un`intervista ad Antonio Padellaro

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un`intervista ad Antonio Padellaro
Italianieuropei intervista
Antonio Padellaro
direttore de “il Fatto Quotidiano”
DARE VOCE ALLA PROTESTA: IL
SISTEMA DELL’INFORMAZIONE
E L’ANTIPARTITISMO
Le elezioni amministrative dello scorso maggio hanno radicalmente
mutato lo scenario politico nazionale. Rispetto al passato, il voto di
“protesta” che le ha caratterizzate ha incrociato una forte debolezza
del tessuto connettivo della politica, alle prese con una profonda crisi
e con un diffuso sentimento antipartitico, descritto e amplificato dal
sistema dell’informazione. Su questi temi Italianieuropei ha intervistato il direttore de “il Fatto Quotidiano”.
Italianieuropei Non possiamo non partire dal discutere dell’esito delle scorse
amministrative e dei segnali che hanno lanciato: l’astensionismo e il carattere
“di protesta” che questo voto ha evidentemente avuto. Qual è il suo giudizio
su quanto accaduto?
Antonio Padellaro In Italia il voto di protesta è sempre esistito. Negli
anni Settanta, Giorgio Almirante con il Movimento Sociale Italiano otteneva percentuali di voto perfino del 9-10%. Nell’immediato secondo
dopoguerra, il Fronte dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini
aveva avuto un boom di consensi ancora superiore, successivamente
però venne riassorbito dai partiti tradizionali che erano allora diretta
espressione del CLN. Anche l’exploit dell’MSI fu riassorbito, soprattutto per l’incapacità di Almirante di mettere a frutto quei voti, che finirono, come si disse allora, “in frigorifero”. Dopo di ché, non essendo più
utilizzabili politicamente, in gran parte svanirono.
Negli anni Novanta, la Lega Nord è stata l’espressione più clamorosa di
un dissenso territoriale che ha finito per diventare forza di governo. Non
dimentichiamo che alle elezioni amministrative del 2010 la Lega è riuscita a concentrare su di sé gran parte del voto di protesta del Centro-Nord,
sconfinando in Emilia-Romagna e in Toscana. Oggi la Lega è ridotta
male, ma solo un paio di anni fa minacciava di annettersi perfino pezzi
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del partito di Silvio Berlusconi. Anche in quel caso, però, la ribellione
più organizzata che si ricordi in Italia nei confronti dello Stato centrale
ha finito per essere riassorbita proprio grazie a Berlusconi. Si tratta di un
passaggio che il Cavaliere ha più volte rivendicato come un suo successo
politico: aver portato questo movimento “eversivo”
dentro il sistema, averlo tutto sommato ricondotto QUELLE FORME PARTITO
al rispetto della Costituzione, nonostante le parole A CUI LA DEMOCRAZIA
d’ordine eversive sempre presenti nella retorica del ITALIANA SI ERA ADATTATA
E ABITUATA PER OLTRE
Carroccio.
Rispetto al passato, però, oggi il voto di protesta MEZZO SECOLO NON
incrocia una debolezza profonda del tessuto con- SONO PIÙ CONTENITORI
DI SPINTE, ISTANZE, INTERESSI
nettivo della politica. Mentre prima il sistema parE NATURALMENTE CULTURE
titocratico riusciva a riassorbire questi fenomeni, li
POLITICHE MA, AVENDO
normalizzava e addirittura li usava, oggi la politica PERSO CREDIBILITÀ DI
tradizionale si dibatte in una crisi tale da lasciare un FRONTE AGLI ELETTORI,
vuoto in cui si può inserire di tutto: non sappiamo RISCHIANO DI RIDURSI
se buono, cattivo, democratico, antidemocratico. A GUSCI VUOTI
È questa la realtà con cui è necessario fare i conti:
quelle forme partito a cui la democrazia italiana si era adattata e abituata
per oltre mezzo secolo non sono più contenitori di spinte, istanze, interessi e naturalmente culture politiche ma, avendo perso credibilità di
fronte agli elettori, rischiano di ridursi a gusci vuoti.
IE Ma quale democrazia può esserci senza partiti? E, poi, è giusto mettere
nello stesso calderone, e quindi condannare senza distinzioni, tutti i partiti,
un’ intera classe politica?
A. P. I partiti svolgono una funzione essenziale in una democrazia degna
di tale nome. Ma la loro sopravvivenza non può essere affidata a una
rendita di posizione. Sono gli elettori che non si riconoscono in una
politica che diventa sempre più casta. L’abitudine a confondere le acque
e i problemi sembra, invece, la conseguenza di una difesa interessata di
questa politica da parte di chi ne sfrutta le opportunità.
A proposito del Movimento 5 Stelle si è chiamata spesso in causa l’antipolitica, commettendo però un errore madornale e voluto, perché di
Beppe Grillo e dei grillini si possono pensare le cose più diverse, ma
non si può dire che incarnino l’antipolitica, visto che si sono candidati a
gestire la “cosa pubblica”. L’antipolitica sta fuori dai canoni del controllo
della democrazia e delle sue regole, e sceglie altre strade per imporsi.
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L’antipolitica ha in sé qualcosa di autoritario, di peronista; qualcosa che
comprime le regole della democrazia e, appunto, dà la possibilità all’“uomo forte” di prevalere. Ma oggi in Italia questa antipolitica non la vedo.
Dice Grillo, che il M5S che abbiamo in Italia è comunque meglio dei
nazisti in Grecia o dei lepenisti in Francia. È una battuta che contiene
una parte di verità. I grillini non solo si sottopongono al voto e quindi al
giudizio degli elettori, ma, al di là delle provocazioni mediatiche di Grillo, propongono programmi che potrebbero essere sottoscritti benissimo
da un candidato IDV, del PD o di SEL.
I partiti, non avendo promosso e dato seguito in maniera credibile a
un processo di autoriforma chiaro e trasparente, hanno prodotto una
omologazione che in questa fase crea una contrapposizione, abbastanza
virtuale, che vede, da una parte, coloro i quali sono acriticamente antipolitici e, dall’altra, con la stessa intransigenza, i difensori della politica.
È un fatto, però, che la mancata attuazione delle grandi riforme che
andavano realizzate è colpa di tutte le forze politiche, anche se è chiaro
che chi aveva la maggioranza – quindi Berlusconi – porta sulle spalle un
maggior grado di responsabilità.
Il secondo elemento di omologazione è dato dal governo Monti. Quando nasce una maggioranza composta dalle forze che prima erano al governo con quelle che sedevano sui banchi dell’opposizione, è evidente
che il comune cittadino vede una maggioranza formata da PDL, PD e
UDC ed è portato a ritenere, comprensibilmente, che siano tutti uguali.
In sostanza, così come la parola politica non può diventare una parolaccia è anche sbagliato difendere la politica a prescindere dai suoi fatti e
misfatti. E chi dai misfatti vuole distinguersi dovrebbe far sentire alta la
sua voce. Ma oggi questa voce non si sente.
IE O magari, semplicemente, non viene ascoltata e ripresa dai mezzi di
informazione...
A. P. Forse sì, forse non è facile distinguere, forse troppo spesso si ricorre
a facili automatismi, e questo è un errore. Ho però l’impressione che
questo sistema dei partiti faccia molta fatica a trovare e indicare una via
d’uscita. Sono passati anni dalla pubblicazione del libro sulla casta di
Stella e Rizzo e dagli innumerevoli annunci di autoriforma che ne sono
seguiti. Sono passati anni ma non è cambiato assolutamente nulla. La
politica degli annunci è sbagliata, deleteria. Si possono anche non fare le
riforme perché ci si rende conto che non è possibile e non ci sono le con-
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dizioni per farle, ma è sbagliato continuare ad annunciarle e non farle
mai. In questo modo si crea nei cittadini una forma di assuefazione che
alimenta il qualunquismo: l’idea, cioè, che i politici non daranno seguito
alle parole con i fatti e che continueranno a pensare solo agli affari loro.
IE Dei partiti, dicevamo, non si può fare a meno. Nella prima Repubblica
fu proprio grazie alla Democrazia Cristiana e al Partito Comunista che si
riuscirono a tenere a bada le pericolose spinte che prima ricordavamo. Il
berlusconismo, invece, alterando l’equilibro tra poteri previsto nella Costituzione, in maniera sistematica, ha privato il Parlamento del suo ruolo fondamentale, smontato il sistema dei partiti su cui esso era fondato, attaccato il
potere giudiziario e ha alterato il sistema dell’informazione, accentuando e
imponendo il carattere personalistico e leaderistico delle forme di partecipazione politica e provando a neutralizzare le forme di “garanzia” previste dalla Costituzione. Siamo forse, per fortuna, di fronte all’epilogo della seconda
Repubblica? E, soprattutto, come si esce da questa situazione?
A. P. Sono d’accordo nel dire che la tripartizione dei poteri prevista dalla
Costituzione è oggi profondamente mutata, nel senso che i poteri realmente in grado di incidere sono rimasti solo due: il potere esecutivo
e quello giudiziario, mentre il potere legislativo ha
perso o sta perdendo qualsiasi capacità di contare. GRAZIE AL PORCELLUM,
Grazie al Porcellum, voluto dal PDL e dalla Lega, VOLUTO DAL PDL E DALLA
il Parlamento della Repubblica si è trasformato in LEGA, IL PARLAMENTO
un’assemblea di nominati, in cui si è perso il lega- DELLA REPUBBLICA SI
È TRASFORMATO IN
me con l’elettore, elemento chiave del rapporto fra
UN’ASSEMBLEA DI NOMINATI,
rappresentanti e rappresentati che è fondamento di
IN CUI SI È PERSO IL LEGAME
ogni democrazia. Nei cittadini prevale la sensazione
CON L’ELETTORE, ELEMENTO
che se la scelta dei parlamentari spetta ai segretari di CHIAVE DEL RAPPORTO
partito invece che agli elettori, non bisognerà più FRA RAPPRESENTANTI E
rispondere a questi ultimi del proprio operato. È RAPPRESENTATI CHE È
importante che gli elettori abbiano la possibilità di FONDAMENTO DI OGNI
scegliere chi votare. Il rapporto che il parlamentare DEMOCRAZIA
instaura con il proprio collegio è fondamentale. Il
Parlamento non è solo luogo di decisione, è luogo di rappresentanza, e
se mancano la rappresentanza e il controllo sulla rappresentanza le Camere non smettono di essere luogo di decisione. Abbiamo visto infatti
che ormai la maggior parte dei provvedimenti varati sono decreti legge
approvati ricorrendo prevalentemente al voto di fiducia. Tutti i gover-
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ni, senza distinzioni, usano il Parlamento semplicemente come cassa di
compensazione su piccole questioni. I provvedimenti di iniziativa parlamentare sono davvero pochi e marginali, e riguardano materie irrilevanti
rispetto alle grandi scelte del paese.
Del resto, basta vedere come il lavoro del Parlamento viene seguito dalla
stampa. I giornali non seguono quasi più l’attività parlamentare, anche
quando ci sarebbero i motivi per farlo, come nel caso dell’attività delle
commissioni, o dell’iter dei provvedimenti di spesa, comunque importanti e che non vengono più coperti. Quando ho cominciato questo mestiere
(era il secolo scorso), il cuore della politica era il Parlamento. Quindi è vero
che c’è stata una trasformazione materiale dei poteri, non saprei dire però
se questo mutamento abbia portato l’informazione a diventare un vero
contropotere. Certo influisce più sull’establishment che non sui cittadini.
Basta guardare i numeri: i giornali vendono sempre meno, sono sempre
più in crisi. Sopravvive una certa capacità di pressione, ma la cosiddetta
opinione pubblica einaudiana, cioè quella stampa in grado di formare
l’opinione della maggior parte dei cittadini, ormai non esiste più.
IE Molti hanno identificato l’intento di alterare gli equilibri della Costituzione tentato da Berlusconi con il progetto “riformatore” di Gelli…
A. P. Fortuna che Berlusconi non è più a Palazzo Chigi e che Gelli non
aveva internet! Entrambi non potevano prevedere che ci sarebbe stato
uno strumento grazie al quale l’informazione sarebbe stata effettivamente eterodirette, senza mediazione, e che quindi la funzione dei giornali
come creatori di opinione pubblica sarebbe appunto progressivamente
diminuita.
IE Che ruolo hanno avuto, allora, i giornali rispetto a un voto così fortemente connotato dall’antipartitismo come quello del maggio scorso?
A. P. I giornali sono, nella stragrande maggioranza dei casi, di proprietà
dei cosiddetti “poteri forti”, direbbe Monti. Nel salotto buono del “Corriere della Sera” ci sono imprenditori, banchieri e proprietari di cliniche.
“La Repubblica” è un giornale progressista, ma il suo proprietario è un
signore che possiede a sua volta uno dei più grossi gruppi finanziari italiani, con molteplici e legittimi interessi. Poi ci sono i giornali riconducibili
al gruppo Agnelli e quelli del gruppo Caltagirone. La famosa leggenda
dell’editore puro è, appunto, una leggenda. Almeno in Italia quella figura
non è mai esistita. L’unico giornale che in questo momento ha una sua
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autonomia è “il Fatto”. Siamo stati favoriti dal declino della stampa quotidiana in Italia e ci siamo inseriti in una realtà che presentava spazi di
libertà che nessuno aveva il coraggio di riempire. Credo che abbia poco
senso la polemica sulla scelta di assecondare l’antipartitismo, sull’opportunità o meno di “lisciare il pelo” a un’opinione pubblica arrabbiata con
i partiti, soprattutto se si pensa che viviamo una crisi economica gravissima che colpisce ampi strati sociali. Certo, in una situazione del genere
è più facile prendersela con la politica, identificata
come prima responsabile del disagio. Più rischioso è NELL’ATTUALE SITUAZIONE
prendersela con l’onnipotente sistema delle banche, DI CRISI ECONOMICA È PIÙ
con la FIAT, con Marchionne, con i finanzieri, per- FACILE PRENDERSELA CON
ché sono questi i detentori degli unici poteri che in LA POLITICA, IDENTIFICATA
Italia contino ancora. La politica è l’avversario più COME PRIMA RESPONSABILE
semplice, bisogna dirlo, in quanto non fa niente per DEL DISAGIO. PIÙ RISCHIOSO
È PRENDERSELA CON
non accreditarsi come casta e quindi i giornali hanL’ONNIPOTENTE SISTEMA
no buon gioco a raccontare le gesta dei tanti ladri
DELLE BANCHE, CON LA
che fanno la bella vita con i soldi del finanziamento FIAT, CON MARCHIONNE,
pubblico. Naturalmente, non tutti i tesorieri sono CON I FINANZIERI, PERCHÉ
corrotti e non tutti i partiti arraffano.
SONO QUESTI I DETENTORI
Vorrei ricordare la polemica del “Fatto” nei con- DEGLI UNICI POTERI CHE IN
fronti di Italianieuropei riguardo alla trasparenza ITALIA CONTINO ANCORA
dei suoi finanziamenti. Non eravamo contrari alla
scelta di ricorrere a contributi privati, ma quando alcuni personaggi che
avevano finanziato Italianieuropei sono finiti in un’inchiesta giudiziaria,
abbiamo chiesto di rendere pubblica la lista di tutti quelli che finanziavano la Fondazione. La risposta che Massimo D’Alema ci ha dato è
che lo avrebbe fatto volentieri se solo la legge di tutela della privacy non
lo avesse impedito. Ci è sembrata una spiegazione debole e riteniamo
inoltre che cercare di rendere più trasparenti le forme di finanziamento
avrebbe comunque giovato all’immagine della Fondazione.
IE Ma non è irrealistico pensare che si possa fare uno screening preventivo di
tutti i potenziali finanziatori, per di più quando la raccolta di sponsor per
le iniziative e della pubblicità per un quotidiano o per una rivista avviene
attraverso società di intermediazione? E se un signore che finanzia oggi la
rivista commette un reato dopo dieci anni, come faccio a prevederlo?
A. P. Questo è vero. È però altrettanto vero che questa posizione è più
facilmente difendibile quando c’è una lista di finanziatori liberamente
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consultabile. Ecco un modo per farsi un’opinione senza colpevolizzare
nessuno. Viviamo in una democrazia sospettosa, nella quale è radicata
l’idea che il potere nasconda sempre qualcosa di inconfessabile. Essere il
più possibile trasparenti è l’unica medicina alla malattia del sospetto.
IE Per tornare al mondo dell’informazione, dicevamo che non esistono editori puri, almeno fra i grandi. È però altrettanto vero che questo è un mondo
che sta cambiando rapidamente: saltano le forme di mediazione, cambiano
le modalità di elaborazione dei contenuti e le forme della loro distribuzione.
Cambiano di conseguenza le professioni: anche le grandi testate tendono a
rinunciare alla figura del redattore classico esperto di alcune materie, per
assumere giovani a basso costo pronti ad occuparsi di tutto, la cui unica fonte
è spesso solo internet.
A. P. Su questo punto posso portare l’esperienza del “Fatto”, esperienza
che si basa su un modello di piccola impresa editoriale. Quello che viene
dopo, cioè i contenuti giornalistici, sono l’effetto, la conseguenza positiva di una società che è stata sempre molto attenta ai costi. Contenendo
al massimo i costi fissi con la possibilità di riassorbire i costi flessibili nel
momento in cui le cose per il giornale non dovessero andare bene. I giornali veramente liberi sono quelli con i conti in regola. Quando i conti
non sono in regola, cominciano i compromessi e addio libertà. L’errore
di fondo delle imprese editoriali italiane, forse ormai irrimediabile, è di
aver creato dei modelli editoriali troppo costosi, inutilmente costosi, per
cui bisognava innanzitutto darsi degli emolumenti cospicui, dotarsi di
corrispondenti, inviati, consulenti e largheggiare nei benefit. Tutto ciò si
paga nel momento in cui i giornali vendono meno.
IE È cambiata però anche la figura professionale del giornalista. Si è fatta
strada l’idea che ognuno possa farsi da sé il suo giornale, la sua inchiesta, la
sua indagine. Le notizie sulle rivolte della Primavera araba sono state diffuse
prima dai blog che dai giornali.
A. P. Diciamo che è stato superato un equivoco, un luogo comune assolutamente dannoso, ossia che per fare il giornalista si debba avere il timbro di
un ordine professionale. Fino all’esplosione di internet, dei blog, di Twitter, giornalista era chi era stato accettato nella grande corporazione perché,
oltre a saper fare il suo lavoro, aveva una serie di requisiti. Questa idea oggi
è superata. Chiunque può raccontare una storia, può riportare quello che
vede, può farlo anzi, con maggiore immediatezza, e non c’è bisogno di
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avere il timbro dell’ordine professionale. Un grande passo in avanti, anche
se non privo di pericoli riguardo all’attendibilità delle notizie diffuse. È il
rovescio della medaglia della libertà di internet: ciò che leggiamo sarà vero?
La possibilità di raccontare in maniera più libera e immediata deve avere
sempre un contrappeso nella verifica accurata delle fonti.
IE Qual è oggi il rapporto tra lettori e contenuti? E come vengono gestiti i
contenuti?
A. P. I lettori, certamente i nostri lettori, si mostrano molto informati,
ipercritici, anche rispetto a ciò che scriviamo. Ora, ad esempio, alcuni sono arrabbiati perché ci ritengono troppo filo-grillini. All’arrivo di
Monti ci avevano invece rimproverato l’eccessiva criticità nei confronti del premier “tecnico”. Poi però ci siamo ritrovati quando anch’essi
hanno cominciato a essere critici verso le scelte del governo. Hanno,
in definitiva, una forte capacità di reazione, sono molto attenti, usano
spesso internet, non si lasciano facilmente manipolare. Spesso risultano
più informati dei giornalisti.
E poi sono attenti soprattutto al tema della legalità, che è ovviamente più
sentito nei momenti di crisi economica: quando il portafogli è vuoto,
il senso di ingiustizia rispetto a chi ha di più si rafforza. In un periodo
di prosperità quello dei privilegi resta un tema fra
i tanti, ma nei momenti di crisi diventa una sen- IN UN PERIODO DI
PROSPERITÀ QUELLO
tenza definitiva. Gli scandali che hanno investito i
DEI PRIVILEGI RESTA UN
tesorieri di Lega e Margherita ne sono un esempio:
TEMA FRA I TANTI, MA NEI
pur rappresentando solo un pezzo della realtà, hanMOMENTI DI CRISI DIVENTA
no finito per travolgere l’intera storia del finanzia- UNA SENTENZA DEFINITIVA
mento pubblico, colpevolizzando tutti. Si tratta di
quel tipo di notizie chiave che determinano il clima, il contesto. Inutile
difendersi facendo dei distinguo, perché l’opinione pubblica non ne fa
più. Per salvarsi, i partiti dovrebbero fare la riforma più radicale: rinunciare a qualsiasi forma di finanziamento pubblico. Non lo faranno mai.
IE Ma non si corre così il rischio di avvantaggiare chi si fa portatore degli
interessi di pochi potenti facoltosi?
A. P. Grillo ha dimostrato che si può fare campagna elettorale anche
con poco. A Parma i grillini di Pizzarotti hanno speso 7000 euro. Forse
non è più necessario avere tanti soldi per fare politica. E forse non è più
necessario neanche andare in televisione. Anzi, può essere perfino con-
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troproducente partecipare a certe trasmissioni-contenitore che, omologando i luoghi comuni, finiscono per non dare spazio alle idee più forti
e nuove. È un errore che commette il Partito Democratico mandando in
TV sempre le stesse facce. Il PD ha un’eccellente classe di amministratori
locali, molti giovani, persone che fanno bene il loro mestiere e di cui
quasi nulla si sa perché nei talk show ci vanno sempre i soliti papaveri.
Non è possibile che l’unico rappresentante del “nuovo” che c’è nel PD
sia Matteo Renzi, che nuovo non è più da tempo.
Fino alla primavera del 2013 saranno tante le novità che entreranno in
campo, e i partiti come li conosciamo rischiano davvero di essere messi
alle corde. Se il PD non lo capisce, si condanna a un sicuro declino.
IE Come andrebbe scelto, a suo giudizio, il candidato premier del centrosinistra?
A. P. Con questa legge elettorale, attraverso le primarie, ma con delle
primarie vere, diverse da come le conosciamo. Le primarie, se regolate come competizione tra tanti e non come trampolino per consacrare
il prescelto dal sinedrio di partito sono l’ultimo volano utilizzabile dai
partiti per dire: eccoci, esistiamo ancora. Ma solo se c’è lotta vera tra i
candidati può esserci un reale coinvolgimento popolare. Se il centrosinistra riuscisse a far competere quattro o cinque candidati forti, tutti con la
possibilità di vincere, questa sarebbe la migliore risposta a chi già celebra
il de profundis della politica e dei politici. Temo però che ormai il tempo
sia scaduto.
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