Eurussia può conquistare Marte (Limes, Aprile 2009)

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Eurussia può conquistare Marte (Limes, Aprile 2009)
Giovanni F, Bignami
EURUSSIA può conquistare Marte p. 173
Non tutti sanno che l’onda d’urto della caduta del Muro di Berlino spostò l’inclinazione orbitale
della Stazione Spaziale Internazionale (SSI). Non letteralmente, si capisce, ma a causa sia delle
difficoltà della NASA in quegli anni, sia della fama di eccellenza del programma spaziale sovietico.
Il tutto condito con geopolitica-foglia-di-fico. E’ una storia di ieri, interessante in se e utile per
capire cosa fare (e non fare) nella politica spaziale dell’Europa di domani. Anche perché, dopo il
programma Apollo, la SSI è il più grande progetto spaziale dell’umanità (soprattutto americana, ma
anche europea), con un valore totale finora di più di 100 miliardi di euro.
Finito il programma lunare, e svanita, insieme a Von Braun, la possibilità di un razzo nucleare per
Marte, l’idea di una grande stazione orbitante fu concepita negli anni della guerra fredda, quando le
due superpotenze andavano nello spazio in modo rigorosamente indipendente, quasi ostile. Una
stazione orbitante USA avrebbe proprio dovuto servire a seppellire l’”impero del male” sovietico
sotto il peso della tecnologia statunitense.
Aveva cominciato Nixon nel 1975, col programma Shuttle, partito nel 1981 e studiato per portare in
orbita, a pezzi, una struttura permanente, appunto una Stazione Spaziale. I falchi di Reagan le
avevano poi dato un nome, “Freedom”, e un’orbita inclinata sull’equatore di 28°, cioè la latitudine
di Cape Canaveral, base di partenza dello Shuttle. Ma la NASA si rese subito conto di aver davanti
una “mission impossible” con le sue sole risorse. Durante gli anni ‘80 e i primi ’90, Freedom rimase
solo un (costosissimo) progetto di carta e nulla di permanente andò mai sull’orbita di 28°.
Nel frattempo i compagni sovietici, trinariciuti o no, la loro stazione in orbita se l’erano fatta. Senza
fronzoli, come il loro pragmatico programma spaziale. Fin dal 1986 la stazione Mir era in orbita,
come evoluzione della spartanissima pre-stazione Saliut, volata in ben 4 modelli a partire dal 1971.
La Mir (in russo, sia “pace” sia “mondo”) fu lanciata con il Proton, gioiello della missilistica di
Serghiei Karaliòv, l’eroe segreto dello Sputnik. Partì dal cosmodromo dello Sputnik e di Gagarin,
cioè Baikonur, in Kazachstan, a 51°latitudine nord. I lanci continuarono fino alla fine ’91, quando
gli ultimi cosmonauti, partiti sovietici, riuscirono a tornare a terra, ma erano diventati russi. Il
programma fu un successo, ma, oltre a parlare russo, era su un’orbita inclinata di 51°.
A questo punto, non solo il muro di Berlino era caduto, ma tutto il mondo era cambiato. Alla
NASA non parve vero di poter (finalmente) lavorare con i russi, cosa che da anni più o meno
segretamente sognavano. La politica balzò sulla ghiotta occasione. Al Gore e V. Chernomyrdin, nel
1993, firmarono l’accordo per fare insieme una SSI.
A valle del risultato politico, venne il primo problema tecnico. Per cambiare l’inclinazione di
un’orbita all’altra bisogna spendere energia, cioè bruciare una massa di carburante maggiore,
magari molto maggiore, di quella necessaria per l’orbita originaria. Per di più, la meccanica celeste
dice che è più facile aumentare l’inclinazione dell’orbita (per esempio, da 28° a 51°) che
diminuirla. Insomma, si può passare dall’orbita “Cape Canaveral” all’orbita “Baikonur”, ma il
viceversa è inefficiente.
L’inevitabile scotto da pagare, volendo collaborare con i russi, fu quello di costruire la SSI
sull’orbita a 51°. I lanciatori russi avrebbero avuto la vita facile da Baikonur, lo Shuttle avrebbe
dovuto spendere più energia, ma si poteva fare. Ne valeva la pena, pur di avere rapidamente la SSI.
Anche se non c’era più la vera ragione per farla, cioè l’impero del male da distruggere (dettaglio
rapidamente scopato sotto il tappeto).
Il primo pezzo di SSI, il modulo russo “Zaria”(“alba” in russo), fu lanciato da Baikonur nel 1998. I
piani, come sempre ottimistici, prevedevano il completamento dell’assemblaggio in orbita nel 2003.
Purtroppo la realtà è ben diversa: la SSI sarà completata, se tutto va bene, l’anno prossimo, cioè con
ben sette anni di ritardo su un piano previsto di dieci (’93-‘03). Non è un successo.
Alla fine, dal ’98 al 2010, per fare la SSI ci saranno voluti un centinaio di lanci, divisi tra automatici
ed abitati. I primi sono finora totalmente russi, soprattutto con il veicolo cargo “Progress” (36 voli
alla SSI fino ad oggi), i secondi saranno divisi circa a metà tra Shuttle (che porta anche molto
carico, 28 voli ad oggi) e i veicoli abitati russi “Soiuz” e “TMA”, che invece quasi non portano
carico. Insomma, senza i russi non avremmo la SSI, anche se per una parte dei lanci russi,
soprattutto i più recenti, la NASA ha pagato il conto.
Naturalmente, dobbiamo ricordare la partecipazione alla SSI di molte altre nazioni, 16 in totale, in
particolare dell’Italia e della ESA. L’Italia è stata in prima fila nel contribuire alla SSI fin dagli anni
90, sia con elementi strutturali sia con strumentazione scientifica. Una frazione importante del
volume abitabile della SSI, per esempio, è stato fatto dagli stabilimenti di Torino della ThalesAlenia
Space. Come sempre, i nostri ingegneri e tecnici hanno fatto un lavoro perfetto.
La ESA, con partecipazione italiana, ha anch’essa contribuito parti importanti della SSI. In
particolare, ha costruito il laboratorio Columbus (un cilindro di quasi 7 m. di lunghezza per 4.5 m.
di diametro), attualmente attaccato alla SSI, dove vivono e lavorano i nostri astronauti.
Forse più importante ancora è stato, per ESA, l’invio nel 2008 alla SSI di un Automatic Transfer
Vehicle (ATV “Jules Verne”). E’ un cargo di media capacità, per ora non è qualificato al trasporto
umano. Anche se nell’economia globale della SSI conta poco, farlo ha qualificato l’Europa, e la sua
base di lancio a Kourou (Guyana Francese): per la prima volta la SSI è stata raggiunta partendo da
uno spazioporto diverso da Cape Canaveral o Baikonur. Tra poco, anche i giapponesi, che hanno in
orbita sulla SSI il loro grosso laboratorio Kibo (portato dallo Shuttle), prevedono un loro veicolo di
trasporto. Ma è ancora da qualificare.
Ma, una volta faticosamente costruita, a cosa davvero sarà servito fare la SSI ? Quanto la potremo
davvero usare? E per farci cosa, esattamente? Domande difficili. La SSI non ha più nulla del
significato strategico per la quale era stata immaginata, perché non c’è più l’impero del male
sovietico. Non ha neppure significato militare (anche solo pacifico), sia per il testo dell’attuale
accordo di costruzione, sia per la sua natura internazionale.
Ha forse un significato scientifico? Modesto, anche se non nullo. Comunque non tale da giustificare
la enorme spesa, come invece avevano cercato di farci credere da Reagan in poi, provocando la
giusta reazione della comunità scientifica mondiale. Per lo meno “non con i miei soldi” si disse
allora e si dice oggi. Deve essere chiaro, cioè, che un giusto investimento per lo sfruttamento
scientifico della SSI visto il fait accompli, va fatto. Ma deve essere anche chiaro che la spesa per la
SSI non può essere giustificata dalla scienza, né, tanto meno, alla scienza venir messa in conto.
La SSI è invece servita, questo sì, come allenamento per il volo umano nello spazio. Finora è stata
visitata da parecchie decine di astronauti di molte nazioni diverse, compresi tre italiani. Si tratta
però di volo umano a bassa quota, sopra la atmosfera ed in assenza di gravità ma all’interno del
campo magnetico terrestre. L’orbita a 300 km. blocca il flusso di radiazione cosmica che colpisce
veicoli e astronauti che lascino la Terra. La differenza è importante, perché la vera difficoltà del
volo umano interplanetario, soprattutto di lunga durata, verrà proprio dalla esposizione alle
radiazioni cosmiche ionizzanti sia dal Sole sia dallo spazio profondo.
Ma, soprattutto, la SSI sarà servita a costruire se stessa. Cioè a insegnare a USA, Russia, Europa e
Giappone a sviluppare tantissima tecnologia innovativa, a stimolare una nuova metodica industriale
e di collaborazione a livello mondiale. Per di più, è stato un ottimo investimento economico. E’
costata al contribuente americano 100 miliardi di dollari, cioè, ricordiamolo, la metà di quello che è
appena stato speso, in un colpo solo, per salvare la banca di quelli che giocavano sui mutui delle
case, la AIG. L’Italia ha investito più di miliardo di euro: non tantissimo, ma certo una percentuale
significativa del budget della ASI (creata giusto nel 1998).
A fronte di questi investimenti, la SSI ha prodotto “ricchezza”, cioè ricadute, lavoro, sviluppo etc.
per almeno tre volte tanto. Questo è dimostrato da studi indipendenti e credibili ed è un punto da
ritenere per il futuro. Proprio del futuro dello spazio in Europa e in Russia dobbiamo però adesso
preoccuparci. E qui le cose si complicano, perché le idee della comunità spaziale mondiale, NASA
in testa, sono poche ma confuse.
E’ un fatto che la SSI, completata l’anno prossimo, appena nata starà già morendo. La NASA,
infatti, chiude il programma Shuttle tra poco, nel settembre 2010. Da allora, per andare sulla SSI ci
saranno praticamente solo i due vecchi (ma sempre buoni) veicoli russi: Soyuz per gli astronauti
(solo tre, e molto scomodi…) e Progress per cargo, con però meno della metà del carico di uno
Shuttle. Anche nella amministrazione Obama, l’impressione di sganciamento USA dal futuro della
SSI è netta. A partire dal 2016 la NASA non pensa già più di essere coinvolta nella SSI, che perciò
tra meno di dieci anni da oggi dovrà essere (costosamente) de-orbitata.
Né potremmo pensare di partire dalla SSI per la Luna o per Marte. La Luna e tutti pianeti orbitano
vicino ad un piano (detto dell’eclittica) che è inclinato di 23° sull’equatore. La fretta, il bisogno
pratico di aiuto e anche la genuina voglia di fare un grande progetto spaziale con i russi appena
caduto il muro, hanno fatto andare gli USA contro la logica spietata della dinamica planetaria.
Adesso, la comunità spaziale mondiale ne paga le conseguenze, su diversi piani.
Primo, appunto, non potremmo usare la SSI come base per l’esplorazione umana della Luna e/o di
Marte. E’ sull’orbita sbagliata e non ha la struttura adatta: costruita come un laboratorio, non può
diventare un cantiere navale spaziale. Invece proprio di un cantiere in orbita il mondo avrebbe
adesso bisogno. Secondo, e non meno importante, dopo la SSI non esistono piani a medio-lungo
termine di collaborazione spaziale con i russi. E, ripetiamolo, la SSI finisce domani sulla scala dei
tempi dei progetti spaziali. E dopo, cosa faranno i russi? Riprenderanno ad andare da soli ? E noi,
vogliamo buttar via le loro risorse e la loro immensa esperienza? Sarebbe sbagliato.
Questa sembra essere l’idea della NASA che, per ritornare sulla Luna, propone il progetto
“Constellation”, a causa delle cui dimensioni deve, da subito, abbandonare la SSI. E’, finora, un
progetto ancorato allo spirito isolazionista di Bush: a parole si dice di volere una collaborazione con
Europei e russi, di fatto relegati in ruoli del tutto marginali ed insoddisfacenti.
“Constellation”, in realtà, non interessa al di fuori degli USA. Definito dall’ex amministratore della
NASA Mike Griffin come “Apollo on steroids”, è un’altra impresa fine solo a se stessa, o al
massimo per essere sulla Luna ad accogliere i Cinesi. Dal punto di vista della comunità scientifica,
che ha ripetutamente analizzato la cosa con buona volontà, la scienza che si potrà fare sulla Luna
non giustifica neanche lontanamente la spesa. Amaramente, si dice che l’unica cosa positiva di
“Constellation” è che farà sembrare noccioline (peanuts) il costo della SSI.
Né si può seriamente pensare a fantascientifiche miniere lunari, tanto meno al famigerato “elio 3”,
una vergognosa bufala. E per quanto riguarda una base abitata, essa sarebbe interamente sotterranea
(per via delle radiazioni), e fine a se stessa. Per farla e mantenerla, sarebbe necessario un lancio tipo
Apollo alla settimana, per anni, con un costo inimmaginabile. Per di più, con una probabilità molto
alta di incidenti mortali, oggi non tollerabili: non c’è più l’ex-nazista Von Braun, che fece prendere
ai suoi astronauti rischi oggi impensabili.
Infine, partire dalla Luna per Marte sarebbe un clamoroso spreco di energia. Lo vede chiunque
pensi ai motori e carburante per la frenata all’atterraggio sulla Luna (che non ha atmosfera, quindi
niente paracadute) ed per la susseguente accelerazione, necessaria per lasciare la Luna stessa. A me,
personalmente, Mike Griffin, disse, piuttosto seccato, di non aver mai detto o pensato uno schema
del genere, implicitamente scaricandone la responsabilità all’ufficio del presidente Bush. Ma
quando posi la stessa domanda a John Marburger, consigliere scientifico della Casa Bianca, mi
disse, letteralmente, che era stato un “errore dello speechwriter del presidente”. Impariamo che la
volontà populista di vendere un progetto difficile da giustificare fa fare errori catastrofici.
Paradossalmente, invece, lo spazio post-SSI, con gli USA che vanno sostanzialmente da soli sulla
Luna, apre una nuova grande possibilità di collaborazione tra l’Europa e i russi. E’ uno scenario a
visione lunga, basato sulla costruzione di un cantiere navale sull’orbita giusta, quella adatta al
viaggio interplanetario (compresa la Luna), cioè vicina all’equatore.
Ripetiamo che l’Europa ha un eccellente spazioporto a Kourou, nella Guyana francese, a 5° di
latitudine nord. Da Kourou decolla uno dei razzi migliori e più potenti del mondo, Ariane 5. La sua
capacità di trasporto, in orbita bassa, è già paragonabile a quella dello Shuttle, e destinata a
migliorare. Con uno sforzo modesto, potrebbe essere qualificato per il volo umano. In più, da
Kourou partirà il razzo russo Soyuz (omonimo della navicella), collaudatissimo e relativamente
poco costoso.
Insieme con i russi, da Kourou sarebbe certamente possibile costruire una semplice infrastruttura
orbitante, destinata al montaggio di navi spaziali per Luna e spazio profondo. I russi hanno già
veicoli per il trasporto di equipaggi, sono pronti per costruirne una seconda generazione e la ESA ha
un ottimo ATV, già testato, che potrebbe essere completato per il trasporto umano.
In parallelo allo sviluppo del cantiere in orbita, la collaborazione Europa- Russia (ma con la
partecipazione di chiunque fosse interessato, primi fra tutti gli USA) potrebbe sviluppare il motore a
propulsione nucleare necessario per il trasporto spaziale fino a Marte. Qui l’Italia, grazie ad una
idea di Carlo Rubbia, finora solo parzialmente sviluppata da ASI, si trova in una posizione
privilegiata. Con un efficiente sistema di trasporto di persone e materiale e con una infrastruttura in
orbita equatoriale bassa sarà possibile iniziare il montaggio di una nave spaziale nucleare, portata da
terra in segmenti inerti, in perfetta sicurezza e rispetto dell’ambiente.
Europa e Russia, insieme, potrebbero così fare da traino all’unico progetto spaziale di grande
calibro del 21°secolo. E’ una idea enorme, che rivela progressivamente la sua complessità solo a chi
la studia a fondo. Il costo? Minimo 500 miliardi di euro (massimo un trilione), spalmato diciamo su
50 anni. Va al di là di Europa e Russia, che, per farlo da sole, dovrebbero raddoppiare il loro budget
spaziale. Nella visione di cui sopra, invece, farebbero solo da catalizzatori, a far coagulare un
progetto globale. Diviso per il numero di abitanti del pianeta, sarebbero 100 euro ciascuno da
versare in 50 anni. E’ tanto? È poco? Penso al trilione dello “stimulus”, inventato dal nulla per
contrastare una crisi finanziaria assurda e artificiale. Penso invece che da un trilione nello spazio
avremmo un ritorno di almeno triplo in lavoro e tecnologia. E per di più, alla fine, saremo stati su
Marte.
Abbiamo parlato della storia della SSI, un passato che non tornerà mai più, e poi del futuro della
esplorazione umana dello spazio profondo, cioè della sfida più difficile per la ricerca spaziale. E’
senz’altro quella dove l’Europa ha più da guadagnare da un futuro con con la Russia. Ma è solo una
delle dimensioni possibili in una collaborazione spaziale Europa-Russia. Tradizionalmente, le altre
grandi dimensioni dei programmi spaziali sono scientifiche e applicative.
Sui programmi scientifici è, da sempre, facile collaborare. Gli scienziati parlano la stessa lingua,
pensano allo stesso modo e sanno tutti pungolare le rispettive industrie a inventare cose un po’
strane e forse inutili oggi, ma economicamente interessanti domani. Lo sforzo di collaborazione estovest nella scienza spaziale, poi, vanta una grande tradizione, favorita dalle Nazioni Unite fin dai
tempi dello Sputnik, in piena guerra gelidissima.
Dal 1959, infatti, esiste il COSPAR (Committee on Space Research), una organizzazione mondiale
che continua ad avere molto successo nel superare le difficoltà politiche e nel costruire
collaborazione spaziale. Tra Europa e Russia abbiamo da tempo una tradizione consolidata in
astronomia, nello studio del sistema solare, in biomedicina e molto altro. Personalmente, ho
cominciato a fare astronomia dallo spazio con Mosca nel 1981, sopravvivendo felicemente al cupo
periodo Briezniev-Andropov-Cernienka fino alla attuale deregulation putiniana, dominata da “cash
on the barrel”.
Certamente, ESA avrebbe molto da guadagnare dall’accogliere la Russia tra i suoi membri
cominciando dai programmi scientifici. Magari partendo dallo stato di paese osservatore, come è
attualmente il Canada. Uno dei grandi programmi scientifici ESA in corso, il progetto Integral
(dove l’Italia ha una posizione di grande rilievo), fu lanciato nel 2002 dal razzo russo Proton, che
portò in orbita il telescopio gamma da 4 tonnellate in cambio di partecipazione russa alla scienza
della missione.
Ovvio che la flotta dei lanciatori russi, per affidabilità e prezzi, sia di grande interesse. Si tratta di
curarne la commercializzazione senza penalizzare l’industria europea. La filiera francese CNES-
Arianespace-STARSEM è riuscita a farlo ed a posizionare la ESA in modo privilegiato, o almeno
ha cominciato in quella direzione. Ecco un’altra, formidabile ragione di collaborazione. E per una
apertura di negoziati sull’ingresso graduale della Russia in ESa anche nel campo dei lanciatori.
I programmi spaziali applicativi vanno da quelli di osservazione della Terra (che possono anche
essere scientifici), alle trasmissioni, al posizionamento-navigazione etc., fino ai veri e propri sistemi
integrati spazio-suolo, oggi i più interessanti. In questo campo la collaborazione è molto più
difficile, per gli importanti interessi commerciali (e talvolta politico-militari) in gioco.
L’Europa (EU+ESA) finalmente costruisce GALILEO, il suo sistema di navigazione satellitare
indipendente, dopo una lunga battaglia con gli USA, che non volevano mollare il loro monopolio
occidentale del GPS. I russi hanno un loro sistema, GLONASS, già operativo. Bisognerebbe cercare
un accordo difficile, in un campo reso aggressivo dalle società di gestione e offerta di servizi in
competizione serrata all’interno dell’Europa. Per di più, si tratta di un campo nel quale l’Europa ha,
poco da imparare dalla esperienza spaziale russa. E’ chiaro, insomma, che una collaborazione
Europa-Russia sui programmi di applicazioni, e quindi il vero ingresso della Russia in ESA, potrà
avvenire solo in un secondo tempo. Ma è anche chiaro che esplorazione umana, scienza e lanciatori
sono già argomenti per aprire un serio negoziato con la Russia nell’immediato futuro.
Una ottima occasione, purtroppo, è appena stata persa. L’Italia aveva la presidenza della ultima
conferenza ministeriale della ESA, tenutasi nel novembre scorso a L’Aia. Un privilegio che
all’Italia mancava da 35 anni, ottenuto da ASI nell’interregno governativo del febbraio-marzo 2008.
Il Ministro che poi si trovò ad andare all’Aia avrebbe dovuto sfruttare questa sua posizione
privilegiata per lanciare lo studio concreto di collaborazione ESA-Russia, un’idea innovativa e
ricca di sviluppi industriali. Magari sottolineando che i Russi, anche se in grave crisi demografica,
sono un importante paese europeo, che vede il suo futuro unicamente in un legame più stretto con
l’Europa, soprattutto dopo la fine dell’impero sovietico.
Ricordo una mia visita ufficiale in Russia. Avevo portato con me, inevitabilmente, il capo delle
relazioni esterne con i paesi extra-europei, solo per scoprire che proprio questo aveva seriamente
preoccupato i russi, che me lo avevano discretamente fatto capire. Fu una lezione importante, mi
sembra, purtroppo, andata perduta.
L’ ASI attuale si è appiattita, per volere del governo Berlusconi, sul ruolo di mero finanziatore di
Finmeccanica. Non mostra una visione sufficiente per andare al di là di programmi nazionali, dejà
vu ma di sicuro incasso, per provare invece a trainare una virtuosa collaborazione Europa-Russia
su programmi di grande respiro. All’Europa, soprattutto alla UE, invece, è già ben chiaro che un
piano a lungo termine per investimenti spaziali che rendano, ma che facciano anche sognare, è
proprio la ricetta necessaria non solo per uscire dalla crisi, ma anche per tenere il passo a livello
mondiale nella civiltà della conoscenza e della innovazione tecnologica.