Bollettino 9 A5 CMYK.qxp

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Bollettino 9 A5 CMYK.qxp
IN SCIÖ FÕNDO - Anno IX - Numero 9 - 2007
Remo TERRANOVA (*)
Luigi PERASSO
Maurizio JESU
RILIEVO DI ALCUNE ANTICHE CAVE DI ARDESIA SUL MONTE S. GIACOMO E PROPOSTA DI
LORO VALORIZZAZIONE TURISTICA.
(*) Università degli Studi di Genova
PREMESSA
All'inizio dell'estate 2006 l'Associazione
Speleologica Genovese "San Giorgio" è stata
incaricata dall'Amministrazione comunale di
Cogorno (provincia di Genova), località
nell'entroterra lavagnese nota ai più per la
celebre Basilica dei Fieschi in S. Salvatore, di
effettuare il rilievo di alcune antiche cave
d'ardesia.
Si tratta di tre gallerie di cava in sotterraneo,
localizzate sul versante sud-occidentale del
Monte S. Giacomo, sito storico dell'estrazione
dell'ardesia, la preziosa pietra nera.
Scopo del lavoro è stato quello di mappare le
gallerie, evidenziarne eventuali collegamenti ed
individuare i possibili settori critici, oggetto di
una successiva fase di messa in sicurezza.
Gli imbocchi sono stati posizionati sulla carta
tecnica regionale mediante l'impiego del GPS,
con precisione dell'ordine dei 2.0m (figura 1).
Al rilievo interno di dettaglio si sono aggiunte
anche
osservazioni
geologiche
ed
"archeologiche" documentate con ampio
repertorio fotografico attuale e d'archivio.
GEOLOGIA E CHIMISMO DELLE ARDESIE
L'imbocco delle tre gallerie di cava del Monte S.
Giacomo è raggiungibile da Cogorno,
percorrendo a partire dalla sede comunale la
strada che porta alla maestosa basilica dei
Fieschi (XIII sec.), dalla quale si sale verso
Breccanecca e si continua seguendo
l'indicazione per la vecchia osteria della Ca' da
Gurpe; 140m a valle dello spiazzo antistante la
cappella di S. Giacomo, parte in discesa il
grande sentiero pedonale dell'ardesia, lungo il
quale dopo circa 540m si giunge all'imbocco
sulla sinistra delle tre gallerie di cava.
(fig. 1) Ubicazione delle cave di ardesia a cielo aperto e in sotterranea.
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Il sito estrattivo del Monte S. Giacomo si colloca
nella posizione centrale di un vasto affioramento
di ardesie compreso fra la bassa Val Graveglia
a nord, le colline di Lavagna e Cavi a sud e tra
l'asse della Valle Entella ad ovest e il versante
destro della Valle Gromolo ad est (figura 2).
Le ardesie dei monti S. Giacomo e Capenardo
fanno parte dell'Unità del Monte Gottero
nell'ambito delle Liguridi Interne e soprastanno
stratigraficamente
agli
Argilloscisti
manganesiferi con calcari pseudo-palombini
fossiliferi e lenti di scisti argillosi rossi, datati
all'Albiano-Aptiano (Terranova, 1966) e più
recentemente al Santoniano (Marroni e Perilli,
199).
Al tetto le Ardesie presentano una copertura di
Scisti argillosi con lenti policrome e fini brecce
ofiolitiche, dai quali si passa alle Arenarie di
Monte Gottero.
Le Ardesie sono costituite da una successione
di strati di scisti marnosi dotati di fittissima
scistosità con superfici piano-parallele, di marne
più o meno massicce, di potenze comprese fra
pochi decimetri e 8-10m, alternate a strati di
arenaria quarzoso-feldspatica e micacea e di
scisti argillosi e talora siltosi e micacei, con
potenze da pochi decimetri a parecchi metri.
Le strutture tettoniche sono legate ad un
coricamento dell'insieme ardesiaco verso NE,
con complicazioni plicative e discontinuità per
faglie e fratture al suo interno; risalendo le
colline da Lavagna si può osservare una
giacitura rovesciata della serie, composta da
Argille con calcari palombini, che soprastanno
agli Argilloscisti manganesiferi, i quali
sovrastanno alle Ardesie.
Campioni di ardesia esaminati al microscopio
hanno rivelato una massa di fondo grigia e
talora bruna a luce riflessa, con diffuso detrito
estremamente fine e sparsi granuli di quarzo e
mica, sterile dal punto di vista paleontologico.
Analisi chimiche di campioni prelevati nelle aree
di Cogorno e del Monte Capenardo hanno
fornito le seguenti percentuali composizionali:
27.75% < CaO < 32.52%
25.26% < SiO2 < 29.40%
10.61% < Al2O3 < 12.26%
ESTRAZIONE, LAVORAZIONE E IMPIEGHI
DELL'ARDESIA
Le attività estrattive più antiche dell'ardesia
(fig. 2) Carta geologica della zona di Monte S. Giacomo (da Terranova R., 1976).
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risalgono addirittura all'epoca pre-romana,
come testimoniano alcune sepolture rinvenute
nella necropoli di Chiavari (VIII sec. a.C.); un
intenso sviluppo si ebbe nel periodo
medioevale, come attestano le varie utilizzazioni
effettuate nelle costruzioni civili e religiose; lo
sfruttamento continuò anche nel periodo
rinascimentale e nei secoli successivi fino ai
primi decenni del '900.
I monti S. Giacomo e Capenardo si presentano
ovunque forati da gallerie e cunicoli, aperti
durante tale attività secolare da una civiltà
contadina che integrava le coltivazioni agricole
con l'estrazione dell'ardesia, pregiato materiale
ampiamente utilizzato in loco sia per la
realizzazione di muri a secco a sostegno delle
terrazze che per le costruzioni.
Le lastre venivano trasportate sulla testa dalle
"donne portatrici" a Lavagna, lungo alcuni
sentieri lastricati in ardesia e dotati nei tratti più
impervi di gradini; ai bordi dei sentieri si
osservano ancora oggi, lungo tappe prefissate,
dei muri che ad altezza d'uomo hanno dei ripiani
adibiti alla posa delle lastre d'ardesia per il
riposo delle portatrici.
A Lavagna esistevano diversi laboratori
artigianali di lavorazione, dai quali le lastre
venivano spedite via mare a Genova e ai vari
mercati del Mediterraneo.
Durante i rilievi geologici condotti nell'area a più
riprese da uno degli autori (R. Terranova,
archivio personale), sono stati individuati e
segnati sulle carte circa 185 cave abbandonate,
delle quali risulta storicamente che intorno al
1850 una cinquantina erano attive.
TECNICHE
DI
COLTIVAZIONE
E
MORFOLOGIA
DELLE
CAVE
IN
SOTTERRANEO
Le antiche cave, di cui le tre ispezionate sono un
didattico esempio, erano aperte in bancate
d'ardesia di potenza variabile compresa fra 23m e 10m, che si presentavano sui versanti in
giaciture varie: a reggipoggio (come nel nostro
caso, ove la direzione delle bancate è NW-SE,
l'immersione è verso NE e l'inclinazione è di
circa 30°), a franapoggio, orizzontale, verticale,
obliqua. Veniva scavato un primo cunicolo
stretto e ad altezza d'uomo, che consentiva di
penetrare attraverso lo spessore di alterazione
(fig. 3) Tracce della tecnica di escavazione esclusivamente a mano.
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superficiale della formazione ardesiaca e quindi
procedere alla coltivazione con progressivo
ampliamento di locali anche molto vasti.
Sulle pareti laterali delle varie gallerie si rilevano
ancora oggi le tracce nette della tecnica di
escavazione, realizzata con appositi attrezzi
(picconi, martelli, scalpelli, cunei metallici o in
legno) esclusivamente a mano (figura 3).
L'introduzione di mezzi meccanici nella vicina
Val Fontanabuona risulta infatti ben posteriore
alla fase terminale di coltivazione delle cave
dell'areale del Monte S. Giacomo.
Sui fianchi delle gallerie sono presenti dei muri
a secco, ricavati dall'impilamento paziente e
regolare del materiale di scarto, non
commerciabile e quindi non degno di essere
trasportato faticosamente all'esterno (figura 4);
per alcuni muri è stato misurato uno spessore
addirittura superiore ai 4m.
Nella galleria con maggiore sviluppo spaziale
(CV3) l'avanzamento della coltivazione ha
intercettato delle venute d'acqua nella roccia
che all'epoca furono convogliate in un'apposita
vasca laterale, scavata nella roccia (figura 5).
Dismessa la coltivazione, l'acqua non più
regimata ed estratta a dovere, ha allagato
interamente il tratto terminale, impedendo
(fig. 4) CV3: Muretti a secco (foto M. Gabuti).
(fig. 5) Vasca raccolta acqua (foto M. Gabuti).
ulteriori rilievi, ma originando uno spettacolare
lago sotterraneo profondo fino a 3.5m, che
sommerge con acque cristalline il fondo della
cava e la base di una prima rampa di scalini.
La parte finale di ciascuna galleria di cava
ispezionata si arresta in un'ampia sala di
coltivazione di dimensioni variabili: la cava CV3,
sebbene in parte allagata, presenta dimensioni
maggiori, anche perchè le altre due sale sono
delimitate da spessi muri a secco.
Nella cava CV1 merita una particolare
attenzione l'imponente pilastro in ardesia
lasciato a sostegno della volta: si tratta di un
tronco di piramide a base quadrata, con lato di
oltre 2m ed altezza compresa fra 1.5 e 2m
(figura 6).
Le dimensioni ragguardevoli di questa colonna
d'ardesia sono dovute alla sua importante
funzione di sostegno della volta della sala di
coltivazione, che è uno svuotamento della cui
ampiezza ci si è resi conto solo dopo aver
riportato le misure sul rilievo.
CONSIDERAZIONI SULLO STATO DI
CONSISTENZA DELLE GALLERIE
Durante il rilievo interno sono stati messi in
evidenza alcuni tratti di galleria con due
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Dai rilievi topografici si evidenzia che la galleria
CV2 (figura 7) si trova sovrapposta alla galleria
CV1, fatto confermato anche da un sopralluogo
successivo in cui si è battuto sul tetto e sul
pavimento di entrambe.
(fig. 6) Pilastro di sostegno (foto L. Perasso).
differenti tipi di criticità:
- problemi di stabilità del tetto, nel gergo dei
cavatori chiamato agro, consistenti in un
cedimento degli strati non più sostenuti dal
banco d'ardesia estratto;
- problemi di scivolamento sul pavimento,
chiamato soglia, invaso da detriti provenienti da
cedimenti dei muri a secco interni o dalla
mancanza di manutenzione degli scalini ricavati
direttamente nella roccia.
CENNI SULLE CAVE A CIELO APERTO
Tracce di uno sfruttamento intensivo di
superficie si osservano ancora chiaramente
lungo il crinale fra i monti S. Giacomo e
Capenardo.
Si tratta di un differente tipo di coltivazione, a
cielo aperto, risalente alla seconda metà
dell'800; di pregevole fattura, i muri a secco
realizzati con gli scarti dell'ardesia resistono
ancora in maniera perfetta all'aggressione degli
agenti atmosferici e della rigogliosa
vegetazione, impedendo che le pareti delle
ampie voragini scavate nel terreno franino verso
il fondo.
Alla base di una di queste voragini si apre una
galleria di cava, già oggetto in passato di
attenzioni
speleologiche
da
parte
dell'Associazione Speleologica Genovese San
Giorgio (vedi bollettino "In Scio Fondo" n°3,
2001).
(fig. 7) Planimetria generale delle 3 cave d’ardesia CV1, CV2 e CV3 (disegno L. Perasso).
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PROPOSTA
DI
VALORIZZAZIONE
TURISTICA DELL'AREA
Il Comune di Cogorno sta realizzando un
itinerario turistico/didattico comprendente il sito
delle cave a cielo aperto e le tre gallerie rilevate.
E' in fase di ultimazione la pulizia dei sentieri di
avvicinamento e di accesso alle aree di cava a
cielo aperto, la messa in sicurezza nei punti
critici delle gallerie e l'allestimento di un
percorso ipogeo con sosta finale al lago
presente al fondo della galleria CV3 (figura 8).
L'iniziativa è un'ottima occasione per dare un
originale impulso allo sviluppo turistico del
patrimonio ambientale e storico-culturale
dell'area, puntando a una ricerca e
preservazione di testimonianze storiche,
altrimenti destinate a non trasmettersi nel
tempo.
Vi sono infatti grandi testimonianze storiche e
ambientali da collegare agli itinerari turistici
previsti per le visite alle cave recuperate.
Anzitutto la grandiosa opera di terrazzamento
realizzata dall'uomo nei secoli per costruire le
fasce sostenute da muri a secco in pezzame
d'ardesia, utilizzate per uliveti e ortaggi sul
versante meridionale del Monte S. Giacomo e
per castagneti sul versante settentrionale.
Vi sono poi diversi siti di monumentalità storiche
costruite in ardesia, fra le quali desideriamo
citare: la famosa Basilica di S. Salvatore in stile
romanico-gotico, costruita in grandi blocchi
d'ardesia massiccia dal Papa Innocenzo IV della
famiglia Fieschi nel 1245, la cappella di S.
Giacomo sulla sommità dell'omonimo monte, la
chiesetta di Santa Lucia in Val Graveglia che
conserva un tetto antichissimo in lastre
d'ardesia, la grande strada lastricata in ardesia
che collega la chiesa parrocchiale di Cogorno
alla frazione di S. Bartolomeo, un famoso
mulino di Cogorno, gli storici grandi sentieri
lastricati in ardesia percorsi nei secoli dalle
portatrici che trasferivano le lastre dal monte nei
laboratori artigianali di Lavagna.
(fig. 8) CV3: Lago terminale causato dall’allagamento del fondo della galleria (foto M. Gabuti).
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CV3 Tratto iniziale di galleria (foto M. Gabuti).
CV3 Particolare di colonna (foto M. Gabuti).
CV3 Ingresso dopo la bonifica (foto M. Gabuti).
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