Uno stupido gioco finito male: il Racconto di

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Uno stupido gioco finito male: il Racconto di Natale di Arnaud Desplechin
Inviato da Umberto Ledda
Mappa affettivo-conflittuale della famiglia Vuillard
Junon – La madre
All'inizio degli anni Sessanta sposa Abel Vuillard. Nascono due figli: il primogenito Joseph, la secondogenita Elisabeth.
Qualche anno dopo una malattia genetica mette in pericolo la vita di Joseph. Junon corre ai ripari: concepisce un terzo
figlio, che dovrebbe aiutare con un trapianto la vita del primo. Il bambino si chiama Henri e la sua nascita è inutile:
Joseph muore qualche mese dopo. Il tempo passa. Junon ha un terzo figlio, Ivan. Il suo atteggiamento nei confronti dei
figli è di divertito disinteresse (escludendo Henri, figlio apertamente disprezzato e programmaticamente escluso dalla
divisione degli affetti), accompagnato da sporadiche infatuazioni. Il tempo passa ancora. Nel 2007, in prossimità del
Natale, Junon si scopre malata di una nuova malattia genetica. C'è la possibilità di un trapianto di midollo, ma occorre
trovare qualcuno, nella famiglia, che sia a lei compatibile. Tutto ciò mentre si organizza un pranzo di Natale che riunirà,
dopo anni, l'intera e ampia famiglia.
Henri – Il figlio
Concepito esclusivamente per salvare un fratello maggiore che poi morirà comunque, Henri vive nella posizione di figlio
secondario, affettivamente trascurato da Junon. Il rapporto fra i due è di odio reciproco, aperto e dichiarato. Henri cresce
ribelle e selvatico, supportato da una buona dose di follia. Passa il tempo, la stessa sorella Elisabeth, più legata alla
madre, inizia a disprezzarlo: lui non fa nulla perchè le cose cambino. Alcolizzato, drogato, sgangherato truffatore pervaso
da un delirante e divertito eroismo, vede i suoi rapporti con la famiglia crollare quando la sorella, in cambio del
pagamento dei suoi debiti, lo esclude ufficialmente dal resto della famiglia considerandolo più o meno alla stregua del
demonio. Cinque anni dopo questo fatto, nel 2007, in prossimità col Natale, viene ufficialmente richiamato per il periodo
festivo nella casa della madre. Qualche giorno dopo, scopre di essere compatibile per donare il proprio midollo osseo
alla madre. La cosa lo diverte molto.
Elisabeth – la figlia
Seconda figlia di Junon e Abel, sorella maggiore di Henri. Di lei, a parte il suo odio assoluto verso il fratello e la sua
professione di drammaturga, si conosce poco fino al periodo del Natale 2007. In questo momento della sua vita è una
donna fredda, ipocondriaca, depressa, piena di odio e di incubi, completamente infelice. Ha un figlio adolescente, Paul,
con profondi disturbi psichici, da poco ricoverato per esaurimento nervoso e sospetta schizofrenia. Sposata con un
eminente matematico, ha un atteggiamento gelido e paranoico con la vita. Quando accetta di rivedere Henri, che non ha
perdonato e non ha alcuna intenzione di perdonare, ha appena scoperto che il figlio è compatibile per donare il midollo a
Junon.
Altri esponenti della famiglia Vuillard presenti ai festeggiamenti del Natale
Abel: vecchio marito di Junon, padre di Elisabeth, Henri e Ivan
Ivan: terzo figlio di Junon e Abel, fratello di Elisabeth e Henri, sposato con Sylvia. Ex disturbato psichico.
Joseph: primo figlio di Junon e Abel, morto a sei anni per una malattia genetica, nel 1968, fantasma di buona parte della
famiglia. Assente per ovvi motivi ai festeggiamenti, la sua presenza è comunque avvertibile.
Paul: figlio di Elisabeth, schizofrenico.
Claude: marito di Elisabeth, matematico di spicco.
Simon: cugino di primo grado di Elisabeth, Henri, Ivan. Pittore.
Faunia: donna di Henri nel periodo di Natale 2007.
Sylvia: moglie di Ivan.
Basile e Baptiste: figli di Sylvia e Ivan. Bambini. La loro presenza ai festeggiamenti non è determinante.
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Aneddoti e note salienti legati alla famiglia Vuillard
L'espulsione di Henri dalla famiglia per mano di Elisabeth avviene in maniera praticamente ufficiale, in tribunale, dove
Henri si trova come imputato per una lunga serie di insolvenze (ha comprato un teatro dove mette in scena i testi della
sorella, senza mai averlo pagato). Elisabeth paga i debiti, in cambio Henri esce dalla sua vita. Henri ha nel frattempo
approfittato delle sei settimane di galera preventiva per farla finita con le droghe. Nell'adolescenza, Ivan ha sofferto di
disturbi psichici. Pur non essendo mai stato ricoverato, mantiene una memoria viva e dolorosa di questo passato. Al
punto da considerare la malattia del nipote come un'occasione per poter aiutare un altro ragazzo nelle sue stesse
condizioni, liberandosi così, in qualche modo, dell'incubo della malattia mentale. In gioventù, Sylvia è stata l'oggetto delle
attenzioni di Ivan, Simon e Henri. Togliendo Henri, il cui interesse era di natura prettamente sessuale (e infatti se la portò
a letto in un momento imprecisato), la situazione si risolse a favore di Ivan, dopo un accordo in cui Simon decise di
lasciarla al cugino, che a causa delle proprie condizioni psicologiche ne aveva un assoluto bisogno. Ciononostante
Sylvia, se avesse potuto scegliere, avrebbe scelto Simon. Nel passato di Henri c'è anche una moglie, morta in un
incidente stradale dopo un mese di matrimonio. Secondo la sua opinione, fu lei a trasformarlo in quello che è. Uno degli
elementi che contribuiscono all'odio guerresco di Elisabeth verso Henri è un avvenimento di parecchi anni prima, quando
Henri, dovendo dare una mano alla giovane e avvenente babysitter del di lei figlio Paul, ebbe ripetuti rapporti sessuali
con lei, nel salotto di Elisabeth. Va infine evidenziato l'alcolismo isterico di Simon.
Psicologia della chimera
La chimera è un animale immaginario di derivazione classica, la cui peculiare qualità è quella di essere costituita da parti
di animali diversi: generalmente testa di leone, corpo di capra, coda di drago o serpente, per quanto il nome sia poi
andato a rappresentare qualsiasi animale derivato da elementi eterogenei e spuri. Una bestia che non è nessuna di
quelle cui appartengono le singole parti, spaventosa d'aspetto, per quanto a pensarci bene un po' grottesca. Nel
Racconto di Natale di Desplechin il discorso chimera viene affrontato a proposito dell'operazione di Junon: il trapianto di
midollo porterà nel suo organismo elementi estranei, che forse la salveranno, ma se diventeranno pazzi odieranno
l'organismo che li ha accolti, e lo distruggeranno. Questione complicata dal fatto che gli unici due familiari che possono
aiutarla sono il nipote schizofrenico e il figlio che odia e da cui è odiata, concepito per una simile occasione quarant'anni
prima e mai utilizzato, anche lui già piuttosto matto per conto suo. Per Desplechin la metafora del trapianto, e quindi della
chimera, è perfetta per dare la propria idea della famiglia: un macroorganismo dove gli organi si guardano storto e
litigano fra loro, un guazzabuglio di personaggi eterogenei, messi insieme solo per gli assurdi giochi combinatori della
genetica, che devono lottare per trovare una qualche compatibilità fra loro, per evitare di distruggersi a vicenda. Individui
che se non fossero legati per forza non si saluterebbero nemmeno per sbaglio, essendo di fatto perfetti sconosciuti, ma
che i legami di sangue obbligano alla convivenza e alla condivisione. Un frutto del caso, uno stupido gioco che rischia di
finire male, nel caso la ricerca delle compatibilità (emotive e affettive, ma anche biologiche) fallisca, portando i singoli
organi a combattere l'uno contro l'altro. La variopinta congregazione di individui messa in piedi da Desplechin, sulla base
di questa visione delle cose, ha trasformato questa lotta per la convivenza in una feroce guerra tribale, coagulatasi nel
conflitto fra Henri (nel ruolo dell'Agente Esterno Potenzialmente Pericoloso) e Elisabeth. In questa guerra tutto è lecito,
dalla provocazione al sarcasmo, al sotterfugio, alla manipolazione, ai pugni in faccia. Le stesse emozioni sono utilizzate
come strumento di ricatto oppure come merce di scambio. Henri insiste per essere il donatore della madre perchè
sarebbe una vittoria in termini di debiti affettivi: dimostrerebbe che l'uomo inutile all'interno della famiglia non è poi così
inutile, e che la nemica Elisabeth non è stata in grado di concepire un figlio utilizzabile a questo scopo. Non è il solo
caso: a suo tempo, Elisabeth aiutò Henri pagando i suoi debiti, ma solo a patto che questi uscisse definitivamente dalla
famiglia. E Ivan vuole aiutare Paul per liberarsi del fantasma dalla sua stessa malattia e non per aiutare davvero il nipote,
di cui in realtà non gli importa granchè: un gesto cinico ed egoista, per quanto non dichiarato, per modificare il peso
affettivo a proprio favore sul campo familiare.
Ciò che caratterizza la differenza tra Desplechin e tanti altri cantori dell'odio familiare è che i suoi personaggi sanno tutto
questo fin dall'inizio, e quindi possono compiere la loro battaglia con molta più serenità. Quindi, se di solito nei film
d'autore sulla famiglia si può assistere ad un balletto sanguinolento intavolato in toni cupi e atmosfere putride, nel lavoro
di Desplechin si respira una certa allegria. I suoi personaggi, perfetti sconosciuti obbligati a non esserlo, sono
consapevoli di come la sacralità del vincolo familiare è di fatto una convenzione illusoria, non ci credono né ci hanno mai
creduto: i loro scontri sembrano in parte un gioco, un sarcastico sabotaggio delle strutture familiari. Perchè se nulla li
accomuna in realtà, è anche vero che nulla realmente li distanzia: Henri odia, ricambiato, la madre non perchè davvero
non la sopporta, ma solo come figura materna. Dal momento che i due sono consapevoli anche di questo, possono
tranquillamente godersi la loro incompatibilità scherzando, come due sconosciuti obbligati a dei ruoli che sanno essere
fittizi: se non ci fosse la famiglia di mezzo non si amerebbero, ma nemmeno si odierebbero. Il loro trasformare ogni
minimo rituale natalizio in un'occasione per scontrarsi e farsi del male non è in realtà una questione così seria. L'odio e il
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disprezzo sono in fondo, per i Vuillard, una modalità nemmeno troppo deprecabile dell'affetto.
Realismo dell'assurdo
A una visione distratta, il film di Desplechin colpisce per la sensazione di verosimiglianza, per atmosfera e aneddotica,
con il modello di famiglia a cui si è abituati nella realtà, e coglie con precisione quella particolare commistione di finzione,
malinconia ed emozione sincera che domina nelle società europee il periodo natalizio (l'unico dell'anno in cui la famiglia si
deve ricostituire a prescindere dalle diverse vie scelte dai singoli esponenti). Almeno, molto di più dei film americani sullo
stesso tema (col Ringraziamento a sostituire il Natale), che danno sempre la sgradevole sensazione di essere più una
forma di propaganda sociale che non un vero ritratto familiare. In altre parole, la famiglia Vuillard sembra terribilmente
realistica. In realtà, ciò che avviene nei centocinquanta minuti del Racconto di Natale è quantitativamente esagerato e
qualitativamente grottesco: tutte le famiglie hanno al loro interno inconfessabili incompatibilità, odi sopiti, giochi di potere,
ma quelle reali arrivano alle coltellate per molto meno. I Vuillard hanno una lista di avvenimenti potenzialmente distruttivi
e di caratteri conflittuali spropositata, fra madri che generano figli da usare come pezzi di ricambio, donne disputate fra
due fratelli e un cugino e alla fine assegnate ad uno di loro senza che lei venga consultata, una famiglia dove si ritrovano
nel ruolo di fratelli una donna algida e paranoica e un cialtrone vitalista e ladro, dove i nipoti schizofrenici minacciano i
genitori con un coltello mentre uno zio, che a suo tempo aveva sofferto di gravi turbe prova ad aiutarlo finendo col fare
più male che bene. Più che alla verosimiglianza, la storia dei Vuillard ha che fare col caos e con la follia. Un possibile
accostamento cinematografico sembra essere quello, per nulla realistico, delle famiglie di Wes Anderson, abitate da
poetici sbandati inadatti alla vita normale. Il riferimento ad Anderson, percepibile anche nella insistita riproposizione del
proprio personale modello di famiglia, quello di Desplechin, e nella risonanza di elementi intimamente simbolici (nomi,
date, ruoli e volti) lungo tutta la sua filmografia, non è probabilmente troppo forzato. Ciò che separa i due registi è il tipo di
operazione affrontato da Desplechin, particolare e quasi parodistico: creare un nucleo inverosimile e assurdo di caratteri
umani e di avvenimenti, e poi dare loro reazioni psicologiche verosimili e profonde, come se si stesse lavorando su un
intreccio bergmaniano. Reazioni che però, su un substrato così instabile, non possono che avere risultati decisamente
bizzarri.
Desplechin sabota pesantemente la struttura del film familiare tradizionale, secondo il modello americano: invece di un
intreccio verosimile raccontato con personaggi psicologicamente implausibili, un intreccio implausibile dove i personaggi
hanno caratteri raffinatamente verosimili. Il risultato è sorprendente: invece di un buonismo che sa di falso e che ispira
tristezza, Desplechin racconta i suoi odi assurdi attraverso personaggi così sinceramente umani, nel bene e nel male, da
ispirare, paradossalmente, all'ottimismo. Il suo è un cinema che parla di gente che si ammazzerebbe volentieri, ed è più
vitale e positivo della maggior parte del cinema tradizionale (americano, ma anche italiano), e contemporaneamente del
cinema d'autore sulla famiglia, con i suoi toni surreali (Anderson) oppure nichilisti e cupi (tutta la scuola europea). Il
risultato è ancora più spiazzante, e in qualche modo gioioso, nel momento in cui Desplechin aggiunge il suo personale
gusto stilistico nella messinscena. Il francese è un regista arruffato e umorale, che mette in scena le sue storie fluviali
fregandosene della coerenza generale, andando a naso e sensibilità, mischiando e accostando generi disparati,
strappando il ritmo fra accelerazioni improvvise e altrettanto improvvisi rallentamenti. Il suo cinema passa senza
problemi, e spesso appaia nello stesso momento, elementi di lucidità ad attimi di totale irrazionalità, citazionismo
contemporaneo, tragedie classiche e sentimentalismo popolare. Il suo uso dei toni e dei generi è mutevole e
imprevedibile: il suo Racconto di Natale prende di volta in volta le atmosfere da horror psicologico (la visita di Junon e i
preparativi per la prima cena in famiglia, con tanto di musiche inquietanti e minacciose) o da complotto di spionaggio,
accosta una rappresentazione relativamente tradizionale a lunghi momenti dove gli attori parlano rivolti alla macchina da
presa spiegando allo spettatore retroscena e risvolti di quello che accade. Tutto sembra incongruo nel modo di fare
cinema di Desplechin: non c'è un baricentro preciso, non c'è equilibrio nel senso classico del termine, non c'è logica, non
c'è cognizione. Le linee narrative collaterali sono spesso del tutto slegate da quella principale, perchè Desplechin bada
più ai personaggi che al percorso del suo film. La stessa logica temporale è sabotata sottilmente fin dall'inizio, dove si
assiste alla narrazione delle vicende dei Vuillard (sotto forma di teatro d'ombre) con tanto di date di nascita e
informazioni precise: peccato che nessuna di queste informazioni funzioni insieme con le altre. Tutto è inverosimile,
eppure tutto è più verosimile di quanto non lo sarebbe stato in una messinscena corretta. Non c'è logica, ma c'è la libera
casualità che vista attraverso la sensibilità del regista francese riesce a trasformarsi in libertà: gli avvenimenti e le emozioni
sembrano accadere nel suo film senza la mano pesante di un demiurgo, ma così, un po' a caso, come viene, come è
naturale. Desplechin è considerato uno dei massimi prosecutori attuali della nouvelle vague, e questa sua capacità di
lavorare attraverso l'imprecisione, rendendola terribilmente vitale, ha molto del cinema dei suoi maestri. Ma il recupero
che mette in pratica è selettivo e intelligente, e non ha nulla del filologismo sterile e didascalico che ci si potrebbe
aspettare. La sua è una nouvelle vague che supera il terribile (e fisiologico) invecchiamento cui è andato incontro il
movimento originario, mantenendone e traducendone soprattutto lo spirito, la gioiosa libertà compositiva in contrasto con
le seriose composizioni dello storytelling tradizionale. Le sue storie assurde hanno più vitalità delle solite storie credibili,
perchè è il caso, e non l'equilibrio studiatissimo di una sceneggiatura, a dominare le interazioni fra gli esseri umani: lo
stile libero di Desplechin non va da nessuna parte, esattamente come la vita che è chiamato a rappresentare.
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