Appunti dalla Scuola di comunità con Julián Carrón Milano, 21
Transcript
Appunti dalla Scuola di comunità con Julián Carrón Milano, 21
Appunti dalla Scuola di comunità con Julián Carrón Milano, 21 maggio 2014 Testo di riferimento: J. Carrón, L’essenziale per vivere, in «NELLA suppl. a Tracce-Litterae communionis, maggio 2014, pp. 15-44. CORSA PER AFFERRARLO», • Ojos de cielo • Aconteceu Gloria Ci eravamo dati come lavoro l’inizio della prima lezione agli Esercizi della Fraternità, in cui la questione essenziale – dal punto di vista del nocciolo della vicenda – è che cos’è l’essenziale per vivere. Per questo, tutto quanto si dice è per aiutarci a capire che cosa è l’essenziale e come riconoscerlo nell’esperienza, per non essere come mine vaganti, tirati di qua e di là, senza che ci sia qualcosa di veramente cruciale nella vita. Per questo incominciamo da tale questione. Da qualche settimana ho una domanda che non accenna ad andar via. Nel primo punto del sabato mattina degli Esercizi, ci è stata posta la domanda: quando è stata l’ultima volta che, guardando negli occhi le persone amate, abbiamo sperimentato quel tuffo al cuore? Quando abbiamo visto nei loro occhi i Suoi occhi che cancellano tutto l’inferno? Io ho ben presente dei momenti, anche recenti, in cui è successo questo: nel modo in cui mi guarda mio marito e nel modo in cui mi trattano certi amici, uno sguardo impossibile alle loro forze, ma riverbero di quell’unico sguardo che ha riempito la mia vita e mi ha portato fin qui oggi. Mi accorgo, però, che ciò che vedo non fa scaturire in me una posizione nuova per affrontare le sfide del vivere. L’inferno ritorna e mi ritrovo di nuovo smarrita di fronte alle circostanze. Da qui sorge in me un dubbio: o quel che vedo è sentimentale oppure io sono incoerente. Eppure a me non interessa essere coerente, ma avere una posizione originale di fronte alle cose! Nel punto due della lezione chiedi: «Davanti alle sfide che ci troviamo ad affrontare: nella mia risposta, nel mio tentativo, che cosa è emerso, […] che cosa ho scoperto in me come essenziale?» (p. 23). Io mi accorgo che, di fronte alle circostanze, sostanzialmente sono spaesata, e il dire che le circostanze sono per la mia maturazione e sono volute da Lui per un disegno buono sulla mia vita diventa quasi un contentino, una motivazione per mettere a tacere queste domande, per non andare al fondo di esse, anziché diventare una sincera speranza e una certezza su cui appoggiarmi. Il punto è che ultimamente questa cosa mi strugge il cuore, quindi ti chiedo un aiuto su questo. Cioè: che cosa è veramente l’essenziale? Perché tante volte – come dicevi – viviamo nel dubbio che ciò che è successo sia puramente sentimentale o che noi siamo incoerenti. In me la questione dell’essenziale durante l’ultima Scuola di comunità (e anche all’inizio del lavoro sugli Esercizi) ha destato un grosso fascino. E quindi ho vissuto i giorni che avevo davanti preso da questo fascino. Guardando me e un po’ di amici in azione, e anche dialogando, mi sono reso conto che la prima sfida – così ho percepito per me – della questione che hai lanciato sull’essenziale è non ridurla. Infatti ho notato che spesso la mia posizione è stata: beh, io so cos’è l’essenziale, è inutile che mi nasconda, l’essenziale è Gesù, quindi devo cercare di vivere la giornata rendendomi conto di questo. Ma così, dopo un po’, ti stanchi delle cose e anche di quel fascino. Mentre quel fascino si ridesta quando io vivo ciò che ho da vivere cercando di vedere cosa io affermo come essenziale per me. Quindi: non uno sforzo su un’idea giusta in cui credo, ma una sorpresa di come io mi rapporto con la realtà, leale con quel che sono, leale con quel che è la realtà. In questa seconda posizione, rispetto alla giornata, quel fascino è come se aumentasse, perché sono io come sono ed è la realtà com’è, non c’è bisogno di uno sforzo. E anche quando sorprendo che l’essenziale per me è altro da quel che teoricamente io dico, questo diventa la possibilità per 2 riguardare me stesso per quel che sono e non per quel che penso. Nell’altro caso, invece, l’unico effetto è l’affievolirsi fino allo scomparire di quel fascino iniziale, per cui poi passiamo all’argomento successivo. Questa è una questione di metodo cruciale: il problema è vivere, che io cominci veramente a rispondere a ciò che ho da vivere. Ed è lì dove appare – come una sorpresa – che cos’è l’essenziale. Altrimenti noi già abbiamo definito l’essenziale, e allora non è più un fatto che riaccade davanti ai miei occhi, per cui a un certo punto io mi stanco di ripeterlo, non cresce lo stupore della riscoperta continua, non riaccade la sorpresa per ciò che è veramente l’essenziale. È proprio vero che l’essenziale io lo scopro nella vita, vivendo. Rispetto a questo mi ha molto colpito un brano di Giussani che hai citato agli Esercizi: «Il più bel pensiero a cui mi abbandono da tanti mesi a questa parte è l’immaginazione del primo tuffo al cuore che ha avuto la Maddalena e questo tuffo al cuore non è stato: “Vado via da tutti i miei amanti”, ma è stato l’innamoramento di Cristo. E per Zaccheo il primo tuffo al cuore non è stato: “Do via tutti i soldi”, ma è la sorpresa innamorata di quell’Uomo» (p. 18). Io scopro che cos’è l’essenziale perché è quel che tiene desto il mio cuore, cioè quel che lo rende vivo dentro a tutto. Quando ho letto questa frase, quando l’ho sentita e riletta, mi sono accorta della differenza di Cristo con tutto il resto. Perché tutto il resto mi chiede di cambiare, e io stessa chiedo a me di cambiare; invece mi accorgo che la mia esigenza non è un cambiamento (come don Giussani dice della Maddalena: “Vado via da tutti i miei amanti”), ma è questo tuffo al cuore che mi rende viva. E questo per me è l’essenziale, perché dentro ha tutto. E mi ha colpito il riferimento alla gratitudine: infatti io mi accorgo che “chiedo il conto” alla vita, alle circostanze, alle persone, quando non vivo, quando non è presente questo tuffo al cuore, quando non vibro. Insomma, quando il cuore non è vibrante io non sono grata. Però l’antefatto della gratitudine, l’antefatto del cambiamento, l’antefatto di tutto è questo tuffo al cuore, mentre invece io tante volte parto con l’idea che devo cambiare, e mi impegno tantissimo, sprecando tutte le mie forze. L’osservazione acutissima di don Giussani, che ci sposta radicalmente se noi la guardiamo in faccia, è che la prima preoccupazione non è la nostra incoerenza, non sono le nostre fisime; cioè, la prima cosa non è che io debba cambiare qualcosa. È come quando uno è innamorato, quel pensiero ritorna, quella presenza si impone di nuovo e chiama di nuovo, e chiama, e non può togliersela di dosso. Allora è lì che ci si rende conto che è successo qualcosa di diverso, di unico, perché tutto il resto sono variazioni sul tema: «Che devo fare? Che devo fare?». Per questo mi sembra decisivo che noi prendiamo questo passaggio di don Giussani (che è stato – diciamo – l’origine degli Esercizi, il punto da cui sono partito per svolgere il percorso) come criterio di giudizio su qualsiasi nostro tentativo di identificare l’essenziale. Perché dicendo queste cose lui ci sposta tutti. Tanto è vero che noi siamo portati, senza rendercene conto, a ritornare alla questione se siamo in grado o non siamo in grado di viverlo, e non allo stupore. Per questo lo rileggo: «Il più bel pensiero a cui mi abbandono da tanti mesi a questa parte è l’immaginazione del primo tuffo al cuore che ha avuto la Maddalena […] [che] non è stato: “Vado via da tutti i miei amanti”, ma è stato l’innamoramento di Cristo». Si tratta di essere incollati, di essere affascinati. Perché la prima cosa che uno capisce quando succede qualcosa di significativo, di rilevante – a differenza di qualsiasi altra cosa –, è che questo fatto ritorna e uno non lo può abbandonare, non perché decide di non abbandonarlo, non per uno sforzo, ma perché si impone. Per questo don Giussani si sorprende abbandonato – dice – da tanti mesi a questo pensiero. Se uno fa il paragone tra che cosa è successo in sé da quando ha ascoltato questo e qual è l’esperienza di don Giussani, comincerà a capire che cosa significa fare la Scuola di comunità. Io mi sorprendo vedendo uno davanti a me che dice queste cose e faccio il paragone con quel che viene in mente a me, con quel che faccio io, con quel che preoccupa me, con quel che blocca o determina me. Senza abbandonarsi a questo lasciare prevalere quella Presenza, tutto si riduce a un nostro tentativo. Ma se siamo così malmessi, come possiamo pensare di uscire da questa situazione con il nostro tentativo? Ecco perché questo testo mi ha colpito dal primo istante: perché dice la natura del cristianesimo più di qualsiasi altra cosa. Che poi è lo stesso 3 contenuto che abbiamo richiamato nei due canti iniziali: se lascio entrare Lui, l’inferno si cancella. Qui don Giussani ci offre un criterio condividendo con noi un’esperienza, come suggerimento di una strada per non lasciarci distrarre da altre preoccupazioni. E quand’anche ci lasciassimo distrarre da altre preoccupazioni, possiamo fare memoria e ritornare e abbandonarci di nuovo, affinché a un certo punto Lui prevalga. Questo testo ha un valore di metodo, di suggerimento di una strada che è cruciale, come mi scrive una di voi: «La cosa che mi ha colpito di più è la questione del cammino di Pietro. Il sabato mattina hai descritto il tuffo al cuore che avranno provato Maria Maddalena e Zaccheo, che è identico al tuffo al cuore che ho provato io all’inizio e poi tante volte quando è accaduto (per esempio, proprio sabato mattina sentendoti parlare). E poi all’improvviso hai cominciato a descrivere il cammino di Pietro: bisogna fare un cammino. Mi sono sentita spostata, perché è proprio vero che tante volte il tuffo al cuore che continuamente sento ha bisogno di essere costantemente ridestato. Sento lo stridore tra l’esperienza del tuffo e il pormi di fronte al fatto partendo dall’ideologia del cristianesimo», cioè dal ridurre il cristianesimo – diciamo – a discorso. E per questo la domanda è: ma che cos’è questo cammino? Don Giussani risponde attraverso la sua testimonianza: abbandonandosi. Da qualsiasi punto uno parta, si ritorna lì, per approfondire, per rendersi sempre più conto, altrimenti uno non è in grado di cambiare posizione. Il cambiamento di posizione non è l’esito di un nostro tentativo solitario, bensì del prevalere di questo abbandono. Un attimo fa hai detto: «L’essenziale si impone». E questo è proprio quel che mi capita e mi è ricapitato leggendo questi primi due paragrafi della lezione del sabato mattina, perché quando si parla del tuffo al cuore e del cammino di Pietro non ho dubbi sull’identificare che cosa ha provocato un tuffo al cuore, l’unicità di questa esperienza che mi colpisce perché è un’unicità che non viene offuscata dal tempo che passa, non viene confusa dalle tante cose che capitano nella vita, dai tanti problemi, dalle tante sfide, dalla girandola di situazioni, di persone, di soddisfazioni o di difficoltà. E mi colpiva, in particolare, perché davvero è una cosa che si impone da sé. C’è una tua frase che dice bene che cosa ci succede quando questo tuffo al cuore è reale, dice: «Una presenza che non solo non estingua la nostalgia, ma che la infiammi, che ravvivi il desiderio di stare con essa […] [non basta uno sguardo qualsiasi] non basta quello del marito o della moglie, e neanche quello degli amici. Occorre quello di una presenza capace di stare davanti a tutte le sfide […]. C’è bisogno di un rapporto che non estingua il fuoco della nostalgia, ma lo accenda» (p. 17). Credo che questa sia proprio l’esperienza e il metodo che tu indichi, cioè che siamo in mezzo alle cose, ci distraiamo anche tanto, anche al luna-park (tanto per tornare all’esempio che facevi), ma c’è una nostalgia che riemerge e con cui l’essenziale si reimpone. La nostalgia è il primo segno che ci è capitato qualcosa di essenziale. Perché? Perché non posso vivere senza, perché ritorno ad esso, non perché io sia più bravo, non perché io riesca a fare tutto bene, non perché all’improvviso tutto funzioni secondo i miei desideri, ma perché niente di tutto questo riesce a spostarmi da ciò che prevale. E questo si vede nella nostalgia, che non si cancella, ma si infiamma. Ogni urto del reale, ogni situazione, ogni solitudine, ogni disgrazia, ogni cosa, è come benzina sul fuoco, accende la nostalgia. Non è che tutte le difficoltà la facciano spegnere, al contrario le difficoltà sono occasioni per riconoscere la verità e la portata di quel che è successo. Qualsiasi cosa accende, infiamma di più la nostalgia di quella Presenza. Per cui non serve opporre tutte le difficoltà del vivere come segno e ragione per non fare prevalere quella presenza. Infatti, quando succede un incontro così, qualsiasi urto, qualsiasi difficoltà, belli o brutti che siano, l’unico effetto che hanno è accendere, è infiammare la nostalgia. È veramente un’altra cosa, il cristianesimo è un’altra cosa! E noi incominciamo a vedere che quella Presenza è assolutamente unica, ha un tratto inconfondibile che non riesce a estinguere la nostalgia, ma la infiamma costantemente, qualsiasi cosa succeda. Per questo uno si attacca sempre di più. Non è che le difficoltà del vivere la spengano, ma ogni cosa la accende, la accende di più. Scrive una persona: «Tu dici di guardare dove è l’essenziale nell’esperienza. Questo è quel che succede a me: è già il secondo anno che vivo all’estero, la maggior parte del mio tempo la passo tra persone a cui non solo non interessa chi è Cristo [potrebbe essere un motivo per lasciar perdere, addirittura avendo una giustificazione: “Sono 4 da sola, chi me lo ricorda?”]. Passo le mie giornate con loro e mi accorgo che molte volte tra noi non c’è differenza [non è che questo la faccia illudere, tante volte tra loro non c’è differenza]: facciamo le stesse cose, ci preoccupiamo delle stesse cose. E in questo vortice, di Gesù quasi mi dimentico [quasi: tutto sta in questo “quasi”]. Gesù non è l’essenziale, ma viene dopo, dopo l’università, dopo la cena, dopo tutte le cose che ho da fare; e poi alla fine della giornata dico le preghiere. Però anche così Lui rimane sempre. Anche se tante volte sono distratta o pavida di parlare di Lui davanti a tutti, io [io!] ho la percezione di essere fisicamente l’unica persona che sa chi è Gesù in mezzo a un mondo che non Lo conosce. E questo non mi fa stare tranquilla [che questo sia reale si documenta nel fatto che questo non la fa stare mai tranquilla]. Questa è la percezione più essenziale che io ho nelle mie giornate, anche nei momenti più grandi di distrazione questo è ciò che prevale: che la mia vita non può essere strappata da Gesù». Scrive un’altra amica: «Volevo solo raccontarti come per me sia importante in questo momento scoprire sempre di più evidente nella mia vita la fedeltà di Dio [che è un’altra modalità di dire qual è la caratteristica di questo evento unico]. Io capisco che Lui mi ha presa dal Battesimo e portata fin qui tramite la storia del movimento, cioè è innegabile che abbia fatto crescere quel seme di grazia che è la fede, ma è come se adesso ci fosse stata una battuta di arresto, come se tutto fosse più difficile, oscuro, meno immediato, così da richiedere tutta la mia energia per essere riscoperto. Io in fondo pensavo come sant’Agostino che, una volta avuto l’imprinting della fede, fosse tutto facile. Invece dico: grazie a Dio non è così [grazie a Dio non è così: perché se tutto fosse facile, l’urto del reale e le sfide con cui la vita mi provoca non contribuirebbero a rendermi conto di qual è la differenza]. Dopo un primo momento di assoluto smarrimento, mi rendo conto che ciò che mi fa camminare è innanzitutto la Sua fedeltà instancabile [la Sua, non la nostra: è Lui che ha la pretesa di essere fedele, Lui!], che per me è un giudizio che non posso strapparmi più di dosso. Faccio un esempio banale, ma per me è impressionante. Lavoro in sala operatoria e hanno operato un mio parente di un intervento importante. La mia prima mossa è stata quella di sistemare tutto al meglio perché fosse nelle mani migliori possibili, ma più facevo tutto questo, più mi rendevo conto che non bastava, che il mio animo non si acquietava, anzi, l’ansia cresceva. Allora ho pensato cosa potesse mancare a tutto questo e mi sono resa conto di sentire una nostalgia pazzesca dello sguardo pieno di pace che ho sempre visto nei miei amici più cari. E allora ho chiesto a loro di dire una preghiera innanzitutto per me, perché in quella circostanza non fossi da sola, cioè che potessi fare esperienza della compagnia di Cristo che è l’unica che dona pace [uno può essere preso da tante ansie, ma non si può togliere di dosso quella nostalgia di cui ha avuto esperienza, che l’ha plasmato]. Non è per un cameratismo che li ho chiamati, ma per un giudizio inestirpabile, per una nostalgia [ciò che sembra la cosa più fragile, meno concreta, è in realtà la cosa più concreta, più determinante del vivere], la stessa che ho provato davanti al Papa a Roma, che mi ha fatto capire come a quarant’anni fosse impressionante in me il desiderio di imparare, forse più che a diciotto. Io ero lì perché nessuno più di me ha bisogno di imparare a capire la realtà, e lo strumento è appunto una scuola, la Scuola di comunità. Mi sono scoperta grata come da tanto tempo non ero più. Questi sono momenti di luce di cui si parla a proposito della conversione, che non ti tolgono la fatica, che è ancora tanta, ma rendono affascinante il cammino, certa che tutto è pieno della Sua fedeltà. Davvero posso dire: cosa sarebbe la mia vita se non potessi più ascoltare ogni volta le Sue parole?». Per questo quando noi ci troviamo davanti alle sfide, è lì dove dobbiamo tornare, come mi scrive un’altra persona: «Alla scorsa Scuola di comunità le prime persone che sono intervenute hanno testimoniato che gli Esercizi sono stati per loro un avvenimento. Per me non è stato così. Ciò che mi sono portata a casa è che uno può riconoscere Cristo come risposta al suo bisogno solo se va fino in fondo al suo bisogno. E la prima reazione che ho davanti a questo è di fatica, perché capisco che devo fare un lavoro su di me, un lavoro che neanche so bene in cosa consista. Scusa la mia testa dura! Lo so che non ci stai dicendo altro da anni, ma io ancora non capisco. Tu, commentando i primi interventi, hai detto: “Cristo si rende potentemente presente, non come un pensiero […], ma per l’avvenimento che Lui è […]. Cristo è qualcosa che accade […]. Non c’è altro metodo. È il riaccadere di quell’avvenimento […] che dobbiamo domandare; e dobbiamo costantemente riprenderne 5 consapevolezza nella memoria” [e quindi non è anzitutto una fatica, al contrario di quel che dice!]. Per questo ti chiedo di aiutarmi a capire che cos’è la consapevolezza della memoria. Vorrei che tu mi aiutassi a capire meglio questo punto, perché a me non è che questo non sia accaduto, quindi credo che se capissi meglio cosa vuol dire riprendere consapevolezza della memoria, non sarei ogni volta daccapo». E che cosa vuol dire riprendere consapevolezza della memoria? Che cosa fa don Giussani? Dove ritorna costantemente? «Il più bel pensiero a cui mi abbandono da tanti mesi… ». La memoria è questo, tornare a qualcosa che si è introdotto nella propria vita, alla Presenza che mai estingue la nostalgia. Per questo non è uno sforzo; è soltanto questo che non estingue la nostalgia, che non estingue il desiderio; non è con il nostro tentativo che cresce in noi la consapevolezza del bisogno, è Lui che ci rende consapevoli del bisogno costantemente, che desta in noi la nostalgia. La differenza è proprio questa (come diceva un intervento di prima): che desta il mio cuore. E se io ho capito questo, non ho altro da fare che vivere la memoria, ma dire “memoria” è un’altro modo per dire che prevale la nostalgia. Che prevalga la memoria della Presenza non consiste nel ricordarmi delle cose del passato; è accettare, riconoscere, lasciarsi trascinare ogni volta da quella nostalgia che non solo non viene meno a causa di tutte le cose del vivere, ma che ogni cosa del vivere infiamma. Invece di arrabbiarci con le cose perché non ci bastano, abbiamo la possibilità di tornare una volta dopo l’altra a quella nostalgia. In questo ultimo periodo quel che mi trovavo addosso era una domanda di significato immensa, ed era presente in me in modo così drammatico da lasciarmi senza fiato; infatti capivo bene ciò che dice Leopardi nelle sue poesie: che quando uno fa i conti con la propria esperienza umana trova in sé una distanza tra ciò che desidera e la realtà che non gli basta. Io avevo tutti gli strumenti per tornare a scoprire cosa ha preso la mia vita, che sono la Scuola di comunità, i rapporti cari, eccetera. Però tutto mi sembrava come una magra consolazione, e così per la prima volta, forse, ho lasciato perdere e mi sono crogiolata nel mio limite, nella mia dimenticanza. Facendo così, ogni sera era sempre peggio, ero sempre più triste. Poi è accaduto che una sera ho visto il mio moroso e lui, vedendomi così triste da un po’ di tempo, mi ha detto: «Cosa ti succede? Perché non sei più tu? Da dove riparti?». Io ho risposto in maniera provocatoria, non gli ho detto quel che mi stava succedendo, e da lui mi aspettavo il solito discorso con le cose giuste. Invece è accaduto che lui mi ha guardato e mi ha detto: «Ma perché non ti lasci voler bene?». «Perché non ti lasci voler bene?». Sono rimasta spiazzata, perché lui ha detto solo così e io ho detto: «E ti fermi? Non vuoi sapere cosa mi succede?». «Non mi bastoni un po’?». Esatto. «Non mi fai la predica?». Ero scandalizzata, poi mi ha stupito perché invece lui mi ha detto: «Sì, perché è molto più vero amarti come Gesù amava Pietro dopo che L’aveva tradito». Ecco, quel momento lì per me è stato come il tuffo al cuore della Maddalena, perché ho subito pensato a Pietro quando Gesù gli dice: «Pietro, Mi ami tu?», e lui, pieno di limiti, come me, ha detto: «Sì, io Ti amo». In quel momento ho riscoperto che ciò che vince è l’amore di un altro che brucia le tappe e che ribalta la mia misura. Il giorno dopo ho letto la prima lezione che non avevo ancora letto, ed è stato incredibile perché diceva meglio di me quel che mi era successo, quando citi il canto e dici: «“Se io mi dimenticassi di ciò che è vero”, […] di che cosa avrei bisogno? Che i tuoi occhi me lo ricordino» (p. 16). Per me è successo così, che io sono tornata da Cristo come Pietro, perché davanti a me c’era uno che mi testimoniava cosa riempie la vita di significato: Cristo presente. Io capisco bene che, come dicevi tu, occorre un attimo di lealtà per fare entrare di nuovo quello sguardo che io ho già visto e scoperto nella mia vita. Infatti quando poi si dice che non basta lo sguardo del marito o della moglie o quello degli amici, ma «c’è bisogno di un rapporto che non estingua il fuoco della nostalgia, ma lo accenda» (p. 17), io questo lo capisco bene perché il mio desiderio, la mia 6 domanda non si è estinta ma, anzi, è ancora più forte. In me poi prevale anche la gratitudine: «La gratuità più stupefacente è che Dio sia diventato mio compagno di cammino» (p. 18). Come Dio è diventato un compagno nel cammino? «Ti scrivo dopo aver appena letto l’inizio della prima lezione degli Esercizi. È commovente trovare descritta un’esperienza che tocca così profondamente ciò che sento decisivo per me, soprattutto da qualche tempo a questa parte. Sono uno studente universitario e da qualche mese sono all’estero per svolgere la tesi magistrale. Sono partito seguendo la passione per ciò che studio e l’incontro con alcune persone come segni di una strada per me. Dopo un po’ di tempo mi sono scontrato con il fatto che tutta la passione con cui sono partito non bastava a sostenere la vita qui. Ogni mattina mi svegliavo con un grande desiderio di scoprire qualcosa di grande per me, di lavorare bene, di poter godere appieno del tempo e degli incontri, ma dopo ore di lavoro, spesso aride, mi trovavo puntualmente affaticato e triste [il senso religioso non basta: “Capisco il vostro tentativo, nobile ma triste”]. E mi sembrava che durante l’intera giornata tra le tante cose non fosse successa quella decisiva, che il tempo scorresse via senza lasciare traccia se non la stanchezza. Perfino quando in laboratorio accadeva di scoprire qualcosa, dopo lo stupore iniziale dominava il dubbio: ma in fondo che senso ha fare tutto questo? Ne vale la pena [uno arriva alle domande radicali, anche essendo partito con tutta la sua passione]? Non sarà che questo mio interesse [quel che sembrava la cosa più concreta] è un vicolo cieco? Capivo che il problema non risiedeva nelle circostanze, ma nell’impossibilità di guardare le cose con verità [il significato delle cose non è un’aggiunta, come il cappello che occorre porre sopra le cose perché diventino adeguate, no, è che senza significato io non guardo le cose; quando diciamo che “l’educazione è l’introduzione alla realtà totale”, è perché senza arrivare fin lì, la realtà non ha interesse]. Tutto ciò che capitava costituiva una successione di eventi, ma nessun mio sforzo o proposito riusciva a trovare in essi qualcosa che mi desse pace. Parlando al telefono, un’amica mi ha sfidato dicendomi: “Tu devi scoprire lì di cosa hai veramente bisogno, è qualcosa oltre a quel che sai già, devi andare fino in fondo”. La mia situazione non è cambiata all’improvviso, ma ho cominciato a entrare nella giornata con la domanda di poter cogliere se e dove sarebbe successo qualcosa che mi fosse di aiuto. Pian piano un punto ha iniziato a rivelarsi sempre più interessante. Ogni settimana il mercoledì sera andavo all’assemblea di Scuola di comunità con gli universitari, che fino a quel momento aveva suscitato in me molte obiezioni [quando uno non è consapevole del vero bisogno, tutto è obiezione]. Arrivavo quasi sempre con la stanchezza pesante, ma ogni volta succedeva l’imprevisto: una persona che raccontava la sua esperienza, una domanda posta, una sottolineatura sul testo, c’era sempre qualcosa che toccava un mio interesse profondo. Un fatto è stato particolarmente chiarificatore: una sera, alla tradizionale cena insieme, una ragazza mi ha chiesto: “Come stai?”. Io ho deciso di non mentirle, e ho detto che da una settimana mi sembrava di essere completamente piatto, di non avere alcun segno in me del bisogno e della domanda di cui da sempre parla Giussani, lavoravo meccanicamente, a pranzo con i colleghi ero muto, in appartamento indifferente. Lei mi ha risposto in tutta tranquillità: “Non è vero che sei piatto, al massimo sei stanco, altrimenti perché diresti questo? Non ti accorgi che stai già domandando?”. Ho dovuto riconoscere che lo sguardo che lei aveva su di me era più vero, più completo del mio, coglieva ciò che profondamente sono. Non ho provato un’euforia sentimentale particolare, ma ciò che mi ha colpito è che poco dopo, tornando in metropolitana, osservando una persona appoggiata al finestrino, tra le tante che tutti i giorni si incrociano, mi sono sorpreso a pensare: come sarebbe bello se anche questa sconosciuta potesse scoprire il valore che ha, se potesse accorgersi che è una creatura voluta adesso così, perfino con quegli occhiali e quel naso; tutto il suo esserci grida Uno che fa lei e che fa me ora. Ero in pace di fronte all’evidenza di una Presenza più grande di tutto il mio vuoto [posso guardare il fondo dei tuoi occhi chiari e sparisce tutto l’inferno, se io lì scopro l’essere; posso guardare una persona mai vista prima, e di fronte all’evidenza della Sua presenza che la sta facendo adesso sparisce il mio vuoto]. Ma se per settimane nessuno sforzo mi aveva permesso di guardare la realtà con un briciolo di questa verità, cosa lo rendeva possibile in quel momento? Non potevo non riandare alla cena con quell’amica e a quello sguardo così corrispondente a ciò che sono. C’è un punto nella realtà dove io ritorno a essere me stesso, un punto 7 che non è riducibile alla capacità mia o di certe persone, ma che accade, è inconfondibile: è Lui che accade. Ti ringrazio per il percorso che stiamo facendo. Rispondere alla domanda: «Chi è Gesù?», sta significando a ogni passo rintracciare nella realtà quel punto che è essenziale per vivere con tutto il bisogno che ho, con il quale è possibile tornare a guardarmi e a guardare le cose come piene di significato, come luogo del mio rapporto con il Mistero. Pian piano lo scandalo per la mia incapacità sta lasciando spazio alla gratitudine per una Presenza reale a cui posso tornare per essere nuovamente afferrato e educato. È sorprendente per me veder crescere il desiderio di condividere questa vita con tutti, a cominciare dai miei colleghi. Sempre di più mi trovo a vivere insieme a loro, a condividere le stesse urgenze, le stesse domande e anche lo stesso buio di certi momenti, e sempre di più nel rapporto con loro mi accorgo della novità dello sguardo di Cristo [si esalta la differenza dello sguardo di Cristo], che non riduce alcun aspetto del nostro umano. E mi accorgo che ciò che ho tra le mani non è una bandiera da sventolare di fronte agli altri come su un piedistallo, bensì è la possibilità di mendicare, dentro le sfide che la realtà pone, dentro la confusione in cui a volte sono, quello sguardo inconfondibile che abbraccia tutto ciò che sono e che svela la positività delle circostanze. Questo, anche attraverso piccoli segni, è sorgente di novità. Più che il diventare perfetto la mia urgenza è di poter vivere con quell’inquietudine che sto imparando, che è la grande risorsa per cercare il Suo sguardo». Uno che vede ridestarsi l’inquietudine, che vede ridestarsi il desiderio, scopre che la grande risorsa per cercare il Suo volto è la nostalgia che non gli lascia tregua. Per questo, quanto più viviamo così tanto più tutto diventa veramente compagnia, perfino le elezioni. Il volantino sulle elezioni europee ha tirato fuori un atteggiamento che io ho, ha smascherato un atteggiamento che io sempre ho. In particolare, quando tu ci ricordi che «È, se opera», la mia grande obiezione è che se il cambiamento che io vedo in me, che è reale, non produce nella realtà un ulteriore cambiamento, di fatto non è successo, altrimenti si vedrebbe. Quando Cristo accade si vede. E per questo io sono in perenne lotta; però nel frattempo mi accorgo che le sfide che la realtà ci propone, sia quelle personali che quelle sociali e politiche, non aspettano che io sia pronta. Quindi mi trovo a cercare di creare un equilibrio tra l’attivismo e l’ascetismo. L’attivismo, perché di fronte a certe situazioni, davanti al porsi violento di una certa mentalità, mi verrebbe da andare in piazza per dire a tutti che stanno sbagliando, fare baccano per non sottostare a certe ingiustizie, mi verrebbe da fare incontri, creare gruppi per diffondere quella che invece è la verità, quello che dice la Chiesa. Mentre, da un lato, mi getterei anima e corpo nell’impegno sociale, allo stesso tempo mi dico che la mia speranza non può essere riposta nella rivoluzione, nell’impegno politico o nelle campagne culturali. Quindi tiro il freno a mano, mi impegno ma non troppo, per non cadere nel rischio dell’attivismo, e intanto mi protendo verso ciò che dovrebbe essere per me la salvezza, non quindi il fare, ma cercare di vivere la mia vita, vivere il cristianesimo io per prima perché – mi ripeto spesso, però senza crederci – questo incide nella storia più che le grandi battaglie, e uso questo come un alibi per non impegnarmi davvero. E mi sembra proprio di cercare un equilibrio tra le due dimensioni per essere felice e per essere più fedele possibile al movimento. Però non sono affatto libera, e anzi sono proprio incastrata, mentre vorrei vivere tenendo conto di tutti i fattori senza escludere nulla di me e del mondo. Qualcuno ha fatto esperienza di qualcosa che lo ha disincastrato? Io sono residente al sud, quindi per votare devo andarci apposta con un lungo viaggio. Per questo motivo, visto che è complicato da un punto di vista logistico per alcune situazioni che sto vivendo, avevo accantonato il problema e deciso di non andare a votare. Poi è girato un avviso nel Gruppo adulto in cui è stata data come indicazione di dare precedenza alla partecipazione al voto rispetto ad altri incontri o impegni. E io, che avevo deciso di non andare a votare (non per impegni, ma per altri problemi), mi sono sentita rimessa in discussione. E allora ho ripreso in mano il volantino. E ancora una volta non avevo colto il nesso fino al voto; non che non fossi persuasa del volantino, anzi, l’avevo un po’ ribaltato: è talmente persuasivo che la battaglia è sui fondamenti che io posso giocarmi questa cosa comunque, anche se non vado a votare. Ma avevo ancora un’ultima riserva, e 8 quindi sono andata a rileggere tutto l’intervento che hai fatto il 9 aprile a Milano. E lì mi ha sorpreso che, in tutti i passaggi dettagliati che fai, tu alla fine arrivi fino al gesto del voto. E così sono riuscita a fare il nesso che non riuscivo a fare. Sono riuscita a fare questo nesso, perché sono rimasta stupita, come davanti a un’assoluta novità, di una cosa che ho sentito tante volte e cioè che il desiderio ultimo dell’uomo esce dalla sua riduzione e si ridesta in un incontro, tanto che poi mi sono andata a rileggere il pezzo del Gius de L’io rinasce in un incontro. Mi ha stupito perché di getto, quando l’ho letto, non ho pensato alle elezioni, ma ho pensato ad alcune cose che sto vivendo, per cui questo angolo, questo punto di vista, mi ha messo di schianto di fronte ad alcuni rapporti dove io, per determinate dinamiche che si stanno giocando, sono tutta spostata sulle conseguenze e non sui fondamenti. E invece mi è sembrato assolutamente consono e vero ripartire dai fondamenti, e capisco che questo non è automatico, ma che comunque è la strada più vera perché è quella che rispetta di più la natura mia, cioè ripartire dal fondamento ultimo. E quindi io posso scommettere un criterio così fino al voto per l’Europa, come tu dici: «Difendere questo spazio di libertà per ciascuno e per tutti, è la ragione definitiva per andare a votare alle prossime elezioni», perché questa battaglia sui fondamenti si gioca nel campo di una relazione, di un rapporto. Come riconoscono gli attori più autorevoli del dibattito europeo, quel che è in gioco in queste elezioni è così cruciale che la prima questione è votare. La distanza che tanti di noi sentono – noi, malgrado tutto quel che viviamo – e che sentono tanti nostri concittadini, noi possiamo contribuire a superarla andando a votare, proprio perché la questione dei fondamenti è così cruciale. Altrimenti noi non avremo l’energia e le ragioni per muoverci e, quindi, cercheremo un equilibrio – come diceva il penultimo intervento – tra l’attivismo e l’ascetismo, usandolo per non impegnarci fino in fondo. Si tratta di capire che la vera discussione è sui fondamenti, allora la cosa diventerà sempre più concreta fino a muoverci nell’intimo per andare a votare e per continuare questo dialogo nella società su quel che ci siamo detti, che ci siamo dati come strumenti in questi tempi: il volantino sull’Europa e il testo della Pagina Uno di Tracce di maggio. Attraverso questi gesti ancora una volta il Mistero non ci lascia decadere, perché tante volte, quando ascoltiamo gli avvisi, pensiamo che siano come i compiti che ci diamo come organizzazione ciellina. Niente di più sbagliato, perché non basta questo, come vedete. Gli avvisi che proponiamo sono gesti, gesti attraverso cui, buttandoci nel reale, noi siamo generati. Perché soltanto se uno prende in considerazione un avviso, può verificare che esso è assolutamente pertinente, concreto; l’invito a questi gesti è la modalità con cui il Mistero non ci lascia affondare nel nulla e nell’indifferenza totale in cui spesso vediamo che tanti cadono. Per questo non è prima di tutto per darci una mano nell’organizzazione, sarebbe una riduzione assoluta dei gesti che ci proponiamo negli avvisi. Tutti i gesti che proponiamo hanno uno scopo diverso, uno solo: la possibilità di essere generati, perché ci sfidano a pensare. È una compagnia che ci diamo per essere generati, perché è impossibile che uno, se legge il volantino – come abbiamo detto – sull’Europa o la Pagina Uno, non ritrovi qualcosa che lo genera, è impossibile! Nel fare insieme certi gesti – se poi uno ti sfida, chiedendoti le ragioni che tu devi dare – vieni generato, e quindi diventi te stesso. Se noi non ci rendiamo conto del legame che c’è tra gli avvisi e l’essere generati, come modalità della permanenza di Cristo, della fedeltà di Cristo alla nostra vita che ci rigenera, che si impone costantemente, che non ci lascia tregua, noi non cogliamo il valore dei gesti. Perché questi gesti sono la modalità con cui riconosciamo ogni volta la pietà verso il nostro niente di Colui che ci genera e che ci dice: «Guarda, se non vuoi finire nel nulla ti offro questo, ti invito a questo». Oggi saranno le elezioni, domani sarà il Meeting, dopodomani sarà la Colletta alimentare o le Vacanze. Se uno ignora tutto questo, come potrà vedere una carne che lo genera? Saremmo noi a doverci generare con il nostro tentativo, con tutto il nostro sforzo, con la nostra energia. E noi sappiamo già che esito ha questo. Il primo avviso riguarda la Scuola di comunità, proprio per non decadere, per introdurci, come abbiamo fatto oggi, a questo sguardo sulle cose, sul reale, a partire da quell’evento, da quell’essenziale che si impone e che ti fa guardare tutto diversamente. Per questo il convivere con 9 essa, come diceva don Giussani: «Il più bel pensiero a cui mi abbandono da tanti mesi…», è ciò che ci genera; la Scuola di comunità è una convivenza, non un leggere e basta, è una convivenza a cui uno si abbandona, in cui uno si immerge. Per questo riprenderemo la prima lezione, perché stiamo ancora incominciando il lavoro e continuiamo a lavorare su questa lezione. La prossima Scuola di comunità si terrà mercoledì 18 giugno alle ore 21,30. Elezioni europee. Approfittiamo di questi pochi giorni prima delle elezioni del 25 maggio per incontrare le persone e per far conoscere loro il giudizio che abbiamo espresso, proprio per non perdere questa possibilità di essere generati, come dicevamo prima. Colletta straordinaria del Banco Alimentare. Il Banco Alimentare, insieme ad altre associazioni, organizza per sabato 14 giugno una Colletta alimentare straordinaria per far fronte a un’emergenza particolare di povertà. Qual è la ragione di questa Colletta straordinaria? Perché abbiamo aderito a questo appello? Essendosi creato un buco di alcuni mesi nella distribuzione degli aiuti forniti dalle istituzioni pubbliche, da qui a ottobre per i più poveri si prospetta una vera e propria situazione di carestia. Il Papa ne aveva parlato pubblicamente, richiamando un impegno straordinario per l’aiuto ai poveri e a chi soffre la fame, e non era un invito generico, perché si riferiva proprio alla situazione descritta. Facciamo nostro questo richiamo, perché ci sembra doveroso coinvolgerci consapevoli dell’urgenza della situazione. Perciò vi invito ad aderire alla Colletta straordinaria per la stessa ragione educativa, con lo stesso impegno e passione con cui viviamo quella che solitamente si svolge a fine novembre. Probabilmente la Colletta verrà fatta in meno supermercati perché la cosa è stata organizzata un po’ in fretta, ma c’è sicuramente bisogno della disponibilità di tutti, per cui vi invito a prendere contatto con urgenza gli amici del Banco Alimentare. Per informazioni e maggiori dettagli potete contattare Federico Bassi: [email protected]. Processione del Corpus Domini. La partecipazione di tutti noi a questo gesto semplice, è il modo con cui mostriamo la nostra appartenenza all’unica Chiesa. È un gesto semplice − l’Eucarestia esposta in pubblico, davanti a tutti −, vissuto ciascuno nella propria diocesi con il Vescovo in testa, che ha un grande valore educativo. È una proposta che ci aiuta ad avere una maggiore consapevolezza della nostra appartenenza a Cristo e alla Chiesa intera. Vacanze comunitarie. Per quanto riguarda le vacanze comunitarie, prima di tutto non diamole per scontate, come se fossero un rito che si ripete ogni anno. Il peggio che possa capitare tra di noi è che si insinui questo formalismo, per cui diamo per scontato tutto. Ricordiamoci sempre che ogni cosa che passa attraverso la libertà è sempre un nuovo inizio! Chi ha lavorato sul tema delle elezioni potrà capire perché il voto non è affatto scontato. Per questo, sfidarci su una circostanza come le elezioni, sfidarci sulle ragioni dell’Europa, è una educazione a non dare per scontate le Vacanze. Non diamole per scontate, perché sparirebbero dalla nostra coscienza. Allora domandiamoci perché facciamo la Vacanza, se lo chiedano anche coloro che hanno difficoltà, obiezioni, problemi economici; perché? Che cosa vogliamo comunicare? Che cosa vogliamo vivere insieme? Perché riteniamo questo momento decisivo? La questione è se noi approfittiamo di questo gesto per comunicare qualcosa della bellezza e letizia che viviamo e se ci aiutiamo anche noi a viverla. A un amico nuovo che viene con noi che cosa ci piacerebbe fargli vedere? Che cosa desidereremmo che lui trovasse e di che cosa vorremmo potesse fare esperienza? Allora le gite, un momento di testimonianza, la presentazione di un libro, un dialogo su qualcosa che interessa, la Messa, le Lodi, l’Angelus diventano un’occasione in cui uno può vedere la Vacanza come paradigma del vivere. Veni Sancte Spiritus