Vai al report della ricerca - Scuola Nazionale dell`Amministrazione
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Presidenza del Consiglio dei Ministri SCUOLA SUPERIORE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE LA VALUTAZIONE NELLA GESTIONE DEL PERSONALE NEL QUADRO DEI PROBLEMI DI MODERNIZZAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE Metodi, organi e banche dati di riferimento di Maria Pia Camusi e Micaela Melis Indice 1. Premessa * 2. La valutazione come leva di gestione del personale " * 2.1. La lenta approssimazione al privato " * 2.2. Le sfide aperte " * 2.3. Quale habitat per la valutazione del personale " * 3. La valutazione del personale nel comparto pubblico: la multidimensionalità della scelta metodologica " * 3.1. Il difficile superamento del paradigma burocratico " * 3.2. Vincoli e priorità della valutazione nelle Pubbliche Amministrazioni " * 4. Obiettivi e competenze: le unità elementari della valutazione " * 4.1. Cenni sulle metodologie in uso " * 4.2. La scelta dei valutatori " * 4.3. Le fasi della valutazione " * 5. Alcune esperienze di valutazione: due casi emblematici " * 5.1. Indicazioni e principi per la messa in opera " * 5.2. Il caso INAIL: tra infrastrutturazione tecnologica e valorizzazione delle risorse umane " * 5.2.1. La riorganizzazione interna " * 5.2.2. I sistemi di valutazione consolidati " * 5.2.3. La nuova infrastruttura metodologica " * 5.2.4. I punti di caduta di un sistema integrato " * 5.3. Il sistema di valutazione del Ministero della Salute: una scelta in progress " * 5.3.1. Un modello altamente specifico " * 5.3.2. La metodologia della valutazione delle prestazioni della Dirigenza " * 5.3.3. Una valutazione in steps " * 5.3.4. La sperimentazione " * Riferimenti bibliografici " * 1. Premessa Le norme di riforma delle pubbliche amministrazioni italiane hanno prodotto ampi effetti sia sul piano dell’attribuzione ad esse di nuove funzioni, sia sul modo di concepire il ruolo stesso della P.A. nei processi di sviluppo del Paese. Accanto alle attività amministrative tradizionali, basate soprattutto su funzioni di controllo e di sanzione, sono cresciute anche funzioni di promozione e di incremento dello sviluppo e questo, nel tempo, ha definito una attività di governo del sistema economico e sociale sicuramente più ricca e articolata: in questo senso, si può affermare che la funzione pubblica si sia arricchita di attribuzioni cruciali, quali il coordinamento, la mediazione di interessi, la promozione di risorse infrastrutturali, la fornitura di servizi complessi. Senza contare che, a fronte di bisogni della collettività via via crescenti e non del tutto delegabili alla sfera privata (dall’ambiente, alla salute, alla sicurezza collettiva, alla gestione delle risorse economiche nazionali) la legittimazione del ruolo della pubblica amministrazione si è andata sempre più sganciando da motivazioni formali, per agganciarsi alla valutazione sulle concrete capacità delle strutture pubbliche di corrispondere alle domande sociali e ai fabbisogni di crescita. In altre parole, si è attivata una attenzione crescente affinché ci sia coerenza fra la richiesta di efficienza dei servizi erogati dal sistema pubblico e le richiesta di governo generale: si invoca, in sostanza, un salto di qualità nella capacità gestionale della pubblica amministrazione, affinché riesca a produrre capacità di controllo sostanziale più che formale e a dominare e a risolvere problemi sempre più complessi. Il modello burocratico, fondato sul mero rispetto delle procedure è sempre più insoddisfacente e tende a cedere il passo a nuovi modelli gestionali, di tipo manageriale, al cui interno componenti quali l’orientamento all’innovazione, l’attenzione all’efficienza, la cultura della valutazione assumono una valenza prioritaria. Le trasformazioni che la pubblica amministrazione italiana sta ancora affrontando sono di due generi: - dal lato della domanda sociale, emergono bisogni sofisticati e complessi che tendono ad intrecciarsi e a richiedere risposte altrettanto complesse ed integrate (a questo proposito, è esemplare il caso dell’assistenza sociale); - dal lato dell’offerta, la necessità di rispondere a questo genere di bisogni attraverso modalità di intervento ad elevata flessibilità e quindi ad altrettanta elevata capacità di valutare adeguatamente gli interventi, anche per modificarli, se necessario. La diversificazione e la sofisticazione dei bisogni, la selettività delle richieste, l’attenzione alla qualità che emergono dal sistema sociale, non sempre si incontrano con una macchina organizzativa pronta a fronteggiarli, non solo per i problemi di carattere finanziario che caratterizzano i bilanci pubblici, ma anche, e soprattutto, per la necessità di cambiare nell’impostazione di fondo nell’erogazione dei servizi, resa ormai non differibile, né a livello centrale, né a livello periferico, dalle nuove esigenze di competitività dei soggetti pubblici nei confronti dell’offerta privata. Concetti come "approccio manageriale, efficienza di gestione, responsabilizzazione del personale, verifiche di produttività e qualità" sono entrati ormai nella cultura della pubblica amministrazione, inducendo l’esigenza di utilizzare anche nuove tecniche di valutazione del personale come elemento di supporto alla modernizzazione organizzativa. Si tratta di concetti cha hanno trovato ampia accoglienza anche nella normativa di riforma della amministrazione pubblica, il cui obiettivo è stato quello di migliorare tanto la sua efficienza, quanto la sua efficacia ed economicità. L’introduzione di una cultura del risultato del tutto sconosciuta prima alla pubblica amministrazione ha introdotto la necessità di individuare le risorse chiave in grado di consentire un suo aumento: fra queste il lavoro pubblico è stato valorizzato in modo specifico, come elemento strategico dell’agire amministrativo e per questo grande enfasi è stata riservata anche allo sviluppo di una funzione del personale dotata di nuovi strumenti e di nuove prospettive. L’introduzione del regime di contrattazione collettiva anche per i dipendenti pubblici è stato considerato come passaggio fondamentale per avviare nuove stagioni di relazioni interne, e di qui per enfatizzare il peso del contributo di ciascuno al buon andamento della "cosa pubblica", anche attraverso l’individuazione di leve retributive premiali. Questo ha portato alla necessità di prevedere anche sistemi di valutazione correlati ai sistemi retributivi in grado di pesare l’apporto individuale ai risultati generali prefissati dagli uffici. Il testo che segue intende corrispondere alla finalità di impostare il tema della gestione del personale pubblico e di come questa si collega ai processi e agli strumenti di valutazione. Per corrispondere a questo obiettivo, il lavoro è stato articolato in quattro capitoli, rispettivamente destinati a: - inquadrare la valutazione non come strumento a se stante, ma come elemento integrato ai processi di gestione del lavoro pubblico; - ricostruire la metodologia di valutazione adottata nelle amministrazioni e i suoi aspetti più problematici; - delineare alcune linee prospettiche verso le quali orientare una funzione di auditing interno; - descrivere alcuni casi emblematici di valutazione, applicata rispettivamente in un comparto ministeriale e in un ente pubblico. 2. La valutazione come leva di gestione del personale 2.1. La lenta approssimazione al privato La pubblica amministrazione italiana si confronta da anni con la necessità di attribuire e misurare l’efficienza delle proprie azioni, rendendola compatibile con la sua mission fondamentale, ossia la fornitura di servizi alla collettività sulla base dei principi di imparzialità e di generalità. Sul piano della gestione del personale pubblico, questo dilemma ha sempre avuto un significato particolare, soprattutto da quando questa risorsa è considerata strategica e non sostituibile per il buon andamento del settore e da quando ci si è posti il problema di valutarne e premiarne i risultati. Il punto è che il comparto privato presenta alcune peculiarità che non si possono esportare altrove, e, viceversa, il settore pubblico vanta alcune specificità che ne rappresentano punti di forza e non di debolezza. Non è possibile, in sostanza, pensare a riforme o a traslazioni di modelli di gestione e di valutazione del personale senza riconoscere le differenza dei settori cui sono dirette e senza pensare di rispettarne i tratti costitutivi. Il comparto pubblico è talmente articolato e composito da presentare aree già pronte a recepire logiche progressivamente innovative nel campo della gestione del personale, come testimoniato anche dall’ultima parte di questo testo. Non è un caso, tuttavia, che si tratti di interventi efficaci se si realizzano in comparti in cui esiste già un percorso di innovazione e che quindi sono maggiormente porosi e sensibili a ulteriori balzi in avanti nella strumentazione e nella cultura del lavoro. Le asimmetrie fra settore privato e settore pubblico sotto il profilo delle risorse umane e della loro gestione non sono poche, nonostante i tentativi di avvicinamento compiuti, fra cui la contrattualizzazione del pubblico impiego. Qui se ne possono ricordare alcune. - Il settore privato ha sviluppato un mercato del lavoro "interno", che, anche facilitato dalle nuove formule di lavoro flessibile, tende ad alimentarsi sulla base dei fabbisogni della domanda. Nel settore pubblico, invece, l’accesso è ancora legato ai concorsi (ad eccezione di alcuni ruoli dirigenziali) che certamente garantiscono l’imparzialità, ma non tengono conto adeguato delle motivazioni e del potenziale che entrano nella pubblica amministrazione. Questo non favorisce la creazione di un sistema professionale pubblico e rende difficile anche l’individuazione di un gruppo o di gruppi omogenei di dipendenti, facendo venire meno quell’attribuzione di status che in altre amministrazioni europee individua i rispettivi impiegati e funzionari come una vera e propria élite occupazionale. - Nel settore privato i modelli di gestione del personale sono fortemente differenziati in funzione di molteplici variabili: dalla dimensione di impresa, al settore produttivo, al posizionamento nei circuiti di sviluppo, più o meno locali. Nelle amministrazioni pubbliche ancora oggi si tende ad adottare stili di gestione uniformi, che naturalmente sacrificano le specificità di ciascun ambiente di lavoro, non li mettono in contatto con altre realtà lavorative, e quindi li rendono chiusi alla comprensione e alla eventuale adozione di criteri innovativi. In un momento in cui il cambiamento è reso ovunque possibile dalla circolazione di informazioni e di conoscenza, molte amministrazioni sono ancora impermeabili all’integrazione reale con realtà anch’esse pubbliche più avanzate. - L’economia privata si fonda su un circuito di mercato, che non comporta solo la libertà dell’imprenditore (di fatto, molto relativa) di organizzare, coinvolgere o dismettere il lavoro. Il datore di lavoro e i lavoratori, soprattutto delle fasce alte, hanno convenienza a sviluppare strategie comuni per contrastare il primato del consumatore, che è in grado di decidere sul successo o meno dell’azienda. Gli effetti di un eventuale insuccesso ricadono inevitabilmente su tutti i fattori interni all’impresa, primo fra tutti il prodotto/servizio, e quindi il lavoro impiegato per produrlo. In questo senso, l’economia di mercato porta implicitamente a valutare la qualità dell’occupazione creata, mentre nelle amministrazioni pubbliche l’assenza del meccanismo di mercato descritto, potrebbe portare ad esasperare l’introduzione di tecniche e di logiche di valutazione, come effetto di compensazione. - L’attività di contrattazione collettiva, che nel privato spesso rappresenta lo strumento principale di innovazione nelle condizioni di lavoro, nelle pubbliche amministrazioni, nonostante gli sforzi dei sindacati e dell’agenzia pubblica preposta, non è riuscita a indurre una vera e propria stagione di modernizzazione. Ci sono perfino alcuni fattori in parte socio-psicologici che sbassano la soglia del confronto: le risorse per il rinnovo sono infatti date e quindi viene meno per le parti una delle voci di confronto che nel settore privato è il perno stesso della attività di negoziazione. - Senza contare che nel settore privato la gestione e la valutazione del personale sono realizzate da personale dirigenziale educato alla cultura del risultato, mentre nelle amministrazioni pubbliche i primi a dover crescere sui temi del rendimento e dell’efficacia talvolta sono proprio coloro che appartengono all’alta dirigenza. Le distanze che esistono fra settori pubblici e privati fanno riflettere quindi sul fatto che la valutazione del personale dovrebbe rappresentare una delle tappe di un percorso di innovazione complessiva nella gestione complessiva delle risorse umane e non un obiettivo in sé. Non è un caso, infatti, che nella maggior parte delle amministrazioni pubbliche gli strumenti di valutazione abbiano fino ad ora coinvolto soprattutto la dirigenza – esposta da almeno dieci anni a tentativi di riforma - e solo da poco tempo stiano interessando le altre categorie, e soltanto in particolari settori. Non si può, in sostanza, pensare alla valutazione come uno strumento diffuso e condiviso, ma come un metodo ancora in via di sperimentazione, che sta rapidamente crescendo di pari passo all’evoluzione stessa della pubblica amministrazione. 2.2. Le sfide aperte Fra le direttrici di mutamento che la pubblica amministrazione sarà chiamata a fronteggiare ce ne è una che ha e avrà particolari riflessi sul personale pubblico e sulla sua gestione: ci si riferisce alla organizzazione di alcune funzioni attraverso processi di outsourcing, che potrebbe portare alla ridefinizione, per riduzione, dei confini del lavoro pubblico. Si tratta di una duplice modalità di esternalizzazione riconducibile a specifiche esigenze: l’ampliamento delle funzioni svolte e la razionalizzazione, appunto, delle strutture organizzative esistenti. Il primo tipo di outsourcing è quello più sviluppato ed è stato generato da una domanda di servizi della società civile sempre più articolata e complessa. La pubblica amministrazione ha fronteggiato e fronteggia le esigenze crescenti del suo "cliente finale" tramite la costituzione di imprese pubbliche/private, o tramite il sostegno finanziario di attività private che si assumono la responsabilità totale delle funzioni delegate. L’outsourcing sta diventando, al tempo stesso, un elemento di razionalizzazione, ossia le amministrazioni pubbliche tendono ad affidare a terzi alcune attività legate all’organizzazione interna, dalla fornitura di servizi, alla manutenzione degli impianti e degli immobili, alla gestione del personale. In ogni caso, si tratta di uno strumento che può consentire alle pubbliche amministrazioni di: - focalizzare meglio alcune linee strategiche, tralasciando quelle meno importanti; - controllare i risultati di altri e non gravarsi di forme di gestione difficile da seguire; - mettere in contatto le logiche burocratiche con quelle di imprese private, che rispondono a principi organizzativi più agili e flessibili; - superare l’empasse determinato dal blocco delle assunzioni e dalla correlata difficoltà di disporre di certe professionalità, soprattutto specialistiche, nei tempi richiesti; - trasferire l’onere di adeguamento alle trasformazioni tecnologiche delle risorse interne. Nonostante questi ed altri indubbi vantaggi, ad eccezione di alcuni grandi Ministeri, e dei servizi sociali alla persona, le pubbliche amministrazioni difficilmente affidano in outsourcing funzioni e servizi di una certa rilevanza, ma le premesse normative ci sono e le necessità di fatto cominciano ad emergere e a sollevare nuovi livelli di attenzione sugli effetti che questa tendenza potrebbe avere sulle risorse umane interne. Si pensi, ad esempio, che anche la gestione del personale pubblico può essere affidata all’esterno, come accade già da tempo alle aziende di medio-grandi dimensioni: un recente studio realizzato dal Censis in collaborazione con la Società Tess, stima che nel 2006 nella pubblica amministrazione la domanda per l’esternalizzazione della funzione personale crescerà del 15%, tra l’altro più che nel settore privato. Attualmente, le buste paga del personale delle amministrazioni centrali e periferiche sono gestite da circa 200mila addetti: il solo trasferimento delle attività di payroll libererebbe una buona fetta di dipendenti che potrebbero, almeno in parte, essere ricollocati in ruoli diversi. Certamente, si tratterebbe di un passaggio complesso, poiché non potrebbe essere disgiunto da un parallelo processo di razionalizzazione del personale e dell’organizzazione e, quindi, necessita di tempi lunghi. C’è un elemento che nella pubblica amministrazione risulta ancora poco chiaro: arrivando ora ad acquisire strumenti di gestione e di innovazione che in molti contesti privati sono da tempo leve di aumento della competitività, e potendo sfruttare anche gli errori di chi ha già accumulato esperienza in merito, le amministrazioni potrebbero abbreviare i tempi di sedimentazione di questi strumenti, ma in molti casi la resistenza al cambiamento è più forte delle stesse evidenze di trasformazione nonostante tutto presenti. D’altra parte, il trasferimento all’esterno della gestione dei servizi e di alcune funzioni interne pone alle amministrazioni ulteriori problemi di tipo sistemico, soprattutto in relazione a: - la riconversione professionale dei lavoratori pubblici, che, come si diceva, potrebbero essere "liberati" dalla "prigionia dell’atto amministrativo" e proiettati a seguire l’evoluzione degli uffici, soprattutto locali, come attori di sviluppo; - la modifica del sistema di classificazione professionale, che andrebbe arricchito di maggiori riferimenti alle competenze e non solo alle attività formali; - la definizione di norme contrattuali diverse fra coloro che sono chiamati a gestire i servizi e coloro che rimangono dentro i confini ristretti dell’amministrazione, con la conseguente attenzione a rendere la spesa per entrambi sempre più produttiva. A proposito di sfide che attendono la pubblica amministrazione, va richiamata anche la vicenda legata alla modifica dell’art. 5 Cost.. Tanto più le Regioni e gli EE.LL. potranno disporre di gradi di libertà sul piano organizzativo interno, quanto più potranno arbitrare nella gestione delle risorse umane impiegate, con maggiori livelli di libertà rispetto a quelli attuali. In questo caso, l’amministrazione periferica potrebbe disporre di proprie agenzie negoziali: se così fosse, si assisterebbe ad una apertura verso diversi assetti contrattuali locali e ad una moltiplicazione dei soggetti negoziali pubblici, con la conseguente differenziazione fra condizioni retributive e di valutazione del personale. Forse, se è vero che la dimensione dello sviluppo che ancora oggi si può considerare essenziale è quella locale, è anche vero che la pubblica amministrazione deve crescere a ridosso di quei luoghi, accettando che la suo interno possano essere valutate e pesate le differenze funzionali e quelle espresse dal personale. Come dire che nella pubblica amministrazione deve entrare il concetto di variabilità, anche a livello locale, senza il quale nessun sistema di valutazione delle prestazioni è in grado di corrispondere davvero ai bisogni di innovazione e di modernizzazione attesi. 2.3. Quale habitat per la valutazione del personale Affinché la valutazione non rimanga una prospettiva fine a se stessa, o peggio sostitutiva di una vera politica del personale, è importante che possa sfruttare un contesto di valorizzazione delle risorse umane reale, al di là delle stesse condizioni negoziali che da sole, senza cioè una rinnovata cultura soprattutto di chi ha responsabilità diretta in tali politiche, non possono produrre alcun cambiamento. In questo senso, è importante definire approcci e finalità della gestione del personale comuni a tutto il personale, commisurando gli elementi di valutazione ai diversi livelli di responsabilità esistenti. Sotto questo profilo, la distinzione fin qui adottate fra la dirigenza e il resto del personale pubblico ha senso per ciò che attiene le rispettive responsabilità e i rispettivi regimi di trattamento economico, ma ne ha di meno con riguardo all’offerta di gestione che il datore di lavoro pubblico dovrebbe garantire. Sotto questo profilo, gli elementi trasversali alle qualifiche pubbliche, sono più numerosi rispetto a quelli che le rendono distinte. Qui se ne possono elencare alcuni che sembrano essere particolarmente esplicativi. - Intanto bisogna ricordare che le competenze del personale pubblico si fondano su un sapere e un saper fare trasversale anche alle stesse qualifiche formali. Ciò che distingue i ruoli previsti negli organici, infatti, sono soprattutto le specializzazioni funzionali, quando ci sono, e i livelli di responsabilità, cui corrisponde la parametrazione economica. Ma tutto il personale pubblico possiede uno stesso know how che gli deriva dall’occupare uno status particolare, quello cioè di pubblico dipendente, che definisce stesse identità e stessa proiezione verso l’obiettivo principale, ossia il soddisfacimento dei bisogni sociali. - Inoltre, la specificità di ruolo dei dipendenti pubblici, non significa che il loro lavoro e il loro impegno, dai dirigenti alle funzioni più esecutive, non debba essere supportato da un’organizzazione del lavoro congeniale all’obiettivo indicato, possibilmente coerentemente con l’evoluzione della domanda sociale stessa. E questa relazione fra attività, modelli e processi di esecuzione e orientamento al cliente/cittadino è sicuramente un elemento comune a tutti i livelli negoziali. - L’enfasi al risultato, che entra ogni giorno di più nell’assetto negoziale e fattuale delle relazioni di lavoro pubbliche, stimolata dall’apertura delle amministrazioni stesse verso le dinamiche dello sviluppo, soprattutto locale, è a sua volta un fattore che taglia il personale in tutte le sua collocazioni formali e che introduce – almeno nelle amministrazioni più avvertite – nuove forme di lavoro di gruppo o in équipe, ad alta valenza e centralità delle relazioni personali e intercategoriali. Solo questi argomenti da soli basterebbero a sostenere che i sistemi di valutazione possano e debbano essere estesi a tutto il personale pubblico, poiché non solo la dirigenza, ma tutte le risorse pubbliche, partecipano al raggiungimento delle finalità strategiche del settore. Ma è ancora presto per immaginare i tempi di realizzazione di questa estensione. I dirigenti pubblici, infatti, vivono una fase delicata: essi sono sottoposti ancora agli effetti delle tante riforme di cui sono stati oggetto, che hanno rimosso le ragioni di scambio poste alla base del loro lavoro per decenni, ossia "più sicurezza - meno potere", in favore dell’asserzione "più retribuzione – più flessibilità". In base a quest’ultima, i dirigenti non solo hanno perso l’antica inamovibilità – inaccettabile, in ogni caso, se si cerca di attribuire al settore maggiore efficienza – ma non hanno neanche guadagnato terreno sul piano delle competitività interna. La classe politica, utilizzando più competenze specializzate esterne rispetto a quelle già presenti negli uffici, talvolta crea un gap di professionalità che, sul piano della valutazione, non favorisce il personale interno. Senza contare che la separazione fra responsabilità politica e responsabilità gestionale si fonda sul rapporto fiduciario che lega i politici ai burocrati, che talvolta ha portato e porta alla accelerazione di nomine di dirigenti di fiducia, con la prospettiva di una strisciante politicizzazione di ritorno dei dirigenti pubblici, né più ne meno di quanto accadeva nella vecchia formulazione "di scambio". In questo contesto, la predeterminazione degli obiettivi e la valutazione a questa collegata è una salvaguardia per gli effetti distorsivi che l’attuale rapporto fra politica e amministrazione può indurre. Chiudendo su quali sono i passaggi ancora necessari per creare un habitat di gestione del personale coerente alla valutazione del lavoro pubblico bisogna rammentarne almeno a tre. Il primo è sicuramente un tratto culturale, ossia nella pubblica amministrazione c’è bisogno di formulare ed utilizzare sistemi nuovi di incentivazione per valorizzare e far crescere le risorse migliori, che solo attraverso questa strada – e non solo tramite comparazioni valutative – possono competere con le professionalità importate dall’esterno. Il secondo riguarda la possibilità di collegare sempre di più i sistemi premiali a riconoscimenti di ruolo non solo formale, ma sostanziale, mettendo in rilievo il peso oggettivo che il personale occupa nel luoghi di lavoro pubblici (per evitare che persone solitamente considerate "insostituibili" dai loro capi, siano valutate come risorse di basso valore da un sistema gestito all’esterno). Un altro aspetto, il terzo, concerne il delicato rapporto fra amministrazioni centrali e periferiche che presentano ciascuno proprie peculiarità sul piano della variabilità salariale e della mobilità occupazionale. Andrebbe forse creato un maggiore collegamento fra queste due dimensioni, utilizzando ad esempio lo strumento contrattuale come vettore di comunicazione e di messa in comune di best practises, altrimenti sottoposte a rischio di trasformazione della differenza in eccessiva dispersione e discontinuità. 3. La valutazione del personale nel comparto pubblico: la multidimensionalità della scelta metodologica 3.1. Il difficile superamento del paradigma burocratico Contrastato e, per certi versi, addirittura sconosciuto in molti comparti dell’amministrazione pubblica, il tema della valutazione del personale è attualmente al centro di una nuova stagione di dibattiti e di confronti. Le molteplici riflessioni sull’argomento, tuttavia, non solo non sono state in grado di colmare l’enorme ritardo che l’Italia registra rispetto ad altre nazioni, soprattutto di cultura anglosassone, ma neanche di limare la profonda disomogeneità esistente nei metodi e nei sistemi tra i diversi livelli operativi della P.A. Un fatto che, ancora una volta, testimonia come non sempre la semplice previsione normativa sia sufficiente ad avviare l’auspicato cambiamento. Seppur prevista da un punto di vista formale, la valutazione - anche quando applicata – è stata per lungo tempo limitata ad impostazioni marcatamente aziendalistiche e privatistiche che l’hanno circoscritta alle retribuzioni di istituti quali la produttività e le prestazioni dirigenziali. Una pratica che, con i nuovi contratti, ha spostato progressivamente il suo baricentro fino ad investire anche le progressioni economiche orizzontali, le posizioni organizzative, l’inquadramento professionale e in alcuni casi - la mobilità tra categorie. Le nuove previsioni normative hanno dunque ampliato il concetto di valutazione: essa non ha solo finalità di tipo retributivo (incentivi di produttività e di risultato, retribuzione variabile, ecc.), ma dovrebbe investire anche altri aspetti ed essere finalizzata alla valorizzazione della risorsa umana, al miglioramento delle prestazioni, all’individuazione delle potenzialità presenti nella struttura e, non ultimo, alla chiarificazione e alla specificazione degli obiettivi dell’ente. Così intesa, la valutazione rappresenta una procedura onnicomprensiva che deve fornire elementi utili all’analisi: - del rapporto tra risultato e obiettivo perseguito; - dell’adeguatezza del comportamento tenuto per il raggiungimento dell’obiettivo, tenuto conto degli eventuali vincoli all’azione (norme, regolamenti, ecc.); - dell’adeguatezza della professionalità e della motivazione dei soggetti organizzativi; - dell’ambiente in cui opera il valutato. La molteplicità degli elementi citati rivela come la valutazione non possa essere considerata isolatamente, ma sia un tassello del più complesso quadro di gestione delle risorse umane e delle politiche del personale. Da un punto di vista metodologico, perciò, la valutazione deve investire più dimensioni ed essere in grado di determinare: - la posizione dei soggetti organizzativi. Questa forma di valutazione, denominata job evaluation, consiste nella definizione dei livelli organizzativi e delle mansioni e nella determinazione della retribuzione da assegnare a ciascun livello sulla base di un punteggio prestabilito. In una pubblica amministrazione, il fine ultimo di questo tipo di valutazione è dunque quello di garantire l’equa erogazione dell’indennità di posizione contrattualmente prevista; - la prestazione o il comportamento. In questo caso si valuta non solo il raggiungimento degli obiettivi, ma anche le modalità di comportamento attraverso le quali tali obiettivi sono stati perseguiti; - il potenziale. In questa forma di valutazione si verifica che le caratteristiche possedute dal soggetto siano compatibili con i programmi che l’organizzazione si propone di raggiungere. Nelle PP.AA. la valutazione del potenziale è fondamentale al fine di individuare i soggetti per una eventuale progressione verticale; - il risultato. Gli elementi discriminanti della valutazione, in questo caso, sono i risultati raggiunti in un determinato arco temporale in relazione agli obiettivi prefissati in sede di programmazione. La valutazione dei risultati è indispensabile per l’erogazione del premio produttività o di risultato. Il corretto funzionamento di un sistema di valutazione richiede un notevole investimento iniziale in termini di risorse e di capacità professionali, la condivisione delle scelte tecniche del sistema e la diffusione e l’interiorizzazione di una cultura valutativa. Tali elementi – purtroppo –stentano a radicarsi nel settore pubblico. La scarsa risonanza della valutazione nelle amministrazioni pubbliche trova una sua ratio nel complesso intreccio di fattori culturali che ne hanno inibito la sedimentazione. Nel tradizionale rapporto di impiego delle pubbliche amministrazioni la valutazione della quantità e della qualità dei contributi individuali è sempre stata assente, anche quando era formalmente prevista (note di qualifica). Le ragioni di questo fatto sono diverse e tutte profondamente radicate nel paradigma burocratico che fosse necessario tutelare la neutralità del "pubblico ufficiale", mettendolo al riparo da giudizi che avrebbero potuto condizionarne il comportamento. Inoltre, ha contribuito ad alimentare la marginalità di una cultura centrata sulla valutazione la diffusa tendenza degli operatori delle aziende pubbliche a basarsi su prassi consolidate, tipiche di un sistema burocratico poco attento ai risultati. Un comportamento che risultava profondamente ancorato alla cosiddetta "cultura dell’impersonalità dell’azione amministrativa" che escludeva a priori qualsiasi forma di valutazione per evitare l’introduzione di qualsiasi forma di soggettività in una sommatoria di sequenze precodificate (atti). Nella maggior parte dei casi, anche nei contesti in cui la valutazione è stata adottata, essa ha sempre avuto carattere di mero adempimento formale, privo, quindi, di organicità e sistematicità. A ciò si aggiungano le difficoltà operative legate all’implementazione di un sistema di valutazione, un ostacolo che trova origine pure nello scarso coinvolgimento degli attori organizzativi nell’elaborazione del sistema da adottare, la cui definizione è sovente rimessa a delle società di consulenza esterne all’azienda pubblica. Infine, l’operatività dei sistemi introdotti è molto spesso limitata dall’impossibilità di adattare e plasmare in toto i metodi di valutazione al complesso sistema organizzativo e professionale degli enti pubblici, alle relative interdipendenze operative e alla vasta gamma di obiettivi, anche di carattere sociale. 3.2. Vincoli e priorità della valutazione nelle Pubbliche Amministrazioni A fronte della pluralità delle metodologie elaborate dalla teoria organizzativa, nel settore pubblico, dunque, il problema principale non è tanto l’individuazione di un metodo che funga da unicum, ossia omogeneo e standardizzato per tutti, quanto la congruità della scelta del sistema di valutazione rispetto alla struttura organizzativa dell’ente, al suo sistema professionale e alle sue risorse umane. Tale scelta non è arbitraria, ma è vincolata sotto diversi aspetti in quanto: - deve essere effettuata tenendo conto delle specificità della struttura organizzativa e, perciò, differenziando le metodologie ed i parametri della valutazione in funzione di essa; - non può prescindere dal tipo di sistema premiante previsto dalla contrattazione collettiva; - necessita dell’individuazione degli scopi strategici per cui la valutazione viene adottata; - presuppone l’esplicitazione formale del cosa si intende valutare, ossia dell’oggetto e della dimensione dell’analisi della valutazione, e dei destinatari della valutazione (organi politici, dirigenti, responsabili delle strutture organizzative, ecc.); - dipende dalla preventiva predisposizione di un adeguato sistema informativo (sul sistema professionale, sulla tipologia e sulla qualità delle risorse umane) che sia fruibile, prima, dai costruttori del sistema di valutazione e, dopo, dagli stessi valutatori. Nel comparto pubblico, le distorsioni dei vincoli imposti alla scelta del sistema di valutazione sono enormemente amplificate dal persistere di una cultura burocratica che – di fatto - rischia di snaturare gli strumenti e, conseguentemente, per distorcere le finalità. A differenza di quanto avviene nel settore privato, infatti, nella P.A., la scelta ha come base il quadro normativo piuttosto che le reali esigenze dell’organizzazione. Si parte, infatti, da ciò che il contratto statuisce per dedurne ciò che è necessario fare, solo in un secondo momento si cercano le ragioni e le motivazioni affinché gli strumenti adottati possano rispondere ad esigenze e logiche aziendali (tav. 1). Tav. 1 – Gli approcci alla valutazione Approccio Giuridico Approccio Aziendale Indicazioni del quadro normativo Analisi delle esigenze aziendali e definizione delle politiche di gestione del personale (previsioni contrattuali sulla valutazione) Deduzione dei meccanismi Individuazione degli strumenti e dei meccanismi (interpretazione "autentica") Aggiustamento e ricerca delle compatibilità rispetto alle esigenze aziendali Aggiustamento e ricerca delle compatibilità rispetto al quadro normativo (previsioni contrattuali sulla valutazione) Fonte: MIPA, 2004 La mancata definizione degli obiettivi che si intende perseguire produce un’inevitabile confusione nell’applicazione degli strumenti. D’altra parte, è assolutamente pretenzioso credere che la logica giuridica possa essere l’unica determinante del risultato soprattutto quando è frutto di un laborioso processo di composizione di interessi diversi, come avviene nel caso di un contratto collettivo nazionale di lavoro. Tante, dunque, sono le motivazioni all’origine delle difficoltà operative di implementazione di un sistema di valutazione efficace, ma la loro semplice comprensione rappresenta una condizione necessaria, ma non sufficiente, fintantoché non si scioglierà uno dei nodi insoluti del pubblico impiego, ossia il dubbio amletiano del "se e perché valutare". La questione non è certo di secondaria importanza dato che forse, per molti, non è ancora molto chiaro quale valore aggiunto dia la valutazione alla gestione amministrativa, quali siano i reali benefici per i dirigenti ed i dipendenti e quali gli effetti, non solo sulle retribuzioni e sulle progressioni di carriera, ma anche sul clima organizzativo e sulla sfera motivazionale dei lavoratori dipendenti. Su tali quesiti non esiste una uniformità di vedute, lo dimostra l’incertezza e la profonda diversità dei metodi e degli strumenti utilizzati ai differenti livelli dell’amministrazione. In merito, permangono tuttora notevoli perplessità, alcune delle quali imputabili sia alle scelte metodologiche operate, ma anche all’ampia soggettività e discrezionalità con cui alcune procedure di valutazione sono effettuate. Il pericolo di un uso improprio della discrezionalità è dunque il principale elemento inibitore del mancato consenso sui sistemi di valutazione. Una paura che sembra alimentata dalla possibilità che nelle procedure di valutazione del comparto pubblico non contino esclusivamente le prestazioni individuali quanto altre variabili, quali l’appartenenza a gruppi di potere o, in alcuni casi, le conoscenze altolocate. 4. Obiettivi e competenze: le unità elementari della valutazione 4.1. Cenni sulle metodologie in uso In alcune amministrazioni, il problema dell’eccessiva discrezionalità della valutazione gerarchica è stato parzialmente risolto con l’introduzione della valutazione per obiettivi che – di fatto - attiene a programmi e verifiche dei risultati conseguiti sia di tipo quantitativo che qualitativo. Rappresentativo del primo tipo, è la metodologia MBO (Management by Objective) che prevede la definizione di obiettivi misurabili generalmente attribuiti ad inizio anno e valutati nel merito a conclusione del periodo stabilito. Una volta concordati gli obiettivi con il valutato, la procedura di valutazione consiste nella verifica dei risultati conseguiti, effettuata sulla base della documentazione acquisita e precedentemente predisposta. La valutazione per obiettivi di tipo qualitativo si basa, invece, su un programma di obiettivi e/o di attività che il valutato deve svolgere durante l’anno. In questo caso, la valutazione mira a verificare la qualità delle attività svolte e del risultato conseguito. Entrambe le metodologie, tuttavia, presentano dei limiti. La valutazione dei risultati di tipo quantitativo – di fatto - è efficace solo mediante una chiara identificazione degli indicatori ed una preventiva definizione degli strumenti di controllo. Senza dubbio, tale metodo ha il vantaggio di snellire l’iter della valutazione aumentandone la rapidità e l’efficacia; consente una maggiore obiettività; tende a livellare le differenze di giudizio espresse da valutatori diversi, proprio perché si basa su indicatori di tipo numerico, statistico, derivati dai dati di rendimento amministrativo, o di tipo economico e finanziario, che vengono verificati sulla base dei risultati attesi dagli uffici di controllo interno. Tuttavia, l’impossibilità di operare verifiche in tempo reale – anche a causa dell’estrema complessità della macchina amministrativa -, la limitatezza degli strumenti e l’aleatorietà degli indicatori quantitativi hanno indotto una parte significativa delle amministrazioni ad utilizzare indicatori di tipo qualitativo. La preferenza per le metodologie qualitative affonda le sue radici non solo nella difficoltà operativa di individuare indicatori di risultato e di definire procedure consolidate, ma anche negli scopi finali della stessa valutazione. Per molte amministrazioni, infatti, il sistema di valutazione adottato deve promuovere un processo di apprendimento di una nuova cultura gestionale oppure responsabilizzare la dirigenza nella gestione dei collaboratori non tanto in funzione della norma e della disciplina quanto in funzione dei risultati. Le metodologie di tipo qualitativo, comunque, sono inefficaci nei contesti in cui manca un adeguato sistema di comunicazione interna e, soprattutto, in cui sono carenti capacità tecniche in grado di formulare programmi, ossia di articolare il programma in fasi e, per ciascuna di esse, di definire le attività e predisporre le risorse necessarie. I limiti operativi della valutazione per obiettivi, sia quantitativa che qualitativa, hanno indotto alcune amministrazioni a cercare per la valutazione delle prestazioni soluzioni alternative e ad adottare il modello delle competenze. Con tale metodologia diventa prioritario il modo con cui si raggiungono gli obiettivi (conoscenze e comportamenti organizzativi) e non la verifica del loro reale conseguimento. Il presupposto teorico di questa forma di valutazione è che – per l’effettivo raggiungimento di buoni risultati – i comportamenti degli attori organizzativi debbano essere coerenti con la missione, i valori e gli obiettivi dell’organizzazione. Le modalità con cui è applicato il modello delle competenze variano in maniera significativa in ciascuna amministrazione. La valutazione, infatti, può avvenire sulla base delle competenze considerate importanti per il perseguimento degli obiettivi stabiliti oppure sulla base di tutte le competenze stabilite dal modello. In alcuni casi, le competenze fanno parte di un sistema misto che vede, da una parte, la valutazione di un programma di attività concordato e, dall’altra, le competenze esercitate per conseguirlo. In altri contesti, il modello delle competenze costituisce l’unico ambito in cui si esercita la valutazione in quanto non si ritiene possibile considerare altri tipi di indicatori. Varia da amministrazione ad amministrazione anche la stessa concettualizzazione del modello delle competenze: da alcuni, è considerato come un sistema composto da comportamenti che riflettono attitudini o abilità percepite; da altri, come un sistema caratterizzato da comportamenti che riflettono l’utilizzo delle conoscenze professionali. Metodo globale di gestione delle risorse umane – di cui la valutazione delle prestazioni costituisce una delle possibili applicazioni - il modello delle competenze non elimina, comunque, le critiche sulla discrezionalità delle procedure, questo perché gli standards di riferimento non sempre sono certi e condivisi. Molte amministrazioni, inoltre, hanno introdotto la valutazione delle prestazioni per mezzo delle competenze senza un adeguato supporto metodologico. Accade, ad esempio, che la competenza sia descritta in poche parole senza individuare una casistica di comportamenti che la definiscano meglio e ne consentano una percezione comune oltre che condivisa. Il rischio inverso, invece, è quello di generalizzare il concetto e di intendere la competenza come espressione delle capacità individuali considerate indipendenti dal contesto in cui sono esercitate o, peggio ancora, come quel complesso di capacità richieste dall’amministrazione a prescindere dal patrimonio di caratteristiche individuali delle risorse umane che appartengono all’ente. Proprio a causa di queste divergenze, è abbastanza diffuso l’utilizzo di sistemi misti, i quali vengono preferiti per due ordini di ragioni. La prima ha indubbiamente origine nei limiti intrinseci della valutazione per obiettivi che, infatti, tende a privilegiare i risultati individuali e ad attribuire poca rilevanza ad alcuni comportamenti organizzativi (ad es. la cooperazione tra individui o tra settori di uno stesso ente). La seconda ragione deriva dalla propensione di alcuni comparti dell’amministrazione a favorire il consolidamento di modelli in cui vengono premiati soprattutto quei comportamenti, attitudini e valori inerenti le capacità di realizzare progetti e gestire le risorse. 4.2. La scelta dei valutatori La scelta dei valutatori rappresenta un passaggio fondamentale nell’implementazione di un sistema di valutazione. I soggetti che possono rivestire il ruolo di valutatori possono essere diversi e comprendere i capi dei soggetti valutati, la direzione del personale, un gruppo di individui di pari livello del valutato oppure il valutato stesso, se il processo è di autovalutazione. Normalmente, nei contratti di pubblico impiego, i soggetti valutatori sono i dirigenti. Tuttavia, allo stato attuale, si tende ad implementare dei sistemi non di tipo one over one, in cui la valutazione viene effettuata dal capo diretto, ma di tipo multiple appraisal, in cui vi sono più attori del processo. La creazione di un simile sistema necessita, tuttavia, la definizione di procedure di raccolta delle informazioni e, quindi, di un efficace sistema informativo, ossia di una struttura logica di dati, di finalità e di metodi di riferimento. Il sistema informativo è quindi essenziale per il corretto utilizzo dei sistemi di valutazione anche perché consente ai valutatori – anche in condizioni di incertezza estimativa – di avere a disposizione un sistema che permette di stimare le componenti di risultato contrattualmente previste, creando progressivamente una base dati utile per misurare gli scostamenti rispetto ai risultati attesi e, dunque, definire meglio le azioni correttive. La scelta dei valutatori e la definizione di un sistema informativo rappresentano dei passaggi essenziali in un qualsiasi procedimento di valutazione in quanto, considerati congiuntamente, contribuiscono a delineare quello che comunemente viene definito lo stile di direzione dell’amministrazione, ossia il tipo di relazioni che intercorrono tra il soggetto al vertice ed i collaboratori. Lo stile di direzione varia sensibilmente in relazione al procedimento adottato per la valutazione. In tal senso è possibile distinguere tra: - la valutazione gerarchica, di competenza del superiore diretto del valutato che può esercitare questa funzione con diverse gradazioni di autonomia, ossia con o senza verifica del proprio operato da parte dei livelli superiori. Questa forma di valutazione è utilizzata dalla maggioranza delle amministrazioni ed, in alcuni casi, prevede il diretto coinvolgimento del valutato in sede di definizione degli obiettivi. Nei casi della valutazione per programmi di attività e per competenze, il valutato è coinvolto sia nella fase di definizione delle attività del programma sia nella valutazione dei risultati; - l’autovalutazione, che può essere effettuata per qualsiasi livello e ruolo della struttura organizzativa. In questo caso, le procedure possono essere diverse e possono consistere nella compilazione di un questionario o nella stesura da parte del valutato di un rapporto annuale sulle attività svolte e sui risultati conseguiti; - la valutazione del dirigente da parte dei colleghi e/o dei diretti collaboratori. Lo strumento utilizzato per questo procedimento è il questionario che, infatti, mira ad accertare il tipo di rapporto che il collaboratore ha instaurato con il proprio dirigente. Se, da un lato, la valutazione dei collaboratori rappresenta una sorta di verifica incrociata della congruenza della valutazione effettuata dal superiore gerarchico; dall’altro lato, esiste la possibilità che la valutazione svolta con queste modalità non sia del tutto imparziale e sia condizionata da un comportamento dei collaboratori eccessivamente critico e negativo nei confronti del superiore; - la valutazione da parte di organismi esterni alla struttura. Tali organi collegiali sono di norma composti da membri del vertice amministrativo, da consulenti e da esperti. La funzione svolta da questi organismi, tuttavia, rappresenta un punto controverso in quanto, secondo alcuni, dovrebbe limitarsi alla verifica della correttezza metodologica dell’iter procedurale della valutazione senza entrare nel merito della valutazione delle singole prestazioni. Indipendentemente dal procedimento adottato, il problema più significativo attiene dunque la garanzia dell’equità delle procedure definite dall’impianto di valutazione. In tal senso, le opinioni sono divergenti. Le OO.SS., in genere, sono particolarmente favorevoli all’introduzione nel sistema pubblico di metodologie basate su parametri misurabili e sottoposte alla valutazione di organismi esterni alla gerarchia della struttura organizzativa (comitati di esperti, organismi di controllo, nuclei di valutazione, ecc.). Tuttavia, come più volte sottolineato, l’introduzione di metodologie quantitative – come l’MBO – può dare luogo a delle distorsioni. L’obiettività e l’equità delle procedure, secondo questa impostazione, può essere garantita solo da una graduale socializzazione all’utilizzo degli strumenti in modo tale da realizzare il consenso diffuso e la legittimazione sociale della valutazione. Ovviamente, in questo caso, si esclude la possibilità che controllo esercitato da organismi esterni alla struttura possa sostituirsi in toto a quello gerarchico. 4.3. Le fasi della valutazione Come anticipato, una spinta significativa alla predisposizione di un tipo di organizzazione per risultati è stata data dalla previsione dell’obbligo per la P.A. di avviare un sistema permanente di valutazione delle prestazioni e dei risultati, quale presupposto per l’attivazione dei sistemi premianti previsti nel contratto stesso. I sistemi incentivanti previsti nella contrattazione collettiva solo alimentati da fondi destinati al miglioramento della produttività e della qualità dei servizi erogati. Da tali fondi vengono attinte le risorse che concorrono alla determinazione della parte variabile della retribuzione: ossia di quella parte del salario che viene erogata alla fine del periodo stabilito come incentivo in caso di raggiungimento di determinati obiettivi definiti, in sede di programmazione, all’inizio del periodo. La quota dell’incentivo variabile, espresso in termini percentuali rispetto alla retribuzione fissa, misura quindi il livello di flessibilità del sistema retributivo. Nel pubblico impiego, il trend predominante va nella direzione di una marcata flessibilizzazione dei salari e tende a privilegiare, nella distribuzione delle risorse contrattuali, l’incremento del fondo destinato al miglioramento dei servizi e delle prestazioni rispetto all’aumento dei salari della retribuzione tabellare. L’introduzione di sistemi incentivanti è finalizzata a garantire il potenziamento della gestione interna delle organizzazioni pubbliche. Per molti, l’incentivazione per obiettivi consente di realizzare un’esatta coincidenza tra obiettivi delle amministrazioni e quelle dei dirigenti e permette una conoscenza e una verifica, collettiva e individuale, dei risultati dell’organizzazione. Tuttavia, secondo altri, i sistemi finora adottati possono essere ulteriormente migliorati assicurando una maggiore trasparenza degli obiettivi e stabilendo una maggiore equità nelle forme di riconoscimento retributivo. Il regolare funzionamento di un sistema basato sull’incentivazione per obiettivi necessita che nelle procedure di valutazione si considerino due distinte dimensioni: - una, oggettivo - quantitativa che afferisce al risultato conseguito dal soggetto; - l’altra, soggettivo – quantitativa che si riferisce alla prestazione, al comportamento e/o alle capacità del soggetto. Ovviamente, nei casi in cui, per la natura dell’ente, non sia possibile individuare degli obiettivi che siano riconducibili alla prestazione individuale del lavoratore si tende a valutare il comportamento del soggetto. Diversi sono i comportamenti che possono essere valutati, alcuni dei quali variano profondamente in funzione della professionalità e della posizione considerata. In determinati contesti, si valuta e si premia la permanenza nel sistema (cd. anzianità di servizio) oppure il comportamento produttivo, laddove sia richiesta una prestazione di quantità; in altri ambiti, possono avere rilievo anche altre espressioni comportamentali come la capacità a cooperare o la naturale propensione del soggetto all’innovazione. In alcune organizzazioni pubbliche, inoltre, può essere rilevante la valutazione delle capacità effettivamente espresse dal soggetto in rapporto alla posizione occupata piuttosto che quella relativa al comportamento. Ovviamente, le combinazioni possibili tra i diversi elementi della valutazione sono molteplici. Di regola, vengono selezionati i fattori considerati critici e caratteristici dello specifico ambito di analisi. L’individuazione dei fattori caratteristici di una categoria è naturalmente subordinata all’approfondita conoscenza del sistema professionale dell’ente, ma può pure dipendere da un procedimento contrattuale integrativo tra i rappresentanti dell’ente ed i rappresentanti dei lavoratori. Di norma, i contratti prevedono sia dei fattori specifici alla singola categoria che dei fattori comuni a tutte le categorie. Una volta individuati i fattori di valutazione delle prestazioni, il passaggio successivo consiste nella creazione di una griglia in cui si inseriscono, in via descrittiva, le caratteristiche connesse alla professionalità in termini di conoscenze, capacità, atteggiamenti e comportamenti organizzativi (fattori di valutazione delle prestazioni). Segue, poi, la definizione delle scale di giudizio e, quindi, l’attribuzione a ciascun fattore di un peso percentuale relativo all’interno del complesso della prestazione. Quest’ultima attribuzione serve ad orientare il lavoratore nello svolgimento del suo lavoro in quanto, indirettamente, stabilisce delle priorità d’azione. In genere, è prevista la costruzione di una griglia di valutazione per ogni tipo di professionalità dell’ente. La differenziazione delle griglie non solo tiene conto della professionalità, responsabilità e dei contenuti della posizione organizzativa considerata, ma rende il sistema di valutazione contestuale al tipo di organizzazione aziendale nella quale la posizione valutata si inserisce. La scheda di valutazione, dunque, contiene tutti i fattori di prestazione (comportamentale, di capacità, di conoscenza, di professionalità) selezionati in base agli incroci tra ambiti di attività (istituzionale, di line, di staff, giuridica, contabile, ecc.), categoria professionale e area di attività, con l’attribuzione poi di un peso differente ai singoli fattori. Fa seguito all’individuazione dei fattori e all’attribuzione di un peso (prestazione attesa), la definizione dei parametri standard per ciascun fattore. La valutazione si conclude con il confronto diretto tra il punteggio standard, attribuito a priori, ossia quello raggiunto da chi offre all’ente una prestazione sufficiente, ed il valore effettivamente conseguito dal valutato. 5. Alcune esperienze di valutazione: due casi emblematici 5.1. Indicazioni e principi per la messa in opera A causa della complessità delle variabili coinvolte, è evidente come il tema della valutazione presenti numerosi elementi di criticità. Le precedenti considerazioni infatti mettono in luce due principi di base che dovrebbero accompagnare l’adozione di un qualsiasi sistema di valutazione: - il primo, si riferisce alla gradualità nell’introduzione delle logiche e dei meccanismi di valutazione. Diretto corollario della gradualità dovrebbe essere la tendenza ad adottare soluzioni semplici e facilmente gestibili. La complessità della strumentazione come garanzia dell’oggettività della valutazione non sempre è un indicatore dell’efficacia dell’intero processo; - il secondo, invece, attiene alla sperimentalità. La sofisticazione e l’arricchimento del sistema, dunque, deve essere il frutto di un graduale processo di apprendimento delle tecniche utilizzate, la cui bontà deve essere periodicamente verificata tramite la predisposizione di interventi correttivi che ne garantiscano il reale miglioramento. Malgrado in linea di principio sia possibile individuare delle linee guida per l’introduzione della valutazione, non esistono esperienze a cui fare riferimento per poter operare scelte fondate e mutuare meccanismi di concreta applicazione. Tuttavia, nelle pagine seguenti si da conto di due distinte esperienze di valutazione. Ovviamente, l’intento non è quello di proporre soluzioni, ma di mettere in rilievo l’importanza dei metodi che tengono conto del valore e delle specificità dei singoli casi. Il fatto di mettere l’accento non sui modelli, ma sui processi di implementazione consente di individuare le principali criticità di un tema così controverso. 5.2. Il caso INAIL: tra infrastrutturazione tecnologica e valorizzazione delle risorse umane 5.2.1. La riorganizzazione interna Negli ultimi anni, l’INAIL ha realizzato una rilevante riorganizzazione interna che ha determinato l’abbandono della precedente struttura organizzativa – sostanzialmente articolata per funzioni - e l’assunzione di un modello operativo innovativo, principalmente basato sui processi e sulle competenze. Il ripensamento aziendale è stato il punto di partenza di una dinamica trasversale che ha investito, da un lato, le strutture organizzative dell’Ente e, dall’altro lato, ha contribuito a modificare in maniera netta i processi di gestione e sviluppo delle risorse umane. Tale mutamento è stato supportato da un poderoso processo di informatizzazione che ha avuto un ruolo chiave nell’implementazione di un sistema di valutazione e sviluppo delle risorse umane assolutamente innovativo. Nel nuovo impianto, quindi, le risorse umane sono diventate la variabile indipendente delle scelte aziendali e hanno acquisito una posizione di tutto rilievo: il capitale umano, a differenza del passato, è ora considerato una vera e propria leva strategica per la valorizzazione del patrimonio delle competenze dell’Istituto. Da un punto di vista organizzativo, la finalità principale del nuovo sistema di valutazione e sviluppo delle R.U. è stata quella di mettere a fattore comune e rendere quindi disponibili informazioni individuali sull’organico dell’Ente. Il nuovo impianto è stato dunque ideato per: - consentire una rilevazione puntuale dei fabbisogni formativi dei dipendenti ed orientare la programmazione dei percorsi di aggiornamento e qualificazione individuali; - definire un’allocazione ottimale delle risorse umane compatibile con le peculiarità e specificità della struttura organizzativa; - raccogliere un patrimonio informativo fruibile ai fini delle selezioni per la progressione di carriera, secondo le modalità definite d’intesa con le Organizzazioni Sindacali; - rilevare il livello di raggiungimento dei risultati individuali in modo tale da determinare la quota della retribuzione accessoria correlata alle prestazioni dirigenziali, coerentemente con quanto previsto dalla contrattazione collettiva ed integrativa aziendale. L’operatività e l’efficacia del sistema sono garantite da una infrastruttura tecnologica complessa che, tramite il supporto informatico, consente a tutti gli attori interni del processo (le risorse valutate, i dirigenti valutatori, i quadri, i professional, a cui sono attribuiti funzioni di consulenza interna, ed i gestori) di accedere all’intranet aziendale e di acquisire – secondo una modalità di tipo self service – i dati necessari. Le informazioni disponibili on line sono sia di natura anagrafica ed organizzativa (inquadramento contrattuale, collocazione organizzativa e posizione professionale) sia di natura produttiva. Il sistema self service consente dunque l’interazione tra il dipendente e l’Istituto e permette un accesso immediato e trasparente alle informazioni personali e ad una gamma di servizi interattivi per la gestione corrente individuale e di ufficio. 5.2.2. I sistemi di valutazione consolidati Già in passato l’Istituto ha introdotto dei sistemi di valutazione e sviluppo delle risorse umane limitati però alla definizione delle posizioni organizzative – una valutazione che dal canto suo ha comunque contribuito a modellare l’Ente, definendone la dotazione organica e l’evoluzione di specifiche posizioni organizzative e di mestiere – ed alla determinazione della cosiddetta retribuzione accessoria. Nello specifico, la valutazione delle posizioni ha supportato il consolidamento di un nuovo assetto organizzativo mediante la definizione e l’attribuzione di compiti e responsabilità per ciascun livello della struttura. La determinazione dei percorsi di carriera e delle retribuzioni è stata invece rimessa ad altre forme di valutazione. In particolare, l’introduzione di un sistema di valutazione dei risultati ha consentito di legare la quota di retribuzione considerata variabile non alla posizione organizzativa del valutato, ma ai risultati conseguiti dal medesimo in un determinato arco temporale. Attualmente, questo sistema interessa l’organico delle aree, ossia il personale impiegatizio, oggi composto da circa novemila impiegati amministrativi e tecnici. A questi si aggiungono oltre un migliaio di professional e circa trecento dirigenti di prima e di seconda fascia. Nell’ambito della struttura, i professional (medici, avvocati, ingegneri, biologi, chimici, ecc.) rappresentano una sorta di ibrido in quanto, pur avendo stabilito con l’Istituto un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, svolgono attività di tipo professionale a tutti gli effetti e sono dunque iscritti ai relativi Albi. La valutazione di risultato - introdotta nell’Istituto da circa quindici anni – è oggi strettamente connessa alle attività di programmazione e controllo e presuppone il diretto coinvolgimento delle Organizzazioni Sindacali nella definizione annuale degli obiettivi specifici di produzione al cui raggiungimento è ancorata una quota significativa della retribuzione accessoria, detta retribuzione di risultato. Detto sistema non prevede una valutazione individuale, ma una valutazione collettiva dei risultati conseguiti o dalle strutture o da staff impegnati su progetti specifici. Il raggiungimento degli obiettivi, siano essi speciali e/o di struttura, viene incentivato e finanziato da fondi appositamente previsti nei contratti. In genere, gli obiettivi sono stabiliti nel corso di un articolato iter di negoziazione - che si svolge tra i primi di giugno e la fine di settembre - che investe tutte le strutture operative che compongono l’organizzazione dell’Ente. Si tratta di un processo che interessa tutti i livelli: parte dal basso, ossia dalle compagini territoriali, per procedere per accordi progressivi verso l’alto, fino a coinvolgere la sede centrale. La negoziazione progressiva è, di fatto, la base per gli atti deliberativi degli organi che hanno il compito di definire gli obiettivi di produzione per l’anno successivo. Il set di obiettivi così individuato deve essere significativo per tutti i livelli di struttura, distinguendo però tra il livello regionale e quello nazionale. In questa fase non è previsto l’intervento delle Organizzazioni Sindacali, poiché la negoziazione degli obiettivi di struttura attiene l’attività di programmazione e controllo dell’Ente. All’inizio di ogni anno, invece, viene definito un set di obiettivi più limitato - già previsti dal target della negoziazione realizzata a livello di programmazione e controllo - ed inizia, sia a livello nazionale che a livello territoriale, il confronto diretto con le OO.SS. Il fine ultimo della trattativa è quello di selezionare un ventaglio di obiettivi significativo, che tenga conto delle specificità dato che le potenzialità, i vincoli, le risorse, variano profondamente non solo fra livelli operativi, ma anche da struttura a struttura. La determinazione di obiettivi specifici è fondamentale data l’estrema disarticolazione territoriale dell’INAIL, presente su tutto il territorio nazionale con un sistema variegato di strutture periferiche: oltre alle sedi provinciali, sono presenti – se la dimensione della provincia lo consente – delle sedi zonali, senza contare che nelle grandi aree metropolitane, come Roma e Milano, esistono più sedi dirigenziali nell’ambito della stessa provincia. È ovvio, data la profonda differenziazione organizzativa delle strutture periferiche, che il set di obiettivi specifici debba essere necessariamente variabile. In genere, per le sedi territoriali viene definito un ventaglio di 20-25 obiettivi, misurabili in termini matematici. Nella maggioranza dei casi, la misurabilità dei risultati è garantita da sistemi di rilevazione automatici che monitorano sia i risultati intermedi sia quelli finali, tenuto conto della situazione di partenza. Il sistema di rilevazione è dunque completamente informatizzato e standardizzato. L’intervento umano invece ha rilievo solo nella fase di lettura e di comprensione di eventuali scostamenti rispetto a quelli attesi o nell’interpretazione di elementi e/o fattori considerati anomali. Normalmente, il target è di tipo quantitativo/temporale – non di natura finanziaria - riguarda la qualità e l’efficacia del risultato piuttosto che l’efficienza dei processi. Allo stato attuale, per la valutazione sono considerati due tipi di parametri: 1) i tempi medi di erogazione delle prestazioni misurati in numero di giorni o come durata, ossia come tempo massimo – minimo di erogazione delle prestazioni; 2) il numero assoluto o la quota percentuale di casi che ricade nell’arco temporale definito come target. Gli indicatori introdotti, dunque, tendono a valutare principalmente la tempestività come variabile discriminante dell’erogazione delle prestazioni o la quantità di casi trattati o definiti in un certo modo, misurati in termini percentuali o in valore assoluto. Se la carta dei servizi dell’Istituto, ad esempio, prevede che una certa prestazione debba essere erogata in 30 giorni, il parametro di valutazione potrebbe essere o la percentuale di casi erogati nei termini stabiliti oppure il tempo medio impiegato per l’erogazione della prestazione. Diverso, invece, il discorso per le strutture di staff come nel caso delle Direzioni Regionali e della Direzione Generale. Queste ultime, infatti, hanno un set di obiettivi differenti perché in realtà svolgono funzioni di coordinamento, di garanzia, di supporto ed erogano alcuni servizi trasversali per il sostegno dell’attività delle strutture territoriali. Per le strutture di staff, inoltre, gli obiettivi specifici sono prevalentemente di natura organizzativa o normativa ed hanno quindi una valenza qualitativa più che quantitativa. Gli obiettivi in questo caso sono dei veri e propri programmi di azione di cui vengono valutati non solo i risultati finali, ma anche quelli intermedi che vengono verificati durante i diversi stadi di avanzamento del programma. La valutazione finale è ultimata mediante la determinazione della quota percentuale di scostamento al risultato programmato. La retribuzione di risultato varia quindi in funzione della fascia di scostamento rispetto al risultato atteso. Ad esempio, dal 90% al 100% l’obiettivo si considera raggiunto. L’incentivo decresce progressivamente col diminuire della classe di scostamento. Sotto il 70% l’obiettivo si considera non raggiunto. Sotto il profilo metodologico la valutazione dei risultati ha richiesto continui aggiustamenti e l’adozione di azioni correttive che migliorassero l’efficacia e l’operatività complessiva del sistema. La progressiva informatizzazione dell’Ente, tuttavia, non solo ha agevolato il perfezionamento del modello, ma ha consentito di affinare e snellire le procedure selettive per le progressioni di carriera. Il sistema di valutazione per gli avanzamenti di carriera è molto variegato in quanto dipende dai sistemi contrattuali in vigore e dal turn over dell’organico. Occorre notare che per i professional vigono norme contrattuali diverse e quindi per l’attribuzione e per la verifica degli incarichi vengono istituite delle apposite commissioni generalmente composte dal Direttore Generale e – dato l’elevato livello professionale della figura - da membri esterni. L’ultima batteria di selezioni interne - avviate alla fine del 1999 e proseguite per tutto l’anno 2000 – ha consentito di ricollocare il personale mediante dei percorsi formativi appositamente programmati. Ciò è stato possibile grazie alla nuova stagione contrattuale che ha modificato il sistema di classificazione ed ha definito le posizioni ordinamentali e quelle di sviluppo economico in maniera più articolata rispetto al sistema preesistente. La modifica del sistema di classificazione delle posizioni organizzative è stata dunque l’occasione per riposizionare tutto il personale, in particolare le figure intermedie che – di fatto - andavano ad assumere nuovi ruoli e nuove responsabilità. In alcune circostanze, la mobilità verticale ha comportato anche quella orizzontale, questo perché sono stati numerosi i casi in cui chi aveva il diritto di accedere ad una posizione più elevata nell’ambito della struttura organizzativa transitava ad un’assunzione di responsabilità superiore, non sempre nell’ambito del proprio processo, ma in seno ad un altro di pari livello. La gestione di tali cambiamenti non è stata agevole perché nello stesso arco temporale si sono intersecati più dinamiche di trasformazione radicale: da un lato, si andava consolidando un nuovo sistema organizzativo; dall’altro lato, era in corso una vera e propria rigenerazione e modernizzazione di tutto il patrimonio informatico. La formazione svolta, soprattutto a livello apicale, ha consentito di arginare le inefficienze di sistema che la transizione, tuttavia, stava generando. 5.2.3. La nuova infrastruttura metodologica Nel 2003, l’INAIL ha varato un modello basato sull’analisi delle competenze che non ha sostituito i sistemi di valutazione preesistenti, ma, in realtà, li ha integrati e perfezionati, contribuendo a far penetrare in seno alla struttura un concetto del tutto innovativo, ossia quello della gestione integrata delle R.U. La necessità di adottare un modello di valutazione basato sulle competenze era avvertita all’interno dell’INAIL già da qualche anno, non solo perché esplicitamente previsto dalla legge e dalla normativa contrattuale, ma anche per ottimizzare e dare scientificità a delle metodologie precedentemente adottate per alcuni interventi mirati (ad esempio, per l’individuazione di specifiche figure professionali come i formatori, gli informatici, i funzionari di vigilanza e gli analisti di organizzazione). Il modello di valutazione delle competenze che, come anticipato, non sostituisce, ma integra i precedenti, ha inteso realizzare un intervento di tipo globale. Si è dato perciò al sistema un valore unificante, rivolgendosi indistintamente sia ai dirigenti, sia ai professional sia, infine, al personale delle aree, senza nessuna esclusione. Si è ritenuto che fosse di fondamentale importanza creare una infrastruttura di base che coinvolgesse tutto l’organico. Ciò ha avuto un forte impatto sull’organico anche dal punto di vista motivazionale poiché ha contribuito a non far sentire nessuno escluso. Negli intenti originali, il sistema di valutazione delle competenze non è stato dunque implementato a supporto di procedure selettive né per l’accesso alla dirigenza, dato che dipende da specifiche procedure concorsuali, né come strumento per l’attribuzione di incarichi a personale di diverso livello. La finalità primaria è stata quella di raccogliere un patrimonio di informazioni sui livelli di padronanza dei set di competenze ritenute fondamentali per la vita dell’Ente e per il raggiungimento degli obiettivi aziendali. L’infrastruttura metodologica, definita recentemente, prevede due sottosistemi: - la valutazione delle prestazioni, che mira a valutare i comportamenti organizzativi ed le competenze tecniche possedute, quest’ultima effettuata mediante l’autovalutazione. Tale forma di valutazione riguarda i segmenti più elevati dell’organico INAIL: circa 250 Dirigenti di II fascia, 600 medici di I e di II livello, 650 professional appartenenti a diversi rami professionali. Al momento, quindi, la valutazione delle prestazioni interessa solo l’apparato dirigenziale ed è finalizzata alla verifica dei risultati individuali rispetto agli obiettivi assegnati; - la valutazione delle competenze e del potenziale, che coinvolge circa 9.500 unità, fra quadri e impiegati. Nello specifico, la valutazione delle competenze si riferisce sia alle competenze comportamentali (manageriali, relazionali e cognitive) sia a quelle di tipo tecnico, legate alla specifica posizione organizzativa. L’obiettivo è fare il focus sulle aree di criticità e di eccellenza dell’organico in modo da orientare meglio le azioni di formazione e sviluppo. La valutazione del potenziale, invece, mira ad individuare le capacità latenti ovvero le potenzialità di crescita verticale dei soggetti dell’organizzazione. Da un punto di vista metodologico, sia la valutazione dei comportamenti organizzativi sia la valutazione delle competenze condividono la stessa piattaforma professionale, ossia una comune griglia di valutazione in cui sono state definite le competenze di istituto, comune a tutti i dipendenti, le competenze di ruolo e posizione, selezionate per sottogruppi omogenei di valutati e le competenze tecniche, strettamente attinenti allo specifico mestiere. La piattaforma professionale - definita ad hoc tenendo conto delle specificità della struttura - è attualmente articolata in 52 figure professionali per ognuna delle quali è stato descritto il set di competenze comportamentali (da 9 a 14) e tecniche (max 10) oggetto della valutazione ed il profilo atteso, espresso dal livello di padronanza di ciascuna competenza definito in una scala di valori incrementali da 0 a 5. Cinque rappresenta l’eccellenza, uno è il livello di padronanza minimo e zero è il valore attribuito quando la competenza considerata non è presente o è irrilevante per quella figura. La valutazione delle competenze misura i gap tra il livello di padronanza posseduto e il livello di padronanza ideale e/o atteso. Sotto il profilo organizzativo, la valutazione si perfeziona con il coinvolgimento del soggetto valutato, che – di fatto – è tenuto ad autovalutarsi. Il sistema è completamente standardizzato giacché tutti usano la stessa griglia, costituita, come anticipato, da un elenco di competenze esplicitate in maniera descrittiva, per ognuna delle quali sono stati determinati cinque distinti livelli di padronanza. Il valore è automaticamente attribuito con la scelta delle definizioni che meglio definiscono il profilo del soggetto valutato. Da un punto di vista procedurale, la prima fase del processo è dunque rappresentata dall’autovalutazione, a cui fa seguito, a seconda dei casi, il giudizio espresso dal capo ufficio o dal Direttore della sede. Questi ultimi dispongono di una griglia analoga a quella del valutato ed, inoltre, hanno la facoltà di visionare la scheda di autovalutazione. Questa opzione consente al valutatore di confermare e, quindi, di approvare l’autovalutazione o, se lo ritiene opportuno, di discostarsene. Successivamente, il Dirigente, ossia il capo diretto del valutato, è tenuto a condividere la sua valutazione provvisoria, in quanto non ancora definitiva, con il soggetto valutato. Questa fase intermedia è imprescindibile perché rappresenta un vero e proprio momento di socializzazione tra i due attori del processo: da un lato, consente al valutato di avanzare le proprie osservazioni; dall’altro lato, permette al Dirigente di illustrare le ragioni che, eventualmente, lo hanno indotto a discostarsi dall’autovalutazione. Il valutato, a questo punto, ha la possibilità di formulare le proprie osservazioni, dopo di che tutto il pacchetto informatico diventa accessibile, a seconda che si tratti di una struttura centrale o meno, al Dirigente Generale, normalmente o il Direttore Generale o il Direttore Regionale. Per il professional in linea generale vale la stessa metodologia, anche se nel processo di valutazione è prevista una figura intermedia che svolge un ruolo di consulenza interna e che sostanzialmente ha funzioni di coordinamento. 5.2.4. I punti di caduta di un sistema integrato L’introduzione di un sistema di valutazione individuale ha rappresentato una novità assoluta nella storia degli ultimi 10/15 anni dell’Istituto; infatti, i sistemi di valutazione finora adottati hanno sempre avuto una valenza collettiva e aggregata. Per questo motivo, il passaggio di fase è stato accompagnato da un’intensa attività di sensibilizzazione che ha investito un duplice fronte: il versante sindacale, dove la scelta strategica è stata quella di valorizzare il ruolo di servizio del sistema che si andava ad implementare, considerato indispensabile per la costituzione di un serbatoio di informazioni utili per la formazione e, quindi, per la valorizzazione del personale; il versante organizzativo, dove è stato avviato un processo di comunicazione e informazione continua per ogni livello organizzativo. Specifiche attività formative, inoltre, sono state previste per tutti coloro che andavano a rivestire un ruolo attivo nel sistema (i valutatori, i consulenti interni, il personale di supporto e i Dirigenti Generali). Si è trattato di un intervento formativo strutturato che ha inteso chiarire le finalità e gli obiettivi, la criteriologia e la conoscenza degli strumenti utilizzati nell’ambito del sistema adottato. Nonostante la poderosa attività di comunicazione, l’inizializzazione del nuovo sistema non è stata agevole ed ha comportato l’emersione di alcuni punti di attrito tra i Dirigenti Generali ed i Dirigenti di seconda fascia. Inizialmente, una parte consistente dei Dirigenti di seconda fascia non ha condiviso il sistema nel timore che - come paventato dalle organizzazioni sindacali e da una parte significativa del personale - le informazioni raccolte con questa forma di valutazione sarebbero state utilizzate per la determinazione della retribuzione accessoria o per le progressioni di carriera. Altri Dirigenti, invece, hanno adottato un atteggiamento passivo, convalidando in toto i giudizi espressi nell’autovalutazione, spesso non corrispondenti ad una valutazione oggettiva. Ovviamente, un simile fatto ha imposto l’intervento risoluto del Direttore Regionale che, in più frangenti, è stato obbligato a livellare la valutazione individuale riportandola a valori medi. I professional hanno rappresentato un altro elemento di criticità nella prima tappa dell’introduzione del modello. In particolare, le associazioni di categoria e quelle sindacali hanno ritenuto che il sistema non fosse coerente con i sistemi di garanzia. Per tale ragione, l’Istituto ha deciso di procrastinare l’attivazione del sistema per questa tipologia di dipendenti, estendendolo in ogni modo alla fascia dirigenziale. L’incomprensione delle finalità e l’assenza di condivisione sembrano essere gli elementi di maggiore problematicità per un immediato consolidamento del sistema di valutazione delle competenze dell’Istituto. Gli elementi di criticità, invece, assumono contorni e sfumature differenti in relazione al nuovo sistema di valutazione del potenziale, progettato per il personale delle aree (impiegati amministrativi, tecnici e quadri). Tale forma di valutazione è affidata esternamente all’istituto a delle società specializzate che si avvalgono per le funzioni di assessor di professionisti abilitati. In genere, gli assessor fanno uso di specifiche metodologie con strumentazione multipla ed esprimono la valutazione con riferimento a nove fattori di potenzialità, gli stessi per tutta la popolazione valutata, nettamente distinti dalle competenze assunte come griglia per la valutazione delle competenze rimesse ai Dirigenti. Nell’intento originario, le due valutazioni, delle competenze e del potenziale, avrebbero dovuto offrire un profilo del valutato a tutto tondo e consentire di tarare meglio gli interventi formativi. Purtroppo, l’avviamento dei due sistemi non è stato privo di ostacoli. Inizialmente, l’introduzione di questa forma di valutazione non ha incontrato il favore dei dipendenti, tuttavia, l’INAIL ha inizialmente concordato con le OO. SS. che l’esito della valutazione del potenziale, opportunamente parametrato in termini matematici, rappresentasse un indice valido per le progressioni di carriera. Il criterio è parso sufficientemente meritocratico, data la presunta scientificità della metodologia utilizzata e l’estraneità dell’Istituto nel processo di valutazione, se non fosse che, ex post, è stata rilevata una percentuale significativa di casi (circa 400) in cui si evidenziava una netta divergenza tra la valutazione delle competenze operata all’interno dell’Ente e quella sul potenziale realizzata all’esterno. Questo fatto ha ovviamente delle pesanti implicazioni in quanto quest’ultima valutazione, se negativa, inibirebbe l’avanzamento di carriera anche a dei dipendenti stimati ed apprezzati all’interno dell’Ente. Si è cercato di arginare gli effetti dell’incongruenza, asserendo che, da un punto di vista teorico, non sempre i soggetti che possiedono delle competenze di alto profilo sono in grado di ricoprire delle posizioni manageriali. Il problema di fondo è che si considerano le competenze, il rendimento e il potenziale come degli elementi assonanti, anche se in realtà, pur essendo complementari, sono fondamentalmente diversi tra loro. Tuttavia, al di là di qualsiasi elucubrazione teorica resta ora da verificare l’attendibilità delle valutazioni effettuate. Tale fatto mette in luce come il sistema adottato non possa comunque essere considerato definitivo, numerosi, infatti, sono i punti di ambiguità. Tuttavia, è innegabile lo sforzo e l’impegno profuso negli ultimi anni dall’Istituto nell’innovare la propria struttura organizzativa. 5.3. Il sistema di valutazione del Ministero della Salute: una scelta in progress 5.3.1. Un modello altamente specifico Negli ultimi tre anni, la valutazione del personale all’interno dell’organizzazione del Ministero della Salute ha assunto un ruolo rilevante dal punto di vista strategico e, attualmente, rappresenta uno dei principali tasselli di un articolato sistema di gestione delle risorse umane. L’avvio del processo, che ha portato all’introduzione dell’attuale sistema di valutazione, ha avuto inizio alla fine del 2001 nell’ambito del "Progetto Cambia PA – Sviluppo delle conoscenze sull’innovazione nelle pubbliche Amministrazioni centrali" promosso dal Dipartimento della Funzione Pubblica. In quel frangente, il Ministero propose un progetto per la definizione e lo sviluppo di un sistema di indicatori che rappresentassero la base portante del sistema di pianificazione e controllo e, parallelamente, fornissero elementi per la valutazione dei Dirigenti. Sulla base di questi presupposti, la scelta operata dall’Amministrazione è stata quella di elaborare un supporto metodologico per la valutazione delle posizioni e delle prestazioni del personale dirigenziale e delle aree funzionali, per poi estendere il sistema, in modo integrato e complementare, anche al restante personale. A tal fine, è stata avviata una prima fase di applicazione sperimentale del modello, preceduta, nel 2001, da un intervento di formazione – affiancamento, finalizzato ad una riflessione metodologica specifica sul tema della valutazione delle prestazioni, che ha inizialmente coinvolto in un workshop formativo quindici Dirigenti dell’Amministrazione. In tal modo, si è dato l’imprinting per la costruzione di un sistema tarato sulle specifiche esigenze dell’organizzazione e delle relative strutture operative, creando nel contempo una forte condivisione sulla necessità di adottare un sistema di valutazione delle prestazioni. Successivamente alla fase di start-up, è stata avviata un’articolata campagna di formazione estesa ad oltre 130 Dirigenti delle diverse Direzioni Generali. La formazione è parsa la scelta operativa più adeguata per sostenere e favorire il cambiamento organizzativo. Inoltre, nella costruzione del modello di riferimento si è tenuto conto non solo delle specificità dell’organizzazione del lavoro del Ministero, ma anche di eventuali obiezioni di merito che, di volta in volta, emergevano in itinere. La procedura di costruzione progressiva del modello da implementare, basata sul confronto diretto, ha consentito di superare alcune resistenze individuali e di applicare preventivamente le azioni correttive necessarie per il miglioramento del sistema. 5.3.2. La metodologia della valutazione delle prestazioni della Dirigenza La necessità di identificare parametri condivisi per la rilevazione delle attività ed il bisogno di collegare gli esiti della valutazione all’erogazione della retribuzione di risultato non rappresentano le uniche motivazioni che hanno mosso il Ministero ad implementare un sistema di valutazione delle prestazioni dei Dirigenti. Si intendeva agevolare pure il processo di programmazione annuale da parte dei singoli Direttori Generali in modo tale da offrire ai responsabili di direzione una visione integrata delle attività. Il sistema di valutazione del Ministero, dunque, non punta soltanto ad accertare il livello di raggiungimento degli obiettivi assegnati, ma anche a verificare l’impegno profuso dal Dirigente nel perseguimento degli stessi. Da un punto di vista metodologico, gli obiettivi oggetto della valutazione devono essere preventivamente esplicitati ed essere coerenti con le strategie globali dell’Amministrazione così come sintetizzato nella Direttiva del Ministro. In genere, gli obiettivi variano da un minimo di tre ad un massimo di cinque e devono essere non sono misurabili, ma anche realistici, sfidanti e condivisi. Ovviamente, affinché il sistema funzioni efficacemente, è importante, da un lato, definire il criterio della valutazione e, quindi, specificare l’unità di misura dell’obiettivo in modo tale da rendere oggettivo e quantificabile il risultato da raggiungere; dall’altro lato, attribuire un peso percentuale all’obiettivo individuato. In particolare, l’indicazione del peso varia in funzione della rilevanza delle direttive del Ministro, degli obiettivi specifici stabiliti dalla Direzione Generale e delle linee di sviluppo della specifica funzione. Secondo la metodologia elaborata, la corretta formulazione di un obiettivo ne presuppone la misurabilità tramite opportuni indicatori, ossia mediante degli strumenti di monitoraggio e di sintesi delle informazioni che consentano di verificare costantemente il grado di raggiungimento dei risultati di una singola unità organizzativa e/o dell’organizzazione nel suo complesso. Il sistema degli indicatori è opportunamente selezionato: - indicando il centro di responsabilità oggetto dell’analisi; - scomponendo le attività principali per il perseguimento dell’obiettivo e individuando quelle maggiormente critiche; - focalizzando l’oggetto delle attività e le prestazioni rilevanti per il loro espletamento. Per la misurazione del grado di raggiungimento degli obiettivi sono state elaborate diverse tipologie di indicatori: - on/off. La misurabilità della valutazione attiene due distinte alternative: l’obiettivo può essere raggiunto o meno. Nel primo caso il punteggio assegnato è pari a 100%, nel secondo caso 0%; - a scaglioni. Per la costruzione di tale indicatore sono predeterminate delle soglie di realizzazione dell’obiettivo espresse in percentuale ed articolate in quattro fasce (25%, 50%, 75%, 100%). In base alla quota percentuale di realizzazione dell’obiettivo il dirigente viene collocato in una delle fasce precedentemente fissate; - puntuale. L’indicatore esprime l’esatta percentuale di raggiungimento per gli obiettivi quantificabili precisamente. La metodologia elaborata dal Ministero presuppone che nella procedura di valutazione, oltre alle prestazioni, vengano stimati alcuni comportamenti organizzativi. Ovviamente, anche in questo caso, i comportamenti devono essere coerenti con gli obiettivi istituzionali, devono far esplicito riferimento al percorso di sviluppo personale e professionale del Dirigente e devono essere in numero limitato (non superare il numero di quattro). A ciascun comportamento viene in seguito assegnato un peso percentuale che varia in funzione delle strategie operative dell’Amministrazione e/o della Direzione Generale, degli obiettivi specifici di sviluppo organizzativo e dei percorsi di sviluppo delle competenze del Dirigente. La somma dei pesi percentuali attribuiti dovrà essere pari a 100%. I comportamenti organizzativi sono selezionati all’interno di quattro macro aree: - Leadership: guidare l’organizzazione verso l’innovazione. Capacità necessarie per la gestione della discontinuità del business e per l’attivazione di comportamenti di sviluppo nelle persone e nelle organizzazioni. - Management: gestione ottimale delle risorse. Capacità necessarie per la gestione della complessità organizzativa e per la finalizzazione dei comportamenti delle persone e delle organizzazioni verso i risultati. - Relazioni & Networking: cooperazione dentro e fuori l’organizzazione. Capacità necessarie alle persone e alle organizzazioni per la costruzione e la gestione dei sistemi relazionali rilevanti per il raggiungimento degli obiettivi. - Efficacia: raggiungimento degli obiettivi. Capacità necessarie per l’impostazione e la gestione di percorsi finalizzati alla realizzazione degli obiettivi. Capacità di sviluppare la propria professionalità approfondendo le proprie competenze tecnico-professionali e gestionali. Ognuna delle macroaree individuate è scomponibile in microfattori, i quali, a loro volta, sono ulteriormente declinati in comportamenti elementari. La scomposizione progressiva dei comportamenti assume perciò una struttura ad albero come indicato nell’esempio sottostante (tav. 2). L’esatta enunciazione dei comportamenti elementari assolve a una duplice funzione: da una parte, consente di oggettivizzare la valutazione; dall’altra, di indirizzare l’azione del valutato verso specifici comportamenti organizzativi a cui l’organizzazione attribuisce particolare rilievo. 5.3.3. Una valutazione in steps Internamente al Ministero della Salute, la valutazione avviene secondo un criterio prettamente gerarchico: il Ministro, sulla base degli elementi forniti dal Servizio di Controllo Interno, valuta i Capi Dipartimento; i Capi Dipartimento valutano i soggetti preposti ad Uffici di livello dirigenziale generale; i Direttori Generali, a loro volta, valutano di Dirigenti di II fascia. Il processo di valutazione sostanzialmente prevede tre fasi. - FASE 1 – Assegnazione degli obiettivi e dei comportamenti. La definizione della scheda di assegnazione degli obiettivi avviene secondo un percorso di tipo bottom up. Il Dirigente individua una griglia provvisoria di obiettivi strategici e/o operativi che dovranno essere opportunamente "pesati" in modo da individuarne la relativa importanza secondo una scala percentuale. Il Dirigente deve pure individuare le singole attività ritenute fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi e definire gli indicatori con cui verranno misurati. Successivamente, il Direttore Generale, entro il 28 febbraio , è tenuto ad assegnare in via definitiva gli obiettivi da raggiungere ed i comportamenti organizzativi, avendo la facoltà di inserire nella griglia obiettivi non individuati dal Dirigente. - FASE 2 – Verifica del grado di raggiungimento di obiettivi e del livello di sviluppo dei comportamenti. In questa fase, la Direzione Generale Personale, Organizzazione e Bilancio invia la scheda precompilata per l’avvio della verifica intermedia dei Dirigenti di II fascia. Una volta effettuata la verifica intermedia, la scheda prodotta viene trasmessa in visione al Capo Dipartimento che, a sua volta, la invia alla Direzione Generale Personale, Organizzazione e Bilancio. - FASE 3 – Valutazione finale. La valutazione finale - che avviene con le stesse modalità della valutazione intermedia – mira a determinare la valutazione complessiva del singolo Dirigente per l’anno in corso attraverso l’analisi della percentuale di raggiungimento degli obiettivi e di sviluppo dei comportamenti. 5.3.4. La sperimentazione All’inizio del 2003, il Ministero della Salute ha avviato la sperimentazione del sistema di valutazione delle prestazioni. Nel corso del processo sono state coinvolte più figure organizzative che – come illustrato nella tavola sottostante – ricoprono ruoli ed esercitano funzioni differenti. Fra i soggetti della valutazione indubbiamente spicca sia la figura del Tutor di Direzione, a cui è stato attribuito un ruolo di consulenza interna alla Direzione, sia un organo collegiale denominato Gruppo di Progetto, composto da rappresentanti dei Dipartimenti, della DG Personale, Organizzazione e Bilancio e da alcuni membri esterni. Tav. 3 – I soggetti della valutazione nella fase sperimentale Figura Capo Dipartimento Principali funzioni esercitate nel processo di valutazione -1 promuove l’attivazione del processo in fase di assegnazione, verifiche intermedie e valutazione finale; -2 concorda con i Direttori Generali gli obiettivi e gli indicatori per i Dirigenti di II fascia; -3 se necessario, ha la facoltà di intervenire nella negoziazione tra i Direttori Generali ed i Dirigenti di II fascia. Direttore Generale -4 effettua il colloquio di assegnazione degli obiettivi e dei comportamenti; -5 definisce i pesi degli obiettivi di ciascun ufficio; -6 valuta il raggiungimento degli obiettivi dei Dirigenti sottoposti. Tutor di Direzione -7 supporta la propria Direzione; -8 assicura la coerenza metodologica nella definizione degli obiettivi e dei relativi indicatori; -9 cura i rapporti con la Direzione Generale Organizzazione, Bilancio e Personale. Direzione Generale Organizzazione, Bilancio e Personale -10 coordina il processo di valutazione; -11 allestisce e aggiorna la banca dati con le schede di valutazione; -12 assicura il rispetto dei tempi e delle modalità predeterminate; -13 formalizza i contenuti delle procedure; -14 intrattiene rapporti con i Tutor di Direzione. Gruppo di progetto -15 coordina l’applicazione del processo di valutazione; -16 definisce i contenuti delle procedure. Fonte: elaborazione su dati del Ministero della Salute – Dipartimento dell’innovazione, Direzione Generale Personale, Organizzazione e Bilancio Ufficio II – organizzazione e sviluppo La sperimentazione ha avuto formalmente inizio con l’approvazione della Direttiva del Ministro ed è stata avviata con lo specifico intento di verificare ex ante eventuali criticità ed, in particolare, le relazioni funzionali esistenti tra il perseguimento degli obiettivi di una struttura e l’effetto prodotto su altre Unità del Ministero. Per questo motivo, è stato necessario definire preventivamente una matrice delle interrelazioni degli obiettivi che si è rivelata utile per circoscrivere i confini del processo e le relative responsabilità delle figure coinvolte. Parallelamente alla definizione dei supporti metodologici di analisi dei processi, si è avviata un’intensa attività di affiancamento rivolta sia ai Dirigenti Generali sia ai Dirigenti di II fascia. L’affiancamento ha rappresentato un supporto necessario per fornire, nei casi di incertezza, chiarimenti ed approfondimenti di carattere metodologico. Il risultato di tale attività è stata la predisposizione di oltre 500 obiettivi, sia istituzionali sia strategici, e relativi indicatori, con i quali si è intrapresa la contrattazione fra i Dirigenti ed i Direttori Generali. Nel corso di tale fase, inoltre, sono stati individuati non solo gli obiettivi, ma anche i comportamenti organizzativi oggetto della valutazione. Il processo di assegnazione degli obiettivi e dei comportamenti organizzativi ha poi seguito il seguente iter. Fase 1 – Assegnazione degli obiettivi e dei comportamenti Fonte: Ministero della Salute – Dipartimento dell’innovazione, Direzione Generale Personale, Organizzazione e Bilancio Ufficio II – organizzazione e sviluppo La verifica intermedia sullo stato di realizzazione degli obiettivi assegnati, durante la sperimentazione, è stata effettuata alla fine del primo semestre per ragioni conseguenti il riordino del Ministero e alcune variazioni organizzative. Durante la verifica delle schede non si sono rilevate particolari criticità di sistema, anche se in alcuni frangenti è stato necessario rimodulare alcuni obiettivi, i pesi attribuiti e gli indicatori selezionati. Il processo di verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati ha seguito il seguente iter. Fase 2 – Verifica del grado di raggiungimento di obiettivi e comportamenti Fonte: Ministero della Salute – Dipartimento dell’innovazione, Direzione Generale Personale, Organizzazione e Bilancio Ufficio II – organizzazione e sviluppo Nell’ultima fase sono state predisposte le schede di valutazione finale mediante l’estrazione dei dati dalle schede di valutazione intermedia. L’iter procedurale è stato del tutto simile a quello della valutazione intermedia. Fase 3 – Valutazione finale Fonte: Ministero della Salute – Dipartimento dell’innovazione, Direzione Generale Personale, Organizzazione e Bilancio Ufficio II – organizzazione e sviluppo Sul versante organizzativo, la sperimentazione ha fatto emergere numerosi punti critici del sistema. Innanzitutto, l’iniziale difficoltà di identificazione dei ruoli e delle responsabilità è stata all’origine di una comunicazione stentata e, talvolta difficile, tra i Direttori Generali e Dirigenti. Numerose perplessità, inoltre, scaturivano dal timore di un’eventuale ripercussione sul rinnovo degli incarichi dirigenziali e sull’effettiva trasparenza e imparzialità di governo del sistema di valutazione. Non ultimo, non sono stati definiti e precisati gli effetti economici dei risultati della valutazione: un fatto che ha alimentato confusione ed incertezza. Per facilitare la comunicazione tra i soggetti coinvolti nel processo è stato redatto un apposito manuale di procedura gestionale che, tuttavia, rappresenta il primo passo di una serie di attività indirizzate alla riduzione e al contenimento delle distorsioni rilevate durante la sperimentazione del sistema. Già nel corso del 2004, infatti, verranno intraprese una serie di azioni. Le più rilevanti riguardano la definizione e l’implementazione di un sistema informativo che garantisca l’assoluta trasparenza della valutazione; la continuazione delle attività di formazione; l’applicazione sperimentale, previo accordo con le OO.SS., del sistema incentivante della dirigenza; l’adozione, sempre in via sperimentale, di un sistema di valutazione delle prestazioni del personale non dirigente e l’avvio della definizione metodologica della valutazione del potenziale. Riferimenti bibliografici - Della Rocca G., Tra passato e presente, l’esperienza della valutazione del personale nelle pubbliche amministrazioni, Università della Calabria, 2003 - Della Rocca G. (a cura di), La valutazione e la retribuzione delle prestazioni, Catanzaro, Rubbettino, 2001 Dipartimento della Funzione Pubblica, Guida all’esternalizzazione dei servizi e attività strumentali nella Pubblica Amministrazione, Roma, 2003 Falduto L., La gestione e la valutazione delle risorse umane, in AA.VV., Sistemi di controllo e valutazione, Giuffré, 2000 - MIPA (Consorzio per lo sviluppo delle Metodologie e delle Innovazioni nelle Pubbliche Amministrazioni), La valutazione del lavoro pubblico, Roma, Cnel, 2004 - Ricerca Censis-Tess, L’outsourcing nei percorsi di innovazione delle imprese e delle Pubbliche Amministrazioni, Roma, 2003 - Unioncamere, I sistemi permanenti di valutazione del personale, Roma, 2003