L`OMC/WTO ha deciso

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L`OMC/WTO ha deciso
 L’OMC/WTO ha deciso
Per la prima volta nella sua storia, l’Organizzazione Mondiale del Commercio conclude un incontro ministeriale con un
accordo. Una buona notizia? Quanto è equilibrati il Bali package approvato?
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Roberto Meregalli , 10 dicembre 2013 Beati i costruttori di pace Sabato mattina 7 dicembre a Bali, il direttore generale della WTO/OMC ha potuto
abbracciare il ministro indonesiano Gita Wirjawan, che presideva la ministeriale, e
proclamare il raggiungimento dell’accordo fra i 159 Paesi aderenti
all’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Una bella soddisfazione per il nuovo direttore, fresco di nomina, primo direttore
generale a poter dichiarare concluso un accordo, visto che l’OMC dalla sua
nascita (avvenuta nel 2005), non ne aveva mai concluso uno.
In questa breve sintesi, cercheremo di spiegare cosa è successo a Bali e quali
possibili effetti per l’economia mondiale.
MC9: l’OMC/WTO di nuovo in pista?
La nona conferenza ministeriale OMC (MC9) si è svolta in Indonesia, sull’isola di
Bali, la più importante meta turistica indonesiana, dal 3 al 7 dicembre. Alla
vigilia, pareva difficile trovare un accordo.
In occasione dell’ultimo General Council del 26 novembre a Ginevra, Roberto
Azevedo, fresco direttore generale, aveva confermato che nonostante “i grandi
sforzi”, non era stato raggiunto alcun accordo: “non possiamo dire al mondo che
abbiamo preso una decisione”, aveva dichiarato, aggiungendo però che i negoziati
non erano mai stati così vicini alla meta finale.
Ma quali gli argomenti oggetto di negoziato?
Essenzialmente tre i pilastri del cosiddetto “Bali package”:
1. la facilitazione degli scambi (trade facilitation);
2. l’agricoltura,
3. alcuni aspetti legati alle esportazioni provenienti dai paesi meno sviluppati
(Least-Developed Countries LDCs).
Nel dettaglio, il pacchetto approvato alla Conferenza si compone di ben quindici
documenti:
I primi cinque sono documenti definiti nell’ambito del General Council, prima
della conferenza:
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TRIPS Non-violation and Situation Complaints
Work Programme on Electronic Commerce
Work Programme on Small Economies
Aid for Trade
Trade and Transfer of Technology
I rimanenti dieci rientrano nell’ambito della DOHA DEVELOPMENT AGENDA:
Facilitazione al commercio
• Agreement on Trade Facilitation
Agricoltura
• General Services — WT/MIN(13)/W/9
• Public Stockholding for Food Security Purposes — WT/MIN(13)/W/10
• Understanding on Tariff Rate Quota Administration Provisions of Agricultural
Products, as Defined in Article 2 of the Agreement on Agriculture —
WT/MIN(13)/W/11
• Export Competition — WT/MIN(13)/W/12
Cotone
• Cotton
Sviluppo e altri temi relativi ai Paesi meno sviluppati (Development and LDC
issues)
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Preferential Rules of Origin for Least-Developed Countries
Operationalization of the Waiver Concerning Preferential Treatment to
Services and Service Suppliers of Least-Developed Countries
Duty-Free and Quota-Free Market Access for Least-Developed Countries
Monitoring Mechanism on Special and Differential Treatment Analizzeremo di seguito i principali temi di questa seconda parte.
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Cos’è l’OMC/WTO?
Ufficialmente nata il 1 gennaio 1995, l'Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade
Organization WTO), è il risultato del ciclo di negoziati indicati con il nome di Uruguay Round. Ad essa
è stata affidata la responsabilità di gestire il sistema multilaterale di regole commerciali, frutto di
cinquant'anni di negoziati GATT. Inoltre costituisce il forum votato a continuare il processo dei
negoziati per la liberalizzazione del commercio di merci e servizi attraverso la rimozione delle
barriere stabilite in passato dai governi e sviluppare nuove regole per tutti gli aspetti legati al
commercio. Gli Accordi gestiti dal WTO usufruiscono di un sistema di risoluzione delle controversie
attraverso il quale i Paesi membri possono far valere i diritti acquisiti e dirimere le differenti
interpretazioni. La nascita di questa organizzazione risponde all'obiettivo di “promuovere ed
espandere il commercio internazionale”, così recita la Business Guide scritta congiuntamente
dall'Agenzia ONU per il Commercio e lo Sviluppo (UNCTAD) e il WTO, ma l' obiettivo primario del
sistema è quello “di fornire un accesso sicuro, libero e prevedibile ai mercati esteri alle merci ed ai
servizi forniti dalle imprese commerciali in grado di esportare” ii .
Sempre per usare le parole del WTO, “Il sistema aiuta ad assicurare che le multinazionali possano
vendere i loro prodotti sul mercato mondiale in condizioni di competitività eque e senza disturbi
causati dall'imposizione di restrizioni”.
Tutto questo perché la globalizzazione, intesa come libero movimento di capitali e merci e come
progressiva riduzione dell'intervento delle amministrazioni pubbliche nella sfera economica sarebbe
quanto di meglio il nostro pianeta può aspirare.
Il nuovo accordo relativo alle regole di facilitazione del commercio
Di facilitazioni degli scambi commerciali si iniziò a parlare nel lontano 1996 alla
ministeriale di Singapore, quando venne stabilito un apposito gruppo di lavoro. Il
tema dal punto di vista tecnico consiste nello sviluppare (e chiarire), tre articoli
dell’accordo GATT 1 del 1994 relativi alla libertà di transito (delle merci) e delle
tasse e procedure doganali (si tratta degli articoli V, VIII e X).
L’argomento venne incluso nel round lanciato a Doha nel 2001 e seguì le sue
alterne vicende. La prima bozza di accordo venne stesa nel 2009. Il testo
approvato a Bali si divide in due sezioni: nella prima sono elencati i nuovi impegni
previsti per tutti i Paesi firmatari, nella seconda trovano posto le attenuazioni a
favore dei paesi classificati come economicamente meno sviluppati.
Il primo blocco impegna quindi a rendere più veloce il transito delle merci,
aumentando il livello di trasparenza delle procedure doganali, standardizzando i
documenti richiesti, le spese e le procedure. Ad esempio occorrerà pubblicare su
internet tutto quanto richiesto nelle pratiche doganali e permettere ai traders di
poter commentare modifiche a leggi e regolamenti sul movimento e transito di
merci (“laws and regulations of general application related to the movement, release
and clearance of goods, including goods in transit”), potendo ricorrere ad un
giudizio legale se ritenuto necessario.
Rispetto alla bozza circolata alla vigilia di Bali, il testo finale è stato ripulito di
alcuni punti contestati, come il riferimento (in tema di merci in transito) a
infrastrutture fisse quali oleodotti e gasdotti, visto il disaccordo Ue-Russia al
riguardo.
Questo accordo è stato sponsorizzato dalla Camera di Commercio Internazionale,
una potente Lobby di base a Parigi che alla vigilia del vertice, aveva diffuso uno
studio con la stima di mille miliardi di dollari di reddito in più per il pianeta e di
18 milioni il numero di nuovi posti (di cui 14 in Asia-latinoamerica), in caso di
approvazione dell’accordo.
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General Agreement on Tariffs and Trade. 3
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Figura I: il sito internet della Camera di Commercio internazionale che celebra il successo WTO La cifra dei mille miliardi di dollari è poi stata citata in centinaia di interviste ai
ministri del commercio come risultato della Conferenza di Bali, compreso il nostro
viceministro Carlo Calenda: “Le misure di facilitazione degli scambi commerciali
rappresentano una straordinaria opportunità per crescere. Le stime
commissionate dal WTO sul potenziale di crescita del PIL mondiale derivante dai
capitoli negoziali effettivamente chiusi a Bali, infatti, parlano di un incremento di
più di 1.000 miliardi di dollari" 2 .
In realtà, il documento è frutto di una serie di assunzioni di base che ne
determinano il risultato. Il dato globale è ottenuto estendo a tutti i paesi la stima
su alcuni presi a campione, mentre i nuovi posti di lavoro sono calcolati
moltiplicando l’aumento stimato di export di ciascun paese per il valore medio di
lavoratori per output del settore industriale, senza considerare alcuna perdita (se
qualcuno esporta di più, qualcuno lo farà di meno).
Ad ogni modo l’accordo era contestato dai Paesi meno sviluppati perché impone
loro investimenti in informatica ed infrastrutture, quindi una spesa pubblica cui
non è detto che corrisponda un ritorno economico proporzionale, senza
considerare la difficoltà che oggi qualsiasi Paese ha a fare spese pubbliche.
Di certo la facilitazione degli scambi è funzionale alla frammentazione dei processi
produttivi, alla creazione di una catena del valore aggiunto globale in cui un
prodotto è composto da semilavorati prodotti nei più disparati Paesi (il 55% del
commercio mondiale di beni è relativo a semilavorati), alle imprese di grandi
dimensioni che agiscono senza confini.
Per venire incontro alle richieste dei PVS, la seconda parte del testo dell’accordo
contiene delle concessioni sui tempi ma nessuna promessa di aiuto economico,
come da loro richiesto sino alla vigilia.
L’agricoltura
L’accordo sulle regole di facilitazione al commercio avrebbe dovuto essere il prezzo
da pagare da parte dei PVS in cambio di quello relativo ad alcune regole in
agricoltura, da sempre l’argomento più contestato in sede OMC/WTO. Va
premesso che i negoziati per la redazione di un nuovo accordo agricolo furono
previsti fin dall’approvazione (nel 1994) del primo (ed unico) accordo attualmente
in vigore (Agreement on Agricolture AoA), attraverso l’articolo XX.
Nel Doha Development round, avviato nel 2001, era perciò presente come piatto
forte, ma l’impossibilità di trovare un minimo accordo portarono ad abbandonare
il tema nel 2011. A Bali sono stati presentati dei testi, i cui punti principali erano
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http://www.repubblica.it/esteri/2013/12/07/news/wto_storico_accordo_a_bali_su_riforma_scambi_commerciali‐
72904070/ le misure a favore della sicurezza alimentare, le disposizioni relative alle quote
tariffarie e i sussidi all’esportazione.
Il primo punto è quello che sembra più comprensibile anche ad un profano poiché
parla di lotta alla fame, nel dettaglio lo è molto meno perché l’oggetto del
contendere è la pratica da parte di uno stato di acquistare prodotti agricoli dai
propri agricoltori per sostenere il loro reddito. Tutto questo è attualmente normato
in maniera tale da risultare impossibile poiché l’AoA stabilisce come prezzo di
mercato la media del prezzo di quel prodotto nel periodo 1986-88! Siccome in quel
periodo i prezzi erano molto bassi rispetto ad oggi, è praticamente impossibile per
un governo attuare questa pratica senza dover contabilizzare questo intervento
come discorsivo (quindi nella propria quota AMS).
Sembra ridicolo che non si possa aggiornare il valore dei prezzi di riferimento,
eppure a ciò si sono sempre opposti i paesi che avevano scritto ed imposto
l’accordo agricolo: USA ed Unione Europea.
Il punto delle quote tariffarie riguarda anch’esso le pratiche di alcuni Paesi
occidentali che definiscono per alcuni prodotti agricoli delle quote d’importazione,
che poi sistematicamente non vengono mai utilizzate in maniera completa. La
proposta ovviamente è sostenuta dai grandi paesi esportatori, riuniti nel G20,
interessati a poter sfruttare queste possibilità di export.
I sussidi all’esportazione invece, sono incentivi erogati per produrre derrate da
esportare, sono da sempre fortemente criticati da tutti i paesi, eccetto i pochi
utilizzatori, poiché producono l’effetto di permettere l’esportazione sottocosto a
danno dei produttori dei Paesi in cui tali prodotti vengono importati. Regine di
questi sussidi sono stati USA ed UE. La cosa ridicola è che otto anni fa l’OMC
concordò di eliminarli entro il 2013, ma appellandosi al cavillo che quell’accordo
fu concluso pensando alla chiusura dell’intero Doha Round (cosa non avvenuta),
tale impegno non è considerato vincolante.
Cosa è stato approvato a Bali relativamente a questi punti?
Sui sussidi all’esportazione il testo si limita a “riaffermare l’importanza che i [Paesi]
membri mantengano e avanzino i loro processi di riforma”, e che l’obiettivo stabilito
ad Hong Kong nel 2005, cioè l’azzeramento di questi tipo di sussidi, “rimarrà una
priorità nel programma di lavoro dopo Bali”.
In tema di quote è stato approvato un esile impegno di revisione, possibilmente da
attuarsi entro tre anni, con l’eccezione degli USA che si sono riservati il diritto di
non cambiare le loro quote tariffarie neppure dopo tale periodo.
Sul fronte degli acquisti governativi allo scopo di garantire la sicurezza alimentare,
la battaglia è stata grande, anzi è stata l’unica combattuta a Bali ed ha avuto
come protagonista assoluta l’India. Non è stata una sorpresa perché l’India alla
vigilia aveva fatto capire che non si sarebbe accontentata di una soluzione
provvisoria; la vigilia era stata animata dalla proposta del G-33, un gruppo di PVS
con agricolture di dimensioni medio-piccole. Non ci si stupisca ma anche questo
documento non è nuovo, anzi riporta una proposta originariamente contenuta
nella bozza negoziale del 2008, considerata condivisa! Eppure a Bali non è
arrivato tale testo, quanto la ben più debole proposta di una clausola di pace che
eviti la possibilità che un Paese (in via di sviluppo) sia citato in giudizio per tale
pratica. L’India però si è opposta ad una soluzione provvisoria, il ministro Anand
Sharma ha chiarito che una soluzione ad interim, quale la clausola di pace,
poteva risultare accettabile solo se unita alla ricerca di una soluzione definitiva.
A fronteggiare l’India sono stati gli Stati Uniti, mentre a sostenerla si sono allineati
i Paesi dell’ALBA (Bolivia, Cuba e Venezuela). Come spesso accade il negoziato è
diventato politico ed il Pakistan si è mosso contro l’India, mentre il G-33 e il
gruppo dei Paesi Africani non sono riusciti a mantenere una posizione univoca.
Alla fine la mediazione ha partorito l’approvazione della clausola di pace ed il
contestuale impegno a negoziare entro la ministeriale del 2017 una soluzione
definitiva.
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Figura II: il ministro indiano Anand Sharma (foto WTO) Regole a favore dei Paesi più marginali
Cosa portano a casa da Bali i paesi più marginali relativamente al commercio
internazionale?
Per prima cosa un meccanismo di controllo (Monitoring Mechanism) col mandato
di rivedere l’applicazione delle prescrizioni in materia di sviluppo che vanno sotto
la definizione di “trattamento speciale e differenziato”.
Da sempre si scrive che siccome tutti i Paesi non sono uguali (così come tutti gli
esseri umani non hanno lo stesso reddito), i vari accordi della dote OMC/WTO
dovrebbero essere adattati ai diversi livelli di sviluppo economico, il trattamento
speciale e differenziato è il mantra utilizzato, ma da sempre è più un concetto
astratto che reale, nel 2001 a Doha, nel paragrafo 44 di quella dichiarazione si
stabilì l’impegno a rivedere tutte le relative disposizioni presenti nei vari testi degli
accordi alfine di rafforzarle e renderle operative. A Bali è sparito ogni riferimento a
quel paragrafo ed è stato stabilita una banale innovazione procedurale che
prevede un meccanismo di monitoraggio che “non altera obblighi e diritti dei Paesi
membri e l’interpretazione degli accordi WTO”.
Sul fronte dell’esenzione da dazi e limiti di quote tariffarie per le merci prodotti dai
Paesi più poveri (LDC), Bali è stata ancor più deludente. Va rammentato che nel
2004 a Ginevra venne raggiunto un accordo relativamente alla proposta
denominata “round-for-free” ideata da Pascal Lamy dopo il fallimento di Cancun,
che concedeva il tanto discusso accesso duty-free ai prodotti originati dai 32 paesi
LDC, quattordici dei quali aderenti al WTO: Angola, Bangladesh, Benin, Burkina
Faso, Burundi, Cambogia, Repubblica Centrafricana, Ciad, Rep. Democratica del
Congo, Gibbuti, Gambia, Guinea, Guinea Bissau, Haiti, Lesoto, Madagascar,
Malawi, Maldive, Mali, Mauritania, Mozambico, Myammar, Nepal, Niger, Ruanda,
Senegal, Sierra Leone, Isole Salomone, Tanzania, Togo, Uganda e Zambia.
Nel 2005 ad Hong Kong si mise nero su bianco quanto segue:
“Dando seguito all’impegno contenuto nella Dichiarazione Ministeriale di Doha i
paesi membri sviluppati, e i paesi in via di sviluppo che si dichiarano nelle
condizioni di poterlo fare, concordano di concedere accesso esente da dazi e da
quote ai prodotti originati dai paesi LDC così come stabilito nell’allegato F”.
L’allegato “F” stabiliva la concessione di queste facilitazioni entro il 2008 o non
oltre l’anno di inizio di applicazione dei risultati del Doha Round e concedeva la
possibilità di limitare la cancellazione di dazi e limitazioni al 97% delle merci.
I Paesi meno sviluppati portano ora a casa un testo che si limita a invitare i Paesi
industrializzati ad ampliare i livelli duty free e quota free alle merci da loro
esportate.
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Altro tema è quello delle regole d’origine. Nel mondo attuale in cui un prodotto è
frutto di componenti e lavorazioni che arrivano da mezzo mondo è sempre più
difficile attaccare una etichetta “made in un Paese specifico”, ma gli accordi
commerciali che esentano da dazi o quote si applicano a prodotti di uno specifico
Paese, come attribuire una nazionalità a un prodotto? Ogni accordo commerciale
stabilisce un criterio, spesso in relazione alla percentuale di lavoro svolta nel
paese in oggetto, i Paesi LDC desideravano che fosse stabilita una percentuale
molto bassa di lavorazione del prodotto per trarre benefici concreti. A Bali sono
state approvate solo delle linee guida cui tutti i Paesi sono invitati ad adeguarsi,
ma si tratta di nulla più che di un invito.
Infine, in tema di agricoltura, il cotone.
Il cotone è stato considerato in passato come una cartina di tornasole degli
impegni assunti a Doha poiché interessa paesi dell’Africa centro-occidentale fra i
più poveri del pianeta, ostacolati nel loro commercio da misure distorsive
applicate da Paesi di grossa taglia che violano apertamente le prescrizioni WTO.
Anche questo tema ha una lunga storia alle spalle. Il presidente della repubblica
del Burkina Faso, Blaise Compaore, dieci anni fa si presentò di persona davanti al
Consiglio generale WTO (era il 10 giugno 2003), spiegando che l'applicazione della
politica commerciale OMC/WTO aveva condotto molti stati africani a modificare le
rispettive politiche commerciali, ed i paesi dell'Africa Centrale ed Occidentale
avevano così gradualmente eliminato i sussidi al proprio settore agricolo.
“Tuttavia, l'impatto di queste riforme sullo sviluppo dei nostri paesi è stato fino ad
oggi reso nullo dai diversi tipi di sussidi che sono ancora forniti da alcuni stati
membri del WTO alla propria agricoltura, il che è in totale contraddizione con i
principi fondanti del WTO stesso”, spiegò Compaore, aggiungendo che l’iniziativa
sul cotone era un caso perfetto per dimostrare un genuino impegno a stabilire
“regole di commercio multilaterale modellate e decretate in accordo con i principi
fondamentali di trasparenza […] e non-discriminazione tra stati membri” 3 .
A quei tempi erano Ue e soprattutto gli Stati Uniti a pagare forti sussidi ai propri
produttori di cotone per renderli competitivi (a quei tempi nel Mali per produrre
un chilo di cotone occorrevano 22 centesimi di dollaro contro i 68 di un
produttore americano). Il risultato era che i produttori del Mali, del Burkina Faso,
del Benin e del Ciad risultavano danneggiati dal dumping statunitense.
Oggi la situazione è mutata, sia perché il prezzo del cotone è risalito e ciò ha
automaticamente ridotto l’ammontare dei sussidi americani, sia perché USA ed
UE ne hanno mutato la natura, sia perchè Cina ed India sono entrate nell’arena.
La Cina è oggi il maggior sovvenzionatore, tre volte gli USA in termini di
pagamenti ai propri agricoltori, mentre l’India dal 2008 ad oggi ha implementato
15 interventi di sostegno per aumentare l’export (per la Cina i sostegni mirano a
ridurre il deficit).
In seno alla OMC/WTO l’argomento entrò nell’ordine del giorno della Conferenza
ministeriale di Cancun (settembre 2003) ma fallì l’obiettivo di risolvere il problema
sollevato dai quattro paesi africani che chiedevano:
• l’eliminazione entro tre anni dei sussidi all’esportazione;
• la cancellazione dei sussidi domestici in quattro anni a partire dal gennaio
2005;
• la creazione di un fondo di emergenza per sostenere i propri produttori nel
periodo di transizione;
• la negoziazione di una soluzione nell’ambito del Doha round utilizzando una
corsia preferenziale sganciata dai negoziati agricoli.
Nell’accordo che nella notte del 1 agosto 2004 rilanciò il Doha round, nulla di
quanto sopra elencato venne recepito. Nessun fondo compensativo è stato creato,
nessun impegno di cancellazione dei sussidi è stato preso e neppure è stato
attribuito un canale negoziale indipendente all’iniziativa settoriale del cotone.
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L’iniziativa congiunta di Benin, Mali, Burkina Faso e Ciad è stata presentata a Ginevra nel documento siglato col codice TN/AG/GEN/4 del 16 maggio 2005. 8
Unica concessione la creazione di un comitato apposito, gerarchicamente
dipendente da quello agricolo, e l’impegno a considerare soluzioni finanziarie di
aiuto nel contesto delle istituzioni di Bretton Woods: Banca mondiale e Fondo
monetario.
Lo scorso ottobre i cosiddetti C-4 tornarono alla carica presentando un nuovo
documento che in verità riproponeva gli obiettivi di cancellare i sussidi all’export,
di concedere libero ingresso alle loro esportazioni cotone e di riformare i sussidi
domestici (nei Paesi di utilizzo). Ma la proposta non è stata accettata e nel
pacchetto di Bali il testo approvato è una generosa sequenza di parole che non si
concretizza in alcuna iniziativa. Va però detto che così com’era stata ripresentata
alla vigilia di Bali, l’iniziativa aveva poche possibilità di successo, perché vecchia e
non aggiornata alla mutata situazione; è verso l’Asia che andrebbero rivolte le
attenzioni: è alla Cina che andrebbe chiesto l’accesso duty free-quota free per il
cotone dell’West Africa.
Ultimo punto di interesse per i Paesi LDC quello dei servizi. Alla precedente
conferenza ministeriale (nel 2011), venne stabilito un trattamento di favore
consistente nella concessione di un accesso preferenziale ai fornitori di servizi di
questi Paesi. Per farlo però si sarebbero dovuti identificare i settori, ma nessun
Paese membro in questi due anni ne ha fatto richiesta, anche per la difficoltà
burocratica del processo e delle informazioni necessarie, cosicchè la decisione è
risultata sinora inapplicata. Il testo approvato a Bali prevede che il Comitato che
si occupa dei servizi si attiverà per rendere operativa la decisione del 2011, i Paesi
LDC presenteranno una richiesta collettiva dei settori di loro interesse e il
Comitato sei mesi dopo si riunirà per deliberare.
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Giudizio finale
Come giudicare quindi l’esito di questa nona conferenza ministeriale?
Il Commissario europeo Karel De Gucht, l’ha commentata dichiarando: “abbiamo
salvato la Wto”, e c’è del giusto in questa affermazione poiché l’ennesimo flop
avrebbe minato definitivamente la fiducia in questa organizzazione. Il Direttore
generale nel suo discorso iniziale aveva detto ai ministri che il rischio per
l’OMC/WTO era quello di ridursi alla routine del controllo dell’applicazione dei
vecchi accordi e di gestione delle (tante per la verità) dispute commerciali,
lasciando ad altri tavoli di disegnare il futuro del commercio internazionale.
A sperare in un accordo finale erano stati proprio i PVS perché per loro da quando
l’OMC/WTO ha smesso di funzionare come strumento prevalentemente euroamericano, è iniziata la stagione degli accordi bilaterali o regionali che seguono la
logica delle catene di approvvigionamento esigendo una grande integrazione fra
Paesi che partecipano alla filiera di un prodotto. Ma questi accordi in genere
legano un centro di consumo a quelli di produzione, ad esempio l’UE e l’Europa
dell’est e i Paesi ACP, gli USA con il Latinoamerica e paesi asiatici. I Paesi più
deboli si trovano in una posizione negoziale debole ed in questi accordi non si
discute di temi che potenzialmente potrebbero equilibrare alcune relazioni, ad
esempio non si parla di riduzione dei sussidi agricoli all’esportazione. Pertanto per
la maggior parte dei Paesi del mondo l’OMC/WTO, oggi sempre più multipolare
per il potere acquisito dai BRICS, rappresenta potenzialmente un foro migliore, in
cui poter agire come gruppo.
Il risultato positivo di Bali pertanto non starebbe nel contenuto dell’accordo
quanto nell’essere riusciti a farlo, questa era la posizione espressa alla vigilia da
Shankar Bairagi (ambasciatore del Nepal e coordinatore degli LDC). Questo apre
possibilità per il futuro, possibilità però che saranno tutte da creare. L’accordo in
sé è infatti molto deludente e il piatto della bilancia pende anche questa volta
dalla parte dei paesi più forti perché ottengono l’accordo sulla facilitazione del
commercio ed in cambio promettono solo di trovare una soluzione definitiva al
problema degli acquisti agricoli governativi entro 4 anni! Davvero troppo poco. Per
il resto molti inviti e qualche novità procedurale.
Come ha scritto nel suo commento la coalizione “Il Nostro Mondo Non E' In
Vendita”: “In futuro, dobbiamo garantire che i Paesi in via di sviluppo abbiano la
piena sovranità per valutare i propri livelli di capacità prima di attuare qualsiasi
potenziale regola e che i Paesi sviluppati onorino gli impegni a fornire le risorse
finanziarie ai Paesi poveri per modernizzare le loro strutture, in modo che i Paesi in
via di sviluppo non siano costretti a privilegiare l'informatizzazione dei loro uffici
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doganali rispetto alle scuole, a migliorare le infrastrutture dei porti piuttosto che gli
ospedali.”
La battaglia per un sistema equo di regole che ponga il diritto al cibo, al lavoro,
alla salute, all’ambiente prima del diritto a fare business, sarà ancora aspra e
lunga, ma la crisi dell’occidente dovrebbe aver insegnato che le ricette del passato
sono da buttare, che l’unica politica win-win è quella della cooperazione. La
globalizzazione non ha portato i lavoratori asiatici ai livelli di quelli occidentali, ha
prodotto esattamente il contrario, aumentando la concentrazione della ricchezza e
globalizzando la difficoltà alla sopravvivenza. La lotta senza tregua per il profitto
crea un mondo sempre più dilaniato, diseguale, socialmente instabile, in cui
fiducia e speranza si smarriscono. Ma senza fiducia anche il mercato muore, ci
pensino anche alla Camera di Commercio Internazionale
i
Beati i costruttori di pace. Per contatti accedere a www.martinbuber.eu, [email protected]
Business Guide to the World Trade System, International Trade Centre UNCTAD/WTO e Commonwealth Secretariat
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