare quanto sia difficile la condivisione; nel gioco è stato possibile apprendere
dall’esperienza e coinvolgersi nell’immaginare soluzioni per provare a stare bene in quella
situazione....
Potrei raccontare davvero molte altre esperienze simili, alcune molto semplici come quella per cui,
all’inizio, anche riuscire a stare in due o in tre per lavorare attorno allo stesso foglio non era facile e
scontato né nella scuola primaria né nella scuola secondaria… o potrei ricordare come i bambini,
dopo aver faticato ed essersi impegnati molto in vari appuntamenti, nel tempo, sono riusciti a
collaborare, in modo sempre più sereno, diventando orgogliosi dei propri “prodotti” senza il timore di
scomparire o di essere giudicati nel gruppo.
Per questo, la possibilità di creare un pensiero insieme ai bambini su alcune esperienze
emotivamente significative vissute attraverso il gioco e i lavori di gruppo, ci ha aiutato ad incoraggiarli
e spronarli a trovare le parole più adatte per esprimere i bisogni più sinceri e autentici e per cercare
di trovare il loro posto in quelle relazioni che stavamo vivendo senza temere di dover proteggere la
loro identità.
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5. A CASA
5.1 “Un’attività… di famiglia”
a cura di Davide Carnemolla
Positivo in generale il rapporto sia con i minori che con le famiglie. Le due situazioni che ho seguito
sono state tuttavia abbastanza diverse tra loro.
In un caso la famiglia è stata molto collaborativa e ha perfettamente compreso l'importanza ed il
senso delle attività del progetto (sia a scuola che a casa) mentre in un altro caso la famiglia, pur
dimostrando di comprendere l'importanza di tali attività, non ha sempre collaborato affinché l'attività
di supporto presso casa loro si potesse svolgere nella maniera migliore (in più di un caso ad esempio
la famiglia usciva con il figlio e non si faceva trovare in casa al momento dell'inizio dell'attività). Ciò è
avvenuto ad ogni modo più per superficialità e per un coinvolgimento non sempre elevato nel
progetto piuttosto che per un reale disinteresse o un'indifferenza verso le attività del progetto.
L'attività a domicilio è in ogni caso importante sia per il supporto specifico che si può dare al singolo
bambino/ragazzo sia perché diventa un'attività più “globale” che coinvolge l'intera famiglia andando
a toccare anche situazioni non strettamente legate all'ambito scolastico e configurandosi quindi come
un tipo di attività significativa per tutti i membri della famiglia.
Momenti da ricordare: la partecipazione dei fratellini di Gianni alle attività svolte dallo stesso Gianni e
il clima positivo che si respirava a casa loro. Le chiacchierate con Fabio a casa sua (in attesa dell'arrivo
di Marco).
Suggerimenti per il futuro: così come le altre attività anche questa, forse ancora più delle altre,
andrebbe programmata calcolando un certo grado di flessibilità. In particolare, visto il numero
limitato di ore, andrebbe valutata l'efficacia e l'impatto di tali attività (ad es. quanto il supporto a
domicilio influisce o meno sul rendimento scolastico o sul grado di socializzazione del minore). Il
monte ore andrebbe quindi modulato in base a questo aspetto prevedendo anche un maggiore
allargamento dell'attività ad altri minori appartenenti allo stesso nucleo familiare o se possibile,
anche ad alcuni coetanei dei minori supportati in modo da estendere i benefici del progetto a più
minori e non solo a quelli “direttamente” coinvolti. Quest'ultimo è un aspetto a mio parere
significativo che andrebbe considerato in tutto il progetto dato che i minori sinti non inseriti nel
progetto RSC hanno visto ridotto o eliminato il supporto loro garantito negli anni precedenti.
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5.2 “Differenziare gli interventi”
a cura di Laura Tegon e Marco Tombolani
Molte volte ci siamo ritrovati a discutere tra colleghi sulla modalità più funzionale per lavorare
insieme ad alcune famiglie rom e sinte e i loro bambini nell’orario extrascolastico considerando i
bisogni e gli aspetti che ci sembravano più “peculiarmente rom e sinti” e quelli che, invece, potevano
essere delle caratteristiche trasversali a diverse famiglie indipendentemente dall’origine rom e sinti.
Per questo, come ci ha ricordato in un seminario anche Vinicio Ongini, l’atteggiamento più corretto è
forse quello di riuscire a differenziare gli interventi e ciò lo conferma anche il fatto che ormai la
struttura familiare rom e sinti analizzata e studiata (a volte forse anche “vivisezionata” in determinati
e presunti contenitori culturali) da vari antropologi e sociologi dagli anni ‘60 non ha più alcun
riscontro e a volte può anche rischiare di depistare e aumentare le distanze.
Con queste premesse, il nostro lavoro insieme ha cercato di saper differenziare gli interventi
nonostante ci si sia concentrati soprattutto sull’ambito scolastico perché, considerate le risorse a
disposizione, ci sembrava la scelta più proficua per poter valorizzare, intensificare e supportare il
lavoro che si stava facendo con tutti i compagni di classe nell’orario scolastico; avevamo infatti la
possibilità di riprendere in un rapporto individuale e privilegiato con le singole famiglie e i bambini
alcuni aspetti (alcune potenzialità o alcune vulnerabilità) osservati in classe.
Con alcuni bambini e i loro genitori abbiamo quindi lavorato sulla tenuta di certi impegni, con altri
abbiamo lavorato sulla mediazione e sulla comunicazione più corretta con il mondo della scuola, con
altri sul bisogno di sostenere certe relazioni, con altri sul bisogno di scardinare alcuni meccanismi di
isolamento aprendo nuovi scenari…
A proposito di nuovi scenari, quest’anno è stato interessante poter vedere il cambiamento che è
avvenuto nella vita di alcune famiglie che hanno voluto e potuto trasferirsi dal villaggio in alcuni
appartamenti. Mi hanno detto di essere tutte soddisfatte di questa scelta e di questo cambiamento
nel loro stile di vita.
E’ cambiato anche il modo dei ragazzi di vivere la città e il gruppo di amici… Ricordo che nei primi anni
di lavoro al campo di via Vallenari, circa dieci anni fa, raramente vedevo uscire i ragazzi più giovani
per frequentare “i gagi” e la città… mentre quest’anno ho visto parecchi ragazzi frequentare
compagnie di amici formati dai compagni o da alcuni vicini di casa.
In tutto questo cambiamento, però, resta ancora forte il sentimento di disorientamento, di paura e di
angoscia che le famiglie mi hanno comunicato rispetto alla situazione lavorativa che nella maggior
parte dei casi, si basa su un lavoro sempre più precario come la raccolta del ferro. La nostra speranza
più profonda è proprio che ci potrà essere un investimento maggiore sia da parte delle istituzioni sia
da parte dei ragazzi per creare dei nuovi e originali progetti di vita.
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5.3 “Tiro alla fune”
a cura di Alessandro Zanetti
Da alcuni mesi mi occupo, come volontario del Servizio Civile, dell’attività di supporto didattico ai
minori Sinti, in media una o due volte alla settimana mi reco a casa loro e li aiuto a fare i compiti.
Detta così potrebbe sembrare una cosa semplice e in effetti lo è, ma c’è una parte emergente dallo
stare insieme a loro che rende il lavoro più complesso di quello che si può pensare.
Senza voler trascurare l’unicità di ciascuno, c’è un tratto caratteristico che sembra accomunare questi
ragazzi e che ho potuto osservare emergere in diversi contesti (una parte del progetto comprende
anche il supporto a scuola) la scarsa fiducia in loro stessi. Non sono rare le volte in cui mi sento dire
“non sono capace”, “non capisco niente”, “il disegno che ho fatto fa schifo”, “la tua A è bella, la mia
no”, autostima traballante e insicurezze che si insinuano facilmente risultano essere gli aspetti più
impegnativi da gestire nei processi di apprendimento.
Allora mi chiedo se provare a stare in questa incertezza assieme a loro e guidarli un po’ alla volta
verso una consapevolezza diversa possa essere una strada, è quello che tento di fare ad esempio
attraverso la ripetizione continuata di un compito negli esercizi di italiano o matematica, cioè
dimostrargli che ci sono delle strategie concrete che possono aiutare a migliorare le proprie abilità,
che non è sempre così come dicono o pensano, che alle volte le competenze già le hanno,
necessitano soltanto di uno stimolo a metterle in pratica.
Il problema della motivazione è un'altra questione fondamentale a mio modo di vedere. Spesso
questa, apparentemente carente, necessita di essere rinforzata attraverso diversivi e varianti
dell’attività didattica. L’utilizzo del gioco si dimostra molto utile ed efficace in questo senso. Ad
esempio le partite a “Memory” coinvolgono e stimolano molto i ragazzi, rafforzando
contemporaneamente le loro capacità di memoria e attenzione ma anche il piacere di stare insieme,
di partecipare, di condividere rispettando turni, regole, tempi propri e dell’altro. Spesso mi ritrovo
anche a far uso della calcolatrice dello smartphone per rendere più accattivanti gli esercizi di
aritmetica; loro, ho visto, sono molto attratti dalla tecnologia, soprattutto quella di ultima
generazione, sfruttare uno strumento che suscita il loro interesse applicandolo ad un compito
scolastico sembra favorire la motivazione, l’impegno profuso nel compito e la relazione. Ovviamente
la calcolatrice non va a sostituire il calcolo mentale, ma funge da supporto finale per la verifica di
quanto svolto manualmente. Molti di loro sono entusiasti di poter riprodurre su di un cellulare quello
che hanno appena prodotto mentalmente. Così del resto dopo lo sforzo, il piacere.
Un grande vantaggio mi si è dimostrato essere il trovare un elemento che possa fungere da collante
con i ragazzi, qualcosa che possa favorire un aggancio produttivo e rafforzare la relazione educativa.
Con Ibrahim per esempio fin dal primo incontro ho condiviso la musica, ho imbracciato la chitarra e
lui il flauto e abbiamo suonato i pezzi studiati da lui a scuola. È stato divertente ed è servito a stabilire
un contatto che si è poi mantenuto solido e proficuo negli incontri successivi. È fondamentale cercare
i punti in comune, degli interessi o predisposizioni, modi di sentire, passioni condivise, perché queste
possono rappresentare i presupposti per un incontro effettivo, unire e non isolare nelle rispettive
posizioni, se una buona alleanza è il presupposto per una buona riuscita direi che l’adulto è chiamato
a fare il primo passo e tutti i tentativi seguenti per il raggiungimento di questo obiettivo.
Ho notato che la difficoltà più grande per la maggior parte di loro è quella di stare sul compito,
faticano a trattenere l’informazione e a mantenere la concentrazione su quello che stanno facendo
perché c’è sempre qualcosa che li porta altrove; è qualcosa che talvolta parte da dentro, altre volte
proviene dall’esterno. Ad esempio la famiglia di Kevin, bambino che seguo a casa, con l’intento di
mantenersi “a disposizione” in alcuni casi diventa un ostacolo, o quantomeno un fattore di
distrazione che distoglie l’attenzione dell’interessato dal compito: i fratelli che cercano di partecipare
agli esercizi sostituendosi a lui o cercano di aiutarlo suggerendogli le risposte, o che giocano alla Play
Station nella stessa stanza, i cani che si inseguono per la cucina, i genitori fin troppo presenti che a
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volte partecipano alle attività, altre volte inducono a sospendere le stesse perché devono andare via.
Il rischio è quello di una confusione di spazi, tempi e ruoli, o di un eccesso di stimolazione che può
rivelarsi controproducente laddove l’obiettivo è focalizzare le risorse del bambino sull’attività in
corso.
Ma al di là di questo, la famiglia è una risorsa preziosa che in molti casi aiuta a coinvolgere il ragazzo o
a sintonizzarsi con i suoi umori o i suoi bisogni e a motivarlo alla partecipazione.
In conclusione, credo che lavorare con questi ragazzi sia una bella prova di resistenza, sia per chi sta
dalla mia parte che per chi dalla loro, si procede a passo lento, inciampando di frequente, ma
rialzandosi ogni volta, insieme. La sfida più grande per me è forse riuscire a mantenere uno spazio
libero e definito allo stesso tempo in cui muoversi quell’ora e mezza con determinazione e costanza.
Faticoso da un lato, ma stimolante, avvincente dall’altro. Anche perché in questo bisogno di confini si
insinua poi la necessità di fare affidamento alla creatività per spiazzare le reciproche difese e
costruire una fiducia che diventi non solo lo scopo ma anche il motore dell’attività. Un poco alla volta
ci si conosce e si migliora e i risultati, riscontrabili, sono la soddisfazione più grande.
* I nomi dei minori sono inventati per tutela e rispetto della privacy degli stessi e delle loro famiglie.
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6. L’INCONTRO INSEGNANTI - OPERATORI
6.1 “Per ascoltare meglio: incontri con insegnanti e operatori”
a cura di Domenico Canciani
SENTIRE MEGLIO. Nel corso di questa ricerca-intervento, uno dei temi sui quali ci siamo più
volte soffermati è stato quello della invisibilità dei bambini Rom e Sinti. Nel corso della ricercaintervento ci siamo via via confermati nella convinzione che per lavorare sulla loro integrazione
occorre che essi “siano visti” e “si facciano vedere”. Lavorare per settori di competenza (scuola,
dopo-scuola, territorio, villaggio) è una condizione che non sempre consente di percepire il bambino
intero e dunque di farlo sentire ascoltato, riconosciuto, motivato ad un percorso di inclusione socioeducativa. Si è dunque cercato di lavorare con modalità capaci di intrecciare le esperienze che ai
ragazzi vengono proposte e facendo dialogare tra loro le figure che di essi si occupano. I colloqui che
si sono svolti hanno visto compartecipi più figure educative (gli operatori del laboratori, gli insegnanti
di classe, l’operatrice del Servizio e il pedagogista): più occhi aiutano a guardare meglio; più orecchie
ad ascoltare meglio; più voci raccontano meglio la varietà dei percorsi di crescita che questi bambini
si trovano a gestire. Abbiamo cercato di “tenerli a mente e nel cuore “ con le loro difficoltà e le loro
specificità, in modo di farli uscire dall’invisibilità , di dar loro una fiducia sufficiente da permettergli di
“uscire allo scoperto”.
Il percorso di INTE(g)RAZIONE. Riporto due frasi che mi sono rimaste in mente durante un
recente convegno sul tema dell’integrazione di adolescenti Rom: “non sanno far niente, non hanno
sogni”.
Nella loro crudezza queste parole racchiudono e svelano qualche realtà di cui abbiamo cercato di
tener conto. Noi che lavoriamo nelle fasce di età precedenti, dobbiamo fare il possibile perché questi
nostri bambini non siano adolescenti privi di competenze e di progetti. Lavorare insieme a scuola,
insegnanti ed operatori in maniera collaborativa, ha la finalità di favorire la loro inclusione nel gruppo
classe; l’uso di tecniche educative come i laboratori ha lo scopo di favorire l’interazione e
l’integrazione migliorando le loro relazioni interpersonali, e le loro competenze strumentali
(conoscenze e abilità nel campo logico e linguistico in particolare: parlare, leggere-scrivere). A nostro
modo di vedere si tratta di due compiti interconnessi: più strumenti e occasioni di espressione
avranno i bambini per “lasciarsi vedere”, più potranno avere un posto nel gruppo, un ruolo ”sociale”.
SFONDI INTEGRATORI. Per le attività di laboratorio sono state scelti degli sfondi narrativi
capaci di fornire un contesto in cui tutti i bambini-ragazzi potessero trovare espressione e costruire
cooperazione. Si tratta di sfondi narrativi capaci, nel corso della loro realizzazione , di dare una
motivazione all’espressione di sé attraverso tecniche animative (gestuali, pittoriche, fotografiche…),
di favorire l’intrecciarsi di nuove relazioni, di formare e riformare gruppi e sottogruppi, di dare
immagini di sé, di sperimentare l’emozione di essere ascoltati, visti, riconosciuti. Es. ne sono stati: L’
arca di Noè, le isole (di Robinson di Ulisse, del Tesoro, di Peter Pan), Lo zoo con le varietà di figure
animali personalizzate, Il mondo alla rovescia (come lo vede un bradipo a testa in giù…) , Il mondo
delle fiabe quali musicanti di Brema (tema accennato e non realizzato). Alcuni insegnanti ci hanno
sottolineato come questi ed altri sfondi abbiano consentito di superare l’episodicità degli interventi
laboratoriali, aumentando la possibilità che siano costruiti ponti con l’attività “di classe”, facendo
dunque continuare l‘esperienza anche oltre il laboratorio settimanale. Ponti che possono consolidare
le relazioni anche tra bambini e ragazzi sinti e gli altri compagni. La scelta di lavorare per laboratori
con sfondi integratori permette di non incentrare l’intervento sui soli ragazzi sinti, ma di consentire
un’autentica nuova chance, ovvero permettere a tutti i ragazzi di essere messi in condizioni paritarie
di espressione-intervento.
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CONTINUITÀ DELL’AZIONE EDUCATIVA. Il gioco-laboratorio in classe si è svolto con cadenza
settimanale per dieci incontri: una grande ricorsa per creare aspettativa, motivazione, per cercare
continuità. Tuttavia non sempre si è riusciti a dare percezione di continuità all’attività. Il mondo
adulto che circonda questi bambini è a volte un territorio poco attento alle attività che essi svolgono;
altre volte essi sono tirati da un capo all’altro delle loro famiglie-clan da necessità oggettive e
intersoggettive… così le loro priorità finiscono in secondo piano. Possiamo dire che i loro bisogni
diventano “invisibili” e allora si verificano assenze e allontanamenti temporanei dalla scuola. Il
gruppo classe a poco a poco finisce per ridurre le proprie aspettative nei confronti di questi bambini
“discontinui”, ritirando la propria fiducia quando vede che non c’è certezza dopo la promessa.
MISSIONI E DISMISSIONI. Succede a volte anche agli educatori: proprio coloro che
maggiormente sono motivati a intervenire, che si prodigano per favorire attività e occasioni di
integrazione (vedi ad es. le gite scolastiche) può accadere di vedere deluse le loro aspettative. I
bambini stanno assenti, non progrediscono nei percorsi di apprendimento, dimenticano …e c’è il
rischio che vengano “dimenticati”. Così le attività laboratoriali hanno avuto particolare attenzione nel
fare in modo che proprio quei bambini lasciassero un prodotto (un semplice disegno ad es.) come
segnaposto, tale che nessuno sia lasciato fuori, a ciascuno sia “tenuto il posto” anche se
momentaneamente non c’è. I laboratori si sono allora impegnati a trovare modalità sempre nuove
per richiamarli, ricercarli, riportarli dentro il gruppo attraverso il prender parte all’attività animativa.
PROPOSTE.
A. Occorre a nostro avviso cercare di rendere visibile e comunicativo l’oggetto laboratorio: l’attività
che si è svolta, deve confluire alla fine in un oggetto (giornalino, performance, puzzle…) che permetta
a questi nostri ragazzi in difficoltà di percepire l’interezza del lavoro fatto da soli, il percorso svolto
con i compagni, di esserne un po’ orgogliosi e felici e mostrare questa nuova immagine simbolica di
sé insieme agli altri.
B. nella stessa direzione (restituire interezza all’immagine frammentaria di sé) va la proposta di cui si
è parlato insieme agli insegnanti e agli animatori: la costruzione di un “libro di vita”: un quaderno
itinerante, capace di raccogliere le attività del bambino seguendolo da casa, a scuola, dal laboratorio
ad altre attività…
Sarà possibile, sarà verosimilmente sostenibile?
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6.2 “Guardarsi negli occhi..allargare lo sguardo:
Insegnanti e operatori: un pensiero che include”
a cura di Rosanna Rosada
“Quando il gruppo classe non è sufficientemente adatto a facilitare lo sviluppo delle abilità di un
bambino in difficoltà sul piano didattico, si può recuperare nel supporto individuale”(Un
insegnante).”Prima di decidere se portare un bambino fuori della classe bisogna valutare i suoi
bisogni in rapporto al gruppo classe, così da valutare se è più opportuno che apprenda nel gruppo o
recuperi in separata sede (Un operatore).
“Si va a scuola per obbligo ma si apprende per desiderio”. Le parole di questo insegnante ci riportano
al cuore del compito di chi gestisce un gruppo ed ha il compito di farlo crescere nelle competenze,
sviluppare nelle abilità degli individui, evolvere nelle relazioni. E allora si insegna ad esempio la
matematica ma allo stesso tempo ad aspettare il proprio turno per parlare, a guardarti negli occhi se
deve dirti qualcosa, a fermarsi un attimo prima di agire quando un'emozione forte invade il suo
mondo interno, a dare la parola al compagno per raccontarsi, a scambiarsi le parole per essere
riconosciuti e riconoscere l'altro così da entrare in quel gruppo e costruire appartenenze. Un gruppo
non costruito su categorie predefinite, ma che gioca di tanto in tanto ad invertire i ruoli che i membri
si danno, a scambiare le appartenenze, proprio perché questo rafforza e dà evidenza alle singole
identità, mette in luce le diversità e le individualità con la possibilità di accendere il desiderio, la
curiosità e la spinta verso la conoscenza. L'attenzione e la cura nell'accompagnare i bambini/ragazzi
rom e sinti a transitare tra classe e famiglia, scuola e campo, parlato e scritto, ha offerto ad operatori
ed insegnanti la possibilità di incrociare, scambiare e sviluppare saperi che aiutano i contesti di
crescita a rinnovarsi e trovare nuovi significati e contenuti nella funzione educativa, formativa nei
confronti di tutti gli alunni.
Insegnanti , operatori, alunni hanno accettato di esplorare le diverse sfaccettature e visioni che il
gioco simbolico e cooperativo offre, partecipando alla “messa in scena” di una storia tematica, lo
studio, l'interpretazione dei personaggi e l'osservazione di quanto emerge. E' così che la “nostalgia di
Ulisse” ha permesso a Nico di esprimere e superare l'assenza della sua compagna di classe che era
per lui un riferimento importante, che per qualche mese ha cambiato città: “Non capisco niente, mi
manca Danica” racconta Nico con atteggiamento depresso. Nico nel momento in cui si doveva
mettere in scena una parte della storia, dapprima decide di fare scena muta, osserva i compagni che
cominciano a fare qualche battuta e mentre la scena prende forma, lui decide di inserirsi e interpreta
proprio Ulisse. Racconta l'insegnante “non lo abbiamo forzato, non è stata un'attività troppo
didattica, era più sull'esprimere le emozioni”. Se la paura e il blocco che Nico dimostra in classe è sul
piano cognitivo in questa circostanza ha capito che poteva giocarsi su altro. E' così che le attività
espressive permettono di esprimere il loro mondo interiore, mettendo fuori fragilità e doti,
sperimentando la possibilità di farle diventare occasione di apprendimento.
Là dove emergono difficoltà legate alla fatica di inserirsi in classe, di recuperare le lacune didattiche,
con il rischio di assenze prolungate e dispersione scolastica sono necessari degli incontri tra i servizi e
gli operatori che possono aiutare a comprendere come attivare la famiglia e i contesti per non
lasciare inascoltate le domande e i segnali. L'impegno dell'operatore che incontra il ragazzo a casa
allora può far sentire alla famiglia quanto il bambino ci tiene alla scuola e che può essere un legame
altro che non necessariamente rappresenta una minaccia al legame familiare. Portare alla riflessione
di tutti e cercare di conoscere cosa sta dietro l'assenza da scuola prolungata di un ragazzo rom o sinto
ha aperto delle strade. Sappiano che l'assenza alle lezioni e alle uscite appartiene alla cultura, ma
sappiamo che se non si cerca di comprendere si incorre nel rischio di mettere l'etichetta. Per questo
le azioni che si mettono in campo vanno condivise nella consapevolezza che per ogni problema c'è
un'interpretazione multipla e che è importante contrastare la tendenza ad agire; abbiamo
sperimentato come l'unica via d'uscita sia sostituire la reattività a volte messa in campo dalle famiglie
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o dalla scuola che si sentono minacciate o poco riconosciute negli sforzi messi in campo, con la
riflessività. Questo soprattutto nella relazione e collaborazione tra gli adulti chiamati in causa: scuola,
famiglia, servizi. “La nostra esperienza ha mostrato come la figura della donna sinta stia cambiando:
alla mamma spetta la decisione, vengono a scuola a parlare con gli insegnanti, partecipano
attivamente là dove sono coinvolte nei processi decisionali.”
E' interessante appurare come le forme di accompagnamento istituzionale siano fondamentali con gli
alunni che appartengono a queste famiglie che frequentemente durante l'anno compiono viaggi
prolungati spostandosi di città in città. E' il caso di Aurora: genitori e insegnanti hanno accompagnato
il suo viaggio, la mamma ha avvisato la scuola prima della partenza e le insegnanti hanno preparato
un quaderno con le attività didattiche iniziate, le insegnanti attraverso le segreterie hanno fatto un
passaggio nello scrutinio così non andavano perse le prove fatte, i risultati raggiunti. In questo caso il
quaderno, insieme all'attenzione che l'insegnante presta fa da collante, rassicura che nell'assenza non
si viene dimenticati ma qualcuno ti tiene il posto, che i viaggi vanno raccontati, che si può “essere
amici” con il gruppo di prima come anche con quello di dopo senza tradire nessuno. Sono sfumature
sulle quali è fondamentale lavorare con questi ragazzi se vogliamo aiutarli a crescere nelle diverse
appartenenze così apparentemente distanti e diverse. Educare a familiarizzare con le parti diverse, ad
essere amici con le persone che sembrano così diverse e distanti da noi ha dimostrato di essere un
buon modo per evitare forme di esclusione sociale o razziali.
Un ambito sul quale molto ci siamo soffermati operatori e insegnanti è stato il come tenere
l'attenzione sul gruppo in modo che nessuno restasse fuori, convinti che ciascun membro,
interpretando nel gioco e nella storia il suo ruolo, “mettendo “sul piatto quello che è” racconta una
parte che in fondo appartiene in misura e in momenti diversi un po' a tutti. I bambini ci hanno
mostrato che hanno bisogno di parlare della morte del nonno, della disabilità propria o del
compagno, della povertà materiale, della solitudine che si vive dentro un separazione. Nelle attività di
laboratorio proposte dal progetto hanno sperimentato come nel lutto si cerca l'emozione riparatoria,
nella disabilità si cerca l'abilità, nella povertà materiale si cerca la ricchezza interiore, nelle
separazioni sentimentali si cercano parole che consolano. E quindi ci hanno mostrato come compito
del gioco è consolare, arricchire, insegnare parole, mettere in campo azioni, generare immagini
riparatorie che fanno evolvere la condizione affettiva o intellettiva in cui ti trovi. Quante volte hanno
fatto e rifatto il gioco del nascondersi e farsi trovare, essere invisibili e poi riconosciuti, mimetizzarsi
nell'ambiente cambiando “muta” e poi ritrovare i propri colori che ti rendono visibile perché distinto
dallo sfondo. Si è potuto raccontare e scambiare in forma narrativa ciò che si portava dentro a volte
come un segreto o una diversità da difendere e proteggere gelosamente.
Hanno potuto rinascere e venire al mondo come individui originali, distinti ma appartenenti a quel
gruppo classe “Tu vieni al mondo e devi trovare una calore, un luogo dove essere accudito e accolto.
Sam è arrivato che batteva la testa e si procurava gli ematomi, ora nel suo nuovo gruppo non ne
sente più il bisogno...”
“In un gruppo chi è molto diverso, chi si isola e si rende invisibile viene percepito come debole dagli
altri e per questo preso in giro; la via d'uscita possibile può essere che i miei valori vengono integrati
con i tuoi, che nel gruppo ci sia una circolarità tra ciò che vale e ciò che non vale, tra ciò che conta e
ciò che è debole.”
Abbiamo potuto verificare come le attività tematiche del progetto hanno contribuito a costruire un
sistema valoriale condiviso da tutti i componenti del gruppo. Introdurli in uno sfondo narrativo, fare
delle cose, costruire degli oggetti, fa emergere quello che a parole non riescono a dire.
Un'attività non del tutto strutturata permette al bambino di sperimentarsi in libere identificazioni e
proiezioni di parti del sé; una storia non del tutto scritta ma da completare consente di superare gli
stereotipi e aiuta tutti a trovare un ruolo; un viaggio o un'impresa, anche un po' stravagante, richiede
a tutti di attivarsi e mettere in campo competenze, ma soprattutto da valore all'incontro con lo
sconosciuto e da evidenza alla spinta naturale dei bambini e dei ragazzi del “fare amicizia” con le
diversità per costruire relazioni e conoscenza.
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7. SUPPORTO RIELABORATIVO SULL’ ESPERIENZA DEL PROGETTO RSC
7.1 “Verso una progettualità condivisa”
a cura di Annalisa Busato e Nerina Vretenar
Un’esperienza di incontro
Il gruppo è stato un’importante occasione di incontro e di scambio tra operatrici e operatori con
culture professionali diverse. Diverse tra loro erano anche le singole persone: insegnanti con alle
spalle molti anni di attività professionale, giovani operatori e operatrici delle associazioni, operatori e
operatrici dei Servizi Sociali con esperienze in diversi campi.
Lavorare insieme per uno scopo comune ha permesso la conoscenza reciproca, ha favorito il
riconoscimento delle competenze legate alle specificità dei ruoli, ha permesso, a volte, di superare
dei pregiudizi in merito alla capacità di ciascuno/a di superare atteggiamenti legati alla propria
funzione per lavorare a un progetto condiviso in una condizione di parità.
Il lavoro comune ha consolidato la convinzione che ciascuno/a (persona o istituzione) non può fare a
meno dell’altro per raggiungere degli obiettivi significativi e che solo insieme è possibile trovare
risposte creative ed efficaci ai problemi.
Nel corso degli incontri varie esperienze di lavoro in gruppo e di gioco hanno permesso di assumere e
capire il punto di vista degli altri.
L’incontro e il confronto, inoltre, hanno permesso a ciascuno/a di ridurre l’ansia e di accettare l’idea
che sono necessari tempi lunghi per raggiungere dei risultati positivi sul terreno complesso
dell’integrazione.
Molti sguardi diversi sui bambini e le bambine
Mettere a confronto i tanti sguardi diversi dei diversi operatori ha permesso di ricomporre una
visione non unilaterale sia della cultura dei Sinti del nostro territorio, sia dei singoli bambini/e di cui
si occupa il progetto. Ha permesso, inoltre, di “vedere” più chiaramente ogni bambino/a all’interno
del suo mondo, in cui si intrecciano le relazioni e gli stimoli del contesto familiare, della scuola, della
città con le sue istituzioni e le sue regole, un mondo che rimanda un’immagine che muta
continuamente nel tempo in risposta alle vicende personali e collettive. La scuola riveste, in questo
mondo, una grande importanza, soprattutto ora che “il villaggio si è spostato a scuola”, come ha
osservato efficacemente un’operatrice.
Allargare lo sguardo, come si è cercato di fare nel gruppo, ha permesso di inserire le diverse
informazioni sui ragazzi/e destinatari del progetto, portate dalle diverse persone, in un quadro più
leggibile, in un contesto significativo in cui si è cercato di comporre i diversi frammenti per iniziare a
costruire una narrazione comune.
Verso una progettualità condivisa
Gli incontri hanno permesso al gruppo di acquisire maggiore consapevolezza del valore per tutti insegnanti, operatori e operatrici delle associazioni e del servizio pubblico – degli strumenti e
dell’esperienza acquisita, da cui ripartire per costruire con gli altri un progetto condiviso, creativo,
declinato al di fuori di binari obbligati.
Il percorso del gruppo ha portato all’elaborazione della bozza di un documento condiviso, una sorta di
proposta di “protocollo di intesa” tra istituzioni e associazioni che lavorano nel medesimo ambito,
documento in cui vengono suggerite alcune indicazioni di percorso, da adattare di volta in volta ai
bisogni e ai contesti.
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Ad esempio: l’indicazione di valorizzare l’attività laboratoriale come fonte preziosa per la costruzione
di relazioni significative e dell’identità; la necessità di richiamare i dirigenti scolastici alla loro
responsabilità rispetto all’integrazione degli alunni/e più fragili, che deve tradursi in interventi
importanti: coordinare i progetti, favorire una maggiore flessibilità della proposta scolastica,
costituire equipe multidisciplinari formate da operatori scolastici e operatori dei servizi, garantire la
continuità dei percorsi per i bambini/e anche prevedendo l’istituzione della figura del tutor.
Il traguardo cui tendere è l’orientamento, l’offerta a ciascun ragazzo/a di opportunità che gli/le
permettano di non rinunciare al sogno di trovare un proprio posto nella città di tutti.
Si è infatti rilevato che l’uscita dalla marginalità e la conquista di un’affermazione identitaria positiva
è certamente difficile per le comunità più fragili, ma è sempre possibile per i singoli.
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8. RILANCI E PROSPETTIVE
8.1 “...a partire dal metodo”
a cura di Paola Sartori
In conclusione del primo anno di sperimentazione del Progetto nazionale RSC sul territorio
veneziano e in occasione di questi materiali di riflessione prodotti dai protagonisti adulti del
Progetto, si può provare a tirare le fila dell'esperienza e proporre alcuni rilanci per il prossimo
anno.
E' utile porsi dal nostro usuale punto di osservazione, ovvero centrando lo sguardo sulle
condizioni di crescita dei bambini e dei ragazzi della nostra città, sulle situazioni di rischio
presenti nei contesti sociali e familiari in cui i bambini vivono e sui fenomeni anche migratori
che cambiano di continuo la composizione culturale dei bambini e dei ragazzi presenti.
Più di uno sono gli aspetti che risulta utile evidenziare come maggiormente innovativi
nell'esperienza fatta, e che si possono rilanciare come piste da percorrere per il prosieguo
dell'esperienza stessa.
Il primo e forse più importante di questi aspetti è il metodo di lavoro seguito nella realizzazione
del Progetto. Un metodo che, se non si può definire nuovo, tuttavia, ancor oggi viene
raramente utilizzato nelle azioni e negli interventi che vedono coinvolte istituzioni diverse: il
metodo cooperativo.
Il Progetto RSC infatti si è proposto ed ha provato a far lavorare cooperativamente in classe i
bambini e i ragazzi rom, sinti e non; inoltre ha proposto pratiche di lavoro cooperativo anche
alle persone che, per le loro diverse istituzioni, portano avanti il Progetto (educatori,
insegnanti, volontari, operatori…). Non si tratta solo di favorire una buona comunicazione tra
scuola, servizi e soggetti del Terzo settore e del volontariato, ne' solo di creare contesti
collaborativi tra adulti al fine di realizzare alcune attività educative particolarmente inclusive,
ma si tratta di costruire gruppi capaci di cooperare, tutti insieme, per il conseguimento
dell'obiettivo dell’integrazione di tutti i bambini nei percorsi formativi, garantendo così
maggiormente il diritto allo studio, quello all'apprendimento, insieme a quello alla socialità.
Cooperare fin da subito, ovvero dall’inizio dell’intervento, non solo ha permesso una coprogettazione delle linee generali del Progetto, ma anche una condivisione sulle attività
specifiche da proporre al gruppo classe al fine di favorire relazioni e apprendimenti. Inoltre, lo
stesso metodo ha consentito di mettere insieme anche tutte le azioni di contenuto e di cornice
fondamentali per la realizzazione del Progetto, coinvolgendo classi, bambini e ragazzi e
permettendo di produrre gli esiti di cui le pagine precedenti danno conto. Tutto frutto di un
lavoro cooperativo.
Il solo fatto di definire quale prerequisito per la realizzazione del Progetto, la formazione di una
Equipe multidisciplinare tra soggetti diversi , attori socio-educativi che nel Progetto operano,
evidenzia una precisa scelta di campo metodologica: il Progetto va elaborato e gestito da un
gruppo di lavoro cooperativo. Analogamente si procede per il lavoro nelle classi con tutti i
bambini e ragazzi che le frequentano: le proposte laboratoriali vengono progettate e gestite da
un team operatori-insegnanti con il metodo cooperativo.
E fino qui, si potrebbe dire, tutto regolare, nelle dichiarazioni di intenti.
Ora occorre chiedersi, ancora una volta insieme, cosa sia avvenuto realmente .
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Si riesce davvero ad essere cooperativi tra adulti e a proporre un lavoro cooperativo ai bambini
e ragazzi che si seguono in classe? Quali azioni necessita mettere in atto per agevolare il
passaggio dalla dichiarazione delle intenzioni alla realizzazione concreta di ciò che ci si
propone?
Servono assetti precisi, patti organizzativi ed educativi chiari, occorre apprendere e
sperimentare le varie forme di lavoro cooperativo, quali il cooperative learning, nonché altre
pratiche formative e tecniche didattiche utili.
Un lavoro, quello intrapreso, importante e da rilanciare, in quanto la strada e' stata sì segnata,
ma va ancora percorsa e ripercorsa più e più volte affinché diventi davvero patrimonio
condiviso. E perché ciò avvenga è indispensabile essere consapevoli dell'intreccio che sussiste
tra l'operare in modo cooperativo degli adulti e la proposta cooperativa che viene fatta nei
gruppi classe. Si tratta di un intreccio preciso e forte che si può tradurre in brevi parole: non è
possibile proporre e gestire attività cooperative con i gruppi di bambini e ragazzi, se gli adulti
che se ne occupano non lavorano tra loro con questo metodo. E se nel team ci sono pensieri
diversi sul da farsi, letture differenti su ciò che il lavoro comune produce, sensazioni opposte
su come le attività entrano in relazione con i singoli bambini … occorre impegnarsi in un grande
lavoro di scambio. Intendendo con scambio non solo un confronto di opinioni, ma un impegno
corale in un’ attività attiva e concreta, (un laboratorio) capace di centrarsi sull’oggetto, sui
soggetti e sugli obiettivi, e di mediare attraverso di esso le relazioni interpersonali…
Cooperare spesso viene inteso come "pensarla allo stesso modo" , condividere tutto...in poche
parole non avere conflitti di idee, di stili, di modalità. Invece adottare un metodo di lavoro
cooperativo è impegnativo, è una ricerca intensa di trovare fili comuni, idee terze, di tenere al
centro l'obiettivo da conseguire, l'oggetto da costruire. Se il gruppo di lavoro macro, nel caso
del Progetto RSC , l'equipe multidisciplinare ce la fa, ce la può fare anche il team operativo che
lavora nella classe e soprattutto sarà possibile proporre e gestire delle attività veramente
cooperative e quindi capaci di aiutare bambini e ragazzi a porsi in questa ottica nei confronti
dei compagni e delle loro diversità, gettando così le basi per una maggiore interazione
reciproca.
La consapevolezza di questo strettissimo legame tra l'esperienza che vivono gli adulti e quella
che poi essi riescono a proporre ai bambini e ai ragazzi non è sempre così immediata e, anche
se teoricamente fondata, va sperimentata e riconosciuta.
Per questo e' fondamentale fornire dei supporti nel delicato lavoro di grande e piccolo gruppo
che insegnanti ed educatori svolgono tra di loro, magari predisponendo dei dispositivi di
rielaborazione dell'esperienza che li aiutino a costruire significati condivisi di ciò che accade
nell'esperienza, tra loro e con i gruppi classe. Dispositivi diretti anche a favorire una riflessione
più complessiva sul processo attivato che si rivela poi utile per la riprogettazione periodica del
Progetto nel suo complesso.
Un secondo aspetto significativo emerso con forza nel corso di questa annualità e da rinforzare
è quello dei contenuti da proporre ai gruppi classe nei laboratori loro rivolti, ma anche ai
bambini e ragazzi seguiti a domicilio. Può essere, infatti, una necessità condivisa quella di
continuare a ricercare sui percorsi formativi più appropriati da proporre ai bambini e ai ragazzi
per favorire lo sviluppo delle relazioni sociali, l’apprendimento di strumenti comunicativi,
insomma crescita e integrazione. E' necessario infatti individuare con sempre maggiore
attenzione gli sfondi narrativi nei quali sviluppare le attività laboratoriali per arrivare a
costruire un prodotto comune del gruppo che rappresenti, per tutti e in modo consapevole,
l'esito del processo di integrazione reciproca avvenuto nel gruppo classe proprio grazie al
Progetto.
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Un ultimo aspetto non meno importante degli altri, ma sicuramente meno praticato
nell'esperienza fatta e quindi molto più da sviluppare in futuro, riguarda le potenzialità insite
nel metodo cooperativo sperimentato nel Progetto sia tra gli adulti che con i bambini nelle
classi. L'osservazione di quello che operare in questo modo ha prodotto nei gruppi di lavoro
multidisciplinari e nelle classi, impone di pensare a quali esiti si potrebbero conseguire sul
piano dell'apprendimento integrato tra tutti i bambini di una classe a partire dalle molte
diversità culturali presenti. Questa esperienza infatti evidenzia che forse uno dei metodi più
utili per affrontare il tema dell'integrazione fra diversi può essere proprio questo: un metodo
cooperativo tra gli adulti chiamati ad occuparsi di quei bambini e ragazzi che possa poi
realizzare attività cooperative con i ragazzi stessi.
La via è stata aperta ora si tratta di percorrerla, ampliando il raggio dei protagonisti.
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