2014/2-Romena in cammino
Transcript
2014/2-Romena in cammino
Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XVIII n° 2 / 2014 in cammino Romena SOMMARIO 3 Romena in cammino Le radici di Romena 8 6 Bellezza e tenerezza Vieni, chiunque tu sia 10 Il pane di tutti i giorni 14 12 L’oro nelle ferite 16 La voce del silenzio Ciò che serve per vivere 18 20 Chi arriva a Romena, insegna a Romena Paginone 22 24 Un cammino per le strade dell’anima Una libreria di novità 26 Notizie varie 31 28 Romena incontri 2014 trimestrale Anno XVIII - Numero 2 - Giugno 2014 REDAZIONE località Romena, 1 - 52015 Pratovecchio (AR) tel. 0575/582060 - [email protected] Il giornalino è anche online su www.romena.it DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Raffaele Quadri, Massimo Schiavo FOTO: Piero Checcaglini, Massimo Schiavo Copertina: Raffaele Quadri, Marta Togni Hanno collaborato: Luigi Verdi, Pier Luigi Ricci, Maria Teresa Marra Abignente, Giorgio Bonati, Wolfgang Fasser Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996 Romena in cammino Sulla strada di ritorno da una viaggio a Urbino, 23 anni fa, don Luigi mi spiegò per la prima volta che cosa pensava di realizzare a Romena. Non capii nulla, anche perché di tutto quello che mi stava dicendo mi entrò nel cuore solo una notizia: tornava. Tornava dopo un anno sofferto e lacerante. Tornava da dove se n’era andato con una valigia piena di dubbi sulla sua vocazione e ciò che conteneva. Iniziava la prima tappa di un cammino di svolte, di passi in avanti, di rischi, di cambiamenti. Mai di pause. Di Gesù Gigi ha sempre amato l’animo pellegrino, il “non aver dove posare il capo” lo ha tradotto in una progettualità senza sosta, unico albergo permanente la sua inquietudine. Non deve essere per niente facile vivere così, sulla frontiera dell’oltre. Ci si deve sentire spesso soli. Negli anni, da fedele e appassionato compagno di viaggio di quest’uomo e dei suoi sogni, non mi sono mai abituato neanch’io: molte volte mi sono fidato, altre volte l’ho invitato a fermarsi un attimo. Un appello, quest’ultimo, sempre inutile. Come voi, anch’io mi sono chiesto se il progetto della fattoria, con i nuovi, enormi spazi, era davvero funzionale al nostro percorso di autenticità. In molti la preoccupazione è diventata un dubbio: il dubbio che con questo allargamento l’essenza di Romena si potesse perdere. Gigi ha raccolto e spero digerito tanti timori e mal di pancia. Ed è andato avanti, come ha sempre fatto, ascoltando soprattutto la voce del suo cuore, e quell’intuito che gli viene chissà da dove. I lavori sono iniziati tre anni fa e non sono finiti. Personalmente però c’è un passaggio che vi voglio segnalare. Perché è quello che mette in moto questo numero speciale del nostro giornalino. A gennaio, durante una riunione, Gigi ha annunciato una nuova porzione di lavori: “La cappella di Nazareth, dentro la casa colonica, non ha un accesso diretto, e molti non la trovano. Faremo un corridoio che passa nell’attuale falegnameria e va verso l’esterno”. Neanche tre mesi dopo Gigi mi ha invitato a vedere il lavoro ultimato. Non c’era nessun corridoio, ma due nuovi spazi di preghiera: una cappellina dedicata alla misericordia e una alla tenerezza che si collegavano alla terza. “Com’è?” mi ha chiesto. Avevo gli occhi lucidi e una scia di emozione che mi girava dalla testa ai piedi. Non ho detto nulla. Ma lì ho capito tutto. Tre anni dopo. 3 Gigi non ha pensato ai nuovi spazi per allargare Romena, ma perché lo stile di Romena potesse delicatamente rendersi presente di fronte a ogni esigenza. Dentro le nuove cappelline l’idea di bellezza e tenerezza da cui nasce la fraternità non va spiegata. Si respira, è impastata nei muri, è scritta delicatamente in ogni oggetto. Quando sono entrato io, con la mia fede incerta, ho sentito una voglia di stare, una spinta a fermarmi, un ardore di silenzio. Romena mi parlava, senza dir nulla. Gigi ha pensato ognuno dei nuovi spazi così: la nuova sala dei gruppi, “L’arca e la colomba” emana una voglia di condivisione e di festa; la libreria, con il recupero delle mangiatoie della vecchia stalla, restituisce al libro la sua sacralità, nella via della resurrezione c’è l’anima contadina di Romena, c’è la grazia della natura, c’è il lievito del cammino che rinnova l’aria nei polmoni. Nulla sa di troppo: ogni spazio non è pensato per accumulare folla, ma per rendersi unico nei confronti di chi in quel momento lo sta utilizzando. Questa attenzione ai dettagli architettonici l’ho sempre considerata un dono di Gigi, ma non l’avevo mai vista come l’espressione di un suo linguaggio, alternativo alla parola, come un suo modo rispettoso, ma caldo, di accogliere. Il percorso che abbiamo imboccato contiene dunque un ‘oltre’ e in questo oltre c’è una bellezza nuova. Ma quest’oltre nasconde anche un’inadeguatezza, la nostra: il cammino di fraternità è ancora acerbo per sostenere queste novità. Gigi vaga tra una quantità inverosimile di impegni, di incontri e di lavoro fisico, ma ha occhi non fermi quando si tratta di decidere come orientare le persone dopo aver orientato, e bene, i mattoni. Segno che ancora una strada certa non c’è. Noi collaboratori più stretti siamo ancora più indietro, stretti tra un voto fatto a metà che non apre i giusti spazi a mente e cuore, e ancora a traino del cambiamento in corso, incapaci di farcene protagonisti. E così i tanti, meravigliosi volontari che ci aiutano sentono nell’aria, specie in quella organizzativa, corde ancora dissonanti. Per fortuna chi viene a Romena saltuariamente non si accorge di nulla, anzi è proprio lui, il viandante, che ci guarisce di continuo. Perchè questa è la verità più vera di tutte: che, a dispetto delle luci e delle ombre, quando l’umanità entra nei nostri spazi, c’è sempre una sorgente meravigliosa di bellezza e di autenticità pronta a sgorgare. Ne vale la pena quindi. Ne vale sempre la pena. Ed eccoci qui. Questo giornalino vuol proprio rispecchiare le cose che vi stavo dicendo: innanzitutto mostrare i luoghi, specie quelli nuovi, lasciando che evochino i bisogni per cui sono stati ideati, ma allo stesso tempo indicare ciò che è Romena, nei nostri sogni, nei nostri tentativi, nelle nostre speranze. Non è una fotografia statica. È una Romena in cammino. Parte dalle radici di questo luogo, prosegue in ciò che abbiamo trovato per strada sentendo che ci era necessario: accoglienza e silenzio, condivisione e preghiera, incontri e semplicità. Quando si cammina un piede poggia e l’altro spinge. Quando si cammina si conosce solo il passo che sta per essere superato da quello successivo. È la vita che è così. È alla vita, alla vita vera, che Romena sogna di assomigliare. Massimo Orlandi 4 Siamo schiavi di realtà imperfette, abbiamo innalzato idoli che ci comprano, abbiamo messo nomi eterni a persone e realtà che non lo sono. Torniamo a camminare coi piedi sulla polvere e con gli occhi nel sogno che noi tutti avevamo quando abbiamo varcato questa soglia. foto di Massimo Schiavo Lu ig i Ve rd i Le radici di Romena di Massimo Orlandi Ai miei occhi bambini Romena era solo il nome di uno svantaggio. Lo svantaggio di essere periferia di tutto. Il luminoso presente era altrove, qui c’era solo un mondo contadino che arretrava. Gli amici dell’estate venivano da Firenze, Roma, Milano, abitavano in villette nuove e ben curate. Bevevo i loro racconti di città, tutto ciò di cui parlavano luccicava. mena, poco dolci per chi avesse voluto vivere di agricoltura e troppo lontane dalla città per chi avesse cercato un destino diverso da quello della terra, stavano vivendo una fase crepuscolare. Molti giovani se n’erano andati negli anni del boom economico a cercare lavoro in città. Erano rimasti in pochi, spesso i più anziani, in bilico tra le tradizioni mezzadrili e il bisogno di trovare un posto a libro paga, per far quadrare i conti. Non sapevo allora, me ne sono reso conto poi, di aver avuto il privilegio di sfiorare un mondo, una cultura, un modo di vivere di cui ancora così tanto profuma Romena, in cui è così profondamente inserito tutto il cammino della nostra fraternità. Le nostre radici. Erano i primi anni settanta. Le colline di Ro- Ho conosciuto quei contadini spesso già Non c’è solo una storia antica nella nostra pieve e nella sua atmosfera. C’è anche un passato neppure troppo remoto, ma poco conosciuto. È un passato di vita contadina e di fede semplice di cui, pur da piccolo, sono stato testimone. 6 anziani. Li ricordo quando accompagnavo il parroco per l’acqua santa: le donne avevano la corona del rosario tra le dita, i capelli raccolti, gli occhi abbassati, gli uomini il berretto ripiegato in mano, gli scarponi spruzzati di fango, impronte di fieno sulla schiena. Si faceva silenzio e Dio entrava, entrava per davvero. Li ricordo per le ricorrenze a Romena: persone ritte in piedi, dignitose, capaci di riconoscere il valore del lavoro, ma anche quello della festa. Tra tutti loro vorrei presentarvene due, con una motivazione speciale: sono stati gli ultimi custodi della pieve. Gli ultimi, prima di anni di abbandono e di silenzio, prima dei timidi esordi della nostra fraternità. Si chiamavano Tonio e Beppa. Non erano custodi solo perché avevano le chiavi della chiesa e perché ci vivevano. Lo erano perché rendevano quel luogo vivo, abitandolo, amandolo, custodendolo con una attenzione amorosa. Vivevano nella canonica, la loro cucina era dove ora abbiamo messo una piccola saletta d’accoglienza, accanto alla segreteria. Tante volte, dopo una messa, ci si soffermava lì. Contadini, entrambi, vivevano dei frutti della terra nei campi intorno alla pieve. Tonio era un uomo di fede. Il suo modo di inginocchiarsi in chiesa, un’offerta semplice e devota di se stesso, è stato il mio primo corso di catechismo. Era un uomo piccolo, leggermente ingobbito, la sua voce, specie in chiesa, era un caldo sussurro. Per preparare le celebrazioni, pulire o portarci le persone poteva entrare in pieve cento volte al giorno: ma ogni volta che entrava si faceva piccolo rispetto al mistero mostrando anche fisicamente che quello era un luogo sacro. Quando penso al ‘timore di Dio’ penso a lui: che mostrava nei fatti come il timore di Dio non sia fatto di paura, ma di rispetto, rispetto per qualcosa di bello che ci sovrasta, ma ci contiene. E poi Beppa. Beppa era una tipica donna di campagna, fisico abbondante, modi schietti, tanta giovialità. Una donna festosa, solare, diretta. Anche lei attentissima nella custodia di quel bene grande che era la pieve. I nipoti mi raccontano della sua attenzione per gli oggetti e le abitudini dei preti che venivano a dir messa: nulla, a partire dalle tazze che avrebbero usato per bere un caffè, doveva mai essere in disordine. Tonio, Beppa, i quattro figli, e poi i nipoti che sin da piccoli frequentavano gli spazi di Romena per stare con i nonni. È questa la comunità che ci precede, l’anello di congiunzione con il nostro passato. Spesso a Romena, mi sembra di sentire il parlare sottovoce di lui, e il controcanto corposo di lei. E li immagino felici, e con loro tutti i loro coetanei contadini, felici di sapere che la loro storia non si è estinta. Che il loro cammino silenzioso, umile, operoso, continua a dare frutti, in altro modo. Quando a Romena sentiamo il sapore della semplicità, quando avvertiamo il valore di una spiritualità autentica, liberata dagli schemi, dobbiamo ricordare da dove inizia la scia di quel profumo. È una scia che parte dalla terra, e guarda, rispettosa, il cielo. 7 Bellezza e tenerezza di Luigi Verdi Guardo le pietre della nostra Pieve: non ce n’è una simile all’altra. Stanno lì ferme ad appoggiarsi, quasi carezzandosi, come se ognuna aspettasse di accogliere l’altra per farle posto e sostenerla. Sono semplicemente, nella loro nudità, belle. E mi ritornano in mente tutti gli attimi in cui ho scorto negli occhi di chi mi parlava la stessa semplice nudità e la stessa bellezza. Se la Pieve potesse parlare forse racconterebbe tutti gli attacchi, gli sfregi, le guerre che ha dovuto subire e combattere da quasi mille anni a questa parte. Ci racconterebbe di una vita non facile, di un continuo resistere e appigliarsi alle fondamenta; 8 e la sua bellezza diventa allora ancora più preziosa, perchè scampata a pericoli e ferite che avrebbero potuto devastarla. E ritrovo la stessa ricchezza nella voce di chi mi racconta le sue fatiche, nelle lacrime silenziose di chi piange un distacco o una perdita, nelle tante lacerazioni che subisce il nostro cuore. Ha un peso la bellezza, non è eterea ed evanescente né tantomeno la si trova preconfezionata sullo scaffale di un supermercato, ma ha la sua fatica e il suo sudore ed è impastata di queste cose: un capolavoro dell’arte, un quadro meraviglioso, una scultura imponente, una musica celestiale racchiudono tutto il tormento e l’impegno del suo autore, così come lo splendore di un fiore porta con sé lo sforzo e l’attenzione della gemma. Sembra perfetta la bellezza, ma nasce dall’imperfezione, dal superamento dei limiti e delle fragilità. Nei momenti di crisi, come quelli che stiamo vivendo oggi, abbiamo bisogno di questa certezza: quando tutto ci sembra brutto e irrimediabilmente compromesso, quando le nostre relazioni ci sembrano aride e sterili proprio allora possiamo far nascere la bellezza, possiamo regalare un gesto o uno sguardo che addolciscano la bruttura e l’aridità. E mi sorprende sempre pensare a quanto la bellezza sia unita alla tenerezza: un verso di Alda Merini dice: “La bellezza non è che il disvelamento di una tenebra caduta e della luce che ne è venuta fuori”. Questa scintilla di luce che scaturisce da una frattura, questo lampo che improvvisamente rischiara quel che sembrava una rovina o una maceria, è quanto di più grande possiamo vivere, è l’esperienza più vicina al mistero della creazione. Quando Dio creò l’universo e si fermò, ammirando quel che aveva creato, un guizzo di tenerezza avrà sicuramente attraversato il suo cuore: perchè il bello è sempre intimamente connesso al bene, alla capacità di restituire alla vita il senso della meraviglia. Come se il male non fosse che un pro- gressivo allontanarsi da una sorgente segreta e cristallina che sempre fluisce in noi, a cui l’improvvisa irruzione della bellezza ci fa tornare, ci immerge, ci vivifica. Mi tornano in mente le parole di Christiane Singer: “La domanda che ci sarà fatta alla fine della nostra vita sarà semplice. Non “chi sei stato?”, ma: “che cosa hai lasciato passare attraverso di te?” Che qualità, che suono? Che cosa hai salvato, nascosto nel cuore? A chi hai riflesso il suo splendore segreto? Che libro hai fatto vivere amandolo? Quale concerto ascoltandolo di continuo? Di che cosa ti sei preso cura? A che cosa hai aperto il passaggio?”. Aprire il passaggio, spalancare porte e finestre, raccogliersi e concentrarsi sulla cura e l’attenzione alle minime cose, lasciarsi sorprendere dal passaggio improvviso di una luce… Sono legate bellezza e tenerezza, sono abbracciate l’una all’altra, cam minano unite, a passi leggeri, nel nostro cuore quando ne veniamo accarezzati. Ne restiamo sorpresi e quasi sconvolti, sembra quasi che ci pungano dolcemente il cuore. Come quando ci sentiamo stretti dall’abbraccio della nostra Pieve. Una tenebra si è squarciata, un buio si è illuminato, lasciando il posto al calore e al bagliore di una piccola luce, la nostra. 9 Vieni, chiunque tu sia di Giorgio Bonati Anni fa questa frase era scritta su un vecchio tronco d’albero adagiato per terra fuori dalla pieve, poi consumato e scomparso. Ma quel “vieni, sognatore, devoto, vagabondo, anche se hai infranto i tuoi voti mille volte”, è sempre affissa all’ingresso della casa, è la scritta che apre ogni nostro calendario, ogni anno. Sono parole antiche di mille anni, di un mistico musulmano. E lo stupore non può che smisurarsi: una frase di un altro mondo, di un’altra religione come benvenuto ad una 10 pieve romanica, sorta proprio in tempo di crociate. Ma è proprio oggi che le parole del poeta persiano Rumi continuano a invitarci ad un’apertura ancor più di quello che racconta la storia: una pieve luogo di sosta per viandanti in cammino, in ricerca. Chi oggi non sogna un mondo senza palizzate, senza muri, senza divisioni? Chi non ha pianto lacrime amare pensando all’orrore delle guerre di religione? Chi non sogna un tempo in cui la spiritualità diventi un ponte sopra il quale camminare finalmente uniti? Quel “vieni, nonostante tutto vieni” è un invito puntato dritto al cuore della vita, alla sostanza senza i suoi accidenti, alla profondità del messaggio più che al messaggero: e questo è ciò che siamo andati sempre cercando, quello che sentiamo sempre più necessario e questo luogo sperduto sulle colline del Casentino prova a viverlo, cerca di trovare una strada per mostrarlo ai viandanti di oggi. Accogliere è una delle parole chiavi di Romena, e chiunque, svoltato l’angolo della curva, si trova dinnanzi l’abside della pieve, si sente baciato dalla bellezza, si sente rapito dall’armonia, e questo è un biglietto da visita prezioso per ogni pellegrino. Acco glienza è come scritto nel DNA di queste pietre logorate dal tempo, ma sempre così vive. Chi ha provato a tenere braccia e mente spalancate, aperte al nuovo, schiuse al diverso sa, sa che non è un’illusione o una forzatura accogliere. E questo è contagioso, è un virus che si trasmette per contatto, nell’incontro degli occhi, delle mani. Abbiamo scoperto che la ricchezza dell’accoglienza è spropositata: anche se ognuno sembra giungere col pesante fardello della propria vita, il sentirsi accolti fa il miracolo. Tutti portano energia nuova, ognuno riaccende la scintilla divina che ha, e questo basta ad aggiungere un pezzo di legna al fuoco della vita, a far scorrere nuova linfa nella fraternità. “Ognuno è in cerca di un luogo dove sentirsi a casa da qualche parte” recita l’ultima scritta di Gigi impressa su vecchi legni che hanno ripreso a vivere. È la semplice conclusione di anni in cui abbiamo provato ad accogliere chiunque, non senza fatiche, non senza delusioni o incomprensioni, ma con una certezza: le porte siano sempre aperte, per una sosta di poco o di qualche giorno, con l’unico desiderio di far trovare ad ognuno un pezzo di pane e un po’ d’affetto, provando a fare un pezzo di strada insieme. “Vorrei una fraternità che fosse semplicemente quel granello di senape da cui nasce un albero «dove gli uccelli del cielo possano ripararsi alla sua ombra»; vorrei che la gente trovasse in noi uno spazio di libertà, una foglia che sia riparo nei momenti di scoraggiamento; vorrei che, chi vuole, potesse trovare un posto per cantare e la nostra unica parola fosse: «Effatà – apriti»”. Queste parole racchiudono ancor oggi i nostri desideri. 11 L’oro nelle ferite di Maria Teresa Abignente C’è uno spazio, vicino al grande prato di Romena e all’ombra di un maestoso gelso in cui, nelle belle domeniche mattina, un gruppo di persone si riunisce. Hanno occhi stanchi e mani che tremano e in gola un grido soffocato. Sono i genitori del gruppo Nain, genitori orfani dei propri figli, genitori che cercano di ritrovare nel dramma che li ha colpiti un senso che sembra sfuggire o portarli lontano, sulle spiagge della disperazione o di una incerta speranza. In questo luogo raccolto, che somiglia per la forma e per quel che si vive quasi ad un utero, è infissa nella roccia il simbolo della croce, una croce dove il vuoto occupa il posto principale. Ma proprio attraverso quel vuoto lo sguardo può aprirsi e spaziare su 12 un vasto panorama, sulle verdi colline che circondano Romena, su un cielo che sembra un po’ più vicino. Su quella croce, come a voler sottolineare un volo, il crocefisso non c’è: al suo posto, al posto delle sue ferite, delle gocce di oro. Quando il dolore ti consuma e consuma tutto quello che nella tua vita sembrava darti respiro, quando il dolore ti strema e prosciuga ogni vena di senso, resta un cuore in attesa. Sospeso. Sospeso come quel crocefisso che ti invita a guardare oltre. Oltre le ferite, oltre il vuoto. Certe cose non si possono spiegare, certe cose si sentono col cuore e faticano ad esser dette con le parole: cosa sono quelle gocce d’oro e chi le mette sulle nostre ferite a impreziosirle, a renderle inviolabili? Il Risorto porta con sè le sue ferite: Lui che ha sentito il brivido del germogliare di una carne intatta e nuova non ha rinunciato a quel che di più prezioso aveva ricevuto, mani e piedi aperti, ferite da toccare increduli, per riconoscerlo. Mi piace pensare che anche le nostre cicatrici, quelle che portiamo sul corpo, ma soprattutto quelle del cuore, servano a identificarci, a farci riconoscere. Servono a distinguerci l’uno dall’altro, come ora ci distingue il colore degli occhi o dei capelli, la statura e la costituzione fisica, così le nostre ferite ci renderanno straordinariamente unici. E quindi preziosi. Ma è anche vero che il dolore cambia il nostro modo di vedere la realtà, ci apre nuove prospettive, ci affida il “peso” diverso delle cose che avevamo vissuto prima che, bruscamente e senza permesso, quel dolore entrasse nelle nostre vite. Un peso e un colore che vanno all’essenziale, che virano verso la scarna sostanza della vita, ormai liberata dalle zavorre della superficialità. Ci riportano al midollo della vita, a quanto cioè abbiamo di più prezioso e bisognoso di protezione. Come un aratro il dolore ha scavato dentro il nostro cuore, lasciando terra aperta e dolorante, costringendoci a guardare l’erba dalla parte delle radici. Da quel punto cioè da cui parte e si trasmette la vita. Si impara, attraversando il dolore: si impara a sopravvivergli, si apprendono strategie per fare in modo che faccia un po’ meno male, si riesce a schivarlo quando è necessario e ad abbracciarlo quando è altrettanto necessario. Ma soprattutto il dolore ti insegna una cosa difficile e per la quale non ti saresti mai sentito pronto: ad amare al buio. Ad amare cioè senza più la persona per la quale questo amore era destinato, nell’azzardo di una speranza che ti fa sentire che questa persona ancora può ricevere il tuo amore e ancora te ne può regalare. Amare al buio, con il brivido e la paura di stare rischiando grosso, ma intuendo che è la sola cosa che puoi fare per raggiungere quel che hai perso. E diventa così un amore trasfigurato, che deve lentamente subire come un passaggio di stato: da solido, concreto, materiale a invisibile, intangibile, etereo. Eppure, come prima, vivo e reale. Un amore che, con il passare del tempo e dello sfinimento che ti fa assaggiare il dolore, si trasforma in dolce e succoso, distillato di essenze, denso e ricco come un balsamo. Maturato, come i frutti del gelso sotto al quale sostiamo. Il vuoto del crocefisso è riempito da un cielo che altrimenti non avremmo potuto vedere: al sole brillano unicamente le sue ferite. 13 Il pane di tutti i giorni di Pier Luigi Ricci Primo, secondo, terzo corso: si chiamano così perché siamo gente creativa, che va forte sui nomi. Spesso questa battuta mi scappa quando alla fine del primo corso provo a dire due parole su Romena. In realtà è difficile dare un nome che rappresenti in modo compiuto cosa può essere uno dei nostri corsi. All’inizio, il venerdì sera, quando si comincia, spesso dico: “Non vi aspettate cose nuove da questo corso, che avremmo potuto mettere insieme per stupire e per avere tanta gente. Abbiamo preferito fare un’altra scelta e presentarvi il pane di sempre”. 14 Il pane di sempre sono le cose più antiche e più semplici, il cuore del vangelo e della saggezza popolare, tutto ciò che è vero e che fa bene oggi, ma che funzionava, forse istintivamente, anche per gli uomini di tremila anni fa. Sono le chiavi della vita, quei principi che la fanno funzionare con un po’ di fatica in meno e che le danno significato. Il pane di sempre è la verità sull’uomo e la verità è una. È quella che il vangelo, ma anche i grandi testimoni della storia ci hanno spiegato. Questa verità è scritta nel cuore dell’uomo, è quella che quando la senti raccontare ti prende un sussulto, la riconosci, la ami, staresti delle ore a sentirne parlare. Questo sono i corsi di Romena, un incontro col pane di sempre. Fatto di cose semplici, a volte le “solite cose” come spesso dice il Gigi quando ironizzando, dice la sua meraviglia sul fatto che la gente venga così spesso e così in gran numero ad ascoltarci. Il nostro merito è tutto qua. È quello di non aver messo insieme cose create da noi, cose fatte per meravigliare, ma quelle che a noi per primi hanno cambiato la vita. Si, questo pane di sempre credo che lo stiamo confezionando bene, questo forse è il nostro merito. C’è la nostra vita, ci sono le cose più care e più sofferte, c’è la nostra passione il nostro entusiasmo, ma ci sono anche le nostre paure e le nostre fatiche. Non il mestiere, non l’abitudine. Ne è testimonianza l’agitazione che proviamo ogni volta prima di cominciare e quella faccia stravolta dalla fatica che i nostri parenti vedono quando torniamo a casa. Il pane di sempre lo riconosci dal fatto che quando te lo trovi davanti avverti la sensazione che si stia parlando di te. Avverti un richiamo dentro, riconosci qualcosa che ti appartiene. La sapevi già, ma ti stupisce come se fosse la prima volta che la senti. Questa magia appartiene al messaggio, non alla nostra bravura. Una cosa vera unisce, riporta energia, è come un abbraccio che contiene le ansie e ti fa sentire più vicino a te stesso. Ed infatti è l’abbraccio il gesto che meglio rappresenta i nostri corsi. È quell’istante in cui toccando l’altro, si avverte la sensazione di riappacificarsi con sé stessi. È bellissimo quando qualcuno mi racconta che i gesti, le parole al corso hanno avuto effetto prima di tutto dentro di lui. Magari si sono calmati i conflitti interiori, le ansie, i sensi di colpa e si sono risvegliati i desideri, i sogni… Spesso quando vengo via da Romena alla fine di un corso, mentre sono per strada ringrazio Dio e tutti quelli che mi hanno permesso di essere stato ancora una volta lì, a far da ponte e niente di più, mentre quel pane di sempre risvegliava qualcosa di intimo e di antico nelle persone e nei gruppi. Credo poi che dobbiamo tanto anche alle persone che arrivano, qualsiasi sia la loro aspettativa e il loro bisogno, perché sono loro che ci spingono ad andare avanti e a metterci in gioco ogni volta. Certo, poi tutto dipende dalle intenzioni di ciascuno. Si può salire alla Pieve per cercare il pane di un giorno o per cercare il pane di sempre. Ci si può accontentare di risolvere un problema o di far fronte ad un momento di ansia o si può desiderare e cercare qualcosa che sostenga la nostra vita e la orienti. E questa è una scelta che non spetta a noi, non la forzeremo mai, ma rimane una libertà di ciascuno. 15 La voce del silenzio di Luigi Verdi Disciplina. Una parola vecchia, desueta, abbandonata. Ma è da qui che si parte per abitare Dio, per farci abitare da Dio. In questi tempi veloci, dove tutto scorre e poco rimane, è diventato urgente fermarsi, e ogni giorno allenarsi a sentire che la vita è fatta di corpo e spirito, mente e cuore. Non si può lasciare nulla al 16 caso, perché ogni preghiera richiede attenzione, preparazione, scelta del luogo, del momento, creatività, senza il bisogno di cercare risultati. Nella preghiera non occorrono tante parole perché l’amore non ha bisogno di parole. Più questo mondo ha bisogno di Dio, più urgente diventa il dovere di una regolarità di preghiera quotidiana, di silenzio, di una pausa che riallacci rapporti con la nostra identità profonda e autentica. Il romanico è semplice, armonico, umano. Così è la nostra pieve, e quando vi entri incontri il volto di Gesù, con gli occhi socchiusi, occhi che non sanno giudicare, ma abbracciare; lo sguardo poi si sofferma sulla mensa, dove Gesù si offre, mai prepotente; poi gli occhi sono attratti dalla luce delle bifore e delle trifore, dal cielo che si scorge e che ci dice: cammina, vai avanti. “O amici, come è bello stare insieme, dolci le vostre parole, gioia le vostre mani piene d’affetto: perché nei vostri occhi c’è una luce che dice che l’Amato è oltre, sempre oltre?” Con queste parole Giovanni Vannucci sembra invitarci a spingere il nostro sguardo sempre oltre, a non fermarci mai, perché la vita muore se la fermiamo, inaridisce se non coltiviamo le sue radici e non custodiamo i suoi sogni. La vita spirituale è una via senza ritorno perché la preghiera è un’avventura pericolosa, non possiamo intraprenderla senza rischio, il rischio di un mutamento radicale di vita. Come è bella la povertà inutile del silenzio e della preghiera, questo spreco amabile, questo spazio di profumo, di casa aperta al mondo. Come sono belle le cappelline che abbiamo creato per dar la possibilità ad ognuno di riposare con Dio. Riconoscere la ‘misericordia’ per lasciarci abbracciare da Dio e attingere acqua nuova per diventare amorevoli, incantarci dinnanzi al volto femminile di Dio per lasciarci accarezzare dalla tenerezza e diventare veri, contemplare il volto di Cristo adagiato sul tavolo da falegname per dare anima alla quotidianità. Come è salutare la Via della Resurrezione, quanto è prezioso sostare davanti alle icone di ferro vecchio che come prima cosa abbiamo saputo far rinascere; quanto è luminoso per l’anima nutrirsi delle parole sacre; quanta meraviglia per gli occhi nutrirsi dei colori della natura che ti accompagna passo dopo passo verso l’Amore. “Quando incontrerete Dio non sarà come inginocchiarvi davanti a un imperatore ma sarà come il bacio vergine dell’universo”. Mi fa venire i brividi questa frase di Mallarmè, perché credo che incontrare Dio sarà come il primo bacio. Dio è come il tuo primo bacio, come colui che ti apre gli orizzonti e ti fa abbracciare tutto quello che c’è. 17 Ciò che ci serve per vivere di Wolfgang Fasser Quali sono i nostro bisogni essenziali per star bene? Venendo da una vita del ‘troppo’, poche cose, semplici, servono per riavviare il cammino di vita. Ma di tutto questo bisogno di essenzialità, cosa può offrire Romena? Ho provato a racchiudere tutto questo in alcuni punti. Semplicità e leggerezza Partiamo da qui. Semplice non significa poco e di poco valore. È una qualità. Significa provare la libertà di dire: sono felice con quello che ho, quello che ho è gia sufficiente per vivere, non ho bisogno di più. In tutti questi anni più volte sia a Romena che a Quorle abbiamo sentito l’impulso a perfezionare, a portare le nostre realtà su un livello più maturo di organizzazione e 18 prestazione, ma cosi avremmo abbandonato un valore basilare nella nostra scelta: perché la semplicità ci fa bene. Le domeniche che vi invitiamo a passare a Romena sono fatte di questo: sono un invito a interrompere il flusso frenetico della settimana e a rigenerarci. Non è turismo spirituale: sono occasioni di riscoperta di quella semplicità e di quella leggerezza che ci servono per affrontare meglio la vita di ogni giorno. Nuovi occhi La nostra fraternità propone tante attività, molto diverse, corsi, lavoro, incontri, gruppi, veglie, ma con un unico obiettivo: invitare ciascuno ad ascoltare la sua voce interiore, a leggere i segni della sua vita, a fidarsi di sé e ad alimentarsi di un colloquio autentico con gli altri. Non vogliamo offrire soluzioni per la vita di nessuno, non abbiamo bacchette magiche. Siamo però certi che il mistero della vita non è un problema da risolvere, ma una realtà da vivere. Per scoprire questo proponiamo quello che Marcel Proust dice in una frase: “per scoprire un nuovo mondo non dobbiamo andare in altri paesi, ma cambiare il modo di guardare”. In questo percorso dobbiamo costantemente evitare un rischio: quello dell’attivismo a tutti i costi, delle troppe iniziative per sfamare i desideri e le richieste. Ci siamo giù fermati almeno due volte per potare. Lo dovremo fare ancora, se serve: siamo chiamati a vivere la vita, non solo a parlarne o a rappresentarla. Silenzio Ne disponiamo nelle nostre realtà immerse nella natura. Il silenzio deve essere custodito, cercato e ricordato. Ci vuole il coraggio di proteggerlo e di viverlo non farlo soltanto nei momenti di preghiera e di lode. Il mio occhio critico cade sui nostri momenti speciali, sugli incontri: troppo spesso ci sono tantissime parole, musiche, immagini, ma pochissimi spazi riservati al silenzio o a gesti semplici. Anche l’occhio vuole il suo silenzio, anche la mente vuole il suo silenzio, anche il desiderio di fare tanto ha bisogno del suo silenzio. E aggiungo di più: desidero anche un po’ di silenzio delle nostre voci maschili per poter sentire di più la voce femminile. Provvisorietà Pensando al nostro cammino come fraternità vedo la provvisorietà come uno dei valori più consistenti del percorso: è proprio la sana provvisorietà che ci ha permesso di svilupparci, di accogliere la vita e anche di sbagliare per poter trovare meglio la stra- da. Arturo Paoli ci ha detto la settimana scorsa: “Il segreto è di non pretendere la vita, di lasciarla fare”. Per vivere questa saggezza del nostro amico di 102 anni ci vuole fiducia nella sana provvisorietà. Credo che siamo stati capaci di viverla e proteggerla in tutti questi anni e mi auguro di continuare. Voglia di camminare Abbiamo sempre voluto che Romena fosse vissuta come una casa di passaggio, un luogo con una vita che ispira alla vita. Un luogo dove trovo qualcosa per poter vivere meglio e più volentieri a casa mia. Quanto è importante custodire questa fedeltà alla vita di tutti noi. Romena non è un’isoletta della felicità, è soltanto un luogo nutriente per chi cerca la vita. Vivendo Romena così possiamo anche scoprire una verità più profonda nella vita: siamo in cammino, siamo di passaggio, siamo effimeri e proprio per questo siamo invitati a vivere la vita come un grande privilegio. Imperfezione e incompiutezza Siamo sanamente imperfetti e incompiuti. Non per trascuratezza, no, semplicemente per la natura della vita. Vogliamo vivere volentieri anche di fronte a questo nostro essere e rapportarci serenamente all’incompiutezza e all’imperfezione degli altri. Libertà nutriente Vogliamo proporre un cammino in libertà, un cammino di crescita. Senza pretese. Ecco la libertà: tu che vieni a Romena o a Quorle legati a noi attraverso la tua partecipazione, legati a noi quanto tempo vuoi, come vuoi, ma slegati anche quando e come voi. Non ci sono tesserini di appartenenza: Romena vuol essere un contributo nutriente nella società italiana e non più di quello. Questa libertà è il mezzo per essere fedeli al cammino e ai valori che ci stanno a cuore. 19 Chi arriva a Romena, ci insegna Romena. di Massimo Orlandi Scrivo questo articolo con gli occhi e il cuore tuffati nell’energia di un incontro, a Rovereto, con tanti amici di Romena. Serate come queste sono il mio personale distributore di carburante. Una riserva di senso che mi accompagna tutto l’anno. E non è per la Romena che porto, ma per quella che ricevo. Da lontano Romena viene colta nella sua essenzialità: come un luogo che trasmette un desiderio di autenticità. Chi sta lontano attribuisce a Romena il valore più vivo della parola ‘nostalgia’: ne misura la distanza 20 con la propria distanza da se stesso. Romena è l’unità di misura di uno scarto. Noi che ci stiamo qui, noi che respiriamo continuamente l’aria della pieve, spesso riusciamo a contaminarla con le nostre piccolezze. Chi arriva da fuori ha così il compito di risollevarci continuamente dalle nostre gabbie di mediocrità. Ricordo, un anno fa, una riunione organizzativa alla vigilia del primo grande incontro di luglio. Era la prima volta che ospitavamo quattrocento persone tutte insieme ed erano anche legittimi i dubbi, le preoccu- pazioni, le riserve. Ma l’atmosfera, caricata dai malesseri di ognuno, era irrespirabile. Pochi giorni dopo, non appena cominciarono a arrivare persone da tutta Italia, cambiò tutto: ciascuno di noi, riflettendosi nella carica naturale di chi arrivava, si specchiò nella Romena accogliente che avrebbe voluto e riuscì a riconoscerla. È sempre stato così: chi arriva a Romena ci insegna Romena. Deve essere così: Romena deve essere uno spazio libero, uno spazio dove ciascuno, arrivando, anche solo per due ore, possa imprimere la sua traiettoria di vita e, con la sua, modificare quella della Fraternità. Capirete perciò cosa siano gli incontri per Romena: il suo dna, il suo alimento, la sua parte migliore. Perché è bello il posto, bella la pieve, bello quello che c’è, ma non è paragonabile alla varietà, alla bellezza, alla profondità dei rapporti umani che possono nascere. Questa è la nostra vera ricchezza. Tutto ciò che facciamo per consentire a Romena di allargare la cerchia dei suoi incontri ha questa finalità: aumentare questo tesoro di incontri, far crescere questo forziere di umanità. A questo servono i corsi, i gruppi, i libri, le domeniche di Romena, gli incontri su e giù per l’Italia, le veglie. Vi siete mai chiesti perché tante veglie, 70 città, un tour sfiancante? Perchè la veglia sprigiona l’identità di Romena senza aver bisogno di Romena. Perché in una sera crea in tante persone un desiderio, una voglia, una spinta, che non dipendono da noi, ma che sappiamo di aver alimentato. Non conta quante di quelle persone verranno poi a trovarci, conta aver soffiato su un fuoco forse spento, conta aver trasmesso un profumo di buono, conta aver creato una nostalgia. Sappiamo bene quanto i rapporti umani oggi abbiano perso quella freschezza bambina, quella disponibilità di fondo che è una loro esigenza primaria. Romena, senza invadere, prova a tirar via questa scorza artificiale che ci siamo costruiti. Il suo compito è quello di invitare ciascuno a recuperare uno sguardo che la sua anima sappia riconoscere. Quando questo accade, ciascuno di noi, collaboratore, assistente, semplicissimo viandante, sente di aver partecipato a un miracolo. Da 23 anni amo Romena per questo: per i miracoli cui ho assistito, per quelli che mi hanno riguardato. E per la voglia mai spenta che mi trasmette questo luogo di cercare il cuore e lì, dal cuore, abbracciare l’uomo. 21 Abbiamo accolto, perché avevamo vicino al cuore la stessa ferita di chi passava, e non abbiamo avuto paura della confusione dei loro occhi. Ci siamo fermati nei tanti crocevia furiosi del mondo dove s’invola il gemito degli uomini, facendo circolare l’amore che apprezza e profuma. Abbiamo visto che non è il dolore che annulla la speranza, non è il morire, ma l’essere senza conforto. Che il tuo vento o Dio continui a spingere la nostra barca, non ci importa nulla della rotta se continueremo a sentire su di noi il tuo vento di vita. La nostra debolezza è stata la nostra forza e quando i nostri occhi si chiudevano da qualche parte dentro di noi il roveto ardeva. È la fame negli occhi che ci ha spinto fino a qua a non offendere la vita piccola dei piccoli e coltivare la speranza di una umanità più umana. Luigi Verdi Un cammino per le strade dell’anima di Angelo Casati “Pellegrino della terra e della parola”, don Luca Buccheri accompagna periodicamente gruppi di cercatori nei luoghi della Bibbia, in Terra Santa. Da oggi le sue meditazioni bibliche ci consentono di camminare con lui anche stando fermi: è nato così il libro di Meditazioni bibliche “Dove vieni e dove vai?” nel quale la lettura dei testi sacri e la riflessione sulle domande esistenziali che sollevano, si collega al contesto geografico in cui sono nati. Il libro è introdotto da una prefazione di Angelo Casati, prete-poeta, che vi anticipiamo. Libro per un viaggio, il libro di don Luca. Libro per gli innamorati dei viaggi, donne e uomini sacco a pelo e zaino. O forse anche, me lo auguro, libro per chi si è lasciato, forse senza accorgersene, espropriare dei sogni, ritrovandosi uomo in pantofole, in case senza finestre, nella immobile pesantezza dei sedentari. Oso augurarmi che chi di noi si trovasse per disavventura in questa condizione di opaca immobilità, scorrendo una pagina dietro l’altra e indugiandovi, possa sentire finalmente filtrare il vento, che rialza i volti ed è sangue nelle vele per ripartenze. Capitò un giorno al paralitico del vangelo, sino a 24 quel momento tutt’uno a incastro con la sua barella: alla voce del maestro si drizzò dietro spinta di forza per cammini di libertà. Partire come condizione per nascite, e non contano gli anni. Nella bibbia da grembi avvizziti avvengono per potenza dall’alto nascite fuori da ogni immaginazione. Dirà don Luca: “Il Signore chiama Abram a (letteralmente) «lasciare la sua nascita e la casa di suo padre» (12,1). Perché ogni partenza è come una nuova nascita”. Libro dunque per un viaggio che prima di essere su sabbie o asfalto è cammino per le strade dell’anima. Che siano quelle a decidere una vita? Dietro il pulsare di domande assolute: “Da dove vieni? Chi sei? Dove vai?”. La domanda, se ci pensiamo, fa la differenza tra pellegrino e vagabondo. Un libro per pellegrini. Di Terra Santa certo, ma anche della terra santa della vita, la nostra. Un viaggio in cui in un certo senso sei solo, solo con la tua nascita, che ancora deve compiersi. Nel taccuino di viaggio di don Luca c’è, lo avverti, il colore dei suoi occhi, che non sono da turista, ma da cercatore, cercatore di stelle come Abramo, uomo di miniere che porta l’oro alla luce, uomo del racconto. Ti viene voglia di sedere al fuoco e sotto le stelle ascoltare la voce. Prima delle parole, la voce. Occhi e voce a custodia di memorie, le memorie dei padri e di Gesù, memorie che ardono come brace nel Libro Santo e nella Terra Santa. Per questo don Luca racconta storie, o meglio, la Storia, dialogando tra Sacra Scrittura e terra dei padri. Le storie dei padri, la storia di Gesù hanno incrociato una terra. E la terra custodisce, per chi la sa scrutare, memorie. Troverai puntuali nel libro, come in mappa, ma accese, accese dalla memoria, le note di don Luca sulla terra: un lembo di cielo, la congregazione delle stelle, l’immensità di un monte, un lago o un pozzo o una sorgente, un fiume o un filo d’acqua e luoghi, luoghi a non finire, che hanno assistito rabbrividendo al passaggio della salvezza, note che colorano i racconti che spesso noi impallidiamo quasi non avessero luogo o fossero risucchiati a mezz’aria, senza rispetto nè devozione per un Dio che ha cammi- nato piedi per terra, senza sospetto che sulla terra siano rimaste impigliate, come sorprese da emozione, le orme. Cantore della terra, don Luca, ma insieme appassionato lettore e indagatore di Scritture, starei per assegnargli l’appartenenza alla scuola dello scriba del vangelo che dal tesoro estrae cose nuove e cose antiche. Quasi che l’emozione gli rimanesse impigliata prima nelle mani che toccano e sfogliano il Libro e poi nella scrittura che dà forma ai pensieri del cuore e di tanto in tanto odora di poesia. Vorrei concludere questo mio azzardo di parole con quelle di don Luca, che chiudono (o riaprono?) il libro, parole che come gli succede, sposano in continuazione terra e Scritture, parole per assetati: “Nell’oasi di En-Ghedi, sulle sponde del Mar Morto, si sperimenta la bellezza di una sorgente di acqua dolce che fa rinascere la vita dappertutto, una sorgente che il profeta Ezechiele vede nascere dal monte di Sion, dal luogo in cui quel “fratello” muore (cfr. Ez 47,10). È il fratello crocifisso, dal cui costato sgorga ogni benedizione”. “I nostri cammini di fango diventano morbida creta”: sono parole di Monica Rovatti, suonano come un augurio per i lettori del libro. Gli occhi di Monica come quelli di Gesù. Lui vedeva un biondeggiare delle messi in anticipo di quattro mesi. È l’augurio per i lettori di un libro. 25 Una libreria di novità Gli scaffali, nella nostra libreria, sono le mangiatoie della vecchia stalla, oggi ristrutturata. Non è un caso: un libro è fatto per essere ‘ruminato’: le sue parole, alla luce del nostro modo di ‘masticarle’ possono entrarci dentro, e trasformarci. In quest’ultimo periodo sono entrati nella nostra libreria, oltre al libro di don Luca Buccheri, altri tre volumi che proponiamo alla vostra masticazione… Mendicanti di luce Questo libro, pubblicato dalla EMI, nasce come sviluppo della veglia di Romena di due anni fa. Con parole dolci e forti, grazie a una personalissima capacità di ridare corpo alle pagine del Vangelo, il nostro don Luigi Verdi ci conduce sui luoghi in cui il Risorto si manifesta: «Come coloro che hanno seguito Gesù e che per paura lo hanno lasciato solo sotto la croce, così anche noi siamo dei mendicanti di luce, come loro abbiamo bisogno di una parola che ci scaldi il cuore, di un brivido sulla pelle, di piangere lacrime innamorate». Nella sua interpretazione della Parola di Dio, ci conduce nei luoghi in cui Gesù si manifesta: strade, case, sentieri, giardini, dove possiamo quotidianamente riscoprire la bellezza della nostra vita. Questa ricerca del Risorto si tinge della tenerezza e delle attenzioni 26 che Dio ci riserva e che don Luigi, con parole dolci e forti, descrive così: «L’attenzione è un po’ d’ombra, un pugno di datteri, un po’ d’acqua. La tenerezza è un gesto regale, è il gesto dei credenti e degli amanti. Scusate se termino sempre con la tenerezza. Ma da ogni crisi ho imparato che dobbiamo almeno salvare la bellezza e la tenerezza». A regola d’arte Una fede nuda “L’arte non ci insegna nulla, tranne il senso della vita”. In questa frase di Henri Miller c’è il cuore del libro “A regola d’arte”, a cura di Massimo Orlandi e Paolo Ciampi. Il libro racconta cinque incontri con altrettanti artisti che, con percorsi molto diversi, hanno sempre saputo tenere il fuoco dell’arte acceso: sono Alessandro Benvenuti, regista e attore, Gianmaria Testa, cantautore e poeta, Simona Atzori, ballerina e pittrice, Elisabetta Salvatori, autrice e attrice, Eraldo Affinati, educatore e scrittore. Cinque vite, in questo libro, si offrono con tanta passione e autenticità nella bellezza coinvolgente del loro cammino e per dirci che la vita è un filo d’amore da tenere sempre stretto, anche quando i tempi sono difficili, perché è quel filo che dà senso a tutto il resto. Il libro è stato edito dalla Fraternità in collaborazione con la Fondazione Giuseppe e Adele Baracchi: gli incontri “A regola d’arte” sono infatti parte del percorso “Le Parole e il silenzio” organizzato dalla Fondazione. È l’ultimo arrivo delle Edizioni Romena. Il libro è il testimone fedele del bellissimo incontro omonimo tenuto da Ermes Ronchi e da Marina Marcolini a Romena. Un delicato, poetico percorso di autenticità al maschile e al femminile, di un religioso e di una laica per rappresentare la bellezza, la forza, il bisogno, della fede. Il frate poeta, conduttore della trasmissione di Rai Uno “Le ragioni della speranza” e la scrittrice e insegnante, coautrice dello stesso programma, duettano sul filo della poesia regalandoci continue perle di una bellezza resa ancor più viva dalla testimonianza personale del loro cammino di vita. “Il cristiano – scrive Marina – non è uno che obbedisce a una legge, ma uno che depone le armi di fronte all’amore. E questo dà gioia. Io credo che la gioia sia il termometro della vita spirituale”. “La mia fede – sono parole di Ermes – è sapere e sentire di essere dentro una corrente inarrestabile, una energia di vita che mi raggiunge, mi avvolge, penetra, incalza, fa fiorire”. “Una fede nuda”, come si capisce è sì un libro sulla fede, ma è soprattutto un libro che parla dell’energia che muove l’universo: l’amore. I nostri libri si possono acquistare direttamente a Romena, e nelle librerie, oppure si possono ordinare inviando una mail a [email protected] specificando titoli e quantità richiesti e indicando l’indirizzo dove devono essere spediti. Ulteriori informazioni su www.romena.it 27 Romena incontri 2014 È il coraggio, il coraggio di dar voce alla propria autenticità, il coraggio di andare oltre la fatica del presente, il coraggio di far fare un passo alla propria vita il protagonista dei due percorsi di incontro, che la Fraternità di Romena propone quest’anno, rispettivamente dal 18 al 20 luglio e dal 19 al 21 settembre. Giornalisti e scrittori, poeti e teologi, e soprattutto tanti testimoni di vita proveranno a offrire ciò che hanno sperimentato nel loro cammino di vita provando a trasmetterci preziosi germogli di coraggio. I due incontri svilupperanno il tema in due modi diversi: a luglio vi saranno soprattutto testimonianze di vita che mostreranno la possibilità, con il coraggio, di affrontare situazioni anche molto difficili, a settembre centrale sarà soprattutto la ricerca di quei primi, decisivi passi per attivare dinamiche di cambiamento e di crescita. 28 Rischiamo il coraggio 18 -19 - 20 luglio È questa la grande sfida umana che ci propone l’incontro di luglio. Una sfida nella quale cercheremo di fortificarci ascoltando bellissime storie di vita, testimonianze di grande spessore e alimentandoci con la passione e la forza trasmessa dall’arte. E proprio un momento di arte, di arte applicata alla vita che aprirà la tre giorni, venerdì 18, ore 21, con lo spettacolo di Elisabetta Salvatori dedicato alla vita travagliata di Dino Campana. Sabato l’apertura a tutto tondo sul tema con lo sguardo appassionato del filosofo Roberto Mancini cui seguirà l’incontro in videoconferenza con Alberto Maggi: il noto teologo dedicherà il suo intervento a un versetto del Vangelo di Giovanni: “Coraggio, io ho vinto il mondo!”. Il pomeriggio e la sera saranno declinati interamente al femminile: nel pomeriggio Caterina Migliazza ci parlerà del coraggio dell’attesa che lei vive da 9 anni dopo la sparizione del figlio Fabrizio, durante un cammino della pace ad Assisi, Claudia Francardi e Irene Sisi affronteranno invece il coraggio del perdono: Claudia è la moglie di un appuntato dei carabinieri che fu ucciso tre anni fa a un posto di blocco nel grossetano; autore materiale dell’omicidio il figlio di Irene. La serata ci consentirà infine un abbraccio musicale con la poesia e la forza della musica proposta da Katia Lari e Elena de Renzio. La domenica, per chi vorrà, ci si sveglierà prestissimo, con un concerto all’alba (ore 5.51) nel cortile della fattoria del pianista Cesare Picco: un evento organizzato in collaborazione con la manifestazione Piano Forte sostenibile. Quindi in programma il coraggio di comunicare un coraggio grandissimo perché lo ha saputo esprimere un giovane autistico, Giacomo De Nuccio, autore di poesie e racconti di grande valore e sensibilità. Quindi Francuccio Gesualdi, allievo di don Milani e fondatore del Centro nuovo modello di sviluppo che porrà la sua attenzione sul coraggio della responsabilità. Infine nel pomeriggio di domenica con un testimone speciale di coraggio: il presidente di Libera e fondatore del gruppo Abele don Luigi Ciotti. Mancini · Maggi · Gesualdi · Ciotti 29 Osare passi nuovi 19 - 20 - 21 settembre S i prevedono grandi testimonianze anche per l’incontro di settembre dedicato ai ‘passi nuovi’ da introdurre nella nostra vita grazie a un riconquistato coraggio. Saranno con noi, tra gli altri, due teologi molto speciali come Vito Mancuso e Antonietta Potente, e ancora lo scrittore e educatore Eraldo Affinati, la scrittrice e conduttrice radiofonica Gabriella Caramore (autrice e voce di “Uomini e profeti”), la giornalista, scrittrice nonché esponente di primissimo piano dell’ambientalismo italiano Grazia Francescato. L’intervento conclusivo sarà al affidato al Cardinale Walter Kasper. Anche a settembre ci accompagnerà l’arte con il concerto (il sabato sera) di Luca Mauceri, artista poliedrico, musicista, attore, che ci proporrà, tra l’altro, l’ultimo suo lavoro discografico, “Secrets”. Mancuso · Potente · Affinati · Kasper Francescato · Caramore Per gli incontri è attiva una Segreteria organizzativa: contattare telefonicamente 339.7055339 (il numero è attivo dalle 15.30 alle 18.30 dal lunedì al venerdì) o via mail: [email protected] Tutte le informazioni, le novità, gli aggiornamenti sono disponibili sul sito www.romena.it. Notizie varie Appuntamenti del Gruppo Famiglie È nato quest’anno, a Romena si sono già tenuti i primi appuntamenti mensili. Una domenica al mese dedicata alle famiglie per condividere difficoltà ma anche risorse dell’essere genitori, figli… famiglia! I prossimi appuntamenti sono: Mancato recapito del Giornalino Riceviamo numerose segnalazioni di mancato recapito del Giornalino: se siete a conoscenza di qualcuno a cui non è stato recapitato, vi preghiamo di segnalarcelo a [email protected] oppure telefonicamente al n. 0575.582060: chiederemo una verifica sulla spedizione a Poste Italiane. •domenica 24 agosto •domenica 19 ottobre •domenica 16 novembre •domenica 8 dicembre Per articoli, pubblicazioni delle Edizioni Romena, foto, audio degli incontri e altro ancora seguici su: Per info e contatti è a disposizione la mail [email protected] Iscriviti alla nostra newsletter per essere aggiornato su tutti gli eventi organizzati dalla Fraternità. Domande su Dio e sull’uomo corso dal 29 al 31 agosto 2014 Un corso per parlare in modo semplice e diretto su chi e in che cosa cresciamo. Un tempo di scambio e di interrogativi, oltre gli schemi e le abitudini, per scrutare responsabilmente l’orizzonte delle nostre relazioni e scelte. Conduttore speciale del corso, assieme a Gianni Novello, sarà Raniero La Valle: giornalista e cronista al tempo del Concilio, Raniero è da sempre impegnato sul fronte del rinnovamento della Chiesa e sulle tematiche di pace e a favore dei popoli oppressi. Le domeniche di Romena Un giorno da trascorrere assieme in Fraternità. È questo quello che accade ogni domenica a Romena, una possibilità aperta a tutti, in semplicità. Venite liberamente: alle ore 11 si fanno le lodi del Mattino e si riflette sul vangelo del giorno, alle 15,30 prepariamo sempre un incontro (con un ospite, con un artista) e poi alle 17 la messa. I locali della Fraternità e il punto ristoro offrono spazi per consumare il proprio pic-nic o una merenda. www.romena.it UN CONTRIBUTO: il giornalino è una pubblicazione gratuita e viene inviato a tutte le persone che hanno partecipato ai corsi di Romena o ne abbiano fatto richiesta. Aiutateci a sostenere le spese di realizzazione e spedizione inviando il vostro contributo col bollettino allegato, oppure effettua un’offerta ai seguenti conti correnti intestati a Fraternità di Romena ONLUS, Pratovecchio (Arezzo): postale IBAN: IT 58 O 07601 14100 000038366340 bancario IBAN: IT 25 G 05390 71590 000000003260 PASSAPAROLA: se sai di qualcuno a cui non è arrivato il giornale o ha cambiato indirizzo, se desideri farlo avere a qualche altra persona scrivi a [email protected] o collegati a www.romena.it. SEGRETERIA: per iscriversi ai corsi è necessario telefonare al nostro numero 0575.582060. Le iscrizioni ai corsi si aprono il primo giorno del mese precedente al corso stesso. 31 T ra i cespugli ha trovato una gabbietta per colombi l’ha presa e la tiene perchè resti vuota. foto Piero Checcaglini Wislawa Szymborska