Istituto MEME: Il minore sessualmente abusato
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Istituto MEME: Il minore sessualmente abusato
UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET ASSOCIATION INTERNATIONALE SANS BUT LUCRATIF BRUXELLES - BELGIQUE THESE FINALE EN “SCIENCES CRIMINOLOGIQUES” IL MINORE SESSUALMENTE ABUSATO VICENDE PROCESSUALI E TRATTAMENTO TERAPEUTICO Chiara Mastrangelo Matricola 2153 Bruxelles, giugno 2009 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Indice INTRODUZIONE pag. 5 CAPITOLO I La realtà dell'abuso sessuale pag. 8 1 - La cultura dell'infanzia: dal bambino battuto al bambino abusato pag. 8 2 - Lo studio del fenomeno dell'abuso sessuale in Italia pag. 10 3 - La violenza sui minori pag. 11 3.1. Come classificarla pag. 11 3.2. Le radici della violenza pag. 12 4 - Maltrattamento pag. 15 4.1. Maltrattamento fisico pag. 15 4.2. Maltrattamento psicologico pag. 19 5 - Abuso sessuale 5.1. La definizione del termine "abuso sessuale sui minori" 6 - Gli interventi legislativi contro l'abuso sessuale sui minori pag. 19 pag. 19 pag. 26 6.1. La realtà dell'abuso: elementi descrittivi pag. 42 6.2. Gli indicatori dell'abuso sessuale pag. 51 6.3. Le conseguenze dell'abuso sessuale pag. 52 7 - L'incesto: tra diritto e sentire sociale pag. 57 7.1. Cenni storici pag. 57 7.2. La definizione giuridica di incesto pag. 58 7.3. L'incesto nella società pag. 62 7.3.1. I vari tipi di incesto pag. 62 7.3.2. "Incesto" padre-figlia pag. 65 2 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 7.3.3. Le conseguenze "dell'incesto" pag. 68 CAPITOLO II Dalla rivelazione all'accertamento: testimonianza verbale del minore pag. 72 2.1. La denuncia di abuso pag. 72 2.1.1. Gli obblighi di denuncia da parte dei soggetti che rivestono funzioni o incarichi di natura pubblica pag. 75 2.1.2. Conflitto fra l'obbligo di referto e l'obbligo al segreto professionale pag. 77 2.2. Il ruolo del Tribunale ordinario e del Tribunale per i minorenni pag. 78 2.3. L'intervento terapeutico pag. 79 2.4. Gli aspetti giuridici della testimonianza del minore sessualmente abusato pag. 80 2.5. Il problema del ricordo e le tecniche d'intervista pag. 83 2.5.1. La relazione esistente tra memoria e testimonianza pag. 85 2.5.2. Le fonti di errore nelle valutazioni di abuso sessuale sui minori pag. 87 2.5.3. La memoria dei bambini pag. 91 2.5.4. La corretta modalità d'intervista pag. 95 CAPITOLO III Il trattamento terapeutico del minore sessualmente abusato pag. 100 3.1. Il ruolo del clinico pag. 100 3.2. La terapia familiare pag. 101 3.3. L'intervento sui fratelli del minore abusato pag. 105 3.4. La terapia dell'abusante pag. 105 3.5. La terapia individuale della vittima di abuso sessuale pag. 108 3 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO CAPITOLO IV Una storia vera pag. 112 4.1. La storia di Claudia pag. 112 4.2. La perizia medico-ginecologica pag. 116 4.3. Osservazioni sulle condizioni psicologiche della minore pag. 119 4.4. Interrogatorio del padre di Claudia pag. 120 4.5. Commento all'incidente probatorio di Claudia pag. 132 4.6. Interrogatorio della psicologa pag. 152 CAPITOLO V E noi? Cosa possono la famiglia, la società e la scuola 5.1. L’educazione come difesa pag. 158 pag. 159 CONCLUSIONI pag. 162 BIBLIOGRAFIA pag. 167 4 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Introduzione I maltrattamenti e le violenze all'infanzia sono sempre esistiti nella storia dell'umanità senza però averne la consapevolezza che, in tempi recenti, si sta sviluppando. Da alcuni anni, infatti, il tema relativo all'abuso sessuale sui minori è stato oggetto di sempre maggior attenzione nel nostro paese. Sono state promosse finalmente iniziative volte alla sensibilizzazione collettiva su questo problema e sono stati svolti convegni nazionali ed internazionali per professionisti e specialisti riguardanti gli aspetti sociali, giuridici e psicologici di una questione così delicata e complessa. Tutto ciò ha portato, come conseguenza, allo sviluppo di una "cultura dell'infanzia" ed ha orientato l'impegno dei vari professionisti necessariamente verso la protezione dei diritti del minore, rivolgendo così l'attenzione al "problema sommerso" dei maltrattamenti, delle violenze e negligenze nei loro confronti (child abuse). Nei paesi in cui i tradizionali modelli di vita sono mutati si è modificato conseguentemente sia il ruolo dell'infanzia, sia i modi e gli strumenti per tutelarla. Grazie allo sviluppo delle scienze psicologiche e pedagogiche ormai viene riconosciuta al bambino la capacità, fin dall'età fetale, di sperimentare emozioni che hanno un valore strutturante e di formazione per la sua vita futura, riconoscendogli una maggiore dignità di persona umana con gli stessi diritti dell'adulto. Attualmente, nel mondo occidentale, si assiste ad una riduzione delle nascite: il bambino sta diventando una sorta di "razza protetta" e, a livello internazionale, ha assunto enfasi la necessità della tutela e della promozione dei suoi diritti. Ma, purtroppo, accanto allo sviluppo di questa cultura dell'infanzia si assiste con sempre maggiore frequenza all'aumento dei casi di violenza, come prodotto dei cambiamenti sociali e familiari. Secondo gli esperti del settore, infatti, tale aumento delle violenze è dovuto all'attività di sensibilizzazione compiuta e alla maggior capacità degli operatori di rilevare e segnalare i casi di abuso. Da questa trasformazione culturale è derivata anche una diversa valutazione degli abusi che, da atti criminosi ed antisociali, sono stati interpretati come espressione di un disagio emotivo che riguarda non solo l'abusato, ma anche l'abusante e tutta la famiglia del minore, con un coinvolgimento, accanto all'ambito del diritto, di quello delle "emozioni" e della clinica psicologica e psichiatrica. La "diversa ottica" con cui viene osservato il bambino ed i soprusi che egli può subire, insieme alla diffusione della nuova cultura e dei nuovi stili di vita, hanno tolto il limite secondo cui il maltrattamento infantile era circoscritto a quello fisico e sessuale, per sottoporlo così ad un'interpretazione più ampia in cui vengono presi in considerazione anche la trascuratezza e gli abusi psicologici. Si è passati dalle prime descrizioni della "sindrome del bambino battuto" 5 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO all'individuazione di forme di violenza più difficilmente riconoscibili ma a volte molto più gravi e devastanti non solo a livello fisico, ma soprattutto nello sviluppo emozionale e psichico del minore. Di solito la violenza che viene compiuta su un bambino non è unica ma, contemporaneamente o in tempi successivi, convergono su di lui varie forme di maltrattamento. È per questo che è più esatto parlare di "abuso all'infanzia" come derivazione dal termine inglese child abuse, in quanto onnicomprensivo di tutte le forme di maltrattamenti e violenze. Con questo termine si aderisce anche alla definizione data dal Consiglio d'Europa, secondo il quale gli abusi sono tutti «gli atti e le carenze che turbano gravemente il bambino, attentano alla sua integrità corporea, al suo sviluppo fisico, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura di lui». Il progressivo emergere di questo tipo di reati ha posto alle istituzioni, e più in generale alla collettività, nuovi problemi a molteplici livelli - psicologico, sociale, normativo, giuridico e giudiziario - che, a loro volta, hanno generato ulteriori problematiche di tipo organizzativo, formativo e di coordinamento tra operatori di diversa cultura ed etica professionale (dagli operatori del diritto, magistrati ed avvocati, agli psicologi, assistenti sociali ed educatori). Con questo studio ho cercato di delineare l'articolato percorso che porta all'accertamento di un caso di abuso sessuale e le conseguenti fasi del processo penale e "dell'intervento riparativo", dedicando particolare attenzione alle deposizioni normative che tutelano il minore-vittima. Ho evidenziato il cambiamento sociale e culturale riguardante l'infanzia, maturato negli ultimi decenni, e le varie forme di violenza sui minori, che si sono conseguentemente delineate nella letteratura psicologica. Maggiore attenzione è stata posta allo studio dell'abuso sessuale (in particolare intrafamiliare), sia dal punto di vista della difficoltà di elaborare una definizione condivisa da tutti gli operatori del settore, sia da quello della realtà statistica del fenomeno, sia sotto l'aspetto della disciplina normativa. Ho cercato inoltre di individuare l'iter da seguire di fronte ad un presunto abuso sessuale a danno di un minore e le problematiche esistenti. In particolare è stata valutata la testimonianza del bambino nell'audizione protetta, sia considerando le caratteristiche del racconto infantile, sia affrontando il problema dei possibili errori diagnostici che possono commettere gli specialisti nel vagliare l'attendibilità delle sue parole. Dallo studio dell'attività pratica svolta contro gli abusi all'infanzia è emerso, come importante problema, la mancanza di protocolli di intervento per gli operatori, su base nazionale e specifici per i 6 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO vari settori (esistono infatti in Italia solo linee-guida generali per le attività da svolgere in situazioni di abuso sessuale sui minori), elaborati e validati attraverso le ricerche ed il lavoro dei vari esperti sul campo, che sarebbero utili al fine di evitare interventi inefficaci o inopportuni. Infatti ciò che è necessario evitare è l'improvvisazione nell'intervento e i conseguenti errori di diagnosi e riparazione. Tutto questo crea una forte problematica: la scelta della giusta procedura da utilizzare per raccogliere e valutare la testimonianza del minore presunta vittima di abuso, in mancanza di analitiche lineeguida. Infine ho riportato gli atti processuali più rilevanti relativi alla vicenda di una minore di 16 anni sessualmente abusata dal padre, della quale ho seguito in prima persona parte dell'iter giudiziario della cui testimonianza ho fatto un commento sulla base delle tecniche di intervista consigliate dagli esperti e alla luce degli studi psicologici sulle conseguenze derivanti da un tale trauma. 7 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO CAPITOLO 1 La realtà dell'abuso sessuale 1. La cultura dell'infanzia: dal "bambino battuto" al "bambino abusato" Storicamente la società non è mai stata particolarmente sensibile al maltrattamento dei minori. Nell'antichità erano praticati correntemente i sacrifici dei bambini e neonati destinati agli dei; dall'antica Grecia alla Cina, l'uccisione di bambini deformi o non desiderati era comunemente accettata e praticata. Nell'antica Roma l'ordinamento giuridico stabiliva il diritto di vita o di morte del pater familias sui propri figli. Tale condizione di sottomissione, propria dei minori nella famiglia patriarcale, rispecchiava due opinioni: anzitutto quella per cui i bambini erano proprietà dei genitori e si riteneva naturale che questi ultimi avessero pieno diritto di trattare i figli come pensavano fosse giusto, e conseguentemente quella secondo cui i genitori erano considerati responsabili dei figli, per cui un trattamento severo veniva giustificato dalla convinzione che potesse essere necessaria una punizione fisica per mantenere la disciplina, trasmettere le buone maniere e correggere le cattive inclinazioni. Il concetto di "protezione" del bambino comparì la prima volta nell'anno 529 d.C., quando Giustiniano promulgò una legge che prevedeva l'istituzione di case per orfani e bambini abbandonati. Nel Medioevo il concetto di nucleo familiare, inteso come entità adatta ad offrire protezione ed educazione al fanciullo, era ben diverso da oggi, in quanto nell'ambito socio-culturale e tradizionale del tempo era normale l'allontanamento del bambino dalla famiglia in età assai precoce (verso i sette anni); da quella età in poi i compiti educativi erano affidati ad istituzioni al di fuori della famiglia. Nella scuola, oltre che in famiglia, le pesanti punizioni corporali costituivano lo strumento pedagogico più utilizzato. I fanciulli furono probabilmente la categoria che risentì più fortemente delle grandi trasformazioni della società europea dal XVII al XIX secolo. Il progressivo impoverimento delle classi popolari e il diffondersi dell'urbanesimo aumentarono enormemente il numero dei minori abbandonati, orfani o illegittimi, la maggior parte dei quali veniva raccolta da mendicanti e costretta all'accattonaggio e al 8 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO furto. Spesso i bambini venivano storpiati o mutilati per suscitare maggiore compassione e quindi ottenere elemosine più generose. Nel XVIII secolo, l'attenzione nei confronti dell'infanzia divenne maggiore sia in Inghilterra - dove famosi romanzieri inglesi (Scott e Dickens) denunciarono il comportamento della società verso i minori e, grazie alle loro opere, venne sensibilizzata la coscienza pubblica - sia in Francia - dove, in seguito alla Rivoluzione francese, la Costituzione del 1793 proclamò che "il bambino non possiede che diritti". Ma, nonostante questi sviluppi, la protezione dei minori non venne attuata per ancora un secolo. Nel XIX secolo sorsero in Europa numerosi istituti per orfani e bambini abbandonati dove essi vivevano in una condizione di grave disagio psichico e fisico. La gravità dei maltrattamenti subiti da questi bambini istituzionalizzati può essere ricavata dai dati che emergono dai registri di questi istituti, che evidenziano un decesso per stenti, incuria e maltrattamento fisico ogni quattro ricoverati. La denuncia di tale situazione sensibilizzò la pubblica opinione e il maltrattamento dei minori venne considerato finalmente un problema sociale. All'inizio del Novecento pedagogia, psicologia e sociologia cominciarono a porsi il problema dell'infanzia e dei suoi bisogni. Al bambino furono riconosciuti esigenze e bisogni affettivi e psicologici, fu affermato che i diritti dei minori devono essere tutelati non solo dai genitori, ma da tutta la società. In quest'ottica, nel 1925 fu approvata a Ginevra la Dichiarazione dei diritti del fanciullo, in cui è affermato che il minore deve essere posto in condizione di svilupparsi in maniera normale sia sul piano fisico che spirituale, che i bambini hanno il diritto di essere nutriti, curati, soccorsi e protetti da ogni forma di sfruttamento. In seguito, nel 1959, è stata proclamata dall'Assemblea generale dell'ONU la Carta dei diritti del fanciullo, nella quale è stato ribadito il diritto di nascita (con cure adeguate alla madre e al bambino nel periodo pre e post-natale), il diritto all'istruzione, al gioco o alle attività ricreative, la protezione dalle discriminazioni razziali o religiose e il poter vivere in un clima di comprensione e tolleranza. Tali obiettivi non sono stati ancora completamente raggiunti e nel gennaio 1986 il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione nella quale si ritrovano le stesse raccomandazioni del precedente documento, con una particolare attenzione al problema dell'abuso sull'infanzia e sulla necessità di protezione del minore. Il Consiglio d'Europa, nel gennaio 1990, ha espresso la necessità di misure preventive a sostegno delle famiglie in difficoltà e misure specifiche di informazione, di individuazione delle violenze, di aiuto e terapia a tutta la famiglia e di coordinamento tra i vari servizi. 9 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Nella metà del XX secolo la professione medica ha iniziato ad essere coinvolta seriamente nel problema dell'abuso all'infanzia. Determinante è stato il contributo di Kempe, che nel 1962 ha parlato di "sindrome del bambino battuto", precisando gli elementi clinici e radiologici utili alla diagnosi. L'autore si è soffermato sull'importanza dell'interrogatorio ai genitori, che sembrano avere una totale amnesia dell'episodio che li ha portati ad aggredire il proprio figlio. Successivamente un altro autore, Fontana, che si è molto occupato del fenomeno, estese il concetto di maltrattamento alle condizioni di malnutrizione, di mancanza di cure familiari e al maltrattamento psicologico. Egli vide nel maltrattamento solo la punta emergente del fenomeno "abuso", ipotizzando che un bambino vittima di violenza può anche non presentare alcun segno di trauma fisico. Successivamente, ancora, Kempe suggerì di abbandonare la definizione di battered child e cambiarla in child abuse and neglect, concetto che esprime meglio gli aspetti del maltrattamento in tutta la loro estensione. 2. Lo studio del fenomeno dell'abuso sessuale in Italia In Italia la prima denuncia dell'esistenza, anche nel nostro Paese, del fenomeno "maltrattamento" comparve nella letteratura clinica, nel 1962, in seguito alle ricerche compiute da Rezza e De Caro. Queste prime ricerche vennero guardate con sospetto e ironia e si cercò di circoscrivere il problema dell'abuso e della violenza sui bambini al mondo anglosassone, come se la nostra società ne fosse stata immune. D'altra parte, sebbene mancassero ricerche epidemiologiche sul tema e la letteratura italiana fosse quasi inesistente, i dati clinici confermavano l'esistenza di numerosi casi di violenza. Solo a partire dagli anni Ottanta i grandi mezzi di comunicazione hanno iniziato ad occuparsi ampiamente dei maltrattamenti all'infanzia e più in generale della violenza intrafamiliare. Secondo alcuni neuropsichiatri infantili le ragioni di questo ritardo, significativo in Italia ma diffuso in tutti i paesi mediterranei, sono certamente molteplici e vanno dal carattere tradizionalmente "chiuso", proprio della struttura familiare, alla diffusa riluttanza e difesa sociale ad ammettere l'esistenza di un fenomeno riprovevole ed imbarazzante. Ancora più difficile risultava poi accettare che si trovassero dei bambini maltrattati non solo in seno a famiglie con cattive condizioni socio-economiche, o con problemi di etilismo o patologie psichiatriche, ma anche in famiglie le cui condizioni sociali, strutture coniugali e comportamenti esterni apparivano normali, o addirittura benestanti. 10 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Il problema è stato circoscritto in un primo momento soprattutto agli Istituti per l'Infanzia, sollecitando inchieste e rilevazioni; in seguito venne studiato in una prospettiva sociologica, sottolineando il sovraccarico di richieste e compiti che gravano sulla famiglia. Dopo i primi contributi scientifici ed alcuni fatti di cronaca, in molte parti d'Italia, si formarono varie Associazioni, volte a prevenire il fenomeno dell'abuso sessuale sui minori, che furono molto attive nell'organizzazione di convegni e nel cercare di creare i primi contatti tra i vari operatori del settore. Da tali convegni emerse poi la necessità di chiarire il significato del concetto "abuso sessuale". 3. La violenza sui minori 3.1 Come classificarla La classificazione della violenza, considerata dagli esperti quella più completa tra le varie esistenti, è stata proposta da Francesco Montecchi, il quale ritiene che "pur nell'artificiosità degli schemi e delle classificazioni, queste ci permettono di discriminare e riconoscere il fenomeno per poterlo prevenire e curare, nonché per poter promuovere e difendere la nuova cultura dell'infanzia, e offrire una più vasta capacità di attenzione ai problemi e alle esigenze più profonde dell'anima infantile da parte delle varie categorie di professionisti che si occupano di famiglia e di bambini". 1. Maltrattamento: a. fisico: è la forma più manifesta e facilmente riconoscibile; b. psicologico: è forse l'abuso più difficile ad essere individuato, se non quando ha già determinato gli effetti devastanti sullo sviluppo della personalità del bambino; in notevole incremento negli ultimi anni con lo stile di vita della società consumistica e materialistica e la crisi della famiglia. 2. Patologia della fornitura di cure. Un tempo identificata nella incuria, in realtà viene individuata non solo nella carenza di cure, ma anche nella inadeguatezza delle cure fisiche e psicologiche offerte, considerandole sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo. Si possono distinguere le seguenti forme: a. incuria: cioè la carenza di cure fornite (la cosiddetta violenza per omissione); b. discuria: quando le cure, seppur fornite, sono distorte ed inadeguate se rapportate al momento evolutivo del bambino; 11 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO c. ipercura: quando viene offerto, in modo patologico, un eccesso di cure. In questo gruppo è compresa la sindrome di Münchhausen per procura, il medical shopping e il chemical abuse. 3. Abuso sessuale. Tale forma di abuso è onnicomprensiva di tutte le pratiche sessuali manifeste o mascherate a cui vengono sottoposti i minori e comprende: a. abuso sessuale intrafamiliare. Non riguarda solo quello comunemente considerato tra padri o conviventi e figlie femmine, ma anche quello tra madri o padri e figli maschi, nonché forme mascherate in inconsuete pratiche igieniche; è attuato da membri della famiglia nucleare (genitori, compresi quelli adottivi e affidatari, patrigni, conviventi, fratelli) o da membri della famiglia allargata (nonni, zii, cugini ecc.; amici stretti della famiglia); b. abuso sessuale extrafamiliare. Interessa indifferentemente maschi e femmine e riconosce spesso una condizione di trascuratezza intrafamiliare che porta il bambino ad aderire alle attenzioni affettive che trova al di fuori della famiglia; è attuato, di solito, da persone conosciute dal minore (vicini di casa, conoscenti ecc.). Non è affatto infrequente che vengano attuate da parte di più soggetti forme plurime di abuso (ad esempio, abuso intrafamiliare e contemporaneo sfruttamento sessuale a fini di lucro; abuso da parte di adulti della famiglia e di conoscenti, ecc.). 3.2 Le radici della violenza I cosiddetti "rischi o fattori di violenza" (soprattutto familiare) sono stati individuati utilizzando il "modello ecologico di Bronfenbrenner", secondo quattro livelli di analisi: le caratteristiche individuali; il contesto sociale immediato; il contesto ambientale più ampio; il contesto sociale e culturale. Riguardo alle caratteristiche individuali, il basso livello di autostima, lo scarso controllo dell'impulso, l'affettività negativa e l'eccessiva risposta allo stress sicuramente aumentano la probabilità che un individuo possa divenire perpetratore di violenza familiare. Anche la dipendenza 12 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO da alcool e droghe gioca un ruolo importante sia come fattore di rischio sia come elemento predisponente alla violenza. In relazione al contesto sociale immediato, le caratteristiche del sistema familiare hanno importanti implicazioni per l'eziologia o l'esercizio della violenza intrafamiliare: a questo proposito occorre citare la struttura e la dimensione della famiglia ed anche eventi "paranormativi", come la perdita di un lavoro o la morte di un familiare. Alcuni autori hanno rilevato che le famiglie che abusano dei loro figli sono spesso caratterizzate da un maggior numero di eventi stressanti, anche se ciò non vuol dire che tutte le famiglie colpite da tali eventi abusino dei loro figli; tuttavia, laddove ciò accade, pare che gli abusanti siano più aggressivi e ansiosi dei non abusanti. In riferimento al contesto ambientale più vasto, la violenza intrafamiliare è legata anche alle caratteristiche della comunità in cui la famiglia è collocata, come la povertà, l'assenza di servizi per la famiglia, l'isolamento e la mancanza di coesione sociale. Inoltre alti livelli di disoccupazione, abitazioni inadeguate e violenza nella comunità contribuiscono ad aumentare il rischio. Considerando che certamente non tutte le famiglie povere abusano dei propri figli, varie ricerche hanno sottolineato che la principale differenza tra famiglie povere che abusano dei figli e quelle che non abusano consiste nel grado di coesione sociale e di assistenza reciproca trovata nelle loro comunità. Altre ricerche successivamente hanno dimostrato che le famiglie abusanti socializzano meno con i propri vicini di casa rispetto alle famiglie non abusanti. Infine, la ricerca ha dimostrato che esiste uno specifico contesto sociale e culturale della violenza intrafamiliare. Si ritiene, infatti, che tale tipo di violenza sia compiuta attraverso precisi valori culturali: basti pensare all'uso della punizione fisica nella privacy familiare. Ma se cause facilitanti la violenza dei minori (concause) possono essere le difficili condizioni di vita della famiglia (povertà, emarginazione, solitudine) e/o cause psicologiche (frustrazioni personali, immaturità, ecc...), da vari studi emerge che la "vera causa" sia il fatto che il genitore, che maltratta il figlio, abbia avuto nella propria infanzia tristi esperienze di abuso o di trascuratezza. La cosiddetta ripetitività dell'abuso o ciclo intergenerazionale della violenza sembra essere, infatti, l'aspetto più caratteristico delle storie di famiglie che compiono maltrattamenti o abusi, dove l'azione violenta o di trascuratezza viene trasmessa da una generazione all'altra. Secondo un'altra ipotesi questa "familiarità" della violenza in famiglia potrebbe ascriversi ad una causa genetica piuttosto che ambientale, nonostante l'influenza dell'ambiente sia nondimeno rilevante. A parte queste diverse tesi, si può sicuramente affermare che l'abuso può compromettere le normali tappe dello sviluppo del bambino come la formazione del legame di attaccamento, la regolazione affettiva, lo sviluppo dell'autostima e le relazioni con i coetanei. In particolare persistono, anche 13 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO nell'età adulta, disturbi relazionali rappresentati da sentimenti di paura e di ostilità nei confronti delle figure parentali e reazioni di forte diffidenza nei confronti di altri adulti e dei partners; inoltre si rilevano varie disfunzioni del comportamento sessuale, tendenza alla prostituzione, alla tossicodipendenza e all'alcoolismo e tutto questo può costituire una predisposizione per compiere violenza sui propri figli, ma ciò non è detto che avvenga. Comunque bisogna anche aggiungere che la violenza sui minori è strettamente legata al più generale fenomeno della violenza diffusa nella società (affermazione accreditata dal fatto che ci sono anche tantissime violenze al di fuori della famiglia). E questo non soltanto perché chi subisce quotidiana violenza tende ineluttabilmente a scaricare le proprie frustrazioni sui soggetti più deboli che gli sono vicini e che appaiono sotto il suo dominio, quanto principalmente perché sono identiche le cause culturali di ogni forma di violenza. Nella società attuale si è cominciato a credere che l'educazione sia equivalente al condizionamento del comportamento umano e quindi che, con l'eccessivo utilizzo dell'attività educativa, siano venute meno la spontaneità e la libertà dei processi maturativi del bambino. Ma contro tale affermazione bisogna sostenere che "il condizionamento sociale è lo strumento che ha reso umano l'uomo" e per questo importantissimo. Il problema perciò non è di ridurre il condizionamento sociale ma di individuare quale condizionamento bisogna porre in essere e con quali scopi: bisogna mettere in atto dei condizionamenti utili al bambino, limitandoli al massimo, ma soprattutto essendo sempre tesi ad impedire che diventino deterministicamente operanti e dunque tali da soffocare le possibilità ed aspirazioni del bambino, per trasformarli al contrario in suggerimenti e spinte esistenziali positive. Inoltre bisogna rendersi conto che, nella società moderna, l'infanzia è stata collocata all'interno della famiglia ed i bambini sono considerati un'appendice dei genitori. Il fenomeno esistente è quello dell' "adultocentrismo", dove sono i bambini che devono adeguarsi alle abitudini degli adulti e non viceversa. Quindi, è un "bambino a rischio" quello che non riesce a trarre dall'ambiente (socioculturale in senso ampio) tutte le risorse necessarie per un suo armonico e pieno sviluppo psicofisico e relazionale. Secondo alcune ricerche è emerso che ogni agente causale, sia se considerato isolatamente, sia in associazione con altri, può essere responsabile solo di una parte dell'evento di violenza realizzatosi. Infatti è stato osservato che molte persone (anche minori) presentano la capacità di mantenere un discreto adattamento anche in condizioni di vita particolarmente sfavorevoli: questo perché, magari, i fattori di rischio che esistono nella loro condizione di vita, sono neutralizzati - o comunque affievoliti - dai cosiddetti "fattori protettivi" (ad esempio la relazione soddisfacente con almeno un componente della famiglia). 14 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 4. Maltrattamento Il maltrattamento presenta un quadro clinico fortemente variabile ed è un termine molto ampio sia perché comprende al proprio interno le conseguenze di due tipi di eventi, "attivi" (come la violenze fisica, psichica o l'abuso sessuale) e/o "passivi" (come la mancanza di cure adeguate), sia perché tali situazioni possono, di volta in volta, o presentarsi come isolate, o associarsi in diverso modo tra loro, determinando manifestazioni polimorfe e variabili nel tempo. D'altra parte qualsiasi tipo di maltrattamento produce una complessità di conseguenze, che vanno direttamente a minare la salute fisica e la sicurezza del bambino, ma anche il suo equilibrio emotivo e il suo sviluppo psico-relazionale, la stima di sé e il presente e futuro ruolo sociale. In questi termini il maltrattamento va considerato come una "patologia sindromica", nella cui storia naturale sono comprese evoluzioni gravi a lungo termine, che intaccano la successiva possibilità dell'adulto maltrattato nell'infanzia di stringere legami affettivi stabili e di svolgere un competente ruolo genitoriale. Per tali ragioni la diagnosi di maltrattamento e/o abuso è quasi sempre complessa e difficile, richiede quasi costantemente la stretta collaborazione di diverse figure professionali e presuppone che i professionisti abbiano la sensibilità e l'attitudine a prevederla tra le possibili diagnosi e la preparazione tecnica per accertarla. D'altra parte individuare le situazioni di abuso o maltrattamento è di importanza essenziale sia per la sopravvivenza fisica del bambino, sia per il suo successivo sviluppo, poiché la condizione di maltrattamento persiste fino a quando non viene realizzato un intervento terapeutico esterno: è dunque impossibile che un bambino maltrattato esca da solo da questo stato. Nella categoria del maltrattamento è possibile distinguere: a. maltrattamento fisico; b. maltrattamento psichico. 4.1 Maltrattamento fisico Per maltrattamento fisico s'intende l'infliggere intenzionalmente dolore al bambino allo scopo di penalizzare i comportamenti indesiderati o disapprovati e di impedirne il ripetersi. 15 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Chi e' il bambino maltrattato Tutti gli studi e le indagini fatte al fine di individuare dei tratti specifici che caratterizzino il bambino picchiato, oltre ad avere un interesse puramente conoscitivo, mirano ad offrire il maggior numero possibile di elementi che permettano una facile individuazione del minore che ha subito delle violenze. Per quanto riguarda l'età in cui il bambino è soggetto con maggiore frequenza a sevizie, si è affermato che gli episodi di violenza si scatenano più facilmente nel caso di bambini molto piccoli della fascia da 0 a 3 anni. Nel tentativo di spiegare il perché di tale concentrazione cronologica si è ipotizzato che la nascita e le prime fasi di sviluppo di un bambino rappresentino una crisi che può disorganizzare difese e sistemi adattativi consolidati e dar luogo a vere e proprie "esplosioni aggressive" che travolgono il funzionamento familiare. Inoltre quella è un'età in cui il bambino vive un periodo in cui sono più complessi i problemi di adattamento e per cui esso ha poche capacità personali di sottrarsi alle percosse o comunque di denunciare il suo abusante. Nelle distribuzioni statistiche vi è una assoluta parità nel maltrattamento tra i due sessi. Al più si può affermare che più frequentemente viene maltrattato il bambino del sesso opposto a quello desiderato dai genitori poiché la sua nascita delude le loro aspettative. Non vi sono delle caratteristiche specifiche del bambino maltrattato, ma piuttosto vi sono dei fattori che più di altri possono far sì che il minore divenga vittima dell'episodio violento. Infatti, non tutti i bambini sono uguali: già al momento della nascita presentano caratteristiche proprie che vengono definite "personalità di base" o "differenze costituzionali". Naturalmente un bambino irrequieto, che piange, che ha difficoltà di alimentazione sarà più esposto al rischio di essere maltrattato rispetto ad un bambino che non crea problemi ai genitori. Sono stati indicati quali fattori che scatenano l'episodio violento una gravidanza ed un parto difficili, una nascita prematura, la presenza di malformazioni congenite, danni cerebrali provocati al momento del parto, handicap. D'altra parte in conseguenza dello stesso maltrattamento a cui è sottoposto, il bambino può acquisire schemi comportamentali che a loro volta sollecitano risposte aggressive da parte delle persone a lui vicine: cioè il maltrattamento può modellare degli schemi di comportamento nel bambino che aumentano la probabilità che egli sia vittima di ulteriori maltrattamenti. I genitori che maltrattano Chi aggredisce il bambino è nella maggioranza dei casi un familiare (raramente entrambi) e più spesso la responsabile è la madre, forse perché, di solito, è colei che passa più tempo con i figli. 16 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Si tratta generalmente di coppie giovani, frustrate o comunque in grave disaccordo, inconsapevoli del loro ruolo di genitori e pertanto incapaci di acquisire un modo accettabile di svolgerlo. È spesso evidente un'ingiustificata eccessiva severità. Non di rado sono rilevabili precedenti penali. La possibilità che i responsabili di violenza sul minore appartengano ad una classe sociale bassa, per quanto trovi un effettivo riscontro dai dati emergenti, non deve far trascurare l'ipotesi verosimile che nei ceti sociali più elevati è maggiore la capacità di occultamento. Infine, come accennato, accade spesso che il maltrattante sia stato a sua volta maltrattato nell'infanzia (cosiddetto ciclo della violenza) e questo rende più probabile (ma non automatico) il ricorso nell'età adulta a comportamenti violenti verso i propri figli. Problemi connessi al riconoscimento delle situazioni di maltrattamento È frequentemente riscontrato che sia il medico a trovarsi di fronte al bambino maltrattato, in un servizio di Pronto Soccorso, se le lesioni sono di entità tale da richiedere il ricovero in ospedale, oppure il medico o il pediatra di famiglia se le lesioni sono di minore entità. È quindi importante per il medico e comunque, in senso più generale, per tutti coloro che nella routine quotidiana di lavoro hanno contatti con i bambini e con le loro famiglie, avere un'approfondita conoscenza degli "indici" del maltrattamento, che dovrebbero indurre il sospetto di un episodio di violenza. Una volta che il bambino è arrivato all'attenzione del medico del Pronto Soccorso, se necessario, sarà bene che questi, oltre a prestare le immediate cure, consigli anche il ricovero del piccolo per due motivi ben precisi: prima di tutto perché si avrà così la possibilità di praticare tutti gli esami atti ad appurare la presenza di eventuali danni fisici e psichici subiti precedentemente, e secondariamente perché la separazione del bambino dalla famiglia consentirà ad entrambi di alleviare la grave situazione di stress emotivo, questo soprattutto per quelle madri che non hanno nessuno a cui affidare il bambino. Le lesioni, che sono conseguenza di un maltrattamento fisico, devono essere distinte da quelle derivanti da un incidente. Di regola, infatti, è proprio un "meccanismo accidentale" quello che viene riferito, dai genitori o dagli adulti che hanno in carico il bambino nel corso delle visite mediche come causa delle lesioni. Ci sono, comunque, degli "elementi generali" che sono sempre presenti nel corso di maltrattamento fisico: ad esempio, suggestivi sono il ritardo nel cercare l'aiuto del medico, il racconto vago, povero di dettagli e variabile da persona a persona di quanto sarebbe accaduto, la descrizione della dinamica dell'incidente all'origine delle lesione non compatibile con la loro tipologia, sede, estensione e 17 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO gravità. Anche l'atteggiamento del genitore, che presenti un comportamento ed un coinvolgimento emotivo non adeguati alle circostanze ed alle condizioni del bambino, che si dimostri oppositivo ed ostile, oppure l'atteggiamento del bambino triste, impaurito o viceversa iperattivo, incontenibile, possono suscitare ragionevoli perplessità. Infine la storia di numerosi incidenti o ricoveri precedenti, di maltrattamenti già diagnosticati per altri fratelli o di violenza intrafamiliare nota costituisce elemento di grave rischio. Occorre, però, ricordare che nessuno di questi fattori può condurre con certezza alla diagnosi di maltrattamento, anche se la loro presenza, specie se associata ad altri elementi, impone al medico di valutare questa diagnosi differenziale. È in ogni caso necessario che il medico, che si trova a curare il bambino, compia un'anamnesi accurata della dinamica dell'incidente e un'osservazione attenta del comportamento spontaneo del bambino e dell'adulto che lo accompagna, anche se si tratta di una lesione presunta accidentale. Il successivo esame e i conseguenti accertamenti strumentali devono essere altresì particolarmente accurati e mirati ad evidenziare alcune specifiche caratteristiche delle lesioni cutanee, scheletriche e viscerali, delle ustioni o delle eventuali intossicazioni o asfissie. Dunque è importante non limitare il problema diagnostico al solo bambino: per svelare la dinamica dell'episodio e dargli un significato all'interno del contesto familiare è necessario raccogliere informazioni sull'intero nucleo familiare, ricostruendo le varie fasi del ciclo vitale del gruppo familiare ed i motivi più contingenti che hanno scatenato la crisi. Le conseguenze del maltrattamento Gli studi che hanno cercato di individuare le conseguenze neurologiche degli abusi hanno concordemente rilevato che le sevizie sui bambini portano ad un'alta incidenza di deficit di vario tipo e questo non solo quando si provochino lesioni alla testa, ma anche quando il bambino piccolo sia stato violentemente scosso pur senza provocare lividi o fratture craniche. Assai più preoccupanti sono invece le conseguenze psicologiche di tipo depressivo che insorgono. Il maggior danno, perché rende assai difficile il recupero, è costituito dalla passività, dalla abulia, dalla chiusura su se stessi, dalla definitiva chiusura di ogni speranza e di ogni stimolo a crescere e a strutturarsi. I ragazzi che hanno subito violenza sono bambini prima, ragazzi poi, adolescenti infine, spenti isolati, regrediti, disinteressati alla vita propria e a quella sociale, ai quali è stata tolta ogni forza vitale. 18 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 4.2 Maltrattamento psicologico Un comportamento diventa lesivo sul piano psicologico in quanto trasmette uno specifico messaggio negativo o in quanto interferisce con aspetti dello sviluppo psichico. I numerosi tentativi di definire le varie forme di maltrattamento psicologico si sono concentrati sulla combinazione di tre dimensioni fondamentali: le azioni, le intenzioni e gli esiti. In generale un comportamento è giudicato dannoso sulla base della probabilità che abbia effetti deleteri su chi lo subisce. Dato che i segni del danno psicologico o emozionale sono più difficili da individuare rispetto a quelli della violenza fisica, spesso manifestandosi solo tardivamente ed essendo legati alla causa presunta in modo indiretto, la ricerca in questo campo dovrebbe essere orientata ad identificare le probabilità che il danno risulti effettivamente da una specifica azione e quindi a determinare l'indice di pericolosità potenziale di questa. In realtà un'attenta valutazione della natura della sofferenza psichica deve tener conto che le ripercussioni sull'individuo di qualsiasi evento nascono dalla interazione tra varie dimensioni quali l'intensità, la frequenza, la durata, il contesto, il significato soggettivo assunto dall'evento stesso. All'interno di ciascuna dimensione è difficile tracciare una linea di demarcazione tra ciò che è tollerabile da parte del soggetto, della comunità, della cultura e ciò che non può essere accettato. Il termine "maltrattamento psicologico" viene usato, in una accezione più generale, per indicare tutti gli aspetti affettivi e cognitivi del maltrattamento infantile derivanti da atti o da omissioni. 5 Abuso sessuale 5.1 La definizione del termine "abuso sessuale sui minori" La rilevazione e l'accertamento di un fatto di abuso sessuale è un'operazione estremamente complessa, soprattutto perché sussiste tra gli specialisti molta incertezza su cosa debba intendersi per "abuso sessuale". In realtà non è affatto semplice delimitare i confini tra ciò che è lecito e ciò che non lo è, in una materia così fortemente condizionata da inclinazioni soggettive, dove la linea di demarcazione è molto sfumata. La difficoltà di definire i comportamenti umani è ancor più forte quando la classificazione riguarda i comportamenti sessuali illeciti, cioè quelli integranti fattispecie di reato. 19 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Nelle ricerche sull'abuso sessuale (sulla sua estensione e le sue caratteristiche) qualunque operatore adotta una definizione diversa e utile per la sua attività, per cui esse sono difficilmente comparabili e i risultati cui pervengono possono variare anche di molto da lavoro a lavoro, benché tutte abbiano apparentemente lo stesso oggetto di indagine. E questa diversità nelle definizioni è ancora più evidente nel caso dell'incesto, dove la pluralità di definizioni si coniuga con il carattere intrafamiliare dell'abuso sessuale. Un primo effetto pratico immediato di tutta questa confusione è la difficoltà a promuovere le opportune politiche sociali e a mobilitare le risorse necessarie. Sul piano operativo la clinica e il diritto risentono in maniera ancor più consistente della mancanza di una definizione condivisa dalle varie discipline. Nasce così tra gli operatori in questa materia la "polarizzazione": tra quanti ritengono giustificabile l'intervento esterno solo nei casi più estremi e sono favorevoli ad una definizione di abuso sessuale assai circoscritta; e quanti collocano al primo posto la protezione del minore e sostengono che l'adozione di una definizione, la più ampia possibile, può concorrere a prevenire un'escalation da forme di abuso meno gravi ad altre più gravi. La definizione nella ricerca Da un attento esame comparativo, compiuto da alcuni autori (Peters, Wyatt e Finkelhor), delle principali ricerche sull'incidenza dell'abuso sessuale sui minori, è emerso che le definizioni del termine "abuso sessuale sui minori" divergono nelle diverse attività lavorative in quattro punti fondamentali: l'inclusione o meno dell'esibizionismo e delle proposte oscene nella definizione di abuso sessuale, il limite di età della vittima, l'inclusione o meno delle aggressioni commesse da coetanei, la differenza di età tra vittima e aggressore. Molti ricercatori usano una definizione assai ampia di abuso sessuale che comprende, oltre agli abusi sessuali con contatto fisico (contact abuse), anche atti che non contemplano un contatto fisico tra vittima e aggressore (non contact abuse), come ad esempio l'invito a partecipare ad attività sessuali: includono, dunque, nella definizione di "abuso sessuale" anche gli atti di esibizionismo e le proposte oscene. 20 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Essi sostengono la loro scelta in base a due ragioni: l'esibizionismo è considerato un atto criminale il cui scopo è spaventare e colpire moralmente la vittima; le proposte oscene, quando provengono da un adulto con cui il minore ha una relazione affettiva significativa e di dipendenza, hanno un considerevole impatto psicologico sul minore. Altri autori, invece, esitano ad accomunare l'esibizionismo e le proposte oscene all'abuso sessuale caratterizzato da contatto fisico, dal momento che quest'ultimo implica un ben più alto grado di gravità con seri effetti psicologici. Alcune ricerche sostengono infatti che sia improbabile che il solo abuso sessuale senza contatto fisico possa determinare disturbi psicologici a lungo termine. a. Anche riguardo al limite di età delle vittime le definizioni variano da ricerca a ricerca, spaziando dall'età prepuberale ai sedici anni fino al limite dei diciotto anni (che coincide con la minore età giuridica). b. Un altro argomento di divergenza riguarda il problema se debbano essere inclusi nella definizione anche episodi che abbiano quali autori del reato dei coetanei della vittima. L'orientamento più recente è di includere anche queste esperienze ogni volta che esse implichino coercizione e non siano ricercate, bensì subite dalla vittima. Anche la legislazione italiana accoglie tale orientamento, prevedendo "la reclusione per chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali", includendovi dunque anche i coetanei della vittima (art. 609-bis c.p.). c. L'ultima divergenza è costituita dalla differenza minima di età tra vittima ed aggressore, necessaria perché si possa ricorrere alla definizione di abuso sessuale indipendentemente dall'esistenza di un apparente consenso da parte della vittima. In genere, tutti sono d'accordo nel ritenere sempre abuso sessuale ogni relazione tra un adulto ed un bambino. Quando però gli episodi sessuali interessano vittime adolescenti, i confini necessari a definire l'abuso sessuale si fanno più confusi. È infatti impossibile e sempre arbitrario definire in modo astratto il momento in cui l'adolescente raggiunge la capacità di acconsentire liberamente e pienamente a una relazione sessuale. 21 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO La definizione clinica di abuso sessuale Il problema della grande varietà di definizioni di abuso sessuale merita un'attenzione particolare quando interessa l'ambito clinico. Vari professionisti (medici, magistrati, avvocati, psicologi, operatori sociali insegnanti) affrontano l'intervento nei casi di incesto ognuno partendo dalla propria specifica identità professionale. Dalla propria esperienza ciascuno trae una propria visione su ciò che debba essere ritenuto abuso sessuale o incesto. Spesso queste visioni possono essere assai discordanti e produrre fraintendimenti e divergenze sostanziali su aspetti di primaria importanza, come la protezione dei minori o l'apertura di procedimenti penali a carico degli adulti. Sul terreno dell'intervento operativo si pone quindi ancora più forte l'esigenza di una definizione che possa essere largamente condivisa da diverse figure professionali. D'altra parte, però, una definizione troppo ampia o generale rischia di lasciare un margine eccessivo alla discrezionalità, favorendo il riemergere di punti di vista parziali. Diversi autori, infatti, raccomandano di diffidare di definizioni troppo ampie e invitano ad affiancare sempre ad espressioni generali, quali "abuso sessuale sui minori", descrizioni dettagliate ed esplicitamente connesse al contesto di riferimento in cui vengono usate (per esempio "bambini molestati dai genitori"), invece di "bambini vittime di abusi sessuali". La pedofilia e l'abuso sessuale sono tradizionalmente trattati come aberrazioni sessuali, laddove l'esperienza clinica ha ampiamente messo in evidenza che chi aggredisce sessualmente i bambini cerca, attraverso comportamenti sessuali, di soddisfare bisogni che hanno più a che fare con la ricerca di sensazioni di potere, di controllo e di dominio su soggetti più deboli che con il piacere sessuale. La possibilità di coinvolgere un minore in una relazione sessuale è determinata, infatti, dalla posizione di superiorità e dal potere che ha l'adulto nei confronti del bambino, che si trova invece in una posizione di dipendenza e di soggezione. È attraverso questa sua autorità che l'aggressore, implicitamente o esplicitamente, costringe il minore a sottomettersi alla relazione sessuale. Una definizione operativamente efficace è quella proposta da Goodwin, che utilizza indifferentemente le espressioni "incesto" e "abuso sessuale intrafamiliare" per indicare "ogni azione sessuale commessa su un bambino da parte di un adulto avente ruolo di genitore". Sotto un profilo teorico, criminologico e giuridico, far coincidere l'incesto con l'abuso sessuale intrafamiliare può apparire arbitrario. 22 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Ogni distinzione si rivela però secondaria quando ci si muove nella prospettiva dettata da esigenze di intervento operativo (giuridico, sociale o psicologico) nell'interesse di minorenni. Infatti, indipendentemente dal grado, dalla durata e dalla stabilità del coinvolgimento del minore nella relazione incestuosa si attivano le medesime esigenze di protezione, di indagine e trattamento da parte delle istituzioni. Ai fini della scelta di intervenire la distinzione appare cioè irrilevante. È solo in un secondo momento che essa torna ad acquisire tutta la sua importanza, quando si tratta di ricostruire la dinamica dell'incesto per definire i trattamenti idonei o per accertare il grado di responsabilità (psicologica e penale) del genitore e di altri familiari. Il concetto clinico di abuso sessuale elaborato dalla letteratura sociologica e psicologica risulta dunque più esteso rispetto alla condotta che integra la fattispecie di reato sul piano giudiziario. Anche nella Legge n. 66 del 1996 la definizione del reato implica la costrizione del soggetto-vittima a "compiere o subire atti sessuali con violenza, minaccia o mediante abuso di autorità", anche se molti correttivi rendono presunta tale componente violenta in situazioni in cui essa non è esercitata in modo esplicito (con riguardo all'età della vittima e al tipo d'autore). Tuttavia rimane escluso da tale definizione, ad esempio, il verificarsi di relazioni sessualizzate tra soggetti minorenni con differenza di età pari o inferiore a tre anni se tali soggetti hanno più di tredici anni, indipendentemente dalla relazione che li lega; non possono inoltre essere considerate reato - in quanto non comportano veri e propri "atti"- altre situazioni in cui il minore è esposto ad un clima psicologico decisamente negativo e fuorviante per il corretto sviluppo di una sua propria identità sessuale e della sua personalità, o sia coinvolto come spettatore più o meno complice di giochi erotici tra persone cui sia fortemente legato. Secondo molti autori tali situazioni non differiscono invece, almeno sul piano qualitativo, dalle esperienze codificate come violenza sessuale, in quanto le conseguenze dannose che possono produrre potrebbero essere le medesime. Si può dunque affermare che c'è un'importante differenza tra la definizione clinica e quella giuridica di abuso sessuale. Nella prima, il bene giuridico protetto è l'integrità del minore come persona, il quale può essere danneggiato da qualunque atto sessuale che subisce, chiunque sia il soggetto agente. La legge n. 66/96, invece, fornisce una tutela dello sviluppo della sessualità del minore e prevede, a seconda della sua età o della relazione con il soggetto agente, l'intangibilità sessuale oppure la sua capacità di autodeterminazione in ambito sessuale (purché egli abbia compiuto almeno tredici anni e la differenza di età con il coetaneo non sia superiore a tre anni). Quindi, mentre nella definizione clinica l'intervento operativo di protezione e trattamento dovrà essere attivato indipendentemente dal grado, dalla durata o dalla modalità dell'atto sessuale compiuto o dall'età del minore, perché la sua 23 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO integrità come persona sarà stata comunque compromessa, nella definizione giuridica questi elementi qualificanti il fatto sono importanti per poter valutare il grado di responsabilità del soggetto agente. La definizione giuridica "Le definizioni normative dei comportamenti di abuso sessuale sui minori - afferma Mantovani devono rispondere ad una duplice esigenza: da un lato quella di conciliare la libertà sessuale di un individuo con i diritti degli altri individui e con i valori ammessi dalla collettività; dall'altro quella di inserire i comportamenti in questione nell'uno o nell'altro titolo di legge, anche in rapporto alla predominanza delle istanze sessuali o di quelle violente nella realizzazione delle pulsioni sessuali del reo". È quindi importante chiedersi che cosa può essere correttamente definito come comportamento abusante nei confronti di un minore. Anche se istintivamente può sembrare che non vi debbano essere dubbi in proposito, non è certo un caso che gli esperti ancora dibattano sull'estensione di tale definizione, sia in merito agli atti commessi, che al tipo di relazione intercorrente. Da un punto di vista puramente psicologico si potrebbe affermare che qualsiasi attivazione di desiderio sessuale in un adulto nei confronti di un bambino rappresenta una patologia che può dar luogo ad un abuso. Tuttavia è pure evidente che quando tale desiderio non si concretizza in azioni o si manifesta in forme tali da non essere direttamente percepibile dalla vittima (pensiamo ad esempio ad atti di voyeurismo), non sembra appropriato parlare di abuso. Secondo la definizione proposta dal Consiglio d'Europa nel 1978, per abuso sessuale di un minore deve intendersi «ogni atto o carenza che turbi gravemente i bambini o le bambine, che attenta alla loro integrità corporea, al loro sviluppo psico-fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono la trascuratezza e/o le lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di un terzo, ed ogni atto sessuale imposto al bambino non rispettando il suo libero consenso». Questa definizione solleva il grande problema dell'accertamento e della valutazione del grado di maturità e di capacità critica del minore che sia tale da consentirgli di esprimere realmente il suo libero consenso. Vi è l'esigenza di fissare un'età minima al di sotto dalla quale si può affermare in modo assoluto l'incapacità da parte del soggetto di esercitare tale consenso. Il nostro codice penale fornisce una definizione di "violenza sessuale" (art. 609-bis) riferendosi a "taluno che è costretto a compiere o subire atti sessuali, con violenza o minaccia ovvero mediante abuso di autorità", facendo alcune distinzioni riguardo all'età della vittima per l'inasprimento della pena (un numero maggiore di anni di reclusione). La condizione di minore età costituisce, in tali 24 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO ipotesi di reato, sia presupposto di violenza indipendentemente dal consenso espresso dalla vittima, sia circostanza aggravante rispetto alla punibilità, sia presupposto d'inferiorità psichica e fisica tipica dei minori, cioè essi si trovano sempre in un rapporto subalterno con l'autore del reato (adulto) e dunque nell'impossibilità di esprimere un consenso consapevole. La scelta compiuta dalla legge italiana n. 66/1996 ("Norme contro la violenza sessuale") è stata quella di introdurre, al posto della precedente normativa (che prevedeva sia l'ipotesi di violenza carnale, sia l'ipotesi di atti di libidine con differenti criteri di valutazione rispetto alle pene), la definizione di un'unica fattispecie di reato (atti sessuali), includendo così, in tale espressione, anche quei casi in cui non vi è stato un contatto fisico tra vittima e aggressore (non contact abuse), come ad esempio nel reato di corruzione di minorenne. L'elemento costitutivo del reato è la coercizione compiuta sulla vittima, mediante violenza, minaccia o abuso d'autorità, da parte del soggetto agente (che può essere anche un coetaneo del minore aggredito). Il nostro codice penale, infatti, ha stabilito che la differenza di età tra soggetti adolescenti, affinché si possa escludere una situazione di abuso sessuale, debba essere al massimo di 3 anni (art. 609-quater, 2º comma), purché il minore ne abbia almeno 13. Con questo comma è stato così riconosciuto il diritto del minore ad esprimere la propria sessualità, senza alcuna penalizzazione. Nella pratica giudiziaria si cerca però di valutare le varie situazioni di "violenza sessuale sui minori" in base anche alle definizioni date dagli esperti in tali problematiche, che configurano tali reati anche quando la violenza o la minaccia non è presente in modo esplicito. Certo è che una definizione giuridica di un fenomeno, per la sua stessa natura, sarà sempre più ristretta di una sociologica, ma il loro utilizzo è diverso: la prima serve per incriminare un fatto, la seconda per spiegarlo o trovarne la causa. È però auspicabile, perché certamente vantaggioso, il loro utilizzo congiunto per risolvere una questione problematica come quella della violenza all'infanzia. Una delle definizioni, ad esempio, più utilizzate perché ritenuta più appropriata, forse per la sua ampiezza e genericità, è quella avanzata da Kempe. L'autore infatti afferma che si deve considerare "abuso sessuale" sui minori: "il coinvolgimento di bambini e adolescenti, soggetti quindi immaturi e dipendenti, in attività sessuali che essi non comprendono ancora completamente, alle quali non sono in grado di acconsentire con totale consapevolezza o che sono tali da violare tabù vigenti nella società circa i ruoli familiari". Rientrano in questa definizione gli episodi di pedofilia, di stupro, d'incesto e più in generale di sfruttamento sessuale. Si tratta, ovviamente, di situazioni che possono dar luogo ad episodi molto diversi l'uno dall'altro, in presenza o meno di violenza fisica, ma accomunati dalla caratteristica di 25 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO agire in modo molto forte sulla vita psicologica e sulle relazioni sociali dei minori, turbandone i processi di sviluppo della personalità e di maturazione della sessualità. Tale definizione evita la specificazione dei singoli atti effettuati e permette così di classificare (e considerare, almeno ai fini dell'intervento clinico e giuridico-protettivo) come abuso anche le prime manifestazioni d'interessamento e di seduzione rivolte dall'adulto al bambino. Essa ridimensiona anche l'importanza del concetto di violenza (utilizzato invece da altri autori o dalla nostra legislazione come caratteristica essenziale al configurarsi di un'esperienza traumatica), concetto ambiguo e pericoloso da utilizzare quando debba essere applicato a quelle situazioni in cui i legami affettivi siano tanto forti da imporre reazioni di adattamento del bambino, capaci di "diluire" il significato intrusivo e traumatico che la stessa situazione assumerebbe se vissuta al di fuori di quella relazione, senza che ciò significhi danni meno gravi come conseguenza dell'atto stesso. La definizione di Kempe include, infine, il concetto importante di violazione dei tabù sociali, utile quando bisogna stabilire se le interazioni sessualizzate tra minorenni integrano un abuso. Ad esempio la differenza di età tra abusante e vittima, usato sia nel nostro che in altri paesi come criterio per discriminare la liceità delle condotte, può essere insufficiente e portare artificialmente, da un punto di vista legale, ad escludere l'abuso in casi in cui viceversa, sul piano clinico, esistono tutti i presupposti per configurare quella situazione come altamente traumatica. Alla definizione di Kempe si avvicina quella inserita nella Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all'infanzia, approvata a Roma nel 1998, dove l'abuso sessuale è stato definito come «il coinvolgimento di un minore da parte di un partner preminente in attività sessuale anche non caratterizzata da violenza esplicita», «fenomeno diffuso, che si configura sempre e comunque come un attacco confusivo e destabilizzante alla personalità del minore e al suo percorso evolutivo». 6 Gli interventi legislativi contro l'abuso sessuale sui minori La normativa prima della legge n. 66/96 La violenza sessuale contro i minori non è un fenomeno nuovo, neanche dal punto di vista legislativo: si è rivelato, infatti, come l'abuso fosse contemplato come reato già nell'antico codice di Hammurabi, risalente a 4000 anni fa, il quale prevedeva rigide pene per gli autori. 26 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Nelle antiche civiltà le grandi punizioni previste per tali reati erano per lo più legate al valore attribuito alla verginità, intesa però come "proprietà" dell'uomo, e quindi del padre o del marito o del fratello: la violenza sessuale era così considerata un reato compiuto contro la proprietà. Nel corso dei secoli la commissione dell'abuso sessuale è stata più o meno rilevata a seconda soprattutto dei cambiamenti nei valori etici e sociali dei rapporti umani: il rilevare o il denunciare un abuso sessuale è, ad esempio, incoraggiato ed auspicabile dalla maggior parte delle realtà territoriali attuali, mentre qualche tempo fa costituiva ancora una vergogna e un tradimento nei confronti della famiglia ed era quindi tenuto segreto. Le evoluzioni della società, inoltre, comportarono anche vari cambiamenti legislativi e, nei codici penali pre-unitari (come in quello toscano del 1853 ed in quello sardo-italiano del 1859) e nel codice Zanardelli del 1889, il delitto di violenza carnale e quello di corruzione di minorenne furono inseriti nei delitti contro il buon costume e l'ordine delle famiglie. Ma questo non bastava: ad esempio la libertà sessuale non era neanche menzionata e risulterà espressamente richiamata come tale soltanto nel codice Rocco del 1930 (nel capo I del libro IX). Quest'ultimo collocò la violenza sessuale nei reati contro la moralità pubblica e il buon costume. Con ciò venne espressa l'idea di fondo, presente nella tradizione giuridica al momento della codificazione penale italiana: gli interessi connessi alla libertà sessuale erano considerati non interessi intrinsecamente meritevoli di tutela di per sé, in rapporto al valore e alla dignità del soggetto che ne è portatore, bensì interessi necessariamente funzionali ad un altro sovrastante interesse dal quale traevano valore e validità: erano considerati il riverbero del superiore interesse alla pubblica moralità. E quindi l'introduzione dell'autonomo rilievo dato alla libertà sessuale fu una novità rispetto alla tradizione preesistente, ma affievolita da questa visione pubblicistica dell'interesse tutelato. Nei confronti dei minori, il riconoscimento del problema della violenza (seppur inizialmente nei suoi aspetti più eclatanti come l'abbandono, l'incuria e lo sfruttamento sul lavoro) si è però concretizzato veramente nella promulgazione di leggi, nel corso del tempo, volte a favorire un'attività di protezione sempre più articolata e intensa del minore da questi fenomeni. Ogni paese, infatti, dimostra il proprio grado di riconoscimento della violenza sui minori in base all'esistenza o meno di un insieme di norme dirette ad incrementare tali fenomeni ed in base alla loro accuratezza legislativa. Inizialmente sono stati sanzionati i fenomeni più facilmente percepibili all'estero quali il maltrattamento e l'incuria, seguiti poi dal riconoscimento di forme più "nascoste" quali la violenza psicologica e l'abuso sessuale. Con tale protezione l'ordinamento ha affermato che il valore da 27 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO tutelare va ravvisato nell'integrità della persona di minore età, considerandola come soggetto che ha potenzialità che vanno salvaguardate, ed ha inoltre realizzato una misura preventiva, impedendo indirettamente la commissione di ulteriori reati attraverso la minaccia della sanzione penale. Purtroppo ci sono ancora molte situazioni pregiudizievoli per i minori che non sono state riconosciute, o comunque dove essi non sono stati tutelati in modo tale da ottenere una "protezione reale". È importante, però, che anche il diritto - seppur con un notevole ritardo - abbia cominciato a riconoscere sia che gli adulti hanno dei doveri nei confronti dei minori, sia che questi ultimi sono portatori di diritti che non solo devono essere rispettati, ma devono anche essere concretamente attuati. La legge n. 66/96: "Norme contro la violenza sessuale" Una grande innovazione in materia di reati di violenza sessuale è stata apportata, negli ultimi anni, dalla legge n. 66/96, con la quale è stata realizzata la riforma del codice Rocco sull'argomento. Primo punto cardine della riforma è stato lo spostamento di tale normativa dal capo relativo ai delitti contro la moralità pubblica e il buon costume a quello dei delitti contro la libertà personale, con ciò mettendo in evidenza come la tutela offerta da tali disposizioni è rivolta prevalentemente al diritto di autodeterminazione dell'individuo nella sfera dell'attività sessuale. È stato quindi abrogato tutto il capo I del titolo IX del libro II del codice penale, relativo ai delitti contro la libertà sessuale, nonché gli artt. 530 (corruzione di minorenne), 539 (età della persona offesa), 541 (pene accessorie agli effetti penali), 542 (querela dell'offeso), 543 (diritto di querela). Le norme sulla violenza sessuale sono adesso inserite nella sezione II del capo III del titolo XII del c.p., che regola i delitti contro la libertà personale. Con tale nuova sistemazione il legislatore ha voluto affermare che il vero bene leso non è una generica moralità sessuale, il cui titolare è la collettività, ma la singola persona, la cui sfera di libertà viene gravemente violata dai comportamenti sanzionati nella legge e la cui personalità risulta essere fortemente compromessa. La legge n. 66/96 costituisce, da una parte, un riconoscimento della richiesta del movimento delle donne di giudicare la violenza sessuale come un reato contro la persona, ma sicuramente è anche un atto significativo di adeguamento della legislazione italiana a quanto stabilito dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, in particolare agli articoli 19 e 39 riguardanti le misure e le azioni per provvedere alla tutela dei minori da ogni forma di abuso. L'introduzione nel codice penale di un richiamo esplicito e specifico alla protezione dei bambini fu sollecitato all'Italia anche da parte del Comitato ONU sui diritti del fanciullo - organismo di controllo e di monitoraggio sullo stato di attuazione della Convenzione (costituito in base a quanto disciplinato dall'art. 43) - il quale, a seguito 28 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO della valutazione effettuata nel 1994 sul primo rapporto italiano riguardo alle misure adottate per dare applicazione alla Convenzione stessa, formulò osservazioni e raccomandazioni nei confronti del governo italiano, ma soprattutto incisivo fu il reclamo per l'assenza nel codice penale di un'adeguata protezione dei minori dall'abuso fisico, sessuale e dalla violenza all'interno della famiglia, per la carenza di misure appropriate di ascolto del bambino e per l'insufficiente numero di risorse e servizi appropriati per il recupero psico-fisico dei minori vittime di abusi. Infatti l'art. 19 della Convenzione incita gli Stati ad adottare provvedimenti legislativi, amministrativi, sociali ed educativi per difendere il minore da ogni forma di violenza, oltraggio fisico o mentale, di abbandono, di negligenza, di maltrattamento o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale, ponendo l'attenzione sul fatto che l'applicazione di tali provvedimenti deve essere necessariamente correlata alla creazione di programmi sociali finalizzati a fornire l'appoggio necessario al fanciullo e alla sua famiglia (sia questa quella naturale, adottiva o affidataria) e alla predisposizione di strategie di prevenzione e di adeguata indagine sulle condizioni socio-familiari del minore. L'articolo, dunque, sottolinea l'importanza di attivare interventi polisettoriali per tutelare efficacemente il minore, poiché il maltrattamento, lo sfruttamento e l'abuso sessuale sono fenomeni complessi che richiedono un approccio multidisciplinare da parte di ogni operatore e settore operante nelle cinque funzioni fondamentali di tutela: la prevenzione, la rilevazione, la diagnosi, la protezione e la cura/trattamento degli effetti a breve e lungo termine del trauma. L'articolo 39, inoltre, sancisce la necessità di assicurare interventi integrati di aiuto finalizzati a promuovere la cura e il reinserimento sociale dei minori vittime di qualsiasi forma di abuso che interferisca con il loro normale processo di crescita. L'abuso sessuale può essere realizzato sia con comportamenti attivi, sia con condotte definite commissive mediante omissione: dunque sia attraverso il compimento di atti sessuali direttamente sul corpo del bambino, sia costringendo quest'ultimo ad assistere a rapporti sessuali. Dunque sono di due tipi le condotte punite dall'ordinamento: quelle poste in essere con costrizione (violenza, minaccia o abuso d'autorità) e quelle poste in essere con induzione (inganno o abuso delle condizioni d'inferiorità fisica o psichica, nel senso di soggezione psicologica). Le disposizioni della legge n. 66/96 tendono a tutelare qualsiasi persona da illecite e conturbanti invasioni nella propria sfera di libertà, sia essa maschio o femmina, adulto o minore. Una tutela particolare è riservata a quest'ultimo a ragione della sua immaturità psichica e fisica, della sua conseguente incapacità di esprimere un consenso automaticamente libero e cosciente, della sua inesperienza e delle conseguenze altamente dannose per un suo equilibrato ed armonico processo di crescita. 29 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Un altro importante aspetto della riforma è stato quello dell'unificazione delle due precedenti figure di violenza carnale e degli atti di libidine violenta (atti sessuali violenti diversi dalla congiunzione carnale), valutati diversamente rispetto alle pene, nell'unica figura degli "atti sessuali" (art. 609 bis), con ciò volendosi eliminare la necessità di indagini, umilianti per la vittima, volte ad identificare nel caso concreto la specifica condotta compiuta dal colpevole. Tale unificazione è un chiaro sintomo di cambiamento culturale e di percezione sessuale sia rispetto alla sessualità, sia rispetto al ruolo di "persona". Infatti, prima della riforma si riteneva che la congiunzione carnale dovesse stimarsi, sul piano normativo, figura criminosa di maggiore gravità rispetto agli atti sessuali di natura diversa, non tenendo evidentemente in considerazione né il grado di compromissione della libertà sessuale derivante da atti in cui non si ha la "congiunzione degli organi genitali", né le conseguenze dannose che ne derivano. Alla nuova legge, per l'unificazione delle due figure criminose, sono state fatte subito, dalla dottrina, numerose critiche che hanno evidenziato come, per cercare di risparmiare alla persona offesa indagini umilianti e mortificanti (risultato che si voleva perseguire con tale unificazione), occorreva eliminare dal dettato normativo i requisiti della violenza e della minaccia (modalità costitutive delle condotte incriminate) e sostituirli con altri, quali ad esempio l'assenza di consenso o il dissenso, maggiormente rispettosi della persona e più rispondenti alla realtà dei fatti. È stato infatti rilevato che con tale unificazione non si può esonerare la vittima dal sottoporsi a tutte le visite medico-legali ed ai colloqui, che seppur frustranti e dolorosi, sono comunque attività necessarie per l'attività giudiziaria, in quanto volte a valutare l'esistenza, la consistenza e le modalità esecutive dell'atto. Infatti abolire ogni riscontro sulla vittima del reato porterebbe a riconoscerle il potere di qualificare direttamente i fatti, da lei denunciati, come verificatisi, ma questo è contrario ad ogni logica giuridica. L'unica funzione che può essere riconosciuta all'unificazione delle condotte illecite è quella di far sì che gli inquirenti, di fronte ad un caso sospetto o accertato di abuso sessuale, non debbano ricercare la specifica norma da applicare al caso concreto, ma possano utilizzare quella che prevede la generica azione di compiere "atti sessuali". La critica si è rivolta anche alla scelta di tale terminologia generica, la quale sembra non permettere l'individuazione esatta dei confini del fatto illecito. Le motivazioni del legislatore di voler, in questo modo, salvaguardare la riservatezza della persona offesa dalle indagini volte all'accertamento della verità non riescono a giustificare la conseguente violazione del principio di tassatività (contenuto implicitamente nell'art. 25 Cost.), che impone al legislatore di delineare in maniera precisa l'azione delittuosa, per far sì che ognuno sappia distinguere ciò che è lecito da ciò che non lo è. Tutto ciò ha portato alcuni giuristi a prospettare l'illegittimità costituzionale dell'art. 609 bis. 30 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO La legge n. 66/96 individua quattro figure criminose di violenza sessuale in senso ampio: la violenza sessuale propriamente detta, gli atti sessuali con minorenne, la corruzione di minorenne e la violenza sessuale di gruppo. La violenza sessuale e gli atti sessuali con minorenne Per i minori la nuova normativa ha predisposto una rete di particolare protezione: infatti ha previsto, in primo luogo, la minore età fra le aggravanti specifiche della violenza sessuale. La riforma ha disciplinato sia le condotte di violenza sessuale propria (art. 609 bis), nelle quali la minore età della persona offesa costituisce una mera circostanza aggravante dell'aggressione, sia gli atti sessuali consensuali compiuti con un minorenne (la cosiddetta violenza sessuale presunta o impropria), quegli atti, cioè, che il minorenne compie volontariamente, senza che sia utilizzata violenza o minaccia. Fino a quattordici anni, di regola, il minorenne non può validamente consentire al compimento di atti sessuali (art. 609 quater n. 1 c.p.): infatti il compimento, senza violenza né minaccia, di tali atti nei confronti di un soggetto che non abbia raggiunto tale limite di età è equiparato a tutti gli effetti alla violenza sessuale (art. 609 bis c.p.). Tale limite di età viene elevato a sedici quando l'autore rivesta una particolare qualifica che comporti un contatto più diretto e frequente con il minore (come ad esempio il genitore), o un'autorità su di lui, oppure un particolare carisma nei suoi confronti (art. 609 quater n. 2 c.p.). Le due disposizioni enunciano due presunzioni assolute (che non ammettono prova contraria) di invalidità del consenso prestato dal minore (anche senza l'utilizzo di violenza o minaccia) al compimento di atti sessuali. L'assolutezza di tali presunzioni risiede in ciò che il soggetto agente non è mai ammesso a provare: cioè che il minore, nonostante fosse di età inferiore ai limiti fissati dalla legge, avesse nel caso concreto a maturità e la consapevolezza sufficienti a consentire validamente al compimento degli atti sessuali. La prima presunzione assoluta, enunciata nel n. 1 dell'art. 609 quater c.p. e relativa all'invalidità del consenso prestato dal minore infraquattordicenne, è completata dal disposto dell'art. 609 sexies c.p., per il quale l'autore del reato non è mai ammesso a provare l'errore sull'età della persona offesa. Quindi, la legge presume che l'autore conosca l'età della vittima e l'ignoranza non rileva neanche se è stato cagionato dal dolo malizioso del minore (il quale, ad esempio, ha mostrato un documento sul quale, per errore dell'Amministrazione che lo ha rilasciato, compaia una data di nascita non vera ed anteriore a quella reale). 31 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Il significato del limite minimo di quattordici fissato dal legislatore risiede nella presunzione che prima di tale età il minore non abbia alcuna possibilità di avvertire in maniera limpida e non traumatica i mutamenti fisiologici, inerenti allo sviluppo, che si sono appena verificati o che si stanno verificando in lui. Si è voluto così tutelare l'inviolabilità sessuale del minore, in quanto si tratta di un soggetto considerato dall'ordinamento incapace di manifestare un valido consenso all'atto sessuale. E l'esigenza di proteggere assolutamente il minore in tale fase ha portato all'emanazione dell'art. 609 sexies c.p. La seconda presunzione, enunciata nel n. 2 dell'art. 609 quater c.p., è relativa ai minori di età compresa tra i quattordici e i sedici anni: essi, in linea di principio, sono ritenuti capaci di esprimere un valido consenso ai fini del compimento di atti di natura sessuale, ma non nei confronti di persone cui il minore sia legato da rapporti qualificati. Tale norma, infatti, opera solo nei confronti di alcuni particolari soggetti agenti: commette reato chi compie atti sessuali consensuali con una persona che (pur avendo compiuto quattordici anni) non abbia ancora compiuto i sedici, quando ne è l'ascendente, o il tutore, o abbia con lui un rapporto di convivenza, o comunque rivesta una particolare funzione di supremazia nei suoi confronti. Il rapporto di convivenza, in quanto circostanza aggravante, tiene conto di fattori che non solo fanno riferimento alla relazione tra abusato e abusante, e pertanto alla frattura di qualsiasi fiducia e senso di sicurezza che possa esistere tra adulto e minore, ma anche alla continuità dell'abuso nel tempo, che caratterizza quegli abusi compiuti ove esista un rapporto di convivenza che, è dimostrato, contiene contenuti di invasività e traumaticità maggiori rispetto ad episodi isolati. Infatti, quando l'abuso diviene una relazione protratta nel tempo contribuisce ad una vera strutturazione progressiva della personalità del minore, caratterizzata da insicurezza e paura degli altri, che condiziona la qualità delle relazioni future familiari ed extrafamiliari. L'importanza della relazione abusato-abusante è pertanto ribadita anche dalla normativa, oltre che dagli esperti in chiave di valutazione clinica e psicodiagnostica. In queste ipotesi, il bene giuridico tutelato è l'intangibilità sessuale relativa. Il legislatore ritiene che il minore non sia in grado di esprimere un consenso libero ed inoltre che il tipo di rapporto con il soggetto agente non è compatibile con il compimento di atti sessuali, essendovi il rischio di una strumentalizzazione della fiducia del minore stesso. Il fondamento logico della presunzione di invalidità del consenso prestato al minore dei sedici anni risiede nella convinzione che l'agente può avere - e spesso ha - un notevole ascendente sui minori 32 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO affidatigli. La sua posizione, infatti, può spesso determinare nel minore un sentimento che non si sviluppa e non si manifesta in maniera consapevole e libera da condizionamenti, ma risente il più delle volte del concorso di fattori inerenti alla situazione concreta, i quali possono indurre il minore (che a quell'età può sicuramente essere ancora confuso sia sotto il profilo esistenziale, che sotto i profili fisiologico e psicologico) a delle scelte compiute con poca riflessione (ad esempio il caso dell'allieva dei primi anni delle scuole superiori che si invaghisce dell'aitante e giovanile insegnante). L'instabilità emotiva e passionale sono caratteristiche peculiari del periodo adolescenziale e da questo si comprende l'opportunità della tutela apprestata dall'ordinamento contro possibili strumentalizzazioni da parte di adulti di tale vulnerabile personalità. In considerazione di tali situazioni, il legislatore si è quindi preoccupato di proteggere gli infrasedicenni colpendo con la sanzione penale quei soggetti i quali, pur senza violenza o minaccia, comunque approfittino di essi. La norma, però, pare gravemente discriminatoria per tutte quelle vittime di abuso sessuale intrafamiliare che hanno più di 16 anni e che si trovano nell'imbarazzante situazione di dimostrare di essere state costrette al rapporto incestuoso con violenze e minacce. Poiché gli abusi, solitamente, avvengono in assenza di testimoni e la violenza psicologica a cui sono sottoposte è impossibile da dimostrare in sede processuale, le vittime rischiano di veder cadere tutte le loro accuse. Inoltre, l'incesto non si limita quasi mai ad un solo episodio: in generale si tratta di una relazione che dura per anni e che quasi sempre inizia durante l'infanzia della vittima; non si può dunque pensare che un minore, che comincia a subire abusi da piccolissimo, sia in uno stato di soggezione verso il proprio violentatore fino a 16 anni, mentre, da allora in poi, il rapporto di subalternità psicologica fino a quel momento subìto improvvisamente si rompa. Il legislatore, invece, dà per scontato che debba subentrare il coraggio di ribellarsi: se non c'è stata ribellione, si ritiene che la vittima sia consenziente. Questa seconda presunzione, però, non è completata da alcuna norma analoga all'art. 609-sexies c.p., quindi l'autore del fatto può sempre provare l'errore sull'età del soggetto passivo, purché la falsa rappresentazione della realtà consista in un errore di fatto (ad esempio nel caso di un documento contenente dati anagrafici inesatti), e non di diritto (quale sarebbe, ad esempio, quello sul computo dei termini e dell'età secondo il diritto civile vigente). Ciò, in linea teorica, vale anche quando autore del fatto sia l'ascendente, o il genitore adottivo, o il tutore, o l'abituale convivente: non sembra 33 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO possibile, però, ipotizzare un solo caso concreto nel quale questi soggetti possano ragionevolmente sostenere l'ignoranza dell'età del minore. Dunque il contenuto di queste presunzioni può essere sintetizzato nei seguenti enunciati: 1. l'autore delle condotte indicate non è mai ammesso a provare che, nonostante l'età inferiore ai 14 o ai 16 anni (a seconda dei casi), il minore abbia dato il proprio consenso con libertà e consapevolezza; 2. nel caso di soggetto passivo di età inferiore ai 14 anni, l'autore non è mai ammesso a provare l'ignoranza sull'età della vittima; 3. nel caso di soggetto passivo fra i 14 e i 16 anni, l'errore sull'età della vittima, consistente in errore di fatto, ha efficacia scriminante secondo il disposto dell'art. 47 c.p.. Atto sessuale su minore compiuta Età del minore con violenza o minaccia Atto sessuale su minore consenziente (violenza sessuale presunta o impropria) (violenza sessuale propria) Reclusione da 7 a 14 anni. Procedibilità d'ufficio. Minore al di sotto di anni. Il consenso a compiere atti sessuali è invalido perché il minorenne è ritenuto per legge immaturo per prendere decisioni di tal genere. Reclusione da 7 a 14 anni. Procedimento d'ufficio. Reclusione da 6 a 12 anni. Procedibilità d'ufficio. Minore tra e 14 anni. Di regola, il consenso è invalido, salvo eccezioni. Reclusione da 5 a anni. Procedibilità a querela. (N.B.) Eccezione = Il consenso del minore tra 13 e 14 anni rende non punibile il patner minorenne che ha non più di 3 anni rispetto al primo (609-quater, 2º comma c.p.). - Reclusione da 5 a anni. - Procedibilità a querela. Eccezione = procedibilità d'ufficio se Minore al di sopra di 14 anni. - Di regola il consenso è valido (l'atto è lecito penalmente). Eccezione = se il minore è al di sotto di 16 anni è 34 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO l'autore del reato è il genitore anche punibile il colpevole che ne sia il nonno, il genitore adottivo o la persona cui il minore è anche adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui per affidato (609-septies, 4º comma, n. 2). ragioni di cura educazione, istruzione, vigilanza o custodia il minore è affidato, o che abbia col minore una relazione di convivenza (609-quater, 1º comma, n. 2 c.p.). Soltanto in questi casi si procede d'ufficio. Sul problema rappresentato dagli atti sessuali consensuali compiuti fra minorenni, la previgente normativa non prevedeva disposizioni in merito e ciò era considerato come uno dei profili di maggiore inadeguatezza di essa. Una volta confermato che il limite, al di sotto del quale il consenso prestato dal minore al rapporto sessuale deve ritenersi invalido, era 14 anni (e dunque rifiutata la proposta dei fautori della libertà, anche sessuale, dei minori di abbassare il limite a 12 anni), è emerso il problema di trovare una giusta soluzione per evitare di compiere una compressione troppo forte della personalità dei minori. Dopo un lungo dibattito, la soluzione di compromesso tra la tutela del minore e il riconoscimento, nell'ambito giuridico, della sua capacità di autodeterminazione è stata raggiunta con la previsione di una particolare causa di non punibilità dei rapporti sessuali tra minorenni, inserita nella legge n. 66/96 all'art. 609 quater, comma 2, c.p. Secondo tale articolo, le effusioni compiute fra adolescenti, purché siano consensuali, sono consentite alla duplice condizione che il più piccolo dei due abbia compiuto almeno i tredici anni e che non vi sia fra di loro una differenza di età superiore a tre anni. Riguardo all'elemento necessario del consenso del minore che ha compiuto almeno tredici anni, sarebbe più corretto parlare di "mancanza di costrizione" all'atto sessuale. In realtà, secondo alcuni autori, essendo l'intera normativa indirizzata verso una tutela rafforzata nei confronti del minore, sarebbe stato più opportuno non limitarsi ad un richiamo alla mancanza di costrizione e richiedere, viceversa, un espresso consenso. In tal modo si sarebbe dovuto anche accertare, caso per caso, se il minore avesse realmente avuto quella capacità (naturalistica) che permette di vedere quell'atto come espressione della sua libertà. Tale norma consente di contemperare il dato sociale esistente e non discutibile degli atti sessuali compiuti fra teenager con le esigenze di tutela dell'armonia di crescita del minore. Si è cercato, cioè, di porre una distinzione tra le condotte che costituiscono un'interferenza degli adulti nello sviluppo del minore e quelle che, viceversa, costituiscono esperienze spontanee tra adolescenti. 35 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO È certo che la previsione di rigidi limiti temporali (tredici anni compiuti, non oltre tre anni di differenza), come in tanti altri casi nell'ordinamento giuridico, può suscitare qualche perplessità: tanti giovani si domanderanno sicuramente perché non possono avere una relazione con un partner che ha tre anni e un giorno meno o più di loro. È però necessario evidenziare che un limite doveva essere imposto dal legislatore per rispettare la codificazione normativa e l'odierna soluzione sembra rappresentare la più semplice da applicare e la più efficace per la tutela del minore (anche da un punto di vista di crescita personale). Con questa disposizione è stata prevista una causa personale di non punibilità, che consegue ad una valutazione di mera opportunità politica-criminale. Il bene giuridico tutelato dall'ordinamento nel caso di atti sessuali con minorenne (cioè la sua intangibilità sessuale) viene meno, in questa ipotesi, perché il minore si trova in una fascia di età in cui il legislatore ritiene non debba sussistere una tutela particolare nei suoi confronti, purché però si tratti di rapporti consensuali tra coetanei. Un grande problema interpretativo, posto dalla nuova normativa, è stato quello della previsione, all'art. 609-bis, co. 3, c.p., "dei casi di minore gravità", nei quali la pena è diminuita fino a due terzi così da rendere possibile il patteggiamento. La difficoltà consiste nel fatto che né la legge n. 66/96, né il sistema normativo nel suo complesso forniscono alcuna indicazione per poter comprendere il vero significato di tali casi. Ne consegue che è il giudice a dover valutare concretamente il caso secondo una sua valutazione soggettiva e questo comporta enunciazioni diverse di fronte a casi simili. Il grave danno sembra doversi registrare a carico di quei minori che, per la situazione di abuso che hanno vissuto (ad esempio intrafamiliare), non hanno il coraggio di denunciare e così il loro silenzio, magari accompagnato anche da atteggiamenti affettivi nei confronti proprio del loro presunto abusante, rendono concreta l'ipotesi del "caso di minore gravità". Infine, i fatti di violenza sessuale, siano essi consensuali o meno, sono puniti in maniera particolarmente grave (reclusione da 7 a 14 anni) ove il soggetto passivo abbia un'età inferiore a anni. Con tale disposizione il legislatore ha voluto dare una risposta forte ad un fenomeno grave che ormai sta emergendo anche nei paesi industrializzati: la pedofilia. Il reato di corruzione di minorenni La legge n. 66/96 ha totalmente riformulato la definizione del reato di corruzione di minorenne (art. 609 quater), configurandolo nelle ipotesi in cui vengono compiuti atti sessuali in presenza di minore di anni 14 al fine di farlo assistere a tali atti e prevedendone la procedibilità d'ufficio. 36 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO La condotta è punibile solo se compiuta al preciso fine di fare assistere il minore a tali atti (si tratta cioè di una fattispecie a dolo specifico), mentre non rileva penalmente se l'azione è compiuta, pur consapevolmente in presenza del minore, per un fine diverso, quale potrebbe essere quello della mera soddisfazione del piacere personale (ad esempio nel caso di rapporti fra coniugi costretti a coabitare nella medesima stanza con figli di età inferiore a quattordici anni). Inoltre, per integrare tale fattispecie di reato, occorre comunque che il minore abbia un'età tale da poter rimanere influenzato dall'episodio cui assiste. Questo è, infatti, l'ultimo indirizzo della giurisprudenza che ritiene sussistente il reato solo nel caso in cui il minore abbia la possibilità di percepire l'atto lascivo nella sua materiale realtà(il che non si verificherà, ad esempio, nel caso del neonato o del minore di un anno). Questo è considerato un aspetto particolarmente preoccupante, considerando il fatto che spesso i minori sono costretti a vivere, in certi ambienti, in condizioni di promiscuità, per cui non possono evitare di assistere al compimento di atti sessuali fra adulti, con i danni che ne conseguono per la loro personalità in sviluppo. Infine, va notato che il reato di corruzione di minorenne è un reato di pericolo e non di danno. Ciò implica che, per la consumazione delittuosa, non è necessaria l'effettiva corruzione, ma è sufficiente l'apprezzabile possibilità di tale evento da valutarsi in relazione alle circostanze di tempo, di luogo, di modalità in cui si compie l'azione e alle condizioni personali del soggetto passivo. La giurisprudenza, con la sentenza 25/69, ha ritenuto che il reato non sussistesse quando il minore, pur trovandosi nel luogo dell'attività, stesse dormendo, perché in tal caso il pericolo di corruzione non deve essere confuso con il pericolo di risveglio del minore. La predisposizione di questo reato, contemplando il caso in cui siano compiuti "atti sessuali" in presenza di minore di 14 anni al fine di farlo assistere ad essi, è rivelatrice del chiaro intento del legislatore di voler rendere legittima la consumazione di atti sessuali nei confronti o in presenza di un minore di età tra i 14 e i 16 anni, purché consenziente e non avente legami con il soggetto agente tra quelli indicati nell'art. 609-quater n. 2. Infatti, il vecchio testo di questa ipotesi di reato (art. 530 c.p.) prevedeva due diverse situazioni criminose (e cioè il fatto di colui che, al di fuori dei casi di violenza carnale e atti di libidine violenti, commette atti di libidine su o in presenza di un minore di sedici anni e il fatto di chi induce un minore di sedici anni a commettere atti di libidine su se stesso, sulla persona del colpevole o su altri), nelle quali veniva tutelato maggiormente il minore tra i quattordici e i sedici anni - in quanto per l'infraquattordicenne trovavano applicazione le specifiche norme relative alla violenza carnale e agli atti di libidine violenti (artt. 519, 520, 521) - e il minore di 37 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO quattordici anni che si trovava in tutte quelle ipotesi in cui i fatti non potevano rientrare nelle precedenti fattispecie. Importante è stata, inoltre, l'abolizione, da parte del legislatore, della causa di non punibilità, prevista dalla vecchia disciplina nell'art. 530 c.p., costituita dal fatto che il minore fosse "persona già moralmente corrotta". Tale disposizione, infatti, presupponeva l'irreversibilità della personalità del minore che aveva vissuto esperienze corruttive o perverse nei suoi confronti, quando invece, essendo un soggetto in piena formazione e non ancora strutturato e stabilizzato, deve fortunatamente essere ritenuto capace di recupero. La legge n. 269/98: "Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno dei minori, quali nuove forme di riduzione in schiavitù" Con la legge n. 269/98 sono state previste tutte le incriminazioni corrispondenti agli ulteriori sviluppi dell'attività criminale riguardo allo sfruttamento sessuale dei minori e, in specie, il fenomeno dilagante della pedofilia. La legge è stata redatta in adesione alla Convenzione sui diritti del fanciullo (ratificata ai sensi della legge n. 176/91) e alla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma del 1996, la quale si concluse con l'approvazione del Progetto delle dichiarazioni di intenti e del programma operativo, in cui si poneva come obiettivo la cooperazione a livello locale, nazionale, regionale ed internazionale dei paesi aderenti per combattere il fenomeno. Sono dunque perseguibili condotte quali l'induzione e lo sfruttamento della prostituzione del minore di 18 anni, anche quando il fine è quello di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico, la distribuzione o la divulgazione (anche per via telematica) di tale materiale o di informazioni finalizzate all'adescamento o allo sfruttamento di minori ed inoltre la prostituzione minorile a scopo di turismo sessuale. L'aspetto più interessante di questa normativa, non solo dal punto di vista giuridico e criminologico, ma anche etico e sociale, è costituito dall'aver inserito tali condotte in una definizione più ampia di "riduzione in schiavitù di minori", coinvolti in attività sessuali e, dunque, la loro collocazione sistematica tra i "reati contro la personalità individuale", in quanto considerate condotte criminali che compromettono la libera determinazione della "personalità individuale" del minore in crescita. La legge così mostra di considerare, come bene giuridico leso dalle nuove fattispecie di reato, lo sviluppo della personalità del minore sotto il profilo però della sua libera autodeterminazione piuttosto che della cosciente esplicazione della libertà personale (come invece ha fatto la legge n. 38 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 66/96). Le nuove figure di reato, infatti, non incriminano gli atti sessuali compiuti con violenza o minaccia (e dunque in assenza del libero consenso della vittima), ma lo sfruttamento della prostituzione e della pornografia minorile, che oltre ad essere di per sé atti caratterizzati da profondo disvalore sociale e morale, costituiscono anche una grave lesione alla personalità individuale di soggetti che, a causa dell'età, non sono completamente in grado di autodeterminare la propria condotta. L'elemento discriminante dalla legge n. 66/96 è costituito sia dalla finalità di lucro che il coinvolgimento del minore in tali attività comporta, sia dalla differenziazione di queste tipologie di comportamento da altre forme di abuso sessuale su minore di tipo familiare o extrafamiliare ove non sia presente però la finalità economica. Il legislatore, dunque, ha inteso colpire la cosiddetta "mercificazione professionalmente organizzata del sesso minorile", con riguardo sia alle prestazioni sessuali vere e proprie, sia alla creazione o riproduzione di suoni o immagini a contenuto erotico. In Italia la prostituzione minorile coinvolge sia minori italiani che stranieri, questi ultimi spesso vittime della tratta, un crimine che si fonda sulla compravendita e lo sfruttamento di esseri umani sottratti con violenza o inganno dai luoghi di origine, portati nei Paesi occidentali e venduti come schiavi. Numerose vittime sono state rapite da organizzazioni criminali internazionali, altre sono state vendute dalle proprie famiglie o attirate con false promesse di lavoro. Non è facile quantificare il numero di minori che sono costretti a prostituirsi in Italia perché esistono, specialmente nel caso di minori italiani, numerose situazioni di prostituzione familiare o amicale che è difficile portare alla luce. La lotta contro la prostituzione minorile richiede, dunque, uno sforzo di coordinamento sia a livello locale che nazionale ed internazionale perché l'organizzazione del crimine è complessa e articolata. Per perseguire tale reato è necessario anche un efficace coordinamento con i paesi destinatari dei flussi di turisti interessati a questo tipo di mercato: le polizie locali, infatti, sono autorizzate a segnalare agli organismi internazionali la nazionalità di coloro che sono considerati sospetti autori di violenze sessuali sui minori nei paesi di destinazione "turistica". Le attività svolte dopo la legge n. 269/98 Dopo la ratifica della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, gli appuntamenti considerati più significativi per valutare il più recente percorso compiuto dall'Italia nella prevenzione e nel contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale di bambini e adolescenti sono stati due: il Secondo congresso mondiale di Yokohama contro lo sfruttamento sessuale commerciale dei minori (svoltosi nel dicembre del 2001) - preceduto da importanti conferenze intergovernative che hanno 39 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO consentito di avviare un confronto a livello regionale - e la Sessione speciale delle Nazioni unite sull'infanzia. La Sessione speciale di New York ha verificato i risultati, gli obiettivi e gli impegni che erano stati presi con la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo. Inoltre, in occasione del primo incontro mondiale sull'infanzia nel 1990 (al quale ha partecipato anche l'Italia), è stato adottato il documento A World Fit for Children, nel quale la lotta contro ogni forma di violenza, abuso e sfruttamento sessuale a danno di bambini ed adolescenti è stata riaffermata tra le priorità assolute dell'attività politica internazionale. In tale testo i fenomeni di abuso e violenza sui minori vengono additati come fossero "un'epidemia", contro la quale ogni "attività strategica" di contrasto (legislativa, sociale, culturale, economica, sanitaria, educativa, ecc.) si presenta complessa e destinata ad incontrare non poche difficoltà. Vengono segnalate una serie di azioni che i paesi devono attuare in modo prioritario nella lotta contro ogni forma di violenza ed in particolare contro la tratta e lo sfruttamento sessuale dei minori: ridurre e contrastare ogni forma di discriminazione sociale e culturale e di emarginazione, da cui possono generarsi le condizioni che favoriscono l'abbandono e lo sfruttamento dei minori; attivare le istituzioni, la società civile e le comunità locali affinché ci sia una diffusa assunzione di responsabilità rispetto al problema "sia nel Nord che nel Sud del mondo"; garantire ogni misura di protezione che risulti necessaria; provvedere al recupero, al reinserimento sociale e alla cura dei minori vittime dei vari fenomeni di violenza. Tale documento si configura come uno stimolo per l'Italia a proseguire lungo i percorsi già avviati, a migliorarli e ad aprirne di nuovi. Infatti deve essere fatto ancora molto per riuscire ad ottenere migliori condizioni di vita per i minori vittime di tali fenomeni e per prevenire a livello primario, l'insorgere del trauma della violenza e, a livello secondario e terziario, l'aggravarsi dei danni e degli effetti conseguenti. Successivamente, in preparazione del Congresso di Yokahama, si è svolta a Budapest, nel novembre 2001, una Conferenza intergovernativa, conclusasi con l'adozione del Commitment and Plan of Action for Protection of Children from Sexual Exploitation in Europe and in Central Asia. Questo documento è molto chiaro nell'indicare che il criterio-guida, che le politiche nazionali e sovranazionali devono seguire per contestare contro ogni forma di violenza sull'infanzia, deve essere quello della logica "zero tolerance", la quale si concretizza in una serie di comportamenti che ogni paese deve realizzare integralmente come propria strategia d'azione, senza prevedere eccezioni: prevenire e reprimere la violenza sui minori, proteggerli, applicare ed adeguarsi alla normativa, integrare e programmare gli interventi. 40 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO La legge n. 154/01: "Misure contro la violenza nelle relazioni familiari" Grande importanza ha avuto l'emanazione della legge n. 154/2002, la quale ha introdotto (all'art. 282-bis c.p.p.) la misura coercitiva dell'allontanamento del familiare violento. La ratio della norma è stata quella di predisporre un rimedio rapido ed efficace nei casi più gravi di violenza in famiglia, di pornografia e di sfruttamento della prostituzione minorile, attuati in danno dei prossimi congiunti o del convivente. Gli ordini, che possono anche essere emessi dal giudice laddove non si sia in presenza di reati perseguibili d'ufficio, possono essere di vario tipo: allontanamento dalla casa familiare (anche se questa è di proprietà esclusiva del soggetto allontanato), divieto di frequentazione di luoghi in cui abitualmente si trova il minore, obbligo di pagamento di un assegno al familiare che permanga in uno stato di bisogno. Anche in precedenza era possibile ottenere misure di allontanamento, ma la novità della legge sta nella possibilità di farvi ricorso anche laddove non si sia di fronte a situazioni che si configurano come reato accertato: è il caso degli ordini di protezione emanabili in sede civile, ma in presenza di una certa situazione di grave e pregiudizievole disagio (condizione che si può verificare in casi di grave e ripetuta "violenza assistita", trascuratezza e maltrattamento psicologico ai danni di minori). Con questa normativa, dunque, si è registrato un importante progresso perché è stata eliminata l'ingiustizia, finora realizzata, per cui il minore diventava vittima due volte: prima perché subiva l'abuso, poi perché subiva anche l'allontanamento da casa. È inoltre interessante rilevare che in questa legge è presente un altro aspetto fortemente innovativo: l'introduzione di una più ampia definizione di violenza, che viene individuata in tutte quelle situazioni di grave pregiudizio dell'integrità (fisica o morale) o della libertà di un componente qualsiasi del nucleo familiare causate da un altro componente della famiglia (legittima o naturale). Dal punto di vista dei minori, la legge riconosce il diritto del bambino a non essere sradicato dal proprio ambiente familiare quando sia necessario porlo al riparo dal ripetersi della violenza. Sotto questo aspetto, per poter applicare attentamente la legge, è necessaria la collaborazione tra magistratura e servizi sociali, perché è ormai dimostrato che un genitore non abusante o maltrattante non è per questo necessariamente protettivo e, anzi, necessita anch'esso di un forte sostegno. Purtroppo la difficoltà di tale integrazione comporta una scarsa applicazione della legge. Ma va anche ricordato che, se da un lato, si può considerare l'introduzione di tali norme come un fatto positivo, dall'altro, è opportuno (specialmente nei casi di abuso sessuale e di maltrattamento grave) una valutazione attenta della protettività del genitore che rimane con il minore. Non può, infatti, essere esclusa l'ipotesi che tale adulto di riferimento abbia comportamenti fortemente ambivalenti 41 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO nei confronti del coniuge maltrattante o abusante allontanato e possa agire sul figlio con minacce e ritorsioni. 6.1 La realtà dell'abuso: elementi descrittivi Un'importante ricerca sull'argomento è stata quella compiuta da Sgroi, Blick e Porter, i quali nel 1982 hanno individuato varie fasi dell'abuso sessuale, che si ripetono ancora oggi: 1. fase dell'adescamento: l'abusante mette in atto una serie di comportamenti per attirare su di sé il minore, separandolo dagli altri componenti della famiglia, in particolare dalla madre e creando delle situazioni che lo facilitino nei suoi piani; 2. fase dell'interazione sessuale: durante la quale l'abusante passa a forme di violenza via via sempre più intrusive e devastanti (ad esempio da discorsi pornografici a esibizionismo, voyeurismo, a contatti fisici fino alla penetrazione, a volte con il coinvolgimento anche di altri minori, o inducendo il/la bambino/a a compiere a sua volta atti sessuali su fratelli e sorelle più piccoli; 3. fase del segreto (il quale è presente anche nella fase precedente): in cui l'abusante costringe con vari mezzi il minore al silenzio; 4. fase dello svelamento dell'abuso; 5. fase della rimozione: caratterizzata dal tentativo di negare la realtà dell'abuso o di minimizzarlo, o di negare o minimizzare il danno derivato al/alla bambino/a dall'abuso stesso. Riguardo alle varie tipologie di violenza, dal diagramma relativo (realizzato dalla ricerca del CENSIS) risulta che dopo le situazioni a rischio di violenza (oltre il 26%) e la trascuratezza (quasi il 22%) - situazioni queste in cui dovrebbe maggiormente operare l'attività di prevenzione - la tipologia di violenza percentualmente più commessa è l'abuso sessuale (circa il 20%). 42 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Emerge, dunque, l'immagine di un bambino abbandonato a se stesso, non stimolato, non curato, isolato affettivamente e spettatore della conflittualità in famiglia che spesso arriva a coinvolgerlo. Tali violenze, secondo questa ricerca, sono commesse, nella quasi totalità dei casi, in ambiente domestico (91%). 43 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Anche da un'altra ricerca svolta nel 2002, dalla Scuola Romana Rorschach (Centro studi e intervento infanzia violata), sui dati raccolti da 35 audizioni protette di minori sessualmente abusati, è stato confermato quest'ultimo risultato. L'abuso sessuale è stato distinto in: abuso sessuale intrafamiliare ed intradomestico: quando l'abuso sessuale è commesso dal genitore o comunque da un parente convivente con il minore; abuso sessuale intrafamiliare ed extradomestico: quando l'abuso è perpetuato da un parente non convivente o da un amico di famiglia; abuso sessuale extrafamiliare: quando l'abuso è compiuto da un soggetto estraneo al minore e/o alla famiglia. Le tipologie dell'abuso sessuale È emerso che si ha un numero più elevato di casi di abuso sessuale intrafamiliare extradomestico. Considerando poi, oltre a questa, la percentuale dei casi di abuso sessuale intrafamiliare intradomestico, il numero dei casi di abuso intrafamiliare risulta fortemente maggiore rispetto a quello dei casi di abuso extrafamiliare. Dalla ricerca del CENSIS risulta infatti che chi ha compiuto violenza è in prevalenza il padre (autore principale o unico), seguito dalla madre (secondo autore). Tipo violenza Autore principale Secondo autore Terzo autore Abuso sessuale Padre Estraneo Sconosciuto Maltratt. Fisico Padre Madre Sconosciuto Trascuratezza Padre Madre Altri parenti Maltratt. Psicologico Padre Madre Altri parenti Situaz. a rischio Padre Madre Altri parenti Ipercura Padre/Madre Madre/Padre - 44 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Relazione tra autore e vittima della violenza Definire il contesto dell'abuso significa, in primo luogo, comprendere il tipo di relazione esistente tra l'abusante e la vittima. Infatti, la violenza compiuta dall'estraneo è sicuramente diversa da quella massa in atto dal padre incestuoso, così come è diversa quella compiuta dal vicino di casa o dal conoscente. Una particolare categoria di abusanti è quella delle cosiddette "persone autorizzate", cioè di coloro che, in virtù dell'attività che svolgono (infermiere, medico, ecc.), hanno l'opportunità di entrare in relazione con la vittima in maniera naturale. Le violenze che il bambino subisce nell'ambito familiare sono, comunque, quelle più rilevanti perché la carenza di un sostegno o dell'affetto della famiglia è quella che più gravemente condiziona la regolare strutturazione della personalità e l'adeguato sviluppo del processo di socializzazione del bambino. La famiglia abusante non è soltanto la famiglia autoritaria e dispotica, né solo quella sfruttatrice in senso economico del bambino (considerato come "merce"). Può danneggiare il minore anche la famiglia che, per rispettare "troppo" la sua libertà, lo lascia solo ad esplorare la vita; quella che - per assicurargli un luminoso avvenire - è particolarmente esigente e perfezionista; quella che per iperprotezionismo gli impedisce di fare esperienze significative e strutturanti perché tutto costituisce pericolo; quella ripiegata narcisisticamente su se stessa e quindi portata ad inculcare nel figlio l'idea che tutto il mondo è ostile e negativo e che solo il modello familiare è valido; quella che attraverso il ricatto della riconoscenza, per l'amore dato e per i sacrifici compiuti, soffoca il bambino con un amore possessivo e distruggente. Per svolgere adeguatamente il proprio ruolo genitoriale, e così captare le esigenze del bambino, e per saper rispettare la sua sensibilità sono necessari nei genitori un'adeguata maturità personale ed un forte controllo di sé e delle proprie reazioni. Il che non è facile, specialmente in una società che tende ad infantilizzare anche gli adulti, che isola ed emargina la famiglia, che moltiplica le situazioni di fragilità familiare, che propone continuamente modelli diversi e spesso contrastanti di educazione. Per quanto riguarda la composizione familiare, da un'ulteriore rilevazione sulla violenza all'infanzia, compiuta nel 2002, è emerso che la maggioranza dei bambini vittime di violenze vive in nuclei costituiti da entrambi i genitori biologici conviventi (il 56%) e la famiglia "normale" continua ad essere l'ambito in cui si verificano la maggior parte degli abusi. 45 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Negli abusi sessuali consumati in famiglia, possono essere riconosciute modalità complesse di realizzazione, tanto da poterli distinguere in tre sottogruppi: a. abusi sessuali manifesti: lo sono, di solito, gli abusi di tipo incestuoso, consumati nella maggior parte dei casi da figure maschili con figlie femmine, ma dovrebbero essere considerati tali anche altri rapporti simili: tra padri e figli maschi; tra madri e figli maschi; tra fratelli e sorelle. Questi tipi di violenze sono, per i traumi e le conseguenze che lasciano sul minore, i più evidenti e sono quelli sui quali è possibile intervenire con fermezza; ma la difficoltà nel riconoscerli è proprio nel fatto che avvengono all'interno del nucleo di vita più vicino al bambino: la sua famiglia. b. abusi sessuali mascherati: lo sono pratiche genitali inconsuete, quali frequenti lavaggi del bambino, ispezioni ripetute e applicazioni di creme e preparati medicinali. c. pseudo-abusi: a questo gruppo appartengono gli abusi dichiarati quando in realtà non sono stati concretamente consumati per: o convinzione errata, a volte delirante, che il/la figlio/a (più frequentemente la figlia) sia stato/a abusato/a; dietro a tali convinzioni c'è talvolta la proiezione sul/la figlio/a di esperienze di abuso subite nella propria infanzia dal genitore; 46 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 o ASSOCIATO consapevole accusa all'ipotetico autore di abuso sessuale finalizzato ad aggredirlo, screditarlo, perseguirlo giudizialmente. Queste accuse avvengono frequentemente da parte di madri o nonne contro i padri nel corso delle separazioni; o dichiarazione inventata dal/dalla giovane, di solito adolescente, per sovvertire una situazione familiare insostenibile. Anche se l'abuso non si è realizzato, sono situazioni che vanno sempre prese in considerazione perché indicano che il minore ha sicuramente un disagio e, pertanto, deve essere aiutato; o l'abuso sessuale "assistito", quando cioè il/la bambino/a assiste all'abuso che un genitore agisce su un fratello o una sorella, o viene fatto assistere alle attività sessuali dei genitori. d. abusi sessuali extrafamiliari: sono forme di abuso frequentemente sommerse e che riemergono nei racconti dei pazienti, ormai adulti, poiché, quando l'abuso si era verificato, i sentimenti di vergogna, imbarazzo, pudore dei genitori avevano prevalso sull'opportunità non solo di denunciare il fatto all'autorità giudiziaria, ma anche di occuparsi della salute mentale del minore che aveva subito l'abuso. Il problema delle conseguenze psicologiche di questi soggetti non ha un'evoluzione univoca, ma è in funzione della situazione psicologica individuale e soprattutto di come l'ambiente familiare e sociale in cui vivono reagisce. Nella maggior parte dei casi vi è una situazione di trascuratezza fisica e/o affettiva, in cui vive il minore, che non gli permette di sviluppare la capacità di discriminare i pericoli e lo rende predisposto ad accettare qualunque attenzione affettiva gli venga proposta dall'esterno, credendola compensatoria di una vuoto affettivo intrafamiliare. Quando la negazione e l'omertà non reggono e il problema diventa palese, il bambino subisce dalla propria famiglia altre violenze, che consistono nel costringerlo a ripetute e minuziose descrizioni dei fatti alle diverse autorità (in numero anche superiore al necessario). Tutto questo perchè il pensiero dominante per il genitore offeso diventa la vendetta, quasi perdendo di vista i bisogni e le angosce del/la proprio/a figlio o figlia. 47 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Rilevazioni statistiche sul sesso ed età delle vittime di abuso sessuale compiute dal CISMAI nel 2006 Si può notare che l'unica differenza emergente riguarda l'età in cui i minori subiscono con più frequenza abusi sessuali: nel 2001 era tra i 12 e i 14 anni, nel 2004 tra i 6 e i anni, nel 2006 nella cosiddetta preadolescenza/adolescenza. Il cambiamento registrato dal 2001 al 2004 potrebbe essere il risultato di un maggior numero di denunce da parte dei minori-preadolescenti, dovute al fatto probabilmente che in questi ultimi anni sono state realizzate più iniziative di sensibilizzazione all'interno delle scuole (anche in luoghi dove prima l'argomento era considerato una specie di "tabù"), c'è stata una maggior diffusione sul territorio e conoscenza dei consultori ed infine, sicuramente, perché la violenza e l'abuso sessuale sono diventati un argomento più discusso che in passato. 48 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Rilevazione statistica compiuta dalla Scuola Romana Rorschach nel 2005 sull'incidenza degli abusi sessuali a seconda del sesso del minore e dell'età Dalla rilevazione compiuta maschi e femmine non risultano subire una quantità diversa di azioni abusanti per quanto riguarda la violenza sessuale "tradizionale" (come gli atti di libidine e i rapporti sessuali penetrativi o nell'avvio alla prostituzione), mentre nelle violenze connesse alle attività organizzate di pedofilia i maschi sono coinvolti in misura quasi doppia rispetto alle femmine. 49 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO È stato inoltre rilevato che i bambini stranieri subiscono maggiormente le varie forme di violenza sessuale rispetto ai minori italiani. Le statistiche evidenziano, infatti, che i bambini extracomunitari sono, più spesso di quelli italiani, vittime di rapporti sessuali, indotti alla visione di pornografia ed avviati alla prostituzione. La causa, probabilmente, si può ricondurre alla loro stessa situazione di vita, caratterizzata da un quasi totale abbandono sia da parte delle istituzioni, sia da parte della famiglia (costretta a lottare per la sopravvivenza con un elevato numero di figli). 50 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 6.2 Gli indicatori dell'abuso sessuale Nel caso di violenze sessuali su minori al di fuori del contesto familiare, molto spesso i genitori preferiscono non denunciare subito all'autorità giudiziaria il crimine, sia perché il danno in ogni caso non è totalmente risanabile, sia perché esiste il rischio che l'apertura del procedimento esponga il bambino a morbose curiosità e a facili etichettature (soprattutto se il contesto familiare è un piccolo paese), sia infine perché la necessaria rievocazione del fatto in sede giudiziaria può aprire nuove ferite nel minore impedendogli di superare il trauma di cui è stato vittima. Il rischio di violenze di questo tipo è particolarmente elevato in bambini che non sono seguiti a sufficienza dai genitori per incuria o disinteresse: la consapevolezza di ciò fa sentire i genitori oscuramente colpevoli e poco disposti alla denuncia. Per accertare l'effettivo verificarsi di un abuso sessuale è possibile utilizzare una serie di criteri o indicatori, i quali però non possono costituire un elenco completo e certo sul quale poter desumere con esattezza se l'abuso si è realizzato oppure no. Sono molti, infatti, i casi in cui la sintomatologia clinica non è troppo esaustiva e dove rimangono molti dubbi (ad esempio quando non c'è stata penetrazione). Gli indicatori variano in relazione alla fase di sviluppo del minore e si distinguono in: 1. indicatori cognitivi 2. indicatori fisici; 3. indicatori comportamentali/emotivi. Vero è che occorre tener conto che tali indicatori di abuso non possono essere utilizzati indiscriminatamente, poiché la presenza di uno o più di essi può essere determinata anche da altre cause; bisogna fare attenzione al rischio di vedere una correlazione illusoria tra causa supposta (abuso sessuale) e conseguenze (indicatori), dove questa non c'è. Nel caso degli indicatori fisici, ad esempio nelle bambine, una diagnosi di neovascolarizzazione è giudicata compatibile con atti traumatici ripetuti (quali atti di abuso sessuale), ma anche con esiti di infiammazioni vaginali. La stessa integrità dell'imene si presta a conclusioni equivoche, in quanto apparenti lacerazioni di essa possono in realtà corrispondere a particolarità morfologiche congenite. L'equivocità può riguardare anche gli indicatori comportamentali. La presenza di incubi, l'eccesso di masturbazione e la depressione non costituiscono di per sé sintomi di abuso sessuale e possono essere ricollegati a varie cause che incidono sulla vita e crescita del bambino. Anche gli indicatori cognitivi possono trarre in inganno: spesso si è portati a pensare che, se un bambino ha conoscenza in materia di sesso inadeguate alla sua età, non può che averle acquisite attraverso contatti sessuali 51 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO diretti. In realtà, frequentemente capita che il bambino abbia visto determinate scene nei film oppure abbia ascoltato gli adulti che ne parlavano. Gli indicatori da soli non possono, dunque, essere considerati gli indici certi di un avvenuto abuso sessuale: sono necessarie ulteriori indagini sulla situazione. 6.3 Le conseguenze dell'abuso sessuale Si può affermare con certezza che un bambino che non comprende il significato delle azioni dell'adulto, non per questo non riporterà un danno: non è cioè la comprensione intellettuale di ciò che accade a dare la misura dell'effetto traumatico dell'abuso sessuale. La violenza all'interno della famiglia può causare una serie di conseguenze nocive per le vittime, quali gravi danni fisici, disturbi psicologici a breve e a lungo termine e il bisogno di andare via di casa. Si ritiene che le conseguenze della vittimizzazione siano comunque una funzione di almeno cinque classi variabili: 1. la natura dell'atto abusivo (percosse, abuso sessuale) come pure la sua frequenza, intensità e durata; 2. le caratteristiche individuali della vittima (ad esempio l'età); 3. la natura della relazione tra vittima e abusante (coniuge, patrigno, ecc.); 4. la risposta degli altri all'abuso (sostegno sociale, intervento legale o psicologico e soprattutto reazione della famiglia); 5. i fattori legati all'abuso che possono esasperare i suoi effetti o sostenere alcune delle conseguenze dell'abuso stesso (caos familiare precedente all'atto abusivo). La violenza è intrinseca agli atti di abuso sessuale e consiste nell'impatto traumatico che la sessualità adulta (anche quando è mascherata da approccio "gentile") ha sul minore e nella natura di per sé coercitiva di tali atti sessuali. Bambine e bambini, data l'immaturità psichica ed emotiva e dato lo svantaggio di strumenti, potere e autorità rispetto all'adulto, sono nell'impossibilità di dare un consenso libero ed informato. L'abuso sessuale su un minore, dunque, viene sempre attuato dall'adulto, anche quando non c'è apparente uso di forza, sfruttando questa disparità di potere, autorità, dipendenza materiale ed affettiva del bambino, ed è poi ripetuto utilizzando lo stato di confusione, disperazione, paura e vergogna causati dall'abuso stesso. 52 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Per parlare di "mancato consenso" non è inoltre necessario che il minore sia completamente all'oscuro del significato sessuale degli atti compiuti dall'adulto: infatti è la posizione di vantaggio di questo rispetto al minore e il clima di soggezione, confusione, ambiguità, colpevolizzazione creato dall'adulto ad impedire alla vittima una reazione efficace. Per i bambini piccoli inoltre il "bene" è obbedire all'adulto; per loro un'azione che non solo risponde al requisito dell'obbedienza, ma che viene anche premiata dall'adulto è "buona". I mezzi usati dagli abusanti sono un insieme di lusinghe e minacce, di promesse e intimidazioni, di uso di forza fisica e di atteggiamenti gentili, in un'alternanza di facce e ruoli via via assunti da chi abusa al fine di togliere alla vittima qualsiasi possibilità di difendersi. In molti casi le ragazze e le donne che sono state da bambine vittime d'abuso non ricordano i tentativi che hanno inizialmente fatto per difendersi dalla violenza e sono convinte che l'abusante non abbia mai fatto uso di forza fisica. In realtà, ricostruendo con loro la storia, si scopre che spesso durante le prime aggressioni è stato fatto uso di vera e propria coercizione fisica. Successivamente il senso di impotenza, la vergogna, la disperazione, i ricatti a cui venivano sottoposte dall'abusante («Se non ci stavo lui picchiava la mamma e i miei fratelli»; «Mi diceva che dovevo essere gentile con lui; se poi non lo ero diventava cattivo»), l'isolamento in cui venivano costrette, la paura che provavano ed i messaggi ambigui e distorti che ricevevano toglievano loro totalmente la possibilità di reazione. La confusione, il fallimento dei tentativi di difesa, la sessualizzazione traumatica, la ripetizione dei messaggi dell'abusante che addossa alla minore la responsabilità dell'abuso, fanno sì che essa dimentichi la reale successione dei fatti e non riesca a darne la giusta interpretazione neanche da adulta. In molti casi l'abusante arriva a pretendere dimostrazioni "d'amore": «Mi diceva le frasi d'amore che dovevo dirgli e non voleva che lo chiamassi papà; però se cercavo di ribellarmi cambiava faccia e diceva: "Devi fare come ti dico io, perché sono tuo padre"». Per quanto riguarda la durata dell'abuso, si può intuitivamente concordare con l'affermazione secondo cui un episodio isolato risulta meno dannoso di un'esperienza protratta nel tempo. Tuttavia i dati disponibili sono contraddittori in quanto la durata e la frequenza dei rapporti sono comunque elementi collegati ad altre variabili quali l'età del bambino all'esordio, il contesto familiare o extrafamiliare, la natura della relazione con l'abusante ed il tipo di attività sessuale commessa. A questo proposito, un sintomo particolare è costituito dal disturbo post-traumatico da stress (PTSD), il cui rischio tende ad aumentare quando l'abuso fisico è più grave e di lunga durata e quando l'abuso sessuale avviene in una relazione segreta o comporta un senso di pericolo o colpa da parte del bambino vittima. È stato inoltre dimostrato che lo stupro, in particolare, comporta un più 53 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO elevato rischio di PTDS rispetto ad altri traumi comuni, a causa della forte coercizione fisica utilizzata. Si può sicuramente affermare che l'abuso può compromettere le normali tappe dello sviluppo e formazione del bambino, agendo sulla regolazione affettiva, lo sviluppo dell'autostima e le relazioni con i coetanei. Anche nell'età adulta persistono disturbi di relazione rappresentati da sentimenti di paura e diffidenza nell'incontro con gli altri e di ostilità nei confronti delle figure parentali; varie disfunzioni del comportamento sessuale, tendenza alla prostituzione, alla tossicodipendenza e all'alcolismo. Anche la "Dichiarazione di consenso in tema di abuso sessuale all'infanzia" afferma che «l'intensità e la qualità degli esiti dannosi dell'abuso sessuale derivano dal bilancio tra le caratteristiche dell'evento (precocità, frequenza, durata, gravità degli atti sessuali) e gli interventi protettivi e riparativi esterni, che si attivano in relazione all'abuso». Inoltre «il danno è tanto maggiore quanto più: a. il fenomeno resta nascosto, o non viene riconosciuto; b. non viene attivata alcuna protezione nel contesto primario e in quello sociale; c. l'esperienza resta non verbalizzata e non elaborata; d. è forte il legame di dipendenza fisica ed affettiva della vittima dall'abusante». L'abuso sessuale che si verifica in un clima di calore affettivo, di lusinghe, di gratificazione mediante le concessioni di speciali privilegi e di estrema segretezza, può essere per il bambino traumatico e sconcertante al pari di un'aggressione violenta. Molti bambini subiscono per anni un abuso sessuale ma, mentre crescono, aumenta in loro la consapevolezza che qualcosa è sbagliato e possono rendersi conto improvvisamente di ciò che sta loro succedendo (per esempio nel corso di un tentativo disperato di proteggere un membro più giovane della famiglia da un abuso dello stesso tipo, o quando la possessività e la gelosia del padre diventano intollerabili). Non c'è da stupirsi che i bambini vittime di abuso sessuale si dimostrino molto ansiosi. Un'adolescente può apparire orgogliosa del potere che ha sul padre o su altri uomini, ma dietro questo atteggiamento si cela un grande bisogno di affetto. Essa continuerà ad incontrare difficoltà nel dare e nel ricevere amore, anche quando magari sarà stata inserita in una famiglia diversa (ad esempio adottiva). 54 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Il fatto che tali effetti non si protraggano a lungo termine dipende, probabilmente in larga misura, dalla possibilità di una diagnosi e di una terapia precoci. Uno dei caratteri più tipici dell'abuso sessuale, soprattutto intrafamiliare, è l'instaurazione e il mantenimento del segreto riguardo all'atto compiuto, che crea forti barriere nel minore sia a livello interiore, che nelle relazioni con gli altri. L'abusante costringe la vittima al silenzio con l'imbroglio; con i bambini piccoli viene usato il "discorso del gioco": «Questo è un gioco che si fa sempre tra padri e figlie, però non lo devi dire a nessuno». Il bambino viene anche ricattato e minacciato: «Se parli mi uccido» oppure «La mamma e i tuoi fratelli finiscono sul lastrico», «Viene un mostro e ti uccide». Sono tutte frasi riferite dai bambini quando parlano delle violenze subite durante l'infanzia. E ancora (in casi di abuso extrafamiliare): «Se lo dici a qualcuno, lo dico ai tuoi genitori», con un'incongruenza di messaggi spaventosa e colpevolizzante, oltre che altamente confusiva per il/la minore. La vittima della violenza, inoltre, per poter sopravvivere ad eventi così distruttivi mette in atto potenti meccanismi di difesa che rendono possibile quello che viene chiamato "adattamento all'abuso". Attraverso di esso il bambino tenta di ripararsi in qualche modo dal senso di catastrofe e di distruzione e può permettersi l'illusione che niente sia cambiato, che il suo papà sia comunque un papà buono che gli vuole bene e che la rovina che gli è caduta addosso possa essere in qualche modo tenuta sotto controllo. Tali meccanismi patologici di adattamento partecipano al mantenimento del segreto. Il far finta di essere altrove durante gli atti abusivi (sentirsi per esempio parte del muro o un piccolo animale che guarda da un angolo della stanza quanto succede), sforzi auto-ipnotici di induzione anestetica riguardo al dolore fisico e alla sofferenza psicologica, e sforzi di non sentire rientrano nei primissimi meccanismi messi in atto dal bambino per difendersi dall'assoluta confusione, angoscia e paura che prova al termine dell'atto abusivo. Tali reazioni sono determinate, oltre che dagli atti abusivi in sé, anche dalle circostanze in cui avviene l'abuso. Ad esempio le aggressioni notturne avvengono nell'assoluto silenzio e al buio mentre il/la bambino/a dorme, di modo che ciò che avviene è contemporaneamente negato dalle stesse circostanze, che rendono più facile la negazione della realtà dei fatti da parte dell'abusante («Hai fatto un sogno»). Il bambino e la bambina vengono premiati o perlomeno non puniti quanto più e quanto meglio riescono a mettere in atto i meccanismi di difesa, cioè quanto più e meglio riescono a tenere il segreto richiesto dall'autore della violenza, segreto che non è solo verbale ma anche emotivo e comportamentale. 55 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Infatti non sempre e non subito il bambino abusato ha comportamenti sintomatici manifesti. Ad esempio, se il brusco calo di rendimento scolastico è uno degli indicatori di violenza sessuale, tuttavia ci sono bambini e bambine che riescono a mantenere una buona riuscita scolastica, per poi riferire più tardi: «L'unica cosa a cui mi aggrappavo era la scuola». Ciò non significa che il bambino e la bambina non siano danneggiati, ma che essi riescono a mantenere per un periodo più o meno lungo i meccanismi di adattamento messi in atto ai fini della sopravvivenza. Il segreto, anche quello emotivo, evita la punizione e tiene sotto controllo la paura di perdere i familiari o di sentirsi la causa della loro rovina. Invece, il pianto, la paura manifesta e i tentativi di ribellione portano alla punizione, scatenano la rabbia dell'abusante e ne aumentano i comportamenti sadici, che possono essere a lungo mascherati da atteggiamenti comprensivi e solidali. Infatti, spesso, il consolare il bambino triste, che è proprio tale perché vive una situazione di violenza, è da parte dell'abusante il preludio di nuovi atti abusivi. Fattore basilare di mantenimento dell'abuso è la negazione da parte di chi abusa della realtà dei fatti, negazione che spesso persiste tenacemente anche dopo la rilevazione e l'accertamento dell'abuso, e persino di fronte a referti medici inequivocabili. Il negare degli abusanti comprende il negare di avere abusato e di avere progettato l'abuso. Infatti è affermazione ormai consolidata che l'abuso non è un "raptus": prima della messa in atto dei comportamenti abusivi ci sono dei pensieri, delle fantasie sul bambino ed una progettazione per così mettere in atto l'abuso con la ricerca delle circostanze ad esso favorevoli. I meccanismi di negazione agiscono molto spesso anche negli altri adulti non abusanti (ad esempio nella madre connivente, che pur sospettando o essendo a conoscenza dell'abuso non ha la forza di cambiare la situazione) e persino negli stessi operatori, che si possono far condizionare nelle loro attività dalla condizione economica della famiglia o dalla buona educazione impartita al bambino dalla famiglia stessa. Le reazioni negative dell'ambiente circostante, a seguito dello svelamento dell'abuso, riportano il minore al silenzio e al segreto, lo spingono alla ritrattazione, aggravano la stigmatizzazione (la visione negativa che il bambino e la bambina hanno di se stessi come cattivi, colpevoli, irrimediabilmente sporchi e contaminati dagli atti abusivi), aumentano il profondissimo senso di vergogna e colpa che egli prova; inoltre aumentano le difficoltà di relazione, determinate dalla situazione abusiva, e portano il minore all'isolamento totale, confermando in esso la convinzione di non poter condividere con nessuno la propria sofferenza, né di poter trovare in nessun luogo le risposte alla propria confusione. Tutte queste reazioni sono dette "forme di abuso secondario". 56 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 7. L'incesto: tra diritto e sentire sociale 7.1 Cenni storici Già ai tempi degli antichi Greci esistevano norme riguardanti l'incesto: tale popolo, infatti, passò da un'iniziale tolleranza fino alla repressione delle unioni incestuose. La repressione più rigorosa riguardava il matrimonio fra ascendenti e discendenti, mentre era interdetto quello fra fratello e sorella, ed infine tollerato se costoro avevano madri diverse. Nel diritto romano le parole «incestum» o «incestus» designavano un significato più ampio del termine: indicavano i gravi attentati alle leggi religiose e per i quali non era ammessa espiazione. Tra questi vi erano le contaminazioni dei rapporti di consanguineità. La vera e propria incriminazione dell'incesto risale alle origini del diritto romano, quando tale comportamento veniva punito con la pena di morte; in epoca imperiale, poi, la pena capitale venne sostituita dalla deportazione, poiché la maggior parte dei comportamenti incestuosi venivano compiuti da soggetti appartenenti alle classi sociali più privilegiate. Con l'avvento degli imperatori cristiani vi fu un ulteriore inasprimento della pena: venne inflitta la vivicombustione. Nel periodo illuminista, invece, venne contestata la necessità di reprimere penalmente l'incesto, tantochè esso non venne ricompreso tra i delitti previsti nel codice francese del 18 e, così, neanche in quello delle Due Sicilie del 1819 né in quello di Parma del 1820. Successivamente, poi, nel codice sardo-italiano del 1859 e nel codice toscano del 1853 fu ripristinata la previsione di tale reato. Il codice Zanardelli del 1889 adottò, invece, una soluzione di compromesso, subordinando la punizione del reato al verificarsi del "pubblico scandalo". Tale soluzione non aveva trovato unanime accordo, in quanto erano in molti a proporre di sopprimere l'ipotesi delittuosa. Il codice Rocco (attualmente in vigore) ha, infine, previsto tale reato all'articolo 564 nel fatto di avere rapporti sessuali, in modo che derivi "pubblico scandalo", con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, o con una sorella o un fratello. Nei lavori preparatori non fu neanche discusso sull'opportunità o meno di punire l'incesto. L'unica perplessità riguardò il mantenimento dello "scandalo pubblico", che venne ribadito, riconoscendosi anzi proprio in esso il requisito fondamentale per la configurazione del reato o almeno per la sua punibilità. 57 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO La subordinazione della punibilità della condotta al verificarsi di tale elemento fa riflettere sulla concezione sociale che è trasferita nella norma: in base ad essa si può ritenere che tutto ciò che avviene all'interno delle mura domestiche, a prescindere dai motivi per i quali ciò non sia conosciuto all'esterno, non possa e non debba in alcun modo interessare il giudice penale, fino a quando tali azioni non comportino una reazione di disgusto e di sdegno nella coscienza pubblica. 7.2 La definizione giuridica d'incesto Che cosa s'intenda per incesto varia da cultura a cultura, da codice a codice, ed è in funzione soprattutto dei diversi punti di vista (giuridico o psicologico o antropologico) che si assumono. Il nostro legislatore ha deciso di inserire l'art. 564 nel Capo II (Dei delitti contro la morale familiare) del Titolo IX (Dei delitti contro la famiglia) del c.p. Scopo dell'incriminazione non è, come da taluno si ritiene, la necessità di evitare la degenerazione della razza per il danno che deriverebbe dalla procreazione fra consanguinei. A prescindere dalla considerazione che tale danno è tutt'altro che scientificamente accertato, va tenuto presente che l'incesto ricorre anche quando i rapporti sessuali si verificano tra gli affini in linea retta (suocero e nuora, genero e suocera), fra i quali il vincolo di consanguineità non sussiste. La vera ratio della punizione dell'incesto sta, dunque, nella sua particolare riprovevolezza morale, nella sua turpitudine che lo rende assolutamente intollerabile per la comunità sociale. La profonda ripugnanza che il fatto desta nella coscienza pubblica, induce lo Stato ad intervenire con la più grave delle sanzioni di cui dispone, e cioè con la pena. Infatti l'incesto, secondo l'Antolisei, più che gli interessi della famiglia, offende la moralità pubblica e il buon costume. L'offesa agli interessi della famiglia può presentarsi solo sotto il profilo della violazione della norma di condotta che impone l'asessualità nei rapporti parentali. La fattispecie normativa, contenuta nell'art. 564 c.p., è di quelle cosiddette "necessariamente plurisoggettive": in essa, infatti, la condotta tipica è commissibile da almeno due soggetti, i quali devono essere legati fra loro da vincolo di parentela in linea retta (ascendente o discendente) o collaterale entro il secondo grado (fratelli e sorelle), ovvero da vincolo di affinità in linea retta (suoceri, genero, nuora e loro ascendenti o discendenti). Fratelli e sorelle sono sia i germani (figli degli stessi genitori), sia i consanguinei (figli dello stesso padre ma non della stessa madre), sia gli uterini (figli della stessa madre ma non dello stesso padre). Inoltre, non vi è dubbio che, per il disposto dell'art. 540 c.p., vi sono compresi anche gli ascendenti e i discendenti naturali, mentre ne 58 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO sono esclusi gli adottivi. Sono sorte varie esitazioni per l'esclusione di tali soggetti, soprattutto dopo l'equiparazione legale tra il rapporto familiare di sangue e quello adottivo. Quanto agli affini è ritenuto valido il criterio interpretativo che si desume dall'ultimo comma dell'art. 307 c.p. per cui agli effetti penali il vincolo cessa allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole. In conseguenza, in tal caso non ricorrono gli estremi del reato di incesto. Contro tale tesi, però, gran parte della dottrina rileva che, di fronte al mancato rinvio da parte dell'art. 564 c.p. all'elencazione di cui all'art. 307 ultimo comma c.p., consegue che non può trovare applicazione, ai fini dell'incesto, la disposizione secondo cui «nella denominazione di prossimi congiunti non si comprendono gli affini affinché sia morto il coniuge e non vi sia prole», ma va invece applicato l'art. 78 c.p. secondo cui l'affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge dal quale deriva. Poiché il codice non precisa in che cosa consista l'incesto, fornendone una nozione puramente tautologica («chiunque commette incesto con...»), sorgono nei confronti di questo reato varie incertezze. Secondo la giurisprudenza e la maggior parte della dottrina il reato si consuma con il compimento di un rapporto sessuale; non manca però chi ritiene sufficiente il compimento di atti sessuali anche diversi dalla congiunzione fisica da parte dei soggetti indicati, in modo che ne derivi pubblico scandalo. Questa seconda opinione si basa sulla motivazione per cui il disgusto morale, che giustifica la punizione, si verifica pure nei casi in cui la relazione sessuale si esplica in altre forme, le quali possono essere anche più ripugnanti. Nel caso di relazione incestuosa, invece, occorre che la reiterazione dei fatti abbia la caratteristica dell'abitualità. Il "pubblico scandalo", che è richiesto per la punibilità dell'incesto, va ravvisato nella morale della coscienza pubblica, accompagnata da un senso di disgusto e di sdegno contro un fatto tanto grave. Tale scandalo deve essersi effettivamente verificato e, quindi, non basta che la generalizzata riprovazione, in cui esso si concretizza, venga ad evidenza in qualsiasi modo (e cioè la semplice possibilità che ne derivi pubblico scandalo), occorre che essa sia stata cagionata dalla condotta almeno colposa degli autori. La legge, infatti, non dice «in modo che ne possa derivare», ma «in modo che ne derivi pubblico scandalo». Sotto tale profilo, la giurisprudenza ha ritenuto che non è necessario che la relazione sia conosciuta da tutti: basta che il pubblico scandalo sia derivato da un concreto comportamento incauto degli autori, o di uno di essi, pur se non manifestato direttamente in pubblico, ma rivelato dagli effetti materiali o da confessioni. Un'ampia discussione è sorta riguardo alla natura del pubblico scandalo. 59 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Due sono le interpretazioni espresse in merito. Secondo una prima, prevalente in giurisprudenza, il pubblico scandalo rappresenta un'ipotesi di condizione obiettiva di punibilità: conseguentemente, esso non sarebbe oggetto di una volizione da parte degli agenti. Peraltro, la sua verificazione dovrebbe comunque essere causalmente riconducibile alla condotta degli agenti stessi. Una seconda interpretazione, prevalente in dottrina, individua nel pubblico scandalo l'evento del reato. Esso deve pertanto essere voluto (o quanto meno accettato a titolo di dolo eventuale) dagli agenti quale risultato (certo o anche solo probabile) della propria condotta. Per quel che, invece, riguarda la prova del pubblico scandalo, è stato rilevato che in passato si è sostenuto che l'insorgere di tale scandalo derivasse automaticamente dalla conoscenza del rapporto sessuale intervenuto tra consanguinei: la sussistenza di tale elemento non necessiterebbe, dunque, di alcuna specifica prova. Tale opinione pare peraltro condurre ad un'abrogazione implicita di tale requisito, il quale resterebbe sostanzialmente assorbito nella conoscenza della relazione incestuosa, senza necessità che da tale conoscenza nasca effettivamente la pubblica riprovazione. Se ciò è già inammissibile quando si consideri il pubblico scandalo quale condizione obiettiva di punibilità, a maggior ragione è criticabile quando lo si interpreti quale evento costitutivo del reato. Tale opinione non è più condivisa: il pubblico scandalo deve essere provato. L'elemento psicologico del reato è costituito dal "dolo generico": dunque, deve esservi sia la consapevolezza dell'esistenza del vincolo tra gli autori del fatto (è sufficiente anche un vincolo di filiazione illegittima purché noto agli autori), sia la coscienza e volontà di avere rapporti sessuali con una delle persone indicate in modo specifico nell'art. 564 c.p. Per quanti poi ritengono che il pubblico scandalo costituisca evento del reato, anche quest'ultimo elemento dovrà essere coperto dal dolo, in quanto esso individua una modalità dell'azione criminosa e, dunque, è inerente alla condotta volontaria dei soggetti. La norma non indica limiti di età per gli autori: è però previsto, al terzo comma, un aggravamento di pena nell'eventualità che uno dei responsabili sia minore degli anni diciotto, a carico del correo maggiorenne. Dunque, qualora uno dei due autori non sia imputabile (ad esempio il minore di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni che venga riconosciuto non imputabile nel caso concreto) o non punibile per qualsiasi motivo, ciò non fa venir meno il reato: e ne risponde però ovviamente solo il soggetto imputabile e punibile. Per ciò che riguarda la pena e le sanzioni accessorie, la condanna comporta la reclusione da uno a cinque anni nel caso di incesto, e da due a otto anni nel caso di relazione incestuosa; per il genitore, inoltre, la condanna comporta la perdita della potestà sul figlio minore. Il reato è di competenza del 60 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Tribunale e la procedibilità è d'ufficio: la denuncia, di conseguenza, andrà inoltrata al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale. Escludendo l'ipotesi in cui gli autori sono entrambi maggiorenni, occorre vedere quali sono le ipotesi normative di applicabilità della norma in esame. Nel reato di incesto il minore non è qualificabile tecnicamente come vittima e ciò discende dalla naturale plurisoggettività della fattispecie: se uno dei due subisce, con violenza o minaccia, il fatto dell'altro, non si ha incesto ma violenza sessuale; ugualmente se uno dei due non è capace di prestare un consenso valido. Dunque il reato di incesto viene compiuto nella seguenti situazioni: a. quando l'ascendente, oppure la sorella o il fratello convivente, compiono atti sessuale con il discendente di età superiore ai sedici anni e consenziente; b. quando il fratello, la sorella o l'affine in linea retta non conviventi compiono tali atti con il familiare di età superiore a quattordici anni. Devono ritenersi applicabili le norme sulla violenza sessuale tutte le volte che una delle due persone deve essere considerata soggetto passivo del fatto dell'altra, anziché concorrente nel fatto stesso. La legge italiana stabilisce all'art. 609-quater c.p. dei limiti tassativi entro i quali il consenso del minore è presunto invalido, a causa dell'età inferiore dei sedici anni. In certe ipotesi, però, può verificarsi che quel particolare minorenne, nel caso concreto, avesse raggiunto una fase di maturazione fisica, psichica e morale tale da far sì che il suo consenso potesse essere considerato umanamente (anche se non giuridicamente) ponderato e consapevole. Può però accadere anche il contrario, e cioè che allo scadere di tale termine il minore di età compresa tra i sedici ed i diciotto anni non abbia ancora raggiunto quella maturità indicata. In questo caso, sarà il giudice che dovrà compiere un apprezzamento con prudenza per valutare se il minore aveva tale maturità al momento del fatto e, senza fermarsi a ciò, se l'eventuale immaturità di questo soggetto non renda applicabile la fattispecie di cui all'art. 609-bis, 2 comma, n.1, c.p., laddove si punisce come violenza sessuale presunta il fatto commesso in danno alla persona che non sia in grado di resistere all'autore a causa delle proprie condizione di inferiorità fisica o psichica. Bisogna cioè che il giudice non si limiti ad accertare la sussistenza di una causa di proscioglimento (immaturità psichica), che nel caso concreto colpirebbe il minore qualificandolo correo, invece che non imputabile, di un incesto. 61 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 7.3 L'incesto nella società Mentre da un punto di vista giuridico quando si parla di incesto ci si riferisce a situazioni in cui viene violata la morale familiare (che è l'oggetto tutelato dall'art. 564 c.p.) attraverso il compimento di atti sessuali che causano "pubblico scandalo", nella percezione sociale la nozione di incesto viene riferita a tutti quei casi in cui vengono compiute delle violenze sessuali tra soggetti appartenenti alla stessa famiglia. Ciò che rileva in questa definizione è l'elemento della violenza con cui viene commesso l'atto sessuale: dunque, viene considerato un caso particolare e specifico della situazione di abuso sessuale. Esemplificativa è la definizione proposta dal Comitato di protezione giovanile del Quebec, che ha individuato l'incesto in qualsiasi tipo di relazione sessuale che avviene all'interno della famiglia tra un bambino ed un adulto che svolge nei suoi confronti una funzione parentale. Dunque vi rientrano atti compiuti in ogni tipo di relazione, etero od omosessuale (non soltanto se si arriva all'accoppiamento, ma anche quando si verificano pratiche oro-genitali, anali e masturbatorie), e determinati comportamenti parentali caratterizzati da un'intimità fisica eccessiva e dall'imposizione al bambino di atti voyeuristici ed esibizionistici. Dunque, quando la società discute di situazioni di incesto si riferisce ai casi di abuso sessuale intrafamiliare, che vengono puniti dall'ordinamento con la normativa introdotta dalla Legge n. 66/1996. Da anni, comunque, anche i giudici che devono valutare casi di incesto tra un soggetto minorenne ed uno maggiorenne non applicano più l'art. 564 c.p., in quanto tale norma non ha di mira la tutela del minore - che è invece quello che l'attuale percezione sociale ritiene essere l'obiettivo più importante dell'ordinamento - e fanno ricorso alle norme sulla violenza sessuale. Questo cambiamento è risultato anche dal fatto che i vari studi di psicologia sul rapporto sessuale tra un soggetto minorenne ed uno maggiorenne (soprattutto se legati da un rapporto di parentela) hanno individuato che in questa situazione vi è sempre una posizione di soggezione del minore nei confronti dell'altro e un atteggiamento di violenza intrinseca all'atto stesso, anche se non esplicita. È dunque più opportuna la tutela del minore attraverso le norme sulla violenza sessuale. 7.3.1 I vari tipi di incesto Attualmente il numero dei casi di "incesto" più frequenti e dunque conosciuti, nell'accezione considerata dalla società che è, dunque, sinonimo di abuso sessuale intrafamiliare (sia intra che 62 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO extradomestico), riguarda le relazioni sessuali tra genitori (o adulti aventi funzione parentale) e figli minori di sedici anni: dunque i casi di abuso sessuale intrafamiliare intradomestico. Alcuni autori ritengono che l'eziologia dell'incesto debba essere oggi più esattamente individuata in una "cultura della violenza" pervasiva delle relazioni familiari, nelle quali ogni membro della famiglia contribuisce allo sviluppo e al mantenimento del problema. Dunque non è corretto interpretare l'incesto come qualcosa riguardante esclusivamente il sesso, ma come un fatto legato ai rapporti di potere all'interno della famiglia e ad una serie di sottoculture ancora molto diffuse all'interno della nostra società, come la "cultura del possesso del figlio", che scambia la forza con la potenza, l'affetto con il possesso. In base alle ricerche effettuate dalla letteratura psicologica sull'argomento, la famiglia incestuosa può essere definita come un "blocco monolitico", all'interno del quale le distinzioni generazionali sono ignorate, non esistono ruoli definiti perché le parti si scambiano e si invertono in modo dinamico. I posti non sono stati assegnati: le relazioni tra i membri del nucleo incestuoso sono connotate dalla promiscuità e dall'autarchia. La famiglia è chiusa su di sé, si ritiene autosufficiente e circonda con il segreto ogni azione che avviene al suo interno. Poiché non sono mai state affrontate le dinamiche di separazione, la famiglia incestuosa si ritiene autosufficiente. Inoltre, la sua caratteristica predominante è l'autarchia, il suo apparente aspetto è quello di una fortezza impenetrabile, difesa strenuamente dall'arma del "segreto". Gli abusi sessuali nell'ambito della famiglia possono essere ulteriormente distinti in: a. Incesto/abuso sessuale tra padre e figlia. Si tratta del caso che si realizza più frequentemente e di cui la letteratura si è maggiormente occupata; b. Incesto/abuso sessuale tra padre e figlio. Secondo la maggioranza degli studiosi le dinamiche di questa situazione presenterebbero delle analogie con quelle dell'incesto padre/figlia, compreso l'atteggiamento collusivo della madre; c. incesto/abuso sessuale tra madre e figlia. Non si hanno denunce frequenti; d. incesto/abuso sessuale commesso dal familiare. Nell'ambito della famiglia abusi sessuali possono essere compiuti da altri parenti, conviventi o comunque presenti con particolare assiduità, come nonni o zii. Spesso l'aggressione sessuale viene effettuata da figure sostitutive del padre - assente perché deceduto o separato dalla moglie, come il patrigno o il convivente della madre o anche un fratello maggiore della vittima. Quando questo viene compiuto dal convivente o dal coniuge in seconde nozze del genitore è chiamato "paraincesto". 63 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 e. ASSOCIATO incesto/abuso sessuale tra madre e figlio. Il dibattito sul quesito se le madri incestuose/abusanti esistono oppure no è aperto. C'è chi sostiene che le madri non abusino mai dei propri figli, ma c'è chi ritiene invece anche loro autrici di veri e propri abusi sessuali. I dati esistenti al riguardo sono pochissimi e quindi avvallerebbero la prima ipotesi: in qualunque ricerca le madri risultano sempre all'ultimo posto tra gli autori di reati sessuali su minori e in percentuali insignificanti. Una delle cause di questa realtà è sicuramente il fatto che "l'incesto" in relazione al rapporto madre-figlio è un tabù culturale. Gli abusi delle madri sui figli sono molto difficili da scoprire soprattutto perché sono mascherati dalla pratica delle cure e dell'affettività materna. Molti atti di libidine si celano infatti nei bagni e nei lavaggi intimi, nelle applicazioni superflue di creme sui genitali dei figli di entrambi i sessi, nel condividere con questi ultimi fino all'età adolescenziale il letto o le carezze erotiche, arrivando anche al rapporto completo. Tutti questi comportamenti sono naturalmente perversioni materne, spesso anche molto sottili, che sono difficilmente riconoscibili e che non riescono ad emergere se non in terapia. Essi sono stati considerati fino a non molti anni fa quasi "naturali", o comunque un "eccesso" tollerato dal sentire comune, in quanto è considerato un dato scontato che il rapporto tra madre e figlio sia esclusivo. Infatti, se una donna esagera nel fare il "bagnetto" al figlio o ad utilizzare le creme siamo tutti propensi a credere che abbia la fobia dell'igiene e censuriamo immediatamente il pensiero che tale donna potrebbe avere desideri incestuosi verso i suoi figli. L'aumento (anche se relativo) della casistica di questo tipo di crimine deriva, dunque, da un'accresciuta sensibilità al fenomeno, sia da parte degli operatori sanitari e sociali, sia da parte della società. Un "rapporto incestuoso" tra madre e figlio crea un futuro uomo (o donna) psicotico. È per questo motivo che questo fenomeno è stato rilevato fino ad oggi dalla sola psichiatria infantile la quale, però, continuava a confondere un trauma reale con un desiderio o una fantasia incestuosa del bambino, ostinandosi a negare la realtà. In genere i padri riescono ad esercitare un immenso potere sui propri figli, facendo uso della violenza, dell'intimidazione, delle minacce o di strategie seduttive alle quali è impossibile resistere, soprattutto da parte di un minore; se una madre, invece, ha desideri "incestuosi" non ha bisogno di ricorrere alla violenza, né alle intimidazioni, né alle minacce. Le basta il potere che le è conferito come "madre" ed i danni che produce nella psiche del bambino sono devastanti. Dunque l'elemento della violenza rappresenta una discriminante forte tra "l'incesto" padre-figlia e quello madre-figlio: nel primo è probabile che ci sia, nel secondo no. 64 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 7.3.2 "Incesto" padre-figlia L'incesto/abuso sessuale padre-figlia rimane tuttora la combinazione più diffusa e conosciuta (3/4 dei casi di violenza sessuale intrafamiliare) e non è sempre accompagnato da atti di violenza, come la maggior parte delle persone presumono. Tale tipo di violenza si inserisce all'interno di una dinamica particolare e complessa che certamente lo differenzia da qualsiasi altra forma di abuso compiuta da un adulto ai danni di un minore. Infatti, mentre in qualsiasi altra forma di violenza sessuale la vittima, di qualsiasi età essa sia, ha la possibilità di riconoscere nell'abusante la figura del colpevole, "l'incesto" priva chi lo subisce della libertà di difendersi e di odiare. Le figure genitoriali, all'interno della "famiglia incestuosa", sono complementari: ad un padrepadrone corrisponde una madre assente, ad un padre endogamico una madre anaffettiva. Nel primo caso, il cosiddetto "padre-padrone" è indicato dalla letteratura come colui che ha la convinzione che la disponibilità sessuale sui propri figli sia uno degli aspetti della totale disponibilità che egli non può non avere su tutta la famiglia; che i rapporti familiari siano di puro dominio e che quindi sia del tutto ammissibile che si punisca la figlia con l'abuso sessuale; che il compito educativo del padre che svela il mondo alla figlia comprenda anche il rito di iniziazione connesso con l'esperienza sessuale. Questa immagine è associata, complementarmente, a quella della "madre assente", dipendente, sottomessa e spesso anch'essa abusata dal marito. Esiste, però, un'imponente letteratura che rivela come il modello delle relazioni affettive nella famiglia incestuosa possa essere esattamente l'opposto, essendo il padre inadeguato, debole, timido, dipendente: questa è l'immagine del cosiddetto "padre endogamico". Questa figura è solo in apparente contraddizione con quanto descritto prima, perché in realtà il padre-padrone nasconde, sotto l'atteggiamento di ostentata autorità, una sostanziale insicurezza e debolezza. Questo tipo di padre viene spesso associato ad una "madre affettivamente distante", poco attenta ai bisogni degli altri membri del nucleo familiare e che demanda il suo ruolo coniugale e materno alla figlia, la quale diventa così la nuova partner del padre. La figlia viene caricata di pesanti responsabilità alle quali non può sottrarsi, pena la perdita dell'affetto dei genitori da cui il bambino dipende: si tratta del cosiddetto "terrorismo della sofferenza", cioè della tendenza a riversare sulle spalle dei figli ogni tipo di disordine interno alla famiglia. Vi sono, però, anche casi in cui il padre appare alla figlia genericamente insoddisfatto della moglie ed egli attua "l'incesto" con la figlia come un paradossale tentativo di ristabilire l'equilibrio familiare. La madre, sentendosi incapace di accontentare il marito, si mostra debole ed arrendevole, cedendo la 65 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO figlia alle cure del marito, il quale adotterà con la figlia atteggiamenti da coetaneo, esplicitando chiaramente quanto si senta realizzato solo in sua compagnia. Il rapporto si sessualizza nel momento in cui il padre allude chiaramente alla sua insoddisfazione per le prestazioni sessuali con la moglie ed inizia così la relazione con la figlia. A volte può accadere che una moglie, particolarmente dipendente, sia ossessionata dall'idea di non perdere il proprio uomo e veda la figlia come un tramite di offerta di un legame sessuale con una ragazza più giovane, che possa così renderlo felice ed appagato. Ciò è vero specie se a questo tratto si aggiunge la frigidità e il fatto di essere sessualmente rifiutata. In questo tacito "gioco" non ci sono sensi di colpa, a meno che la "relazione incestuosa" non venga alla luce. Si può affermare con certezza che dietro l'abuso sessuale c'è sempre una premeditazione, cioè la fase di vera e propria interazione sessuale è sempre preceduta da fantasie sessuali sulla minore, dalla progettazione dell'abuso e dalla ricerca attiva di circostanze che ne permettano l'attuazione. In molti casi l'abusante stabilisce con la bambina un rapporto esclusivo e la isola con vari mezzi dal resto della famiglia, facendole credere che è la figlia preferita, l'unica della famiglia "alla sua altezza", con cui si può parlare da pari a pari ecc., oppure cercando di impietosirla mostrandosi incompreso, bisognoso di cure ed attenzioni, e svalutando la madre agli occhi della bambina. Può mettere di fronte alla figlia tutta una serie di promesse e progetti in cui lei sarà la protagonista, inserendola in aspettative di realizzazioni sociali grandiose e facendole credere di averne le chiavi di accesso; le può promettere di concederle di partecipare ad attività al di fuori della famiglia in un futuro che non arriverà mai, in quanto nella realtà tutte queste promesse servono da esca a mantenerla nella sua orbita e per poterle nel contempo proibire le attività di socializzazione normali per la sua età. In questo modo mantiene viva nella bambina l'aspettativa che le cose potranno cambiare e la speranza che il suo papà sia in realtà un papà buono che le vuole bene e che la vuole aiutare. Inoltre mette in atto una serie di strategie volte a svalutare su tutti i piani la figura materna e interferisce nella relazione madre-figlia, in modo che la bambina non possa trovare aiuto in questa. L'azione del padre volta all'isolamento della figlia agisce in molti casi su una difficoltà già presente nella madre in termini di protettività e di vicinanza affettiva verso la bambina, legata a sue difficoltà personali o a fattori contingenti quali malattie fisiche, aumentando la distanza tra le due al punto tale da rendere entrambe del tutto impotenti; l'una ad accorgersi dell'abuso e a difendere la figlia, l'altra a chiedere aiuto. L'azione del padre è volta spesso anche a "buttare fumo negli occhi" della moglie, facendo cadere anche lei in una fitta rete di inganni. 66 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO D'altro canto madri che iniziano a sospettare che qualcosa "non funzioni", perché colgono qualche comportamento "strano" del marito nei confronti della bambina, e che per questo lo affrontano, vengono subito da lui accusate di essere pazze, visionarie e incapaci come madri, spesso picchiate per tale visionarietà e minacciate («Se non la pianti ti faccio togliere i figli»). Inoltre, nei casi di concomitante maltrattamento fisico, l'inizio dell'abuso può coincidere con una diminuzione degli episodi di percosse sulla figlia, che deve così pagare la sua "incolumità" fisica a prezzo della violenza sessuale; tale prezzo viene frequentemente pagato dalle figlie anche al fine di evitare altri episodi di violenza sulla madre e sugli altri bambini e bambine della famiglia. A volte, invece, le bambine - che verranno poi abusate - vengono "preservate" dalle percosse, che sono riservate agli altri figli e/o alla mamma: questo "riguardo" nei loro confronti, che fa parte del lavoro di adescamento, fa sentire le bambine privilegiate e nello stesso tempo colpevoli nei confronti di chi all'interno della famiglia viene percosso o percosso di più; l'impotenza nel constatare di non poter difendere in altro modo la madre e i fratelli, la situazione di apparente privilegio, unite spesso ad aperte minacce del padre circa ulteriori aggressioni fisiche al resto della famiglia, consolidano sempre più il ruolo segreto di vittima sacrificale della bambina sessualmente abusata. Le bambine e i bambini piccoli, inoltre, non riescono assolutamente ad individuare la colpa dell'adulto, se l'adulto è esteriormente gentile ed affettuoso, se quanto avviene è presentato come fosse un gioco e se vengono date delle ricompense per la partecipazione a certi atti. La complicità della madre può essere di tipo passivo, tacito, talora inconscio, o estrinsecarsi in un comportamento attivo. Ai due comportamenti corrispondono personalità distinte. Nel primo caso, la madre è incapace di stabilire una qualsiasi relazione con la figlia e con il marito: questo "abbandono emotivo" della famiglia da parte della moglie può indurre il marito ad incentrare le proprie attenzioni sulla figlia. La complicità attiva della madre, invece, può variare da incoraggiamenti ambigui sino al vero e proprio aiuto fisico prestato al coniuge che usa violenza alla figlia. Nella madre, in quest'ultimo caso, al distacco emotivo si accompagnano disturbi più gravi della personalità e talora tratti psicotici. La donna, fortemente dipendente nei confronti del marito, teme di venir sostituita nel proprio ruolo dalla figlia, che sta crescendo, e prova nei confronti di quest'ultima un risentimento sempre più forte, sino a desiderare di vederla punita ed umiliata (anche attraverso l'abuso). Ha un'importanza fondamentale anche l'elemento culturale legato ad una concezione arcaica, esasperatamente patriarcale, del ruolo del capofamiglia, che grande potere assumeva nel passato ma che ha ancora oggi la sua rilevanza negli strati sociali di basso livello culturale o presso comunità arretrate. In questi casi il padre considera l'attività dell'incesto come un legittimo esercizio del suo 67 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO potere assoluto; perciò egli ben può abusare della o delle figlie - che secondo il suo pensiero costituiscono una sua "proprietà" - per soddisfare esigenze sessuali e/o affettive o semplicemente a scopo punitivo. Come osserva Isabella Merzagora, «l'incesto è probabilmente una delle conseguenze di una sottocultura che confonde la forza con la violenza, la virilità con l'ipersessualità, l'autorevolezza con l'autoritarismo (....) Il problema non è sessuale, ma di violenza esercitata dal padre-padrone su moglie e figlie e trasmessa - come valore culturale da imitare - ai figli». Le interpretazioni più recenti tendono, infatti, a vedere "nell'incesto" commesso dal padre un tentativo di riaffermare la propria supremazia nell'ambito familiare, una violenta rivendicazione di potere più che un'espressione di problematiche sessuali. La figlia vive la situazione "dell'incesto" con il padre come un conflitto dilaniante: da un lato vorrebbe porre fine ad una situazione imbarazzante e traumatica per andare incontro ad una vita normale, dall'altro non è in grado di parlare un po' per vergogna e un po' per paura; inoltre questa decisione minerebbe la sicurezza e l'apparente stabilità della famiglia, che a questo punto essa ritiene dipendano esclusivamente da lei. In generale è possibile affermare che da ambo le parti si tende comunque ad occultare l'incesto con un silenzio molto rigido. I genitori tendono a razionalizzare "l'incesto" («...volevo solo mostrarle come si fa.»); a questo si aggiunga che, pur di preservare la famiglia, i genitori negano persino dopo che la scoperta è avvenuta, fino a condannare la stessa vittima se è la causa della scoperta. Spesso, infatti, alle violenze subite dal genitore abusante, si aggiungono quelle - forse ancor più brucianti - compiute da parte di tutto il nucleo familiare e dalla società, per il fatto di non essere credute. L'isolamento, che caratterizza la situazione infantile di questi bambini, si protrae anche dopo la denuncia: si forma il vuoto intorno al loro coraggio e da vittime innocenti si trasformano in calunniatrici colpevoli. Una ragazza, dopo anni di violenze compiute dal padre, non essendo stata creduta dalla madre, ha fatto questo amaro commento: "È stato quello il più grande dolore della mia vita. Lui mi ha violentata e tormentata per tutta l'infanzia. Ma mia madre mi ha uccisa". 7.3.3 Le conseguenze "dell'incesto" Raramente "l'incesto" si esaurisce in un singolo episodio; la durata della relazione è mediamente di due anni, ma può protrarsi anche per più di cinque. Inoltre le attenzioni sessuali del genitore 68 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO (specialmente nel caso dell'incesto padre-figlia) sono frequentemente rivolte a più soggetti e quando vi sono più figli viene realizzato nei confronti di tutti, anche se magari in periodi diversi. Tra gli autori vi è una larga concordanza nel ritenere che "l'incesto" provochi conseguenze negative e che queste siano spesso gravi e durature, soprattutto sul piano psicologico. Oltre alle reazioni immediate, l'abuso determina nei minori effetti a lungo termine, tanto che questo tipo di violenza è stato definito "una bomba ad orologeria". La reazione dei bambini a questo tipo di violenza non è immediatamente di rifiuto e difesa, perché i bambini non possiedono ancora una personalità forte e consolidata tale da opporre ai desideri sessuali dei genitori; più spesso sono ammutoliti dall'autorità delle figure parentali e dalla confusione generata in loro dall'atto compiuto. Occorre inoltre ricordare che alle conseguenze della stessa violenza sessuale si aggiungono, quando il fatto viene scoperto, gli ulteriori effetti derivanti dall'aggravarsi della disgregazione familiare, dal discredito sociale e dall'intervento istituzionale sul minore. Anche a distanza di anni le vittime presentano stati ansiosi, depressione, insicurezza, talvolta aumento dell'aggressività, difficoltà scolastiche e, nei rapporti interpersonali, complessi di colpa e problemi sessuali. In certi casi l'esperienza incestuosa può determinare nelle vittime, dopo un certo periodo, l'insorgere d'anoressia. Una delle conseguenze più gravi, derivanti dall'abuso sessuale intrafamiliare, è la confusione a lungo termine dei livelli cognitivi, emozionali e sessuali generati nel bambino. Egli, infatti, si trova ad essere, durante il periodo dell'abuso, uno "pseudo-partner" e al tempo stesso è strutturalmente dipendente, in quanto bambino, dal genitore. Tutto questo comporta nel bambino, a causa anche delle minacce di violenza e segretezza, un'incapacità di orientarsi, in modo significativo, cognitivamente, emozionalmente e socialmente. Inoltre, gli effetti a lungo termine sullo stato psicologico delle vittime, nell'adolescenza e nella prima maturità, si manifestano spesso con l'aumento della delinquenza, con l'abuso di droga e alcool, con la promiscuità e la prostituzione, con l'isolamento sociale, con l'aumento dei tentativi di suicidio e con l'incremento significativo degli indici di sintomi depressivi. Le conseguenze psicologiche possono comunque variare secondo il modo con cui è stato attuato l'incesto. Ad esempio, se la vittima ha subito un abuso sessuale violento da parte di un genitore, le conseguenze saranno aggravate dal fortissimo trauma psicologico dovuto alla trasformazione negativa della figura genitoriale, che passa d'improvviso da un ruolo protettivo a quello di aggressore. La situazione si presenta diversamente se il genitore ha agito senza violenza apparente, assumendo un atteggiamento seduttivo, sfruttando l'ingenuità del figlio o della figlia e attuando ricatti affettivi. 69 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO In questo caso la partecipazione all'incesto potrà portare la vittima (specialmente dopo la fine della relazione e con il sopraggiungere della piena consapevolezza dell'accaduto) a sviluppare un profondo senso di colpa e di disprezzo verso se stesso, unitamente ad istanze autopunitive e a repulsione verso il sesso opposto. Occorre considerare anche i sensi di colpa della vittima, che può avere la sensazione di aver tradito il genitore abusante, sentire che è responsabile della sua carcerazione e del disfacimento della famiglia. Inoltre, va ricordato che la perdita improvvisa e inaspettata di tale genitore è per il minore la perdita di un importante figura genitoriale, anche se è colui che lo ha danneggiato abusando di lui: per qualche bambino è addirittura l'adulto più importante della sua vita. È importante rilevare che la crescita del senso di colpa nella vittima d'incesto è stimolata in modo decisivo dal comportamento della famiglia e della società in genere, le quali attuano un vero e proprio processo di "colpevolizzazione" nei suoi confronti. Specialmente le bambine subiscono queste conseguenze poiché l'opinione comune tende ad attribuire loro un ruolo "attivo" nella dinamica dell'incesto, ossia di provocazione verso il padre. Non è da escludere che in alcuni casi le bambine abbiano mostrato atteggiamenti seduttivi nei confronti dell'adulto, o che siano state effettivamente ambivalenti nei comportamenti, ma è riconosciuto come una tappa obbligata ed indispensabile del processo di formazione dell'identità infantile quello che la psicoanalisi ha chiamato il complesso d'Edipo: dunque provare amore per il genitore del sesso apposto e gelosia per quello dello stesso sesso è lecito, inevitabile e normale nei bambini dai tre ai sei anni. Oggi l'orientamento scientifico più recente tende ad essere piuttosto severo verso l'impostazione, accusata di facilitare un'ulteriore vittimizzazione del minore, secondo la quale il bambino può essere considerato, in alcuni casi, "vittima partecipante" in quanto, conoscendo l'aggressore, avrebbe consciamente o inconsciamente voluto il trauma sessuale, provocando l'adulto o assumendo un comportamento compiacente, oppure accettando in cambio dell'atto sessuale regali o denaro. Sarebbero in realtà gli adulti ad equivocare, interpretando come advance sessuali gli atteggiamenti di ricerca e di sollecitazione affettuosa da parte dei bambini. La tesi prevalente al riguardo è che la partecipazione del minore non può in ogni modo incidere sulla responsabilità dell'adulto. Oggigiorno possono essere causati anche "traumi secondari" nel bambino vittima di un abuso sessuale, a causa dell'incompetenza degli operatori nei vari ambiti di presa in carico della situazione. Occorre ricordare che l'abuso sessuale non cessa di avere effetti al momento della neutralizzazione e dell'allontanamento dell'abusante dalla vittima. 70 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Di conseguenza, quando viene intrapreso un accertamento peritale è necessario cercare molto di più dell'attendibilità di una testimonianza: bisogna entrare in contatto emotivo con il bambino per individuare, al suo interno, la presenza di un'esperienza estranea ed imposta, che continua a produrre effetti nel tempo. Il bambino, che è stato abusato a lungo, non ha alcuna aspettativa di trovare un adulto comprensivo ed accogliente, perché l'esperienza subita è tale da fargli vedere la realtà alla luce degli eventi vissuti: così egli chiederà di lasciarlo solo, perché la solitudine è comunque uno spazio vuoto in cui forse crede di potersi rifugiare. Un'attività di prevenzione dovrà, dunque, mirare anche all'opportuna preparazione di tali operatori per evitare che succeda tutto ciò. 71 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Capitolo II Dalla rivelazione all'accertamento: testimonianza verbale del minore 2.1. La denuncia di abuso sessuale La denuncia costituisce il primo passo necessario per avviare sia un intervento di tutela della vittima, sia un procedimento penale nei confronti del presunto colpevole. Quanti sostengono la validità di questo strumento sono convinti che chiunque rinunci a denunciare, magari adottando procedure più informali di approccio alla famiglia abusante, corre il rischio di entrare a far parte della "patologia del segreto". La denuncia dovrebbe essere fatta dalla persona cui il bambino ha raccontato per la prima volta dell'abuso subito; spesso, però, l'estrema delicatezza e difficoltà del procedimento penale per fatti di abuso sessuale crea sempre tra gli operatori sociali e coloro che stanno a contatto con i bambini (ad esempio le insegnanti) una forte riluttanza ad adire l'autorità penale. La presentazione della denuncia è una decisione molto difficile, spesso subordinata ad una serie di condizioni: prima fra tutte, una sorta di delibazione preventiva dell'attendibilità del minore (giudizio che, invece, può essere fatto solo al termine delle indagini e che è di pertinenza esclusiva del magistrato penale) o, peggio ancora, una valutazione sull'esistenza di riscontri obiettivi o sulla dannosità del processo penale, o anche sull'esistenza del consenso alla denuncia da parte del minore. Tutte queste valutazioni sono fatte dall'operatore che si trova di fronte ad un caso sospetto di abuso. Si vengono così a creare, fra notitia criminis e denuncia, una serie di filtri con l'unico risultato di ritardare l'inizio delle indagini. Una situazione di abuso sessuale può emergere o in forma esplicita (rivelazione), quando il minore confida la propria situazione traumatica ad una persona a lui vicina, oppure in forma implicita (rilevazione), attraverso indicatori comportamentali. Più in particolare si possono distinguere: 72 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO casi in cui si manifesta una rivelazione "diretta" dell'abuso da parte del minore, nella quale cioè lo stesso racconta al proprio interlocutore fatti che, se veri, costituiscono, senza dubbio, ipotesi di abuso sessuale nei suoi confronti; e casi in cui si ha una rivelazione "mascherata" con cui il minore non riferisce fatti di abuso, ma descrive situazioni che ordinariamente ne costituiscono la premessa, quali fatti di grave maltrattamento, comportamenti ambigui dell'adulto nei suoi confronti, ecc. Equiparabili a queste ultime situazioni sono quelle in cui il minore, senza raccontare esplicitamente fatti di abuso, tiene comportamenti che possono far sorgere il sospetto che ne sia vittima: ad esempio comportamenti erotizzati, incongrui rispetto all'età, ed atti autolesionistici privi di comprensibile spiegazione. Queste sono le ipotesi di rivelazione. I casi a presentazione "diretta" solo in apparenza comportano un accertamento più semplice. Infatti, si pone qui in tutta la sua complessità il problema della credibilità del minore che rivela l'abuso. Del resto, anche escludendo l'intenzione di mentire, quale può essere l'attendibilità dei racconti di bambini piccoli, per loro natura imprecisi, senza parametri chiari su ciò che è o non è semplice manifestazione d'affetto? Se è vero che è tipico del bambino confondere i tempi degli avvenimenti e mescolare sensazioni soggettive a dati oggettivi, come è possibile per l'interlocutore farsi una chiara idea sui fatti? D'altra parte, questo fenomeno di apparente confusione si verifica anche in bambini più grandi o addirittura in adolescenti, soprattutto se gli episodi ricordati devono essere fatti risalire ad un passato non troppo recente e/o riguardano comportamenti dai connotati sfumati, come le molestie sessuali. Occorre ricordare che non sempre ciò che è rilevante e centrale per l'adulto lo è altrettanto per un bambino e che ogni giudizio sulla credibilità di quest'ultimo deve tener conto di questa differenza di prospettiva. Dopo che il minore ha potuto raccontare un episodio ed è stato aiutato a ricordarlo più nitidamente, non infrequentemente ne rivela altri: ciò non deve indurre sospetto e far pensare ad invenzioni del bambino. Probabilmente questi ulteriori ricordi riguardano fatti altrettanto reali, che solo a posteriori possono ritornare nella sua memoria ed essere riconosciuti da lui come episodi di abuso sessuale. Ciò potrà avvenire proprio grazie sia all'esperienza affettiva di essere creduti e oggetto di attenzione, sia a quella cognitiva di aver potuto tradurre in parole ed inquadrare con certezza un'esperienza tanto carica di emotività conflittuale. 73 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO I casi a presentazione "mascherata" sono molto più frequenti di quanto si pensi e pongono, per di più, una serie di interrogativi: quanto è lecito sospettare? Si possono, e in che termini, proporre accertamenti medici non richiesti, sapendo che una buona percentuale di essi si rivelerà inutile? In questi casi acquista particolare rilievo la possibilità di valorizzare i dati che provengono da un'accurata valutazione sanitaria del soggetto che si presume abbia subito abuso sessuale. Di solito questo tipo di scoperta avviene perché qualche persona che sta a contatto con il minore nota dei comportamenti che lo "insospettiscono" e chiede che vengano fatti degli accertamenti medici. Premessa indispensabile è che gli operatori sanitari "sospettino" che una delle possibili conclusioni del percorso diagnostico in campo ginecologico e/o pediatrico e/o psicologico possa essere proprio la diagnosi di abuso sessuale. Solo a partire da questa preoccupazione si aprirà la possibilità di indagini appropriate, che saranno successivamente compito dello specifico operatore. L'acquisizione della notizia del reato apre la fase degli accertamenti che potranno portare - se saranno riscontrati concreti elementi di prova - al procedimento penale. La notitia criminis può derivare o dalla ricezione, da parte del pubblico ministero o della polizia giudiziaria, della rivelazione del reato da parte della vittima o di terzi oppure da un'iniziativa diretta da parte di tali organi, comunque venuti a conoscenza del fatto od operanti per l'individuazione di fatti costituenti reato. Per i reati in cui le vittime sono minori sarebbe opportuno che si costituisse un nucleo di polizia specializzata in grado di effettuare indagini approfondite al fine di identificare situazioni in cui è più facile lo sfruttamento del soggetto in formazione. È molto difficile che in questi casi vi sia una denuncia diretta, perché spesso l'ambiente in cui vive il minore è insensibile ai suoi bisogni e, così, solo una vigilanza continua sul territorio da parte di organi di polizia, particolarmente attenti a questi aspetti della tutela della personalità del minore, potrà far emergere il fenomeno. Regola fondamentale, ai fini di un'efficace indagine penale, è la possibilità per il pubblico ministero di ricevere la notitia criminis con tempestività, e cioè prima che il potenziale indagato sia a conoscenza delle indagini in corso. Perché questo possa realizzarsi è necessario istituire con tutti gli operatori del settore (ASL, servizi sociali dei comuni, scuola, istituti minorili, giudici minorili, ecc.) intese finalizzate a creare rapporti stabili, basati sulla fiducia reciproca e sulla conoscenza dei rispettivi metodi di lavoro, in modo da renderli reciprocamente compatibili ed ottimizzare i risultati. Bisogna, inoltre, che sia incentivata la trasmissione dovuta all'ufficio del pubblico ministero di tutte le segnalazioni che presentino, oggettivamente, le caratteristiche minimali di una notitia criminis, 74 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO tranquillizzando gli interlocutori (soprattutto dicendo loro che le indagini verranno condotte con la massima riservatezza, senza alcun clamore esterno, all'insaputa del diretto interessato e con la metodologia che tenga conto delle esigenze del minore). Infine, sarebbe utile promuovere una forte esortazione di tutti gli operatori del settore a contatto diretto con il pubblico ministero (o con la polizia giudiziaria): essi devono essere competenti non solo quando viene trasmessa una denuncia che richiede interventi d'urgenza (tipico è il caso dell'allontanamento), ma anche in tutti i casi dubbi nei quali occorra stabilire se sussistano o meno gli elementi essenziali della notitia criminis. Infatti, anche quando sussistono meri sospetti di abuso (caso tipico è il comportamento erotizzato di minori in età infantile), anche se la denuncia può essere ritenuta prematura, è importante un contatto preliminare con il pubblico ministero al fine di concordare le modalità di un approfondimento che potrebbe portare alla rivelazione dell'abuso. Infatti tali modalità devono, nei limiti del possibile, tutelare le esigenze di un'eventuale indagine penale, prima fra tutte la riservatezza del possibile indagato. Per consentire un pronto intervento nei casi delicati ed urgenti potrebbe essere opportuno creare nelle grandi Procure, una sorta di "turno esterno" fra pubblici ministeri che si occupano della materia, eventualmente dotato di mezzi di pronta reperibilità, quale il telefono cellulare, al fine di far fronte alle segnalazioni da parte degli operatori del settore. Infatti, è della massima importanza per tali operatori avere come referenti non un anonimo pubblico ministero ma una persona conosciuta con la quale già esista un rapporto di fiducia e di collaborazione. 2.1.1 Gli obblighi di denuncia da parte dei soggetti che rivestono funzioni o incarichi di natura pubblica A prescindere dall'utilità o meno della denuncia penale, la segnalazione del sospetto abuso da parte dell'insegnante, del personale sanitario in servizio nei presidi pubblici o degli operatori dei servizi pubblici rappresenta un atto obbligatorio che espone a precise responsabilità, anche penali, in caso di omissione. In primo luogo vi è l'articolo 331 c.p.p. che stabilisce l'obbligo di denuncia per il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio per i reati procedibili d'ufficio. Le pene per chi omette la denuncia sono previste dagli artt. 361 e 362 c.p. 75 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Va inoltre tenuto presente che, dopo le modifiche introdotte dalla legge 15 febbraio 1996 n. 66, sono procedibili d'ufficio i più significativi tra i reati sessuali posti in essere all'interno della famiglia. Negli altri casi i reati sessuali sono procedibili a querela ossia su richiesta della persona danneggiata, querela che deve essere proposta entro sei mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato (art. 609 septies, comma 2 c.p.) e che una volta proposta è irrevocabile. Se si tratta di un minorenne che non ha compiuto almeno i quattordici anni deve provvedere chi esercita la potestà, ossia, di regola, uno dei genitori (art 120 c.p.). Se invece il minorenne ha più di quattordici anni, egli può presentare personalmente querela oppure, nonostante ogni sua volontà contraria, può presentarla anche chi esercita su di lui la potestà. Per i reati sessuali procedibili a querela, se risultano connessi con altri reati procedibili d'ufficio (art. 609-septies, comma 4 n. 4 c.p.) - condizione che si verifica abbastanza spesso, potendo ricorrere l'ipotesi di minacce gravi (art. 612 c.p.), violenza privata (art. 6 c.p.), lesioni personali (artt. 582, 583 c.p.), sequestro di persona (art 605 c.p.) - è prevista la procedibilità d'ufficio e l'obbligo di denuncia. La presenza di queste circostanze può non essere facilmente identificabile al momento della denuncia. Quindi, per realizzare un'effettiva tutela del minore, sarebbe opportuno che i soggetti obbligati effettuassero sempre la denuncia, lasciando al magistrato la valutazione se nel caso esiste oppure no una condizione di procedibilità. In ogni modo, l'obbligo per il pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio sorge solo quando il reato è già delineato nelle sue linee essenziali e quando vi sono elementi fondati tali da indurre a ritenere che esso sussista. Una disposizione molto importante è inoltre contenuta negli artt. 121 c.p. e 338 c.p. secondo i quali, in caso di conflitto d'interessi con l'esercente la potestà o quando non vi è chi abbia la rappresentanza del minore di quattordici anni, la querela può essere proposta da un curatore speciale, nominato dal giudice delle indagini preliminari su istanza del pubblico ministero o degli stessi servizi che hanno per scopo «la cura, l'educazione, la custodia o l'assistenza dei minorenni». Infine, altro obbligo di segnalazione discende dall'art. 9 della legge 4 maggio 1983 n. 184, che riguarda la segnalazione al Tribunale per i minorenni dei casi di "abbandono di minori". Infatti, l'abbandono può essere anche di tipo morale; non sussiste, cioè, solo nel caso di pesanti trascuratezze materiali, ma anche in presenza di comportamenti che possono pregiudicare un equilibrato sviluppo psicoaffettivo del minore (e tra questi possono essere indicati gli abusi sessuali). 76 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 2.1.2. Conflitto fra l'obbligo di referto e l'obbligo al segreto professionale L'art. 622 c.p. punisce la rivelazione del segreto professionale. Obbligato al tale segreto è chiunque sia venuto a conoscenza del reato nell'esercizio o a causa delle sue funzioni: ciò significa che occorre un nesso di consequenzialità immediata tra l'informazione ricevuta e l'espletamento della funzione o del servizio, cioè occorre che la notizia di reato sia stata appresa nello svolgimento del lavoro o della funzione. Il problema si pone in particolare per gli esercenti una professione sanitaria (fra i quali sono ricompresi psicologi e psicoterapeuti, anche quando operano come professionisti privati) che hanno l'obbligo di inviare un referto all'autorità giudiziaria ai sensi dell'articolo 365 c.p. Il discorso riguardo gli esercenti una professione sanitaria è abbastanza controverso. Al medico la legge impone di inviare un referto all'autorità giudiziaria tutte le volte che abbia prestato la sua assistenza in casi che possono presupporre un delitto perseguibile d'ufficio, e solo quando il paziente sia vittima o parte lesa; non «quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale come imputato». Allora interviene l'obbligo del segreto professionale e viene a cadere il reato di omissione di referto. La controversia riguarda chi sia la persona assistita nel caso del minorenne abusato, che ad esempio venga accompagnato alla visita medica dal genitore abusante. Qualche autore ha sostenuto che, poiché nel caso del minore, la richiesta di prestazione medica deriva dal genitore, questi diventa anche titolare del diritto al segreto professionale. Da altri è stato rilevato che assistito è il minore e che quindi il medico sia liberato dal vincolo del segreto professionale nei confronti del genitore. Tuttavia, è sostenibile anche che entrambi si affidano al medico per un consiglio e per una terapia. Comunque, tutte queste incertezze cadrebbero qualora la legge imponesse al medico di segnalare il caso anziché all'autorità giudiziaria a centri socio sanitari specializzati o a qualche settore appositamente strutturato dei servizi sociali territoriali. 77 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 2.2 Il ruolo del Tribunale ordinario e del Tribunale per i minorenni Quando la notizia del reato è giunta alla polizia giudiziaria o alla Procura, il pubblico ministero (per cui l'esercizio dell'azione penale è obbligatorio) inizia l'indagine preliminare, diretta ad accertare i presupposti di fatto richiesti per il concreto esercizio dell'azione. In questa prima fase può, a sua discrezione (poiché non ne ha l'obbligo), segnalare il caso al Tribunale per i Minorenni, che è però l'unico a poter disporre misure di protezione nei confronti del minore abusato. Se il caso non viene archiviato, ed anzi le indagini preliminari evidenziano sufficienti elementi a carico dell'inquisito, allora viene promossa l'azione penale. Tuttavia, anche qualora questa sfoci in un'affermazione di responsabilità, la condanna diventa definitiva soltanto in seguito all'inutile decorso dei termini per impugnare. Fino a quel momento, dunque, l'abusante può essere sottoposto a misure restrittive solo nel caso in cui sia ritenuto socialmente pericoloso o vi sia il pericolo di una sua fuga. In base a questi principi di garanzia processuale, l'imputato - in assenza di precise disposizioni del tribunale minorile - fino all'ultimo appello potrebbe restare libero e vivere a casa sua, insieme ai familiari, compreso il minore che ha rivelato l'abuso. L'unica soluzione che contempera le esigenze di tutela della parte lesa, da un lato, e di accertamento della verità, dall'altro, è quella di svolgere un'indagine penale estremamente rigorosa e tempestiva, condotta attraverso un'approfondita escussione della parte lesa e una ricerca dei possibili riscontri obiettivi. Muoversi in questo modo nei processi penali relativi a fatti di natura incestuosa è indispensabile, perché caratteristica costante di questi reati è di presentare non indifferenti problemi di accertamento probatorio. Essi sono dovuti sia alla mancanza di testimoni oculari diversi dalla parte lesa, sia alla riluttanza del nucleo familiare a svelare i propri "segreti", specie quando ciò comporta non solo gravi conseguenze sanzionatorie per taluno dei suoi componenti, ma soprattutto il disonore di avere al proprio interno situazioni di tal genere. Poiché solo il Tribunale per i minorenni può assicurare l'immediata protezione del minore, sarebbe sempre opportuno fare una segnalazione anche al giudice minorile. Al contrario della magistratura ordinaria, infatti, quella minorile ha l'obbligo di segnalare i casi di abuso sia ai colleghi che operano 78 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO in ambito penale, sia ai servizi sociali, e svolge un ruolo fondamentale per la tutela dei minori abusati e per l'aiuto della sua famiglia. Può infatti disporre provvedimenti che limitino, sospendano o facciano decadere la potestà dei genitori, può allontanare (anche solo temporaneamente) il minore dalla famiglia e collocarlo in comunità o in istituto e, qualora vi siano le condizioni, dichiararne l'adottabilità. In particolare, la magistratura minorile ordina gli accertamenti giudiziari, sociali e psicologici necessari per riuscire a comprendere la situazione e per poter così formulare un programma d'interventi che abbia come scopo principale la tutela del minore, parallelamente e successivamente all'azione penale. Il Tribunale per i minorenni, dunque, incarica i servizi sociosanitari di due fondamentali attività: l'accertamento e la valutazione. 2.3. L'intervento terapeutico Mentre la magistratura ordinaria si occupa dell'accertamento dei fatti e della condanna o dell'assoluzione dell'imputato e il Tribunale per i minorenni garantisce la protezione del minore da ulteriori comportamenti di violenza, dall'altra parte i servizi cercano di fornire un sostegno terapeutico al minore abusato e, dove è possibile, svolgono attività per il recupero del rapporto tra la vittima e il genitore non abusante. Quando è necessario intervenire in una difficile situazione familiare, occorre innanzitutto valutare se nei rapporti relazionali tra i membri della famiglia sono presenti sia fattori di rischio (che possono favorire la violenza), sia elementi protettivi (che, invece, tendono ad affievolire i primi). Infatti: se vi è prevalenza di fattori protettivi, la giusta strategia d'intervento è quella di fornire aiuto e sostegno al bambino e alla sua famiglia; se vi è una compresenza di entrambi i fattori, deve essere protetto il minore e devono essere potenziate le risorse familiari, cercando di monitorare anche le relazioni tra i suoi componenti; infine, se vi è assenza di fattori protettivi, è necessario fornire una forte protezione e tutela al minore, accompagnata da prescrizioni rivolte alla famiglia. 79 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO La protezione dei minori non si può limitare alla loro tutela penale, né alle misure per fronteggiare l'emergenza, ma deve abbracciare un intero processo d'intervento che abbia al centro l'interesse della vittima e come scopo la sua sana crescita psicofisica. Proteggere il minore, capire le cause familiari dello sviluppo dell'incesto e riparare, quando possibile, le relazioni tra la vittima e i suoi familiari, costituiscono i momenti cardine del processo d'intervento. Soltanto partendo dalle esigenze operative di questi momenti si può realizzare una vera integrazione con gli interventi penali di repressione del reato; tale cooperazione tra gli operatori è l'unica che consente di sottrarsi alla falsa alternativa tra l'indifferenza e la passività di fronte all'abuso sessuale e all'incesto, da una parte, e la sua criminalizzazione senza prospettive per la vittima, dall'altra. È in questa prospettiva che bisogna parlare di complesso meccanismo di intervento, dove i vari esperti possano interagire tra loro in modo costruttivo e positivo per il minore e la sua salute psicofisica. 2.4. Gli aspetti giuridici della testimonianza del minore sessualmente abusato Nel sistema processuale la testimonianza occupa un posto centrale e lo è ancor di più nei casi di un sospetto abuso sessuale poiché il minore, oltre che vittima, è spesso l'unico testimone oculare disponibile. La testimonianza possiede una parte di verità oggettiva ed un'altra parte di costruzione soggettiva che va verificata di caso in caso, in relazione al tipo di persona che testimonia e al suo coinvolgimento. Per questo motivo ogni testimonianza deve essere letta in un quadro più ampio, come fonte per la ricostruzione storica dei fatti, ma non come elemento sul quale basare le indagini o l'esito del processo. Occorre cioè, attraverso verifiche incrociate, che la testimonianza possa essere confermata da altre risultanze o che sia essa a confermare altre prove e non costituire di per sé l'elemento fondante il giudizio. La testimonianza del minore è un evento ancor più particolare e complesso, che induce a riflettere circa le determinanti che la influenzano. Il primo e più significativo rapporto tra minore e struttura giudiziaria è quello dell'interrogatorio e dell'audizione del minore, in cui il bambino viene ascoltato in qualità di testimone in un 80 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO procedimento penale e, nei casi in cui il giudice ritenga opportuno, in un procedimento civile o amministrativo. Le disposizioni giuridiche previste dal nostro paese, che regolano l'audizione del minore in ambito penale, sono rappresentate dalle norme del Codice di Procedura Penale. Con l'introduzione del Codice del 1988, il problema dell'audizione del minore è diventato ancora più significativo: infatti, rispetto al sistema precedente, l'adozione del modello accusatorio prevede la formazione della prova nella fase dibattimentale, cosicché le indagini precedentemente esperite e le testimonianze ottenute dagli organi di polizia giudiziaria o dal pubblico ministero devono essere necessariamente riproposte nel corso del dibattimento. Infatti, quando in dibattimento, nel corso di un esame, un testimone rende dichiarazioni diverse da quelle rese in momenti precedenti, la parte che lo interroga può contestargli la difformità. Questo sistema, se da un lato consente, in linea generale, una duplice verifica delle dichiarazioni testimoniali, dall'altro, nei processi in cui vittima sia un minore, comporta che quest'ultimo venga sottoposto a più esperienze traumatiche per diversi motivi, in quanto è chiamato ad esporre e a rivivere per più volte la propria dolorosa esperienza. Proprio per evitare che le vittime di abuso sessuale depongano in dibattimento, può essere utilizzata la procedura dell'incidente probatorio. L'incidente probatorio non può essere disposto d'ufficio, ma soltanto su richiesta al giudice per le indagini preliminari da parte del pubblico ministero o della persona sottoposta alle indagini (art. 392, comma 1-bis c.p.p.). In particolare, se è il pubblico ministero a chiedere l'incidente probatorio, la legge prevede che egli deve depositare i risultati delle indagini, mettendole a disposizione delle parti (discovery); così se è la difesa dell'indagato a farne richiesta, il pubblico ministero deve comunque depositare le disposizioni rese in precedenza da colui che sarà sentito nell'incidente probatorio (art. 398, comma 3 c.p.p.). In base all'art. 394 comma 1 c.p.p., anche la persona offesa può chiedere al pubblico ministero di promuovere un incidente probatorio. In questo caso, se il pubblico ministero non accoglie la richiesta, deve pronunciare decreto motivato e farlo notificare alla persona offesa. Se, invece, il giudice accoglie la richiesta, stabilisce con ordinanza sia l'oggetto della prova sia le persone interessate all'assunzione di essa e fissa la data dell'udienza, facendo notificare - almeno due giorni prima - l'avviso del giorno, dell'ora e del luogo dell'udienza alla persona sottoposta alle indagini, alla persona offesa e ai difensori, oltrechè al pubblico ministero. 81 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Occorre grande attenzione, nel corso dell'audizione protetta, nel fare al minore tutte le domande che possono essere utili alla magistratura, evitando di lasciare argomenti insoluti nella ricostruzione dei fatti. Infatti, la presenza di eventuali lacune accresce il rischio che la difesa dell'imputato chieda di risentire in aula la vittima. In base alla legge 66/96 riguardante le norme contro la violenza sessuale, è stato ribadito che, durante le indagini preliminari e nel corso dell'udienza preliminare, il pubblico ministero e i difensori possono chiedere, con l'incidente probatorio, l'audizione del minore in forma protetta, e cioè il suo interrogatorio con l'adozione di tutte le cautele necessarie ad evitare che la vista dell'imputato possa turbare il minore (art. 398, comma 5-bis c.p.p.). In tal modo si è costruito un procedimento probatorio speciale in ragione dell'evidente peculiarità del testimone. Nel corso dei lavori parlamentari del Senato, in prima lettura, della legge 66/96 era stato proposto di prevedere che all'assunzione della testimonianza di persona minore degli anni sedici, nell'incidente probatorio ai sensi dell'art. 392 comma 1-bis c.p.p., si procedesse sempre con l'assistenza di uno psicologo. Era stato messo in evidenza come il metodo d'esame proposto fosse già attuato con successo dai pool presenti a Milano e a Roma, in quanto il minore riusciva a rispondere alle domande senza avere la sensazione di un interrogatorio, bensì quella di una conversazione con una psicologa diventata "un'amica". Questa proposta non è stata accolta e, dunque, l'esame testimoniale del minorenne si svolge, anche nella procedura incidentale in forma protetta, secondo i principi dell'art. 498 c.p.p.: 1. l'esame testimoniale del minorenne è condotto dal Presidente del collegio giudicante su domande e contestazioni proposte dalle parti (comma 4); 2. durante l'esame il Presidente può avvalersi dell'ausilio di un familiare del minore o di un esperto in psicologia infantile (comma 4); 3. il Presidente può decidere che sia l'esperto a condurre l'audizione del minore; 4. nel caso di indagini che riguardino ipotesi di reato previste dagli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 609-bis, 609-ter, 609-quater e 609-octies c.p., il giudice, ove fra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minori di anni sedici, stabilisce il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all'incidente probatorio, quando le esigenze del minore lo rendono necessario (comma 4-bis e art. 398 comma 5-bis c.p.p.); 5. l'udienza può svolgersi anche in un luogo diverso dal tribunale, avvalendosi il giudice di strutture specializzate di assistenza (quali i servizi minorili dell'amministrazione della giustizia 82 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO e i servizi istituiti dagli enti locali) o, in mancanza, presso l'abitazione del minore stesso (comma 4-bis e art. 398 comma 5-bis c.p.p.). L'art. 472 c.p.p. prevede, inoltre, che in tali dibattimenti si proceda sempre a porte chiuse quando la parte offesa è minorenne e stabilisce una regola relativa all'ammissibilità o meno di domande sulla vita privata o sulla sessualità della vittima del reato: tali domande non sono ammesse se non sono necessarie alla ricostruzione del fatto o alla verifica del thema probandum. L'esigenza è quella di tutelare la riservatezza e la dignità della persona offesa, mirando ad evitare il riprodursi di una prassi giudiziaria in cui i processi relativi ad abusi sessuali si traducono in processi contro le vittime e non contro gli autori del reato. Tuttavia, è vero che tali domande andrebbero finalizzate alla ricostruzione del fatto e non a quella delle caratteristiche od abitudini sessuali; ma in molti casi la linea di confine è incerta, come nelle situazioni maturate nell'ambiente familiare oppure quando la vittima del reato è un adolescente. Dunque, quando in un processo deve essere accolta la deposizione della parte lesa, la corte si trasferisce in un istituto psicologico attrezzato con un vetro a specchio unidirezionale: il bambino viene condotto in una stanza, in compagnia dello psicologo o di uno dei giudici che condurrà l'interrogatorio, mentre tutti gli altri componenti del collegio giudicante, insieme ai carabinieri all'imputato e agli avvocati, staranno in un'aula, al di là del vetro, non visti dal minore. I due locali comunicano con un interfono che consente interventi "in tempo reale" a garanzia del pieno contraddittorio e dei diritti delle parti. In genere le parti concordano prima dell'audizione le domande, o meglio sarebbe gli argomenti, da sottoporre al minore. Al termine della prima parte dell'audizione viene effettuata una breve pausa nel corso della quale le parti sottopongono al giudice nuovi temi e quesiti. Se è lo psicologo a condurre l'intervista, viene dotato, di solito, di un auricolare in modo da sentire le eventuali richieste del giudice e formulare così, immediatamente, le apposite domande al minore. L'audizione, inoltre, viene videoregistrata in modo che possano essere valutati anche gli aspetti di comunicazione non verbale del minore. 2.5. Il problema del ricordo e le tecniche d'intervista Riguardo alla testimonianza nei casi di presunto abuso sessuale occorre distinguere tra la testimonianza dell'eventuale vittima e le testimonianze esterne, cioè quelle di individui che hanno 83 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO personalmente assistito all'intero episodio di abuso o a parte di esso. Queste ultime, se risultano chiare ed attendibili, portano all'incriminazione dell'accusato. Purtroppo molto spesso, nei casi di minori sessualmente abusati, le testimonianze esterne non sono disponibili e, per la natura stessa di tali reati, i fatti accadono in privato, senza la presenza di testimoni esterni, cosicché l'unico testimone del fatto è il bambino che ha presumibilmente subito l'abuso. Poiché non c'è prova obiettiva si ragiona in modo indiziario: si considerano quelli che sono i cosiddetti indicatori probabili di un evento (l'abuso) come segni di esso, si valutano cioè i fattori che intervengono in un evento confrontandoli con gli altri eventi che conosciamo. Ragionare indiziariamente è difficile, perché i nostri processi di pensiero ci portano a confondere una correlazione, in genere temporale, tra due eventi con un nesso di causalità. Pertanto attribuiamo un effetto a quella condizione, che è presente quando l'effetto è presente ed assente quando l'effetto è assente. Tale principio di covariazione non è però un indicatore sufficiente per affermare l'esistenza di una relazione causale: se applicato indiscriminatamente porta ad un errore logico comune, il post hoc ergo propter hoc. Questa è la ragione per cui è necessario trovare un terzo elemento che colleghi l'evento alla presunta causa e che ne spieghi il nesso, e questo viene ricercato nella testimonianza del minore-vittima, la quale però potrà apportare elementi utili solo se svolta adeguatamente al caso e all'età del bambino. Il problema dell'attendibilità della testimonianza infantile ha dato luogo a lunghi dibattiti che hanno portato alla formazione di due contrapposte scuole di pensiero: chi credeva che i bambini non erano in grado di fornire resoconti accurati di eventi (e si univano ad essi anche coloro che ritenevano che l'abuso infantile non poteva essere vero per una serie di ragioni, tra le quali quella per cui i genitori non possono fare cose simili ai figli) e chi invece sosteneva che il ricordo in bambini anche molto piccoli (4-5 anni) fosse sostanzialmente accurato (ai quali si univano coloro che credevano ad ogni racconto di abuso fatto da un minore, giustificandosi che i bambini mai inventerebbero episodi di tale tipo, ragione per cui se un bambino riporta un episodio di abuso deve trattarsi necessariamente di una situazione vera). Nei reati di abuso sessuale sui minori, purtroppo, non esistono indicatori definitivi di avvenuto abuso; anche se oggi è forte la tendenza a presentare prontuari di sintomi che indicano l'avvenuto abuso, la ricerca su questo aspetto ha definitivamente dimostrato che ciò è scorretto. Il problema, dunque, è quello di capire come poter valutare il racconto di un minore, nell'esame testimoniale, sull'abuso sessuale subito. 84 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 2.5.1 La relazione esistente tra memoria e testimonianza La memoria è spesso, nei casi giudiziari, l'unica fonte di informazione su quanto presumibilmente è accaduto. Purtroppo, nei casi di abusi sessuali sui minori, il bambino si trova quasi sempre nella duplice posizione di vittima e di unico testimone del fatto, e dunque sarà la sua memoria a dover fornire gli elementi necessari per arrivare all'accertamento della verità. Perché un evento possa essere ricordato da un soggetto è necessario che egli l'abbia precedentemente acquisito. La psicologia cognitiva studia i processi che guidano l'acquisizione della conoscenza da parte dei soggetti. Tali processi possono essere ricondotti ad un'attività di elaborazione delle informazioni che si articola in tre fasi distinte: a. l'acquisizione, durante la quale il soggetto percepisce le informazioni provenienti dall'esterno; b. la ritenzione, durante la quale egli conserva in memoria le informazioni acquisite; c. il recupero, durante il quale egli ricorda l'informazione nel senso che la recupera dalla memoria dove era conservata. Durante queste attività il soggetto non si limita a registrare passivamente le informazioni che provengono dal mondo esterno, ma le elabora, con una serie di attività di riduzione, trasformazione ed integrazione che gli consentono di partecipare attivamente alla costruzione della propria conoscenza. Nel suo complesso l'attività di elaborazione delle informazioni è resa possibile dalla presenza di tre elementi fondamentali: a. la memoria (o registro sensoriale), dove gli stimoli fisici in arrivo dal mondo esterno vengono inizialmente tradotti in informazione nervosa sensoriale (visiva, uditiva, tattile), per poi essere confrontati con le esperienze precedenti e poter essere riconosciuti percettivamente; b. la memoria a breve termine (MBT), che ci permette di ritenere alcune informazioni in modo fedele allo stimolo, ma solo per alcuni secondi (da un minimo di 3-4 secondi ad un massimo di 20): ciò avviene, ad esempio, quando ricordiamo un numero telefonico solo per il tempo necessario per comporlo; c. la memoria a lungo termine (MLT), che è invece caratterizzata da un'estensione praticamente infinita e per questo detta anche memoria permanente: comporta un 85 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO immagazzinamento di elementi più elaborato rispetto a quello della MBT e una considerazione dello stimolo nel suo insieme di qualità sensoriali e non. Mentre i primi modelli della memoria erano considerati tre elementi in modo essenzialmente statico, come "magazzini" delle informazioni con capacità più o meno limitate, nei modelli successivi è prevalsa la tendenza a considerarli come corrispondenti a processi diversi di elaborazione delle informazioni. Il funzionamento della memoria può essere immaginato secondo due diverse modalità: ritenendola come una sorta di fotografia o di filmato di quanto accaduto (e cioè il prodotto di un meccanismo di tipo riproduttivo) o come il prodotto di un meccanismo di tipo ricostruttivo. Nel primo caso, quindi, la memoria di un evento sarebbe una rappresentazione (o riproduzione) accurata dell'evento. La conseguenza di ciò è che il recupero della memoria (cioè il ricordare) non sarebbe altro che un accesso diretto alla riproduzione (quasi fotografica) dell'evento conservato nella mente. Nel recuperare tale riproduzione dovremmo arrivare a disporre di una copia accurata di quanto è accaduto. Oggi, invece, la maggior parte degli studiosi segue la seconda tesi. Con il termine "ricostruzione" si evidenzia il fatto che il processo di recupero non viene realizzato tramite il ripescaggio di un contenuto già pronto nella nostra mente, quanto piuttosto tramite la ricostruzione di un possibile evento a partire da tutta una serie di informazione e di dati che sono rappresentati in memoria e a cui abbiamo accesso. Questi dati ed informazioni, tuttavia, non sono necessariamente ben collegati tra loro e non rappresentano la totalità dell'evento che deve essere ricordato. Si tratta di dati sparsi, che provengono da più fonti, e che possono appartenere a momenti diversi nel corso dell'esperienza dell'individuo. Nel ricostruire il ricordo vengono messi insieme tali dati e coordinati in una forma più o meno coerente, in modo da avere nell'insieme il ricordo di un evento. Il ricordo di un evento è quindi una (o forse la migliore) delle possibili ricostruzioni che il soggetto fa sulla base dei dati a sua disposizione. Se il ricordo è una ricostruzione fatta sulla base dei dati a disposizione, una prima implicazione che ne deriva è che il ricordo non è mai la riproduzione fedele, completa e completamente accurata di un evento. E, anche nel caso di massima possibile accuratezza, non è mai la copia esatta dell'evento. Ciò va ricordato nel momento in cui si esamina un resoconto testimoniale, perché spesso accade di considerare tale resoconto come la descrizione esatta di quello che è accaduto, ma questo non corrisponde mai a verità. 86 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Una seconda implicazione è che nel fare uso delle informazioni disponibili, quando ricostruiamo un evento nella nostra memoria, possiamo anche usare informazioni molto recenti e che non appartengono all'evento originario. Dunque, le conoscenze più recenti possono influire e modificare la ricostruzione che facciamo di un episodio ai fini del ricordo. Tutto ciò dimostra come il ricordare sia non solo il semplice "ripescaggio" dalla memoria di eventi rappresentati in essa, ma sia soprattutto il risultato di tutta una serie di processi di ragionamento e di decisione: il ricordo può quindi essere modificato dalla presenza di informazioni ricevute in tempi successivi. Ogni individuo immette nella propria memoria ciò che è stato oggetto della sua attenzione. Molti studi hanno infatti dimostrato che ciò che non ricade sotto la nostra attenzione non viene elaborato, o viene elaborato solo in modo molto limitato, cosicché non può venir rappresentato nella nostra memoria. Dunque, la focalizzazione dell'attenzione è un fattore che influisce sul contenuto e l'accuratezza del ricordo. Ma anche il grado di attenzione rivolto all'evento è una variabile importante per determinare che cosa viene codificato in memoria. Di solito accade che una persona si trova ad essere testimone di un evento senza essere preparata ad osservare con attenzione i vari elementi della scena: in questi casi viene utilizzata una memoria cosiddetta di "tipo incidentale", che presuppone un livello di codifica abbastanza superficiale delle informazioni presenti nella scena. Ciò comporta che il ricordo sarà poi meno preciso di quanto accadrebbe se l'individuo mettesse in atto una codifica di tipo intenzionale, essendo cioè pronto ad assistere alla scena per cercare di elaborare al meglio i vari elementi dell'evento a cui assiste. Inoltre, è stato dimostrato da tempo che la memoria umana è facilmente modificabile. I fattori che possono alterare la memoria intervengono non solo nella fase di acquisizione delle informazioni, ma anche nella fase di ritenzione delle informazioni stesse. In quest'ultimo caso si parla di "informazioni postevento". Esse possono essere di vario tipo: percezioni e giudizi di altre persone che erano presenti al momento del fatto, notizie che il soggetto può aver avuto da varie fonti in tempi successivi al fatto stesso oppure elementi che emergono dai primi colloqui con la polizia o gli avvocati. 2.5.2 Le fonti di errore nelle valutazioni di abuso sessuale sui minori La valutazione di un sospetto abuso sessuale compiuto su un minore, e dunque la risposta istituzionale conseguente ad essa, è un'attività molto complessa in quanto: 87 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO la difficoltà della diagnosi di un abuso sessuale non è solo di ordine psicologico ma anche processuale: infatti i processi che si sviluppano dalle denunce presentate all'autorità giudiziaria sono quasi sempre di tipo indiziario; l'esito delle investigazioni di questo tipo di accuse dipende dalla possibilità di ottenere informazioni attendibili dalla vittima; i riscontri di natura fisica che potrebbero convalidare l'accusa sono infrequenti e, quando ci sono, confermano l'evento ma non il responsabile; tipicamente, questi reati hanno in genere solo due testimoni: la vittima e il perpetratore; dal momento che il responsabile solitamente nega l'abuso, la conoscenza di ciò che è veramente accaduto dipende dalle informazioni che è possibile ottenere dalla vittima durante le interviste; la competenza dell'esperto che raccoglie le prime informazioni dal bambino è un requisito indispensabile; infatti, il ricorso a procedure inadeguate nel corso delle interviste può portare sia ad un giudizio di falsità di accuse vere che di veridicità di accuse false. L'importanza di ridurre i casi di falsi positivi e di falsi negativi ha stimolato gli studiosi ed i giuristi a predisporre strumenti d'intervista idonei. Purtroppo, però, l'unanimità di giudizio che riguarda le metodologie più opportune per l'esame del minore (peraltro non seguite in ogni realtà territoriale italiana) non è di per sé sufficiente a garantire un buon risultato, che dipende, in gran parte, dal livello di professionalità dell'intervistatore. La mancanza di specifica preparazione nella tecnica dell'intervista del minore, infatti, provoca gravissimi errori a livello giudiziario che si materializzano non solo in un giudizio di veridicità di accuse false e di falsità di accuse vere, ma anche nell'assunzione di decisioni inappropriate da parte di assistenti sociali e di psicoterapeuti. In tutti questi casi, l'adeguatezza o meno delle decisioni è strettamente collegata all'accuratezza o meno delle informazioni ottenute nella fase dell'intervista del minore il quale, dal punto di vista testimoniale, è un soggetto "a rischio", per la sua immaturità psichica e per le specifiche carenze (anche cognitive) legate alla specificità della fase di sviluppo che attraversa, e per questo va intervistato in modo corretto. Le fonti di errore più comuni nel lavoro degli specialisti sono di vario tipo. Euristica della disponibilità Gli specialisti possono sbagliare per deformazione professionale: quanto più si è specializzati su un determinato argomento, tanto più si tende a percepire gli eventi che lo riguardano in modo diverso dai non specializzati; non sempre però tale differenza è a favore della correttezza di analisi 88 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO dell'evento stesso. Questo fenomeno consiste, dunque, nella tendenza della mente umana ad utilizzare le informazioni e le esperienze che sono più ricordate: vengono valutate le probabilità di un evento giudicando la facilità con cui ne vengono in mente esempi concreti. Il significato dell'euristica consiste nel fatto che ciascuno di noi, in base alla propria cultura e condizione, percepisce ciò che è preparato a vedere: è una forma di percezione selettiva, che coinvolge ogni individuo e che, dunque, contamina anche le credenze degli psicologi in ambito professionale. Tale meccanismo che ci porta ad interpretare i dati in funzione delle informazione che già possediamo è chiamato anche "codificazione dei dati viziata dalla teoria": gli errori sono indotti dalle preconcezioni, consapevoli o inconsapevoli, che sono alla base dell'interpretazione degli eventi. Vengono così trascurati molti dati informativi, poiché le opinioni e le credenze precedenti selezionano la nuova informazione e l'accettano solo nella misura in cui si adegua ad esse. Questo accade con estrema facilità quando i dati sono un insieme ambiguo, che può essere legittimamente interpretato in diversi modi, come nel caso degli indizi di un abuso sessuale sospetto. Confusione tra compito terapeutico e processuale Lo psicologo è abituato a prendersi cura della salute del paziente, senza dover valutare la veridicità dei fatti da lui raccontati. Anzi, egli trasmette al paziente il messaggio di credere alle sue parole. Infatti sapere se gli eventi raccontati si sono realizzati veramente oppure no è indifferente ai fini della ricerca del benessere psicologico del paziente. Diversa è la situazione nell'ambito della diagnosi fattuale necessaria ai giudici. In ambito processuale è infatti indispensabile trovare dei riscontri fattuali a quanto viene affermato. È dunque necessario che lo psicologo capisca che l'operazione diagnostica della perizia è utile al giudice per poter valutare il caso sulla base di elementi fattuali e ciò è diverso dall'attività terapeutica, che potrà svolgersi successivamente e che avrà come obiettivo il recupero del benessere psicologico del paziente. Perseveranza nelle credenze e/o tendenza al verificazionismo Anche gli specialisti incorrono nell'errore di non abbandonare facilmente la tesi che si sono costruiti intorno al caso, non considerando come importanti quei dati dell'esperienza con essa discordanti. Questo, naturalmente, può portare a false credenze e a cercare, ostinatamente, di dimostrare qualcosa che non esiste, con conseguenze dannose per lo stesso minore. 89 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Sono, dunque, molti gli errori compiuti quando, partendo da un'ipotesi, anziché cercare di falsificarla, si tende a verificarla ("metodo verificazionista"), cioè a cercare la prova che confermi l'ipotesi formulata: dai dati così cercati è ben difficile che emergano delle disconferme. Sopravvalutazione del significato simbolico Spesso gli specialisti tendono a dare un'interpretazione di tipo clinico alla realtà fenomenica, attraverso l'interpretazione simbolica di elementi reali. Così può accadere che si interpreti simbolicamente un fatto senza che vi siano elementi che giustifichino tale interpretazione e tutto ciò, in un contesto giudiziario, comporta conseguenze molto gravi. Per poter diminuire la possibilità di incorrere in tali errori da parte degli specialisti, è necessario intervenire, da un lato, sulle modalità con cui si esaminano le persone coinvolte e con cui si utilizzano le informazioni così ottenute; dall'altro, sull'intera procedura giudiziaria con cui vengono trattate le denunce di abuso. Per quanto riguarda i criteri con cui condurre interviste e colloqui, deve essere considerato come requisito essenziale di ogni valutazione l'obiettività. La principale necessità è quella di video o audioregistrare ogni intervista, in modo che la valutazione finale complessiva possa includere ogni tipo di esame precedentemente condotto con il bambino. Lo scopo della videoregistrazione è documentare minuziosamente il contesto, in cui le dichiarazioni vengono fatte, e le descrizioni in esso contenute. In ogni investigazione su un abuso è, dunque, importante operare con obiettività, cioè il professionista deve cercare di condurre il colloquio e raccogliere i dati senza farsi influenzare da preconcetti personali. A questo scopo è opportuno che i comportamenti del bambino siano considerati alla luce di linee guida predeterminate. Esse fanno riferimento a: 1. standard empirici di normalità riguardanti i comportamenti di bambini simili per età, livello di sviluppo, sesso e gruppo culturale; 2. comportamento del bambino prima dell'incidente probatorio; 3. spiegazioni alternative dei comportamenti osservati: prima di giungere ad una conclusione devono essere esaminate tutte le spiegazioni alternative possibili. Bisogna comunque ricordare che condurre un colloquio in modo impeccabile non garantisce, di per sé, di trarne informazioni attendibili. 90 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 2.5.3. La memoria dei bambini Oggi, sia in Italia che all'estero, i bambini possono essere sentiti come testimoni in un procedimento giudiziario, ma l'attendibilità del resoconto testimoniale del minore è stato per anni oggetto di lunghi dibattiti. Mentre in passato si tendeva a negare che un bambino inferiore ad una certa età (4/5 anni) fosse in grado di fornire testimonianze attendibili, oggi numerosi studiosi hanno rivelato che il ricordo - anche in bambini di quell'età - può essere accurato, anche se magari è molto breve. Infatti i bambini anche molto piccoli (4 anni) possono arrivare ad avere un ricordo accurato come quello di un adulto attraverso la tecnica del ricordo libero, cioè quando il ricordo proviene dall'individuo senza domande specifiche da parte di un intervistatore, per cui quest'ultimo si limita a fare una domanda molto generica del tipo: «Che cosa ricordi della situazione?». Un resoconto, ottenuto attraverso questa tecnica, contiene tutto quello che un individuo riesce a recuperare dalla memoria senza aiuti esterni. Gli elementi così ricordati dal bambino sono di solito corretti, cioè sono elementi che erano effettivamente presenti nell'episodio originale. Purtroppo, però, il ricordo di un bambino molto piccolo è quasi sempre povero di dettagli e nettamente inferiore al ricordo dell'adulto, per cui egli ricorderà pochissimi elementi presenti nell'episodio. I bambini hanno particolare difficoltà nel ricordare informazioni "periferiche" rispetto all'evento, mentre ricordano meglio gli aspetti più salienti. Questo effetto sembra essere collegato all'importanza del coinvolgimento della persona nel ricordo, una variabile che nel minore sembra essere ancor più rilevante che per l'adulto. Per "aspetti salienti" bisogna intendere necessariamente quegli aspetti che sono, da un punto di vista logico, centrali rispetto alla situazione. L'effetto, infatti, dipende dal modo di inquadrare la situazione da parte del bambino e dai fattori che modulano la direzione della sua attenzione. Ciò che il bambino codifica dipende strettamente dalla direzione della sua attenzione al momento della codifica (cioè nel momento in cui si è realizzato l'evento) o da ciò che ha catturato la sua attenzione. Quindi centralità e salienza di un evento sono concetti che vanno valutati sul bambino e non sull'adulto: un bambino, di un episodio che ha vissuto, ricorderà gli elementi per lui più salienti. Dall'attività di ricerca svolta su questa materia emerge che la memoria di un evento è migliore se quest'ultimo è vissuto in prima persona dal bambino, piuttosto che ascoltato come racconto, e che il ricordo è stranamente migliore se il bambino è attivamente coinvolto nell'episodio piuttosto che semplice spettatore esterno. 91 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Ci si aspetterebbe, invece, che un bambino che ha subito un evento drammatico fosse più fortemente coinvolto dal punto di vista personale e avesse, di conseguenza, scarsa capacità di organizzazione, rappresentazione e verbalizzazione di ciò che ha vissuto. I risultati opposti sono invece indicativi del fatto che il coinvolgimento personale determina nei bambini una prestazione di ricordo migliore: infatti ciò che viene ricordato meglio è ciò che era centrale per l'interesse del bambino. I bambini dunque, quando forniscono il resoconto attraverso il racconto libero, non aggiungono elementi di fantasia o invenzioni, a meno che non considerino la situazione in cui viene loro richiesto il resoconto una situazione di gioco fantastico. Ma questo è vero solo nel caso in cui i bambini siano sottoposti a nuove interviste o colloqui sull'argomento in cui venga loro suggerita una nuova informazione. In questo caso il resoconto successivo dello stesso episodio risentirà del contenuto dei colloqui fatti e conterrà con molta probabilità le nuove informazioni ricevute nel corso di tali conversazioni successive. La ripetizione sarà quindi una versione corretta dei fatti solo se nell'intervallo di tempo non sono state fatte domande o non è stata fornita altra informazione con un contenuto suggestivo. Questo dimostra che l'aggiunta di informazioni rende difficile recuperare l'informazione originale o distinguere quest'ultima da un'informazione aggiunta. Anche in un compito di riconoscimento la quantità di elementi che un bambino è in grado di riconoscere è inferiore rispetto a quelli che riconoscerebbe un adulto e lo stesso riconoscimento di volti è più problematico e meno accurato. Questa tecnica, comunque, sembra essere utilizzata con bambini piccoli che non riescono a fornire elementi utili per le indagini con il racconto libero, anche se bisogna ricordare che il problema del riconoscimento sta nell'elevato numero di falsi positivi riconosciuti: infatti i bambini tendono a "riconoscere" (cioè a dire «sì, l'ho visto») anche quando l'elemento o l'uomo non era stato presentato in precedenza. Dalle ricerche però emerge che l'accuratezza sembra aumentare se nel momento del recupero della memoria (cioè quando si chiede al bambino di riconoscere qualcosa) viene reinstaurato lo stesso contesto in cui si è svolto l'episodio iniziale: è questo, dunque, uno degli elementi che viene utilizzato nel corso delle interviste dei minori per ovviare al problema dei falsi riconoscimenti. Bisogna inoltre tener presente che i bambini tendono a dire sì a molte domande poste in modo diretto. Un esempio di domanda diretta "pericolosa" è la seguente: «hai visto un uomo entrare nella stanza?». In questo caso un bambino, quasi sempre, risponde di sì (anche quando in realtà non ha visto nessun uomo entrare) solo perché la domanda è stata posta in modo da avere una risposta sì o no. 92 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Tale domanda andrebbe sempre evitata, perché non potremmo mai sapere se la risposta data dal bambino è dovuta alla tendenza spontanea a dire sì oppure è dovuta al fatto che effettivamente ha visto un uomo entrare nella stanza. La domanda può, invece, essere fatta se il bambino ha già precedentemente fornito in prima persona, nel racconto libero, i dati su cui la domanda si basa (ad esempio se nel resoconto libero ha parlato di aver visto un uomo). I bambini, infatti, hanno maggior tendenza, rispetto agli adulti, a ricordare l'informazione errata presentata successivamente dall'intervistatore, cioè sono maggiormente suggestionabili. Varie ricerche hanno dimostrato che essi, se avvicinati in modo suggestivo, possono facilmente cambiare la descrizione di quello che hanno visto o che è stato loro fatto. Questo avviene con grande facilità se i bambini sono piccoli, se sono interrogati a distanza di tempo dall'evento, se sono suggestionati da domande poste in modo scorretto o volutamente viziate o se chi pone le domande viene visto dal minore come una figura autorevole. Benché sia vero che un adulto viene percepito come autorevole quanto più si pone distante dal bambino, anche un adulto che interagisce con il bambino tramite il gioco è pur sempre visto da lui come un adulto. Per questo motivo alcuni esperti di colloquio con bambini, che si sospetta siano stati oggetto di abuso, consigliano di comportarsi in modo "onesto" con il bambino, "da adulto a bambino", dichiarando il motivo dell'incontro e semplicemente ponendo le domande in modo corretto, per non indurre risposte compiacenti da parte del bambino, o in modo da non suggerire informazioni aggiuntive probabilmente non vere. Occorre utilizzare in questi casi un linguaggio comprensibile per il minore, ma non occorre cercare di farsi passare per un non-adulto, anche perché in queste specifiche occasioni il minore sente il bisogno di avere vicino a sé non una persona con cui giocare, ma un adulto che, rispettandolo, lo faccia sentire protetto e sostenuto nell'angoscia che gli causa l'intervista. È necessario inoltre ricordare che la percezione del tempo nel minore è molto diversa da quella dell'adulto: per un bambino una settimana o un mese possono essere uno spazio temporale molto lungo, molto più lungo che per l'adulto. La suggestionabilità però non si limita all'aggiunta o alla modifica di uno o più elementi di una scena. Ci sono risultati che sono stati confermati più volte e che mostrano come sia addirittura possibile indurre i bambini a ricordare eventi che non sono mai accaduti. Dunque il fattore "suggestione" figura al primo posto tra gli elementi che possono inquinare il risultato di un'intervista e, se colui che pone le domande al minore non è preparato a porle in modo corretto e non inducente, può suggerire, talvolta in modo insistente anche se involontario, 93 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO informazioni che non sono vere, ma che rischiano di diventare tali col tempo nella memoria del bambino. Un'altra fonte di errore nelle valutazioni dei casi di abuso sessuale sui minori, che viene quasi sempre ignorata, è rappresentata dalle menzogne dei bambini. Secondo una corrente di pensiero, ancora condivisa da molti, i bambini, quando riferiscono di abuso sessuali, non mentirebbero mai ed alcuni esperti interpretano ogni tentativo di ricercare e verificare la prova delle accuse come una dimostrazione di incredulità o di negazione del fenomeno. Si tratta di uno stereotipo pericolosamente diffuso e condiviso, nonostante le numerose ricerche che hanno dimostrato la preoccupante capacità del bambino di mentire anche su fatti di abuso sessuale. Va innanzitutto chiarito il significato della parola "menzogna". Se utilizziamo questo termine come viene interpretato dagli adulti, la menzogna è una dichiarazione deliberatamente falsa intesa a trarre qualcuno in inganno: allora i bambini, in genere, non mentono. Ma i bambini possono raccontare cose che ritengono vere ma che sono il frutto di suggestioni, di manipolazioni, di fraintendimenti e possono insistere nel racconto solo per prolungare l'esperienza, per loro piacevole ed insolita, di una speciale attenzione da parte degli adulti nei loro confronti. Altre cause possono essere: il desiderio del bambino di uscire da una situazione familiare difficile; la suggestione esercitata da parte del genitore che è coinvolto in una causa di separazione e sfrutta l'accusa per ottenere l'affidamento del bambino; il desiderio di evitare una punizione, di sostenere un gioco, di vendicarsi di presunti torti subiti o di conquistare una libertà che gli viene negata. Questi e tanti altri fattori possono influenzare il racconto di un bambino e renderlo non veritiero, senza per questo che si possa dire che il bambino "mente". Ci sono poi i casi sempre più frequenti in cui l'accusa di abuso sessuale nasce dalla precisa e premeditata pianificazione dell'inganno da parte del minore stesso che "costruisce" un racconto così attendibile e verosimile da ingannare persino gli esperti. Per realizzare un'effettiva protezione del minore testimone e vittima di un presunto abuso sessuale è necessario evitare l'instaurarsi di un "clima di caccia alle streghe", cioè il vedere un possibile abuso sessuale in qualunque situazione di contatto fisico o di disagio psicologico del minore. Tale atteggiamento è sbagliato e realmente pericoloso, non solo per gli adulti coinvolti, ma soprattutto per i bambini, che diventano le vere vittime di situazioni il cui intento iniziale era invece quello opposto di rendere loro protezione e giustizia. I bambini attraversano periodi di enorme disagio, disorientamento, stress, con conseguenze negative per il loro sviluppo. Vedendo possibile abuso sessuale in qualunque situazione non si aiutano o proteggono i bambini. Occorre, quindi, cautela nell'accettare qualunque indizio come vero, ed occorre grande cautela nell'intervenire, perché senza 94 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO esserne pienamente consapevoli, si può contribuire alla creazione di un sistema che può avere effetti devastanti per il minore. Non ci si improvvisa intervistatori, specialmente quando si tratti di avere colloqui con bambini, e in particolare quando si sospetta che i bambini con cui si parla abbiano subito abuso sessuale. Bisogna essere preparati e avere piena padronanza di uno strumento che, nonostante l'apparente facilità, può creare gravi danni se utilizzato in modo non corretto. 2.5.4. La corretta modalità d'intervista I bisogni di ogni bambino, di ogni colloquio e dell'intervistatore possono essere diversi da un'intervista ad un'altra. Non ci sono, dunque, semplici regole o prescrizioni determinate che possono essere adeguate per tutte le interviste: si potranno soltanto definire delle "linee-guida" appropriate per la maggior parte di esse. Le interviste non dovrebbero essere condotte senza un'adeguata pianificazione, che dovrebbe tener conto di ogni informazione derivante dai colloqui tra centri ed istituzioni (ad esempio tra polizia o tribunale e servizi sociali), dalla considerazione dei bisogni del bambino, dell'età e del suo probabile sviluppo. Bisogna però ricordare che lo sviluppo di ogni bambino segue ritmi diversi e, così, l'età cronologica di un minore può essere solo l'indicazione molto approssimativa del suo livello di sviluppo. Perciò, prima di intervistare un minore come testimone, dovrebbero essere cercate quante più informazioni possibili relative al suo sviluppo linguistico, cognitivo e comunicativo e al suo grado si maturità sociale, fisica e sessuale. Se l'intervista è stata ben pianificata e ben condotta, ciò dovrebbe ridurre il bisogno di ripeterla. Per i bambini molto piccoli e per quelli che hanno bisogni speciali è ancora più necessario predisporre un'adeguata programmazione in modo da avere incontri più brevi in un certo numero di giorni successivi. Può accadere infatti che essi non siano in grado di raccontare tutto quello che possono ricordare in una singola sessione d'intervista e che abbiano bisogno di più tempo. Dalla ricerca sulla corretta metodologia dell'intervista al minore sono emerse varie considerazioni, utilizzate per l'elaborazione di alcune linee direttive affinché il racconto ottenuto possa essere utilizzato nel contesto giudiziario. Nella pratica legale, infatti, le modalità con le quali il testimone viene sentito assumono grande importanza, sia nella fase delle indagini preliminari, sia in quelle successive. Fino ad oggi, però, i suggerimenti che la ricerca psicogiuridica è riuscita a far accettare 95 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO dal sistema di giustizia sono relativamente modesti, forse perché gli scopi delle due scienze sono tanto diversi. La modalità d'esame è determinante soprattutto quando il testimone è un minore. I bambini piccoli non hanno ancora appreso lo schema convenzionale che sta alla base della rievocazione di eventi passati e, quindi, il racconto che si ottiene dipende dalle domande con cui gli adulti guidano i loro ricordi. In generale, ottenere da un bambino informazioni attendibili è molto difficile. Diventa difficilissimo quando i dati raccolti devono essere utilizzati nel contesto legale e giudiziario. Per ridurre al minimo le possibilità di errore, gli esperti raccomandano di adottare una procedura che consenta di minimizzare le possibilità di inquinamento e di accrescere quelle con un corretto ricordo. La ricerca psicologica degli ultimi anni ha confermato che i bambini, anche molto piccoli, sono in genere capaci di offrire un resoconto utile degli eventi a condizione che vengano intervistati in modo appropriato. Il problema è posto dal fatto che il bambino piccolo riferisce molto meno rispetto ad un adulto o ad un bambino più grande e, quindi, è necessario fargli domande e stimolare il suo ricordo. Ma occorre sapere come interrogarlo senza che le domande poste possano alterare il suo ricordo originale. La prima fase essenziale di un'intervista con un minore testimone è stabilire un adeguato rapporto tra il bambino e l'intervistatore. Il minore deve essere aiutato a sentirsi sicuro e rilassato. La seconda fase consiste in una rievocazione libera da parte del bambino dei fatti e delle informazioni che è in grado di riferire, con le sue parole, in risposta a domande aperte e mai forzanti o suggestive. Dunque il ruolo dell'intervistatore è quello di facilitare la narrazione e non di guidarla. Nella terza fase vengono proposte domande di approfondimento di quanto già narrato. Poiché i bambini, pur essendo in grado di dare resoconti attendibili, raramente riferiscono i dettagli e le informazioni che l'adulto o il bambino più grande sono in grado di dare, spesso occorre fare al minore delle domande, ma la loro forma deve sempre essere aperta e devono sempre essere formulate in modo da far capire che viene accettata l'eventualità di non riuscire a ricordare o di non sapere la risposta. Certe domande in cui si chiede il «perchè» possono essere interpretate dal bambino con un'attribuzione di colpa o di responsabilità e quindi vanno evitate. Allo stesso modo va evitato di ripetere una domanda subito dopo che il bambino ha dato una risposta: potrebbe essere interpretata come una critica alla risposta data e indurre, quindi, a dare una risposta diversa. La ricerca ha infatti dimostrato che, quando si ripete una domanda, il bambino tende a pensare di aver dato in precedenza una risposta sbagliata che va quindi corretta. 96 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Inoltre gli adulti ritengono, sbagliando, che anche i bambini siano in grado di sapere quali siano le informazioni rilevanti. Questi, generalmente, non lo sanno ed è per questo che può essere necessario rivolgere domande specifiche, purché non suggestive, per dare modo al bambino di riportare la sua attenzione sul punto focale della vicenda. Vanno sempre evitate le domande a risposta chiusa (sì/no) perché, la ricerca ha dimostrato, specie con i bambini, che la tendenza sarà a rispondere sì o comunque a rispondere ciò che ritengono faccia più piacere all'intervistatore. La quarta fase prevede la chiusura dell'intervista. L'intervistatore deve controllare con il bambino di aver capito bene le parti essenziali del racconto e deve evitare di utilizzare un linguaggio adulto al quale il bambino potrebbe aderire senza capire il significato delle parole. Se le domande generali non hanno portato alla luce il tema dell'abuso, può essere utile ricorrere al disegno. Si chiede al bambino di disegnare la figura di un uomo o di una donna, per poi passare ai dettagli di ogni parte del corpo. Per ognuna di esse, si chiede al minore di indicarne il nome e di descriverne la funzione. Quando si arriva alla descrizione dei genitali, l'intervistatore può chiedergli se ha mai visto quella parte del corpo di un'altra persona e/o se qualcuno ha visto o toccato quella sua parte. Fra gli strumenti utilizzabili in questo tipo di interviste ci sono anche i cosiddetti "cartelloni del corpo anatomico", che possono servire per chiedere al bambino i nomi che utilizza per i vari organi del corpo umano e poter così conoscere il suo linguaggio. Ma parte degli esperti sono contrari al loro utilizzo perché considerano tale materiale troppo suggestivo. È necessario che l'intervistatore comunichi al bambino in modo esplicito che: lui non era presente quando il presunto evento ha avuto luogo e, quindi, fa affidamento sul racconto del bambino per conoscere i fatti; se l'intervistatore fa una domanda che il bambino non capisce questo deve sentirsi libero di dirlo; se l'intervistatore fa una domanda per la quale il bambino non conosce la risposta, è giusto che egli dica "non lo so" e non deve rispondere necessariamente qualcosa; se l'intervistatore fraintende quello che il bambino ha detto o riassume quanto è stato detto in modo errato, il bambino deve dirlo e metterlo così in evidenza. Al bambino deve essere concesso di procedere a suo modo e secondo i suoi tempi, accettando pause, divagazioni ed elaborazioni anche di dettagli irrilevanti per le indagini. L'intervistatore, dunque, 97 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO deve resistere alla tentazione di parlare appena il bambino sembra aver finito (va rispettata la regola del "tempo d'attesa") e deve riuscire a tollerare le pause (anche quelle prolungate), i silenzi e quelli che possono apparire i resoconti di informazioni irrilevanti resi dal bambino. È necessario fare qualunque sforzo per ottenere dal bambino informazioni spontanee e non contaminate dall'intervista. Il desiderio dell'intervistatore di dare una valutazione definitiva della situazione non deve manifestarsi con un approccio troppo impaziente: dovrebbe essere realizzato un "ascolto attivo", in cui l'intervistatore s'impegna a far sì che il bambino sappia che, ciò che quest'ultimo ha raccontato, è stato da lui sentito (ad esempio ripetendo le sue stesse parole). Se le accuse riguardano abusi ripetuti nel tempo, è bene chiedere prima una descrizione dello schema generale («mi puoi dire che cosa succedeva di solito?») per poi utilizzarlo per aiutare il bambino a ricordare meglio momenti specifici che, per qualche regione, si allontanano dallo schema generale. Se sono stati descritti eventi multipli, può essere utile dare ad ognuno di essi "un'etichetta" («hai detto che è successo in cucina. Allora lo chiamiamo "il fatto della cucina"»). È importante che il bambino collabori alla scelta dell'etichetta perché in questo modo potrà meglio organizzare il suo ricordo e l'intervistatore sarà sicuro, nel corso del colloquio, di quale fatto si sta parlando. Nel decidere se procedere o meno alla fase seguente dell'intervista devono essere prese in considerazione anche le esigenze del minore. Se quest'ultimo appare fortemente angosciato, l'intervistatore dovrebbe fare una valutazione se ciò dipende dal fatto che il bambino sta rievocando momenti dolorosi, o se dipende dall'intervistatore. Se la causa è la prima, è necessario capire se è bene approfondire in questo momento la questione oppure diminuire la tensione creatasi; se la causa sembra essere la seconda, portare aventi il colloquio è sicuramente inappropriato. L'intervistatore, nel porre qualunque domanda, deve tener conto del grado di sviluppo del bambino, che dovrebbe aver già preso in esame durante la prima fase del colloquio. Quando il minore ha terminato il resoconto libero (la durata può variare in funzione di un gran numero di fattori, inclusa la sua età) possono essere poste le domande. A seconda del modo in cui una domanda viene formulata si hanno risposte più o meno complete ed accurate. Per ottenere i migliori risultati da un'intervista è importante che vengano utilizzate le domande appropriate e che vengano evitati i tipi di domanda che danno luogo a risposte scorrette e incomplete, o addirittura modificato. L'intervista, dunque, deve procedere con le domande aperte di carattere generale, che permettono di ottenere dal bambino approfondimenti di cose o eventi già da lui ricordati. Tali domande, infatti, 98 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO devono servire soltanto per l'elaborazione di dettagli già descritti o introdotti dal minore nella fase iniziale di narrazione libera e devono essergli poste usando la sua stessa terminologia, evitando qualunque argomentazione suggestiva o forzante. Nelle domande aperte si chiede al bambino di fornire maggiori informazioni, ma in un modo che non lo influenzi o gli metta pressione. Tutte le domande usate nell'intervista devono essere espresse in modo da implicare che l'incapacità di ricordare è accettabile. Infatti, durante questa fase, dovrebbe essere detto (o espresso in qualche modo) al minore che rispondere «non mi ricordo» o «non lo so» può essere appropriato e giusto se corrisponde alla sua reale non conoscenza, perché non deve ricordare per forza. Se il testimone diventa angosciato perfino quando vengono poste queste domande generiche, l'intervistatore dovrebbe prendere seriamente in considerazione la possibilità di allontanarsi per un momento da questo argomento e ritornare ad una fase precedente dell'intervista. Inoltre, potrebbe essere utile suggerire al bambino di utilizzare un particolare segnale (ad esempio alzare una mano) per indicare che sa la risposta alla domanda fatta dall'intervistatore, ma non è pronto o non vuole rispondere. Così l'esperto potrà capire se si tratta di un problema di memoria o di altro tipo di difficoltà. Il particolare lasciato in sospeso potrà essere riproposto in un momento successivo. Alcune domande che utilizzano la parola «perché» possono essere interpretate dai bambini come se ci fosse l'intenzione di attribuire loro colpa e responsabilità. Tali domande dovrebbero essere evitate. Deve anche essere evitato il ripetere le domande subito dopo che un bambino ha risposto, dal momento che ciò può essere interpretato dai minori come una critica alle risposte già date. Il ripetere una domanda troppo presto può far sì che il bambino cambi la sua risposta in una che pensa sia quella che l'intervistatore vuole sentire e comunque, quando si vuole ripetere una domanda già fatta, è sicuramente meglio dire con chiarezza al bambino che è una ripetizione, così lui sarà più tranquillo nel rispondere (ad esempio dicendogli «scusa se ti rifaccio la domanda, ma non ricordo più la risposta»). Dopo la testimonianza verbale, può essere utile usare delle tecniche che possono massimizzare l'apporto d'informazioni fornite dal minore o che permettano ai bambini reticenti di parlare delle loro esperienze servendosi di uno stile d'intervista meno diretto. Tuttavia il loro impiego e il modo di interpretarne i risultati sono tuttora oggetto d'indagine e di disputa tra differenti autori. 99 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Capitolo III Il trattamento terapeutico del minore sessualmente abusato 3.1. Il ruolo del clinico Il clinico è una figura molto importante per le istituzioni giudiziarie, le quali si rivolgono ad esso, nei casi di sospetto abuso sessuale sui minori, per vari motivi: 1. per ottenere le segnalazioni che permettono di attivare il procedimento più adeguato di protezione del minore; 2. per lo svolgimento della fase della valutazione della situazione di presunta violenza. Quest'ultima può essere attuata secondo due modalità diverse: in alcuni casi l'accertamento giudiziario si serve di una valutazione clinica o di una consulenza tecnica sulla sfera cognitiva e comportamentale del minore, in altri il percorso consiste nello svolgimento di entrambe. In quest'ultimo caso al bambino verranno fatte le stesse domande e sarà costretto a ripercorrere il trauma subìto per due volte. Infatti, nella pratica, i due operatori che compiono queste valutazioni non si passano le informazioni raccolte e ciò porta ad una grande confusione sull'accaduto e ad una minore efficacia del procedimento: colui su cui grava tutto il sistema è sicuramente il minore, che risulterà sottoposto ad una nuovo trauma. Sarebbe, invece, una soluzione più adeguata per il minore quella di essere sottoposto soltanto ad una valutazione clinica, complessa e globale, che cerchi di capire se l'abuso si è verificato ed eventualmente quale tipo di conseguenze l'abuso ed il trauma hanno causato sulla sua personalità (procedimento questo seguito nella realtà milanese). Bisogna ricordare che ogni caso è a sé e va valutato come tale: non ci sono "equazioni matematiche" che possono essere applicate ad ogni caso di abuso sessuale su un minore. 3. La figura del clinico può essere utilizzata dalle istituzioni giudiziarie anche per ottenere un aiuto specifico nello svolgimento dei percorsi giudiziari (è il caso dell'audizione protetta del minore); 4. e per far compiere il percorso terapeutico al bambino. Ad un minore, vittima di abuso sessuale, devono essere infatti garantite sia la "cura", sia la protezione (che richiede il suo ingresso nel procedimento penale). Questo vuol dire che i due 100 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO ambiti diversi del clinico e del giudiziario devono cooperare per poter così compiere, sul bambino, l'attività clinica di aiuto e di rielaborazione del trauma. Il clinico deve chiedere, in primo luogo, alle istituzioni giudiziarie di apportare un'adeguata tutela al minore: egli deve essere protetto dagli eventi traumatici che ha subìto e che potrebbe continuare a subire. Quindi, dopo la rivelazione degli eventi, la prima importante forma di intervento è quella che interrompere l'abuso, ponendo fine, spesso attraverso l'allontanamento fisico della vittima dall'abusante, alla situazione traumatica rivelata. Il contesto di protezione può così essere considerato come un intervento preclinico ed è un necessario ed ineludibile passo che permette di creare quelle condizioni per poter impostare correttamente la fase diagnostica, cioè la fase di valutazione e validazione delle rivelazioni della vittima, utili per predisporre successivamente un contesto di cura. Senza protezione, infatti, ogni lavoro clinico è precluso dal "blocco" che nasce nel minore, che sa di poter essere ancora avvicinato e minacciato da colui che ha perpetrato l'abuso e da coloro che con lui si schierano. La letteratura in ambito psicologico ed una consolidata prassi sostengono che solo in una situazione protetta è, quindi, possibile capire, valutare e poi curare il danno prodotto dalla situazione abusiva. Il mantenimento di una situazione protettiva permette quindi di effettuare una valutazione sulle conseguenze psicopatologiche dell'abuso e di mettere a fuoco sia gli esiti immediati dello stesso nella vittima (quali i preminenti sentimenti di disvalore, i sensi di vergogna e di colpa), sia di attivare poi un intervento curativo che mitighi il costituirsi nel bambino di difese psicologiche rigide ed invalidanti il suo futuro sviluppo personale. Questo intervento di "riparazione"deve essere iniziato il più presto possibile, ma prima è necessario compiere un'esperienza correttiva sulla visione che ha il minore del mondo che lo circonda: cioè è necessario fargli capire che ciò che ha vissuto come esperienza traumatica non coincide con le "normali" esperienze che un soggetto della sua età di solito vive. Questa fase è necessaria perché, se non viene prospettato come reale ed esistente quello che il terapeuta vuole far capire al bambino, la terapia successiva non produce alcun effetto positivo. 3.2. La terapia familiare Al termine della fase diagnostica di un caso di abuso sessuale si dovrebbe avere un'idea sufficientemente chiara della necessità del bambino abusato, della trattabilità della situazione familiare e di cosa è necessario predisporre a livello sociale per il proseguimento dell'intervento. È 101 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO necessario che tutti i professionisti impegnati nel caso si confrontino sulle possibili soluzioni, accordandosi anche con gli organi giudiziari. A volte può essere necessario il coinvolgimento di colleghi di altri servizi del territorio per effettuare interventi sul contesto sociale e per eliminare alcuni fattori di rischio che possono essere stati concause della violenza stessa (ad esempio può essere necessario prendere contatto con i servizi sociali per ridurre l'emarginazione sociale, o per la terapia di disintossicazione di una patologia di loro competenza per i genitori tossicomani). La situazione, infatti, dovrebbe essere presa in carico da una equipe di terapeuti, che potrebbero confrontarsi sull'intervento, durante la sua progettazione ed il suo svolgimento, e condividerne la responsabilità. Il trattamento dell'abuso all'infanzia si è modificato nel corso di questi ultimi anni. Ancora pochi anni fa era centrato o sulle vittime, con interventi di area sociale come l'allontanamento del minore, o sui colpevoli, con interventi di area giudiziaria. In ogni caso l'entità familiare risultava profondamente sconvolta e con la conseguenza di un grave danno per il bambino abusato. Col tempo le ricerche psicologiche hanno situato la violenza all'infanzia in un contesto allargato multiproblematico, dove si intrecciavano un complesso di relazioni psicologiche, sociali ed economiche: ciò ha focalizzato l'attenzione sull'intero gruppo familiare, nel tentativo di recuperare tutto il gruppo attraverso una trasformazione dei legami relazionali e comunicativi. Questa ideologia diversa, che privilegia il recupero e non la criminalizzazione, costituisce una sfida, rispetto alle inevitabili rotture provocate dall'abuso, nei confronti del solo intervento sociale o della sola attività giudiziaria che non portavano a nessuna trasformazione. Sono stati predisposti diversi modelli di intervento terapeutico, tutti centrati sulla terapia familiare, a cui può essere data maggiore o minore importanza a seconda delle diverse situazioni. Prima di poter predisporre un trattamento terapeutico è necessario fare una valutazione-terapia della situazione abusante. Principalmente dovrà essere considerata la riorganizzazione delle risorse familiari intorno alla rottura del segreto sull'abuso, che probabilmente farà emergere problemi pregressi di ogni singolo componente della famiglia, che verranno violentemente riattivati a contatto con una crisi tanto grave. È molto alto il grado di sofferenza connessa al raggiungimento di una nuova consapevolezza della situazione. È necessario del tempo perché questo stato d'angoscia sedimenti almeno al punto da diventare comunicabile ed elaborabile, tempo che andrà aspettato prima di giungere a conclusioni sulle risorse familiari. 102 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Attraverso la fase di valutazione sarà anche necessario raggiungere, il più precocemente possibile, una previsione di quali siano gli individui su cui è realistico contare per assicurare protezione al minore, che deve trovare un ambito sufficientemente stabile ed affettivamente valido per continuare il proprio percorso evolutivo, in attesa che un successivo lavoro psicologico possa renderlo ancora più adeguato a tutte le sue necessità di riparazione. Gli adulti considerati "protettivi" dovrebbero avere due attitudini complementari: la capacità di provvedere ad una tempestiva e duratura tutela del minore, assicurando così l'interruzione definitiva dell'esperienza traumatica (e ciò implica la loro consapevolezza che l'abuso si è realmente verificato); e la capacità di confrontarsi con il trauma avvenuto e con le conseguenze ad ogni livello. Purtroppo non sempre esiste questa ricchezza di risorse: anzi sono frequenti i casi in cui si verifica uno "scollamento" tra i due fattori, con la conseguenza di un trascinamento in direzione negativa anche di quella attitudine che l'adulto possiede e che inizialmente sembrava sufficientemente valida. Ne discende che predisporre un intervento valutativo di una conveniente durata potrà garantire informazioni utili anche sulle risorse effettive a disposizione della vittima, con la quale non è neppure pensabile un progetto di cura se non dopo aver attivato un assetto di vita contenitivo, stabile ed affettivo. La proposta terapeutica viene fatta ai genitori in un incontro, durante il quale vengono comunicati loro gli elementi di sofferenza, sia del bambino che della famiglia, emersi negli accertamenti effettuati. È importante raccogliere le loro reazioni a questa comunicazione perché possono offrire indicazioni utili sulla prognosi dell'intervento stesso. L'aspetto problematico fondamentale di una terapia familiare riguarda ciò che è avvenuto "prima" del comportamento disfunzionale: si ritiene, infatti, che nessuna ricostruzione efficace delle relazioni potrà aver luogo senza che siano messi a fuoco gli errori che hanno accompagnato il sorgere e il protrarsi delle situazione traumatica. Tale trattamento tenta di realizzare il recupero dell'intero gruppo familiare attraverso il cambiamento dei meccanismi comunicativi e dei giochi interattivi, evitando le rotture che si hanno necessariamente se si procede unicamente in modo punitivo. Il trattamento accettato Può accadere che nei genitori si evidenzi una preoccupazione reale per il benessere psicofisico del figlio (una preoccupazione che prescinde dal timore che il minore possa essere allontanato dalla famiglia) e che emergano angosce e problematiche che provocano una richiesta spontanea di aiuto. 103 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Sembrerebbe il caso ideale naturalmente, ma sorprendentemente sono proprio i casi di violenza intrafamiliare quelli in cui si verifica più spesso una risposta di questo tipo. Nei casi di violenza extrafamiliare c'è maggior tendenza a negare e rimuovere l'episodio di violenza e le sue conseguenze psichiche, tendendo a far prevalere una logica di vendetta giudiziaria, senza tener conto delle conseguenze che l'iter giudiziario provoca nel bambino vittima dell'abuso. In questi casi ad esito favorevole è possibile, senza aspettare che sia il giudice a disporre la terapia dopo l'accertamento del caso, proporre direttamente una proposta terapeutica articolata, stabilendo un preciso contatto con la famiglia del minore. Il trattamento non accettato La proposta terapeutica può essere, però, anche rifiutata dalla famiglia. Questo è un evento frequente nelle violenze sessuali extrafamiliari, in cui i genitori, accecati dal loro bisogno di vendicarsi dell'abusante in sede giudiziaria, minimizzano o trascurano del tutto le esigenze di riparazione del danno psicologico che ha subito la vittima. Purtroppo non esistono strumenti per far accettare un intervento in questi casi, ma è possibile pensare ad una forma di tutela da parte di una rete di servizi per accorgersi in tempo dei segni di un eventuale scompenso psichico del minore. La segnalazione di rischio ai servizi sociali e al servizio materno-infantile può contribuire ad attuare un'azione di prevenzione e controllo, ma le difficoltà che si incontrano nella collaborazione e nell'integrazione di un intervento di rete, rendono estremamente difficoltoso, attualmente, questo percorso. Quando il rifiuto della proposta terapeutica avviene nei casi di abuso intrafamiliare, se il rischio per la vittima di subire altri episodi di abuso è troppo elevato o se le condizioni del contesto ambientale sono fortemente degradate, si deve ricorrere agli interventi sociali e a quelli giudiziari in un'ottica di controllo, ma non sempre di riparazione. Gli interventi possibili possono essere vari: l'allontanamento dell'abusante dalla famiglia, l'allontanamento del minore abusato, l'affidamento intrafamiliare e l'affidamento preadottivo extrafamiliare. Tutti questi provvedimenti hanno ripercussioni drammatiche sul bambino che, oltre alla violenza sessuale, subisce una perdita affettiva. 104 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 3.3. L'intervento sui fratelli del minore sessualmente abusato Nella consulenza alla famiglia spesso si trascurano i fratelli e le sorelle della vittima. Essi possono soffrire del cosiddetto "senso di colpa del sopravvissuto" (chiedendosi "Perché non è capitato a me?" oppure "Quando potrà capitare a me?"). Così il terapeuta deve preparare i genitori a dare una spiegazione dell'evento agli altri figli, adeguata alla loro età. È inoltre necessario considerare che i fratelli, al pari della vittima, dovranno ristabilire delle condizioni di fiducia all'interno della famiglia ma, nel contempo, saranno anche costretti a comprendere perché il familiare responsabile dell'abuso potrebbe non costituire più una parte importante nella loro esistenza. Non va trascurato, infatti, che anche questi minori possono avere interrogativi da porre a proposito dell'abuso sessuale, cui bisogna rispondere: d'altra parte, la natura traumatica degli eventi legati ad un abuso sessuale intrafamiliare può avere indotto, anche in loro, sintomi post-traumatici, che vanno trattati. Infine, è possibile che altri fratelli siano stati vittime di abuso sessuale, per cui può essere indicata in casi simili una validation estesa a tutto il gruppo dei bambini della famiglia in terapia, se non altro per evidenziare se l'impatto dell'abuso del fratello o della sorella abbia prodotto su di loro effetti disturbanti. In tale caso, anch'essi potranno essere sottoposti ad un intervento terapeutico. 3.4. La terapia dell'abusante Nei confronti dell'abusante a danno di minori l'intervento punitivo sembra essere quello più utilizzato. Ma si è diffusa una teoria che ritiene che, per poter aiutare le famiglie incestuose, è necessario un intervento terapeutico anche nei confronti dell'abusante. Sembra, infatti, che per tutelare l'infanzia dalla reiterazione del crimine non basti utilizzare la pena detentiva come deterrente, ma sia necessario trovare il modo per far riemergere ed elaborare, negli autori della violenza, i traumi infantili subìti (visto che la maggior parte degli abusanti sembra essere stato vittima nell'infanzia di violenze sessuali) o comunque per far recuperare loro una correttezza di comportamento. L'obiezione maggiore a questa proposta è stata quella che non si può "curare" chi si rifiuta di collaborare. Alcune esperienze di psicoterapie di abusanti non volontarie hanno però dimostrato che è possibile ottenere dei risultati anche senza un'iniziale piena motivazione del paziente. Infatti la 105 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO coazione può svolgere una funzione insostituibile nell'avviamento della terapia; lo sviluppo di quest'ultima, invece, è affidato alla capacità e alla possibilità dei terapeuti di stimolare, nei soggetti coinvolti, una motivazione autonoma al cambiamento, affrontando e superando le relative resistenze. Anche in Italia dagli anni Novanta si è cominciato ad operare in questa direzione e sono stati ottenuti ottimi risultati anche attraverso l'accettazione di un esplicito collegamento fra contesto giudiziario e terapeutico. Secondo questa corrente di pensiero, se venisse privilegiata, nei confronti degli abusanti, la strada della terapia piuttosto che quella della repressione i costi economici sarebbero certamente molto elevati, essendo necessari terapeuti altamente specializzati, ma sarebbero sempre inferiori ai costi che la società deve pagare per le spese detentive di questi soggetti ed inoltre sarebbero inferiori le loro probabili recidive. Non tutti però sono convinti che sia possibile recuperare i legami familiari tra il minore e l'abusante quando l'abuso sessuale si è verificato, perché in questi casi il rapporto tra i due soggetti è stato completamente compromesso. Fondamentale è la capacità dell'abusante di assumersi la responsabilità di quanto accaduto. Ma l'ammissione dei fatti non basta. Infatti non sono affatto infrequenti situazioni in cui, magari parzialmente e con una certa minimizzazione, si arriva a questo risultato. Tuttavia esso non è sufficiente per dare una decisiva svolta alle distorsioni da cui è stata segnata la relazione con la vittima e il complesso dei rapporti familiari. In fasi successive dovranno essere affrontate, oltre alla negazione dei fatti: la negazione di colpevolezza: cioè l'essere stati animati da precise scelte strategiche nel preparare e compiere l'abuso, ben sapendo che proprio di questo si trattava; la negazione di responsabilità: cioè di intenzionalità libera per quanto possibile da condizionamenti esterni, ai quali non può essere attribuita che un'importanza marginale rispetto all'assunzione del comportamento abusante; la negazione dell'impatto: cioè del fatto che quanto avvenuto ha comportato conseguenze altamente traumatiche per il minore che vi è stato coinvolto. Dunque, non devono più rimanere all'abusante "scappatoie" come l'attribuzione di pensieri incestuosi all'alcool, o alle più varie cause di infelicità e rabbia, o alle presunte inadempienze della consorte; né deve continuare l'illusione che il figlio, essendo piccolo, non abbia capito il significato di quegli "speciali giochi" e che quindi possa facilmente dimenticarli senza conseguenze. Egli deve prendere coscienza che i danni inflitti al minore sono attribuibili soltanto ai propri tratti patologici che invece, 106 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO spesso, tende a considerare intrinseci al modo di essere della vittima in quanto conseguenza dei comportamenti di questa: in tal modo cerca di trovare un'attenuante al proprio comportamento. Dopo un'approfondita elaborazione di questi temi, nel caso di abuso intrafamilaire, si potranno valutare - ed eventualmente rinforzare - le possibilità residue del genitore di riassumere il suo ruolo affettivo. Per raggiungere questo risultato conteranno non soltanto le buone intenzioni, ma anche le prove date nel passato rispetto a tali funzioni: infatti, soggetti che avevano espresso in precedenza anche buone attitudini di accudimento e di reale vicinanza affettiva con al vittima e gli altri figli potrebbero riprendere un ruolo parentale significativo. Riguardo all'intervento terapeutico dell'abusante è importante il parere espresso da un endocrinologo, il professore Aldo Isidori direttore della cattedra di andrologia all'Università "La Sapienza" di Roma, sulle terapie ormonali (in realtà "anti-ormonali" come egli afferma) e sui loro margini di applicazione in caso di comportamenti sessuali violenti sui minori. Il problema della “pedofilia” è innanzi tutto più un problema di natura psicologico-sociale che strettamente medico. Basti pensare che nell'antichità i rapporti tra adulti e minori erano ammessi, codificati all'interno di una cornice culturale definita, sicuramente differente rispetto a quella attuale. È in quest'ambito che sorge la definizione di "pedofilia": deviazione rispetto all'istinto sessuale riproduttivo su cui si innesta poi la sessualità adulta nelle sue componenti psicologiche, simboliche e culturali. Bisogna ricordare che, riguardo alla possibilità di utilizzare il trattamento farmacologico nei confronti degli abusatori, si pone un problema etico: la dichiarazione di Helsinki del 1964 afferma chiaramente che non si può somministrare niente a nessuna persona se non si ha il suo consenso. La Convenzione di Oviedo (nelle Asturie) del 1997, inoltre, sostiene che è necessario il consenso informato da parte dei soggetti coinvolti in interventi medici, che possono ritirarlo in qualsiasi momento. L'art. 5, infatti, vincola qualsiasi intervento ad una preliminare libera dichiarazione di consenso da parte delle persone coinvolte, le quali devono essere informate sullo scopo, la natura, le conseguenze ed i rischi dell'intervento stesso. Se in altri paesi (come ad esempio Germania e Stati Uniti) è prevista per legge la possibilità della castrazione chimica - o comunque della somministrazione di una terapia in modo coercitivo - nei confronti dei criminali sessuali (come gli stupratori abituali) a prescindere dal loro consenso, in Italia tale tipo di castrazione è incostituzionale: l'art. 27 della Costituzione italiana, infatti, affermando al terzo comma che le « pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità», vieta 107 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO qualunque trattamento che violi l'integrità fisica (inclusi perciò trattamenti cruenti, come la lobotomia e la sterilizzazione, e non cruenti, come l'uso di psicofarmaci e l'ipnotismo), in quanto considerati inammissibili perché ledono la dignità umana e non tendono, invece, come dovrebbe essere allo scopo rieducativo della pena. Il modello coercitivo, nell'ordinamento italiano, non è di per sé previsto se non in specifiche ipotesi tipiche: quando il soggetto ha crisi acute della patologia di cui è affetto ed è provata la sua incapacità di intendere e di volere (anche parziale) può essere sottoposto ad un trattamento sanitario obbligatorio: ma questa non pare essere un'ipotesi concreta in cui si può trovare un abusante; al fine di individuare, con le forme della perizia, patologie sessualmente trasmissibili (ad esempio l'HIV) l'abusante è sottoposto ad accertamenti coattivi, qualora le modalità del fatto commesso possano prospettare un rischio di trasmissione di tali patologie nei confronti del minore vittima dell'abuso sessuale (art. 16 L. 66/1996); il giudice può condizionare l'emanazione della sospensione condizionale della pena alla partecipazione, da parte dell'abusante, a trattamenti psicoterapeutici, ai quali però egli dovrà comunque partecipare volontariamente: dunque, se vuole ottenere la sospensione condizionale dovrà accettare il trattamento. 3.5. La terapia individuale della vittima di abuso sessuale In un modello integrato, accanto alla terapia familiare, comune con altri modelli di intervento, sono state inserite proposte terapeutiche che riguardano direttamente le vittime dell'abuso, proposte in un certo senso privilegiate rispetto alla terapia relazionale del gruppo familiare. Ci sono due ordini di fattori che hanno sollecitato questa scelta: l'alta incidenza di psicopatologia grave nei bambini abusati e la valutazione retrospettiva, evidenziata ormai da molte ricerche, di adulti affetti da patologia psichiatrica che hanno rivelato esperienze infantili di violenza sessuale. Nel lavoro clinico uno stimolo ulteriore a percorrere una strada diversa è stato dato dall'osservazione costante che i bambini abusati non vogliono parlare della loro esperienza. I tentativi volti a far descrivere il loro vissuto si infrangono quasi sempre contro un silenzio ostile. Alla base di questo comportamento non c'è solo la vergogna, la diffidenza verso un estraneo e la paura di vendette familiari, ma qualcosa di più profondo e radicale. Sembra, infatti, che i minori 108 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO vittime di violenza sessuale tentino disperatamente di rimuovere ciò che hanno vissuto e le angosce connesse, in modo tanto più rigido quanto più grave è stato il trauma negli affetti. Mettono in azione, cioè, dei meccanismi di difesa contro l'angoscia del ricordare che sono, per la loro rigidità, responsabili della strutturazione patologica tardiva della loro personalità. Non è in realtà l'episodio di violenza subita in se stesso che provoca direttamente danni allo sviluppo psichico, ma l'attivazione di questi meccanismi di difesa e la necessità di mantenerli costantemente efficienti. La negazione, la rimozione, l'identificazione con l'aggressore e la scissione della componente affettiva non devono permettere il riaffiorare di un segreto angoscioso. I bambini hanno bisogno dell'immagine interna di un genitore sufficientemente "buono". La componente violenta e abusante del genitore viene negata, i sentimenti di rabbia per il tradimento subìto vengono repressi e rivolti verso se stessi o spostati su altre persone. Dunque, nella loro mente preferiscono convincersi che ciò che è accaduto loro è giusto e, senza alcun dubbio, è accaduto per colpa loro. Questa colpa primaria devastante comporta nei loro ragionamenti un'equazione semplice e lineare che si può ridurre a: "i bambini buoni vengono amati; io non sono stato amato, io non sono buono". Attraverso questi meccanismi il bambino temporaneamente ottiene una serie di vantaggi secondari: controlla l'angoscia vissuta nell'esperienza traumatica; controlla il senso di colpa primario; evita la depressione derivante dalla perdita di amore. Ma questo pensiero, che può arrivare a far dubitare il bambino del diritto di esistere, si autonomizza dal resto della personalità e, in mancanza di un intervento, lo espone ad una progressiva sensazione di vulnerabilità, a fallimenti scolastici prima e professionali poi, a gesti autolesivi inconsapevoli e anche consapevoli che possono arrivare al suicidio. Come forme reattive al grave vissuto depressivo, quando prevale il meccanismo di identificazione con l'aggressore, nel minore possono emergere comportamenti maniacali sempre più aggressivi, atti compulsivi di criminalità minorile ed infine, da adulti, essi tenderanno a ripetere il modello violento subìto da bambini, diventando genitori abusanti. La terapia familiare si occupa solo marginalmente del mondo interno del minore sessualmente abusato, lasciando del tutto inalterato un complesso di sentimenti che hanno un alto potenziale patogeno. Il miglioramento della comunicazione nell'ambiente abusante e del suo sistema di relazioni non sono sufficienti per capovolgere le dinamiche di progressivo danneggiamento della personalità interna della vittima, perché non potrà mai manifestare i suoi sentimenti repressi. 109 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Uno degli scopi principali di una terapia di un minore sessualmente abusato è quello di sviluppare in quest'ultimo la consapevolezza di essere vittima e non invece responsabile dell'accaduto. La confusione di ruolo che si produce fra l'adulto e il bambino in questi casi è così grande da creare nel minore una grossa difficoltà a superare il senso di colpa che lo lega al sospetto di essere stato egli stesso, con il proprio comportamento, a provocare o a non rifiutare il rapporto sessuale. È necessario, quindi, prendersi cura di questo grave disagio e cercare di aiutare il minore a ricostruire il suo mondo interno, attraverso l'esperienza di relazione con un adulto che può accogliere, contenere, comprendere la sua sofferenza e che permetta l'espressione della rabbia e della disperazione. È necessario favorire "movimenti di lutto" rispetto a ciò che è perduto per sempre (la propria infanzia, la possibilità di poggiare fiduciosamente su una concezione ottimistica del mondo e della vita), anche se il minore troverà la forza d'animo per andare avanti. Ovviamente tale compito sarà particolarmente doloroso quando il bambino dovrà rassegnarsi ad ammettere che tutte le persone di primaria importanza affettiva per lui, da cui per definizione di ruolo si aspettava cura e protezione, l'hanno abbandonato. Il bambino deve imparare, aiutato dal terapeuta, a sviluppare la capacità di non cedere alla lusinga di concepire false idealizzazioni nei confronti di alcuno, sia che faccia parte del suo passato che del suo presente o futuro. Spesso, infatti, i minori vittime di tali situazioni cercano di compensare il loro sentimento di svuotamento personale, causato dal riconoscimento del fallimento relazionale, idealizzando tutti i soggetti con cui hanno successivi rapporti. In questo modo si espongono a successive delusioni, che vanno assolutamente evitate in quanto rischiano di far franare definitivamente un terreno emotivo già molto compromesso. Occorrerà invece aiutare il minore a rendersi conto, in modo realistico, delle risorse accessibili e fruibili, imparando ad apprezzarle e valorizzarle anche se non rispondono all'immagine che essi hanno del rapporto di cura, interiorizzata durante le fasi più primitive del processo di attaccamento alle figure parentali. Le psicoterapie che utilizzano tecniche di gioco sono più adatte di quelle che utilizzano tecniche verbali, perché l'ostilità e la diffidenza iniziali possono rendere impraticabile lo scambio verbale. Attraverso il gioco, invece, il bambino non racconta, ma rappresenta la sua angoscia e, aiutato emotivamente dal terapeuta, impara ad accettarla, a confrontarsi ed a gestirla. Man mano che si rafforza l'alleanza terapeutica, il minore recupera lentamente il suo mondo emotivo, la fiducia nell'altro, la possibilità di abbandonare i rigidi meccanismi di difesa, facendo emergere i suoi sentimenti più profondi. Solo in questo momento, dopo molti mesi o a volte anni di terapia, accetterà di parlare di ciò che è accaduto. 110 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO È importante evidenziare la necessità che il terapeuta del bambino sia diverso dal quello familiare per mantenere uno spazio protetto del quale il minore ha estremamente bisogno per potersi fidare ed in cui possa esporre le sue problematiche psichiche senza rischi di mantenimento del segreto. Una tipologia ben precisa di intervento riparativo nei confronti del minore sessualmente abusato non può essere ipotizzata a priori, dato il carattere estremamente vario delle motivazioni e degli effetti del comportamento violento: ogni situazione, dunque, va vista nella sua concretezza. Tutto ciò è però possibile soltanto con la predisposizione di una collaborazione multidisciplinare effettiva tra tutti gli operatori sociali, con un concreto potenziamento delle strutture esistenti (per esempio i consultori familiari) e con la costituzione di centri e di equipe specializzate in grado di fornire, fin dal primo momento, una risposta adeguata ai problemi e ai bisogni del bambino. Il trattamento terapeutico del minore sessualmente abusato è, infatti, un itinerario complesso che pone anche seri problemi di continuità della terapia che non sempre è garantita dai genitori. In queste situazioni possono essere importanti il sostegno del Tribunale per i minorenni e la funzione di sorveglianza dei servizi sociali affinché il trattamento venga continuato per tutto il tempo necessario. 111 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Capitolo IV Una storia vera 4.1. La storia di Claudia Ho avuto la possibilità di seguire in prima persona la storia di una minore di 17 anni, Claudia (chiamata in questo ambito con tale nome per poter così proteggere la sua identità) - che aveva denunciato il padre per abusi sessuali - e la vicenda giudiziaria conseguente, che non si è -ad oggiancora conclusa. Il fatto è emerso in conseguenza al fatto che il padre della minore il 14//2007 ha tentato di togliersi la vita, ingerendo della creolina, e per questo è stato ricoverato all'ospedale. I carabinieri del paese (della campagna Veneta) in cui vive Claudia, informati dell'accaduto, hanno effettuato tutte le verifiche del caso ed hanno sentito, nell'immediatezza dei fatti, i familiari dell'uomo al fine di accertare le motivazioni di tale gesto. È in quel momento che una delle figlie dell'imputato, Claudia, in caserma, alla presenza del fratello Pietro, confida al maresciallo dei carabinieri la terribile verità che si nasconde dietro quel tentato suicidio: da anni il padre abusa sessualmente di lei. Tutto è cominciato circa cinque anni prima (era il 2002), quando l'uomo, solo in campagna con la figlia Claudia, ha avuto un rapporto sessuale con lei. Dopo questo episodio, molti altri se ne sono verificati con una cadenza quasi periodica, fino all'ultimo, avvenuto solo alcuni giorni prima, nella notte tra il cinque ed il sei di quel mese (ottobre), all'esito del quale la ragazza, esasperata, si è confidata con il fratello maggiore, Pietro, che in quei giorni era ritornato a casa dal luogo ove abitualmente dimora per ragioni di lavoro. È proprio costui che in quella circostanza riferisce al maresciallo di aver affrontato il padre, al quale aveva rinfacciato quanto appreso dalla sorella; l'uomo piangendo aveva implorato allora perdono minacciando, in mancanza, di suicidarsi. Tali fatti sono riferiti dai due giovani senza difficoltà e ritrosie al maresciallo che cerca di superare l'imbarazzo e la reticenza di tutti i familiari, i quali tra "sguardi bassi" e "mezze parole" si sono 112 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO nascosti dietro problemi quali il numero non indifferente dei figli o una malattia della pelle da cui l'imputato è affetto al fine di fornire una spiegazione dell'accaduto. Nel corso dell'udienza ex art. 392 c.p.p. la minore ha rievocato gli abusi di cui è stata vittima, fornendo una ricostruzione dei fatti in contestazione lineare e priva di contraddizioni. L'imputato - in base a come lo ricorda Claudia - era il padre-padrone, arbitro assoluto della vita della figlia, che doveva essere sempre lì pronta ad esaudire i suoi desideri e a prestargli assistenza continua, sulla quale l'uomo sfogava i propri istinti sessuali, non senza cercare nella ragazza una risposta alle sue insicurezze sul piano affettivo. Claudia ha ricordato che il padre aveva avuto con lei il primo rapporto sessuale nell'estate del 2002, quando i due erano soli in campagna. Fin dall'età di sei anni, infatti, era solita aiutare il padre nel pascolare e nel mungere gli animali. In quell'occasione suo padre, approfittando del fatto che la figlia dormiva in un letto accanto al suo, si introdusse di notte nel letto della minore e, dopo averle sfilato il pigiama e le mutandine, compì l'atto sessuale. Claudia ha ricordato la sensazione di dolore fisico, il suo smarrimento, la sua iniziale incapacità di percepire con immediatezza il significato dell'accaduto (facilmente comprensibile in ragione della sua tenera età - all'epoca aveva soltanto undici anni) e il suo sconvolgimento che le impedì di alzarsi dal letto la mattina successiva. La sua ritrosia e l'imbarazzo nel rievocare certi particolari sono stati considerati dal collegio giudicante indici rivelatori della genuinità della sua deposizione. La minore ha aggiunto che gli abusi si ripeterono in media circa due volte al mese, spesso nei momenti in cui la ragazza accudiva il padre che soffriva di asma. Ha inoltre rievocato il legame morboso con il genitore, il quale la chiamava in continuazione anche durane la notte per ricevere da lei assistenza, salvo poi approfittare della situazione mentre la moglie ed il fratellino più piccolo (che all'epoca aveva quattro anni) dormivano nel letto matrimoniale. Claudia, in quelle occasioni, si tratteneva a dormire nel letto con i genitori ed il fratellino: durante la notte il padre abusava di lei sessualmente. La madre, portatrice di handicap ed invalida al 75%, era una figura assente nella vita della minore e neppure comprendeva quanto accadeva intorno a lei. Era facile allora per il marito eseguire meccanicamente quegli atti frettolosi in modo che la donna non si accorgesse di nulla, approfittando del suo sonno e delle sue precarie condizioni mentali. Claudia, se all'inizio di tutta la vicenda era incapace di comprendere del tutto il significato di quanto accadeva, ha acquisito col tempo la consapevolezza della gravità dei comportamenti del padre ed ha 113 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO cominciato a provare un naturale sentimento di ribellione e di protesta che è sfociato, in mancanza di una soluzione al suo dramma, in un comportamento autodistruttivo. Gli abusi sessuali sono comunque continuati fino ad arrivare all'ultimo episodio di violenza verificatosi nella notte tra il 5 ed il 6 ottobre 2007, quando l'uomo è entrato nella stanza dove dormiva la figlia, si è infilato nel suo letto, l'ha immobilizzata, le ha messo la mano sulla bocca per impedirle di gridare ed ha abusato sessualmente di lei usando la forza. È probabilmente in questo momento che in Claudia è nata la determinazione di confidare il proprio dramma ad una persona fidata quale il fratello Pietro. Infine il 9 ottobre il padre, dopo averla seguita per strada, ha aspettato che la ragazza rientrasse nell'abitazione per malmenarla accusandola, accecato da una folle gelosia, di andare in giro alla ricerca di altri uomini. Probabilmente anche questo episodio ha dato a Claudia la forza di parlare: essa, esasperata, si è difesa minacciando il padre di raccontare tutto al fratello maggiore ed allora inutili sono state le parole dell'uomo che ha cercato di farla desistere da quel proposito. La ragazza era determinata, il padre lo ha compreso e per questo si è allontanato per due giorni da casa. Claudia finalmente si è confidata con Pietro, anche se all'inizio è prevalso in lei il pudore e la vergogna, che le hanno impedito di dire subito tutto al fratello ritornato a casa: si è limitata dunque ad accennare all'ultimo episodio di violenza cui è stata vittima. Egli ha avuto una reazione immediata e ha affrontato il padre da solo, mentre la ragazza si trovava al di là della porta e sentiva ogni parola: gli ha rinfacciato di aver abusato di una bambina, ha chiesto (forse più a se stesso) come ciò sia stato possibile ed è rimasto sconvolto alle parole dell'uomo, il quale dinanzi al figlio maggiore, deluso ed incredulo, non ha fatto altro che dire: "Mi dispiace". La ricostruzione dell'episodio resa dalla minore trova riscontro nelle dichiarazioni del fratello (sentito all'udienza). Quest'ultimo però, se nell'immediatezza dei fatti, ha ricordato che il padre chiedeva perdono di fronte alle accuse mossegli dalla figlia, in dibattimento ha negato questo particolare, affermando che l'uomo, di fronte a tali accuse, aveva taciuto ed era andato via. Tale comportamento è stato considerato dal collegio giudicante come un «maldestro tentativo di difendere il padre, cercando di screditare la veridicità delle affermazioni della sorella, colpevole, secondo lui, di aver avuto rapporti sessuali con un ragazzo a lui inviso perché albanese, e per ciò solo non meritevole di fiducia e di considerazione, allorquando riferisce degli abusi subiti dal padre». Claudia è stata accusata anche dalla sorella (sentita nella medesima udienza) di quanto stava accadendo, perché essa riteneva che gli effetti negativi della vicenda si sarebbero riverberati sui fratelli piccoli, che ora invece dovevano essere accuditi. 114 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO La sorella ha così proposto di risolvere il problema facendo risultare che Claudia si era inventata tutto e che la stessa aveva avuto in effetti rapporti sessuali solo con il proprio ragazzo. Ma questo è stato un atteggiamento secondario, in quanto nell'imminenza dei fatti anche lei (come il fratello Pietro) ha sostenuto Claudia, anche se dopo ha negato il tutto. Questo è stato anche l'atteggiamento dei suoi familiari, i quali durante le indagini preliminari hanno cercato di convincere la ragazza dell'opportunità di ritrattare le accuse ed in dibattimento hanno cercato di fornire l'immagine di una famiglia serena colpita, purtroppo, dalla "sciagura di una figlia impazzita". Tra i vari motivi che stanno alla base di tale comportamento ci sono sicuramente lo sconvolgimento che le rivelazioni di Claudia hanno determinato all'interno del suo nucleo familiare, la vergogna, la paura, lo scandalo e l'emarginazione che sicuramente avranno assalito i suoi familiari. La volontà di salvare l'onore della propria famiglia si è dunque tradotta inevitabilmente nel rifiuto di sostenere Claudia in questo momento per lei difficile e nell'abbandonarla sola nella sua disperazione. È stata così proposta una figura della ragazza come una "fredda calcolatrice" che, pur di soddisfare il proprio egoistico desiderio di stare con il proprio ragazzo, si è vendicata del padre rivolgendogli accuse infamanti. Una forte difesa in questo senso dell'imputato è emersa anche dalle parole della sorella che dichiara di non aver creduto alle parole di Claudia con l'unica giustificazione che il padre non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Il collegio giudicante ha però notato la sua sofferenza nel ricordare certi fatti, la sua volontà di cancellare certi ricordi, di autoconvincersi che quella realtà, così atroce ed inaccettabile, non poteva essere vera. Va notato come di fronte alle dichiarazioni tra loro contrastanti dei familiari dell'imputato, vi sono quelle specifiche, dettagliate e coerenti della persona offesa, più volte ribadite nel corso dell'incidente probatorio. Il racconto di Claudia non è apparso al collegio giudicante «l'ordito di una trama freddamente calunniosa, ma è tratteggiato da sofferenza per lei e per i suoi familiari; inoltre non è dato cogliere in esse alcuna espressione di rancore, di odio nei confronti del genitore». Tali parole hanno anche ottenuto riscontri sia dalle ulteriori risultanze probatorie, sia dalle perizie mediche e psicologiche svolte sulla minore. 115 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO 4.2. La perizia medico-ginecologica Il CTU ha dovuto effettuare una visita ginecologica sulla minore (accompagnata dalla sorella) allo scopo di: verificare eventuali segni di deflorazione e se la stessa è usa al coito; verificare la presenza di violenze psico-fisiche subite; procedere ad eventuali altri accertamenti diagnostici necessari. Obiettivi specifici della perizia Accertare un'eventuale deflorazione dell'imene e possibilmente datare l'attività sessuale; identificare lesioni che possono essere trattate e curate; raccogliere campioni orali e vaginali, che possono avere rilevanza legale; compiere uno screening riguardo a malattie sessualmente trasmesse e ad una eventuale gravidanza; rassicurare la vittima rispetto al suo stato di salute e spiegarle che non è stata lesa fisicamente in modo grave; valutare lo stato mentale ed emotivo della vittima. Nell'esecuzione degli accertamenti clinici e strumentali atti a valutare i quesiti posti, è stata tenuta in conto la storia della vittima e sono stati seguiti i suggerimenti tratti dalle "Linee guida del Committe on child Abuse and Neglect" del 1991. Tale Committe delinea il grado di certezza dell'abuso sessuale dei minori attraverso una prova conclusiva di abuso sessuale (presenza di sperma) ed una prova suggestiva di abuso sessuale (abrasioni e contusioni dell'interno delle cosce, dei genitali, cicatrici, lacerazioni o rottura dell'imene, cicatrici o lacerazioni delle piccole labbra, ecc.). Nel visitare la paziente saranno ricercati gli indicatori di abuso sessuale secondo gli indicatori di tali linee guida. Sono indicatori non specifici di abuso sessuale quelle condizioni, spesso rilevate minori, che non indicano abuso sessuale ma che possono essere suggestive di abuso se confermate da altri fattori. Ad esempio: la presenza di condilomi, edema dell'imene, infiammazione della vagina (specie se il quadro è accompagnato da dolorabilità), adesione delle grandi labbra, restringimento dell'imene. 116 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Sono invece indicatori specifici di abuso sessuale quelle condizioni che permettono di avere certezza di abuso sessuale. Ad esempio: lacerazione dell'imene della vagina, attenuazione dell'imene, restringimento o appiattimento, grave arrotondamento del margine dell'imene, vascolarizzazione. Infine sono indicatori conclusivi di abuso sessuale quelle condizioni che indicano che l'abuso sessuale è avvenuto con certezza nei minori al di sotto dei dodici anni, in quanto in soggetti più grandi di età potrebbero essere condizioni che indicano un'attività sessuale. Ad esempio: neisseria ghonorrea, gravidanza, presenza di sperma, HIV. La visita della minore Nella fase preliminare il ginecologo ha parlato con la minore dapprima di argomenti neutri e per lei comunque interessanti: la scuola, lo sport, i suoi hobbies. Creatosi un rapporto di fiducia, Claudia ha cominciato a raccontare gli aspetti più confidenziali, in particolare ha parlato dell'amore che prova per un suo coetaneo: bello, sportivo, tenero e gentile. "Al suo lui vuole un gran bene" e ha detto che non lo lascerà nonostante le minacce del padre che le proibisce di vederlo. Ha parlato di suo padre come se fosse un "padrone". A questo padre però vuole bene, nonostante spesso si ubriaca e maltratta tutti. Comanda soltanto lui e sia lei che le sorelle devono ubbidire. La madre è come se non esistesse: non è capace di fare molto, è distaccata dai figli e ubbidisce religiosamente al marito. Claudia deve sostituirla in tutto e di questo ruolo appare alquanto contenta. Alla domanda "Sai cos'è un rapporto sessuale?" ha risposto senza esitazione "Sì". Alla domanda più specifica "In cosa consiste?" ha risposto con rossore e alzando le spalle dicendo: "Fare l'amore". Dopo aver accertato che tra la minore e il ginecologo si era instaurato un clima di fiducia, è stato illustrato a Claudia tutto l'iter diagnostico, spiegando l'uso di determinati strumenti (come lo speculum, l'ecografe), rassicurandola che durante la visita non avrebbe mai avvertito alcun dolore. Ottenuto il consenso a poterla sottoporre ad accertamenti diagnostici, si è passati alla fase esecutiva. Fase esecutiva Anamnesi familiare: padre vivente di buona apparente salute, beve spesso e molto; madre affetta da esaurimento nervoso ("Prende molte medicine per il nervoso di cui soffre"); 117 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO anamnesi personale remota: non ricorda di aver avuto i comuni esantemi dell'infanzia, fatta eccezione per alcuni episodi influenzali, afferma di essere stata sempre bene; normale l'iter scolastico, non beve e fuma qualche sigaretta di tanto in tanto. Anamnesi personale prossima: dichiara di avvertire spesso dei dolori al basso ventre, specialmente durante i rapporti sessuali, ("Qualche volta un senso di bruciore giù"); mentre racconta sulle modalità dei rapporti sessuali, si ha la sensazione che essi siano vissuti dalla minore come degli atti dovuti, dovendo sostituire la madre. Terminata la raccolta anamnestica, si è proceduto all'esame obiettivo generale e successivamente a quello ginecologico. Considerazioni Dall'anamnesi comportamentale della minore il ginecologo ha potuto trarre le seguenti conclusioni. Il contesto familiare in cui è nata e cresciuta e quello tipico della famiglia monogenitoriale: il padre è il "patriarca egocentrico", fa uso eccessivo di alcol, è insicuro ed insensibile al rifiuto della figlia al quale reagisce con un comportamento rabbioso e dominante, considera il coniuge e i figli come oggetti di sua proprietà, usa la violenza e l'intimidazione per gratificare le proprie esigenze emotive e si rivolge verso la figlia ed abusa mediante atti impulsivi e per intimidazione. La madre, assente e distaccata, appare impotente e dipendente; è a conoscenza dei fatti, ma non riesce a proteggere la figlia, anzi sembra che spinga i figli ad essere sottomessi al padrepatriarca per evitare guai e per ottenerne il silenzio. La vittima è cresciuta in un ambiente in cui non vi è stata comunicazione affettiva e ciò l'ha portata ad una carente regolazione del proprio livello di attrazione emozionale, al negativismo, all'incoerenza, all'imprevedibilità, all'impudenza e, in particolare, mostra elevati livelli di affetti negativi e scarse emozioni positive. Quando parla del proprio genitore prima lo disprezza, poi lo esalta, quasi lo difende e considera la cosa quasi normale: si ha l'impressione che l'abusatore incestuoso abbia tentato di convincere la vittima che è lei a "gradire" il rapporto, spingendola a negare il proprio imbarazzo e il forte disagio nei confronti di quanto accade. I suoi sentimenti più profondi sono stati negati e reinterpretati in funzione dei bisogni del suo abusatore, ma si risvegliano quando parla del suo nuovo amore: un suo quasi coetaneo che ha incontrato andando a scuola. Stimolando questo suo fisiologico sentimento giovanile, compare un'emozione positiva. 118 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Descrive il padre che, per puro egoismo, proibisce questa relazione, come un uomo piuttosto inefficiente, aggressivo, soggetto a bere molto, lavorare raramente e ad essere ossessionato dal sesso. Racconta, anche se con velato imbarazzo, della relazione con il padre e in che modo il papà la toccava, ed alla domanda "Ti rendevi conto che faceva cose che non doveva fare?" risponde "Sì" ma con un atteggiamento dubbioso. Conclusioni Dall'analisi e dall'esame obiettivo dei genitali, il CTU ha dedotto che la minore ha avuto rapporti sessuali sicuramente vaginali e con molte probabilità anche anali. L'inizio di tale attività, che è stata sicuramente frequente per le caratteristiche dell'imene e della zona anale e perianale, è stata da lui datata con un buon margine di approssimazione a circa tre anni prima del momento dell'accertamento. La perizia medico-ginecologica inoltre conclude che lo sviluppo psichico della giovane corrisponde all'età evolutiva dei 15 anni, essendo ella dotata di un grado di intelligenza che, se anche soffocato dalle condizioni ambientali e socio-culturali in cui cresce, è da considerare nella norma. La sua psiche ha indubbiamente subìto un trauma, che l'ha condannata a fare i conti in futuro con la propria memoria (dal momento che quest'ultima sarà la mediatrice principale degli effetti della vicenda sulla sua vita personale e sui successivi eventuali esiti). 4.3. Osservazioni sulle condizioni psicologiche della minore La psicologa, su richiesta dell'autorità giudiziaria, ha fatto un'osservazione relativa alla condizione psichica della minore. Presso gli uffici della Procura è stata fatta un'audizione in cui Claudia è stata invitata a confermare le proprie dichiarazioni fatte il 15/2007 (quando denunciò il padre per gli abusi sessuali subìti). Tale fase è risultata particolarmente complessa per le condizioni psicologiche della ragazza, che è apparsa agitata, confusa e spaventata. Par alcune ore la minore ha assunto un comportamento verbale ambiguo, affermando di aver dichiarato il falso rispetto agli abusi, per vendicarsi del padre geloso e possessivo. Nel corso dell'audizione ha poi manifestato una notevole sofferenza, con un tono dell'umore instabile e tendenzialmente depresso, associato a sentimenti di paura a rilevanza clinica. Ha così raccontato di aver paura della sorella e del fratello Pietro, dai quali sarebbe stata ricattata e costretta a ritrattare quanto denunciato, per consentire al padre di rientrare in famiglia, evitando lo 119 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO scandalo nel paese. Claudia sarebbe stata addirittura redarguita dalla sorella, che le avrebbe attribuito un comportamento consapevole e consenziente nei fatti denunciati. La ragazza, in uno stato di evidente prostrazione, ha chiesto di essere allontanata dalle figure parentali, dalle quali si è sentita rifiutata e colpevolizzata di aver rovinato l'equilibrio del nucleo famigliare. La dinamica relazionale dell'intera famiglia ha confermato la struttura paradossale della stessa, caratterizzata da messaggi e comportamenti omissivi ed omertosi, tendenti a negare la realtà per salvaguardare l'immagine di normalità. Secondo la psicologa la permanenza in famiglia della minore dopo l'arresto del padre ha determinato, nella sua struttura già fragile e compromessa per le violenze subìte, una rischiosa condizione emotiva, che potrebbe avere gravi ripercussioni sull'equilibrio affettivo e sull'identità della stessa. La dottoressa ha affermato che lo stato psicologico di Claudia, che ha poi confermato la violenza del padre, è caratterizzato dalla presenza di elementi nevrotici di origine traumatica con nuclei di ansia ed angoscia generalizzati, che sfociano in persistenti disturbi del sonno (insonnia iniziale e tardiva) con frequenti incubi notturni. La minore, collocata provvisoriamente presso un istituto, ha dunque bisogno di uno specifico trattamento terapeutico e di un contesto relazionale rassicurante e protettivo. 4.4. Interrogatorio del padre di Claudia PM = Lei sa che è qui in qualità di imputato perché le viene contestato di avere abusato sessualmente di sua figlia Claudia per un periodo che è durato più o meno 5 anni? Imputato = Ma questo non è vero niente. PM = Un attimo: adesso io le dico le cose e poi ne parliamo. Nell'invito che le è stato recapitato sono anche state indicate le fonti di prova a suo carico, cioè le dichiarazioni accusatorie che sono state rese da sua figlia in data 14//2007 davanti ai Carabinieri ed anche le dichiarazioni che sono state rese dal fratello Pietro (anch'esso suo figlio). Inoltre sono state rese nuove dichiarazioni da Claudia davanti all'autorità giudiziaria, cioè al pubblico ministero nella mia persona. Poi c'è stata una relazione medico-ginecologica che a livello fisico ha riscontrato nella persona di sua figlia l'abitudine alla consumazione di atti sessuali con penetrazione. Adesso lei è qui presente per rendere interrogatorio. Ha facoltà di non rispondere alle domande che io le farò: vuole avvalersi di questa facoltà o intende rispondere? 120 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Difesa = Tu dici le cose come stanno, poi... I = Io intendo rispondere. PM = Intende rispondere, va bene. Mi racconti, allora, i fatti come stanno. Difesa = Quello che hai detto. Ripeti le stesse cose. I = Il fatto è che io non ho commesso niente, questo è. Io non ho commesso niente. Io sto in galera e non so niente. PM = Ma...mi scusi...come è nata questa storia? Lei ha tentato di suicidarsi? I = Sì. PM = Bevendosi la creolina, è vero? I = Sì. PM = Sono venuti i Carabinieri a chiedere perché lei aveva tentato di suicidarsi; hanno fatto delle indagini e da esse è emerso che lei abusava sessualmente di sua figlia Claudia. I = Lei può dichiarare tutto, però la cosa non è vera. PM = Lei si è inventata tutta questa storia, dunque? I = Si è inventata perché io... stava con un albanese ed io con questo qua non volevo per nessun motivo. PM = Ho capito. E voi perché avete cercato di suicidarvi bevendo la creolina? I = Che lei mi disse "Tu ti puoi anche ammazzare, tu puoi fare quello che vuoi tu a me!", che mettiamo che stava insieme con questo. PM = Cioè... voi avete bevuto la creolina perché...non ho capito. I = Per suicidarmi, per non sentirla e non vederla più davanti. PM = Vostra figlia? I = E certo, dice una cosa del genere! Difesa = Lui parla in dialetto. Voleva dire che quando lui ha ostacolato questo fidanzamento, questa tresca...in sostanza la figlia ha detto: "Tu ti puoi anche suicidare, ma io non lascio quell'albanese". È vero? (Si rivolge verso il suo assistito). I = Sì. 121 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO PM = Allora... qui è però necessario capirci perché vede...vostra figlia dice una cosa e voi ne dite un'altra. Vostra figlia ha reso di fronte a me delle dichiarazioni molto precise e puntuali. E prima ancora è stata anche sentita dai Carabinieri che hanno fatto l'informativa a me. Inoltre ho sentito nuovamente vostra figlia in presenza di una psicologa e di un altro pubblico ministero e la ragazza ha confermato le sue dichiarazioni e quanto detto, cioè ha confermato di aver subito degli abusi sessuali da parte vostra già dall'età di anni, per cui io vi invito, se volete che la vostra posizione sia chiara, a dire la verità perché facendo così non mi state aiutando. I = Io sto dicendo la verità. PM = E qual è questa verità, fatemela capire. I = È questa. PM = E qual è? Ditela. I = Che non è successo niente. Io non ci avevo a mia moglie, non ci avevo mica la figlia. La figlia l'avevo fatta mettiamo...che la dovevo violentare?! PM = Ma l'ha detto vostra figlia tutto questo, non l'ho detto io. I = Sono quattro femmine, non una. Difesa = Lui vuol dire che ha sei figli, quattro femmine e due maschi. PM = Allora spiegatemi tutto. Voglio sapere in maniera precisa: perché avete cercato di suicidarvi; quando avete appreso dell'esistenza di questo fidanzamento tra vostra figlia e il ragazzo albanese; e perché vi opponevate a questo fidanzamento. I = Perché ce ne sono tanti italiani, si deve prendere uno così che non sa da dove viene e che razza viene, ce ne è tanta gente italiana e per uno del genere si è subito legata PM = Va bene, ...voi eravate contrario al fidanzamento? I = L'andava aspettando in tutti i posti. PM = E quando avete appreso che vostra figlia era fidanzata con questo ragazzo, che avete fatto? I = Poi ho fatto che... mio figlio non c'era, lavorava via e allora io una sera dovevo andare da mia sorella che abitava in campagna e lei dice "Papà, vengo pure io!" ed io"Che devi venire a fare... chissà quanto mi trattengo", "No - dice - vengo pure io". Per la strada mi dice che mi deve raccontare un fatto. Forse non avevamo camminato neanche 500 metri ed eravamo alla fine del paese. Allora insisto la prima volta, insisto la seconda volta e quella però non me lo voleva più dire. Siamo arrivati da mia sorella, forse sono 3 Km o 3 km e mezzo, e non me l'ha detto e al ritorno le ho detto: "Adesso 122 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO me lo devi dire questo fatto". "No, adesso mi sfugge" ha detto lei. Quando appena abbiamo passato l'istituto agrario vediamo una moto dietro. PM = ... Sì va be'... ma lei vi ha detto che era fidanzata con questo ragazzo? I = ...Allora vediamo una moto dietro e lei dice: "Papà, ti fai raggiungere dalla moto dietro. Vedila che moto!" faceva lei... e allora dico: "Io mica devo fare la corsa, che devo fare la corsa con la moto?! Se vuole passare, passa". E continuava a dire che mi doveva dire, mi doveva dire. Allora io non l'ho visto questo in faccia chi era, che non lo conoscevo neanche. Dal ritorno da mia sorella lei ha cominciato a dirmi questo fatto e me l'ha detto...ma me l'ha detto che la cosa che doveva vedere il fratello sennò io non lo scoprivo, perché la mattina mi alzavo presto e la sera tornavo tardi, mica potevo andare a vedere lei dove andava e dove non andava. PM = Sì, ho capito. Allora avete saputo che vostra figlia frequentava questo Ruly ma voi non potevate controllarla perché andavate in campagna. Ma io so che in campagna - in base a quanto dice vostra figlia - vi accompagnava a volte anche lei, quando voi andavate a guardare gli animali. I = ... E che doveva venire a fare! PM = Sì, ma vostra figlia vi ha accompagnato in campagna a guardare gli animali? I = Sì. PM = Allora voglio sapere una cosa: vostra figlia...voi dite che nel 2005 si è fidanzata con Ruly, cioè ha cominciato a frequentare questo ragazzo? I = Nel 2005 io l'ho saputo. PM = Ok nel 2005 voi l'avete saputo. Che cosa è accaduto dopo? I = È avvenuto che il fratello le diede due schiaffi. PM = ... Sì ma voi perché avete tentato di suicidarvi? Vi siete bevuto la creolina, che è veleno, perché? I = E... perché... lei ha detto "Tu ti puoi uccidere, ... ti puoi... perché la felicità...". PM = Eh be' ... vostra figlia dice "Tu ti puoi anche uccidere, tanto io non lo lascerò mai Ruly": ho capito bene? I = Sì. PM = E voi veramente vi siete bevuto la creolina? I = E a questo punto... tu fai una figlia grande e poi in casa sparla, sparlava... capito?! 123 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Difesa = Di' quando l'hai trovata sul fatto e quando non li hai trovati sia all'istituto agrario, che dietro le case rosse, ... così come hai detto l'altra volta. Di' la verità perché questa mattina sono decisive le tue parole. I = Mica solo io li ho visti! Li ha visti anche la zia, ...mica solo io! Io quando li ho visti, lui aveva la cerniera aperta ed era così come siete... PM = Sì ma quando è successo che avete visto vostra figlia insieme con questo ragazzo? I = Un paio di mesi fa li ho visti sotto una scala. PM = E dopo che li avete visti avete cercato di suicidarvi? I = Eh sì. PM = Quindi sarà successo verso luglio-agosto. I = Sì. PM = Ma la cosa da capire è questa: voi non volevate che vostra figlia frequentasse Ruly perché era albanese, era disoccupato e per una serie di altri motivi - e questo si è capito - e quindi vi siete opposto a questo fidanzamento. Voi però dopo avete tentato di suicidarvi e poi, nell'imminenza dell'accaduto, vostro figlio Pietro ha riferito ai Carabinieri che la sorella Claudia gli aveva raccontato di aver subìto abusi sessuali da parte vostra, di cui uno una settimana prima rispetto a quando cercaste di suicidarvi. Lui ha raccontato di essere venuto da voi, prima del tentato suicidio, e di avervi rimproverato; ha detto poi che voi siete scoppiato in lacrime e che gli avete confessato tutto, dicendo che era vero e chiedendogli perdono. È vero tutto questo? I = No che non è vero! Lo dice solo lui e la sorella! PM = E perché i vostri figli dovevano dire delle sciocchezze? I = Io non lo so perché l'ha inventate lei. PM = Sì, allora voglio farle sapere con chiarezza che Claudia ha raccontato che il primo abuso sessuale voi l'avete compiuto su di lei quando aveva anni ed è successo in campagna, quando eravate solo voi e lei. Poi dopo che gli altri rapporti... I = Ma quella...ci stava sempre mio figlio e c'era sempre mia moglie in campagna...come potevo abusare? PM = Ma sia suo figlio, che un'altra delle sue figlie femmine hanno riferito di questi abusi. E Pietro ha riferito ai Carabinieri che voi quella sera vi siete messo a piangere e avete confessato, che avete chiesto perdono più volte e che lui non vi ha parlato per diversi giorni. Questo è tutto inventato? 124 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO I = Sì. PM = Allora vuole dirmi lei le cose come stanno? I = Io non ho commesso niente, signor giudice! PM = Va be'... allora perché vostra figlia si è inventata tutte queste cose? I = Se le è inventate per stare con quello! ... Non solo con quello, c'è pure altra gente, io lo so questo... Signor giudice, io non... PM = Volete sentire che cosa ha detto vostra figlia? I = Sì: ... ma, signor giudice, lei mi vuole vedere in galera per la gioia di quello, lo volete capire o no? Io apposta mi volevo uccidere per non sentire proprio questo dispiacere qua! ...Dovevo andare a finire in galera! Se adesso sto in galera, mi deve finire di uccidere!! Una figlia che ti fa in questo modo... Soffro già di malattia, soffro fisicamente di asma, psoriasi, bronchite, polmonite, crisi depressive. PM = Vostra figlia ha raccontato che nell'agosto del 2002 voi due eravate da soli in campagna. I = E... Pietro non c'era?! PM = L'ha detto lei che il fratello Pietro non c'era. I = Ma come... non c'era Pietro?! PM = Io le sto dicendo quello che ha riferito Claudia. Voi poi eventualmente date la vostra versione dei fatti. Lei ha raccontato che in quell'occasione, una notte, voi vi siete introdotto nel suo letto e avete abusato di lei, levandole il pigiama; lei era piccola (aveva -11 anni) e dice di non essersi neanche resa conto di quello che era successo. Poi ha detto che successivamente l'avete fatto sistematicamente, almeno due volte al mese a casa. I = ...Ma se una figlia ti dice "Ti puoi uccidere o ti faccio uccidere", che ti aspetti più? Io perciò devo capire...perché o mi uccidevo io o mi faceva uccidere. PM = Ma voi non dovete né uccidervi, né dovete uccidere. Dovete stare tranquillo e dire la verità dei fatti. ... Voi dormite con vostra moglie? I = Sì certo, sempre. E con chi devo dormire?! Difesa = Nei nostri paesi, di solito, marito e moglie e i maschi dormono in una stanza, mentre le femmine in un'altra, se non ci sono le camere da letto per tutti. PM = Va be' ... quindi i vostri figli maschi e femmine dove dormono? 125 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO I = In due diverse camere da letto. PM = E Claudia con chi dorme? I = Nella camera con le sue sorelle. PM = Vostra figlia ha raccontato che almeno due volte al mese, dopo l'episodio avvenuto in campagna, voi abusavate di lei a casa. Ha detto che lei vi portava l'acqua a letto e che si addormentava vicino a voi. Ha inoltre riferito che è avvenuto un altro rapporto sessuale completo nella camera da letto dove dormiva Claudia con le sue sorelle: lei ha detto che voi vi siete infilato nel suo letto, le avete levato il pigiama e avete avuto con lei un rapporto sessuale con la forza. I = Non è possibile!!! Ci stavano pure gli altri e c'era anche mia madre che aspettava il nipote che doveva salutare. PM = Ma perché sua figlia si dovrebbe essere inventata tutto questo? I = Per questo: ... per quello! PM = Cioè... per continuare a vedere Ruly? I = Sì, certo. Difesa = Sì ... ma tu devi dire la verità! Racconta di quando li hai trovati e dove. I = Dalle sorelle sentivo di questo albanese ma credetti perché Claudia aveva giurato di fronte a me, a mia moglie e alle sorelle che non l'avrebbe più rivisto. Per questo io stavo tranquillo. Poi mi diceva che si era fidanzata con un altro. Sennonché erano tutte bugie, frequentava sempre quello e diceva che non c'era qua. PM = Sì... abbiamo capito che vostra figlia è innamorata di questo ragazzo. I = Ma che se ne deve fare... che se ne deve fare! PM = Ma... questo non è un giudizio che possiamo discutere qui. Il punto è che tra i due ragazzi c'è una relazione e si vogliono bene. Claudia dice così. Ruly è stato sentito davanti al Tribunale per i minori ed ha dichiarato di essere innamorato di vostra figlia e di aver consumato con lei anche dei rapporti sessuali. Ha detto che la prima volta è successo nel giugno del 2007 e che prima non era mai successo. Quindi se questa versione fosse vera, sareste stato voi il primo ad avere rapporti sessuali con Claudia. I = Signor giudice... se ha avuto abusi sessuali l'ha avuti con quello! E questo io non lo sapevo, lo sento adesso da voi. ... Mia figlia non mi vuole bene perché mi fa stare dentro il carcere. Questa è la sua soddisfazione, che mi fa stare in carcere per avere rapporti con quello! E mia figlia forse a anni 126 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO già l'ha fatto la prima volta: l'ha fatto con gli altri! Signor giudice, queste sono tutte bugie, perché io qua mi hanno... PM = Ascoltatemi: tutto questo non l'ha detto soltanto vostra figlia Claudia, ma anche vostro figlio Pietro e l'altra vostra figlia. È vero che adesso i suoi figli stanno prendendo le vostre difese, ma hanno raccontato che Claudia ha riferito loro di aver subito abusi sessuali da parte vostra. Claudia ha detto poi che Pietro è venuto da voi e vi ha detto: "Papà, ma che fate? Abusate di Claudia?". Voi confermate questa circostanza? I = Sì, lui me l'ha detto ed io gli ho risposto: "Ma tu sei pazzo, io con tua sorella?! Ma lo vuoi capire che quella mette la colpa a me per andarsene con quello!" PM = Mi racconti meglio questo episodio. Quando suo figlio vi ha parlato? I = Pietro mi ha detto che io avevo abusato di Claudia, così... come state dicendo. Allora io con la rabbia me ne sono andato in campagna. PM = Con Pietro non avete parlato prima? I = No perché, la sera che lui è arrivato, io non c'ero perché ero andato in campagna. La sera dopo mi ha raccontato questo fatto qua. Io ero fuori e quando sono arrivato a casa lui mi dice "Così...e così mi ha detto Claudia" . Ed io gli ho detto: "Ma sei pazzo te e Claudia a dire questa cosa!". PM = Nel verbale invece suo figlio ha detto che voi vi siete messo a piangere. I = No, ma no... non è vero! PM = Ma vostro figlio ha detto così. Ma scusi ma come è possibile che tutti nella vostra famiglia stiano inventando? Inventa Claudia, inventa Pietro, inventa l’altra figlia? ... Scusate! I = No... non è vero. Quelli l'hanno inventato. Che mettiamo che uno dice che quello è andato a rubare, loro dicono "Sì è andato a rubare". E invece dove è? PM = Cioè voi a vostro figlio, quando vi ha parlato, non avete detto niente? I = No. Ho detto soltanto che sia lui che lei erano pazzi. PM = Va bene... Con Ruly avete mai parlato? I = No mai. PM = Non gli avete mai fatto niente, pur sapendo che vostra figlia Claudia lo vedeva, ... cioè non l'avete mai affrontato? I = Signor giudice, ma io quante volte l'ho vista, quante volta l'ho vista? 127 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO PM = Voglio dire invece di suicidarvi potevate affrontarlo e dirgli "Lasciate stare mia figlia!", perché... I = Che dovevo fare, che dovevo affrontare... ve l'ho detto lei mi ha detto "Se tocchi quello, ti uccido o ti faccio uccidere!". PM = Ma non dico che dovevate minacciarlo, ma magari parlargli. I = Questo non l'ha detto signor giudice, non ve l'ha detto? PM = No. Lei ha detto che voi vi opponevate in maniera ferma a questo fidanzamento. I = E c'è la lettera qua... la lettera è chiara, è qua, qua... PM = Devo dirvi una cosa importante però: vostra figlia non pensava mai che voi poteste essere arrestato in conseguenza delle sue dichiarazioni. I = Ah sì, non pensava mai... PM = No, davvero. Inizialmente lei ha dichiarato queste cose, però quando poi ha capito... I = Io ve lo dico adesso signor giudice, questa mia figlia non esiste più davanti a me! PM = No non dovete dire così. I = No, fare una cosa del genere! Io non la voglio più vedere!! O si vuole sposare, o se ne vuole andare con quello, o se ne vuole andare con quell'altro, a me non mi interessa più, non me ne interessa più, non la voglio più vedere, né sentire! E glielo potete anche dire. Quando è successo, mettiamo che stava per questo, è andata dal dottore, in un paese vicino, perché diceva che le faceva male la pancia, invece quella è andata ad abortire. PM = È andata ad abortire? Ma di chi sta parlando? I = Di mia figlia Claudia. PM = E come fate voi a sapere questo? I = Eh... lo so per sentito dire. PM = Ma come per sentito dire? Chi gliel'ha detto? I = Eh... è stata una settimana all'ospedale e a me però non lo ha mai confermato. PM = E quando è successo? I = Non ricordo. PM = Ma era inverno o estate? 128 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO I = Non ricordo... sennò direi una bugia. PM = Ma mi scusi... ma chi gliel'ha detto? I = È stato un mio pensamento, ... un mio pensiero... Si è saputo, comunque, che è andata ad abortire. PM = ... Ma allora... voi avete detto che avete sentito dire che vostra figlia è andata ad abortire, in quanto lei (a quanto volete sostenere voi) consumava rapporti sessuali con questo Ruly da diverso tempo. Sostenete che Claudia è andata all'ospedale di un paese vicino al vostro per abortire (e che lei diceva che aveva il mal di pancia) ma non vi ricordate quando con esattezza. I = Sì esatto. Io con una delle altre mie figlie, siamo andati a trovarla una volta durante quella settimana. PM = Allora una delle due potrebbe confermare questa circostanza. I = Sì. PM = E in che reparto era? I = Non ricordo... PM = E i dottori che cosa vi hanno detto? I = Eh...ma quando siamo andati era l'orario delle visite e non c'erano dottori. PM = ...Ora con tutti questi "Non ricordo". ... Noi abbiamo bisogno di fatti certi. Difesa = ... Comunque il suo medico dice che il mio assistito soffre di problemi di amnesia... forse è uno di questi. I = Anche al dottore Claudia diceva che le faceva male la pancia. Difesa = Poi Claudia si è operata: prima ha subito un intervento di appendicite e poi anche un altro per una cisti ovarica o uterina. PM = ... Ma sentite ora... appendicite o cisti ovarica è una cosa, aborto è un'altra. Cerchiamo di dire cose credibili e dimostrabili in qualche modo e non derivanti da pensamenti. ... Mi può chiarire, per favore, come mai voi, in base a delle lamentele di vostra figlia (che all'epoca aveva 13/14 anni) per un mal di pancia, avete pensato che era stata ricoverata per abortire, quando vi erano tante e varie ipotesi? I = Perché lei non mi ha spiegato niente. 129 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO PM = Voi avete detto che prima non sapevate che tipo di rapporti vostra figlia aveva con Ruly, sapevate solo che lo frequentava, e avete scoperto solo di recente che aveva con lui anche rapporti sessuali. E allora perché all'epoca, avete subito pensato ad un aborto? I = Perché aveva rapporti con quello. PM = Sì ma voi lo avete saputo soltanto successivamente che li aveva. I = Sì l'ho saputo dopo, ma lei non ha spiegato il motivo per cui era andata all'ospedale. Io non ho saputo niente, solo che le faceva male la pancia. PM = Va bene andiamo avanti. Adesso vorrei sapere perché voi vi opponevate in maniera così tanto determinata a questo Ruly, cioè questo ragazzo, a parte il fatto che già ci ha detto ... che era albanese, ... che cosa vi ha fatto? Quali erano gli aspetti... I = ... 'sta razza d'uomo, ma che ne fai, signor giudice! Ma non ho capito... che ci sono tanti morti di fame in Italia, che si deve prendere un morto di fame peggio di me! PM = Sì, ... ma perché vi opponevate in questo modo visto che vostra figlia comunque gli voleva bene e lo ha frequentato per diversi anni? I = Sì ma io non lo sapevo che lo frequentava perché, da quando l'ho scoperta, ha detto che non lo vedeva più, invece era bugiarda! La vedevano gli altri. ... E poi una figlia minorenne che se ne usciva con quello, signor giudice, questo è giusto? E mi ha fatto questo bel piatto a me! PM = Inoltre vostra figlia Claudia ha dichiarato che voi spesso avete tentato di suicidarvi proprio per i sensi di colpa che provavate nei suoi confronti. I = Di colpa? Di colpa? PM = Cioè voi vi sentivate in colpa di consumare questi atti sessuali con vostra figlia e quindi per diverse volte avete cercato di suicidarvi. È così? I = Per quel fatto di mia figlia?! ... Era colpa mia mettiamo se io, sempre soldi, soldi, soldi... non ci potevo arrivare... PM = Sì... ma perché avete tentato di suicidarvi? I = Eh, ve l'ho detto... perché io non volevo per nessun motivo che stesse con quel ragazzo. PM = Avvocato, se voi volete fare qualche domanda prego. Difesa = Per quanto riguarda la domanda precedente volevo precisare meglio quanto ha cercato di dire il mio assistito: lui sostiene di aver tentato il suicidio perché, essendosi opposto a questa 130 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO relazione che la figlia Claudia aveva con questo ragazzo albanese, la figlia le ha risposto "Tu ti puoi anche suicidare o ti faccio uccidere, ma io questo ragazzo non lo lascio". PM = Allora nel momento in cui vostra figlia ha detto queste parole, voi vi siete suicidato. Ma scusi che senso aveva il vostro gesto, ... sarebbe rimasto inutile? I = Signor giudice, io ho fatto tanti sacrifici per fare grandi i miei figli, poi si deve prendere... uno che chissà è peggio di me, ma prenditi uno meglio! Perché ti devi infelicitare tutta la vita tua? Mettiamo che lui è dedito anche all'alcol e beve... PM = Voi dunque volete dire che vostra figlia si è inventata tutto questo perché voleva essere libera di vedere il suo ragazzo. È così? I = Sì, libera che deve fare quello che gli piace a lei. PM = Ma mi scusi i rapporti con vostra figlia Claudia come sono stati fino ad ora? Perché lei ha sempre detto di essere molto legata a voi, e che fin da piccola è sempre stata quella più vicina a voi, che vi ha sempre assistito quando avevate gli attacchi d'asma la sera, è vero tutto questo? I = Lo dice adesso, lo dice adesso che sono chiuso. PM = Ma è vera questa cosa? I = Lo dice adesso che sono chiuso. Veniva con una scusa di soldi, quando doveva telefonare a quello che era sempre senza soldi e allora veniva. PM = Cerchi di dirmi come erano i vostri rapporti con Claudia prima che lei parlasse di tutto questo: vostra figlia vi voleva bene come padre e voi le volevate bene come figlia? I = È figlia come lo sono le altre. PM = Sì. Ed è vero che vi assisteva quando la sera avevate gli attacchi d'asma? I = Qualche volta, qualche volta. Ma dal momento in cui ha messo in scena questo ragazzo, il padre non esisteva più, come fosse morto. PM = Quindi l'unico motivo di attrito è nato da quando c'è stato questo ragazzo? I = Sì, lei veniva solamente quando voleva soldi. PM = Ma perché secondo voi anche i vostri figli, oltre a Claudia, confermano quello che lei ha detto? Infatti l'unica che dovrebbe avercela con voi per eventuali attriti dovrebbe essere soltanto Claudia. I = Eh, ... non lo so... Ma è stata lei, lei a convincerli. 131 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Difesa = Signor giudice il mio assistito vuol così dire che questa vuol essere una congiura in famiglia, oltretutto questo ha aggravato anche i suoi problemi psichici. La figlia è una psicolabile. PM = Ma questa congiura della famiglia non è molto chiara e ovvia. Inoltre anche riguardo alla sua opposizione al fidanzamento tra Claudia e Ruly non è poi così chiaro in che modo questo possa aver creato tanti problemi tra voi e vostra figlia, in quanto voi a casa non stavate molto ma trascorrevate molto più tempo in campagna, quindi non potrà essere stata un'opposizione troppo forte a questo fidanzamento. I = Eh sì. PM = Perché ad un certo punto vostra figlia dovrebbe aver inventato tutto questo quando con Ruly usciva ugualmente e lo frequentava comunque, in quanto voi non vi siete opposto al fidanzamento se non a parole e con qualche litigio. Non capisco... quale poteva essere lo scopo di tutta questa invenzione? Ma perché vostra figlia dovrebbe provare per voi un odio così forte da compiere questo gesto? I = ... Ma... PM = Anzi, vi posso dire che vostra figlia, nonostante quello che ha raccontato, vi vuole molto bene e mi ha chiesto personalmente se voi potevate tornare a casa. I = Signor giudice, se mi voleva a casa non mi doveva fare quello che mi ha fatto. Perché quella voleva la sua soddisfazione! E questa mi vuole bene?! PM = ... Va be'... abbiamo finito. 4.5. Commento all'incidente probatorio di Claudia Questo è stato uno dei primi incidenti probatori di un minore per presunti abusi sessuali svolti in tale Tribunale. Non è stata dunque fatta l'audizione protetta (vista anche l'età non infantile della ragazza), ma è stato comunque rispettato il principio che prevede il sostegno psicologico al minore durante l'interrogatorio (art. 498 comma 4 c.p.p.). Claudia ha così risposto in aula alle domande postegli dal giudice, dal pubblico ministero e dagli avvocati della difesa (non filtrate così dallo psicologo). L'indagato è stato fatto accomodare nella Camera del Consiglio: non è stato quindi presente nella stessa aula per evitare che la sua presenza potesse turbare la minore, avendo essa già manifestato comprensibile ansia ed angoscia riguardo all'incidente probatorio che doveva essere eseguito. Nella 132 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Camera del Consiglio è stato collocato un altoparlante cosicché l'indagato è stato in grado di sentire quanto è stato detto nel corso dell'udienza. Solo l'età della ragazza (17 anni) al momento dell'incidente probatorio può eventualmente giustificare una tale procedura, in quanto di fronte a situazioni così difficili da gestire già da parte di coloro che sono esperti di tali problematiche non si può pensare di svolgere un interrogatorio con le comuni regole usate per gli adulti-testimoni. Il sostegno psicologico offerto a Claudia si è inoltre ridotto soltanto alla preparazione della minore al colloquio e all'intervento della psicologa al termine dell'interrogatorio, entrambe le fasi svolte fuori dall'aula giudiziaria. La prima domanda posta a Claudia è estranea alla vicenda e questa tecnica serve per creare una certa atmosfera più rilassante e familiare per la minore. (...) GIP = Ma che cos'è quella fotografia che hai in mano? C = Mia sorella e mio fratello. GIP = Sono i tuoi fratellini? C = Sì. Il GIP pone l'interrogatorio che verrà eseguito come una scelta di Claudia che ha deciso di rispondere alle domande. Con questo le ha fatto capire di essere libera di parlare e che nessuno la costringe. GIP = Senti...allora vuoi rispondere alle domande del collega PM? Devo dire pubblico ministero (PM) e usare questa frase formale. C = Sì. PM = Claudia, il 14 ottobre del 2007, ci fu una circostanza spiacevole in cui tuo padre ha cercato di suicidarsi: ricordi questa circostanza? C = Sì. PM = Tu sei stata sentita dai Carabinieri del tuo paese (...) ed hai riferito determinate circostanze che secondo te giustificavano il gesto di tuo padre: vuoi riferire al giudice che cosa hai riferito in quell'occasione ai Carabinieri? Subito Claudia evidenzia il contrasto che c'è tra se e le sue sorelle, per poter così cercare di descrivere la situazione di solitudine ed omertà che è stata costretta ad affrontare. 133 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO C = Ho riferito che per tutti mio padre aveva tentato il suicidio perché io stavo con un albanese, mentre io sapevo che non era quello il motivo, cioè lo sapevano anche le mie sorelle, però loro negavano. Lui mi aveva chiesto perdono qualche giorno prima e mi aveva detto: "Se tu mi vuoi bene devi lasciare stare l'albanese". La chiarezza, la precisione e la lentezza del racconto sono caratteristiche che vanno sempre ricordate ai minori, i quali hanno un metodo d'esposizione dei fatti diverso rispetto a quello degli adulti. E spesso chiedere ad un minore di essere più preciso nel raccontare il modo in cui ha subìto un abuso sessuale o la sensazione che ha provato non è facile, ma va fatto ugualmente utilizzando le parole giuste. GIP = Claudia racconta piano, altrimenti non riusciamo a seguirti. C = Mi aveva chiesto perdono per quello che mi aveva fatto e mi disse: "Io non mi sono reso conto se tu te ne eri accorta prima di quello che ti stavo facendo; perché non me lo hai detto prima!"; allora io ho detto: "Io ho sempre cercato di farti capire che stavo male". Infatti lui mi vedeva sempre che piangevo quasi ogni sera. PM = Claudia cerca di essere un pochino più chiara: tuo padre si opponeva a questo fidanzamento? C = Sì era geloso. PM = E perché era geloso? Il pubblico ministero in questo momento sta ponendo domande corrette che permettono alla minore di dare risposte autentiche e genuine, senza suggestione. C = Perché io credo che aveva paura che non stavo più con lui; infatti nell'ultimo periodo io avevo capito quello che stava succedendo e quindi mi allontanavo sempre di più. PM = E che cosa stava succedendo? C = Che lui abusava sempre di più di me, si impossessava sempre di più senza farmi capire quello che succedeva. PM = E vuoi riferire in che modo tuo padre si impossessava di te? C = Abusando sessualmente. PM = Claudia, purtroppo tu lo sai benissimo che devi essere un pochino più specifica. GIP = Quando è iniziato? C = Nel 2002 stavamo in campagna: in agosto è successo. PM = In campagna dove? Dove avete una casetta? 134 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO C = D'estate stavamo da una parte e l'inverno da un'altra. GIP = Per cui avevate due campagne, in due posti diversi? C = Sì ma non erano nostre, erano in affitto. GIP = Ci avevate gli animali lì? C = Sì, gli animali: avevamo circa duecento animali. Claudia sembra avere quasi la necessità di raccontare tutto il più velocemente possibile, forse per concludere così una situazione (l'interrogatorio) che le crea ansia. GIP = Tu hai detto nel 2002: in che periodo era, estate? C = Sì, estate, quando lui una notte si avvicinò a me... GIP = Aspetta: perché tu ti trovavi con lui in campagna? C = Eravamo solo noi: io già da piccola avevo iniziato ad andare in campagna, dall'età di sei anni, ... ed aiutavo mio padre la domenica a pascolare gli animali e poi quando doveva mungere (ad esempio la sera), e la mattina io ero costretta ad alzarmi. La mamma, talvolta, veniva la domenica. GIP = Quindi stavate in campagna d'estate? C = Sì. Nel 2002, in agosto, la notte lui si introdusse nel letto ed oltretutto mi disse cose spiacevoli che io non ho mai detto nemmeno a nessuno. Lui prima si avvicinò e mi spiegò che era tutto normale, che dovevo fare undici anni: avevo dieci anni e mezzo. GIP = Quindi voi eravate andati a letto? C = Sì. GIP = Stavate dormendo? C = Io stavo dormendo. Spesso Claudia evidenzia il fatto il fatto che mai lei avrebbe potuto pensare che suo padre potesse arrivare a compiere un gesto del genere. GIP = Nella stessa stanza avevate due letti? C = Sì, i letti erano più o meno attaccati quindi era facile avvicinarsi a me, ma io non pensavo mai una cosa simile e così la notte me lo sentii vicino e mi disse cose... GIP = Quindi tu stavi già dormendo e ad un certo punto ti senti tuo padre vicino? C = Sì. 135 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO GIP = Ma entrò nel letto e che disse? C = Mi aveva spiegato certe cose riguardo al sesso, queste cose qua, come si faceva; mi disse che lui quando aveva avuto il rapporto con la moglie il letto era pieno di sangue, tutte queste cose qua, che schifo, io non capivo niente, ero una bambina che non capivo quello che lui mi diceva, e poi mi riaddormentai perché comunque ero stanca, lavoravo... Inoltre ripete che, a causa della sua tenera età, non capiva che cosa il padre le diceva e soprattutto quello che lui faceva. Sembra quasi voglia scusare se stessa per non essere riuscita a capire e a fermarlo in tempo. L'unica cosa che pone in risalto è la sensazione di schifezza che lei prova. GIP = E lui ti stava sempre attaccato? C = Sì, e poi quella notte lui ha abusato di me, cioè io non mi rendevo conto di quello che succedeva. GIP = E che cosa ha fatto, te lo ricordi? Purtroppo devi descriverlo, Claudia, dai: tu eri con il pigiama? C = Mi abbassò il pigiama e le mutandine e penetrò con il suo pene nella mia vagina. GIP = Penetrò completamente? C = Sì. GIP = Ti fece male? C = Sì. Io poi vidi delle macchie e dissi a mio padre che cosa era e lui mi disse che era l'inizio del ciclo. GIP = Le macchie le vedesti subito dopo che ti aveva penetrato? C = Le vidi la mattina. GIP = La mattina sul letto? C = Sì, mi dissi "ma che cos'è?", io mi sono spaventata perché comunque avevo capito quello che era successo la notte e quindi poi lui mi disse che era il ciclo, ma non era il ciclo perché il ciclo mi è venuto un paio di anni dopo. GIP = Ma ti ha fatto molto male quando ti ha penetrato? C = Sì, ma io non capivo. GIP = Ed è rimasto per molto tempo penetrato dentro di te? C = Non mi ricordo. GIP = E ti ricordi se poi c'è stata l'eiaculazione, cioè se è uscito lo sperma anche? 136 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO C = Sì. GIP = Claudia non devi avere ritrosia di raccontare questi fatti perché sono fatti normali, come quando uno subisce una violenza o un pugno in faccia e racconta che gli è uscito il sangue, così, se tu avevi subito un fatto diverso, dovevi raccontare quello che era il fatto diverso, non c'è niente di strano. Quindi raggiunse...? C = (Fa cenno di sì con la testa). GIP = In quella circostanza quindi ci fu una penetrazione completa, ma hai visto tuo padre raggiungere l'orgasmo, provare il coito, il piacere, oppure...? Purtroppo sono domande che ti devo fare Claudia, lo sai. C = Sì, perché comunque poi mi sono sentita tutto il liquido addosso, una cosa schifosa. GIP = Quindi hai visto anche produrre liquido spermatico da parte di tuo padre? C = (Fa cenno di sì con la testa) ... Ma io non capivo che cosa era, se avessi capito allora... GIP = E la mattina dopo non disse niente? C = Niente, era come se non fosse successo niente, io rimasi la mattina a letto tutta sconvolta. GIP = Ma non uscisti nel campo? C = No, quella mattina mi rinchiusi in casa; quando lui tornò era proprio indifferente, non lo so come se fosse normale e così è andato avanti fino... GIP = Quando successe la seconda volta, te lo ricordi a distanza di quanto tempo? C = Capitava comunque circa due volte al mese; può darsi pure che capitava in una settimana tutti i giorni, poi da quando siamo andati in paese lì... GIP = Ma in campagna è più ricapitato? C = No, in campagna no. GIP = E in paese come avvenivano queste..., tuo padre che cosa faceva in sostanza? C = Lui essendo malato, soffre di asma e psoriasi, voleva molto le mie attenzioni, poiché era abituato che da quando sono nata stavo sempre con lui, cioè da quando siamo arrivati in paese io gli stavo sempre dietro perché comunque... Le mie sorelle sapevano pure loro che io ero legata a lui, è come se mi avesse cresciuto mio padre e non mia madre, in realtà è così. E quindi quando mio padre soffriva di asma loro mi dicevano "No, vacci tu, vacci tu, vagli a dare l'acqua tu" e loro facevano quello che volevano, cioè io guardavo lui come se fossi la moglie, cioè io non mi rendevo conto, a volte pensavo "ma se sono sua figlia, credo che è normale che io mi devo preoccupare per mio 137 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO padre, se sta male vado dal dottore": e spesso capitava che io passavo le nottate in piedi a guardare lui che si addormentava, mentre le mie sorelle dormivano. Da queste parole di Claudia si capisce come essa avesse assunto, in famiglia o comunque nel rapporto con il padre, il ruolo di sua madre, sostituendosi ad essa sia nell'assistenza all'uomo, sia poi nei rapporti sessuali. Gli altri membri della famiglia sembravano sapere tutto questo e favorire che ciò avvenisse. Da parte sua Claudia non incolpa la madre, che riconosce essere malata, e talvolta neanche il padre, al quale dice di essere molto legata. GIP = Quante sorelle hai? C = Tre sorelle e due fratelli GIP = E tutte e quattro dormivate nella stessa stanza? Questa è una domanda suggestiva, visto che la minore non ha ancora parlato dei problemi della madre. C = Sì da un paio di anni. Ma quando io mi dovevo occupare di mio padre dovevo dormire nella stanza di mia madre, così mio padre si addormentava vicino a me e le mie sorelle dicevano "Tu lo sai che papà è attaccato a te, quindi tu l'hai abituato che sei stata lì in campagna e tu ci stai". GIP = Ma tua madre non poteva accudire tuo padre o aveva dei problemi lei? C = È malata al 75%. GIP = È invalida? C = Sì con la testa: quando sono nata era già così. Ho sempre pensato, però, che la colpa non era sua ma che era di mio padre perché lei mi diceva sempre che mio padre, pure quando si sono sposati, all'inizio la faceva spaventare e tentava il suicidio; questa cose qua anche a casa le faceva: si metteva la cintura dei pantaloni alla gola per attirare la mia attenzione. GIP = Ritorniamo al fatto che le tue sorelle volevano che accudissi tuo padre. C = Sì, era proprio lui a volte che mi chiamava; quando vedeva che non ci andavo, prendeva le scarpe e le buttava alla porta per attirare l'attenzione, cioè si imbestialiva. Così le mie sorelle mi aggredivano e mi dicevano: "Adesso vai, è inutile che stai qui". Io con loro ci stavo poco perché dovevo stare sempre con mio padre; e quindi la notte poi io, stando in piedi, mi sedevo sul letto e poi mi ritrovavo nel letto con lui, mia madre e il mio fratellino, che stava nel letto matrimoniale perché aveva paura di dormire da solo. Io dormivo ai piedi del letto, ma poi mi ritrovavo su. Stavamo: mio 138 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO padre, io, mio fratello e mia madre. Io dormo lì praticamente da quando sono nata: sono stata sempre abituata così. E così mio fratello. GIP = E quando tu ti mettevi nel letto, cioè quando andavi lì e portavi l'acqua a tuo padre e lo accudivi, poi ti addormentavi sul letto e lui ha abusato di te anche in quelle occasioni? C = La notte aspettava che mi addormentavo io e tutte e tre le mie sorelle e mi svegliavo che lui stava già penetrando dentro di me, allora quando io mi accorgevo che lui stava per arrivare all'orgasmo scappavo e mi andavo a lavare nel bagno; è successo così fino a questa estate quando è venuto nella mia stanza quando le mie sorelle più grandi non c'erano. È venuto ed ha bagnato il letto ed io, poi, per paura che mi avrebbero picchiato, che avrebbero capito quello che succedeva, ho cambiato le lenzuola e mi sono tenuta io il lenzuolo bagnato di tutta quella schifezza e loro non si sono accorte di niente. Io gli dicevo: "Vattene, vattene". Claudia descrive il padre come un padrone al quale doveva obbedire e che doveva curare. Una tipica paura dei minori nelle situazioni di abuso intrafamiliare è che gli altri membri della famiglia possano scoprire i fatti. Anche in questo caso, infatti, Claudia cambia le lenzuola del letto per non far scoprire niente alle sorelle. PM = Claudia devi andare un po' più piano ed essere più precisa: non abbiamo fretta. Voglio capire bene come si verificavano questi abusi di tuo padre, devi essere un po' più precisa. Tu hai detto che facevi assistenza a tuo padre perché soffriva di asma: cosa facevi la sera, cosa accadeva? Claudia giustifica il fatto che il padre chiedeva sempre di lei per le cure di cui aveva bisogno in base al legame più forte d'affetto che li univa. Di questo - seppur può apparire paradossale - sembra quasi essere contenta perché privilegiata rispetto alle sorelle. Bisogna infatti ricordare che, nelle situazioni di abuso intrafamiliare, anche se il padre è stato un violento abusante, per la/il figlia/o rimarrà, comunque, suo padre e un sentimento di "quasi-affetto" nei suoi confronti lo proverà sempre. C = Io ero solita preparargli anche la scodella per andare al lavoro. Quando poi la sera tornava preferiva trovarmi a casa, ci dovevo essere e basta; poi la sera gli venivano sempre gli attacchi di asma e mi chiamava PM = E non poteva chiamare pure le altre: perché chiamava sempre te? C = Perché comunque alle altre mie sorelle non era legato: loro non l'hanno mai potuto vedere. Anche con una di loro ci aveva provato, ma non c'era riuscito (me lo ha detto lei) e lei glielo rinfacciava parecchie volte. E quando vedeva che mio padre mi dava attenzione lei diceva: "Lasciala stare Claudia, gli stai sempre attaccato, sembrate due fidanzatini": cioè quindi loro avevano capito. 139 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO GIP = Che cosa accadeva allora quando tuo padre la sera poi ti chiamava? C = Io andavo lì e gli dicevo "Che c'è?" e lui si faceva vedere che aveva l'asma, faceva quei sospiri, ed io dicevo "Ma che cosa devo fare?", cioè se la faceva venire talmente tanto l'asma che mi faceva preoccupare. Allora io gli portavo l'acqua e stavo lì; mentre stava male mi chiedeva "Ma tu mi vuoi bene, ma tu vuoi che devo morire?" ed io dicevo "Ma sì, ma che c'entra... adesso devi morire, ma che ti succede?" e lui mi rispondeva "No, ma tu mi vuoi bene? Sei sicura?" ed io gli dicevo "Ma tu non mi devi fare queste domande perché è normale che una figlia voglia bene al padre, ma ti rendi conto che tu invece non mi vuoi bene come un padre, tu ti stai impossessando di me", cioè io comunque cercavo di farglielo capire in un modo o in un altro, e poi lui mi vedeva piangere e alla fine avevo pure iniziato a bere la birra. GIP = Tu hai iniziato a bere? C = Sì, da un bel po' perché lui sapeva che ormai avevo capito che era molto male quello che mi faceva, che non era un gioco e quindi io mi andavo a comprare la birra, bevevo davanti a lui, a mia madre e tutti mi dicevano che non dovevo bere, però sapevano il motivo. E quando ero sola con mio padre e mia madre era in cucina, gli dicevo "È tutta colpa tua se io bevo, non ti rendi conto!"; ma io bevevo perché volevo essere totalmente ubriaca che dovevo dire tutto a mia mamma e invece poi lui mi portava nella mia stanza. PM = Ritorniamo, allora, a quando tu portavi l'acqua a tuo padre: che cosa accadeva? C = Nella stanza da letto eravamo soli io e lui; io avevo paura e così chiamavo pure mia mamma, però lei diceva che a lui non importava di lei: "Vuole te, Claudia, che devo fare io se quello vuole te, mica devo stare qui anch'io!" - diceva. PM = E poi che cosa succedeva? C = Mia mamma se ne andava e rimanevo sola io nella stanza. Poi lui mi faceva sedere vicino al letto, aspettavo che gli passasse l'asma, ma niente; come si accorgeva che io me ne andavo, lui si svegliava e si faceva venire l'asma, ed io me ne stavo lì a guardarlo; poi, se capitava che gli passava ed io me ne andavo a dormire nel mio letto, per tutta la notte mia mamma o mio padre mi chiamavano. Spesso mia mamma mi diceva: "Claudia, ti vuole tuo padre, alzati!" oppure veniva a chiamarmi proprio nel letto. Poi ultimamente mi rifiutavo di fare questa cosa, cioè che lui insisteva che gli dovevo stare per forza vicino, e quindi ero arrivata al punto che mi mettevo i tappi nelle orecchie per non sentire. Ma poi ero costretta ad andare, anche perché le mie sorelle mi dicevano. "Tu ci devi andare per forza perché lui ti vuole bene, è così attaccato a te!". PM = E quindi tutta la notte alla fine restavi vicino a tuo padre? 140 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO C = Quando mi accorgevo che lui stava per arrivare, che lui penetrava dentro di me, che stava arrivando all'orgasmo, io mi chiudevo nel bagno e stavo un po' lì. Capitava pure che mia madre a volte si svegliava e mi diceva "Claudia ma che cosa fai nel bagno?" ed io, tutta sconvolta, me ne andavo nel mio letto nella mattinata, perché erano quasi sempre verso le quattro. La minore descrive i momenti in cui avviene l'abuso sempre in modo molto dettagliato: non solo parla di cosa faceva il padre, ma anche dei pochi momenti di interessamento della madre nei suoi confronti e dei suoi tentativi di reazione. Spesso riporta intere frasi che lei o qualche altro membro della famiglia ha pronunciato e questo fa apparire la sua testimonianza ancora più credibile. PM = E cosa accadeva, invece, quando dormivi lì nel suo letto? C = La notte lui mi abbassava le mutandine e il pigiama e penetrava dentro di me, a volte mi tirava proprio su, dalla parte di sopra, e capitava che mia mamma si svegliava e così lui diceva "Dove sono i piedi di Claudia?"; ed io poi sentivo dolore ogni volta che penetrava dentro di me. PM = E tu che facevi in quelle circostanze? C = Io con le mani lo spingevo perché non volevo che doveva penetrare dentro di me. PM = E poi? C = E poi quando mi accorgevo che lui mi teneva forte le gambe, cioè io mi accorgevo che arrivava all'orgasmo, mi alzavo con la forza e me andavo. GIP = Scusa, ma non facevate movimento e rumore? Tua madre non si è mai svegliata? C = Mia madre si svegliava quando sentiva movimenti e parecchie volte lui diceva: "Ma dove sono le gambe di Claudia?". Lui come vedeva che mia mamma si svegliava, subito si toglieva: è stato furbo. PM = Ma tua madre è incapace di intendere e di volere, nonostante l'invalidità del 75%? C = Non lo so, lei a me non ha mai chiesto se stava succedendo qualcosa, se ha capito quello che è successo. PM = E tuo fratello non ha mai visto niente? C = No, ma lui aveva solo quattro anni. PM = Ma durante questi rapporti ti sei mai trovata bagnata dal liquido spermatico? C = Sì, sempre bagnata. 141 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO PM = Ma io per bagnata intendo con dello sperma dentro la vagina? C = Sì, perciò io mi andavo a lavare, perché avevo tutto quel liquido addosso a me, vicino alle gambe e andavo a lavarmi. PM = Quindi hai trovato anche dello sperma vicino alle gambe, è così? C = Sì. PM = Con che periodicità accadevano questi rapporti? C = Circa due volte al mese; poi se lui stava male io andavo tutte le sere ma, se lui una sera era soddisfatto, mi lasciava stare per qualche giorno anche se io andavo da lui ad accudirlo. Questa domanda era già stata fatta in precedenza, ma anche se doveva servire per dare maggiore conferma alle parole dette dalla minore non doveva essere posta in modo così suggestivo. PM = Senti ma l'orgasmo, voglio chiarirti questo; c'è una differenza tra coito ed orgasmo: il coito è il piacere, cioè tu vedevi tuo padre ansimare, avere piacere oppure tu lo vedevi proprio raggiungere, diciamo come risultato finale, produrre il liquido spermatico, per cui raggiungeva il piacere massimo? C = Raggiungeva il piacere massimo e nello stesso tempo... cioè quando lui se ne usciva il liquido mi rimaneva a me sulle gambe. PM = Quindi diciamo raggiungeva l'orgasmo non dentro di te ma fuori? C = Sì, non dentro di me. PM = Senti, andiamo all'ultimo episodio, quello che poi, diciamo, avrebbe indotto tuo padre a tentare il suicidio. C = La notte tra il 5 e il 6 ottobre 2007 eravamo sole nella stanza io e la mia sorella più piccola. Ma lui era già venuto anche la notte prima, ma riuscii a buttarlo giù dal letto e gridai talmente forte che mia mamma si è alzata e l'ha visto in piedi nella mia stanza che mi fissava, ed era solo con le mutande lui; poi lui ritornò nella sua camera e non so che cosa ha detto a mia mamma, ... se le disse forse che mi aveva sentito parlare da sola. La sera successiva (notte tra il 5 e il 6), mentre dormivo (era sul tardi), mi trovai mio padre a fianco e quando ho iniziato a gridare (ho detto soltanto "Ma'") lui mi ha messo la mano sulla bocca e poi si è messo su di me e ha... PM = Quindi tu hai gridato quando tuo padre stava vicino al letto (ancora non su di te)? C = Lui era a fianco a me ed io gli ho detto "Vattene!": però lui non ha voluto sentire e me lo sono trovato nel letto. 142 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO PM = Lui era nudo o vestito? C = Lui era solo con le mutande ed io con il pigiama. Io poi mi sono trovata già con le mutandine e il pigiama su di me, mi ha messo la mano sulla bocca, perché io avevo gridato "Ma'", però mia madre non mi ha sentito e così lui ha continuato. GIP = E tu non hai cercato di reagire, di muoverti, di allontanarti? C = Sì io ho cercato di reagire, però era talmente pesante su di me che non sono riuscita a liberarmi. GIP = Quindi ti ha allargato le gambe, cioè ti ha costretta a fare questo atto oppure tu sei stata consenziente? C = No, mi ha costretto. GIP = In che modo? C = Perché mi teneva lì con la forza: io ho cercato di reagire ma lui era pesante su di me che non potevo. Lui mi diceva. "Zitta, zitta!". GIP = Ma perché non hai chiuso le gambe? Cioè voglio dire: se una donna non vuole avere un rapporto, chiude le gambe, le stringe: lui che ha fatto te le ha allargate con la forza oppure le ha allargate poi dopo? C = Me le ha allargate lui con la forza e si è messo su di me e quindi io dovevo stare per forza con le gambe aperte. Lui mi tirava e mi diceva che dovevo rimanere lì. GIP = E che ha fatto? C = Ha penetrato con il suo pene nella vagina e ha raggiunto l'orgasmo dentro di me. GIP = Dentro di te? C = E poi un po' me lo sono trovato pure sulla pancia e talmente della schifezza quella notte è stata l'unica notte che non mi sono andata a lavare, mi sono soltanto spogliata perché mi facevo schifo, cioè era così schifosa quella cosa che... GIP = E dopo che ha raggiunto l'orgasmo tuo padre è andato nella sua stanza? C = Se ne è andato normale e mi ha lasciato lì come se io fossi un cane. GIP = E tu che cosa hai fatto? C = Io, sentendomi tutta questa cosa addosso, mi sono spogliata e ho buttato tutto in terra e sono rimasta nel letto a pensare a quello che era successo. GIP = E tua sorella, che era nella vostra stanzetta, non si è accorta di niente? 143 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO C = Non lo so, credo di no. GIP = E allora, senti, questo tentato suicidio di tuo padre (del 14 ottobre) tu come lo spieghi? Cioè come l'hai giustificato dentro di te? Perché tuo padre poi all'improvviso cerca di suicidarsi bevendo la creolina? C = Perché si sentiva in colpa, perché lui l'aveva capito che mi aveva fatto la notte tra il 5 e il 6, che era la cosa più sbagliata che poteva fare. GIP = Scusa, Claudia, forse ad un certo punto tu hai riferito di tutti questi episodi a qualcuno? C = Sì a mio fratello Pietro - che lavora fuori - il giorno 9: prima di allora non ne avevo mai parlato con nessuno. GIP = E perché hai sentito allora l'esigenza di parlarne con tuo fratello? C = Perché stavo veramente male e perché mi ero resa conto che quello che stava succedendo era sbagliato e che in un modo o in un altro dovevo reagire. E quando lui è tornato gliel'ho detto. Avevo deciso di dirglielo appena arrivato, poi non lo so ho avuto paura di dirglielo perché non mi sembrava giusto, era appena arrivato, ed allora ho pensato "rimando". Poi è successo che mio padre ha capito che io l'avrei detto a mio fratello e così mi ha detto "Non dire niente perché sennò sai che succede!", ma poi ha capito che io avrei comunque parlato e così se ne è andato per due giorni in campagna. GIP = A tuo fratello hai raccontato tutti questi episodi che hai detto a noi? C = No, solo quello della notte tra il 5 e il 6 perché io stavo male e non avevo nemmeno la forza di... GIP = E tuo fratello che ha detto? C = Mi ha detto che se avesse avuto mio padre in quel momento lo avrebbe ammazzato. Poi quando mio padre è tornato dalla campagna mi ha detto mio fratello che l'ha affrontato. A me ha detto "Tu vai nella tua stanza", ma io ho sentito da dietro la porta che lui diceva a mio padre: "Ma come hai potuto fare una cosa del genere, è una bambina!". E lui ha risposto "No, ma quella era lei che lo voleva!", così quando ha detto così sono uscita fuori e ho detto: "Ah! Ero io che venivo da te? Ma sai che ti sbagli proprio!". E mio fratello ha detto: "Ma se pure era così, tu dovevi capire perché tu hai 50 anni e lei 16, e lei ne aveva 11 e tu 46! Non pensavo di avere anche un padre malato, oltre ad una mamma!". Poi mio padre si è messo a piangere e a dire a me: "Mi dispiace, mi dispiace!". PM = Quindi questo tentato suicidio di tuo padre è ricollegabile al fatto che tuo fratello aveva scoperto...? C= Sì. 144 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO PM = Ma dopo che tuo fratello ha saputo, tu hai reso noto il fatto anche a tua madre e alle tue sorelle? C = No a mia madre no. Io guardavo mio padre con odio e lui me dispiaciuto; le mie sorelle dicevano guardandoci: "Ci fate schifo, schifo tutti e due, non vi vergognate, noi ammazzeremmo non solo lui ma anche te che potevi parlare pure prima!". Ed io stavo lì zitta e lui non si sentiva più accettato in casa e così quella sera ha tentato il suicidio. Mi ha detto: "Perdonami, io non mi rendevo conto se tu avevi capito prima il male che ti facevo, me lo dovevi dire, ma tu lo devi riconoscere, è pure colpa tua!"... Mesi prima del primo episodio mio padre spesso mi diceva "Ti è cresciuto il seno, fammi vedere, fatti toccare" e cercava di toccarmi; ma io mi opponevo e gli dicevo "Ma chi sei tu per farmi questo, ma ti rendi conto di quello che stai facendo?". Ma lui lo vedeva come un fatto normale, come se un padre può fare questo su di una figlia. Io poi gli dissi: "Preferisco farlo mille volte di più con il mio ragazzo che con te!". E lui mi ha risposto: "Ah, preferisci fare l'amore con il tuo ragazzo e non con tuo padre?". PM = E tuo padre non si è mai interessato del tuo ciclo mestruale, non ti ha mai chiesto se ti erano venute o meno le mestruazioni a fine mese? C = Sì. Un mese, poi, non mi arrivarono ed io mi preoccupai molto e dissi a mio padre la sera, quando non c'era nessuno in casa, "Guarda che io vado dal dottore"; ma lui mi disse "No, tu non ci devi andare!" ed io poi non ci andai e dissi "Vabbè, aspetto, se proprio vuoi che non ci devo andare". E poi mi domandava "Ma ti è arrivato?". Io stavo sempre con l'ansia che non mi arrivavano, ogni volta che lui abusava di me avevo sempre quella paura. PM = Ma che tu sappia queste cose che tuo padre faceva con te, le faceva solo con te o anche con le tue sorelle? C = Mia sorella grande mi ha detto che con lei ci ha provato. PM = E ci ha provato come? C = Mi ha detto che ci ha provato in campagna con lei ma...non lo so, e poi domandammo a casa, a tavola, a mio padre "Perché hai fatto una cosa del genere? L'hai fatto pure a lei?". A lui sembrava tutto normale. Cioè quando noi gli abbiamo chiesto, ... io gli ho detto "Tu non l'hai fatto solo con me, l'hai fatto pure con mia sorella", lui ha detto "No, tua sorella è stata più seria di te: quando io c'ho provato con lei, lei mi ha dimostrato che è una ragazza seria". Allora io gli ho detto "Ma come, ci provi con le tue figlie per vedere se le tue figlie sono serie o no?! Ma che te ne importa a te! Ma dove si vede la serietà che tu dimostri ai tuoi figli?" . 145 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO PM = Senti... con te ha provato qualche altro membro della famiglia ad avere rapporti sessuali? C = Sì, il patrigno di mio padre che veniva spesso a casa nostra. PM = Che cosa faceva questo patrigno, che ha fatto? Cioè come hai fatto a capire che ci aveva provato con te? C = Ci voleva provare, ... cioè mi diceva di toccarlo o di abbassarmi i pantaloni. Le mie sorelle mi avevano detto che anche con loro usava questa tattica. Infatti dicevano sempre alla più piccola che quando c'era il nonno non doveva mai rimanere con lui da sola. Glielo dicevano sempre. Mio padre una volta lo cacciò mio nonno, ma lì per lì io non sapevo che mio padre sapeva quello che mi voleva fare. PM = Senti... tu sei fidanzata adesso? Attualmente hai un amichetto, un ragazzo con cui ti frequenti? C = Ruly, lo conosco da più di due anni. PM = E con Ruly hai mai consumato rapporti sessuali? C = Sì. PM = E prima di Ruly hai avuti altri ragazzi? C = No. PM = Hai fatto l'amore con altri ragazzi? C = No. PM = E Ruly era a conoscenza degli abusi che tuo padre consumava su di te? C = No, anzi...quando ci siamo messi insieme, i primi giorni, io era molto fredda e lui mi chiese: "Ma ti è successo qualcosa che sei così?". Ed io dissi: "No, non ti preoccupare". PM = E lui non si è accorto... voglio dire... che in precedenza tu avevi avuto esperienze sessuali con altre persone? C = No, non si è accorto. Anche perché lui lì per lì mi ha chiesto perché non avevo avuto perdite di sangue ed io cercai in un modo o nell'altro... gli dissi "No è normale, non ti devi preoccupare". Anche perché io già sapevo in quel periodo, quando avevo avuto il primo rapporto con Ruly, che mio padre non mi aveva proprio toccato e quindi pensavo - come diceva mio padre - che si richiudeva e quindi ho detto questo. GIP = Si richiudeva l'organo genitale? 146 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO C = Sì. GIP = Senti... con Ruly sei sicura di aver avuto rapporti sessuali una sola volta o ce ne sono stati altri? C = No solo a giugno è capitato un paio di volte. GIP = Un paio di volte? Quindi non una volta soltanto? C = Sì. GIP = E ti ricordi dove è successo? Dove vi siete incontrati? Il GIP giustifica a Claudia la domanda che le ha fatto. È giusto dar conto al minore esaminato in audizione protetta di ciò che le viene chiesto: è un atteggiamento di chiarezza nei suoi confronti. C = Eravamo vicino a casa mia, in una casa in costruzione, abbandonata. GIP = In una casa in costruzione. Questa domanda te l'ho fatta per capire la tua sincerità: anche Ruly ha detto questo esattamente. C = Sì. È successo in questa casa in costruzione, lì, ma poiché io avevo sempre paura di mio padre perché ero costretta a nascondermi, perché lui mi seguiva quelle poche volte che uscivo. PM = Senti... tuo padre ha mai saputo di questo tuo fidanzamento con Ruly? C = Gliel'ho detto io dopo nemmeno venti giorni. Appena lui l'ha saputo, sia lui che mio fratello mi hanno ridotta in un modo... PM = E perché ti hanno picchiata? GIP = Quindi tuo fratello Pietro ti ha picchiata? C = Sì. GIP = Pietro e tuo padre? C = No, in questi mesi no; mi ha picchiata successivamente quando mio padre mi ha detto a me... e allora io gli dissi: "Papà guarda che io sto con un ragazzo albanese ed io gli voglio bene e lui mi vuole bene". E lui mi ha detto: "Va bene". Quella sera sembrava tutto tranquillo perché lui pensava che io lo lasciavo. Invece io non lo lasciai. Lui è ritornato a casa e come è entrato, davanti alla porta, mi ha tirato uno schiaffo e poi lui si è messo alla ricerca di sapere chi era. GIP = Chiedeva informazioni? C = Sì, se ne è uscito. E poi alla fine io l'ho lasciato lui dopo due mesi. GIP = E perché? 147 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO C = Perché mio padre mi ha detto che lo dovevo lasciare, altrimenti lo picchiava. Adesso, ultimamente, diceva pure che si voleva comprare una pistola. PM = Tuo padre sostiene che lui ha cercato di suicidarsi perché era rammaricato, dispiaciuto per questo tuo fidanzamento con Ruly. È vera questa circostanza, secondo te? C = Cioè che lui... PM = Tuo padre dice "Io ho cercato di suicidarmi perché non volevo che mia figlia frequentasse Ruly". C = Sì credo che era pure quello il motivo, ma perché scopo suo. GIP = Ti ha mai detto "Guarda che se continui a stare con Ruly io mi suicido?". C = Sì me l'ha detto, pure dopo che è stato in ospedale. Ha chiamato mio fratello in ospedale due giorni dopo e gli ho detto "Pensavo che rispondesse mio fratello al telefono. Mi passi Pietro?". E quello: "No sono papà; parla con me". Ed io ho risposto: "No non voglio parlare con te, voglio parlare con Pietro". E quello mi ha detto: "Ma dimmi una cosa, ancora stai con l'albanese?". Poi è arrivato mio fratello e gli ha detto: "Ma ancora non l'hai capito che la devi lasciar perdere?". GIP = Ma Pietro non sapeva niente di tutto quello che era successo tra te e tuo padre, degli abusi? C = Lo sapeva già questo: è successo dopo il fatto della chiamata in ospedale, dopo il tentato suicidio. GIP = Ma Pietro ti ha picchiato per la storia con l'albanese? C = Sì mi ha picchiato. Lui e mio padre, perché io gli volevo bene a Ruly e non volevo lasciarlo e continuavamo a sentirci e vederci e lui mi ha detto: "Non hai capito che lo devi lasciar stare? Papà ha detto così e così deve essere. Quando hai diciotto anni fai quello che vuoi". Allora quando ha scoperto che io ci stavo ancora - perché mio fratello non sopporta le bugie - mi hanno picchiato lui e mio padre, che c'era pure mia nonna quel giorno a casa. PM = Senti...ma non c'è stato nessuno della famiglia che si è accorto di questo tuo rapporto particolare con tuo padre, di questo legame un po' particolare che legava te a tuo padre e tuo padre a te? C = Mia zia Lucia. Da molto tempo se ne era resa conto. Infatti dopo il funerale di mio nonno, poiché Ruly aveva aiutato a portare la bara, mio padre mi aveva aggredito dicendo che ero stata io a portarlo e tutte questa storie qua. Allora quando mio padre se ne andò dentro, mia zia mi disse: "Io non credo che sia quello il motivo. Ma perché tuo padre è così attaccato a te? Cosa è successo?". Ed 148 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO io le ho detto: "Se tu sei una zia devi capire che cosa è successo". Infatti poi non ne abbiamo più parlato. Però poi quando lui ha tentato il suicidio io ho detto a mia zia: "Che se ancora non hai capito... questo e questo è successo". PM = Ah, le hai parlato? C = Sì quando mio padre era in ospedale perché lei è venuta a casa e voleva sapere le sue condizioni; allora gli ho detto: "Questo e questo è successo". E lei si è messa a piangere. PM = Quindi hai raccontato a tua zia tutti gli abusi che tuo padre ha fatto su di te? C = Sì. Lei si è messa a piangere perché comunque mi credeva e poi quando mio hanno chiamato a fare la visita dal ginecologo io ho chiamato pure lei perché mia sorella prima ha detto di sì, che veniva, e poi si è rifiutata e non è venuta. Poi ho chiamato mio fratello e lui mi disse: "No, tu ci devi andare dal dottore perché se hai qualche malattia o qualche cosa lo devi sapere ora...perché tu sai che papà è malato o che se ti mischia qualche cosa è meglio che lo sai". E poi mi disse ancora: "Ma dillo a mamma se viene". Io ho parlato con mia mamma, ma lei mi ha detto "No, no io non ci vengo", perché lei è scossa dai Carabinieri perché anche lei ha fatto una causa qui in tribunale. PM = Una cosa voglio capire: tua zia aveva compreso quello che faceva tuo padre o tu gliel'hai detto specificamente? C = La sera dopo il funerale lei aveva capito qualcosa. GIP = Il pubblico ministero vuole sapere quando tu hai riferito di questi episodi a tua zia? S = Dopo il tentato suicidio di mio padre. GIP = Quindi le hai detto chiaramente quello che era successo. C = Sì e lei l'ha riferito a mia nonna. GIP = Però lei aveva intuito qualcosa il giorno del funerale? Tu hai detto questo? È giusto, durante l'audizione protetta, fare ogni tanto un riassunto di quanto detto dal minore. Ciò permette sia di verificare se quanto appreso è quello che il testimone voleva esprimere, sia di far capire al bambino che l'interlocutore lo sta ascoltando. C = Sì. GIP = Adesso...per riassumere brevemente: quando tu sei stata in campagna da sola con tuo padre è iniziato il primo abuso nell'agosto del 2002: tu così hai detto...poi lui ci ha riprovato altre volte, cioè lui ha approfittato di te altre volte mentre stavate in campagna? C = Tentava ma non c'è riuscito. 149 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO GIP = Poi dopo, tutte le altre volte si sono verificate a casa? c = Sì. GIP = A casa quando lui ti chiamava ed era a letto con tua madre e il tuo fratellino, là gli portavi l'acqua e lui approfittava di te? C = Sì. GIP = Mi hai detto poi in un passaggio che tua madre qualche volta sentiva qualche rumore e si svegliava e così tuo padre si toglieva da sopra. È così, ho capito bene? C = Sì. Si svegliava di più quando andavo in bagno. GIP = Cioè alla fine insomma? C = Sì. GIP = Cioè quando tuo padre ti stava sopra e ti penetrava, lei non si è mai svegliata o si è girata? C= Lei sentiva rumori e chiedeva i piedi miei dove erano e li metteva vicino a quelli di mio fratello. GIP = Quando tua madre si svegliava e chiedeva qualche cosa, tuo padre si fermava? C = Sì. PM = Ricordiamo, comunque, che parliamo di una donna che ha il 75% d'invalidità. Difesa = Sì ma che c'entra, c'è comunque una presenza. PM = Quindi voi eravate abituati a dormire in quattro in un letto in sostanza? C = Sì. PM = Questo letto matrimoniale quanto è grande? C = Come un letto matrimoniale. PM = Gli abusi che tuo padre ti faceva avvenivano di solito a notte inoltrata o nelle prime ore? C = La notte tardi, mentre gli altri dormivano. I vari studi di psicologia svolti sulle audizioni dei minori hanno evidenziato che l'aggiunta di particolari nel racconto, anche se insignificanti per la verifica della commissione del fatto, sono indice di un racconto veritiero. PM = Ed infine si è verificato quell'episodio tra il 5 ed il 6 ottobre? C = Sì. PM = Queste ultime due volte sono successe nella camera da letto tua e delle tue sorelle? 150 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO C = Sì. PM = Senti... tu hai detto che sei stata fidanzata con Ruly per due anni circa. Ma quando uscivi con lui tornavi a casa tardi oppure avevi un orario? C = No, cercavo sempre di tornare a casa prima che mio padre veniva sennò lui sarebbe venuto a cercarmi e mi avrebbe picchiato. Comunque circa verso le sei ero a casa e uscivo verso le quattro e mezzo, le cinque. PM = Ma è mai successo che una sera era tardi e non eri ancora tornata a casa e tuo padre ti è venuto a cercare per tutto il paese? Cioè è mai successo che sei tornata verso le nove, le dieci? C = No mai. PM = Quindi tu e Ruly vi incontravate dalle quattro alle sei di pomeriggio? C = Sì. PM = E così dalle sei in poi tu stavi a casa e non uscivi più? C = Sì. Poteva talvolta capitare che lui tardava e così anch'io tornavo un po' dopo. Ed altre volte capitava che tornavo e lo trovavo che era già tornato ed era in giro per il paese ad ispezionare. Poi oltretutto mi aveva messo le spie perché spesso incontravo mio cugino che mi diceva: "Tu quello lo devi lasciare stare. Tuo padre mi ha detto che ti devo sorvegliare". Tutti le stesse cose mi dicevano. PM = Ma le tue sorelle tornavano più tardi di te la sera a casa? C = Sì. Loro facevano quello che volevano perché tanto c'ero io a casa. Perché se io non ero a casa mio padre andava a giro per il paese a cercarci, mentre se io ero a casa era tranquillo e non andava e così pure loro erano tranquille. PM = Tu mi hai già riferito nel mio ufficio queste cose che hai raccontato oggi, ti ricordi? C = Sì. PM = Ma quella volta non hai riferito la circostanza che quando si verificavano questi abusi di notte nel letto c'era anche il tuo fratellino. Perché non me lo hai detto allora? C = Perché non mi sembrava importante. PM = Quindi oggi confermi che ogni volta che si verificavano questi abusi c'era sempre il tuo fratellino? C = Sì. 151 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO PM = E lui dormiva in quei momenti e quindi non si accorgeva di niente oppure si accorgeva pure lui di qualche cosa? C = Credo di no. Lui ha un sonno pesante. PM = Prima di venire qui a raccontarci tutto quello che hai detto, hai subito delle pressioni da chicchessia per non rivelare tutto questo, cioè da parte dei tuoi familiari o di altre persone? C = Sì erano tutti d'accordo che io dovevo ritrattare, anche l'avvocato qui presente. Cioè si era deciso che io dovevo cercare di far capire al giudice che ero nel dubbio, che io ero "caduta" con più uomini. E dovevo usare questo termine per far capire che ero di poco valore. GIP = Queste cose sono successe dopo l'arresto di tuo padre? C = Sì. GIP = E chi è che ti ha detto che dovevi cercare di confondere la situazione? C = L'avvocato di mio padre, mio fratello Pietro e mia sorella. GIP = I tuoi parenti, tuo fratello e tua sorella cosa ti dicevano? C = Dicevano che dovevo ritrattare perché sennò mio padre rimaneva in galera. Dicevano che non dovevano far capire le cose reali e dire che ero stata con più ragazzi, usando il termine "caduta" in modo da giustificare la visita ginecologica. Tutto questo era stato pensato dall'avvocato di mio padre perché, essendo il suo avvocato, doveva farlo uscire. Mio fratello ha cercato di farmi venire i sensi di colpa, dicendomi che papà ha la psoriasi e che stava male. E poi mi ha detto: "Ti ricordi cosa devi fare quando ci sarà l'incidente probatorio?". Ed io gli ho detto: "Io dirò la verità, perché la verità è la migliore cosa". 4.6. Interrogatorio della psicologa PM = Dottoressa lei ha ricevuto da me l'incarico di assistere dal punto di vista psicologico la minore e di redigere una relazione in ordine alle condizioni psicofisiche della stessa. Vuole riferire quali sono stati gli esiti della sua relazione e quali poi sono state le sue conclusioni? Psicologa = Sì, io ho assistito all'audizione della minore la prima volta... mi pare nel novembre del 2007. È stata fatta un'audizione congiunta, c'erano anche il pubblico ministero ed il giudice per il Tribunale per i minori. Ricordo sia il contenuto delle dichiarazioni della minore, sia la sua sofferenza, perché in quella situazione Claudia era già stata sentita in precedenza. Invece nell'audizione del novembre del 2007 era in una situazione psicologica di grande disagio per il fatto 152 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO che alcune figure parentali l'avevano condizionata e quindi lei aveva detto che tutte le dichiarazioni fatte precedentemente non corrispondevano al vero. Aveva detto che aveva mentito prima: quindi era stata un'audizione particolarmente angosciosa per la ragazza perché è stato necessario darle tutto il tempo per calmarsi, riflettere e poi raccontare quello che in realtà aveva già raccontato con altri elementi, con altri dettagli. PM = Ha spiegato lei oppure l'ha spiegato la ragazza stessa questo suo iniziale atteggiamento? P = Claudia l'ha spiegato semplicemente, purtroppo questa è una situazione che si verifica molto spesso: una situazione di violenza intrafamiliare. Sostanzialmente lei nelle sue dichiarazioni iniziali, che se ricordo bene ha fatto anche alla presenza di alcuni fratelli o del fratello o di una delle sorelle non ricordo - aveva raccontato di aver subito questi gravi fatti di violenza da parte del padre da quando aveva /11 anni. Successivamente, proprio al livello di dinamica familiare, si era creata una situazione particolare, per cui sembrava che le dichiarazioni di Claudia dovessero poi sconvolgere completamente l'equilibrio di questa famiglia, cioè la "normalità" di questa famiglia. E questo ha determinato dei messaggi paradossali nei confronti della ragazza, che si è trovata a vivere una situazione di responsabilità e di colpa, nonostante fosse lei la vittima. Cioè io ricordo proprio le parole di Claudia: "Io mi sento in colpa perché mi hanno detto che così io rovino la mia famiglia". Questo era, un po' in sintesi, il suo vissuto. Inoltre Claudia viveva con sofferenza e con un senso di responsabilità eccessivo per la sua età tutta la sua situazione familiare, ma soprattutto si preoccupava e, a tutt'oggi purtroppo è ancora così, anche di quella che era poi la realtà dei fratellini più piccoli, quindi avvertiva proprio su di sé questo peso, cioè nella sua percezione così confusa e di grande sofferenza lei diceva "Forse questo mio dire le cose può creare problemi ai miei fratellini", anche perché era questo il messaggio che lei aveva ricevuto dalle figure familiari e parentali. PM = In particolare ha riferito anche di pressioni da parte di fratelli o di sorelle? P = Sì. Anche per quanto riguarda quell'audizione del novembre del 2007 Claudia fu accompagnata dai fratelli, ...non ricordo se da tutti e tre, ...mi sembra da una sorella e dal fratello Pietro. Naturalmente era stata da loro invitata - non voglio dire minacciata o ricattata - ma sollecitata a ritrattare le dichiarazioni fatte. Per cui quando poi, nel corso dell'audizione, è riuscita a fermarsi dal punto di vista proprio del racconto ed ha fatto capire che non riusciva a mentire, non riusciva a portare avanti questa tesi che si era inventata tutto per fare un dispetto al padre per la relazione che aveva iniziato con questo giovane albanese, quando poi è scoppiata dal punto di vista emotivo, la prima cosa che io ricordo di aver sentito è che la ragazza ha detto "Adesso ho paura dei miei fratelli". Tant'è che in quello stesso giorno Claudia è stata 153 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO allontanata dai fratelli, che non poteva o doveva vedere o sentire in quella situazione psicologica. Infatti la ragazza avvertiva che contro di lei si era stabilita una dinamica familiare perversa, perché non aveva rispettato gli accordi o i messaggi che loro le avevano dato. Un'altra cosa che ha riferito Claudia e che ha colpito la mia sensibilità è stata una frase che lei ha detto a proposito delle sorelle: nel momento in cui Claudia chiedeva conforto e sostegno per questa esperienza tragica, la sorella le disse: "In fondo se questa cosa è durata tanto tempo probabilmente faceva piacere anche a te!". E quindi si può dire che il "dopo" è stata un'ulteriore situazione di sofferenza e violenza psicologica per questa ragazza, che tuttora presenta una serie di disturbi di tipo nevrotico, del sonno (ancora ha degli incubi)...derivanti anche dal fatto che vive una situazione di caos proprio dal punto di vista affettivo ed emotivo, anche se insomma sta molto meglio rispetto a prima. PM = Quindi... diciamo... che la situazione psicologica della minore, per quello che lei ha avuto modo di verificare, è compatibile con il racconto della minore stessa, cioè quello di una ragazza abusata per anni, fin dalla sua più tenera età? P = Ritengo di sì, proprio perché il quadro di personalità che presenta Claudia coincide con quelli che sono i presupposti teorici di una struttura di personalità segnata da esperienze sessuali precoci e di tipo incestuoso, cioè lei presenta i tratti tipici della ragazza sessuale abusata a livello intrafamiliare, che è la violenza più terribile e più devastante dal punto di vista della personalità. Infatti, anche quando la ragazza ha riferito i vari episodi, li ha raccontati nella sua percezione di figlia ed ha continuato a dire (e sembra paradossale per chi ascolta ma è comprensibile dal suo punto di vista): "Io mi fidavo di mio padre, io non capivo inizialmente che cosa mi stava succedendo" e poi comunque c'era un atteggiamento, anche se ambiguo, di venerazione verso questo padre alla cui figlia sembrava garantire poi, anche se solo sotto l'aspetto dell'immagine, una normalità familiare che in realtà non esisteva. PM = Io non ho altre domande Presidente, chiedo solo l'acquisizione della relazione. La difesa Avv 1 = Senta Dottoressa...nei lunghi colloqui che ha avuto con Claudia, la ragazza le ha mai riferito del rapporto che aveva con Ruly, il suo fidanzato? P = Sì, ci sono stati anche dei colloqui tra il giudice minorile e questo giovane. Io quindi l'ho anche conosciuto in Tribunale questo ragazzo. La relazione di Claudia con Ruly era in questa cornice così complessa, dal punto di vista proprio delle relazioni, che essa era un "pezzetto di normalità" della sua adolescenza. Claudia ha raccontato con molti particolari le relazioni del genitore nei confronti di questo giovane e dal suo racconto si capiva che quanto più prendeva consistenza questa relazione di 154 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO tipo affettivo, tanto più aumentavano le reazioni di aggressività e di violenza da parte del padre. Gli stessi fratellini più piccoli di Claudia hanno riferito al giudice minorile e a me... Avv 1 = Dottoressa lei deve rispondere alla mia domanda, non tergiversi. P = Sì, rispetto alla relazione che Claudia aveva con Ruly...se lei mi dice che cosa vuol sapere... Avv 1 = Le riferiva quali rapporti avevano i due ragazzi? P = I rapporti che ci sono normalmente tra un ragazzo e una ragazza. Avv 1 = Sessuali? P = Sì, Claudia mi ha detto di aver avuto dei rapporti sessuali con questo ragazzo. Avv 1 = Gliel'ha mai descritti? Ha avuto un rapporto, due, tre, quanti? P = O uno o due, non di più. Avv 1 = Completi? P = Non credo di poter rispondere a questa domanda perché la ragazza non ha fornito elementi specifici su questo punto, né le sono stati chiesti. Avv 1 = Quindi le ha parlato solamente dei rapporti con Ruly? P = Sì. Avv 1 = Di questi rapporti sessuali? P = Sì. Avv 2 = Dottoressa io so che voi professionalmente siete una delle più preparate in materia di psicologia; quindi voi non avete mai pensato, sempre basandovi sulla vostra esperienza professionale e tecnica, che questa giovane abbia voluto traslare la figura del fidanzato con quella del padre e viceversa, o per nascondere l'uno o per nascondere l'altro, una trasposizione di immagini e dunque un mutamento di versioni dovuto ad un fatto introspettivo e retrospettivo di ciò che è stato un rapporto sessuale o più rapporti avuti con altri, magari dietro la figura paterna? P = No avvocato, io personalmente non ho mai avuto dubbi per una serie di motivi. Innanzitutto perché, nella mia esperienza professionale, ho ascoltato moltissimi bambini e ragazzi abusati, e poi perché anche dal punto di vista teorico e dal punto di vista di quelli che sono gli studi di psicologia o di psicopatologia dell'età evolutiva ci sono degli indicatori che tolgono la maggior parte dei dubbi, per quanto riguarda questi fenomeni, che sono più di tipo surreale (come quelli che descrive Claudia). In quanto non è pensabile, non è possibile che un bambino, un ragazzo o una ragazza arrivi a fare queste trasposizioni, a meno che non ci sia nella personalità di questa giovane persona un 155 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO problema di sdoppiamento della personalità. Questo può avvenire anche in un ragazzo che ha disturbi di tipo psicotico, cioè schizofrenico, schizoparanoico, ed è possibile avere dei riscontri di sdoppiamento della personalità. Ma Claudia presenta, dal punto di vista della personalità, semplicemente un quadro clinico che è di tipo nevrotico, e non psicotico, ed è scaturito dalla situazione familiare incestuosa che la ragazza ha vissuto. Se i rapporti sessuali li avesse avuti soltanto con Ruly, lei mi deve spiegare avvocato come mai questa ragazza, a distanza di due anni, ha incubi notturni, soffre di disturbi del sonno e racconta ancora delle cose relative agli abusi sessuali subiti da parte del padre. Avv 2 = Qual è il limite tra stato psicotico e stato paranoico? P = I disturbi nevrotici e psicotici presentano una differenza, seppur sottile, che può essere comunque marcata dal punto di vista dei sintomi. I sintomi nevrotici sono quasi sempre presenti nella persona minore o adulta che subisce violenze o abusi fisici o psicologici e si tratta sostanzialmente di reazioni fobiche, reazioni d'ansia e vissuti depressivi che possono essere transitori o comunque di rilevanza clinica ma reversibili. Invece la persona, sempre minore o adulto, che soffre di disturbi psicotici presenta un quadro clinico che è irreversibile e che può essere soltanto contenuto da un punto di vista terapeutico o farmacologico, ma sostanzialmente rimane invariato nel tempo, mentre il quadro nevrotico può essere remissibile dal punto di vista dei sintomi, perché con una psicoterapia, con un intervento specifico di tipo psicologico ci può essere una remissione del sintomo. Avv 2 = È possibile che la ragazza abbia voluto o potuto reagire al divieto dei genitori o del padre di poter uscire con il ragazzo albanese? P = Allora questo può succedere quando ci sono effetti provocati, cioè reazioni particolari dovute all'assunzione di sostanze in genere. Nel caso della ragazza di cui stiamo parlando questo problema credo che non esista, in quanto non mi risulta che Claudia abbia mai assunto sostanze psicotrope o droghe leggere o altro. Avv 2 = Quindi voi pensate che la minore sia linearmente sana e non abbia potuto creare un fatto del genere? P = Avvocato questi fatti non si creano, si vivono. Ci può essere un comportamento di tipo fantastico e così confabulatorio da parte di una persona, quasi mai di un bambino, situazione mentale di grave disfunsione, di gravi deficit sia dal punto di vista psicologico sia cognitivo. Ma questa non è la situazione di Claudia. 156 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Avv 2 = E come livello di deficit o come livello intellettivo da 1 a , lei che livello assegnerebbe a Claudia? P = Nessun punto. Le posso soltanto dire che Claudia non presenta deficit di tipo cognitivo. Presenta una personalità segnata e "ferita" esclusivamente dalla situazione familiare che ha vissuto. Avv 2 = Io non sono convinto. Non ho altre domande. Presidente = Senta...lei è riuscita a comprendere e a farsi un'idea, dagli incontri che ha avuto con la minore, che cosa l'ha spinta a svelare gli abusi che aveva subito a distanza di anni? Cioè questi abusi, che aveva subito a distanza di anni, ...che cos'è che l'ha spinta a rivelare tutto ciò? P = Credo...mi rifaccio anche alle parole riferite dalla stessa ragazza...lei ha detto "Io pensavo di non raccontare mai perché ritenevo giusto non parlare per non compromettere l'equilibrio della mia famiglia; poi invece mi sono resa conto che stavo scoppiando per tutta una serie di circostanze". Probabilmente un evento (questa è una mia interpretazione personale), un evento che ha in qualche modo scatenato questa forza e questo coraggio della ragazza nel dichiarare quanto aveva subìto. Deve essere stato il tentato suicidio del padre - non so...è stato clinicamente definito questo l'evento ed esso ha scatenato in lei probabilmente delle reazioni particolari. Claudia aveva anche detto, prima e dopo il racconto della sua esperienza, che comunque negli ultimi tempi c'era una situazione di grande attrito e gelosia dal punto di vista del comportamento del padre nei suoi confronti per il fatto che lei chiedeva forse di uscire con il ragazzo. L'altro aspetto che aveva assunto evidentemente un significato inquietante proprio nella vita di Claudia è che lei ha raccontato che aveva iniziato così di tanto in tanto a bere in modo esagerato: e questo era un altro aspetto che sicuramente le rendeva la vita ancora più complessa e più difficile. Anche questo è un sintomo, un segno di nevrosi e di reazione, una risposta nevrotica ad una situazione di sofferenza, di disagio. Comunque l'alcol poi provoca un ottundimento, un offuscamento delle capacità mentali. Quindi c'erano queste cose che, probabilmente, tutte insieme hanno determinato il suo racconto. Presidente = Va bene, grazie, abbiamo finito. 157 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Capitolo V E noi? Cosa possono la famiglia, la società e la scuola Molti studiosi sostengono che per poter agire contro la persona abusante, bisogna innanzitutto ammettere che l’abuso non è stato ancora adeguatamente studiato, anche perché la società, e la comunità scientifica al suo interno, ha sempre cercato di esorcizzare questo problema o negando che esista, oppure cercando di relegarlo nell'ambito delle mostruosità, ovvero di quei casi talmente rari e aberranti da non meritare neppure uno studio sistematico. Occorre attivare ricerche serie e pianificate sulle ipotesi di trattamento dell’abusante, sulla possibilità di prevenzione. Il fatto è che l’abuso si può evitare: attraverso un'educazione serie e intelligente, una crescita armonica e un'attenzione profonda al comportamento. E attraverso la creazione di una società in cui l'amore non abbia bisogno di rivolgersi a oggetti impossibili, come sono appunto i minori. E noi, cosa possiamo fare, come dobbiamo agire? Noi, "gente comune", tanto per cominciare dovremo assumere un atteggiamento meno passivo, meno limitato alla critica e più orientato all'attività, alla denuncia, alla sensibilizzazione. Occorre non lasciarsi andare all'approccio egoista, superficiale e sbagliato del sentirsi estranei a questi problemi, perché ogni problema che piomba sulla società è legato alle azioni di tutti, alle decisioni, alle sterili e ipocrite lamentele, al coraggio di cambiare le cose. Forse è proprio da qui che possiamo fare qualcosa: cominciare un opera di sensibilizzazione sociale sul problema. La sensibilizzazione è un passo fondamentale, indispensabile, per creare una "coscienza" collettiva sul fenomeno, per mantenere attiva l'attenzione e la vigilanza, per non far sentire soli ed "eroi" quelli che quotidianamente dedicano il loro tempo a questa battaglia... la sensibilizzazione è il gradino indispensabile per ogni genere di risorgimento, di rivoluzione, di costruzione responsabile. Ma come sensibilizzare? Innanzitutto, semplicemente, non distraendosi troppo, ricordando a tutti la pericolosità della distrazione (che provoca spesso negligenza e complicità), parlando del problema, facendo conoscere chi lotta contro questa piaga, parlando delle possibili azioni da compiere per collaborare. Probabilmente è vero che l'opinione pubblica è già consapevole del fenomeno e fortemente motivata e contrariata ad esso, ma forse, solo in parte: basta pensare, a tutte quelle delicate situazioni in cui la violenza sui minori avviene in ambito familiare (il 90% circa). Secondo molti, c'è anche una volontà, 158 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO inespressa ma chiara, di "normalizzare" il fenomeno, di renderlo via via meno "scandaloso", fino a trovare una sorta di compromesso nella società (uno di quelli, troppi, che la società cosiddetta civile fa con la morale, con la giustizia, con la vita, con la coscienza, con sé stessa). D'altra parte però il rischio di un eccessivo e deleterio allarmismo è alle porte. Ed ecco ancora l'articolo 21 della Costituzione, a difesa delle parole perché, finché di solo pensiero si tratta, non possiamo e non dobbiamo, assolutamente e mai, negare un diritto che è alla base del concetto di libertà. 5.1. L'educazione come difesa Il pericolo dell’abuso sui minori è un pericolo reale per lo stesso e non possiamo pretendere che il piccolo si difenda da solo. Il minore, non è in grado di difendersi perché è tipico del periodo della crescita mantenere un atteggiamento di fiducia nei confronti del mondo esterno. E quando questa fiducia viene colpita o sconfessata, la relazione che il minore stabilisce con il mondo rimane amputata, e finisce per costituire un limite grave al suo sviluppo psicologico. Secondo alcuni psicologi, insegnare a difendersi non significa insegnare a sospettare di tutto, perché il clima di sospetto blocca il minore, che non esplora più il mondo, non fa più le esperienze che lo fanno crescere. La libertà, la spensieratezza, la fiducia sono beni troppo preziosi per essere immolati sull'altare della paura. Ad un piccolo non si può insegnare la diffidenza, anzi è importante educarlo a voler bene, a stabilire relazioni positive, a rispettare se stesso e gli altri perché è qui il punto: è nel rispetto di se stessi la chiave della protezione e dell'autoprotezione. Dire che il minore non può autodifendersi, non significa però, che non può essere difeso. Il minore va difeso, è la società a doverlo difendere, non solo la mamma, o il papà, ma la scuola, il quartiere, tutta la società deve prendere le difese del minore. La famiglia è certamente la struttura primaria esistente in quasi tutte le società, con in compito fondamentale di definire le relazioni, le regole, fra i componenti il nucleo familiare, e di essere la matrice della personalità in formazione dei minori che le appartengono; infatti, attraverso processi psicologici come l'identificazione e l'introiezione delle figure genitoriale, il minore va a strutturare i cardini della sua personalità, le basi del suo essere nel mondo. I genitori innanzitutto dovrebbero evitare di limitare le percezioni del piccolo, non dovrebbero certamente ingabbiarli tra le sbarre dei loro condizionamenti e dovrebbero fare in modo che le regole non derivino dalle loro paure, rigidità o pregiudizi. Per essere buoni genitori, ad esempio, occorre che i figli siano più lodati che criticati; 159 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO occorre usare con loro dolcezza, pazienza, da loro la sicurezza di esserci quando ne hanno bisogno; prestare ascolto non solo alle loro parole, ma soprattutto ai sentimenti; evitare di etichettarli (fannulloni, svogliati, incapaci) perché ciò intacca la stima del Sé, facendoli diventare insicuri e fragili; essere attenti ai loro periodi di crisi, comprendere che i loro comportamenti "non accettabili" mascherano il loro disagio, che forse non riescono a comunicare differentemente eccetera. Certamente sono i genitori, in sostanza, i primi a dover crescere i propri piccoli, educarli alla legalità, insegnare loro a distinguere il bene dal male ecc. Ma rimane il fatto che la società non deve limitarsi a intervenire soltanto in extremis, quando ormai la questione può essere affrontata e risolta soltanto dal Tribunale dei minori. Anzi, tutti noi dovremo renderci conto che ogni problema di un minore, ogni sua necessità, è un estremo. Il punto nevralgico della difesa, è quindi radicato nell'educazione, e poiché i minori sono anche una proprietà sociale, deve essere anche la società ad educarli. A questo proposito però, occorre sottolineare come ancora oggi, il concetto di educazione sembra essere separato dal concetto di istruzione. L'istruzione viene limitata all'ambito della scuola e questa istituzione risente di un'impostazione elitaria, in cui la mira principale sembra essere quella di creare Manager e professionisti, gente in grado di distribuire profitto e non persone in grado di vivere felici. Per questo, se da un lato la famiglia tende ad attribuirsi l'esclusiva dell'educazione dal punto di vista morale e del comportamento, la scuola sembra ancora rinchiusa in un bozzolo di nozionismo in cui si cerca di sviluppare soltanto il pensiero e l'intelligenza dei minori. L'importante quindi è fornire un'educazione sociale che comprenda un coordinamento di tutte quelle "agenzie" cui è affidato il compito di aiutare i bambini a crescere (genitori, scuola, attività sportive, ricreative, culturali, religiose), che si accordino in una serie di metodologie e di messaggi coerenti da comunicare al bambino per renderlo una persona adattata e felice. Educare deve significare sostanzialmente trasmettere al bambino la percezione dell'appartenenza a un gruppo sociale. Il bambino dovrebbe comprendere di trovarsi all'interno di una comunità, come membro dotato di senso e di autonomia propri, ma allo stesso tempo integrato e difeso da tutti gli altri. L'educazione sessuale in particolare, non deve essere ridotta ad un'esclusiva trasmissione di informazioni che riguardano il corpo umano. Non deve essere soltanto un insegnare nozioni di anatomia e fisiologia dell'apparato riproduttivo; ciò che quasi sempre manca, che viene tralasciato, quasi come se fosse un di più nella vita sessuale di un individuo, è l'aspetto del sesso legato ai sentimenti, alle emozioni, a tutte quelle qualità che lo fanno definire "amore". L'adulto educatore, dovrebbe essere preparato ad ascoltare i bambini e i ragazzi, a ricercare insieme le risposte ai loro interrogativi; l'educatore, insegnante o genitore che sia, deve essere in grado di sintonizzarsi con gli aspetti interiori dei minori, far emergere le paure, le 160 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO ambivalenze, il disagio che il parlare di sesso può generare. Sono proprio la vergogna di parlare, la distorsione delle informazioni che i bambini ricevono, che possono aprire la strada ai loro abusanti; la confusione delle emozioni, il turbamento delle sensazioni che un minore può avere in un incontro con la sessualità dell'adulto derivano da una sua mancata e sana educazione emotivo-sessuale, dal ritenere giuste modalità che lo trasformano in un oggetto alla mercé dell'abusante, poiché mai gli adulti hanno avuto cura di costruire con lui quelle adeguate. L'educazione sessuale, se non insegnata adeguatamente, è inutile, se non addirittura dannosa. Rispondendo esclusivamente alle motivazioni degli adulti, ricade sui minori confondendoli ulteriormente e creando tutte quelle false verità delle quali il mondo degli adulti è notevolmente pieno. Un tipo di educazione sessuale che non tenga presente degli aspetti emozionali-affettivi relativi alla sessualità, finisce per mantenere saldi, falsi valori legati solo alla dimensione corporea, confermando la sub-cultura attuale con tutti i problemi connessi. L'obiettivo che deve avere l'educatore, è quello di far acquisire ai minori la coscienza che la sana sessualità dell'uomo consiste nella capacità di comunicare i propri sentimenti attraverso il corpo in una perenne osmosi tra psiche e soma, fra interiorità e corporeità. La scuola infine, assume nella società un ruolo imparagonabile nella crescita dei minori. Proprio le scuole elementari, ad esempio, in cui è maggiore la curiosità dei bambini nei confronti del proprio corpo e del corpo altrui, sono il momento migliore per introdurre quegli elementi di educazione alla sessualità che dovranno essere integrati nell'educazione sociale e di gruppo. Il corpo del bambino e della bambina possono essere oggetto di studio e di gioco a scuola e diventare uno dei tanti banchi di prova, dei laboratori dell'attività e dell'interazione di gruppo. E la scuola può trasformarsi anche in un centro diagnostico, perché sono proprio gli insegnanti i migliori osservatori in grado di accorgersi di tutta una serie di disturbi dell'apprendimento, della parola e della socialità, in modo da garantire al minore che questi tipi di problemi vengano risolti senza creare in lui quelle paure e quel senso di inferiorità che aggravano i sintomi e a volte li cronicizzato. Perché questo avvenga è necessario che gli insegnanti interpretino la loro professione in maniera ampia, senza arroccarsi dietro le descrizioni rigide delle proprie mansioni, ma comprendendo che la loro funzione è unica, e il loro ruolo di operatori sociali è insostituibile. 161 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Conclusioni A conclusione del mio studio sull'accertamento e l'intervento delle istituzioni italiane di fronte ai casi di minori presunte vittime di abusi sessuali emerge chiaramente come, nonostante vi sia stata una maggiore attenzione al "problema sommerso" dei maltrattamenti, delle violenze e negligenze nei confronti dell'infanzia, ancora vi siano varie problematiche da risolvere. Il documento Proposte di intervento per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del maltrattamento, elaborato nel 1998 dalla Commissione nazionale per il coordinamento degli interventi in materia di maltrattamenti, abusi e sfruttamento sessuale di minori, segnala in particolare alcuni problemi che anch'io ho riscontrato, attraverso la mia ricerca, nella realtà italiana. 1) Manca, nelle varie realtà territoriali italiane, un coordinamento tra i vari professionisti che operano di fronte ad un caso emerso, al fine di evitare inutili sovrapposizioni di attività e per prevenire disarticolazioni dell'intero processo d'intervento: è importante, dunque, progettare un modello operativo comune, su base nazionale (oggi presente solo in alcune realtà territoriali come protocollo regionale), che unifichi il lavoro degli operatori e far sì che tale progetto venga poi utilizzato effettivamente nella prassi; è necessario anche favorire una specializzazione comune tra i vari operatori affinché essi possano avere una conoscenza condivisa dell'oggetto di cui si devono occupare. Devono essere inoltre realizzati "canali di comunicazione" che facilitino la segnalazione dei casi di sospettata violenza su un minore e, nello stesso tempo, la richiesta di aiuto non solo da parte della vittima ma anche delle persone a lui vicine. Dobbiamo prendere atto, infatti, che ci sono molte remore a rivolgersi ai servizi pubblici ed i motivi sono molteplici: perché il servizio non è facilmente individuabile; perché il servizio pubblico, una volta contattato, è obbligato a fare rapporto all'autorità giudiziaria e si ritiene dai più che un intervento penale non sia sempre vantaggioso per il minore; perché si teme una burocratizzazione dell'intervento; perché i servizi pubblici sono ritenuti più strumenti di controllo che di aiuto. Tutto questo deve portarci a concludere che sono necessarie strutture specializzate, ben collocate sul territorio, che sappiano fornire l'aiuto adeguato al caso proposto e che riescano a collegarsi con gli altri operatori in modo da formare una vera "integrazione tra servizi". 2) Manca, inoltre, una procedura univoca per raccogliere e valutare la testimonianza del minore presunta vittima di abuso: non soltanto la figura dello psicologo non è stata ancora accolta in tutte le realtà territoriali come soggetto che pone le domande al minore nell'interrogatorio, essendovi un dibattito sulla legittimità di tale procedura che pone tale operatore come "filtro" rispetto alla valutazione del giudice, ma non sono utilizzati ovunque neanche i criteri per valutare la veridicità del 162 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO resoconto testimoniale del minore. Questo però comporta che un fatto simile è valutato diversamente a seconda del luogo in cui vengono compiuti l'accertamento e l'intervento conseguente. È auspicabile, dunque, la predisposizione di protocolli d'intervento per la raccolta e la valutazione della testimonianza del minore, su base nazionale e specifici per i vari settori, che siano validati dalle ricerche e dal lavoro dei vari esperti sul campo e che riescano a tutelare gli interessi del minore coordinandoli con quelli dell'imputato. Oggi infatti esistono in Italia solo linee-guida generali sull'argomento, come quelle elaborate in Gran Bretagna, che nella prassi vengono seguite in varie realtà territoriali ma non perché ciò sia imposto da una regola di procedura a base nazionale. È necessario superare l'emotività. Oggigiorno la collettività sta prendendo coscienza dei molti abusi fisici e psicologici che vengono compiuti a danno dell'infanzia, ma tutto ciò, insieme anche all'attività di stampa e televisione, crea un "clima emotivo" che rischia di rendere del tutto sterile questa presa di coscienza del problema. Vi è il forte rischio che l'emozione e l'indignazione restino "epidermiche" se si fermano ad osservare il fenomeno dal punto di vista esteriore. Questo potrebbe portare, alla fine, a considerare la violenza sui minori come una delle tante notizie che appaiono sui nostri giornali e, quando anche la nostra indignazione morale sarà satura, allora nessuno più si scandalizzerà di sentire che un minore è stato abusato da un genitore. È dunque necessario un'approfondimento culturale ed un impegno di indagine riguardo a tale problema: dovrebbero essere attivati, nelle varie parti d'Italia, degli osservatori sull'infanzia in collegamento tra loro, i quali dovrebbero cercare di realizzare un'attività di prevenzione (soprattutto nei confronti dei bambini a rischio), creando anche adeguate strutture territoriali che si occupino del problema dal punto di vista pratico. 4) Bisogna riuscire ad abbattere la "cortina del silenzio" che ancora esiste sui casi di abuso sessuale ai minori, facendo emergere dal sommerso i tanti casi di abuso non denunciati esplicitamente. Questo significa innanzitutto mostrare una sensibilità più profonda nei confronti di questo problema. È infatti facile esprimere indignazione di fronte ad un episodio eclatante di violenza presentato dai mezzi di comunicazione, ma poi quando il fenomeno si presenta in forme più nascoste oppure quando è proprio vicino alle nostre case allora il cosiddetto "rispetto della privacy" si traduce in sostanziale omertà. Far crescere la sensibilità delle persone su questi problemi - perché siano più capaci di rendersi conto delle violenze di cui sono vittime molti minori - significa, in primo luogo, diffondere una corretta informazione sui temi della identificazione e della prevenzione delle violenze all'infanzia. Tale informazione deve essere rivolta, da una parte, a tutti (e perciò i mezzi di comunicazione sono 163 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO chiamati a svolgere un ruolo educativo essenziale, abbandonando sensazionalismi controproducenti) ma, dall'altra, specificamente a coloro che hanno quotidiani contatti con i bambini (pediatri, insegnanti, operatori sociali) e che possono accorgersi per primi di un loro cambiamento d'umore o di segni fisici sospetti. Far crescere la sensibilità implica anche un'adeguata diffusione della conoscenza reale del bambino e dei suoi bisogni e questo dovrebbe essere l'obiettivo dell'attività svolta dai media, dalla scuola e dalle varie strutture di assistenza sociale (in particolare dei consultori familiari). Non va enfatizzato l'intervento penale. Di fronte alle ricorrenti notizie di violenza all'infanzia l'immediata conseguenza è la richiesta, da parte dell'opinione pubblica, di un inasprimento della sanzione penale, ritenuta la più idonea a contrastare tale fenomeno. La previsione di una sanzione penale per certi comportamenti evidenzia - da una parte - come, per la collettività, alcuni beni della vita abbiano una tale rilevanza da esigere una pesante sanzione come quella connessa alla responsabilità penale e - dall'altra - pone dei precisi limiti, che devono ritenersi invalicabili alla libertà dell'individuo. Si realizza così una rilevante funzione pedagogica nei confronti del costume collettivo. Ma non possiamo per questo enfatizzare ed incrementare l'intervento penale. In primo luogo perché, nella società attuale, si riconosce sempre più che il diritto non ha, come si riteneva in passato, soltanto la funzione di proteggere gli atti leciti tramite la repressione degli atti illeciti, ma tende sempre più a stimolare ed incentivare l'esercizio degli atti conformi, cioè di quegli atti che possono dare risposte appaganti ai problemi della persona. In secondo luogo perché, in un ambito così complesso e delicato come quello dello sviluppo delle persone e della funzione educativa, sanzionare un comportamento illecito non significa affatto che il comportamento auspicato sia realizzato. E questo sia perché ci sono dei comportamenti illeciti che non possono rientrare in specifiche norme incriminatrici (ad esempio molte attività educative di genitori, caratterizzate da forti condizionamenti e deprivazioni del minore), sia perché la mera possibilità di una sanzione penale non scoraggia la commissione di reati posti in essere nei confronti di persone che non sono in grado di esprimere adeguatamente la propria sofferenza. Questi comportamenti, inoltre, vengono compiuti in un ambiente come quello familiare che resta impermeabile al controllo sociale e quindi alla possibilità di portare alla luce l'illecito. Infine perché l'irrogazione di una pena non solo non ripara l'ordine violato, ma è a sua volta motivo di drammatiche conseguenze proprio per la vittima del reato. 164 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Con tutto ciò non si vuole però bandire ogni intervento penale a tutela del minore: si vuole invece incentivare una tutela del minore "reale e costruttiva" da parte dell'ordinamento, principalmente attraverso interventi di sostegno, recupero e prevenzione. Bisogna uscire da un'ottica puramente assistenziale. La violenza all'infanzia non è un problema autonomo rispetto a quello più generale della violenza presente nella nostra società. Dunque, per poter combattere il primo fenomeno non si può prescindere dall'individuazione delle cause sociali, psicologiche e culturali dalle quali deriva l'aggressività umana. La violenza sui minori costituisce, sicuramente, il segnale di una profonda alterazione della normale dinamica della vita familiare e sociale. È necessario, quindi, realizzare una ristrutturazione delle relazioni che la famiglia di oggi possiede e realizza nel suo ambiente. Questo implica un intervento coordinato tra momento politico e momento assistenziale, ma anche un coinvolgimento in questa azione comune di tutti i servizi di socializzazione e di sostegno del minore e della sua famiglia e di tutte le risorse comunitarie che spontaneamente operano sul territorio. Non dobbiamo infatti pensare che la violenza all'infanzia possa essere contrastata solo operando una migliore distribuzione dei servizi o una loro maggiore specializzazione e privatizzazione. Questo perché un'eccessiva specializzazione dei servizi nei confronti dei bambini maltrattati se da un lato forma operatori con un'adeguata competenza, dall'altro rischia di frammentare l'unitarietà di un intervento complesso che deve, invece, prendersi in carico tutti i problemi connessi alla vita di relazione del nucleo familiare in cui il minore vive. Dunque, se si vuole prevenire la violenza all'infanzia è indispensabile uscire da "un'ottica meramente assistenzialistica" che rischia di esaurirsi in un intervento sulle situazioni patologiche individuate, senza risolvere veramente i problemi. Non è perciò sufficiente moltiplicare i servizi, istituzioni educative e risorse comunitarie: certo è auspicabile una migliore organizzazione dei servizi esistenti, ma nessuna "ingegneria sociale" potrà da sola realizzare risposte veramente esaustive. Quello che dovrebbe essere fatto consiste nella creazione di una significativa "rete di solidarietà" tra i membri della comunità, che potrà fornire al minore tutto ciò di cui ha bisogno: dunque, deve essere predisposto un "progetto" sostenuto e condiviso da tutta la comunità. È necessario costruire e diffondere una "nuova cultura dell'infanzia", in cui il bambino venga considerato come "valore" da proteggere. Nella società di oggi, infatti, vi sono numerose sub-culture riduttive della sua personalità e delle sue esigenze: ad esempio è ancora forte la sub-cultura "della Grande madre", in cui il bambino è simbolo di massima espressività femminile e per questo ad essa 165 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO ricollegabile, oppure anche quella di tipo patriarcale-autoritario, la quale impone rilevanti limitazioni alle possibilità di espressione del bambino. È dunque necessario il superamento di tutte le varie subculture esistenti nella nostra società in quanto sono radicate su aspetti limitati della realtà globale del bambino; dovremmo riscoprire, invece, i bisogni della sua personalità nel suo complesso e quindi non solo riconoscere le sue reali esigenze, ma anche riconoscerlo come protagonista della sua esistenza. Costruire una simile nuova cultura dell'infanzia non può, però, essere un compito esclusivo degli specialisti delle varie discipline che si occupano del minore e delle sue esigenze; è necessaria anche la partecipazione della collettività nel suo complesso. E questo non solo per rompere quella progressiva deresponsabilizzazione che impedisce agli "adulti senza qualità e senza ruolo" di sentire come proprio il problema; ma principalmente per essere aiutati a scoprire la realtà del bambino da chi, vivendo quotidianamente il suo normale percorso di crescita, può più facilmente intuirne le esigenze e valorizzarne le potenzialità. 166 ISTITUTO MEME S.R.L. - MODENA UNIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES CHIARA MASTRANGELO – SST IN SCIENZE CRIMINOLOGICHE - TERZO ANNO A.A. 2008 – 2009 ASSOCIATO Bibliografia AA. VV. IRSIG-CNR in collaborazione con il Centro Studi sull'Ordinamento Giudiziario dell'Università di Bologna, Videotecnologie e processo penale, Lo Scarabeo, Bologna, 1994. AA. VV., A videotape parent education program for abusive parents, in Child Abuse and Neglet, 11, Pergamon, USA, 1987. AA. VV., Il bambino e la violenza sessuale. Atti del Convegno, Genova, Palazzo Ducale 9-10 dicembre 1996, Coedital, Genova, 1997. AA. 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