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MENSILE N.5 MAGGIO 2015 € 3,50
fondazione ente™
dello spettacolo
100 ANNI DI
WELLES
Da Quarto potere a
F for Fake l’ineffabile
arte dell’inganno
WAYWARD PINES
Shyamalan firma una serie tv.
Con Matt Dillon protagonista,
tra fantasy e Twin Peaks
SPECIALE
CROISETTE
ITALIANA
Interviste, personaggi,
film da non perdere
RACCONTO DA
FAVOLA
DRAGHI E PRINCIPESSE
NEL NUOVO GARRONE,
IN CONCORSO A CANNES
Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003
(conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano
Stacy Martin
in Tale of Tales,
in competizione
al festival
francese
SMART TV
PC
TABLET
SMARTPHONE
S
Porsche consiglia
Porsche consiglia
Dati riferiti a Cayenne Turbo S. Consumi ciclo combinato: 11,5 l/100 km. Emissioni CO2: 267 g/km.
In entrambi i casi serve un pilota.
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
Punti di vista
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REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA
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MARKETING E ADVERTISING
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Franco Conta - [email protected]
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Marisa Meoni - [email protected]
DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE
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maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
5
SOMMARIO
MAGGIO 2015
25
18 Glamorous
12 Brividi di genere
14 I segreti di Wayward Pines
Nei misteriosi meandri del
nuovo format seriale di M. Night
Shyamalan. Con Matt Dillon
18 COVER STORY
Il racconto di Garrone
Intervista al regista di Tale of
Tales. Che punta alla Palma
d’Oro ma non ha dubbi: “La
sala conta di più”
CANNES,
OMAGGIO ALLA
BERGMAN
25 SPECIALE
Cannes 68
14
46
Tris d’autore, viaggio in Italia.
28 I film in cartellone 35 La
settima volta di Nanni Moretti 36
Roberto Minervini, cortocircuito
americano 38 Paolo Sorrentino,
quant’è bella Giovinezza…
40 Coen, messieurs i presidenti
42 Bergman privata
46 Centenario Orson Welles
IN ONDA ANCHE DA NOI
L’arte della menzogna al
servizio della verità: da Quarto
potere a F for Fake
18
50 Anna Kendrick
A tu per tu con l’attrice canterina,
pronta al ritorno in sala con il
musical Pitch Perfect 2
54 Ritratti
Furore, La parola ai giurati, Sfida
infernale: Henry Fonda
MATTEO GARRONE
54
IL RE DEI TRUCCHI
76
57,²OPGHOPHVH
Recensioni, anteprime, colpi di
fulmine
72 Dvd, Blu-ray & Serie Tv
Whiplash e American Sniper. Sul
piccolo schermo arriva l’idea di
50 Cent, Power
HENRY FONDA
IL CRIME
DRAMA DI
50 CENT
78 Borsa del cinema
80 Libri
82 Colonne sonore
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
7
Ultimissime dal pianeta cinema: news e tendenze
glamorous
DFXUDGL Gianluca Arnone
FACCIAMO LORO
LE SCARPE
Sono belle,
desiderate, sensuali
e hanno piedi
enormi: sono le
insospettabili
Bigfoot di
Hollywood!
Kate Winslet
Angelina Jolie
(39 anni)
Altezza: 169 cm
Piede: 43 e mezzo
(39 anni)
Altezza: 169 cm
Piede: 40
Katie Holmes
8
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
(36 anni)
Altezza: 175 cm
Piede: 43
Gwyneth Paltrow
Sandra Bullock
(42 anni)
Altezza: 170 cm
Piede: 43
(50 anni)
Altezza: 168 cm
Piede: 41
Elle Macpherson
(51 anni)
Altezza: 183 cm
Piede: 44
Scarlett Johansson
(30 anni)
Altezza: 160 cm
Piede: 41
Uma Thurman
(45 anni)
Altezza: 181 cm
Piede: 43 e mezzo
Cate Blanchett
(46 anni)
Altezza: 174 cm
Piede: 40
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
9
glamorousNews
Che succede in città? Eventi speciali, digitali,
on stage e live: tutto quello che non puoi e non devi perdere
Il cartellone
Gli impressionisti
Anime in grande
Cartoon nipponici
al cinema: si riparte
da L’attacco dei
giganti
Direttamente dalla
mostra kolossal dal
Musée Du Luxembourg
e Musée d’Orsay di
Parigi, National Gallery
di Londra e Philadelphia
Museum of Art. 26
maggio in sala.
Solo per due giorni, il 12
e 13 maggio, l’anime che
ha sconvolto il Giappone,
L’attacco dei giganti - Il
Film: parte I. L’anime, tratto
dall’acclamato manga di
Hajime Isayama, ci trascina a
Shiganshina. Per oltre cento
anni, infatti, le alte mura che
la circondano hanno difeso la
cittadina da un pericolo che
JOLDELWDQWLVLUL´XWDQRSHUVLQR
di nominare.
Toccherà al giovane e
intrepido Eren scoprire
quale. Dettagli sulla
programmazione ed elenco
delle sale su
www.nexodigital.it.
Rigoletto a Mantova
Prodotto da Andrea
Andermann, regia
di Marco Bellocchio,
Placido Domingo nei
panni di Rigoletto.
Dal melodramma di
Giuseppe Verdi. In sala
il 12 maggio.
Faber in Sardegna
Un viaggio nella
Sardegna raccontata
da Fabrizio De André
attraverso le sue
canzoni e il particolare
rapporto che il maestro
genovese aveva con
l’isola. Dal 27 maggio.
Il regno dei sogni e di follia
%HUVHUNGDPDQJDD´OP
Il celebrato fumetto di Miura in versione big screen
Un viaggio affascinante
e indimenticabile
all’interno di uno
dei laboratori di
animazione più amati
al mondo: lo Studio
Ghibli. Il 25 e 26
maggio.
Dior and I
Documentario
che rivela i segreti
nell’atelier dell’alta
moda Dior, dove ha
debuttato nel 2012 Raf
Simons come direttore
artistico. Al cinema il 3
giugno.
10
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
Prima di diventare una delle serie
animate giapponesi più amate
di sempre, Bersek è nato come
spettacolare fumetto di Kentaro Miura.
La sua visione di un medioevo oscuro
affollato da spadaccini, mercenari,
regni in lotta perpetua, demoni e
oscure presenze ha fatto scuola. Dal
manga arriva al cinema, come evento
speciale: 19 e 20 maggio.
brividi di genere
I FESTIVAL
DFXUDGLMassimo Monteleone
Agenda del
mese: ecco gli
appuntamenti da
non perdere
DEL CINEMA
1 FESTIVAL
AFRICANO, D’ASIA E
AMERICA LATINA
Località 0LODQR,WDOLD
Periodo PDJJLR
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DEL CINEMA
2 FESTIVAL
SPAGNOLO
Località 5RPD0,ODQR,WDOLD
Periodo PDJJLR
Tel. WebFLQHPDVSDJQDRUJ
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– FESTIVAL DE
3 FANT
CINE FANTÁSTICO DE
DEL TORO SCATENATO!
Con il ritorno all’horror, il regista ha ritrovato l’antica vena creativa
di Giuseppe Gariazzo
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La spina del diavolo
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CRONOS
LA SPINA DEL DIAVOLO
(1993)
(2001)
Vampirismo
e immortalità
nell’esordio di
del Toro.
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
DE CANNES
4 FESTIVAL
Località &DQQHV)UDQFLD
Periodo PDJJLR
Tel. ULIHULPHQWRD3DULJL
WebIHVWLYDOFDQQHVFRP
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Resp.3LHUUH/HVFXUH
- SEATTLE
5 SIFF
INTERNATIONAL FILM
FESTIVAL
Località 6HDWWOH:DVKLQJWRQ
86$
Periodo PDJJLRJLXJQR
Tel. WebVLIIQHW
Mail LQIR#VLIIQHW
Resp.0DU\%DFDUHOOD
FILM FESTIVAL
6 FUTURE
FESTIVALINTERNAZIONALE
DI CINEMA, ANIMAZIONE E
NUOVE TECNOLOGIE
Località %RORJQD,WDOLD
Periodo PDJJLR
Tel. WebIXWXUH²OPIHVWLYDORUJ
Mail I²QIR#IXWXUH²OPIHVWLYDO
RUJ
Resp.*)DUD2VFDU&RVXOLFK
DEL CINEMA
7 FESTA
BULGARO
Gli imperdibili
12
BILBAO
Località %LOEDR6SDJQD
Periodo PDJJLR
Tel. WebIDQWELOEDRQHW
Mail IDQW#IDQWELOEDRQHW
Resp.-XVWR(]HQDUUR
maggio 2015
Fantasmi e
segreti in un
RUIDQRWUR²R
spagnolo.
CRIMSON PEAK
(2015)
Del Toro
gotico in una
villa inglese
maledetta.
Località 5RPD,WDOLD
Periodo PDJJLR
Tel. WebIHVWDFLQHPDEXOJDURFRP
Mail LVWEXOURPD#\DKRRLW
Resp.<DQD-DNRYOHYD
FESTIWAL
8 KRAKOWSKI
FILMOWY
Località &UDFRYLD3RORQLD
Periodo PDJJLRJLXJQR
Tel. WebNUDNRZ²OPIHVVWLYDOSO
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Resp..U]\V]WRI*LHUDW
OGNI MALEDETTO NATALE
IN DVD E BLU-RAY DISC DAL 14 MAGGIO
www.01distribution.it
M. Night Shyamalan gioca
la carta del serial tv. E tenta
di costruire una nuova Twin
Peaks: con Matt Dillon,
Melissa Leo, Juliette Lewis
e Terrence Howard
di Gianlorenzo Franzì
WAYWARD
14
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
in
anche in Italia
Dal 1 maggio
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PINES
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
15
fenomeni
L
YNCH GIOCA A TORNARE E AD ANDARE VIA
dalla terza stagione di Twin Peaks dopo 25 anni:
e quasi contemporaneamente un altro (ex?)
grande regista si concede alla serialità per creare nuovi
incubi e misteri per nascondere e trasfigurare i segreti
che ci portiamo dentro. Infatti dal 14 maggio anche in Italia percorreremo insieme a M. Night Shyamalan (che ha
dichiarato: “Il racconto televisivo penetra nelle nostre vite,
influenza il modo in cui parliamo”) la strada verso
Wayward Pines, cittadina dove si reca il detective Ethan
Burke, che ha il volto di Matt Dillon, alla ricerca di due colleghi scomparsi. Ma un incidente d’auto lo farà risvegliare
nell’ospedale di Wayward. D’ora in avanti, non riuscirà a
mettersi in contatto con i suoi superiori né con sua moglie; che, parallelamente, riceverà dal capo dei servizi la
notizia che Ethan è sparito ma che le indagini hanno evidenziato come non fosse a bordo della sua auto, uscita
fuori strada nei pressi di Wayward Pines…
Se è chiaro che le atmosfere e il plot sono direttamente riconducibili all’opera lynchiana, non si veda in questo un
plagio: il serial, che avrà una prima stagione di dieci episodi
e vedrà Shyamalan alla regia del primo e alla sceneggiatura
e produzione dei restanti, approderà nel nostro paese – in
contemporanea con gli States – su Fox ed è tratto dal romanzo Pines, di Blake Crouch, che si ispirava dichiaratamente al regista di Missoula e al suo capolavoro.
Insieme ad un cast stellare (da Dillon a Melissa Leo, da Ju-
liette Lewis fino a Carla Gugino, che vedremo anche in
San Andreas), dentro c’è ovviamente dell’altro: a partire
da Stephen King come seconda musa, perché direttamente dalle pagine di uno dei più grandi narratori moderni sembrano arrivare le nebbie fintamente soporifere della profonda America descritta dal Re del Brivido, quella
suppurata nell’orrore quotidiano nascosto tra le pieghe
della normalità; per finire, ovviamente e non per ultimo,
Matt Dillon,
qui e in apertura
del servizio. Sopra
il regista M. Night
Shyamalan
16
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
RIVOLUZIONI DA
PICCOLO SCHERMO
Ecco i due format che, più di altri,
hanno cambiato per sempre
le “regole” per i telespettatori
PEYTON PLACE
Cinque stagioni per un totale di 514 episodi: è del
1964 la madre di tutte le soap da prima serata che
ha ammaliato David Lynch al punto da inserirla,
sotto le mentite spoglie di “Appuntamento con
l’amore”, all’interno delle tv guardate dai cittadini
di Twin Peaks. Ciascun episodio si apre con la
stessa immagine (un campanile che rintocca) e gli
attori: basata, almeno in principio, sui romanzi della
Metalious, con i suoi intrecci sentimentali e i suoi
intrighi familiari ha dato la stura, in tv, alla narrativa
seriale intesa nel senso moderno.
proprio a Shyamalan, che tanto ha segnato il cinema moderno. Il suo Sesto senso ha praticamente creato un nuovo
(sotto)genere cinematografico (quello dei film da leggere
“a rovescio” ovvero ripartendo dal finale, con rivelazioni
che aiutano a capire l’inizio), e probabilmente la sua creatività ha trovato il suo acme con The Village, vera e propria
summa del terrore americano post 11 settembre, trattatello
di psicologia sulla paura del diverso; poi si è perso, e fermato. Ebbene, forse con Wayward Pines potrebbe ritrovare
nuove ispirazioni. La sua filmografia non è estranea al fascino del paranormale e del mistery, che lui declina in chiave
filosofica collegando il Mistero con la sua cultura d’origine
indiana: come in The Village (ma anche in Twin Peaks…),
uno degli snodi narrativi è il Bosco, luogo misterico per eccellenza legato al “viaggio” e all’ingresso verso nuovi mondi. E così come nel Sesto senso, probabilmente anche in
Wayward Pines i suoi personaggi affronteranno ogni avvenimento come se stessero affrontando il loro destino. Perché se accadono cose terribili sono sempre gli uomini a
provocarle. E perché tutto è collegato a tutto.
I SEGRETI DI TWIN PEAKS
L’agente Dale Cooper arriva a Twin Peaks per
investigare sull’omicidio di Laura Palmer, sollevando
un velo di misteri e addirittura varchi per un regno
Altrove. Lynch (insieme a Mark Frost) innesta tutto
sul mondo onirico e gusto per un umorismo
nerissimo, creando personaggi/totem e svelando,
nel 1990, che la narrativa seriale in tv è (sarà) la
nuova forma espressiva dell’era moderna, come e
più del cinema. Due stagioni: la prima di 8 episodi, la
seconda di 22, Lynch ha diretto 1x1/3, 2x1/2/7/22
Curiosità: l’episodio 2x15 è stato girato da Diane
Keaton.
Se accadono cose terribili
sono sempre gli uomini a
provocarle. Perché tutto è
collegato a tutto
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
17
COVER
COVER
STORY
STORY
MATTEO
GARRONE
NEL NOME DEL
PUBBLICO
“Cannes? Io voglio le sale piene”, dice il regista.
Che gioca in Italia, ma senza le banche italiane,
la sua sfida più grande: un fantasy da 12 milioni di
euro con Salma Hayek e Vincent
Cassel, Il racconto dei racconti
di Federico Pontiggia
18
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
Dalle lampade-manichino di
Reality al poster di Gomorra:
dentro lo studio di Matteo
Garrone (a lato)
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
19
A
Alla ricerca del fantasy perduto. Una casetta piovuta dal
cielo agli studi ex De Paolis sulla Tiburtina. A illuminarla
due manichini in latex. Sul divano la felpa feticcio, quella
rossa con le strisce bianche, un variopinto piumone Ikea
sul letto, due assistenti al telefono e un Mac enorme: una
formica, impavida, staziona sulla tastiera. E’ la terza volta
che intervistiamo Matteo Garrone, e per la terza volta
non troverà qualcosa che voleva farci vedere: ora è il turno dei Capricci di Goya. Eppure, Matteo è cambiato: prima di Gomorra, lo incontrammo nella sua casa a Piazza
Vittorio, le grandi tele del superbo pittore che fu alle pareti, i vestiti per la Montée di Cannes in un angolo, e qualcosa da fare con Tomas Milian al telefono. Matteo era
emozionato, avviluppato dall’attesa. La seconda volta,
dopo il secondo Grand Prix vinto a Cannes con Reality,
gli allori non avevano ancora dissipato la paura fottuta di
essersi perso dopo il successo di Gomorra, dopo le tante
proposte di replicare a soggetto negli Usa, dopo il progetto su Fabrizio Corona abbandonato per “la cronaca
troppo invasiva”.
Quella volta non ricordò una “frase cruciale” de La società dello spettacolo di Guy Debord, ma nella disperata
ricerca saltò fuori uno dei suoi quadernetti zeppi di pensieri, intuizioni, mozzichi per film futuri. In stampatello
con i puntini sulle i la copertina prometteva “Il racconto
dei racconti”. Matteo lo liquidò con un “ci penso da tempo”, e tenne a precisare: “Non sono un intellettuale”. Poi,
la telefonata con la compagna Nunzia, la scelta della carne per cena: tra petto di pollo e fettine da panare, la
spuntò la tagliata. Oggi la carne rossa, e cruda, è nel
piatto della regina Salma Hayek, e Il racconto dei racconti sta per finire sullo schermo. Matteo è “diventato grande”, ha dovuto finire di “andare libero per i campi”, smettere di mettersi in macchina lui stesso, girare in sequenza
e fare un po’ (tanto) quel che gli pareva. Non era più
possibile, non con 12 milioni di euro di budget, star di prima grandezza, dalla Hayek a Vincent Cassel, e qualcosa
di inusitato per il cinemino che siamo diventati: il fantasy.
Matteo, dov’eravamo rimasti?
Reality. E’ andato male. Malissimo. E’ stato frainteso, è
passato come un film sul Grande Fratello in ritardo sui
tempi, mentre del GF non me ne fregava niente, era una
sorta di MacGuffin per portare avanti altre cose, dalla
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Un film così da noi non è mai stato fatto. Ma è italiano
A TUTTI GLI EFFETTI
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perdita di identità allo spettro illusorio del sogno. Viceversa,
faceva più comodo a chi gestiva la comunicazione puntare sul
GF danneggiando me e il film, perché chi ama il GF non va a
vedere miei film e giustamente chi seguiva i miei film non ama
il GF: ci sono andati solo i miei fedelissimi, li ringrazio. In più
ho fatto io un errore terribile, madornale: ho sbagliato uscita.
Archiviamo Reality.
Mi sono avventurato in maniera spericolata su questo nuovo
film. Complesso, con un grandissimo lavoro sugli effetti speciali: la componente di rischio è inevitabile, però mi eccita.
L’ho costruito con Rai Cinema, Le Pacte per la Francia, Jeremy Thomas per l’Inghilterra, Eurimages, il Mibact, tax credit
interno ed esterno: eravamo pronti. Però la Rai ti paga a due,
tre anni e per il film hai bisogno di cash: nessuna banca in Italia voleva darmi il finanziamento.
Perché?
La mia società Archimede ha fatto solo piccoli film e Pranzo
di Ferragosto: non sapevano come avrei restituito una somma
così grossa. E’ pulita, Archimede, non ha mai avuto problemi,
pensavo potesse essere un vantaggio, e invece no: non ho
trovato in Italia nessuna banca disponibile, mi sono dovuto rivolgere alla Francia. Cofiloisirs conosceva il mio lavoro, han
fatto una riunione, non ci ho dormito due notti aspettando il
verdetto, ma alla fine mi hanno concesso il prestito. Mi avrebbe dato un fastidio immenso dovermi appoggiare a un produttore italiano: avevo costruito tutto io, ma lui si sarebbe
preso parte del merito.
Povera Italia, ma il film è italiano, sì?
Una squadra di calcio italiana è italiana, anche se ha giocatori stranieri: qui il direttore della fotografia Peter Suschitzky
è inglese, le musiche sono del francese Alexandre Desplat,
ma la squadra è italiana, il film girato qui da noi. E per gli effetti speciali ho cercato di far tornare tutti i nostri connazionali di talento che lavorano all’estero: un film così da noi non
è mai stato fatto. Dunque, è italiano a tutti gli effetti, con talenti stranieri per rinforzo, ma a differenza delle nostre
squadre di calcio io non ho avuto le banche: non hanno creduto in me, mi vedevano troppo piccolo, il Sassuolo che
vuole pigliare Messi.
Invece avevi preso Giambattista Basile, il suo
barocco e visionario Lo cunto de li cunti.
Volevo esplorare nuovi generi, Basile l’ho sentito subito autore familiare, straordinario e ingiustamente poco conosciuto. I suoi racconti, a
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Qui e pagine
precedenti, le
immagini del
nuovo film di
Matteo Garrone,
Il racconto dei
racconti. A fianco,
il regista nel suo
studio e il poster
di Reality
parte l’originalità dei personaggi, hanno grande ricchezza visiva: per me che ho una formazione pittorica, una folgorazione.
Come hai scelto le storie?
E’ stato delicato, come già per Gomorra: anche in questo caso
non escludo ulteriori sviluppi, una serie tv o un volume 2. La
materia si presta, abbiamo già sceneggiato altri racconti, poi
accantonati: si rischiava un film di tre ore.
Che cosa le lega?
Il femminile: c’è una ragazza che sogna di conoscere il mondo, l’amore ed evadere dal castello, una donna che non riesce
ad avere figli, una vecchia che per ingannare un re erotomane
si finge giovane… Che dire, Basile anticipa il lifting nel ‘600,
preconizza la chirurgia estetica in maniera feroce.
Hai convinto Salma Hayek, Vincent Cassel, John C. Reilly e
Toby Jones.
Io li ho scelti per la loro fisicità, loro hanno accettato per vari
motivi: lo script, un progetto spiazzante, la possibilità di venire a girare in un paese bello come il nostro – Reilly si è innamorato della Sicilia. E, poi, i miei film precedenti hanno avuto
attenzione dai festival: una gratificazione ulteriore.
Non esistono solo Il signore degli Anelli e Lo Hobbit da un
lato e Game of Thrones dall’altro: è questo che ci vuoi dire?
Non è facile abbinare autorialità e fantasy, i grandi progetti si
muovono su storie molto più convenzionali: questa è la sfida,
ma al di là dell’originalità, che sia un film fuori dal comune deve funzionare in sala. Se comunica, trasmette, diverte, commuove, non annoia, intrattiene il pubblico, ne sarei molto contento: il film deve esser spettacolo, puntare su un mercato trasversale come Game of Thrones. In Italia arriva il 14 maggio, in Francia il 1° luglio: non so perché, mi auguro
non sia un’uscita tardiva, sbagliata.
Quali riferimenti hai avuto?
Goya, Caravaggio, soprattutto Goya: i suoi Capricci li ho sempre avuti davanti agli occhi. Già, ma
ora dove sono? (Rovista a più riprese tra bloc-
chi, quaderni, archivi, mi mostra il tabellone con le foto degli
attori che ha costruito per ogni storia)
Come racconti?
Le storie di Basile sono un mix di fantastico e realistico, che rispetto. Ma se nei miei film precedenti trasfiguravo il reale nel
fantastico, qui accade il contrario: già in fase di sceneggiatura,
abbiamo proceduto per sottrazione, cercato la credibilità, la
sensazione che quelle cose stessero accadendo realmente.
Qual è il segreto?
I personaggi, da sempre ho una particolare attenzione per la
loro umanità. In qualche modo, sono un umanista: racconto i
loro mondi, le loro contraddizioni. Oggi la fiaba fa pensare subito ai Grimm, ma nel ‘600 erano racconti magici nati per intrattenere le corti.
Sembri più maturo, Matteo, più consapevole.
E’ la vecchiaia (ride). O, forse, il percorso lungo e travagliato
di questo film. E’ accaduto qualcosa che non mi era mai successo prima: quando ho iniziato a montarlo, ho avuto la sensazione di aver fatto un disastro. Non riuscivo a riconoscere le
immagini, soprattutto per gli effetti speciali: avevo tantissimi
green, le immagini erano piene di luce, senza ombre. Per la
prima volta, poi, non ho fatto la macchina da presa, e mi sembrava di non entrare nel film: rimanevo fuori, spaesato.
Qualcosa è cambiato.
Ho avuto meno margini di improvvisazione, un genere così
complesso tecnicamente non li permette. Sebbene mi sia
sempre lasciato la possibilità di vivere il set, fare entrare il
viaggio nel film, qui è stato più difficile: sono stato abituato
a girare in sequenza, ma attori dai cachet mostruosi come
questi non li tieni fermi tre giorni… Compatti tutto, e mi son
ritrovato a fare tutti gli interni in Toscana e tutti gli esterni
in Sicilia, a girare l’ultima scena il primo giorno. Tutte cose
per me completamente nuove, e per di più una lingua, l’inglese, non mia, con il rischio di non padroneggiare la direzione d’attori.
Che temevi?
Mi mancava qualcosa, non mi riconoscevo, temevo di aver
fatto un film né personale né per il pubblico, ho attraversato
momenti di grande depressione. Poi pian piano il materiale
ha iniziato a farsi riconoscere, sono tornato a girare altre cose, poche rispetto ad altre volte, anche perché i soldi li avevo
investiti tutti. Con una troupe più piccola e maggiore libertà,
ho girato la scena dei due gemelli sott’acqua: quando l’ho finita, avevo un sorriso largo fino alle orecchie. “Questa qui la
sento mia”, perché aveva quella componente di imprevedibilità che mi appartiene, mentre il set era troppo costruito.
Come hai lavorato con il direttore della fotografia Peter Suschitzky, già collaboratore di Croneberg?
La sua fotografia ha verità, ma insieme non è realistica: non
eccede mai nel patinato, eppure senti la costruzione, l’artificio. Mi piace. Dagli effetti speciali alle scenografie, abbiamo
scelto una strada molto sottile: i luoghi veri devono sembrare ricostruiti, come le Gole dell’Alcantara, viceversa, in studio abbiamo fatto di tutto per sembrare veri. Non fosse venuto a mancare, il film l’avrei fatto con Marco (Onorato): ho
avuto molti conflitti con Peter durante le riprese, ma alla fine ci siamo riavvicinati. Sai, io ero abituato a correre libero
per i campi (ride), qui mi sono costretto in strutture claustrofobiche, e ne soffrivo.
Che ti aspetti dal festival di Cannes?
E’ una grande occasione, spero venga accolto bene, io ho la
coscienza a posto. Ma stavolta la cosa più importante non è
Cannes, è la sala: le voglio piene. Strapiene.
Mi sono buttato in maniera spericolata
in questa nuova avventura. La componente di rischio
È INEVITABILE
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Typewriter Edition
Bret Easton Ellis, Los Angeles.
T R I
CO L
OR E
CAN
NE S
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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VIAGGIO IN
Garrone, Moretti, Sorrentino: la prima volta di un tris d’autore.
Che festival sarà? Sicuramente avvincente con
tre big del nostro cinema per la prima volta tutti
in concorso a Cannes, in programma dal 13 al 24
maggio. Era dagli anni novanta che nella competizione principale non figuravano tre italiani (quattro a essere precisi nel ’94: Moretti, Grimaldi, Tornatore e Mario Brenta). Matteo Garrone, Nanni Moretti, Paolo Sorrentino: fantasy, horror, elaborazione del lutto, vecchiaia, giovinezza. Opere lontane tra loro (schede
pag. 29) e difficilmente accostabili. E una sorpresa:
The Other Side (per noi Louisiana) di Roberto Minervini in Un Certain Regard. Durissimo, due capitoli che
si parlano: “Louisiana” dove gli emarginati tentano di
sopravvivere alla disperazione della vita quotidiana,
amandosi e drogandosi con la stessa intensità.
In “Texas”, invece, gruppi paramilitari ben organizzati
si preparano a un futuro colpo di Stato: è l’America,
bellezza. In mezzo alcuni film attesi, noi tifiamo per
Carol di Todd Haynes, tratto dal toccante romanzo di
Patricia Highsmith, ambientato negli anni ’50, che
racconta la meraviglia del primo amore, il batticuore
sfrenato del colpo di fulmine senza fronzoli e pregiudizi. Protagoniste Cate Blanchett e Rooney Mara. E
per un fuoriclasse: Yorgos Lanthimos, già a Venezia
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rivista del cinematografo
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Vincent Cassel nel
Racconto dei racconti;
sopra La giovinezza e sotto
Margherita Buy in
Mia madre
ITALIA
Attesa per Minervini in Un Certain Regard
nel 2011 con Alps, torna sulla Croisette con The Lobster. L’aragosta del titolo si riferisce a un’eventuale
reincarnazione, in un futuro prossimo in cui le persone da statuto non possono essere single. I “ribelli” o i
solitari vengono obbligati a trovare un partner entro
45 giorni. Pena? L’animale preferito. Con Colin Farrell,
Rachel Weisz, e Léa Seydoux, brava e molto cattiva,
scommettiamo che ai presidenti Coen non dispiacerà
affatto. In apertura La tete haute di Emmanuelle Bercot con Catherine Deneuve, scelta insolita del direttore Thierry Frémaux, che negli anni ha sempre prediletto gli americani o le grosse produzioni (Il Codice
da Vinci, Il grande Gatsby, Grace di Monaco) e spara
fuori concorso l’apocalittico Mad Max: Fury Road con
le star Tom Hardy e Charlize Theron, il nuovo e cupo
Woody Allen, Irrational Man, Inside Out di Pete Docter, Ronaldo Del Carmen, targato Pixar-Disney e Il
Piccolo Principe animato. Più che interessante la selezione di Un Certain Regard, oltre al già citato Minervini, puntiamo sull’opera seconda di David Pablos, Las
elegidas, storia shock di prostituzione minorile messicana. Da vedere il simpaticoThe Treasure di Corneliu
Porumboiu e Journey to the Shore di Kiyoshi Kurosawa, dal romanzo di Kazumi Yumoto.
DI MARINA SANNA
Louisiana di Roberto Minervini.
Sotto Sorrentino, Garrone e
Moretti al centro
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fondazione ente dello spettacolo
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I FILM DEL FESTIVAL
MAPPAMONDO USA
schede a cura di Gianluca Arnone
Carol
di Todd Haynes
C
Cate Blanchett e Rooney Mara protagoniste
dell’adattamento del romanzo di Patricia
Highsmith, ambientato nella New York
degli anni ’50 e incentrato sulla commessa
di un grande magazzino che s’infatua di
una elegante signora. Sembra in filmgemello di Lontano dal Paradiso (2002):
anche qui gli individui e le proprie pulsioni
devono fare i conti con le censure sociali
dell’America puritana. Habitué dei festival,
Haynes si presenta per la seconda volta in
concorso a Cannes dopo Velvet
Goldmine (1998). Titolo sotto l’egida della
Weinstein Co., che lo distribuirà negli
States il prossimo autunno.
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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Irrational Man
di Woody Allen
FC
I FILM DEL FESTIVAL
Si dice che il 45° film di Woody
Allen sia tra i suoi più cupi, sulla
falsariga di Match Point.
Joaquin Phoenix è il professore
di filosofia di un college di
provincia che inizia una
relazione con una delle sue
allieve, Emma Stone. In America
uscirà il 24 luglio con Sony
Classics.
Mad Max: Fury Road
di George Miller
FC
Tom Hardy nel ruolo che fu di Mel Gibson in questo
rimaneggiamento della saga post-apocalittica degli anni
’80. Un lavoro che ha richiesto una lunga gestazione e
che porta nuovamente la firma di George Miller, autore
del franchise originario. Nel cast Charlize Theron. Il film
passerà a Cannes il 14 maggio, giorno in cui arriverà
anche nelle sale italiane con Warner Bros.
Sicario
di Denis Villeneuve
C
Il regista candese è già stato tre volte a
Cannes con Cosmos (1996, Quinzaine des
Réalisateurs), August 32nd on Earth (1998, Un
Certain Regard) e Polytechnique (2009,
Quinzaine des Réalisateurs), ma mai in gara. Ci
riesce finalmente con Sicario, crime-story con
Emily Blunt, Benicio Del Toro, Josh Brolin e
Jon Bernthal, sullo sfondo della guerra dei
cartelli messicani della droga. Lionsgate lo farà
uscire in America a settembre.
Inside Out
di P. Docter, R. Del Carmen
FC
Finora solo due film d’animazione
hanno avuto il privilegio di
gareggiare per la Palma
d’Oro, Shrek e Shrek 2, entrambi
della DreamWorks. Alla Pixar nel
2009 fu offerta l’apertura (fuori
concorso) per Up. Ancora fuori
concorso questa storia “fantasy”
sulla vita emozionale di una
ragazza. Negli States uscirà il 19
giugno.
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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MAPPAMONDO USA
I FILM DEL FESTIVAL
The Sea of Trees
di Gus Van Sant
C
Matthew McConaughey e Ken Watanabe
interpretano due uomini che si incontrano per
caso nella “Foresta dei Suicidi” in Giappone,
dove entrambi si sono recati per porre fine alle
loro vite. Nel cast anche Naomi Watts. Il film
garantisce a Gus Van Sant il ritorno a Cannes,
quattro anni dopo L’amore che resta (apertura di
Un Certain Regard nel 2011). Il regista americano
ha già vinto la Palma d’Oro con Elephant (2003)
e il Premio Speciale del 60° con Paranoid
Park (2007). Aveva gareggiato anche nel 2005
con Last Days (2005).
MAPPAMONDO GRAN BRETAGNA
Il Piccolo Principe
di Mark Osborne
FC
Il nome di Osborne non è sconosciuto
a Cannes, avendo co-diretto con John
Stevenson Kung Fu Panda (fuori
concorso nel 2008). Il suo secondo
lavoro, adattamento del romanzo di
Antoine de Saint-Exupéry, è il più
costoso film d’animazione mai
prodotto in Francia (80 milioni di
dollari di budget), doppiato da Rachel
McAdams, Marion Cotillard, Riley
Osborne, James Franco, Mackenzie
Foy, Jeff Bridges e Benicio Del Toro.
Prodotto da Wild Bunch.
Macbeth
di Justin Kurzel
C
L’originale è inglese, la produzione scozzese, il regista
australiano. Justin Kurzel, autore del magnifico Snowtown
(menzione speciale alla Semaine de la Critique nel 2011),
porta in concorso il settimo adattamento shakespeariano del
Macbeth, con protagonisti Michael Fassbender e Marion
Cotillard. Una versione sanguinosa e senza luce “della
drammatica realtà del tempo e una fedele ricostruzione di
quel che la guerra deve essere stata per il mondo di allora, un
mondo dell’11° secolo” (Kurzel). Di proprietà della Weinstein
Company.
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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MAPPAMONDO ITALIA
di Roberto Minervini
UCR
Perché questo film
coraggioso sia finito nella
sezione Un Certain Regard è
mistero. Di certo c’è che
Roberto Minervini, talento
crescente del cinema
italiano (all’estero), ha
girato tra Louisiana e Texas,
raccontando con forza
inusuale le storie di
emarginati e sovversivi. Un
pugno nello stomaco.
Il racconto dei
racconti
di Matteo Garrone
Mia madre
di Nanni Moretti
C
Alla sua terza collaborazione con
Moretti, Margherita Buy impersona una
filmmaker in crisi d’identità in una
commedia amara, interpretata tra gli
altri dallo stesso regista e da John
Turturro. Oltre ad avere vinto la Palma
d’Oro con La stanza del figlio (2001),
Moretti ha gareggiato per la Palma altre
cinque volte: con Ecce
Bombo (1978); Caro diario (1994, Premio
alla regia); Aprile (1998); Il
caimano (2006); Habemus
Papam (2011).
C
Due volte vincitore del Grand Prix di
Cannes con Gomorra (2008)
e Reality (2012), Garrone si cimenta
per la prima volta con un film in
lingua inglese e dalle atmosfere
horror/fantasy, per questo
adattamento pieno di effetti speciali
di una raccolta di novelle del 17°
secolo scritte da Giambattista Basile.
Salma Hayek, Vincent Cassel e John
C. Reilly nel cast.
La giovinezza
di Paolo Sorrentino
C
Secondo film in lingua inglese per Paolo Sorrentino, con
Michael Caine nei panni di un direttore d’orchestra in
pensione che riceve un invito per esibirsi davanti alla
regina Elisabetta II e al principe Filippo. La giovinezza
segna la sesta presenza di Sorrentino in concorso dopo Le
conseguenze dell’amore (2004), L’amico di famiglia
rivista del cinematografo
(2006), il vincitore del premio della giuria
Divo (2008),
aprileIl2015
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fondazione ente dello spettacolo
This Must Be the Place (2011) e La grande bellezza (2013).
I FILM DEL FESTIVAL
Louisiana
MAPPAMONDO FRANCIA
Dheepan
I FILM DEL FESTIVAL
di Jacques Audiard
C
La tête haute
di Emmanuelle Bercot
Pochi registi come Jacques
Audiard sono oggi altrettanto
capaci di scavare nel ventre molle
di Parigi. L’autore de il
profeta (Grand Prix nel 2009)
s’ispira stavolta alle Lettere
Persiane di Montesquieu e
racconta la storia di un
combattente Tamil (Vincent
Rottiers) accolto in Francia come
rifugiato politico. Il film è di
proprietà Wild Bunch.
FC
Seconda regista donna della storia ad aprire il Festival di Cannes (e
non “prima” come precedentemente annunciato dal Festival). Il
film, interpretato tra gli altri da Catherine Deneuve, Benoît Magimel
e Sara Forestier, racconta la storia di un giovane delinquente,
Malony (Rod Paradot), e il suo passaggio dall’infanzia all’età adulta.
La loi du marché
di Stéphane Brizé
Dopo la loro fruttuosa
collaborazione in Mademoiselle
Chambon (2009) e Quelques
heures de printemps (2012), Brizé e
l’attore Vincent Lindon si ritrovano
per la terza volta in questo dramma
su un cinquantenne che inizia a
lavorare nella security di un
supermercato, impiego che lo
costringerà ad affrontare un
complicato dilemma morale. Il film
segna la prima volta di Brizé in
competizione.
Marguerite et
Julien
di Valérie Donzelli
C
Scritto dalla Donzelli e dal sodale Jérémie
Elkaïm, questo racconto di un amore
incestuoso tra una sorella e un fratello
(Marguerite interpretata da Anaïs
Demoustier e Julien da Jérémie Elkaïm) è
basato su una sceneggiatura del 1971
firmata da Jean Gruault, che avrebbe
dovuto essere diretta da François Truffaut.
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
aprile 2015
C
Mon roi
di Maïwenn
C
Regista e attrice, Maïwenn aveva
ottenuto il premio della giuria di
Cannes nel corale Polisse (2011).
Torna in gara con il suo quarto
lungometraggio, protagonista
una donna che cerca di
riprendersi da una storia d’amore
devastante. Gli interpreti sono
Emmanuelle Bercot (regista di La
Tête haute) e Vincent Cassel.
MAPPAMONDO ASIA
The Assassin
Mountains
May Depart
di Jia Zhang-Ke
C
L’epica delle arti marziali nel
primo film del regista taiwanese
dai tempi di Le voyage du
ballon rouge, apertura di Un
Certain Regard nel 2007. Già sei
volte in competizione con The
Puppetmaster (1993, Premio
della giuria), Good Men, Good
Women (1995), Goodbye,
South, Goodbye (1996), Flowers
of Shanghai (1998), Millennium
Mambo (2001) e Three
Times (2005).
Journey to the
Shore
di Kiyoshi Kurosawa
Il primo film di Jia Zhang-Ke girato fuori dalla
Cina è un dramma che si dipana tra diverse
generazioni, secondo tre distinti periodi storici:
il 1990, il presente e il 2025. Quarta
partecipazione del filmmaker cinese alla
competizione di Cannes dopo Unknown
Pleasures (2002), 24 City (2008) e Il tocco del
peccato (2013), che aveva ottenuto il premio
alla sceneggiatura. Il documentario I Wish I
Knew (2010) era stato selezionato invece per
Un Certain Regard.
Our Little Sister
di Hirozaku Kore-eda
C
I FILM DEL FESTIVAL
di Hou Hsiao-hsien
C
Un cast di grandi attrici, composto da Masami
Nagasawa, Haruka Ayase e Suzu Hirose, per un
adattamento della popolare serie a fumetti di
Akimi Yoshida, incentrata su quattro sorelle. Due
anni fa Kore-eda vinse il premio della giuria e
quello ecumenico per Father and Son, ed era già
stato in competizione con Nobody Knows (2004)
e Distance (2001). Nel 2009 partecipò con Air
Doll in Un Certain Regard.
UCR
Adattamento del romanzo di
Kazumi Yumoto, con
protagonista Eri Fukatsu nei
panni di una donna il cui marito
torna tre anni dopo la sua
sparizione. Kiyoshi Kurosawa
manca da Cannes dal 2008,
quando in Un Certain Regard
portò Tokyo Sonata (2008). In
competizione andò con Bright
Future (2003).
2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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MAPPAMONDO GRECIA - UNGHERIA - NORVEGIA
I FILM DEL FESTIVAL
Son of Saul
di László Nemes
C
L’unica opera prima in concorso la firma
László Nemes, figlio del regista ungherese
András Jeles e collaboratore di lunga data
del maestro Béla Tarr. La storia è ambientata
nel 1944 e incentrata su un recluso nel
campo di concentramento di Auschwitz,
costretto a bruciare i cadaveri dei suoi
compagni di prigionia. Proverà a salvare
almeno quello di un ragazzo che aveva
messo sotto la sua ala protettrice.
The Lobster
di Yorgos Lanthimos
C
Lanthimos ha vinto Un Certain
Regard nel 2009 con Dogtooth e si è
presentato in gara a Venezia nel 2011
con Alps. Stavolta punta la Palma
d’Oro con una love story ambientata
in un futuro distopico dove le
persone vengono arrestate e forzate
a trovare un partner entro 45 giorni.
Colin Farrell, Rachel Weisz, Ben
Whishaw, Olivia Colman, Léa
Seydoux e John C. Reilly le star di
questa co-produzione a maggioranza
irlandese.
Louder Than Bombs
di Joachim Trier
C
Trier era stato in precedenza in Un Certain Regard con Oslo,
August 31st (2011), e ci torna con questo dramma sui segreti di
una fotoreporter di guerra, portati alla luce tre anni dopo la sua
morte in un incidente d’auto. Con Isabelle Huppert, Gabriel
Byrne e Jesse Eisenberg.
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
“Da Cannes accetto
qualsiasi cosa”: parola
di Nanni Moretti, in
gara con Mia madre.
Un altro “lutto”
da Palma?
LA
SETTIMA
VOLTA
DI VALERIO SAMMARCO
“Da Cannes accetto qualsiasi cosa”. Nanni Moretti
rispondeva così, con molta classe – durante la
presentazione italiana di Mia madre – a chi gli chiedeva
come l’avrebbe presa se il Festival diretto da Thierry
Frémaux lo avesse ospitato in una sezione che non
fosse quella del concorso. Naturalmente il caro Nanni
(dal 1977 a oggi, non solo come regista, questa sarà la
sua quindicesima volta a Cannes) già sapeva che, per la
settima volta (tra gli italiani solamente De Sica, Germi,
Scola e Ferreri ci sono riusciti otto volte), un suo film
avrebbe concorso per la Palma d’Oro. Riconoscimento
che manca all’Italia proprio dal 2001, quando Moretti la
vinse con La stanza del figlio. “Quello era un film che
nasceva da alcune mie paure, da certi fantasmi…”,
spiega il regista che, questa volta, con Mia madre ha
messo in scena un’altra riflessione sul lutto. Mossa dalla
perdita della mamma, Agata Apicella, avvenuta durante
le fasi di montaggio di Habemus Papam: “Credo che per
tutti sia un passaggio importante della vita. Volevo
raccontare questo momento, ma senza sadismo nei
confronti dello spettatore”, dice ancora Moretti, che nel
film si mette quasi da parte. È il fratello (sorta di
coscienza-ombra) della protagonista, Margherita Buy,
regista alle prese con un nuovo film e con un periodo di
transizione. Alter ego (quasi) dichiarato di Moretti,
l’attrice incarna quel “senso di inadeguatezza” che lo
stesso Michel Piccoli dichiarava sul soglio pontificio: “Il
senso del disagio lo conosco molto bene. Tanti anni fa
pensavo che col passare del tempo si diventasse più
capaci e invece più il tempo passa più avviene il
contrario”, ammette Moretti, che non nasconde infine la
difficoltà di portare sullo schermo una storia così
personale: “Penso che quando si realizza un film si fa un
film e basta. Anche se l’argomento è molto forte, alla
fine credo che il tema non ti investa. Credo tutte queste
cose, ma non sono d’accordo”.
aprile 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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CORTOCIRCUITO
“È un paese
terrorizzato, quasi
pietrificato”, dice
Roberto Minervini.
Che porta il
potentissimo
Louisiana in Un
Certain Regard
DI MARINA SANNA
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rivista del cinematografo
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maggio 2015
Al quarto film Roberto Minervini, italiano di Monte Urano che
vive a Houston, ha confermato il talento che s’intuiva sin dall’esordio
con The Passage. Primo capitolo di
una trilogia texana, chiusasi con Stop
the Pounding Heart, che l’ha fatto
conoscere e apprezzare dal pubblico
più attento. In Louisiana, in concorso
in Un Certain Regard, racconta i
“white poor”, i poveri bianchi, quasi
tutti disoccupati o tossicodipendenti,
e poi si allunga in Texas, dove la
realtà è fatta anche di gruppi eversivi
paramilitari. “L’idea – dice – è nata
dalla mia volontà di addentrarmi nei
meandri dell’America in “cortocircuito”, dove la comunicazione tra opi-
nione pubblica e istituzioni si è interrotta da anni”.
A chi ti riferisci?
A quella fascia di stati centrali che
tagliano l’America in due, dal Nord
Dakota, fino alla Louisiana e al Texas.
Sentivo la necessità di svolgere un
lavoro politicamente rilevante e scorretto, al tempo stesso. Ho voluto dar
voce a quelle “persone contro”, agli
“altri” (di qui il titolo internazionale,
The Other Side), agli arrabbiati, agli
impauriti. La paura è la matrice della
violenza: penso che l’America di oggi
sia un paese terrorizzato, quasi pietrificato.
Il tuo modo di esplorare i chiaroscuri della nostra epoca travalica la na-
AMERICANO
tura del documentario. Qual è la tua
sensibilità?
Non sono un documentarista puro e
non ho mai sognato di esserlo. La
fiction - o meglio il processo produttivo proprio di un film di finzione m’interessa poco. Il mio modo di fare
cinema si basa su un linguaggio
spontaneo e primordiale.
È molto personale, tanto che faccio
fatica a descriverlo usando le parole.
Credo che io e i miei collaboratori più
stretti siamo dotati di una “sensibilità
collettiva”, che ci permette di lavorare in modo istintivo, senza preoccuparci dei canoni del cinema documentario e di finzione, che riguardano più il prodotto finito (il film), piut-
tosto che la materia prima (il girato).
Anche in questo caso hai lavorato a
stretto contatto con le comunità locali, raccontando storie estreme
senza ricorrere alla fiction. Come
hai fatto?
Non ho paura di andare a toccare con
mano situazioni anche pericolose. Mi
rendo conto che lavorare in questo
modo non fa per tutti. Difatti, di artisti che rischierebbero la pelle sono rimasti pochi, e nessuno di loro lavora
nel cinema. Io però mi sono formato
con gente che ha vissuto l’arte come
militanza. Ecco, penso che i soggetti
dei miei film si fidino di me proprio
per il mio coraggio. Perché il coraggio non si finge.
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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FOTO: PIETRO COCCIA
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rivista del cinematografo
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QUANT’È BELLA
GIOVINEZZA
DI VALERIO SAMMARCO
Era il 2004. E per la prima volta che pensa sarà il suo ultimo film imporPaolo Sorrentino gareggiava per tante. Tra saune, bagni turchi, palestre
la Palma d’Oro. Con Le conseguenze e massaggi al centro benessere dell’aldell’amore. Da quel momento ogni film bergo immerso nelle montagne, si ridel regista de L’uomo in più è stato se- flette e si consuma il passare del temlezionato, in concorso, dal Festival di po, tema chiave del film di Sorrentino
Cannes: il riconoscimento più alto otte- che per la seconda volta lavora e gira
nuto finora è stato il premio della giuria in inglese dopo This Must Be the Place.
per Il Divo (2008), la delusione più L’avanzare dell’età e, in parallelo, lo
grande (crediamo) l’assenza nel palma- sguardo su esistenze ancora non prosres due anni fa con La grande bellezza, sime alla fine: Fred e Mick sanno che il
qualche mese più tardi trionfatore ai loro futuro si sta velocemente esaurendo e decidono di affrontarlo insieme,
Golden Globes e agli Oscar.
Con La giovinezza, undici anni dopo la guardando con tenerezza alla vita conprima volta, Paolo Sorrentino torna a fusa dei propri figli, all’entusiasmo dei
Cannes. Come allora, con un film am- giovani collaboratori, agli altri ospiti
bientato in un albergo: lì eravamo mes- dell’albergo.
si a tu per tu con l’ambigua solitudine Dopo La grande bellezza, Paolo Sordi Titta Di Girolamo (Toni Servillo), qui rentino si allontana dal magma maeci ritroviamo (sempre in Svizzera, ma stoso di Roma per circoscrivere in un
sulle Alpi) al cospetto di Fred e Mick, nuovo (lussuoso) non-luogo i luoghi
entrambi vicini agli 80 anni. Il primo dell’anima. Sono bastati i 58 secondi
(Michael Caine) è un compositore e di- del teaser trailer per comprendere corettore d’orchestra in
pensione, il secondo
Una scena de La giovinezza.
(Harvey Keitel) un regiIn apertura Paolo Sorrentino
sta ancora in attività:
Fred potrebbe però tornare sulle scene, invitato
dalla Regina Elisabetta
che lo vorrebbe in concerto a Buckingham Palace, mentre Mick sta finendo di scrivere quello
me La giovinezza sia l’ennesimo, nuovo, identico e al tempo stesso differente film del regista de L’uomo in più e Il
Divo, ormai un amico di famiglia così
prevedibile ma ogni volta sorprendente. Prevedibile per quello che riguarda
la capacità di costruire geometrie su
atmosfere rarefatte e sospese, sorprendente nel sapervi calare storie inaspettate e personaggi iconici.
È così dal 2001, ormai, da quell’Uomo
in più in cui l’inconsueto “doppio” Antonio/Tony Pisapia riuscì a imporsi in
un immaginario che, da lì a poco, sarebbe divenuto sempre più “collettivo”.
Sì, perché ammiratori o detrattori, il “cinema di Sorrentino” riesce nella non facile impresa di far parlare sempre di sé:
sarà stato l’Oscar da poco vinto, sicuramente, ma quale altro film dei nostri
tempi ha saputo raccogliere al suo passaggio televisivo così tanti spettatori e
così tante discussioni – pro e contro –
sui social network? Quello che è mancato, finora,
è stata la netta affermazione (eccetto il premio
della giuria al Divo) al Festival di Cannes: sarà la
volta buona? “Quant’è
bella Giovinezza, che si
fugge tuttavia! Chi vuol
esser lieto, sia: di doman
non c’è certezza”… [cit.].
Ancora la Svizzera, ancora un albergo: le conseguenze di
Paolo Sorrentino, con Michael Caine e Harvey Keitel. Lontano
da Roma, vicino ai non-luoghi dell’anima
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Al Festival di Cannes i fratelli Coen
devono tutto. O, per lo meno, una
Palma d’Oro (Barton Fink – È successo a
Hollywood, 1991), tre premi per la
miglior sceneggiatura (Fargo, 1996 e
L’uomo che non c’era, 2001, oltre al già
citato B arton Fink), il Grand Prix
Speciale della Giuria (A proposito di
Davis, 2013) e l’esordio in grande stile di
Arizona Junior (1987), Mister Hula Hoop
(1994), Fratello, dove sei? (2000),
Ladykillers (2004) e Non è un paese per
vecchi (2007, che iniziò proprio lì la sua
corsa trionfale verso gli Oscar), senza
contare i film collettivi Paris, je t’aime
(2006) e Chacun son cinéma (2007). Va
sottolineato che, nell’ambito dei festival
europei, loro sono stati sempre fedeli
alla Croisette, tradendola solo due volte
per Berlino (Il grande Lebowski, 1998) e
Venezia (Burn After Reading – A prova
di spia, 2008). Ecco perché era ormai
questione di tempo prima che il
Comitato Direttivo di Cannes facesse
uno strappo alla regola e affidasse il
ruolo di Presidente di Giuria non a una
sola persona, ma a due, così uguali e
MESSIEURS
I PRESIDENTI
Chi vincerà? Quest’anno chiedetelo al “regista a due teste”:
Joel ed Ethan Coen, a giudizio
sulla Croisette
DI ANGELA BOSETTO
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party che animano la kermesse…
“Cannes” continuano i Coen “è un festival che, fin dall’inizio della nostra carriera, ha sempre giocato un ruolo importante per noi. Ed essere Presidenti della
Giuria quest’anno è ben più di un onore,
dal momento che” aggiungono con una
punta della loro caustica ironia “non
siamo mai stati presidenti di alcunché”.
Chissà se saranno democratici o autoritari, se sfileranno sul tappeto rosso da
soli o al braccio delle mogli (l’attrice
Frances McDormand e la montatrice
Tricia Cooke, che esordirono rispettivamente in Blood Simple – Sangue facile,
1984, e Crocevia della morte, 1990),
come fecero in occasione della première di Fargo, se saranno nerovestiti in
memoria dei vecchi tempi o faranno
qualche concessione al colore, se rimarranno se stessi o si scambieranno a sorpresa i ruoli di “quello imperturbabile” e
“quello che ride” (immaginarsi Ethan
serio è facile, Joel che sghignazza proprio no). Di sicuro vogliono godersi il
Festival, purché durante le proiezioni
nessuno si azzardi a piangere singhiozzando: non c’è cosa che odino di più. distinte da essere soprannominate “il
regista a due teste”: Joel ed Ethan
Coen.
D’altra parte, è stato proprio in occasione del debutto di Ladykillers che i fratelli hanno abbandonato la formula
semplificatrice che li vedeva uniti
esclusivamente come sceneggiatori,
identificando in Ethan il produttore e in
Joel il regista, quando non solo scrivono, ma dirigono, producono ed editano
tutto insieme. Il fatto che al montaggio
continuino ad accreditarsi come
Roderick Jaynes resta un vezzo autoriale: lo sanno pure i sassi che dietro a
quello pseudonimo ci sono loro.
Naturalmente i fratelli si sono detti
onorati del prestigioso incarico, affermando: “Siamo orgogliosi che ci venga
offerta soprattutto l’opportunità di
vedere dei film provenienti da tutto il
mondo”. Riservati e schivi come sono,
era alquanto improbabile che avessero
accettato solo per poter folleggiare ai
Javier Bardem in Non è un paese per vecchi, in concorso
a Cannes 60. Sopra i fratelli Coen
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Nel 1993 divise il poster di Cannes
con Cary Grant, ora troneggia in
solitaria: vita, opere ed eredità del
mito Ingrid
DI ANGELA BOSETTO
BERGMAN
PRIVATA
Qui in Angoscia di George
Cukor. A fianco, in tutto il suo
splendore: Ingrid Bergman.
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È la seconda volta che il suo volto
campeggia sul manifesto ufficiale
del Festival di Cannes. Tuttavia, se nel
1993 divideva lo spazio con Cary Grant,
troppo occupata a scambiare con lui
uno dei languidi baci di Notorious per
curarsi di chi la stesse osservando, oggi
Ingrid Bergman sorride unica e radiosa
a una rassegna che le renderà omaggio,
nel centenario della nascita, sia come
diva, sia come donna grazie al documentario di Stig Björkman Ingrid Bergman, in Her Own Words (in programma
nella sezione Cannes Classics).
Non è un caso che a catturarla in quell’istante sia stato il grande David “Chim”
Seymour, l’unico fotografo che ebbe il
permesso di ritrarla diverse volte a Roma nei panni non di attrice, ma di madre di Robertino, Isotta e Isabella, i figli
avuti dal matrimonio con Roberto Rossellini. Già per questo si potrebbe dire
che Seymour fosse assai legato al privato della Bergman. Eppure le coincidenze non si fermano qui. Chim è stato anche grande amico di un altro uomo che
Ingrid amò, forse per meno tempo dei
tre mariti ufficiali, certo non con minore
intensità: il leggendario Robert Capa, il
reporter di guerra vagabondo, il quale,
pur di starle vicino, si accreditò come
semplice fotografo da set in Notorious
e la seguì a Hollywood, salvo dirle addio
pochi mesi dopo, incapace di mettere
radici. E sempre Chim, nel 1956, riprese
a Cannes il crepuscolo mondano della
relazione fra la Bergman e Rossellini,
immortalandoli in uno dei loro ultimi
momenti di pubblica serenità coniugale,
mentre lui le sistema la cerniera dell’abito in camera prima di scendere e presenziare al Festival.
Dopo la separazione, la Bergman, che
era già stata a Cannes in un paio di occasioni (nel 1946 per la doppietta Angoscia-Notorious e nel 1953 per presentare la versione doppiata in inglese di
Europa ’51), partecipò al Concorso altre
due volte (con Le piace Brahms?, 1961 e
La vendetta della signora, 1964) e nel
1973 venne scelta come Presidente di
Giuria. Arrivò al Festival accompagnata
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dal figlio Robertino e si oppose all’idea di assegnare la Palma d’Oro a La
grande abbuffata, ritenendolo “osceno
e di pessimo gusto”. I critici si interrogarono su come potesse essere rimasta
schifata dalla pellicola una donna così
mentalmente aperta che al primo marito Petter Lindström aveva detto, poco
dopo le nozze: “Sai una cosa, caro? Mi
piacerebbe fare all’amore con almeno
un uomo per ogni razza.” Invece tale
reazione aveva una logica ferrea: Ingrid
credeva nella sublime bellezza del cinema, si identificava con gli spettatori della propria epoca e le trasgressioni adat-
Credeva nella sublime bellezza, nella
trasgressione rarefatta di Eustache,
e non di Ferreri
te a lei non erano quelle eccessive e fisiologiche di Marco Ferreri, bensì quelle
intellettuali e rarefatte di Jean Eustache,
al quale fece avere il Grand Prix Speciale della Giuria per La maman et la putain.
La figlia Isabella Rossellini, invece, davanti alle sfide, anche trasgressive, non
si è mai tirata indietro (con sommo orrore di Gian Luigi Rondi, che impedì a
Velluto blu di partecipare alla Mostra
di Venezia nel 1986, considerandolo
“un’offesa alla memoria dei genitori,
specie a quella di Ingrid”) e quest’an-
Comunque (Isa)bella
L‘attrice e regista Isabella Rossellini è la
Presidente di Giuria di Un Certain
Regard. Figlia dell’ italiano Roberto Rossellini
e della svedese Ingrid Bergman, ha esordito
con Il prato dei fratelli Taviani (1979), e poi la
sua carriera è decollata con Il sole a
mezzanotte di Taylor Hackford (1985), I duri
non ballano di Norman Mailer (1987), Oci
ciornie (1987) di Nikita Mikhalkov, Velluto
blu (1986) e Cuore selvaggio (1990) di David
Lynch. Dopo ruoli in film e tv sia in America
che in Italia, è tornata al cinema d’autore
con Fratelli di Abel Ferrara (1996) e Two
Lovers di James Gray (2008), mentre nel 2010
è apparsa ne La solitudine dei numeri
primi di Saverio Costanzo.
Nel 2008, accogliendo la richiesta di Robert
Redford, ha diretto una miniserie sulla
riproduzione, le tecniche di seduzione e il
comportamento materno degli animali: Green
Porno, Seduce me e Mammas – tutti prodotti
da SundanceTV – hanno rivelato i suoi
irresistibili talenti comico e umorismo. F.P.
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no sarà lei a presiedere la giuria della
sezione Un Certain Regard. Non sappiamo se Isabella premierà un film che
sarebbe piaciuto anche alla madre, ma
ciò che ha intenzione di fare per celebrarne il centenario sì. Oltre a presen-
tare il documentario di Björkman, la
Rossellini coglierà l’opportunità offertale dalla Croisette per lanciare l’Ingrid
Bergman Tribute, uno spettacolo diretto da Guido Torlonia e Ludovica Damiani, destinato ad alcuni dei principali
teatri del mondo, basato sia sull’autobiografia della diva (Ingrid Bergman.
La mia storia, 1981), sia sulla corrispondenza con Roberto Rossellini. È giusto
così: al di là del crepitio delle pellicole
e dei flash, Cannes per la Bergman è
sempre stato una questione (anche)
privata.
DAL 7 MAGGIO AL CINEMA
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trucchi da maestro
Cento anni fa nasceva Orson
Welles, il “ciarlatano” del
cinema. Da Quarto potere
a F for Fake la sua arte
della menzogna al servizio
della verità
di Gianluca Arnone
LA BELLEZZA
DELL’INGANNO
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I
L MENTITORE CHE DICE DI
mentire, mente o dice la
verità? Chi conosce il
paradosso di Epimenide sa
bene che l’enunciato è senza
soluzione, sebbene
costituisca un
appassionante rompicapo per la
logica, sul quale si sono esercitate
generazioni di filosofi. Il caso di
Orson Welles non è poi tanto diverso.
Chi cercasse nelle opere, negli scritti
e nelle dichiarazioni che questo
signore si è lasciato dietro il
grimaldello per l’enigma, troverebbe
solo una chiave che apre una porta
dietro la quale di nasconde un’altra
porta. Una chiave come quella
mostrata in dettaglio in F for Fake, di
cui Welles medesimo dice: “Questa
chiave non vuole essere simbolo di
niente”. Eppure continuiamo a
cercarla. A cent’anni dalla nascita (6
maggio 1915 a Kenosha) di uno dei
più grandi registi americani di
sempre, ci sono scatole che devono
ancora essere aperte. Come quelle
del mago che non abbia ancora finito
il suo spettacolo. L’incanto di Welles,
la malia che ci tiene avvinghiati al suo
cinema come al canto della sirena,
non è sortilegio, ma rinnovato
stupore per la performance di cui è
capace, l’inganno ben riuscito. Non è
un mago, come pure è stato più volte
soprannominato, ma un attore che
interpreta la parte del mago. Di
quanti trucchi è lastricata la sua
strada, personale e professionale!
L’ultimo in ordine di tempo è il
ritrovamento di un film che si
riteneva perduto, Too Much Johnson,
rinvenuto in un magazzino di
Pordenone nell’estate del 2008.
Welles aveva sempre sostenuto che
quel lavoro, il primo per il cinema,
datato 1938, era andato distrutto
nell’incendio che aveva colpito la sua
Villa di Madrid insieme al Don
Quixote. Ora, alla luce di questo
sorprendente rinvenimento, c’è chi
Una vita e
un’opera lastricata
di magie. L’ultima?
Il rinvenimento a
Pordenone di Too
Much Johnson, il
suo primo film
Rita Hayworth,
bionda come non mai
per La signora di
Shanghai (1947)
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trucchi da maestro
Orson Welles in
Quarto potere. Sotto
Joseph Cotten in Too
Much Johnson
dubita che quest’incendio sia mai
realmente avvenuto. D’altra parte,
nel documentario Orson Welles: The
One-Man Band (1995), Oja Kodar,
ultima compagna del regista,
afferma come l’uomo amasse
inventare storie: “Un incendio si dice
che abbia distrutto la sua casa in
Spagna (…). Ma la sua casa è ancora
in piedi, intatta, a Madrid. I fatti non
possono essere separati dalla
finzione”. Se non fosse mitico, Welles
sarebbe un mitomane. La verità, nel
suo caso, ha sempre una doppia
faccia, è la verità del prestigiatore.
A soli 25 anni gli era stato attribuito
il più bel film della storia del cinema,
Quarto potere. Circostanza ancora
più sbalorditiva: si credeva il vero
esordio di Welles, lesto dal canto suo
Perlustrare il suo lavoro significa perdersi
in un borgesiano giardino dei sentieri che
si biforcano
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a dichiarare il proprio digiuno alla
tavola del cinema. Una leggenda che
Too Much Johnson avrebbe
facilmente smascherato. Chi ha
avuto modo di assistere alla prima di
Pordenone dell’8 ottobre 2013 (e chi
avrà forse la fortuna di rivederlo
proiettato alla prossima Mostra di
Venezia) ne ha potuto ammirare le
inquadrature insolite, la profondità di
campo, il montaggio avant-garde,
una padronanza dei mezzi e una
consapevolezza estetica che
sarebbero definitivamente maturate
(con l’aiuto del direttore della
fotografia Gregg Toland) tre anni più
tardi in Quarto potere. Too Much
Johnson è l’unica slapstick comedy
wellesiana, genere che non pareva
rientrare nel suo ventaglio
espressivo, ed è anche il solo film
muto, seppure girato nel ’38, ovvero
in piena età dell’oro del sonoro
(Welles non amava le mode
hollywoodiane già allora). È anche
l’anello mancante, perché si
ricongiunge idealmente all’ultimo, F
for Fake – dove esordiva definendosi
“un ciarlatano” – e disegna una
parabola perfetta, il compiuto
destino di uno splendido bugiardo. In
mezzo ci sarebbero state le invasioni
marziane via radio, il rebus Foster
Kane, le ombre dal passato di
Arkadin, i tradimenti della Signora di
Shanghai, gli inganni di Quinlan, i
falsari del mondo dell’arte, gli artisti,
i più bugiardi di tutti. Opacità voluta,
raddoppiata sul piano visivo dove il
grandangolo distorce, la plongée
schiaccia, il primo piano deforma, il
make-up maschera, il piano
sequenza sovrappone prospettive
diverse all’interno dello stesso
quadro. Abitare il suo cinema
significa inoltrarsi nella stanza degli
I CAPOLAVORI
specchi de La signora di Shanghai,
in un borgesiano giardino dei
sentieri che si biforcano.
L’apoteosi è naturalmente F for
Fake, mockumentary ante litteram,
vertiginoso gioco di traslitterazioni
espressive e semantiche, mosaico
eterogeneo di tessere polivalenti,
dove tutto magicamente si incastra
pur non combaciando: parti originali
e non originali, persone vere e
personaggi inventati, autenticazioni
e contraffazioni, scampoli di verità e
altri inganni. Welles spinge l’arte
della menzogna là dove non c’è
ritorno, liquidando una volta per
tutte l’annosa questione del
referente e dell’originale in luogo di
possibile per l’arte: la bellezza. Ecco
perché la mancanza di autenticità di
un’opera (il tema del falso e del
plagio sotteso non solo a F for Fake)
non ne inficia il godimento. Come
avrebbe scritto Deleuze, Welles
sceglie “l’affetto come valutazione
immanente al posto del giudizio
come valore trascendente”. Quella
verità che non può essere raggiunta,
trovata né riprodotta, dall’arte deve
essere creata. In una scena di F for
Fake, girata all’esterno della
cattedrale di Chartres, tra gli alberi
spogli e le statue, il regista si
avventura in un bellissimo monologo
sull’illusione che non svanisce, che
sopravvive all’illusionista. Forse il suo
La signora di Shanghai,
Falstaff e gli altri: 5
imperdibili di Orson Welles
QUARTO POTERE
Opera capitale della
storia del cinema,
concentrato di
riflessioni alte,
soluzioni narrative
ardite e innovazioni
stilistiche senza
precedenti.
Imprescindibile.
LA SIGNORA DI SHANGHAI
Uno dei noir più
acidi di (e su)
Hollywood: l’icona
Rita Hayworth
distrutta e
trasformata in algida
dark lady. L’ultima
volta di Welles con
una major.
Mischa Auer e
Robert Arden in
Rapporto
confidenziale
(1955)
L’INFERNALE QUINLAN
Welles al di là del
bene e del male: se
il suo Quinlan è
pura ambiguità
incarnata, tutto il
film è un
affascinante
labirinto estetico.
Attori titanici.
FALSTAFF
un’autonomia creativa totale, sigillo
non della menzogna dell’arte, ma
della sua più intima verità. È qui lo
scarto, qui la differenza rispetto ai
tanti illusionisti che popolano oggi il
mondo del cinema. Il trucco c’è, ma
l’inganno è rivendicato. L’iperbolica
sofisticazione dell’arte, in Welles,
attiva un circuito paradossale, che
dalla forma muove all’affetto,
dall’affetto alla rivelazione. Un
disvelamento non ontologico
(impossibile) né morale (opinabile),
ma estetico. Che mira all’unica verità
vero testamento artistico: “Questo
magnifico capolavoro d’arte è lì da
secoli. È forse la maggiore opera
dell’uomo in tutto il mondo
occidentale, eppure non è firmata.
Chartres. Un inno alla gloria di Dio e
alla dignità dell’uomo (…). Forse,
quando tutte le nostre città saranno
polvere, sceglieremo questa
anonima gloria di tutte le cose:
questa sfarzosa foresta di pietra,
questo epico canto, questa eleganza,
questo maestoso, corale canto di
affermazione”.
Terzo adattamento
da Shakespeare,
compiuta riflessione
sulla perversione del
potere e la nascita
del moderno. Gran
premio del XX
anniversario di
Cannes.
F FOR FAKE
Il testamento
spirituale e artistico
di Orson Welles.
Un puzzle
incontinente e
ammaliante sul
rapporto tra arte e
vita, vero e falso.
Già postmoderno.
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rivista del cinematografo
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intervista
Duetta con la Arterton per la Satrapi, mentre in
sala arriva Pitch Perfect 2. Ma il musical perfetto
di Alessandro De Simone
per lei è pop in salsa hawaiana
Anna Kendrick
Cenerentola Ukulele
TRENT’ANNI, una nomination agli Oscar come
migliore attrice non protagonista per Tra le nuvole, ora il ruolo dell’anno, Cenerentola, ma nel
musical di Rob Marshall Into the Woods. La musica è parte integrante della carriera di Anna
Kendrick, giovane veterana sul palco dai dodici
anni e che vedremo ancora canterina al cinema
dal 28 maggio per il secondo episodio di Pitch
Perfect. Ma non è tutto: negli ultimi mesi ha
duettato con Gemma Arterton nella dark comedy di Marjane Satrapi The Voices e sfoggia la
sua estensione canora in The Last Five Years,
versione per il grande schermo di un musical
Off-Broadway di successo. L’abbiamo incontrata
a Londra ed è stata una bella sorpresa, una ragazza di provincia, figlia della working class, che
insegue un sogno e lo corona.
Miss Kendrick, la sua carriera è una favola con
un lieto fine.
Quando mi sono trasferita a Los Angeles avevo
diciassette anni, ero
sola e senza soldi,
mentre tutti i miei amici erano al college con
la vita pianificata. Ero
spaventata e gelosa
della loro scelta, continuavo a chiedermi perché non avessi un piano B. Dopo un anno le
Principessa per
Into the Woods,
cose sono migliorate, e
canterina in
poi sempre più. Alla fiPitch Perfect 2
ne ho visto quelle per-
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
sone affrontare la vita senza una direzione, e ho
capito che avere un obiettivo è fondamentale.
Se fallisci stai malissimo, ma se ce la fai ringrazi
il cielo di avere avuto la forza.
Immagino sia merito dell’educazione che ha
avuto. La aiuta anche ad accettare meglio le
critiche?
Sono cresciuta in una famiglia pratica. Mia madre fa la contabile, ha un’organizzazione mentale che le permette di far andare tutto alla perfezione in casa mentre, in un angolo del cervello,
ricontrolla i conti fatti durante il giorno. Sono
così anche io, se leggo qualche critica sul mio
conto o un commento velenoso in rete, ne prendo atto, ma se il lavandino sta perdendo è quello che mi interessa.
Lei ha iniziato a recitare molto giovane. Sente
ancora la tensione quando arriva sul set?
Quando hai dodici anni non ci fai caso, ti senti
invincibile, l’unica cosa che può turbarti è dimenticare le battute. A
diciassette anni ho iniziato a sentire l’emotività, puoi avere mal di
stomaco, vomitare, ma
poi ti sciacqui la faccia
e sali sul palco. Alla
lunga ci fai l’abitudine.
Cenerentola: era il ruolo dei suoi sogni?
Potrei dirti che ancora
non è stato scritto, ma
pensando agli ultimi
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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intervista
Qui e sotto Anna
Kendrick in Pitch
Perfect 2
cinque anni e Into the Woods, allora sì, è il ruolo dei miei sogni. E in questo momento pensare
a un’altra opportunità simile mi farebbe sentire
ingorda.
Molte sue colleghe sono produttrici o anche
registe. Ci ha mai pensato?
Nutro un profondo rispetto per chi riesce a far
diventare realtà un’idea. Ho lavorato abbastanza
per sapere che dirigere un film ti porta via dieci
anni di vita, è una missione. Non credo di esserne capace.
Però non si ferma mai, ci sono molti suoi film
in uscita nei prossimi mesi.
Preferisco lavorare che riposarmi. Probabilmente c’è una strategia diversa, c’è chi è più selettivo, io finisco un film e inizio il successivo perché
ci sono tante cose da provare e sono convinta
che il rischio più grande sia non rischiare. L’idea
di non fare qualcosa che mi piace per la paura
“Ho lavorato abbastanza per
sapere che dirigere ti porta
via dieci anni di vita”
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fondazione ente dello spettacolo
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che sia un fiasco non fa parte di me.
Ha a che fare con la mamma ragioniera?
Assolutamente, i miei genitori hanno sempre lavorato sodo e l’idea di non avere uno stipendio
è inconcepibile per me. Penso sempre che il
compenso dell’ultimo film fatto siano gli ultimi
soldi che vedrò in vita mia. Non compro niente a
rate e spengo la luce quando esco da una stanza. Sono cresciuta così.
Se esistesse un musical dal titolo Anna Kendrick, come sarebbe la colonna sonora?
Classici del pop. Ma eseguiti con l’ukulele.
SMART TV
PC
TABLET
SMARTPHONE
ANDROID
IOS
WIN8
RITRATTI
di Orio Caldiron
Il fantasma
di Henry Fonda
sarà sempre
alle spalle
dell’America,
per ricordarle le
promesse non
mantenute
Il Furore del giusto
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N
In apertura
Henry Fonda nel
ritratto di Marco
Letizia. Sopra in
Furore di John
Ford
Nessun altro tra i divi di Hollywood ha la
camminata flessuosa e sensuale di Henry
Fonda, né John Wayne abituato a buttarsi
tutto in avanti, né Cary Grant con la sua
eleganza felina, né Gary Cooper che si
muove sempre a qualche centimetro da
terra. Primo dei cinque figli di Herberta
Jaynes e di William Brace Fonda, nasce a
Grand Island nel Nebraska il 16 maggio 1905,
ma si trasferisce presto a Omaha dove il
padre ha una tipografia. Nel 1925 Dorothy
Brando, la madre del piccolo Marlon,
l’accoglie nell’Omaha Community Playhouse.
Quattro anni con gli University Players e poi
finalmente nel ’34 l’approdo a Broadway. Nel
cinema l’incontro decisivo è quello con John
Ford che lo dirige in tre film di seguito
facendolo entrare subito nel mito. Il giovane
Lincoln di Alba di gloria (1939) scende dal
piedistallo per diventare l’eroe quotidiano
che partecipa ai festeggiamenti
dell’Independence Day: una delle
interpretazioni più incisive e poetiche
dell’intera carriera. Il colono di La più grande
avventura (1939) risale alle origini del Sogno
Americano ai tempi della guerra
d’indipendenza rievocata come la nascita
della nazione. Il protagonista di Furore
(1940), dal romanzo di John Steinbeck, esce
di prigione per scoprire che la sua famiglia
ha lasciato la fattoria, come gli altri
agricoltori dell’Oklahoma ridotti in miseria
dalle tempeste di sabbia e dalla rapacità
delle banche. L’odissea degli Oakies che
vanno verso la California dà vita a uno dei
più struggenti road movie del cinema, in cui
il dramma dello sradicamento s’intreccia al
miraggio della Terra Promessa. Tom Joad –
sospeso tra pessimismo della Grande
Depressione e ottimismo del New Deal – è la
sua più memorabile creazione. Il suo
fantasma – come suggerisce The Ghost of
Tom Joad, la canzone di Bruce Springsteen
del 1995 – sarà sempre alle spalle
dell’America per ricordarle le sue promesse
non mantenute.
Nel dopoguerra si ritrova con Ford per Sfida
infernale (1946), dove è Wyatt Earp, il
leggendario westerman che incarna con
distacco, voce sommessa, tenera ironia. Un
eroe antieroe, segnato dalla leggerezza di
chi si dondola sulla sedia sotto il patio e
partecipa con Clementine al ballo per la
futura chiesa di Tombstone, gioioso rito di
fondazione della comunità civile. Dopo una
fortunata parentesi teatrale, che lo tiene a
lungo lontano dal set, La parola ai giurati
(1957) di Sidney Lumet, conferma lo spirito
liberal dell’icona di un’altra America aperta
alle ragioni della diversità. Nei decenni
seguenti quando la sua figura si va facendo
più esile, il suo volto più scarno, non si
contano i ruoli di generale, ammiraglio,
candidato alla presidenza, segretario di
stato, e finalmente presidente Usa. Sposatosi
cinque volte, sono ormai attori affermati
anche i figli Jane e Peter e la nipote Bridget.
Sarà Jane a ritirare l’Oscar per il miglior
attore assegnato a Sul lago dorato (1981), il
suo congedo dallo schermo, pochi mesi
prima della morte avvenuta il 12 agosto 1982
nella sua casa di Bel Air.
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
55
SMART TV
PC
TABLET
SMARTPHONE
ANDROID
IOS
WIN8
I TOP 5
58
al Cinema
OTTIMO BUONO SUFFICIENTE MEDIOCRE SCARSO
Leviathan
60
64
Avengers: Age of Ultron
62
Let’s Go
68
Il libro della vita
Mia madre
63
66
The Gunman
Forza maggiore
66
Le streghe son tornate
67
68 Lo straordinario viaggio
58 Leviathan
di T.S. Spivet
60 Mia madre
68 Il libro della vita
62 Let’s Go
69 Preview
62 Child 44
63 Forza maggiore
99 Homes
64 Adaline – L’eterna giovinezza
Io, Arlecchino
64 Avengers: Age of Ultron
Jurassic World 3D
66 The Gunman
One Chance
66 Le streghe son tornate
Ted 2
67 Cake
While We’re Young
Cake
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
57
i film del mese
Con ambizione,
vuole essere per
la Russia di oggi
un romanzo
dell'800
58
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
LEVIATHAN
Il declino dell’impero putiniano: metaforico e politico, il
j’accuse di Andrey Zvyagintsev
In sala
Regia Andrey Zvyagintsev
Con Alexseï Serebryakov,
Roman Madyanov
Genere Drammatico (140’)
M
are di Barents,
Kolia (Alexseï
Serebryakov, anima
e corpo verso l’abisso) vive
di riparazioni, e vive
rettamente: una seconda
moglie, Lilya, il figlio avuto
dalla prima, Roma, una
vecchia casa di legno nel
mirino della speculazione
edilizia. Il sindaco Vadim
(Roman Madyanov,
scorsesiano, tendenza
cattivo ragazzo…) vuole
portargliela via, Kolia chiede
aiuto a “un amico” avvocato
moscovita, ma il diritto è
questo sconosciuto. Dopo Il
ritorno (Leone d’Oro a
Venezia 2003), Izgnanie
(2006) ed Elena (Gran
premio della giuria al
Certain Regard di Cannes
2011), il regista Andrey
Zvyagintsev (Novosibirsk,
1964) riprende il Leviatano
hobbesiano, riesuma Giobbe
e interpella la Giustizia, con
due occhi sulla Russia qui e
ora: preti farisaici, sindaci
corrotti, avvocati senza
quid, poliziotti imbelli,
alcolismo e convenienza,
non si salva nulla, nemmeno
la speranza. Premiato per la
sceneggiatura al Festival di
Cannes 2014, candidato
all’Oscar per il miglior film
straniero, vincitore del
Golden Globe nella stessa
categoria, Leviathan è lo
scheletro del nostro
presente, l’archeologia del
nostro futuro, il mostro
biblico fuori dal tempo e
dentro le nostre vite.
Difficile non farsi
contaminare dalla visione di
Andrey Zvyagintsev, che
con smisurata ambizione
vuole essere per la Russia
oggi (leggi ingiustizie
putiniane) quelli che erano i
romanzi ottocenteschi per la
Madre Russia (leggi
ingiustizie zariste), ovvero,
mettere in guardia
sull’attuale, riguadagnato
apparentamento di potere
temporale e religioso. Che
cosa significa oggi
(soprav)vivere in Russia, chi
è Kolia se non la vittima,
addirittura, il capro
espiatorio di un sistema di
potere che annienta il
singolo, anzi, proprio non lo
vede, non lo considera, non
lo tollera se solo dà qualche
problema? E che coraggio
ha avuto Zvyagintsev nel
declinare la chiara,
accusatoria e mostruosa
metafora del Leviatano nel
corpo malato, putrescente e
nauseabondo della Russia
oggi: c’è solo concorso di
colpa e coazione a ripetere
quelle violenze che furono
prerivoluzionarie, e non c’è
una legge, né un depositario
della legge (sia umana che
divina, Leviatano anche
qui…), né un tutore della
legge disposto a incarnarla.
La legge non c’è, la carne
nemmeno, solo scheletro
de-relitto e calcinato, con i
marosi mondani che l’hanno
spazzolato sulla riva? Tutto
questo, in un film che non è
solo j’accuse politico, che
non è solo discorso a tesi
sociologico, non è solo il
romanzo di perdizione di
Kolia, ma appunto cinema:
se Ejzenštejn aveva cantato
la Rivoluzione, Zvyagintsev
urla senza alzare la voce la
restaurazione di Putin. E
l’immagine-tempo ci
riconsegna, tra le falde, un
mostro preistorico,
primordiale, spolpato e
attualissimo. Relitto o
reliquia, questo è il
problema.
FEDERICO PONTIGGIA
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
59
i film del mese
MIA MADRE
Moretti si fa (da) parte, e traduce la perdita in guadagno collettivo: “nostra madre”
In sala
Regia Nanni Moretti
Con Margherita Buy, John Turturro
Genere Drammatico (106’)
COME SI LASCIA ANDARE una
persona, come si elabora il lutto per la
perdita della madre? Come si torna al
cinema dopo aver vaticinato
l’imprevedibile, l’inaudito (Il caimano e,
ancor più, Habemus Papam)? Come si
può tenere il timone tra la necessità di
aderire al reale (“Voglio ritornare alla
realtà”) e quella di non indulgere
nell’intimismo? Insomma, come si può
mettere accanto al personaggio
Moretti il regista Moretti, ovvero l’uomo
Moretti? Come può quella denotazione
affettiva, “mia madre”, che nemmeno
sopporta fratellanza e sorellanza (non
si dice “nostra madre”) travalicare
l’individualità, l’individualismo e farsi
connotazione universale, proprietà
60
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
pubblica? Sulla scorta autobiografica
della perdita della propria madre,
Nanni Moretti inquadra il suo alter ego
Margherita (Buy), una regista
“impegnata” alle prese con un film
sull’occupazione di una fabbrica
appena acquistata da un imprenditore
straniero, interpretato da un famoso
attore americano, Barry Huggins (John
Turturro). Nel frattempo, la madre Ada
(Giulia Lazzarini) è ricoverata in
ospedale, e Margherita, e soprattutto il
fratello Giovanni (Nanni Moretti),
l’accudiscono. Forse, Mia madre è “La
stanza della madre”, ma rispetto a La
stanza del figlio è migliore, di gran
lunga: Moretti è cambiato, maturato, il
sadismo non gli interessa più, si è
aperto al mondo, rivendicando la
possibilità non ancora di farsi da parte,
ma di farsi parte (Margherita) per
tradurre la perdita individuale in
guadagno pubblico, ovvero artistico.
Lo fa rivendicando l’adesione alla realtà
e insieme la concessione al sogno a
occhi aperti, quello che facciamo
quando la realtà è troppo brutta: non
vogliamo chiudere gli occhi, ma vedere
qualcosa di diverso quando i nostri cari
se ne stanno andando. Perché le focali
sono quelle corte della nostra
inadeguatezza al mondo, alla vita e alla
morte: il Papa Michel Piccoli scappava
all’alba, la madre Ada scappa pure, e
forse si incontreranno. Ma il problema,
al solito, è di chi resta. Fortunatamente,
Mia madre sa darci del tu. Anzi, del noi.
FEDERICO PONTIGGIA
Nanni sogna ad occhi aperti, per
eludere la realtà del dolore
i film del mese
LET’S GO
L’uomo che volle farsi umanità: un ritratto marginale
marginale, un italiano a Crescenzago che
si sente extracomunitario, di più,
clandestino: una ex moglie che
considera morta, i figli a cui ha lasciato
una casa, la giornata da costruire,
potendo contare su pochi euro. Ma la
libertà è fedele compagna di viaggio, di
vita: il giornale da leggere al bar,
un’ultima birra, altri “clandestini” con cui
dividere la tavola. E tanta generosità: nel
vivere con quasi niente, nel raccontarsi
quasi tutto. Musella è protagonista
parlante, talvolta operatore e autore dei
testi letti da Roberto De Francesco,
mentre la regia della De Lillo gli prende
le misure, le coordinate cartesiane:
ascissa e ordinata, immagini fatte righe
verticali e orizzontali, per ritrovare Luca
e ritrovarci noi. Ognuno di noi, con la
nostra problematica, irredimibile
umanità.
FEDERICO PONTIGGIA
LA STORIA DI LUCA MUSELLA,
fotografo di grido caduto nel
sottoproletariato; il racconto di
Antonietta De Lillo, empatico, partecipe.
E il film, Let’s Go, che chiama a raccolta:
andiamo, qualunque cosa ci succeda,
andiamo. Anche – l’amico di Luca,
Mustafa – con la testa fracassata, anche
facendo 40 km a piedi: bisogna andare,
e non solo per non perdere il lavoro.
Copertine per L’Espresso e Sette nella
Milano da bere, oggi Luca Musella è un
In uscita
Regia Antonietta De Lillo
Con Luca Musella, Elizabeth Cristina Almeida
Genere Drammatico (54’)
CHILD 44
Cast stellare per un
thriller anonimo nella
Russia stalinista
In sala
Regia Daniel Espinosa
Con Tom Hardy, Noomi Rapace
Genere Thriller (137’)
C’ERA PARECCHIA CURIOSITÀ
attorno a Child 44: per il cast stellare
(Tom Hardy, Noomi Rapace, Gary
Oldman, solo per dirne alcuni), la
delicatezza del tema (la caccia a un
serial killer di bambini), lo sfondo
politicamente minato (l’URSS
stalinista). Invece il thriller diretto da
Daniel Espinosa (Safe House) e tratto
dal bestseller di Tom Rob Smith,
risulta fiacco sotto tutti i punti di vista
e per l’intera durata (due ore e venti!),
riuscendo nella non facile impresa di
62
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
fare dei propri punti di forza i suoi
elementi di debolezza. La notorietà
degli interpreti è un’arma a doppio
taglio, soprattutto quando devi
cambiargli nazionalità: insomma
sentire il loro inglese vagamente
storpiato dall’accento russo non aiuta,
ma quello che più dispiace è vedere
imbrigliate le loro doti recitative in
personaggi senza profondità, uomini
meccanici dalle emozioni scialbe e
l’anima chiusa in poche righe di
sceneggiatura. Quest’ultima, a firma
di Richard Price, è approssimativa e
farraginosa, indecisa tra l’invettiva al
comunismo e la classica detection. Un
equivoco che la regia anonima non
riesce a chiarire e che genera un film
manicheo e senza suspense.
Giustamente proibito nella Russia di
Putin, ma per le ragioni sbagliate.
GIANLUCA ARNONE
FORZA MAGGIORE
Settimana bianca, famiglia svedese e tragicommedia universale: da morire (dal ridere)
In sala
Regia Ruben Östlund
Con Johannes Kuhnke, Lisa Loven Kongsli
Genere Drammatico (118’)
SETTIMANA BIANCA, Alpi francesi,
famiglia svedese. L’hotel è lussuoso, il
paesaggio ameno, le piste perfette, i
cannoni tuonano per controllare le
valanghe. Tutto bene, finché
un’esplosione non è poi così controllata
e la valanga sembra travolgere la
terrazza su cui Tomas (Johannes
Kuhnke), Ebba (Lisa Loven Kongsli) e i
figli Vera e Harry stanno pranzando:
attimi di terrore, mentre il bianco
occupa tutto. Ma le reazioni di moglie e
marito sono opposte: Ebba si
preoccupa dei figli, Tomas prende
guanti, cellulare e scappa via...
Tutti indenni, tranne la relazione: Ebba
non perdona a Tomas di essersene
andato a gambe levate, di non aver
protetto alcuno fuorché se stesso…
Tranquilli, vi divertirete, eccome se vi
divertirete: il tema è serio, molto, e
s’intigna nel qui e ora dei rapporti, ma la
trattazione che ne dà lo svedese, classe
1974, regista e sceneggiatore Ruben
Östlund è ironica, ilare, “leggera”. Già al
Certain Regard di Cannes 2014,
candidato agli Oscar dalla Svezia, Forza
maggiore (Turist) è il titolo formato
famiglia migliore degli ultimi anni, forse
lustri, per gli interrogativi che pone e la
forma che s’è scelto: come da titolo,
forse Tomas s’è dato per causa di forza
maggiore, ma una coppia e una
famiglia possono stare in piedi se nel
momento del bisogno qualcuno
scappa? Östlund non s’accontenta delle
interessanti premesse e promesse che
ha posto, spariglia le carte e i registri,
mette il film nella carreggiata del
dramedy, ma sentimentale, comico,
apologetico, e chi più ne ha, sono sullo
schermo. Forse si può recriminare sulla
durata (un’ora e 58 minuti), ma Forza
maggiore offre splendide immagini
alpine e contrappunti sonori iperbolici,
l’insostenibile leggerezza dell’istinto di
sopravvivenza e l’occasione di una
sacrosanta risata sul basso continuo
della (mancata?) tragedia. Riuscirà,
dunque, Tomas a tornare compagno,
padre, uomo? Film da far vedere e
rivedere agli sceneggiatori del nostro
cinemino e pure ai registi, perché Forza
maggiore forse non si nasce, ma di
sicuro si cresce.
FEDERICO PONTIGGIA
Arriva la valanga, il padre molla
tutti e si mette in salvo: che fare?
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
63
i film del mese
ADALINE - L’ETERNA GIOVINEZZA
Troppi paradossi e poco cuore. Salva Blake Lively
banale il vecchio adagio romantico con
le situazioni di un filone alla moda come
il fantasy. Non deve perciò sorprendere
che un film per signore, elegante,
colorato e facile alla lacrima, in breve
un’opera segnatamente mélo come
Adaline – L’eterna giovinezza, si regga
tutta sul più classico dei paradossi sci-fi,
quello del tempo: l’eroina protagonista
non riesce più a invecchiare
attraversando il secolo breve tra cambi
di nome e fughe dagli amanti. Finché
non trova quello giusto. Blake Lively non
è mai stata così bella: ma se il suo
personaggio non invecchia è la
sceneggiatura a incartapecorirsi,
allungando il brodo inutilmente e
chiedendo allo spettatore più di un atto
di fede. Nel cast anche il testimonial
Chanel Michiel Huisman e un malconcio
Harrison Ford.
GIANLUCA ARNONE
IL TRAMONTO delle convenzioni sociali
e i progressi dell’emancipazione
femminile hanno messo in crisi retoriche
e motivi del melodramma, costringendo
questo genere a reinventarsi più di ogni
altro. Alla strada tracciata da Todd
Haynes - una rivisitazione filologica del
filone che riporti indietro le lancette del
tempo e rifletta con moderna sensibilità
sul problema dell’identità - Hollywood
ha preferito il mash-up tematico,
intrecciando con scaltrezza persino
In sala
Regia Lee Toland Krieger
Con Blake Lively, Michiel Huisman
Genere Drammatico (109’)
AVENGERS: AGE
OF ULTRON
Sequel convincente. Più
coeso, proprio come il
team di supereroi Marvel
In sala
Regia Joss Whedon
Con Robert Downey Jr., Scarlett Johansson
Genere Azione (140’)
DOPO L’ENORME SUCCESSO di
pubblico ottenuto nel 2012 (oltre 1,5
miliardi di dollari incassati nel mondo),
Joss Whedon riesce a migliorare il tiro e
a costruire questo secondo capitolo
degli Avengers trovando il giusto
equilibrio tra action, umorismo e,
perché no, riflessioni alte: Age of Ultron
prende le mosse proprio da qui, dal
paradosso secondo cui la brama di
“sicurezza a tutti i costi” non faccia altro
che creare una situazione di pericolo
ancora maggiore. È quello che accade
64
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
dopo che Tony Stark/Iron Man decide
di dar vita ad un’intelligenza artificiale
autocosciente in grado di proteggere
l’intero pianeta: Ultron, entità
tecnologica e potentissima, capirà ben
presto che il nemico principale della
Terra altri non è se non l’uomo. Dopo la
parentesi Loki, i Vendicatori (Captain
America, Thor, Hulk, Vedova nera,
Occhio di Falco e lo stesso Iron Man)
dovranno nuovamente impedire la
distruzione del mondo. Più compatto –
proprio come il team dei supereroi
Marvel, stavolta meno inclini ai dissidi
interni – rispetto al precedente, il film
regala grandi momenti di spettacolo
(su tutti, lo scontro necessario tra Hulk
e Hulkbuster, l’armatura speciale ideata
da Stark per limitare il gigante verde) e
apre la strada verso il nuovo capitolo,
Infinity War, atteso nel 2018.
VALERIO SAMMARCO
5
a Edizione
DA UN’IDEA DI:
LE STREGHE SON TORNATE
Iperbolica e graffiante satira dell’eterna lotta fra sessi
costretti a fronteggiare un’orda di
streghe femministe e sanguinarie,
decise a sottomettere per sempre il
sesso maschile. De la Iglesia, col fido
sceneggiatore Guerricaechevarría, è
scatenato nel mescolare i generi più
commerciali (commedia, action,
horror) sino a ottenere un risultato che
non somiglia a nessun altro e che
sprizza follia creativa da tutte le parti
con tocchi di perfido sadismo. Il plot,
che può far pensare a un Dal tramonto
all’alba in salsa europea, cela in realtà
una graffiante satira dell’eterna lotta
fra sessi sotto il segno dell’iperbole,
cosa che forse potrà scontentare
qualcuno. Carmen Maura, infine (che
già aveva lavorato col regista nella
nerissima commedia La comunidad),
non è mai stata così cattiva e divertita
nel ruolo della strega.
GIANFRANCESCO IACONO
JOSÉ (il bel Hugo Silva) è un povero
Cristo (alla lettera, vedi il
camuffamento) che mette a segno una
spettacolare rapina a un Compro oro
nel centro di Madrid: al suo fianco il
figlio piccolo, conteso
all’insopportabile ex moglie, e un altro
rapinatore pieno di problemi con le
donne. Durante la fuga il gruppo, cui si
è unito un lamentoso tassista, fa tappa
in uno sperduto paesino ai confini con
la Francia. Qui, i nostri eroi sono
In sala
Regia Álex de la Iglesia
Con Carmen Maura, Hugo Silva
Genere Dark Comedy (112’)
THE
GUNMAN
Fallimento nudo e crudo
per l’action-thriller di
Pierre Morel
In uscita
Regia Pierre Morel
Con Sean Penn, Jasmine Trinca
Genere Azione (90’)
PIERRE MOREL è uno dei figli di Luc
Besson, trasferitosi a Hollywood per
girare film d’azione discutibili (Io vi
troverò) o indecenti (From Paris with
Love). Qui resta su quella scia ma
anche grazie a Sean Penn alza le
ambizioni realizzando The Gunman.
Jim è un sicario che opera in Congo.
Dopo una missione che scatena una
guerra civile nel paese fugge,
lasciando la sua compagna. Ma il
passato vuole chiudere i conti con
lui... Scritto sulla base di un romanzo
66
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
di Jean-Patrick Manchette, The
Gunman è un film d’azione tipicissimo,
che segue le indicazioni di Bourne,
Bond e Bauer senza però costrutto né
idea. Il vero limite probabilmente è
nell’influenza di Penn, che non
accettando la classica prestazione
alimentare vuole appesantire un
riciclatissimo canovaccio con alibi
narrativi (la causa umanitaria, le ONG
in Congo, i buoni sentimenti), un
triangolo amoroso del tutto fuori
contesto e pistolotti morali. Sarebbe
anche pacifico se l’azione fosse ottima
e abbondante, ma Morel sfrutta poco e
male combattimenti, sparatorie e le
location europee. Oltre a un cast
notevole, da Jasmine Trinca a Idris
Elba (sprecatissimo: 3 inquadrature) e
Javier Bardem. Un fallimento nudo e
crudo, artistico e commerciale.
EMANUELE RAUCO
CAKE
Dramma raccontato con equilibrio, tra ironia e dolore. Splendida Jennifer Aniston
In uscita
Regia Daniel Barnz
Con Jennifer Aniston, Anna Kendrick
Genere Drammatico (102’)
RACCONTARE LA PERDITA è difficile.
Sulla carta è meno arduo, il vuoto può
essere sostituito dalle parole che
riempiono lo spazio bianco della
pagina, mentre al cinema deve essere
riempito di ricordi inventati che devono
sembrare reali e da un dolore
impossibile da fingere.
Da noi ci aveva provato, riuscendoci in
parte, Nanni Moretti, con La stanza del
figlio. Nel cinema americano è un
argomento che torna spesso, vuoi per
la grande tradizione che ha il mélo
come genere, ma soprattutto perché
da nazione costruita sul sangue delle
sue guerre, l’assenza dei propri cari è
un tema culturalmente rilevante.
Lo aveva raccontato benissimo Malick
in The Tree of Life, per certi versi
ancora meglio Robert Redford in Gente
comune. Ci prova, e ci riesce, Daniel
Barnz con Cake, storia di un’avvocato
di successo che ha perso il figlio a
seguito di una tragedia stradale in cui
lei stessa ha subito traumi permanenti
ed è rimasta sfigurata. Dipendente
dagli antidolorifici, si ossessiona al
suicidio di una donna facente parte del
suo gruppo di supporto che aveva
subito la stessa perdita. Inizia così a
investigare sulla sua vita, cercando di
ritrovare la propria. Raccontato con
grande attenzione nei confronti del
tema, ma anche con una dose di ironia
pericolosa e molto ben gestita, Cake è
soprattutto un veicolo per la bella
Jennifer Aniston, qui con il viso
deturpato dalle cicatrici, per dimostrare
al mondo che i tempi di Friends e Brad
Pitt sono ormai definitivamente
dimenticati. La Aniston offre
un’interpretazione magnifica, per
l’ottimo lavoro con il corpo e per
l’intensità con cui riesce a trasmettere il
dolore emotivo del suo personaggio.
Nonostante la presenza di altri due
nomi di livello come Anna Kendrick e
Sam Worthington, Cake è un piccolo
film, di quelli che andavano negli anni
Novanta, quando l’indie non era ancora
un business più redditizio dei
blockbuster. Forse con una nomination
all’Oscar per la protagonista sarebbe
stato diverso, ma così gli si vuole un po’
più bene.
ALESSANDRO DE SIMONE
Per l’attrice i tempi di Friends sono
definitivamente dimenticati
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
67
i film del mese
LO STRAORDINARIO VIAGGIO
DI T.S. SPIVET
Jeunet dirige un film per ragazzi di grande forza visiva
QUASI DUE ANNI DOPO l’uscita in
Francia, arriva da noi Lo straordinario
viaggio di T.S. Spivet di Jean-Pierre
Jeunet – dove T sta per Tecumseh e S
per Sparrow come il pirata Jack. Cosa
lo abbia tenuto a lungo lontano dai
nostri schermi è un mistero che forse
Stati Uniti non ha bisogno di molto per
catturare lo spettatore, soprattutto se
alla regia c’è Jeunet, autore dalla
fantasia smisurata. Una gioia per gli
occhi.
Ma c’è di più. Le facce, a cominciare
dallo straordinario Kyle Catlett che a
soli nove anni si è presentato al
provino dichiarando di sapere non si
sa quante lingue e di essere campione
di arti marziali, per finire con Helena
Bonham Carter, più sottile e misurata
del solito. L’incredibile paesaggio
americano, che il protagonista
attraversa su un treno merci. E
soprattutto c’è intatta la forza
evocativa del romanzo di Reif
Larsen, Le mappe dei miei sogni. Tutte
buone ragioni per accompagnare i figli
al cinema. Senza paura di annoiarsi.
sottintende guerre produttive nelle
quali è meglio non entrare,
l’importante è che finalmente un titolo
per ragazzi di grande forza narrativa e
visiva possa allietare i pomeriggi di
tutti gli italiani. L’avventura di questo
piccolo genio precoce attraverso gli
ANGELA PRUDENZI
spiega con leggerezza e umorismo i riti
di passaggio nell’età adulta, parlando
con scioltezza di amore, morte,
religione, famiglia, ma anche coraggio,
lealtà e dignità. Un’opera di formazione
confezionata con cura, intelligenza e un
occhio al pubblico adulto, che può
godere di una colonna sonora
eccellente (musiche di Gustavo
Santaolalla), utilizzata con dovizia e nei
punti giusti dall’esordiente Jorge R.
Gutierrez. Peccato non poter godere
della versione originale, perché Diego
Luna, Zoe Saldana, Channing Tatum e
tutti gli altri interpreti fanno un lavoro
eccezionale, inevitabilmente Lost in
Translation. Forse un giorno anche da
noi i più piccoli potranno imparare
l’inglese con i cartoni.
Anteprima
Regia Jean-Pierre Jeunet
Con Kyle Catlett, Helena Bonham Carter
Genere Avventura (105’)
IL LIBRO DELLA
VITA
Una bellissima favola
animata, prodotta da
Guillermo Del Toro
Anteprima
Regia Jorge R. Gutierrez
Genere Animazione (95’)
NON È FACILE raccontare una storia
che insegni le tradizioni della propria
cultura e le dure leggi del diventare
adulti. Guillermo del Toro è
specializzato in questa narrativa, che
contraddistingue buona parte della sua
produzione. Il labirinto del fauno è
l’esempio più clamoroso, ma gli stessi
temi sono anche parte integrante delle
opere solo prodotte dal regista
messicano. Proprio delle tradizioni della
sua terra natia parla Il libro della vita,
splendida favola che racconta ai giovani
messicani le leggende del loro paese e
68
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
ALESSANDRO DE SIMONE
i film del mese preview
a cura di Manuela Pinetti
JURASSIC WORLD - 99 HOMES
3D
ONE CHANCE
CI SONO VOLUTI quasi tre lustri, ma
dopo lunga attesa arriva finalmente in
sala il quarto capitolo della saga che
ha per protagonisti dinosauri e altri
bestioni dell’era giurassica. Stavolta il
pericolo arriva da una nuova
attrazione che risponde al nome di
Indominus Rex, un ibrido creato dagli
scienziati per ovviare al calo di
presenze nel parco a tema. Spielberg
c’è, ma soltanto nelle vesti di
produttore.
PAUL POTTS ha una doppia vita:
commesso al supermercato di giorno,
cantante operistico dilettante di
notte. Sarà proprio quest’ultima,
indomita passione a spingerlo a
partecipare alla prima edizione del
programma televisivo Britain’s Got
Talent. Ispirato alla storia vera di
Potts, che nel 2007 conquistò il cuore
dei telespettatori e vinse cantando
Nessun dorma. Dal regista de Il
diavolo veste Prada.
Regia Colin Trevorrow
Con Chris Pratt, Bryce Dallas Howard
QUANDO la crisi morde duro, al punto
da farti perdere la casa perché non
riesci più a pagare le rate del mutuo,
Dennis Nash (Andrew Garfield) non ci
sta più a rimanere dalla parte di chi è
sconfitto. Inizia così a lavorare per
Rick Carver (Michael Shannon),
agente immobiliare che sfratta gli
insolventi per conto del governo. L’ha
fatto anche con Dennis, che ora è
pronto a tutto per riavere la sua casa.
Regia Ramin Bahrani
Con Andrew Garfield, Michael Shannon
Regia David Frankel
Con James Corden, Julie Walters
TED 2
IO, ARLECCHINO
WHILE WE’RE
YOUNG
L’ORSETTO TED (Seth MacFarlane;
per la versione italiana Mino Caprio,
già voce di Peter Griffin) ha portato
all’altare la sua fidanzata, ed ora i due
vogliono allargare la famiglia. Lo
scoglio non sarà l’inseminazione
artificiale, quanto il dover dimostrare
che Ted è un essere umano per
ottenere la custodia dell’infante.
Seguito di Ted, che nel 2012 è stato il
film con il maggiore incasso della
Universal.
QUANDO gli comunicano il ricovero in
ospedale del padre (Herlitzka), ex
attore di teatro famoso per
l’interpretazione di Arlecchino, Paolo
(Pasotti), conduttore televisivo, torna
in provincia di Bergamo per stargli
accanto, nonostante i rapporti non
idilliaci. Per Paolo sarà non soltanto
una riscoperta delle origini, ma anche
un percorso di riscatto dall’illusorio
successo datogli dalla televisione.
JOSH (Ben Stiller) e Cornelia (Naomi
Watts) vivono a New York e sono
ormai una coppia rodata che naviga
senza eccessivi scossoni verso la
mezza età, parzialmente oberata dagli
obblighi di famiglia. L’imprevedibile
amicizia con i nuovi vicini di casa
Jamie (Adam Driver) e Darby
(Amanda Seyfried), una coppia sui
venticinque piena di energia e per
certi aspetti disarmante, rivoluzionerà
le loro vite.
Regia Seth MacFarlane
Con Amanda Seyfried, Mark Wahlberg
Regia Matteo Bini, Giorgio Pasotti
Con Giorgio Pasotti, Roberto Herlitzka
Regia Noah Baumbach
Con Ben Stiller, Naomi Watts
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
69
Dvd /// Blu-ray /// SerieTv /// Borsa del cinema /// Libri /// Colonne sonore
TELE
A CURA DI VALERIO SAMMARCO
DA NON PERDERE
Whiplash, che
sound! Poi
American Sniper
di Clint
Eastwood
IN QUESTO NUMERO
Ken Loach, Il racconto
dei potenti: cultura è
politica. Ultimi cinque
anni: prezzo medio dei
biglietti in calo
La classe dei classici
Il Leopardi di Martone
Film in orbita
Social Surfing
Chi suona per Jeunet?
I’ve got the
POWER
In tv il crime-drama
ideato da 50 Cent
maggio 2015
rivista del cinematografo
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TELECOMANDO
/// Dvd e Blu-ray ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Whiplash
In Blu-ray e Dvd il “Full Metal Jazz” di
Damien Chazelle. Imperdibile
A
ndrew (Miles Teller) studia batteria jazz
nella più prestigiosa e importante scuola
di musica di New York. È al suo primo
anno e già viene notato dal più temuto e inflessibile insegnante dell’istituto (J.K. Simmons, premiato con l’Oscar), che a sorpresa lo vuole nella
propria band. Il ragazzo è molto eccitato da
questa nuova e inaspettata possibilità ma non sa
che in realtà la sua vita si sta trasformando in un
inferno fatto di prove, esercizi e umiliazioni come non pensava fosse possibile.
Arriva in homevideo (in Blu-ray e Dvd, a partire
dal 27 maggio), l’incredibile “Full Metal Jazz”
(la figura di Simmons non può non ricordare
quella del sergente di ferro kubrickiano, con
tanto di citazione diretta verso un novello “palla
di lardo”…) di Damien Chazelle, che parte
dall’omonimo brano di Hank Levy (Whiplash,
appunto) per dettare i (contro)tempi di un’irresistibile e faticosissima jam session cinematografica in cui tanto il cuore quanto le orecchie potranno trovare la giusta ricompensa. Neanche a
dirlo, tracklist da brividi: da Caravan di Juan Tizol, resa celebre da Duke Ellington, fino all’originale Casey’s Song, composta da Justin Hurwitz.
DISTR. UNIVERSAL PICTURES H. E.
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
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Laclasse
deiclassici
a cura di Bruno Fornara
Lo sconosciuto
Premio
Oscar per il
"sergente”
Simmons
Alonzo, l’uomo senza
braccia, lancia i coltelli con
i piedi verso la sua partner
Nanon, figlia del
proprietario del circo
Zanzi. Alonzo ama Nanon,
la vuole per sé. Anche il
forzuto Malabar desidera
Nanon. Alonzo lancia i
coltelli con i piedi perché
non ha braccia e mani. In
realtà le nasconde sotto
uno stretto corsetto a
lacci. E c’è di più: la sua
mano sinistra ha due
pollici! Altra stranezza:
Nanon – una giovane Joan
Crawford – non sopporta
le mani degli uomini, mani
che la toccano, la vogliono.
Così l’unico uomo che
Nanon desidera è Alonzo...
Settimo film sui dieci che il
regista Tod Browning e
l’attore Lon Chaney
girarono insieme nel
decennio 1919 – 1929.
Browning era attratto
dall’annullamento del
confine tra uomo e
animale, come ben si vede
nel famoso ed eretico
Freaks (1932). Chaney era
predisposto per
interpretare personaggi
che oltrepassassero ogni
confine e usassero il loro
corpo come luogo di
prestazioni fantastiche e
passioni ossessive. Il
bestiale e l’amoroso, il
desiderio e l’accecamento.
Di Tod Browning
Con Lon Chaney, J. Crawford
Genere Drammatico (Usa, 1927)
Distr. Dcult
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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TELECOMANDO
/// Dvd & Blu-ray ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Cinquanta
sfumature di grigio
Se non foste riusciti a prendere
parte all’“evento
cinematografico
dell’anno” (quasi
20 milioni di euro
incassati…), il 27 maggio avrete
la possibilità di rimediare. L’adattamento del bestseller di E.L.
James portato sullo schermo da
Sam Taylor-Johnson arriva in
homevideo: come resistere alla
focosa liaison tra il multimilionario Mr. Grey (Jamie Dornan)
e la candida Anastasia Steele
(Dakota Johnson)? L’incontro
tra i due cambierà per sempre
le loro vite, in un vortice di
passione che li porterà oltre
ogni limite. Sarà così anche per
lo spettatore? Forse no, ma
quello che conta è averci provato…
Il giovane
favoloso
DISTR. UNIVERSAL PICTURES H.E.
Exodus - Dei e Re
Ridley Scott rilegge
in chiave kolossal
il secondo libro
della Bibbia. Christian Bale è Mosè,
e va da sé che la
figura del profeta sia “leggermente” modificata rispetto a quanto
le Scritture ci avevano tramandato fino ad oggi. Effetti visivi a
gogò, battaglie e il 3D che tutto
amplifica: Exodus arriva in Bluray (anche 3D) e Dvd con numerosissimi extra, oltre 5 ore per
quanto riguarda la Collector’s
Edition, arricchita da materiale
esclusivo che permette di esplorare i dietro le quinte del racconto storico. Il documentario Custodi dell’Alleanza spiega come Ridley Scott è riuscito a riportare in
vita l’antico Egitto con ore di riprese inedite.
DISTR. 20TH CENTURY FOX H.E.
74
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
D
opo un notevole incasso (oltre 6
milioni di euro) e una lunga tenitura, Il giovane favoloso di Mario Martone è ora disponibile in Blu-ray
e Dvd, con oltre 50’ di contenuti speciali, tra cui il backstage e altre scene del
film. Che ha il grande merito di raccontarci il poeta di Recanati e al tempo stesso farci vedere il mondo attraverso il
suo sguardo.
Giacomo (Elio Germano) è un bambino
prodigio che cresce sotto lo sguardo implacabile del padre, in una casa che è
una biblioteca. La sua mente spazia ma
la casa è una prigione: legge di tutto,
ma l’universo è fuori. In Europa il mondo cambia, scoppiano le rivoluzioni e
Giacomo cerca disperatamente contatti
con l’esterno. A 24 anni, quando lascia
Recanati, l’alta società gli apre le porte
ma lui non si adatta. A Firenze si coinvolge in un triangolo sentimentale con
l’amico Antonio Ranieri, e la bellissima
Fanny. Si trasferisce infine a Napoli con
Ranieri. Scoppia il colera: Giacomo e
Ranieri compiono l’ultimo pezzo del
lungo viaggio, verso una villa immersa
nella campagna sotto il Vesuvio.
DISTR. 01 DISTRIBUTION
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American Sniper
In Blu-ray e Dvd il cecchino di Clint
Eastwood
Big Eyes
Il nome del figlio
Tim Burton racconta l’incredibile storia
vera di una delle
più leggendarie frodi artistiche della
storia. A cavallo tra
gli anni ‘50 e ‘60, il pittore Walter
Keane (Christoph Waltz) raggiunse un enorme e inaspettato successo, rivoluzionando la commercializzazione dell’arte con i
suoi ritratti di bambini dai grandi
occhi. Finché non emerse una
verità sconvolgente: i quadri, in
realtà, erano opera di sua moglie, Margaret (Amy Adams). A
quanto pare, la fortuna dei Keane era costruita su un’enorme
bugia, a cui tutto il mondo aveva
creduto: una storia così incredibile da sembrare inventata. In Bluray e Dvd dal 21 maggio. Il
Making of negli extra.
Le vicende di una
coppia in attesa del
primo figlio: Paolo
e Simona. Oltre a
loro Betta, sorella
di Paolo, e Sandro,
suo marito e cognato di Paolo.
Tra le due coppie l’amico d’infanzia Claudio. Potrebbe essere
la solita cena allegra tra amici
che si frequentano e si sfottono
da quando erano bambini, e invece una domanda semplice sul
nome del figlio che Paolo e Simona stanno per avere induce a
una discussione che porterà a
sconvolgere una serata serena. In
Blu-ray e Dvd dal 21 maggio il
film di Francesca Archibugi, con
Alessandro Gassmann, Valeria
Golino, Micaela Ramazzotti, Luigi
Lo Cascio e Rocco Papaleo. Negli
extra il backstage e le papere.
DISTR. LUCKY RED
FOTOGRAFIA
Il film diretto da Clint Eastwood
con il maggior incasso di
sempre: quasi 20 milioni di euro
in Italia. Dal 20 maggio American
Sniper è disponibile in Blu-ray e
Dvd, arricchito da contenuti
speciali (Bring the War Home:
Making American Sniper) che
approfondiscono la vicenda di
Chris Kyle (Bradley Cooper),
Navy Seal USA inviato in Iraq con
una missione precisa: proteggere
i suoi commilitoni. La sua precisione salva innumerevoli
vite e mentre i racconti del suo grande coraggio si
diffondono, viene soprannominato “Leggenda”. Nel
frattempo cresce la sua reputazione anche dietro le fila
nemiche, e Chris diventa il bersaglio primario per gli
insorti. Allo stesso tempo, combatte un’altra battaglia in
casa propria, nel tentativo di essere sia un buon marito
che un buon padre, pur trovandosi dall’altra parte del
mondo. Nonostante il pericolo e l’altissimo prezzo che
dovrà pagare la sua famiglia, la rischiosa missione in
Iraq di Chris dura quattro anni, incarnando il motto dei
SEAL, “che nessun uomo venga lasciato indietro”.
DISTR. WARNER BROS. H.E.
DISTR. LUCKY RED
L’OCCHIO CHE FERMA IL MOMENTO
Il sale della terra
Lo straordinario doc di Wim Wenders
su Sebastião Salgado
Fotografare. Scrivere con la
luce. Ritrarre. In pochi lo
hanno saputo fare, lo sanno
fare, come Sebastião
Salgado, tra i più grandi
fotografi contemporanei,
raccontato da Wim Wenders
(e dal figlio Juliano Ribeiro
Salgado) in questo
splendido documentario,
premiato lo scorso anno in
Un Certain Regard a Cannes,
ora in Blu-ray e Dvd dal 7
maggio, con le scene
tagliate negli extra.
Seguendo il fotografo nei
suoi ultimi viaggi, e
ascoltando dalla sua voce la
storia dei suoi scatti più
importanti, il regista tedesco
Palma d’Oro nel 1984 con
Paris, Texas dà vita ad una
creazione che alimenta il
cinema con il suo nutrimento
primario: l’immagine. Che
attraverso l’occhio di
Salgado ha saputo
raccontare i continenti sulle
tracce di un’umanità in pieno
cambiamento. “Il sale della
terra” sono gli uomini,
seguiti dal fotografo in 40
anni di carriera: alcuni tra i
fatti più sconvolgenti della
nostra storia
contemporanea, conflitti
internazionali, carestie,
migrazioni di massa, sono
stati immortalati nel bianco
e nero inconfondibile, di rara
potenza, del fotografo
brasiliano.
Una notte al
museo 3
È disponibile dal
14 maggio – in
Blu-ray e Dvd – Il
segreto del faraone, ultimo capitolo della trilogia di
Shawn Levy con Ben Stiller nei
panni di Larry Daley, guardiano
di un museo davvero sui generis. Stavolta insieme ai suoi
eroici amici, Larry parte alla
volta di Londra per salvare l’incantesimo che di notte rianima
i ‘reperti’ del museo.
Ultima apparizione di Robin
Williams. Molti gli extra, tra cui
scene tagliate ed estese, la teoria della relatività, il dietro le
quinte del British Museum, la
creazione degli effetti visivi, il
commento audio del regista e
molto altro ancora.
DISTR. OFFICINE UBU/01 DISTR.
DISTR. 20TH CENTURY FOX H.E.
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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TELECOMANDO
/// Serie Tv ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Power
[CANALE 122 DI SKY]
Da martedì 26 maggio, il crime-drama ideato da 50 Cent e Courtney Kemp Agboh
D
all’incontro tra il produttore esecutivo Curtis Jackson - alias “50
Cent”- e l’autrice di The Good
Wife, Courtney Kemp Agboh nasce
Power (dal 26 maggio su AXN ore 21.00,
in prima visione assoluta), un crime-drama visionario ambientato in due mondi
differenti: la scena glamour dei club di
New York e quella violenta del traffico
di droga. James St. Patrick “Ghost”
filminorbita
76
(Omari Hardwick ) è un uomo che ha
davvero tutto nella vita: una moglie bellissima, un favoloso attico a Manhattan e
un nuovo e promettente nightclub, il
più popolare di New York. Il suo club, il
Truth, si rivolge all’élite, ai volti noti che
con la loro buona o cattiva reputazione
sono l’anima della città che non dorme
mai. Il locale riscuote successo, il che
induce Ghost a sviluppare piani per la
costruzione di un impero. Ma il Truth
nasconde una realtà oscura: è una copertura per i traffici illeciti di Ghost, una
rete redditizia di smercio di droga che
serve solo i più ricchi e potenti.
Quando Ghost viene attratto dalla prospettiva di una vita nella legalità, mette
inconsapevolmente in pericolo tutto
quello a cui tiene di più. Una volta dentro, si può mai uscirne?
a cura di Federico Pontiggia
Tyrant
Mad Max Trilogy
Orson Welles
Fox
Studio Universal
Studio Universal
Dal 25 maggio alle 21:00, il
ritorno del figliol prodigo in
una famiglia dittatoriale
araba. Da un’idea di Gideon
Raff (Homeland).
In attesa del 4° capitolo,
ecco Max Rockatansky, da
Interceptor a Mad Max
oltre la sfera del tuono.
Ogni venerdì alle 21.15.
Nel centenario della
nascita, il corto Return to
Glennascaul (prima TV) e
un poker, da Quarto potere
a L’infernale Quinlan.
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
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WORLDWIDE
Alle origini di
Charles Manson
NBC rischia tutto puntando su uno show a
tinte forti. Dallo sceneggiatore di Jericho, John
McNamara
a cura di Angela Bosetto
Texas Rising
(Première: 25 maggio)
Visto il successo di Hatfields &
McCoys e Sons of Liberty,
History Channel torna a
raccontare un altro snodo
cruciale del passato americano
(la rivoluzione texana) con una
nuova miniserie diretta da
Roland Joffé, dove la Storia
avrà i volti di Chad Michael
Murray (Mirabeau Lamar),
Jeffrey Dean Morgan (Erastus
“Deaf” Smith), Bill Paxton (Sam
Houston), Cynthia AddaiRobinson (Emily West), Olivier
Martinez (il generale Antonio
López de Santa Anna) e Kris
Kristofferson (il presidente
Andrew Jackson).
Grace and Frankie
(Prima stagione disponibile
dall’8 maggio)
Aquarius
(Première, 28 maggio)
Los Angeles, 1967. Mentre la guerra infuria in Vietnam e il movimento hippie
cambia l’America, alcune ragazze scompaiono. Le indagini portano il sergente
Sam Hodiak e il suo giovane partner sotto copertura, Brian Shafe, a una strana
setta, guidata da un piccolo criminale
aspirante musicista, il cui nome dice poco: Charles Manson. Possibile? Sì, perché
mancano ancora due anni alla strage di
Cielo Drive.
È la seconda volta, dopo Hannibal, che
la NBC rischia tutto puntando su uno
show a tinte forti, più da rete via cavo
che da generalista. David Duchovny è
Hodiak, mentre l’arduo compito di interpretare Manson tocca a Gethin
Anthony (Renly Baratheon nel Trono di
Spade). E dire che lo sceneggiatore John
McNamara aveva pensato a questa storia proprio per prendersi una pausa dalla tv e scrivere un libro…
Rivali da una vita, Grace e
Frankie sono costrette a
rivedere le proprie posizioni
quando scoprono che i
rispettivi mariti si sono
innamorati l’uno dell’altro e
hanno deciso di sposarsi. Il
fiore all’occhiello di questa
nuova sitcom, creata per
Netflix dai veterani Marta
Kauffman (Friends) e Howard
J. Morris (La vita secondo Jim),
è senza dubbio il cast: le due
protagoniste sono Jane Fonda
e Lily Tomlin, mentre nel ruolo
dei coniugi troviamo Martin
Sheen e Sam Waterston.
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
77
TELECOMANDO
/// Borsa del cinema ///------------------------------
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BIGLIETTO, PREGO...
Prezzo medio progressivamente diminuito.
Ma è nel weekend (e per il 3D) che lievita
di Franco Montini
N
egli ultimi cinque anni il prezzo
medio del biglietto cinematografico è progressivamente diminuito.
Come dimostrano i dati di Cinetel, una
sorta di Auditel riferito alle sale cinematografiche, che controlla quotidianamente più del 90% dell’intero mercato italiano, il prezzo medio che nel 2010 era di
6,41 euro, nel 2014 è sceso a 6,02. A determinare il fenomeno è il moltiplicarsi di
promozioni e riduzioni, che nei giorni feriali o in determinati orari consentono di
entrare al cinema spendendo anche meno di 4 euro. Senza contare che sottoscri-
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
vendo abbonamenti o acquistando blocchetti di ingressi, il singolo biglietto può
essere ancora più leggero. Tuttavia, contemporaneamente all’allargarsi delle agevolazioni, si è registrato anche un aumento del prezzo massimo, in particolare
per le proiezioni in 3D, il cui costo in alcuni casi supera abbondantemente i 10
euro, e più in generale nei giorni festivi
e prefestivi. E poiché il consumo di cinema su grande schermo sta trasformandosi sempre più da passatempo quotidiano,
come era nei gloriosi anni ’50 e ’60, in rito collettivo del weekend, fra gli spetta-
tori che frequentano la sala, la sensazione prevalente è che il prezzo del biglietto sia elevato. Il fatto è che ad approfittare delle ormai numerosissime agevolazioni continua ad essere una fascia limitata
di pubblico: quello composto da cinefili
e appassionati, per i quali spendere 4 euro anziché 7 significa di fatto raddoppiare le proprie presenze al cinema. Invece,
lo spettatore più distratto, quello che va
al cinema con gli amici una volta ogni
due o tre mesi, attratto solo dai pochi
film evento della stagione, in effetti neppure si accorge della possibilità di poter
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Surfing
acquistare un biglietto ad un prezzo molto contenuto. La politica delle agevolazioni, promossa dagli esercenti per riempire la sala negli spettacoli che solitamente si svolgono davanti a platee semideserte, non ha ancora prodotto gli esiti
sperati. Probabilmente la politica del
prezzo del biglietti avrebbe conseguenze
ben più rilevanti se le promozioni fossero applicate sulla fascia di maggior costo.
Da qui l’idea, per ora soltanto un’ipotesi
tutta da verificare, di diversificare il prezzo del biglietto non più per giorni o per
orari, bensì in base al film programmato,
ovvero facendo pagare una certa cifra
per alcuni titoli ed un’altra ridotta per
prodotti considerati meno spettacolari o
semplicemente meno attraenti. Qualcosa
del genere già accade in altri paesi e così
si verifica che in una stessa struttura vengano applicati prezzi differenziati a seconda del film in programmazione su
questo o quello schermo. In proposito
gli esercenti italiani appaiono complessivamente piuttosto dubbiosi e non a torto;
innanzi tutto appare complicato stabilire
a chi spetterebbe il compito di determinare il prezzo del biglietto per ogni film:
alla produzione? Alla distribuzione? All’esercente? I contrasti fra le categorie sarebbero inevitabilmente destinati a crescere in maniera esponenziale. Ma soprattutto determinando prezzi diversi da
film a film si creerebbero di fatto prodotti
di serie A e prodotti di categorie inferiori, col rischio, molto concreto, di concentrare, ancora più di quanto già non accada, l’attenzione del pubblico su un ristrettissimo numero di film, favorendo in
questo modo un’ulteriore emarginazione
di tutti i prodotti privi di immediati richiami commerciali.
Ipotesi di
diversificare la
spesa in base al
film programmato?
Molti i dubbi al
riguardo
Marco Spagnoli
Oltre la vanità
Quando gli annunci dal set servono a fare #tendenza
na volta l’inizio
delle riprese di
un film,
soprattutto se di una
produzione
importante, era
annunciato da un
comunicato stampa,
letto e riletto dai
responsabili dei
rapporti con i media.
Negli ultimi mesi,
invece, annunciato più
o meno il cast, ecco
che sempre più di
frequente sono un
tweet, un post su
Facebook o una foto
su Instagram (se non
tutti e tre insieme) a
mostrare al pubblico
la prima scena, il
primo ciak o un
dettaglio del set di un
film o di una serie
televisiva. È successo,
ad esempio, la scorsa
estate con Simon
Mirren, nipote della
Premio Oscar Dame
Helen, che dopo una
carriera negli Stati
Uniti come produttore
esecutivo della serie
di grande successo
Criminal Minds ha
dedicato diversi post
su Facebook al suo
lavoro come
showrunner di
Versailles, serie
prodotta in Europa da
TF1, ambientata nella
reggia alle porte di
Parigi e incentrata
sugli intrighi della
corte dei Re di
Francia.
Lo stesso ha fatto Ben
Stiller per raccontare
al mondo il primo
giorno di riprese a
Roma di Zoolander 2,
pubblicando una foto
U
di lui sul set di
Cinecittà. Il regista
Ron Howard, invece,
ha addirittura rivelato
su Twitter che intende
girare una scena di
Inferno di Dan Brown
nel Salone dei 500 a
Firenze attraverso un
selfie con lo sfondo
della sala costruita nel
1494 dal Pollaiolo.
Le cose si
“complicano” e
diventano più
interessanti, però,
quando dopo
l’annuncio del cast di
Suicide Squad che
annovera, tra gli altri
Jared Leto come
Joker e Margot
Robbie come Harley
Quinn, il regista David
Ayer ha ‘confuso’ i fan
chiedendo loro su
Twitter se ‘i cattivi
possono fare delle
cose buone’…
Una trovata di
marketing oppure uno
scambio creativo?
Questa è la frontiera
dei Social Media oltre i
selfie e la vanità dello
stuzzicare i fan,
interrogarli rispetto le
loro aspettative nei
confronti delle storie
che stanno per vedere
e, soprattutto, cogliere
la temperatura della
loro passione nei
confronti dei racconti
che stanno per
diventare cinema.
Il tweet di David Ayer che “svela” il look del Joker
Jared Leto in Suicide Squad
maggio 2015
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
79
TELECOMANDO
/// Libri ///------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Sempre in lotta
Ken Loach
Sfidare il
racconto dei
potenti
Come fare cinema secondo Ken
Loach: l’arte non va scissa dalla
vita, l’occhio umano è l’obiettivo
e insieme il primo strumento di
montaggio, la storia deve svolgere una funzione rivelatrice, gli attori si scelgono solo in base alla
credibilità (vade retro, star), non
si sprecano soldi inutilmente e il
lavoro di squadra è essenziale, al
pari della musica. Frutto di due
anni di conversazioni con il giornalista Frank Barat, questo agile
volumetto non si limita ad analizzare le opere di Loach, ma ne
svela gli ideali. La cultura ha sempre un valore politico, per cui anche la creazione di un film o di
un documentario può (e deve)
contribuire a una società più giusta ed equa. Il cinema è un’industria come tante: sta ai singoli lottare contro il “capitalismo bruto”.
(Lindau, Pagg. 56, € 9,00)
Ken il
guerriero
La cultura ha sempre un
valore politico, parola di
Loach. Poi mafia, love story
e videoarte
ANGELA BOSETTO
Dentro la cupola
Andrea Meccia
MediaMafia.
Cosa Nostra fra
cinema e Tv
Dice il magistrato e scrittore
Giancarlo De Cataldo, “quanto di
ciò che sappiamo o crediamo di
sapere sulla Mafia appartiene alla
realtà, e quanto alla sua rappresentazione?”. La risposta, anzi, le
risposte nel saggio di Andrea
Meccia, che sulla scorta del mo-
80
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
nito di Leonardo Sciascia – “Se
tutto è mafia, niente è mafia” –
discrimina tra storie e racconti,
Maxiprocesso e La Piovra, Capaci
e Via d’Amelio e I cento passi di
Marco Tullio Giordana, discernendo tra realtà, riproduzione e
gli stereotipi insiti nella traduzione cinematografica e televisiva.
Nella seconda parte, focus, tra gli
altri, su Tano da morire, Il Divo e
La mafia uccide solo d’estate,
mentre la terza incontra Letizia
Battaglia e Roberto Scarpinato.
Un libro da adottare nelle scuole.
(Di Girolamo, pagg. 200, €
15,00)
FEDERICO PONTIGGIA
Schermi d’amore
Gill Paul
Hollywood Love
Stories. Storie
d’amore dietro il
grande schermo
Humphrey Bogart e Lauren Bacall, Clark Gable e Carole Lombard, Spencer Tracy e Katharine
Hepburn, Ingrid Bergman e Roberto Rossellini, Arthur Miller e
Marilyn Monroe, Richard Burton
ed Elizabeth Taylor… Quante
sono le storie d’amore e cinema
(fugaci o durature, pubbliche o
private, serene o infelici, passioni coniugali o liaison scandalose) che hanno attraversato il
grande schermo per entrare nella memoria collettiva del Novecento? Lasciatevi raccontare le
quattordici più belle da Gill
Paul, un’autrice che ha fatto delle relazioni leggendarie la sua
specialità (ha scritto anche Civil
War Love Stories, Rock & Roll Love Stories, Royal Love Stories, Titanic Love Stories, World War I
Love Stories e World War II Love
Stories).
(White Star, Pagg. 192, € 24,90)
ANGELA BOSETTO
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Il regista Ken
Loach
Adriana Asti (“Mi diede e gli diedi
grande fiducia”), Stefania Sandrelli (“Ogni ruolo che ho recitato
per Bernardo mi è piaciuto”), Jeremy Irons (“Non credo sia possibile convincerlo che qualcosa potrebbe essere fatta diversamente
da come lui l’ha pensata”), Joan
Chen e Ying Ruocheng (che ne
lodano cultura e sensibilità),
Francesco Barilli (provinato a sorpresa con una poesia di Pasolini)
e Marisa Solinas, per la quale lavorare con lui fu un’esperienza
tale da farla innamorare.
(Mimesis, Pagg. 130, € 12,00)
Ora pro
nobis
Gattopardo
Cinema e preghiera, binomio
possibile. Ecco perché
di Gianfrancesco Iacono
ANGELA BOSETTO
Altri linguaggi
Alessandro
Amaducci
Videoarte –
Storia, autori,
linguaggi
Strategia del
regista
Giancarlo Alviani
Un’aspirina e un
caffè con
Bernardo
Bertolucci.
Regista e attori
si raccontano
Sul casting Bertolucci ha una filosofia: “Un attore o mi piace nei
primi cinque minuti oppure sono
problemi”. Da regista parla volentieri di come dirige i suoi interpreti, ma per capirne a fondo il
metodo bisogna ascoltare loro:
Uno studio sulla videoarte a 50
anni dalla nascita, sempre più attuale in un’epoca di nuove tecnologie dell’immagine, scomposto in tre tranches: le origini della
videoarte, con l’avvento della tv,
dei nuovi mezzi tecnici che aprono una nuova era della comunicazione, le teorie del villaggio
globale di McLuhan, Andy
Warhol e il New American Cinema; lo sviluppo della videoarte
tra gli anni ‘60 e gli ‘80, con numi tutelari del calibro di Bill Viola, Gary Hill, Robert Cahen e
l’avvento di MTV; un focus dagli
anni ‘90 fino a oggi, attraverso il
lavoro di Marc Caro, Dave
McKean, Edouard Salier, con le
nuove tecnologie in grado di assicurare alla simbiosi tra musica e
video (Cunningham e Gondry)
nuove strade da percorrere.
(Kaplan, pagg. 216, € 20,00)
GIANLUIGI CECCARELLI
Una scena di Uomini di Dio di Xavier Beauvois
La preghiera, anche se collettiva, è sempre intima.
Proprio per questo, il rapporto fra natura della
preghiera e linguaggio cinematografico, voyeuristico
per eccellenza, si configura come complesso e
contraddittorio ma anche affascinante. Su questo
tema indaga il volume Il fuoco e la brezza del vento Cinema e preghiera, scritto a quattro mani da Dario
Cornati e Dario Edoardo Viganò, riflessione
sull’incontro fra la dimensione spirituale della
preghiera e la narrazione che di essa ha fatto il cinema
nel corso della sua storia. L’analisi condotta dagli
autori scopre così il nervo sensibilissimo della
potenzialità, insita nel cinema, di cogliere l’essenza
dell’interiorità dell’uomo, con i suoi travagli e le sue
speranze. Tale prospettiva rilegge i capolavori di
Tarkovskij, di Bergman e di Bresson lungo l’asse
portante della preghiera e
dell’assenza/presenza di Dio nella
vita dell’uomo, attraverso la
sensibilità degli autori e il mutare dei
modelli. L’esperienza filmica si
propone dunque come cassa di
risonanza del nichilismo del nostro
tempo laicizzato e frenetico. Così, la
descrizione dello smarrimento
contemporaneo accomuna cineasti
fra loro diversissimi, mettendo in luce
una volontà di rappresentazione che
oscilla tra la percezione dell’assenza
Il fuoco e la
brezza del vento - di Dio nel mondo e al tempo stesso il
Cinema e disperato bisogno, per l’uomo, di
preghiera
avvertirne la presenza, necessità
espressa dall’amore e vivificata dalla
preghiera.
TELECOMANDO
/// Colonne sonore ///--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
MIA MADRE
Arvo Pärt, chi è costui? L’abbiamo già
sentito ne La grande bellezza
sorrentiniana, ma un altro autore
autarchico italiano l’ha preso in
prestito alla grande: otto pezzi, da
Sarah Was Ninety Years Old a I. ludus
(con moto), per immergere il dolore,
l’inadeguatezza e la vita tutta nella
partitura minimalista del maestro
estone. Per il resto, la tracklist di
Nanni Moretti ricorre ai sommi
Leonard Cohen (Famous Blue
Raincoat), Jarvis Cocker (Baby’s
Coming Back to Me), Philip Glass e
intima, con Mario cantini e Nino Rota,
Bevete più latte. Ascolto
avviluppante, sinestetico.
F.P.
QUESTIONE DI (SANA)CORE
CHISSÀ se anche stavolta, dopo Yann Tiersen, JeanPierre Jeunet permetterà a un nuovo astro nascente
di spiccare il volo verso la popolarità. Forse no, viste
le vicissitudini che Lo straordinario viaggio di T.S.
Spivet ha avuto in sede di distribuzione, ma
l’esordio nell’industria cinematografica del
chitarrista italo-francese Denis Sanacore, questa
popolarità, la meriterebbe tutta. La chitarra di
Sanacore non è la fisarmonica di Tiersen, non
procede in quella direzione ludico-fiabesca (o in
quelle analoghe spesso presenti nei film di Jeunet),
ma spazia creativamente nel diegetico, da un tema
principale arpeggiato (Eagle) che in Buffalo vede
l’aggiunta di un violino (strumento della moglie, e
partner di Sanacore, Rachel Carreau), per poi
stemperarsi in un melanconico delay (The Echo of
Myself). Le svolte folk di Radio Flyer, con tanto di
armonica a bocca, le atmosfere western alla On the
Train, le ottime To Each His Own Lucky
Star/Chicago Chase, pur viaggiando costantemente
sul crinale del cliché, non risultano mai scontate, e
spiccano per ispirazione e genuinità, evocando via
via scenari a perdita d’occhio, frenesia, solitudine. Si
chiude con Léa Sanacore, figlia d’arte: la sua Here
Now and Then è una ballata cantata con voce
potente, sotto il segno di uno strumento, la chitarra,
che passa di padre in figlia.
GIANLUIGI CECCARELLI
82
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
maggio 2015
IL RACCONTO DEI
RACCONTI
Dopo l’Oscar per The
Grand Budapest Hotel, e
dopo averlo già servito
per Reality, il compositore
francese Alexandre
Desplat ritrova Matteo
Garrone nel Racconto dei
racconti: quando il fantasy
incontra il barocco,
quando il genio ne
F.P.
incontra un altro.
LA GIOVINEZZA
Fatale fu una “bugia”: I Lie, contenuta
nella colonna sonora de La grande
bellezza. Sorrentino non lascia David
Lang, ma eleva all’ennesima potenza
il sodalizio: sono del compositore
americano, premio Pulitzer nel 2008
per The Little Match Girl Passion, le
musiche del nuovo Youth. Lang,
losangelino a NY, classe ’57, al cinema
aveva già messo uno zampino
importante sullo spartito di Requiem
for a Dream, ora il suo mix
minimalista-modernista “serve” a
raffreddare la cifra estetizzante di
Sorrentino: la grande dissonanza? F.P.
S N G C I S I N D A C AT O N A Z I O N A L E G I O R N A L I S T I C I N E M AT O G R A F I C I I TA L I A N I