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Analisi
delle
fonti
statistiche
nello
studio
della
sottorappresentanza delle donne nelle cariche pubbliche
elettive
1
1
Introduzione
L’obiettivo di questo capitolo è descrivere le principali e più
recenti statistiche di genere con l’intento di fornire uno strumento per
conoscere la sottorappresentanza delle donne in alcuni contesti e
per progettare politiche di parità di genere.
Le donne sono state per decenni insieme agli anziani e ai
bambini, invisibili nelle statistiche ufficiali. Oggi l’ISTAT ma anche
altri soggetti istituzionali nazionali ed internazionali investono molto
sulla produzione delle statistiche di genere. Tale interesse nasce
dalla condivisione dell’utilità delle informazioni statistiche in tutti i
contesti in cui è necessario prendere delle decisioni. Nel passato i
dati concernenti la vita di uno Stato costituivano un “segreto di
Stato”, erano noti solo al gruppo di governo ed erano nascosti alla
popolazione. Oggi nessuno dubita della necessità di rendere
disponibili dati statistici prodotti dai sistemi pubblici di statistica
perché non solo i governi ma anche le imprese e i cittadini hanno
bisogno di informazioni statistiche attendibili.
1
Cristina Davino
Dipartimento di Studi sullo Sviluppo Economico
Università degli Studi di Macerata
[email protected]
Dopo una panoramica sugli aspetti demografici, vengono
presentate alcune statistiche sulle differenze di genere negli stili di
vita, nell’istruzione, nell’accesso al mercato del lavoro e nei ruoli
decisionali della politica, della giustizia e dell’economia.
Nell’ultimo paragrafo viene fornito un quadro riassuntivo finale
sulle differenze di genere tra i paesi del mondo analizzando, con una
metodologia statistica di analisi multidimensionale, i dati raccolti dal
World Economic Forum (WEF) in una ricerca su “Women’s
Empowerment: Measuring the Global Gender Gap”.
2
Aspetti demografici
Da un punto di vista demografico, gli uomini e le donne sono
equamente rappresentati sia a livello italiano (Figura 1) che europeo
(Figura 2, Figura 3).
U
48%
U
49%
D
52%
D
51%
Figura 1: Distribuzione della
popolazione italiana per genere
(Fonte: ISTAT, Censimento 2001).
Figura 2: Distribuzione della popolazione
europea per genere
(Fonte: Banca dati UE, 2004).
D
U
100%
80%
60%
40%
20%
Figura 3: Distribuzione della popolazione europea per genere e per nazione
(Fonte: Banca dati UE, 2004).
K
U
rtu
g
Sw a l
ed
Sl e n
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en
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ov
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nl
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Fr
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un
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la
nd
C
ze
ch
R
st
Au
Be
lg
r ia
iu
m
0%
Gli stili di vita sono, invece, probabilmente diversi tra i due generi
se si considera che i dati dell’ultimo censimento italiano riportano
una speranza di vita alla nascita per gli uomini pari a 77,8 anni e per
le donne a 83,7 anni. Le differenze nell’aspettativa di vita
permangono nelle diverse regioni (Figura 4) anche se il differenziale
è minore nelle regioni del sud rispetto a quelle del centro e del nord
(Figura 5).
U
D
U
D
Mezzogiorno
Centro
Nord
73
Figura 4: Speranza di vita alla
nascita nelle regioni
(Fonte: Istat Compendio
Statistico Italiano 2005 – Anno
2004).
75
77
79
81
83
85
Figura 5: Speranza di vita alla nascita per area
geografica
(Fonte: Istat Compendio Statistico Italiano 2005 – Anno
2004).
Anche gli altri paesi europei (Figura 6) presentano una situazione
analoga a quella italiana ad eccezione di alcuni paesi quali la
Lituania, l’Estonia, la Polonia in cui la speranza di vita delle donne
supera di quasi dieci anni quella maschile mentre in altri paesi quali
l’Irlanda, la Svezia e la Gran Bretagna la differenza è quasi
inesistente.
U
D
UK
Slovakia
Slovenia
Sweden
Romania
Portugal
Poland
The Netherlands
Malta
Luxembourg
Lithuania
Italy
Ireland
Hungary
France
Finland
Spain
Greece
Estonia
Denmark
Germany
Czech Republic
Cyprus
Belgium
Austria
0
20
40
60
80
Figura 6: Vita media nei paesi europei (Fonte: Eurostat – Anno 2003).
3
Le differenze di genere negli stili di vita
I risultati dell’indagine Multiscopo condotta dall’ISTAT sugli stili di
vita mostrano notevoli differenze di genere. In particolare, dal 1993
al 2003, la quota di donne nella fascia di età 18-34 anni che
posticipano l’uscita dalla famiglia (Figura 7) è aumentata molto di più
di quella degli uomini pur restando sempre al di sotto di quella
maschile.
U
D
80
70
67.3
66.2
66.8
64
60
53.6
50
40
48.9
51.1
52.2
1998
2001-2002
30
20
10
0
1993-1994
2003
Figura 7: Giovani tra i 18 e i 34 anni che vivono con almeno un genitore (per 100 giovani
con le stesse caratteristiche)(Fonte: Istat, Indagine Multiscopo 2004).
La motivazione principale della permanenza nella casa dei
genitori (Figura 8) è rappresentata dall’allungamento dei tempi
formativi e quindi il posticipo dell’ingresso nel mondo del lavoro che
consente l’indipendenza economica. Le statistiche successive
sull’istruzione spiegheranno che l’allungamento dei tempi formativi è
dovuto all’impegno femminile verso traguardi elevati della carriera
scolastica che richiedono, quindi, un numero maggiore di anni di
studio. Resta comunque elevata la quota di donne che continuano a
vivere nella casa dei genitori per scelta (sta bene così), motivazione
prevalente per gli uomini della stessa fascia d’età.
U
D
altro motivo
i genitori hanno bisogno
dispiacerebbe ai genitori
difficoltà economiche
non se la sente di andare via
sta bene così
sta ancora studiando
0
10
20
30
40
50
Figura 8: Motivo della permanenza in famiglia (18-34 anni)
(Fonte: Istat, Indagine Multiscopo 2004).
4
Le differenze di genere nell’istruzione
Il livello di istruzione della popolazione italiana è cresciuto
enormemente negli ultimi decenni (Tabella 1); ad esempio la
percentuale di laureati, che nella fascia d’età 55-64 anni è pari
all’8%, sale al 16% nella fascia 25-34 anni. Dai dati più recenti sulle
forze lavoro (media del 2004) risulta, quindi, che le fasce giovanili di
popolazione sono più istruite di quelle anziane.
Le donne hanno investito in istruzione molto più degli uomini se
si considera che la quota di donne in possesso di un titolo di studio
post-obbligo è pari al 63% nella fascia 25-34 e solo al 20% nella
fascia 55-64, mentre per gli uomini tali percentuali risultano
rispettivamente pari al 57% e al 29%.
Tabella 1: Popolazione per genere, classe d’età e titolo di studio
(Fonte: Istat, Forze di lavoro – Media 2004).
Uomini
titolo di studio
25-34
55-64
Donne
Totale
25-34 55-64
25-34 55-64
Laurea e post-laurea
13%
9%
19%
6%
16%
8%
Diploma scuola superiore
44%
20%
47%
14%
45%
17%
Licenza Media
39%
29%
31%
22%
35%
25%
4%
42%
4%
58%
4%
50%
100%
100%
Lic. Element., nessun titolo
Totale
100% 100%
100% 100%
Analizzando i tassi di scolarità dagli anni ‘50 ad oggi (Figura 9) si
evidenzia un vero e proprio “sorpasso” delle donne alle scuole
superiori e all’università. Il fatto che la % di donne scolarizzate per le
scuole medie risulti inferiore a quella degli uomini non denota una
minore adesione femminile all’istruzione obbligatoria ma è legata al
fatto che i maschi sono soggetti più delle femmine alle ripetenze,
soprattutto nella scuola media, per cui registrano una quota
maggiore di iscrizioni ritardate da parte di alunni che, pur avendo
superato l’età prevista per la conclusione della scuola media, non
hanno ancora conseguito la licenza.
Sebbene i tassi di scolarità risultino in crescita per tutta la
popolazione, l’incremento registrato dalle donne dagli anni ‘50 al
2003 risulta maggiore di quello degli uomini passando, per la scuola
superiore, da una quota di ragazze iscritte pari a 7 su 100 nel
1950/51 a 93 su 100 nel 2003/04. Inoltre, agli inizi degli anni novanta
tale quota ha superato quella degli uomini. Recentemente, in seguito
all’innalzamento dell’obbligo scolastico a 15 anni, c’è stato un
recupero del tasso di scolarità degli uomini e quindi il convergere dei
tassi di iscrizione femminile e maschile.
Il recupero del tasso di scolarità femminile è ancora più forte
all’università se si considera che negli anni ‘50 lo svantaggio
formativo delle donne era più forte (le studentesse universitarie
erano infatti solo il 2% delle giovani tra i 19 e i 25 anni, contro il 6%
dei maschi). I dati relativi all’anno accademico 2003/2004 mostrano
che le studentesse universitarie sono circa 44 su 100, mentre i
ragazzi sono solo 34 su 100. Così come gli anni ottanta avevano
visto il sorpasso del tasso di scolarità femminile nelle scuole
superiori,
gli
anni
novanta
registrano
l’analogo
sorpasso
all’università. Nell’a.a. 1990/91, infatti, il tasso di iscrizione femminile
supera per la prima volta quello maschile, segnando una leggera
forbice che tende ad ampliarsi nel tempo.
Scuole medie
Scuole superiori
U
120
D
107
100
93
80
102
U
111
105
105
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
107
103
102
85
62
60
40
20
46
33
22
0
50/51
60/61
70/71
80/81
90/91
00/01
D
91
88
85
89
92
91
93
91
70
67
52
49
51
36
25
12
15
7
01/02
50/51 60/61 70/71 80/81
90/91 00/01 01/02 02/03 03/04
Università
U
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
D
40
43
44
38
34
21
15
21
21
29
31
32
16
6
2
7
9
3
50/51 60/61 70/71 80/81 90/91 00/01 01/02 02/03 03/04
Figura 9: Tassi di scolarità per genere
(Fonte: Istat Compendio Statistico Italiano 2005 – Anno 2004).
Nonostante i progressi nell’istruzione registrati negli ultimi anni,
permangono differenziali di genere nelle aree geografiche di
residenza. Per l’istruzione secondaria (Figura 10), le donne
registrano un tasso di scolarità maggiore di quello degli uomini nelle
regioni del Nord, al centro c’è quasi una sostanziale parità, mentre al
sud la situazione si ribalta a favore degli uomini. A livello
universitario (Figura 11) la dinamica è opposta: le regioni del sud e
le isole presentano un vantaggio femminile particolarmente rilevante
mentre lo scarto si riduce nelle regioni settentrionali. L’andamento
delle iscrizioni è fortemente legato alla situazione territoriale del
mercato del lavoro, come verrà mostrato nel paragrafo seguente, in
cui la difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro spinge le giovani
del centro e del meridione a proseguire più spesso degli uomini negli
studi.
U
Figura 10: Tasso di scolarità nelle scuole
superiori - a.s. 03/04 (Fonte: Istat,
Compendio statistico italiano 2005).
D
Figura 11: Tasso di iscrizione
all'università (Fonte: Istat, Compendio
statistico italiano 2005).
Il sorpasso delle donne nell’accesso agli studi permane sia
durante gli studi che nella fase di conseguimento dei titoli. Durante la
scuola dell’obbligo e la scuola superiore il migliore rendimento
femminile è evidenziato dalla percentuale di studenti ripetenti che,
per gli uomini, supera sempre quella delle studentesse (Figura 12).
U
D
10.9
Scuola Superiore
16.5
2.1
Scuola Media
5.5
0.8
1.2
Scuola Primaria
0
5
10
15
20
Figura 12: Studenti ripetenti per cento iscritti
(Fonte: Ministero dell’Istruzione - a.s. 2003/2004).
Nella fase di conseguimento del diploma di scuola superiore, la
percentuale di ragazze che ottengono il titolo sulla popolazione della
corrispondente classe d’età è aumentata nel tempo più di quanto
non sia aumentata quella degli uomini, sino a superarla. Nel
2003/04, le diciannovenni diplomate sono 80 su 100 contro circa 74
diciannovenni diplomati (Figura 13), mentre la quota di laureate sulle
venticinquenni è pari al 27% a fronte del 19% di laureati di sesso
maschile (Figura 14).
U
D
U
90
79
80
60
66
54
50
35
40
30
10
80
D
30
25.2
25
70
20
79
78
77
75
6
69
70
47
41
20
17.9
19.3
17.0
15
38
11
10.2
9.6
10
5
26.9
22.4
74
26
16
9
65
73
3.4
1.5
7.2
3.7
7.9
13.8
18.6
18.9
15.0
9.1
9.1
1.7
0
0
50/51 60/61 70/71 80/81 90/91 98/99 99/00 00/01 01/02 02/03 03/04
Figura 13: Diplomati nelle Scuole
secondarie superiori per 100 persone di
19 anni (Fonte: Istat, Compendio
statistico italiano 2005).
50/51 60/61 70/71 80/81 90/91 99/00 00/01 01/02 02/03 03/04
Figura 14: Laureati Per 100 persone di 25
anni (Fonte: Istat, Compendio statistico
italiano 2005).
I successi delle donne nel conseguimento almeno dell’istruzione
obbligatoria non è una caratteristica esclusiva dell’Italia. In tutti i
paesi europei la percentuale di studenti maschi che non concludono
l’equivalente della nostra scuola dell’obbligo è sempre superiore a
quella delle studentesse (Figura 15). Nel confronto europeo l’Italia è
però tra le 10 nazioni che presentano i più alti tassi di abbandono sia
maschili che femminili della scuola dell’obbligo;
U
D
Turkey
Malta
Portugal
Spain
Iceland
Bulgaria
Romania
Italy
Germany
United Kingdom
Netherlands
Hungary
France
Estonia
Cyprus
Belgium
Luxembourg
Ireland
Greece
Austria
Latvia
Sweden
Denmark
Finland
Switzerland
Czech Republic
Lithuania
Slovakia
Poland
Norway
Croatia
Slovenia
0
5
10
15
20
25
30
35
40
45
Figura 15: Studenti che non hanno completato la scuola primaria
(Fonte: Eurostat – Anno 2005).
5
Le differenze di genere nell’accesso al mercato del
lavoro
I brillanti successi registrati nello studio e nella formazione non
vengono adeguatamente ricompensati nel momento in cui le donne
accedono al mondo del lavoro. A tre anni dal conseguimento del
diploma o della laurea le donne risultano essere svantaggiate
rispetto al lavoro quale che sia il titolo di studio posseduto: le
diplomate che lavorano sono il 42% contro il 53% dei maschi, le
laureate il 70% contro il 79% dei maschi
50
U
D
70%
Laureati
79%
42%
Diplomati
53%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Figura 16: Laureati e diplomati del 2001 che nel 2004 lavorano
(Fonte: Istat, Compendio statistico italiano 2005).
Nell’arco degli ultimi 10 anni l’occupazione femminile è cresciuta
molto più di quella maschile; il tasso di disoccupazione femminile è
passato dal 14% del 1993 al 10,5% nel 2004 mentre quello maschile
dal 7,5% al 6,4%.
U
D
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004
Figura 17: Tassi di disoccupazione
(Fonte: Istat, Rilevazione trimestrale sulle Forze di Lavoro – Anno 2004).
Sebbene i tassi di disoccupazione femminili siano sempre
superiori a quelli maschili, ci sono delle notevoli diversità nelle aree
geografiche del paese (Tabella 2): la differenza tra i tassi di
disoccupazione femminili e maschili aumenta sempre di più
passando dal nord, al centro e poi al sud.
Tabella 2: Tassi di disoccupazione
(Fonte: Istat, Rilevazione trimestrale sulle Forze di Lavoro – Anno 2004).
Nord-est
Centro
U
Nord-ovest
3,4
2,5
4,9
Mezzogiorno
11,9
totale
6,4
D
6,1
5,7
8,7
20,5
10,5
totale
4,5
3,9
6,5
15,0
8,0
Un ulteriore elemento da sottolineare è quello relativo ai rapporti
tra tasso di disoccupazione e titolo di studio (Tabella 3): il possesso
di un titolo di studio fa diminuire nettamente la probabilità di
rimanere senza lavoro soprattutto per le donne. Tra le donne con
titolo di studio di livello universitario la disoccupazione è del 7,1%;
tra le diplomate di scuola superiore è del 9,4%; nettamente
svantaggiate coloro che sono in possesso del solo obbligo, il cui
tasso di disoccupazione tocca il 13,9%.
Tabella 3: Tassi di disoccupazione
(Fonte: Istat, Compendio statistico italiano 2005 – Anno 2004).
Nessun titolo,
licenza
elementare
Licenza
Media
Diploma
scuola
superiore
Laurea e
post-laurea
totale
U
8,6
7,2
5,6
4,0
6,4
D
12,9
13,9
9,4
7,1
10,5
totale
10,0
9,5
7,3
5,5
8,0
La disoccupazione femminile in Italia è tra le più elevate a livello
europeo (Figura 18) sebbene inferiore a quella di alcuni paesi quali
la Polonia, la Slovakia ma anche la Grecia e la Spagna.
U
D
Poland
Slovakia
Greece
Spain
France
Germany
Turkey
Italy
Czech
Bulgaria
Belgium
Malta
Portugal
Latvia
Finland
Lithuania
Sw eden
Romania
Hungary
Estonia
Slovenia
Cyprus
Luxembourg
A ustria
Denmark
Netherlands
Norw ay
United Kingdom
Japan
Ireland
0
5
10
15
20
25
Figura 18: Tassi di disoccupazione (Fonte: Eurostat Yearbook 2005).
Il livello di occupazione femminile ha una struttura diversa da
quella maschile (Figura 19): le donne sono più “impiegate“ degli
uomini (41% contro 22%) e meno operaie (29% contro 38%). Tra gli
occupati indipendenti la struttura del lavoro femminile è, invece, più
simile a quella maschile fatta eccezione per le categorie degli
imprenditori e dei liberi professionisti in cui le donne rimangono
sottorappresentate.
U
D
Lavoranti a domicilio
Apprendisti
Operai
Lavoratori dipendenti
Impiegati
Direttivi-Quadro
Dirigenti
Prestatori d'opera
Co.co.co
Coadiuvanti
Lavoratori indipendenti
Soci di coop.
Lavoratori in proprio
Liberi professionisti
Imprenditori
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
45%
Figura 19: Posizione nella professione (Fonte: Istat, Forze Lavoro – Media 2004).
6
Le differenze di genere nei processi decisionali
L’analisi delle differenze di genere nei processi decisionali verrà
condotta analizzando l’attuale rappresentanza delle donne nei
principali organi della comunità europea (Parlamento Europeo,
Commissione Europea), delle singole nazioni (Governo, Parlamento)
e, per l’Italia, delle singole regioni. La maggior parte dei dati descritti
in questa sezione sono tratti dalla banca dati dell’Unione Europea
“Women and men in decision-making” realizzata nell’ambito del
programma “Community Framework Strategy on Gender Equality”
(2001-2005) nato con l’obiettivo di monitorare la presenza di uomini
e donne nei processi decisionali in ambito politico, pubblico e
giuridico, sociale ed economico, a livello europeo, nazionale e
regionale.
La presenza delle donne nelle principali istituzioni della Comunità
Europea è piuttosto scarsa (Figura 20), al di sotto di un terzo dei
membri. La Presidenza, sia della Commissione Europea che del
Parlamento Europeo, è stata sempre ricoperta da rappresentanti di
sesso maschile.
D
Membri del
Parlamento
Europeo
30%
Membri della
Commissione
Europea
29%
U
70%
71%
0%
20%
40%
60%
80%
Figura 20: Distribuzione per genere dei membri delle principali istituzioni della
Comunità Europea (Fonte: European Commission, Database on women and men in decisionmaking – 2006).
La percentuale di donne tra i membri italiani al Parlamento
Europeo è cresciuta nel tempo (Figura 21) ma resta la più bassa
(19,2%) a livello europeo dopo la Polonia (13%) e Malta e Cipro in
cui la rappresentanza delle donne è inesistente (Figura 22). Molto
interessante il dato relativo alla Svezia (57,9%) in cui la presenza di
donne tra i membri del paese al Parlamento Europeo supera quella
degli uomini.
25.0%
19.2%
20.0%
13.6%
15.0%
12.6%
12.3%
11.5%
9.9%
10.0%
5.0%
0.0%
1979
1984
1989
1994
1999
2004
Figura 21: Percentuale di membri italiani al parlamento europeo di genere femminile
(Fonte: Inter Parlamentary Union).
Sweden
Luxem bourg
The Netherlands
Slovenia
France
Aus tria
Lithuania
Ireland
Hungary
Slovakia
Finland
Denm ark
Spain
Es tonia
Germ any
Greece
Belgium
Portugal
UK
Latvia
Czech Republic
Italy
Poland
Malta
Cyprus
0%
10%
20%
30%
40%
50%
Figura 22: Percentuale di donne elette al Parlamento Europeo
(Fonte: Inter Parlamentary Union – elezione del 06/2004).
60%
Analizzando più da vicino la partecipazione delle donne alla vita
politica italiana risulta una quasi totale assenza nelle cariche
politiche più alte: nessuna donna Presidente della Repubblica,
Presidente del Consiglio dei Ministri, Presidente del Senato, solo
due donne Presidenti della Camera dei Deputati (Nilde Jotti, Irene
Pivetti).
La composizione della Camera dei Deputati e del Senato (Figura
23) è decisamente sbilanciata a favore degli uomini sebbene la
distribuzione nell’attuale legislatura presenti un quadro migliore
rispetto alla precedente.
XIV Legislatura (2001)
D
100%
XV legislatura (2006)
D
U
91.9%
88.5%
90%
86.6%
90%
82.9%
80%
80%
70%
70%
60%
60%
50%
50%
40%
40%
30%
30%
20%
U
100%
20%
11.5%
10%
8.1%
17.1%
13.4%
10%
0%
0%
Camera dei Deputati
Camera dei Deputati
Senato della Repubblica
Senato della Repubblica
Figura 23: Composizione della Camera e del Senato (Fonte: Inter Parlamentary Union).
Uno sguardo retrospettivo sulle legislature precedenti (Figura 24)
mostra un andamento a parabola ma comunque non confortante se
si considera che la presenza media delle donne alla Camera dei
Deputati è stata, dal 1948, dell’8,5% con un minimo storico del 2,7%
nel 1968 e al Senato del 5,1%. L’andamento altalenante della
presenza delle donne alla Camera dei Deputati è legato ad alcuni
interventi legislativi. Ad esempio, il picco più alto prima della
legislatura attuale, si è avuto nella XII legislatura (1994) quando fu
introdotto il sistema maggioritario-proporzionale con alternanza
uomo-donna . La sentenza n.422 del 1995 della Corte Costituzionale
che dichiarò l’illegittimità costituzionale della Legge 4 agosto 1993
n.277 spiega la caduta presente nella legislatura successiva. La
leggera ripresa del 2001 si può in parte spiegare come conseguenza
della Legge n.157 del 1999 in seguito alla quale i partiti devono
destinare una quota pari almeno al 5% dei rimborsi elettorali ricevuti
ad iniziative volte ad accrescere la partecipazione attiva delle donne
alla politica.
Camera dei Deputati
Senato della Repubblica
18%
16%
14%
12%
10%
8%
6%
4%
2%
2006
2001
1996
1994
1992
1987
1983
1979
1976
1972
1968
1963
1958
1953
1948
0%
Figura 24: Presenza delle donne nelle legislature (Fonte: Inter Parlamentary Union).
Il quadro che emerge dall’analisi della presenza delle donne al
Governo (Figura 25) è ancora più deludente: la prima donna Ministro
(Tina Anselmi) risale al 1976, la legislatura attuale presenta una
delle quote più alte che però risulta pari appena al 20%.
30.0%
25.0%
20.0%
15.0%
10.0%
5.0%
0.0%
76 78 79 79 80 80 81 82 82 83 86 87 87 88 89 91 92 93 94 95 96 98 99 00 01 06
Figura 25: % di donne Ministri del Governo italiano
(Fonte: Presidenza del Consiglio dei Ministri).
A livello di governi regionali (Figura 26) la quota di donne è
sempre inferiore al 30% ad eccezione della Sardegna che presenta
una uguale rappresentanza dei due sessi. Significativa la presenza
di 12 regioni in cui la rappresentanza femminile è inferiore alla media
nazionale.
D
U
Sardegna
Puglia
Piem onte
Lazio
Trento (Provincia)
Trentino-Alto Adige
Cam pania
Tos cana
Bolzano (Provincia)
Abruzzo
Media
Veneto
Liguria
Em ilia-Rom agna
Valle d'Aos ta
Lom bardia
Um bria
Marche
Friuli-Venezia Giulia
Calabria
Sicilia
Molis e
Bas ilicata
0
20
40
60
80
100
Figura 26: Presidenti e membri dei governi regionali
(Fonte: European Commission, Database on women and men in decision-making – 2006).
Confrontando il dato italiano con quello dei paesi europei, la
rappresentanza delle donne italiane al Parlamento ed al Governo è
tra le più basse. Per quanto riguarda la presenza alla Lower House
of Parliament (Figura 27), l’Italia si trova alla ventesima posizione ed
è tra le 19 nazioni che presentano una rappresentanza di donne
inferiore alla media nazionale. Tra tutti i paesi svettano quelli nordici
che, insieme a Belgio e Spagna, presentano almeno un terzo di
donne tra i membri della Camera. In sei nazioni (Hungary, Greece,
Latvia, Iceland, Norway) il presidente della Lower House of
Parliament è una donna.
Sweden
The Netherlands
Finland
Denmark
Spain
Belgium
Norway
Austria
Iceland
Germany
Portugal
Liechtenstein
Media
Luxembourg
Lithuania
Latvia
Bulgaria
United Kingdom
Poland
Estonia
Italy
Slovakia
Slovenia
Czech Republic
Cyprus
Ireland
France
Greece
Romania
Hungary
Malta
Turkey
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
Figura 27: Presidenti e membri delle Lower Houses of Parliament (Camera dei Deputati)
(Fonte: European Commission, Database on women and men in decision-making – 2006).
Nelle nazioni in cui esiste un sistema bicamerale (Figura 28),
resta il primato dei paesi nordici e di Spagna e Belgio nella
partecipazione delle donne e la presenza dell’Italia tra le 8 nazioni
su 14 con quote inferiori alla media europea. In quattro nazioni
(United Kingdom, The Netherlands, Austria, Belgium) il presidente
della Upper House of Parliament è una donna.
Norway
Belgium
Austria
Spain
Germany
The Netherlands
Media
United Kingdom
France
Ireland
Italy
Czech Republic
Poland
Romania
Slovenia
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
45%
Figura 28: Presidenti e membri delle Upper Houses of Parliament (Senato della
Repubblica) (Fonte: European Commission, Database on women and men in decision-making
– 2006).
La presenza delle donne nei governi nazionali (Figura 29) offre
un quadro molto simile ai precedenti ad eccezione dell’Austria che
risulta la nazione con la più alta presenza di donne, l’assenza totale
di donne in Turchia e a Cipro. Ancora una volta l’Italia risulta tra le
19 nazioni su 30 con una percentuale di donne inferiore alla media.
Attualmente in Europa ci sono tre donne Presidenti (Finlandia,
Latria, Irlanda) e una donna Primo Ministro (Germania).
D
U
Austria
Sweden
Norway
Spain
Finland
Iceland
UK
Germany
TheNetherlan
Latvia
Denmark
Liechtenstein
Media
Italy
Ireland
Belgium
Romania
Bulgaria
Luxembourg
Greece
Malta
Lithuania
Estonia
Slovakia
Portugal
France
Poland
Hungary
Czech
Slovenia
Turkey
Cyprus
0
20
40
60
80
100
Figura 29: Ministri del governo (Fonte: European Commission, Database on women and men in
decision-making – 2006).
Il quadro della rappresentanza femminile nei processi decisionali
in campo giudiziario non si discosta molto da quello politico:
- Corti dei Conti: 5 Presidenti donna su 30 (Cyprus, Lithuania,
Latvia, The Netherlands, Sweden)
- Corte Suprema di Cassazione: 1 Presidente donna su 30
(Czech Republic)
- Corte Costituzionale: 2 Presidenti donna su 18 (Spain, Turkey)
In particolare, per quanto riguarda i membri della Corte Suprema
di Cassazione (Figura 30), solo in Ungheria, Romania e Lavia la
quota di donne supera quella degli uomini.
D
U
Rom ania
Latvia
Hungary
Slovakia
Bulgaria
Belgium
Slovenia
Ireland
France
Norway
Media
Finland
Denm ark
Iceland
Germ any
Czech Republic
Lithuania
Aus tria
Es tonia
The Netherlands
United Kingdom
Poland
Cyprus
Greece
Turkey
Portugal
Luxem bourg
Liechtens tein
0
20
40
60
80
100
Figura 30: Membri della Corte Suprema di Cassazione
(Fonte: European Commission, Database on women and men in decision-making – 2006).
In ambito economico, la presenza delle donne negli organi
decisionali della Banca Centrale Europea (Figura 31) e della Banca
Europea degli Investimenti (Figura 32) è molto esigua.
4%
6%
U
D
96%
94%
Figura 31: Membri del Governing
Council della Banca Centrale Europea
(Fonte: European Commission, Database
on women and men in decision-making –
2006).
Figura 32: Membri del Board of
Governors della Banca Europea degli
Investimenti (Fonte: European
Commission, Database on women and
men in decision-making – 2006).
La situazione nelle singole nazioni della Comunità Europea non è
molto diversa. In sei paesi, tra cui l’Italia, le funzioni decisionali nelle
banche centrali (Figura 33) sono ricoperte totalmente da uomini e in
18 nazioni su 30 la presenza delle donne con tali ruoli è inferiore alla
media europea.
D
U
Norway
Finland
Denmark
Slovakia
Iceland
Sweden
Latvia
Malta
Lithuania
United Kingdom
Slovenia
Media
France
Czech Republic
Bulgaria
Romania
Luxembourg
Estonia
Poland
The Netherlands
Spain
Ireland
Belgium
Austria
Turkey
Portugal
Italy
Hungary
Greece
Cyprus
0
20
40
60
80
100
Figura 33: Donne ed uomini nelle banche centrali con funzioni decisionali (Fonte:
European Commission, Database on women and men in decision-making – 2006).
Nelle aziende private, ad esempio le prime 50 aziende quotate
(Figura 34), la partecipazione delle donne è maggiore rispetto
all’ambito politico ed economico ma sempre al di sotto del 30%;
l’Italia è la nazione con la minore partecipazione femminile nelle
funzioni decisionali.
D
U
Norway
Sweden
Bulgaria
Slovenia
Latvia
Finland
Estonia
United Kingdom
Czech Republic
Hungary
Germany
Media
Romania
Poland
Lithuania
Denmark
Greece
Portugal
Iceland
France
Cyprus
Belgium
Turkey
Slovakia
The Netherlands
Austria
Ireland
Malta
Spain
Luxembourg
Italy
0
20
40
60
80
100
Figura 34: Donne ed uomini con funzioni decisionali nelle prime 50 aziende quotate
(Fonte: European Commission, Database on women and men in decision-making – 2006).
La presenza delle donne in posizioni decisionali (Figura 35) o alla
guida delle Organizzazioni non governative europee (Figura 36) è
più marcata soprattutto nelle organizzazioni coinvolte nel sociale.
D
U
D
Social NGOs
Social NGOs
Human Rights
NGOs
Human Rights
NGOs
Environmental
NGOs
Environmental
NGOs
Developmental
NGOs
U
Developmental
NGOs
0%
50%
Figura 35: Membri in posizioni
decisionali nelle ONG Europee.
100%
0%
50%
Figura 36: Uomini e donne alla guida
delle ONG Europee.
100%
7
Uno studio sul gap di genere
Nei paragrafi precedenti si è evidenziato una evidente disparità
nella rappresentanza di uomini e donne nei processi decisionali della
politica, dell’economia, della giustizia e del sociale. Il gap di genere è
diffuso in tutti i paesi analizzati ma con delle differenze tra paesi e
tra contesti decisionali.
Per fornire un quadro riassuntivo finale che consenta di effettuare
confronti tra paesi in base ai contesti in cui è maggiore o minore la
differenza di genere, sono stati analizzati i dati raccolti dal World
Economic Forum (WEF) in una ricerca su “Women’s Empowerment:
Measuring the Global Gender Gap”.
Lo studio misura il gap di genere in 58 Paesi del mondo
relativamente a cinque aree:
- partecipazione economica (stessa remunerazione a parità di
mansione)
- opportunità economiche (accesso al mercato del lavoro non
legato ad un salario ridotto o a mansioni non qualificate)
- partecipazione politica (presenza femminile nelle strutture
decisionali)
- formazione
- salute e benessere.
Per ciascuna delle aree precedenti sono stati identificati e
misurati, sui 58 paesi, una serie di indicatori per un totale di 25
indicatori.
Nello studio del WEF la definizione di partenza di gap di genere è
quella di un’uguaglianza tra generi cioè uno stadio dello sviluppo in
cui “i diritti, le responsabilità e le opportunità degli individui non
devono essere determinate dall'essere nati maschi o femmine”.
Ciascun indicatore fornisce una graduatoria dei paesi, dal paese
con il gap più basso a quello con il gap più alto. Le graduatorie degli
indicatori appartenenti a ciascuna categoria sono stati sintetizzati in
un’unica graduatoria e poi, le 5 graduatorie dei 58 paesi, sono state
sintetizzate per fornire una classifica finale. In cima alla classifica del
WEF ci sono le donne del Nord Europa: prime le svedesi seguite da
norvegesi, islandesi, danesi e finlandesi. Le italiane, sono solo al 45°
posto all’interno di una classifica di 58 Paesi che vede ultimi in
assoluto Pakistan, Turchia e Egitto. Tra i paesi dell'Europa a 25, la
Lituania, la Lettonia e l’Estonia occupano posti relativamente in alto
nella graduatoria; gli Stati Uniti sono al 17° posto della classifica.
Per avere uno strumento grafico adatto al confronto tra i paesi si
è utilizzato un metodo di Analisi Multidimensionale dei Dati noto con
il nome di Analisi in Componenti Principali, che consente di
sintetizzare una serie di variabili (le 5 graduatorie dei 58 paesi) in
nuove variabili, le componenti principali appunto, ottenute come
combinazione lineare di quelle di partenza e con pesi tali da
garantire la minima distorsione e, quindi, la minima perdita di
informazione rispetto alla situazione originaria. Sulla base dei valori
delle prime due componenti principali è possibile visualizzare in una
unica mappa (Figura 37) i paesi (punti) e le categorie di indicatori
osservate (frecce). La lettura ed interpretazione della mappa deve
essere fatta analizzando, in primo luogo, le posizioni occupate dalle
categorie di indicatori su ciascuno dei due assi: Il primo asse
(orizzontale) contrappone i paesi con uno scarso gap di genere
(destra) a quelli con un forte gap di genere (sinistra) in tutti i contesti
analizzati. In particolare, il primo asse è, come spesso avviene, un
fattore di taglia che, in tale contesto, separa i paesi con un maggiore
gap da quelli con sistemi paritari. Il secondo asse (verticale)
contrappone paesi che hanno prevalentemente differenze di genere
in ambito sanitario, politico e della formazione a quelli che si
caratterizzano prevalentemente per gap di genere in ambito
economico, sia in termini di partecipazione che di opportunità. Il
secondo fattore può, quindi, essere interpretato come una misura
del tipo di gap di genere cioè un fattore di forma che evidenzia le
differenze tra i gap di genere nei paesi. L’origine degli assi
rappresenta il paese “medio” per cui i paesi all’estrema destra
(Denmark, Norway, Sweden, Iceland, Finland) sono quelli che si
allontanano più in positivo dall’andamento medio. La posizione
dell’Egitto all’estrema sinistra conferma l’ultima posizione nella
graduatoria del WEF. L’Italia occupa una posizione non felice
soprattutto per quanto riguarda le differenze in ambito economico.
Se la vicinanza ad un paese come la Spagna può risultare
prevedibile, risulta, invece, singolare la vicinanza a paesi quali il
Giappone, la Svizzera e l’area del Sud Africa.
Figura 37: Una mappa dei paesi sulla base del gap di genere.
8
Principali riferimenti bibliografici
Atti della Conferenza Ministeriale “Le donne nei processi
decisionali politici ed economici”, Siracusa, 12 settembre 2003.
Baldassarre A., Scaccia G. (a cura di) (2003) La rappresentanza
femminile nel parlamento europeo e negli stati membri dell’unione,
LUISS e Ministero per le Pari Opportunità.
Banca dati UE, Women and men in decision-making (sito web:
europa.eu.int/comm/employment_social/women_men_stats/)
Eurostat (2002), The life of women and men in Europe: A
statistical portrait.
Eurostat (2004) Eurostat Yearbook 2004.
Gherghi M., Lauro C. (2004) Appunti di Analisi dei Dati
Multidimensionali, Rocco Curto Edizioni, Napoli.
ISTAT (2005) Compendio Statistico Italiano.
ISTAT (2005) Forze di lavoro – Media 2004.
ISTAT (2004) Rapporto Annuale.
Sabbadini L. L. (a cura di) (2006) Partecipazione politica e
astensionismo secondo un approccio di genere, ISTAT e Ministero
per le Pari Opportunità
Sabbadini L. L. (a cura di) (2004) Come cambia la vita delle
donne, ISTAT e Ministero per le Pari Opportunità.
WEF (2006) Women’s Empowerment: Measuring the Global
Gender Gap.
Siti web
http://www.pariopportunita.gov.it
http://europa.eu.int/comm/eurostat
http://www.istat.it
http://www.ipu.org
http://www.weforum.org/