Alias - Il Manifesto
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[4) A OXFORD, ASHMOLEAN MUSEUM, «WILLIAM BLAKE. APPRENTICE AND MASTER» William Blake, «Nebuchadnezzar» Londra Tate Galkry diSTEFANOJOSSA_ OXFORD • • • « T h e man who does not know thè beginning, never can know thè end of art» ('Chi non conosce l'inizio non può mai conoscere il fine dell'arte'), scriveva William Blake in risposta all'invito del maestro George Michael Moser a studiare Le Brun e Rubens. Sapeva di essere un artista ben prima di diventarlo, quando da bambino frequentava le aste pubbliche a Covent Garden e quando ancora lavorava come apprendista nella bottega di James Basire, l'incisore ufficiale della Royal Society. Era controcorrente, infatti, al tempo, ispirarsi a Michelangelo e Raffaello piuttosto che ai maestri del chiaroscuro; ma Blake si poneva fin d'allora sotto l'insegna del non-finito, dell'irregolare e del difettoso, come si legge nell'avvertenza dei suoi Poetica! Sketches, pubblicati nel 1783, a venticinque anni. Paradossi della storia dell'arte, quando i campioni del Rinascimento italiano non erano modelli di perfezione armonica, ma maestri della linea e del disegno di contro agli effetti luministici del colore. Cinque anni prima, il falso di Thomas Chatterton, che aveva pubblicato testi suoi attribuendoli a un immaginario monaco medioevale, Thomas Rowley, era stato smascherato; ma l'autore non potè né spaventarsi né gioirne, perché si era suicidato già da otto anni. Riscoperta del Medio Evo, valorizzazione dello schizzo, fascinazione del falso d'autore e della morte in gioventù: tutto ciò presto sarà chiamato «romanticismo». Il percorso creativo di Blake, artista totale tra pittura e poesia, è ora ricostruito in una bellissima mostra all'Ashmolean Museum di Oxford (William Blake Apprentice and Master, fino all'I marzo; catalogo a cura di Michael Phillips, pp. 272, £ 30,00), che costituisce uno sbalorditivo ingresso nel laboratorio dell'autore, con un'attenzione minuziosa ai contesti e alle tecniche della sua esperienza, cosa rara e preziosissima. Restituito al suo artigianato, fatto di puntini e losanghe su lastre, colpi di cesello, manoscritti, appunti, abbozzi e bozze, l'artista resta, romanticamente, un genio, totalmente immerso nella sua passione, ma tale solo perché lavora tantissimo, si forma alla scuola dei classici, frequenta le istituzioni più prestigiose e si confronta col mercato. Tutt'altro che isolato e ispirato, incompreso e irriverente, eslege e narciso: Blake ha l'arte nel sangue e nella testa, ma la realizza con le mani, al punto da produrre, oltre cent'anni prima degli avanguardisti novecenteschi, quel libro illustrato in cui le parole erano incise anziché stampate. Sono da vedere, infetti, anziché da leggere, i libri di Blake, a dispetto di una lunga tradizione scolastica e accademica che ha isolato il testo nell'ambizione a un primato della poesia pura: non si può separare la mano che ha solcato la lastra col bulino, intagliandola e scavandola, tanto dall'occhio che ha deciso di staccare lo strumento, lasciando il segno della matrice nell'impressione sulla carta, quanto dall'occhio che contempla, verificando le tracce della mano nell'effetto del prodotto compiuto. Su una stessa tavola parole e immagini convivevano come in un giardino già piantato e seminato, perché, da The marriage of Heaven and Hell (1790 circa), corpo e anima non sono separati: «questo io lo farò stampando, secondo il metodo infernale, per mezzo di corrosivi che, all'Inferno, sono curativi e salutari, i quali sciolgono le superfici visibili, e fanno apparire l'infinito che era nascosto. Se le porte della percezione fossero pulite, ogni cosa apparirebbe all'uomo com'è, infinita». La sua tecnica diventava così la sua estetica: come sulla lastra faceva emerge- Le porte dell'inferno spalancate dalTartigianato re il rilievo, così nell'arte portava alla luce quello spirito infinito che è l'illuminazione da raggiungere dopo aver eliminato tutti i sedimenti dell'esperienza. Opponendosi a Locke, che insegnava che la mente umana è una tabula rasa su cui si deposita la conoscenza attraverso l'esperienza sensoriale (una lastra da incidere), Blake invitava a recuperare e riscoprire quello stato di grazia, al di qua dell'esperienza, che la mente prova al momento della nascita, prima del vissuto (una lastra a rilievo). Di qui le grandiosi visioni poetiche e pittoriche che aprono le porte della percezio- ROMANZI STORICI e Shakespeare al ritmo di eros e morte: «La dama nera» di Saily O'Really ne, thè doors of perception, con quella formula, che risale all'indietro a Lucrezio e si proietta in avanti verso Aldous Huxley e fino ai Doors, verso tutti coloro che hanno affidato la conoscenza all'allucinazione piuttosto che ai sensi, sognatori e psichedelici. «Qualcosa come l'eccitazione che si prova nel gioco d'azzardo», diceva l'allievo e seguace Samuel Palmer dell'arte di preparare le incisioni per la stampa di disegni a colori. La mostra dispiega incisioni, appunti, prove scartate e non-finiti voluti, immettendo sempre l'esperienza di Blake nel contesto della cultura materiale del suo tempo, fino a offrire una ricostruzione del suo studio-stamperia al n. 13 di Hercules Building in Lambeth, nel sud di Londra. Inventava perché sperimentava, Blake, confrontandosi con l'esistente per andare oltre: nessun lampo di genio o illuminazione fulminante, furor divino e grazia ricevuta, ma il bisogno di cercare nuove soluzioni espressive, che sono prima di tutto nuove soluzioni materiali, presiede a tutta la sua attività, di vero e proprio 'inventore' che passò a nuove tecniche di stampa proprio perché conosceva, avendole usate, quelle ' Aemilia L. Lanier (o Lanyer, a seconda della pronuncia adottata, 1569-1645), nataBassano, italiana d'Inghilterra, è un mito di Albione. Nel 1996 Giovanni Cecchin pubblicò il saggio La dama bruna (Collezione Princeton), che affermava fortemente un dato assai controverso presso gli studiosi, che la signora italo-inglese (nata però a Londra dal padre, celebre musicista), forse ebrea (ma non ci sono conferme in merito), fosse la figura femminile dei Sonetti. Da qui la ricerca frenetica di conferme della sua presenza nella vita shakespeariana, per via dì allusioni nelle opere, censite analiticamente in specie dagli studiosi britannici. Debitamente è stato notato per tempo, come Aemilia sia il nome della moglie di lago e Bassanio uno dei personaggi del Mercante di Venezia, mentre altri hanno voluto affermare addirittura una visita del Bardo sulle colline del Grappa dove avrebbe visto l'affresco raffigurante capre e scimmie citato in Otello. Al di là del mito, la fisionomia della signora, musicista e poetessa, che ebbe l'opportunità di ricevere una educazione accurata nella casa nobiliare in cui passò l'infanzia, è notevole. Fu lei, infatti, la prima donna a pubblicare un libro di poesia in terra di Albione, Salve Deus Rex precedenti. Il libro miniato del resto non fu certo un'invenzione di Blake, che aveva ben presenti libri di vignette contemporanei, satiriche, educative o devozionali, oltre ai vari manoscritti illustrati di tradizione medievale, ma la grandiosità figurativa, connessa all'unicità dell'impressione, di progetti come Songs oflnnocence, Visions of thè Daughters ofAlbion, America: a Prophecy, Europe: a Prophecy, The Book ofLos, Milton e Jerusalem, tutti qui in mostra, rivela quella sintesi straordinaria tra res cogitans e res extensa, anima e corpo, che fa di parola e figura, entrambe fissate, effigiate, con un metodo che si nega alla ripetizione tipografica, un'unità inscindibile, secondo una poetica dell'apoteosi che privilegia sempre l'estasi sul racconto, la matrice mistica e pittorica su ogni possibilità di narrazione nella storia. Tutto è ekphrasis (etimologicamente: parlar fuori, designare un oggetto inanimato con un nome), perché l'operazione estetica punta non a conoscere, ma a vivere l'emozione del conoscere. Quando si arriva alle illustrazioni del Paradiso Perduto, delle Bucoliche di Virgilio e della Divina Commedia, l'apote- Judaeroum, uscito nel 1611, in cui afferma un pensiero che oggi viene decisamente interpretato come femminista; la sua produzione (in parte tradotta in italiano nel volume citato di Cecchin) è ricca di allusioni e citazioni letterarie, apre la via alla presenza clamorosa nelle lettere albioniche della grande Aphra Benn, studiata da Viola Papetti. Ora Sonzogno manda in libreria un appassionato romanzo storico che ripropone la vicenda: La dama nera di Sailly O'Reilly (traduzione di Marinella Magri, pp. 439, € 19,00), uscito in Inghilterra nel 2013 come Dark Aemilia. L'autrice, alla sua prima prova narrativa dopo un'attività giornalistica, ha attinto a tutte le fonti possibili per disegnare un ritratto femminile complesso e sfaccettato. La signora, amante dell'anziano Lord Hunsdon, ciambellano del regno e cugino della regina Elisabetta, è sapiente e studiosa, bella e propensa alla sensualità. Il suo compagno, potente e riverito, la protegge dagli approcci indesiderati di altri cortigiani e vagheggini, la signora si esibisce al virginale, strumento per eccellenza delle dame, e attende a scrivere versi, leggendo e rileggendo i classici, con una speciale propensione a Ovidio, di cui ama le Un'allettante eòpcòizlcne èul William Blake incUore e creatore di libri spiega come le òue figure grandiose siane il frutte di prodigi tecnici osi si compie, perché Vekphrasis è insieme descrizione del testo e suo compimento, realizzazione e fuoriuscita, identificazione ed emersione: la lettera è sublimata e sussunta dalla sua rappresentazione, che la trasfigura, trascende e distrae, eppure, spiritualizzandola, la comprende e materializza. Chiamato «l'interprete» dai suoi allievi e seguaci, The Ancients, Blake li invitava a lavorare a partire non dalla natura, ma dall'occhio interiore, thè inner eye. Se qualcosa viene sacrificato ai contenuti (iconografia, temi, stile), la mancanza è largamente compensata da quest'attenzione estrema alla tecnica, che ci restituisce dell'artista il fare concreto, la prassi operaia, il lavoro quotidiano, l'officina fatta di ferri del mestiere e alambicchi chimici, nella consapevolezza, sempre da ribadire, che i contenuti non esistono senza la loro elaborazione formale. Se confrontiamo il Giuseppe di Arimatea tra le rocce di Albione del 1773, quando Blake aveva solo 15 anni, e quello del 1820, quando ne aveva 62, confronto con cui la mostra si apre, l'evoluzione dell'incisione si rivela fatto allo stesso tempo tecnico ed estetico, col passaggio dall'intimistico al visionario, che è passaggio dal tratteggio e dalle losanghe puntinate della prima impressione alla brunitura della seconda. Qualche concessione al culto progressivo del miglioramento e al mito dell'artista campione della libertà è il prezzo da pagare all'ideologia britannica, ma leggere il famoso commento (scritto subito dopo la delusione dell'esperienza di affiliazione al profeta mistico Emanuel Swedenborg) che «il motivo per cui Milton scrisse in catene degli angeli e di Dio, e in libertà dei diavoli e dell'Inferno, è perché egli era un vero Poeta e stava dalla parte del diavolo senza saperlo» fa ancora il suo effetto: l'artista romantico non sta in cielo, ma sulla terra, tra il fumo degli acidi e il puzzo della vernice, che soli introducono all'esperienza visionaria. favole di metamorfosi. L'incontro con Shakespeare avviene sotto il segno di una guerra dei sessi: quando Astrea, innervosita da difficoltà politiche e dai consueti complotti a suo danno, giunge al teatro di Richard Burbage per vedere una commedia e staccarsi per qualche ora dalle sue ansie. Il testo che viene presentato di fronte all'augusta spettatrice è prevedibilmente La bisbetica domata, il drammaturgo cimenta la sovrana, la quale, avversa al giogo maritale, vede confermata nel testo la sua visione del mondo, mentre l'autore svicola, si sottrae, afferma che è tutto un gioco. Petruccio diventa la maschera del seduttore nelle lettere infuocate che invia a Aemilia, mentre l'oggetto del desiderio rifiuta in ogni caso di interpretare il ruolo di Caterina. Lo scrittore incarna molti suoi personaggi, prima di firmarsi con il suo nome e compiere infine la seduzione, sullo sfondo della sulfurea rappresentazione de II dottor Faust di Cristopher Marlowe. Siamo quindi dalle parti di Shakespeare in love (1998) e Anonymous (2011), debitamente citati in appendice: l'autrice narra con grazia vicende avvolte di mistero, sullo sfondo di un'epoca inquieta che danza al ritmo di eros e morte.