Enzo Comin - presentazione
Transcript
Enzo Comin - presentazione
DUBBI VISIVI La mia ricerca si concentra sulla fotografia. Il mio interesse è recuperare le immagini che sono andate smarrite oppure sono buttate: trame di storie interrotte alle quali io mi propongo di inventare un nuovo svolgimento. La prima azione, quindi, è raccogliere tutte le foto che per casualità mi capita di trovare, e intendo precisamente foto o negativi che ritrovo nelle strade o nelle raccolte carta delle città oppure nei ruderi delle case abbandonate che, per curiosità personale, mi diverto a visitare. Apparentemente, può sembrare una ricerca vana, invece, avendo attenzione per la mia indagine, sono ormai molte le foto che riesco a scovare senza difficoltà in giro per le città varie della mia regione; io stesso, domandandomi come sia stato possibile esser riuscito finora a raccogliere centinaia di immagini, mi rispondo ricordandomi che pure io, in passato, ho buttato molte foto perché allontanare con un gesto una cosa significa volerne realmente allontanare la memoria. Le fotografie e i negativi che recupero, dallo stato di disperse o abbandonate, io le riporto, riqualifico alla loro funzione evocativa e narrativa ma obbligandole alla mia interpretazione: innanzitutto vi pongo dei filtri che ne facciano perdere la nitidezza poiché nei ricordi e anche nella rappresentazione del reale non è affidabile per me l’immagine se totalmente limpida e ben definita, e successivamente le ordino con un senso da me pensato. In questo lavoro, MONFALCHINO, con la mia azione di elaborazione fondo immagini della mia infanzia con scatti fatti nella città di Monfalcone (prov. di Gorizia): dato che attualmente, per motivi di lavoro, passo la maggior parte del tempo nella zona di Monfalcone, seppure abito a Pordenone, ho voluto trapiantare i miei ricordi in questi luoghi, come una sorta di trasloco. Le foto sono stampate su tela per radicarle al mio passato perché la tela è un elemento esclusivo della mia infanzia dato che in quegli anni soltanto mio padre dipingeva. la fotografia pittorica Faccio sempre difficoltà a far rientrare i miei lavori in una categoria ben definita. Sono indubbiamente di fotografia, ma il risultato finale è abbastanza lontano dalla classica stampa che si può incorniciare e appendere su una parete perché racconti con maggior chiarezza una storia. I miei lavori sono di certo delle elaborazioni, ma elaborazioni che non aumentano la nitidezza dei soggetti, ma piuttosto per confonderli. Tutto è sicuramente cominciato quando mi sono accorto che la fotografia che rappresenta una scena, un soggetto ben chiaro e distinto, non era in verità sincera. Non è sincera perché la quotidianità, caratterizzata da un continuo movimento nello spazio e del tempo, non la si può descrivere bloccando ciò che si ha di fronte come un fermo immagine dettagliato e che permetta allora di osservare addirittura particolari altrimenti sfuggevoli. E’ così che per raccontare la realtà ho iniziato a impegnarmi in scatti che presentassero sempre caratteristiche che solitamente il fotografo considera difetti, come il mosso o lo sfocato, oppure esposizioni sbilanciate fino a scatti tagliati in modo da far percepire il movimento e l’immediatezza; ma anche un rapporto di contatto\scontro tra fotografo e fotografato. Di conseguenza, facendo attenzione nel togliere limpidezza ai soggetti fotografati (e quindi la immediata comprensione quando lo scatto sarà guardato) non trovavo un aiuto nell’uso delle macchine digitali ma bensì ancora nella pellicola, sulla quale non solo vi si può decidere come impressionare l’immagine, ma anche adulterare successivamente per aggiungervi altri filtri. Le mie elaborazioni, infatti, sono quasi nella totalità manuali, direttamente sulla pellicola modificando la chimica che la compone. Per questo, la ricerca dei materiali per uno scatto, per me significa innanzitutto ricercare pellicole non per le caratteristiche che hanno nell’impressionare l’immagine, ma le caratteristiche che mi daranno in seguito per, l’immagine, andarla a manomettere. Inizialmente, per concepire tali visioni estetiche, giocosamente non mi sottraevo al mio difetto di vista, l’astigmatismo, cosa che mi faceva a volte per davvero vedere le linee e le ombre che mi circondano, che in effetti si confondono. Mentre nel concreto, il pensiero che muove il mio lavoro è che non è nella certezza che c’è la verità e quindi nulla si può spiegare con sicurezza: spontaneamente la mia ricerca artistica manifesta la mia crescita personale sia da un punto di vista filosofico che spirituale. Non esiste solo ciò che ho di fronte e così mi sforzo di mostrare in una fotografia sola, più scatti e quindi più realtà. I vari scatti sono però fusi insieme e questa fusione suggestiona chi guarda come se siano tutti gli elementi prodotti da uno stesso movimento. I lavori qui presentati, ad esempio, appaiono infatti come se fossero delle costruzioni pittoriche invece che la comunione di vari negativi saldati da una medesima base. Precisamente, è stato proprio realizzando questo lavoro che mi sono accorto che il gesto che io sempre cerco nelle mie foto per rendere il movimento e quindi anche i graffi che faccio sulla pellicola sono una necessità di porsi e influenzare quanto la pennellata per il pittore. Così, rendendomi conto che il mio desiderio è interpretare come fa un pittore più che raccontare, ho scoperto di ricordare quando ero bambino e guardando mio padre dipingere, mi domandavo come avrei potuto fare per imprimere l’immagine nella tela con un solo e veloce gesto invece che la lenta meticolosità della pittura: è stato il momento esatto nel quale ho pensato, per poter dipingere, di inventare qualcosa che più tardi scoprirò essere la fotografia.