cent`anni fa scoppiava la tragedia della prima guerra mondiale
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cent`anni fa scoppiava la tragedia della prima guerra mondiale
CENT’ANNI FA SCOPPIAVA LA TRAGEDIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE Il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip, giovane studente bosniaco, assassinò a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina, l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'AustriaUngheria e sua moglie Sofia. Dopo l’arresto durante l’interrogatorio, la polizia austroungarica venne a sapere che l’assassinio era stato pianificato a Belgrado, da ciò scaturì un ultimatum alla Serbia, la quale oppose un rifiuto e così l’Austria-Ungheria le dichiarò guerra. La Russia zarista non poteva permettere che l’Austria distruggesse una nazione slava e ortodossa e allargasse i suoi domini sui Balcani, quindi dichiarò guerra all’Austria. A sua volta la Germania non poteva consentire che una nazione con la quale condivideva il confine più esteso, che parlava la stessa lingua, fosse attaccata dai russi, quindi anche la Germania entrò nel conflitto. I tedeschi chiesero alla Francia di starsene fuori mentre loro erano occupati con la Russia e chiesero anche il permesso di passare sul suo territorio e occupare momentaneamente alcune essenziali fortificazioni di confine, naturalmente i francesi rifiutarono e la Germania dichiarò guerra anche alla Francia. I tedeschi che non volevano una guerra su due fronti, tentarono quindi di mettere fuori gioco subito la Francia e per fare questo invasero il Belgio che era neutrale, reprimendo spietatamente ogni accenno di resistenza (per un cecchino che sparava venivano uccisi tutti gli uomini del villaggio da cui erano partiti gli spari) tanto per fare un esempio nella città di Lovanio i tedeschi giustiziarono 209 civili, distrussero 1.100 edifici tra cui una prestigiosa biblioteca con 230.000 libri. L’Italia era legata all’Austria e alla Germania dal patto della Triplice Alleanza che in seguito inglobò anche l’Impero Ottomano e la Bulgaria, formando un’alleanza militare fortemente voluta fin dai tempi del Cancelliere Bismark per isolare la Francia eterna concorrente della Germania. Dall’altra parte, la Gran Bretagna legata alla Francia e alla Russia dal patto della Triplice Intesa, entrò in guerra tirandosi dietro le nazioni del Commonwealth: Canada, Australia e Sudafrica. Gli Stati Uniti d'America, Romania, Giappone, e Cina, entrarono successivamente nel conflitto, facendo così deflagrare la contesa in diversi continenti, compresi i territori coloniali, da qui la denominazione Prima Guerra Mondiale. L’Italia in un primo momento si chiamò fuori dalla contesa bellica dichiarando la sua neutralità ma poi allettata dalla Triplice Intesa che le offriva le terre irredente del Trentino e della Venezia Giulia e la Dalmazia se si fosse schierata al suo fianco, saltò il fosso e si alleò con Inghilterra e Francia. La guerra che si scatenò, per la prima volta nella storia non si limitava più alla mobilitazione degli eserciti, ma tutti i paesi coinvolti erano tesi attraverso l’aumento della produzione industriale e agricola a foraggiare i contendenti sui vari fronti di guerra. Lo stesso mondo culturale accademico si schierò dall’una e dall’altra parte con una acredine impressionante nei confronti dei nemici, dipinti sempre come un flagello barbaro! Gli alti comandi militari del tempo, legati a una concezione della guerra combattuta su ampi campi di battaglia, ne approfittarono per sperimentare nuove armi micidiali, prima fra tutte la mitragliatrice, questa, essendo un’arma che sparava centinaia di proiettili al minuto in ogni direzione, falciava i poveri fanti mandati all’assalto come pecore al macello. Gettarsi a passo di carica contro le mitragliatrici che sparavano incessantemente, era una cosa stupida e assurda, dopo migliaia di morti e altrettante diserzioni, molti generali impararono a non dare più ordini così astrusi e idioti. La guerra quindi si impantanò nelle trincee, che con il passare dei mesi divennero molto funzionali, fatte con una tecnica ingegneristica che non aveva nulla da invidiare ai grandi architetti. Le trincee erano più spesse e impenetrabili della grande muraglia cinese, create da uno scavo impegnativo come quello che veniva usato a quel tempo per fare i canali di irrigazione, la rete delle trincee divenne una ragnatela che si estendeva lungo tutto il confine delle nazioni belligeranti. Le trincee inoltre erano profonde quanto bastava ai soldati per muoversi liberamente, non erano mai rettilinee, bensì contorte, per evitare che un nemico armato di mitragliatrice potesse saltare dentro e uccidere tutti coloro che si trovavano sotto la linea di fuoco. Davanti alle trincee veniva inoltre steso un groviglio di filo spinato che serviva a rallentare gli assalti dei nemici. Le uniformi ben presto, invece dei colori sgargianti delle truppe napoleoniche, presero un colore grigiastro e verdastro, in modo tale da confondersi con il terreno, e i berretti di stoffa vennero sostituiti dagli elmetti. Per contrastare l’efficacia micidiale delle mitragliatrici si ricorse a nuove armi chimiche come i gas asfissianti. Nel 1915 nella battaglia di Ypres i tedeschi provarono il gas “mostarda” che da allora prese il nome di yprite, un veleno che provoca vesciche su ogni tessuto corporeo contaminato, sperimentando così un nuovo modo orribile di morire sui campi di battaglia. Nel 1916 gli inglesi impiegarono i primi rudimentali carri armati, che superavano buona parte degli ostacoli naturali grazie ai cingoli che li facevano muovere anche su terreni accidentati. Uno scafo corazzato proteggeva gli equipaggi mentre ai lati spuntavano le mitragliatrici e un cannone leggero era montato in cima alla torretta e con queste armi si spazzavano le linee nemiche. Nella guerra sul mare i Tedeschi si avvalsero di una nuova arma, quella del sottomarino (Unterseeboote, da cui U-Boot), che fece la prima comparsa il 22 settembre 1914, all’altezza di Hook of Holland, dove tre incrociatori corazzati britannici furono affondati in pochi minuti. La guerra sottomarina si rivelò più fruttuosa di quella di superficie, basti pensare che il 31 maggio 1916 si svolse la battaglia dello Jütland, la sola grande battaglia navale del conflitto. La marina tedesca inflisse alla flotta inglese più danni di quelli ricevuti, ma l’effetto strategico della battaglia fu a favore della Gran Bretagna, perché la Germania non si arrischiò più in mare aperto. La guerra contro il traffico sul mare sarà ripresa dai tedeschi il 31 gennaio 1917, ma per opera dei soli sommergibili. Nonostante fosse in larga misura una guerra di trincea, si combatterono vere battaglie frontali in cui gli eserciti attaccavano, si ritiravano, si raggruppavano, contrattaccavano di nuovo lasciandosi dietro migliaia di morti e soldati dalla psiche devastata. Sotto questo profilo la battaglia di Verdun combattuta senza tregua dagli eserciti di Francia e Germania è emblematica dell’idiozia e della irrazionalità della guerra. Il 16 dicembre 1918 le truppe tedesche si ritirarono di fronte all’avanzata dell’esercito francese, terminava così a Verdun sconosciuta cittadina delle Argonne, nel Nord della Francia, una delle battaglie più cruente della Prima Guerra Mondiale e tra le più sanguinose dell’intera storia dell’umanità. Sul campo di battaglia in un mare di fango, restavano oltre trecentomila cadaveri, tra soldati francesi e tedeschi; la battaglia iniziata nel febbraio dello stesso anno, aveva visto le artiglierie dei due belligeranti bombardarsi ininterrottamente. Oltre mille cannoni su ambo i fronti spararono oltre ventun milioni di proiettili, centinaia di migliaia furono i mutilati ed i feriti, di cui molti per la gravità delle ferite ricevute sopravvissero solo pochi anni da quella spaventosa ecatombe. Cinque villaggi furono completamente rasi al suolo, per mesi migliaia di soldati marcirono nelle trincee piene di fango, il più delle volte dormendo all’addiaccio sotto piogge insistenti, mandati all’attacco per conquistare qualche metro di terra in più, buona parte dei fanti morì per assalti alla baionetta, migliaia di giovani vennero sacrificati per adempiere ordini illogici e privi di senso dati da ufficiali boriosi, i sopravvissuti si abituarono a camminare senza nessun problema sui cadaveri dei nemici e dei commilitoni. Papa Ratzinger, figlio del popolo tedesco, cioè di una delle nazioni coinvolte in quei tragici eventi, scrisse nel 2006 una lettera al vescovo francese di Verdun Mons. François Maupu, ricordando come il suo predecessore, Papa Benedetto XV chiese con insistenza ai governi dei paesi belligeranti di evitare la guerra che si sarebbe rivelata una “inutile strage”. Papa Benedetto XVI sottolineava come Verdun venga considerato sempre più un simbolo di riconciliazione per le due grandi nazioni che si sono combattute con accanimento in quelle sperdute campagne delle Argonne, per ricordare a tutti i paesi – in modo particolare a quelli europei - che solo la riconciliazione ed il perdono reciproco possono garantire una pace vera, una pace che apra un’avvenire ricco di speranza. La recente preghiera nei giardini vaticani di Papa Francesco per la pace, fatta insieme a Simon Perez e Abu Mazen, come gli appelli di Papa Ratzinger, Giovanni Paolo II, Paolo VI e Giovanni XXIII (per restare ai Pontefici più vicini a noi) sono lì a ricordare come nessun uomo di buona volontà può esimersi dall’essere un costruttore di pace. Purtroppo spiace constatare come molti rimangano indifferenti davanti a dei conflitti in cui super potenze con la scusa di difendere “interessi vitali della loro economia”, invadono paesi inermi mettendo a rischio la vita di civili disarmati ed indifesi, il dichiararsi neutrali in questi casi equivale a schierarsi dalla parte di chi preferisce uccidere per difendere il proprio tornaconto, piuttosto che mettersi al fianco delle vittime e di chi subisce violenza. Facendo memoria di questi eventi storici, ricordiamo che durante la Grande Guerra i morti furono oltre 15 milioni, di questi otto milioni e mezzo erano militari mentre gli altri furono vittime civili. Alla fine del conflitto crollarono quattro potenze che avevano fatto la storia europea nei secoli precedenti: gli Asburgo dell’impero austro-ungarico, gli Hohenzollern dell’impero Germanico, i Romanov della Russia Zarista e l’impero Ottomano di Costantinopoli. Dalla dissoluzione dei loro territori nacquero diversi stati nazionali i cui confini tracciati arbitrariamente dalle potenze vincitrici, diventeranno il brodo di coltura in cui avrebbe germinato il virus letale della Seconda Guerra Mondiale che sarebbe scoppiata in modo più tragico e devastante poco più di vent’anni dopo, causando oltre sessanta milioni di morti. Celebrare il centenario della Grande Guerra non vuol dire allora cedere alla retorica bellica. Ricordare con animo commosso i caduti su tutti i fronti, significa prendere coscienza che il nostro impegno sia corroborato da ogni sforzo per costruire la pace: fra i popoli, le nazioni e con tutti gli uomini di ogni razza, lingua e religione essi appartengono. Mario Bandera Giugno 2014