Stefano Bartezzaghi e le alici dissolute

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Stefano Bartezzaghi e le alici dissolute
RASSEGNA STAMPA
Salepepe.it
22 luglio 2016
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Stefano Bartezzaghi e le alici
dissolute
Strafalcioni esilaranti, traduzioni impossibili e velleità letterarie nelle ricette
e nei menu. Stefano Bartezzaghi, enigmista e scrittore, ci spiega
nell’intervista che anche il cibo è un grande gioco. Di parole
Come mai noi di Sale&Pepe questa volta vi proponiamo un'intervista a Stefano
Bartezzaghi, al posto del "solito" chef? E di che cosa abbiamo parlato con lui, che
è scrittore e insieme enigmista, linguista ed esperto di comunicazione? È difficile
incasellare Stefano Bartezzaghi in una definizione, più facile ascoltare le sue analisi e
riflessioni sulle parole, su come vengono usate e come cambiano nell'era della
comunicazione globale. Ma il fil rouge che ci guida è sempre lo stesso. Con le parole non
si smette mai di giocare. Ed è con le parole del cibo che abbiamo giocato durante il
nostro incontro.
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Cibo e linguaggio: uno dei più classici modi di dire è proprio "parla come mangi"….
Suggerirei di modificarlo in "parla come cucini" o "come spadelli". Una lingua, proprio
come una ricetta, ha ingredienti e sapori adatti ad ogni occasione. C'è una notevole
differenza tra un pranzo di lavoro e una cenetta romantica. Nella cucina c'è una forma
di progettazione che a volte manca nella comunicazione, perché si pensa che debba
essere "spontanea", nel senso di "non controllata". Quando parliamo dovremmo pensare
all'interlocutore per essere efficaci, opportuni. Con la stessa progettualità che mettiamo
in atto quando cuciniamo per qualcuno o per un'occasione specifica.
Noi di Sale&Pepe dobbiamo fare i conti con uno specifico "gergo tecnico". Nelle
ricette ci imbattiamo in "spolverizzate di prezzemolo" "sbriciolate di mandorle",
"dadolate di pancetta" e addirittura "cubettate di pollo". La pasta "salta" in padella e
la cipolla "si stufa" con l'olio…
È il tipico esempio di linguaggio settoriale, di specialismo. Poco male se lo usa uno chef o
lo si incontra in un giornale di cucina. In quel contesto è veloce, sintetico ed efficace. È
un po' quello che accade nei new media, con le abbreviazioni e le contrazioni
ortografiche di whats up e twitter per esempio. È uno stile di comunicazione che funziona
se rimane lì e non sfocia in altri ambiti. Penso però che affidarsi al gergo tecnico in
contesti non opportuni sia un abuso della nostra lingua. Insomma, se chiedessero a me
di "juliennare un peperone" rimarrei un po' perplesso…
Quando si scrive a computer, si mette di mezzo il correttore automatico, un grande
umorista involontario. A volte mettiamo a bagno le "gondole" in acqua e sale,
serviamo un vino "agghiacciato" e un salame "allettato" sottilmente…
Certo, è il refuso creativo, sempre fonte di ispirazione. Ricordo di avere incontrato refusi
bellissimi, per esempio "tre alici dissolute", o anche "…lo zar Alessandro II "orinava"
lo champagne". Ci sono poi esempi di tautologia (il predicato ripete quando già espresso
dal soggetto) come tuorlo d'uovo (di cosa altro può essere un tuorlo?). E
ovviamente errori veri e propri commessi nel tentativo di dare un tono giovanilistico alla
conversazione. Si dice per esempio una cofana di pasta, perché cofana era il recipiente
con cui i muratori trasportavano il cibo. Da qui il termine "scofanarsi" una pasta, che ho
visto degenerare in "scrofanare…". O ancora, sgrullare la tovaglia (al posto di
"scrollare"), un'espressione non propriamente elegante.
Nel tuo libro "Come dire-Galateo della comunicazione" affronti i menu dei ristoranti,
chiedendoti "chi è il supremo architetto di labirinti che ne ha deciso l'impostazione
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grafica e linguistica"
Sì ho verificato come, per esempio, basti l'articolo determinativo o l'aggettivo possessivo
per cambiare il tono del menu. C'è una certa differenza infatti, se nell'elenco si trova scritto
"antipasti", piuttosto che gli antipasti o ancora i nostri antipasti. Ci sono
altre riflessioni sulle velleità letterarie dei menu, che di solito compaiono con l'elevarsi del
livello del ristorante: pietanze declinate, scomposte, destrutturate; preparazioni in forma
di soffi e nuvole o che diventano tramonti, ombre, suggestioni. L'elencazione
degli ingredienti si fa esaustiva, addirittura maniacale: "La scaloppa di vitella su letto di
scarola di campo, con ristretto di Marsala, scaglie di Cedro e sale di Cervia". L'aggiunta
dell'articolo (LA scaloppa) rende assoluto il piatto: chiedere qualcosa di più sarebbe
esorbitare dal sensato.
C'è poi il capitolo "L'oste in translation" dove si parla della traduzione dei piatti
italiani nei menu all'estero
Sì e alla stesura di questo capitolo hanno contribuito molti lettori della mia rubrica,
portando diversi esempi di quanti danni esilaranti può fare google-translate. È il caso di
"filetto di manzo ai ferri" tradotto con Thread of Beef to Irons (filo del manzo ai ferri, da
stiro); pasta al pomodoro Paste to the tomato (colla al pomodoro, e qui scatta la battuta
facile) penne all'arrabbiata Pens to the angry one (penne - quelle per scrivere - a quel
tizio arrabbiato). E altre favolose creazioni ortografiche: gli
ispanici Suquini e ñoquis (zucchine e gnocchi), gli Espagueti a la voloñesa… E per
finire? Un'ottima Cazzata siciliana.
Stefano Bartezzaghi è giornalista, enigmista e scrittore italiano. Figlio del famoso
enigmista Piero Bartezzaghi, si è laureato con una tesi in Semiotica al DAMS di Bologna
con relatore Umberto Eco. Ha collaborato con le principali riviste di enigmistica italiane e
ha curato diverse rubriche su giochi, libri e linguaggio per La Stampa, Radio Due e Radio
Deejay. Dal 2000 cura le rubriche Lessico e nuvole e Lapsus per il quotidiano La
Repubblica, e dal 2010 insegna Semiotica dell’enigma all’università IULM di Milano. Negli
anni ha scritto diversi libri tra i quali: Lezioni di enigmistica (2001), Incontri con la Sfinge
(2004), Non ne ho la più squallida idea (2006), Non se ne può più (2010), Sedia a sdraio
(2011), Come dire. Galateo della comunicazione (2011), Una telefonata con Primo Levi
(2012), Dando buca a Godot (2012), Il falò delle novità (2013), M. Una metronovela
(2015). Tra le sue varie attività c'è anche stata la revisione della traduzione dei libri della
saga di Harry Potter.
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A giugno 2016 è uscito il suo ultimo libro La ludoteca di Babele nel quale affronta tutte le
possibili definizioni e manifestazioni di quello che chiamiamo "gioco". A settembre 2016
sarà al Festival della Comunicazione di Camogli per parlare di cultura digitale.
Foto Francesca Parisini