1ANNOPAZZESCO – ROMANZO COLLETTIVO CLASSE 2G
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1ANNOPAZZESCO – ROMANZO COLLETTIVO CLASSE 2G
1ANNOPAZZESCO – ROMANZO COLLETTIVO CLASSE 2G CAPITOLO 11 – CREA UN TESTO HORROR A PARTIRE DAL SEGUENTE INCIPIT DAL BLOG DI KARL E' notte e buio e tremo ancora dalla paura. E' stata una giornata del cavolo e la notte... peggio! Un incubo bruttissimo: mio padre, tutto quel sangue, la pistola nera e fredda puntata sulla mia schiena. Sembrava così reale, tutto era così vero, vivo. TESTO N.1 Sono le 3:00 di notte e mi trovo qui, in camera mia a sudare freddo, le mani mi tremano e provo a scrivere nel blog l' incubo orrendo che ho fatto. Solo il pensiero mi dà il voltastomaco, ci provo, ma non sono tanto sicuro di farcela. Ero in spiaggia al Lido, e seduti sugli scogli con me c'erano Jia Long e Matilda. All'improvviso si sentì tremare la terra, tanto da farci cadere dagli scogli e poi venimmo risucchiati in un buco gigante, fino ad arrivare davanti a una casa dall'aspetto spettrale. Entrammo in quella casa e subito la porta si richiuse dietro di noi proprio come nei film horror, e poi al primo piano si sentì un rumore di passi, ma dalle scale non scendeva nessuno, e nessuno di noi tre si stava muovendo. Ci venne la tremarella e tentammo di aprire la porta per andarcene via, ma niente da fare, non si apriva. Jia Long ormai in lacrime provò a sfondarla a spallate, ma fu tutto inutile: l'oscura presenza aveva aperto sotto di lui un vortice che lo aveva risucchiato dentro. Mi lanciai a tutta velocità verso di lui, afferrai la sua mano ma mi scivolò e improvvisamente il buco si richiuse. Disperato, in lacrime, cominciai a chiamare Jia Long, ma niente, nessuna risposta, io lì a terra a battere i pugni sul pavimento. Matilda allora mi venne vicino tutta impaurita e tremante, mi aiutò ad alzarmi, e disse che dovevamo uscire da quella casa o avremmo fatto anche noi la stessa fine di Jia Long. Se non si poteva uscire dalla porta, pensai, si potrebbe uscire dalla finestra ma come? A quel punto Matilda, in preda al panico, lanciò una sedia verso di me, prontamente l'afferrai e cominciai a sbatterla contro alla finestra. Ma sfortunatamente le finestre erano di plastica, e così tentando e ritentando la finestra non si spaccava ed eravamo ancora rinchiusi. Improvvisamente sotto ai miei piedi il pavimento cominciò a sciogliersi e io piano piano venivo inghiottito. Ero sceso in quella che sembrava una cantina e di fronte a me c'era un uomo in giacca e cravatta, dall'aria familiare, che sembrava sovrappensiero. Gli chiesi: “Lei come è finito qui?” Non rispose, gli rifeci la domanda ma lui non rispose di nuovo. Si mise ad urlare come un pazzo ed io feci un balzo all'indietro. Sgranai gli occhi e mi accorsi che non ero più nella stessa stanza ma ero in una specie di prigione, nudo e con qualcosa di freddo sulla schiena che mi faceva venire i brividi. Saltai e allo stesso tempo mi girai, ed è solo a quel punto che capii che avevo una pistola puntata contro! Corsi all'impazzata verso le sbarre dove dietro, stranamente, c' erano Jia Long e Matilda, iniziai ad urlare: “Ehi, ragazzi, aiuto! aprite la porta, prima che quel pazzo mi spari!!!”, ma sembravano non sentire le mie urla. Intanto il pazzoide, chiamiamolo così, iniziò a sbraitare: “Muahahahaha, io sono tuo padre Karl!!!”, subito dopo sparò, mi chinai nell'intento di schivare la pallottola, e in quell'attimo che separava la vita dalla morte mi vidi scorrere davanti tutta la mia vita. Chiusi gli occhi per non vedere la mia morte, ma fortunatamente Dio mi graziò e la pallottola si fermò davanti a me, come se il tempo si fosse fermato, mi tolsi dalla sua traiettoria e ruotai la pallottola al mittente, così quando la condizione del tempo ritornò normale, la pallottola andò dal pazzo invece che verso di me. Appena toccò il suo corpo scoppiò, esplose in mille pezzi e il suo sangue schizzò dappertutto. E fu in questo preciso istante che mi svegliai da questo terribile incubo. TESTO N.2 Stavo andando in un bar per incontrare Matilda. Ordinai una Coca Cola mentre aspettai. Incontrai dei miei vecchi amici delle elementari che mi dissero che nella zona c’era un terrorista armato. Ovviamente non credetti alle loro parole mentre entrò Matilda. Discutemmo di mio padre e dove cercarlo. Mi disse che non aveva idea di dove cercarlo. Sapevo ormai che era morto. Lei ordinò una Sprite e poi le dissi che avevo già ordinato una Coca. Quando finii di bere uscimmo dal bar e io dissi che dei miei amici delle elementari in bar mi dissero che qua a Venezia c’era un terrorista armato. Lei non mi credette ovviamente e allora dato che non sapevamo cosa fare, andammo a visitare una chiesa di nome “San Zaccaria”. Entrammo e visitammo la chiesa. Era bellissima con dei bei dipinti. Si erano fatte le sette e allora uscimmo dalla chiesa. Avevo ancora qualche spicciolo per andare in un ristorante e offrirle da mangiare. Andammo in un ristorante chiamato “Taverna al Remer”. Era davanti al Canal Grande e vicino al ponte di Rialto. C’erano tanti cibi diversi e pensare anche che facevano l’“Happy Hour” Erano perfettamente le sette in punto quando finì e allora ordinammo pesce. Restammo lì fino alle nove e mezzo, poi uscimmo e andammo via. Eravamo arrivati in un posto dove non c’era nessuno ed era molto buio e cupo. Ci metteva i brividi stare in quel posto quando sentii una canna fredda sulla mia schiena. Matilda si girò e vide una persona vecchia con una pistola in mano. Matilda tirò un calcio alla pistola ma l’assassino riuscii a spararle sullo stomaco prima che lei mettesse in atto quello che voleva fare. Stava perdendo un sacco di sangue ed era in fin di vita. L’assassino mi disse: ”Ci rivedremo Karl!!” Ad un tratto mi svegliai e mi dissi che era un incubo. Le parole che mi disse l’assassino sembravano famigliari. Forse era mio padre, solo lui poteva sapere il mio nome e poteva essere un po’ vecchio. TESTO N.3 Nel sogno mi trovavo in una stanza molto buia. Era notte fonda. Una notte di luna piena senza nuvole né stelle. Stavo usando un vecchio computer e mi sentivo come ipnotizzato dallo schermo. Ad un certo punto mi accorsi che il mouse si stava muovendo da solo. La cosa era già abbastanza inquietante, ma poi… la luce fioca che c’era nella stanza si spense e si spense anche il computer. Sentii un urlo. A questo punto non era più un semplice blackout. Ero circondato da urla e grida terrificanti come se non bastasse sui muri c’erano delle ombre spaventosissime. Tremavo di paura e non avevo nessuna via di scampo. Un’ombra più grande e più definita delle altre si avvicinava. Altre quattro al seguito. Si avvicinarono e capii cos’erano. Erano degli uomini. Cinque uomini vestiti di nero. Fisico tarchiato, mantelli neri che frusciavano sul pavimento della stanza, il viso coperto da una maschera. Una maschera nera. Il primo uomo che avevo visto stringeva tra le mani una frusta. La faceva schioccare sul pavimento e ogni volta che lo faceva sobbalzavo e cercavo di non farmi colpire. Il secondo uomo aveva una motosega. Il suo rumore era insopportabile. Il terzo aveva un fucile e il quarto una pistola. Avevo paura che mi sparassero da un momento all’altro. Il quinto aveva una spada e non faceva meno paura degli altri. Sui loro vestiti c’era del sangue che sporcava il pavimento e ciò mi fece pensare che forse avevano ucciso qualcuno e forse volevano fare lo stesso con me. I cinque uomini presero contemporaneamente i loro mantelli. L’uomo con la pistola spostò velocemente, da destra a sinistra, il suo mantello, che cadde per terra. L’uomo non c’era più. Gli altri uomini fecero lo stesso. Per ultimo sparì l’uomo con la frusta. Prima di scomparire mi fece un gesto di sfida. Era finalmente tornato il silenzio. Finalmente il mio cuore poteva rallentare. C’era silenzio. Troppo silenzio. Infatti ad un certo punto notai un’ombra sul muro. Si intravedevano i lembi di un mantello nero. Pensai che fossero tornati gli uomini di prima, ma poi vidi l’ombra avanzare. Non capivo, non vedevo nessuno. L’ombra continuava ad avvicinarsi, ma non c’era nessuno. Forse mi stavo immaginando tutto. Fruscio di mantelli. Ormai conoscevo bene quel rumore. L’ombra avanzava adattandosi man mano alle forme dei mobili della stanza. Indietreggiai, ma più veloce mi allontanavo più si avvicinava velocemente l’ombra. Il mio cuore batteva molto velocemente. Sembrava stesse per scoppiare. Decisi di fermarmi, scappare non sarebbe servito a niente. L’ombra ormai era dietro di me e io mi preparavo all’inevitabile. Comparse un uomo, così, all’improvviso. Ecco di chi era l’ombra. Ad un tratto una pistola puntata sulla mia schiena. Era una sensazione orribile. Sapevo cosa sarebbe successo, ma non sapevo chi sarebbe stato a farlo. Ad un tratto una voce: “Karl, figlio mio, perché non sei mai venuto a cercarmi?” TESTO N.4 Sentii un rumore. Mi svegliai. Mi trovavo sopra una grossa pietra, piena di muschio. Avevo ancora sonno, mi strofinai gli occhi per capire dove mi trovassi… e dopo aver guardato meglio mi resi conto che mi trovavo sopra una tomba. Ero in un cimitero. Strofinai la lapide, era piena di polvere. Non lessi molto bene, la scritta sembrava antica, e la tomba era ormai polvere. Riprovai a rileggere. Riuscii a capire, c’era scritto: ”Qui giace Karl Tagliapietra. Nato: mai / morto: ora. Amen.” Mi venne immediatamente un brivido lungo tutta la schiena. Feci un salto per allontanarmi subito da quella maledetta tomba. Avevo tanta paura, provai a guardarmi intorno anche se i miei occhi vedevano tutto sfuocato e mi tenevo a malapena in piedi. Poi in fondo al cimitero sentii dei rumori fastidiosi e notai un’ombra di un uomo alto e robusto. In quel preciso momento mi misi ad urlare come un matto. Corsi verso una casa, era una grande catapecchia, l’avevo notata prima, non sapevo se andarci, ma dopo aver visto quell’ombra fu il mio primo pensiero. Era stata una brutta idea. Corsi, corsi e corsi. Aprii la porta con un forte calcio e la chiusi subito. Avevo un gran fiatone e gli occhi avevano paura di schiudersi. Guardai la casa. La stanza nell’ingresso era un gran salotto molto accogliente, ma troppo antico per i miei gusti e col tempo si era trasformato nella ragnatela di un enorme ragno. Feci un passo, il pavimento cigolava molto, ne feci un altro e mi accorsi che sopra un vecchio mobiletto c’era una foto. Era una famiglia come le altre: marito, moglie, figlio e figlia, ma la cosa angosciante era che sembravano tutti degli scheletri, magri e lunghi. La luce della luna piena entrava dalle finestre un po’ aperte e illuminava tutta la stanza di un blu schiarito dal giallo. Le tende viola tappezzate da grossi buchi seguivano l’andamento della poca arietta che c’era e davano un’aria più pulita alla stanza. Era angosciante! Andai in cucina e trovai solo un tavolo e una sedia arrugginiti. Uscii. Percorsi le scale che facevano un rumore ansioso e preoccupante. In fondo al corridoio c’era una piccola porta mentre ai lati c’erano due ingressi di normale dimensione, per ogni parte del corridoio. Rimasi fermo. Stavo per fare un passo, quando sentii una cosa fredda sulla mia schiena, all’inizio pensai che fosse solo un insetto un po’ strano: quando mi girai per vedere, osservai quello che mai mi sarei aspettato di trovare. L’ombra dell’ uomo, che prima avevo visto in cimitero vicino all’uscita, era ora davanti a me con una pistola nera. L’adulto aveva un lungo mantello nero e un grande cappuccio, che gli copriva la faccia. Avevo gli occhi spalancati e la bocca un po’ aperta. Sudavo alle mani e alcune gocce di sudore mi scendevano dalla fronte. Rimasi lì con la paura che uno di quei secondi potessero essere i miei ultimi attimi di vita. Poi una voce maschile. “Karl? Sei tu?” “Chi chi è l… lei?” dissi balbettando. L’uomo si tolse il cappuccio… un viso familiare. Aveva i miei stessi lineamenti, e gli occhi erano uguali ai miei. Mio padre! “Karl? Sei tu?” ripeté più forte. “Sì!” gridai. Mio padre abbassò la pistola e la fece cadere. Ci guardammo per pochi secondi, poi ebbimo tutti i due lo stesso istinto. Ci abbracciammo fortissimo e mentre mi stringeva disse: ”Figliolo!” Ci slegammo e gli chiesi: ”Perché volevi spararmi?” “Pensavo tu fossi uno che voleva uccidermi, scusa!” “OK, tranquillo ma… perché sei scappato?” “Ora non c’è tempo di spiegare, dobbiamo fuggire da qui!” mi rispose. “E le scale… e la porta per uscire?” “Sono scomparse!” “Ah ok, allora io provo a vedere queste porte… tu prova a vedere quella piccola là in fondo!” gli dissi. “Va bene!” Ci dividemmo. Ero molto felice di averlo ritrovato ed ero anche felice che lui fosse qui con me. Entrai in una stanza a caso. Era il bagno. Non c’era nulla di importante. Uscii e provai un’altra stanza: era la camera dei genitori, c’era un letto matrimoniale sfatto, molto strano, poi c’erano due comodini e un grande armadio senza ante. Aprii la porta e uscii. Stavo per andare in un altro spazio quando sentii un grido. Corsi subito verso l’ultima stanza del corridoio. Spalancai la porta e vidi mio padre disteso sul pavimento. Non ci credevo, mio papà aveva un coltello conficcato sul cuore, attorno a lui il suo sangue. Vicino al cadavere notai una bambola di porcellana insanguinata. Ad un tratto la bambola incominciò a camminare come un robot verso di me e con uno scatto scappai correndo. Sfondai la porta e più forte che potevo attraversai tutto il corridoio. Alla fine di quel luogo caddi nel vuoto e mi svegliai. TESTO N.5 Sentivo che quello sarebbe stato il mio ultimo respiro, il mio ultimo secondo, il mio ultimo istante e quelle che mi rigavano dolcemente il viso le mie ultime lacrime… stava per sparare, stava per mettere fine ai miei giorni, alla mia adolescenza. Ma non gli avrei permesso di farlo ora che avevo finalmente un padre, una vita felice come quella degli altri, una ragazza che mi amava, anche se il cuore rimbombava nella mia testa, come i passi della morte. Passi che si avvicinavano abbastanza velocemente, senza rallentare, passi decisi, che segnavano l’ora precisa di un giorno che altri avrebbero ricordato come un giorno qualsiasi della morte qualsiasi di un padre qualsiasi, di un ragazzo qualsiasi e la fine di una famiglia qualsiasi. No! Non potevo permettere che la mia vita e quella di mio padre finisse in quella maniera squallida. Non avrei neanche permesso a nessuno di ucciderci là, in quel lurido campo di concentramento, vicini a quella putrida carcassa di corpi dissanguati, magri con pelli raggrinzite, morti a causa della loro religione, della loro intelligenza elevata rispetto a quella di altri, delle loro idee che sforavano gli schemi… Anche se non ero uno di loro, avrei lottato per loro, li avrei difesi...a quel punto mi girai di colpo, con la mano spostai la pistola fino a far arrivare il colpo sparato da quel soldato a terra senza ferire nessuno… ero riuscito a salvarmi ma mi ero dimenticato di mio padre che continuava a perdere sangue, lo alzai di peso e me lo caricai sulle spalle. Lo portai fino alla prima casa di legno che avevo trovato, appoggiai la sua schiena e la sua testa al muro e corsi a chiedere aiuto. Al mio ritorno lui si schiacciava la ferita con le dita intrise di sangue e mi disse che, se avesse saputo prima della mia esistenza, non se ne sarebbe mai andato via e, mentre chiudeva definitivamente gli occhi… mi svegliai. TESTO N.6 Dopo aver passato una giornata storta, decisi di andare a dormire e di non pensare più a niente di tutto quello che era successo, ma a quanto pare tutte quelle cose mi perseguitavano anche nei sogni da quel momento. Io dopo aver chiuso gli occhi mi addormentai subito, improvvisamente mi trovai in un luogo che pareva la Germania e infatti dopo poco tempo capii che quella città era Monaco di Baviera proprio in Germania. Per un attimo ero al settimo cielo perché se mio padre era ancora vivo si trovava sicuramente in Germania e io potevo già iniziare a cercarlo. Ad un tratto però sentii un colpo di sparo seguito da un urlo agghiacciante, in quell’urlo riconobbi la voce di Matilda, che in quel mio sogno era sì la ragazza che conoscevo ma era anche una detective impegnata nell’aiutarmi a ritrovare mio padre. D’ istinto corsi subito nella direzione da cui proveniva l’urlo e la vidi lì per terra in una pozza di sangue ma non capivo da dove venisse, ma poi notai sulla sua gamba una ferita da sparo, grande, larga e profonda da cui stava sgorgando il sangue ma il proiettile era ancora dentro. La portai subito in ospedale, per fortuna pero i dottori dissero che se la sarebbe cavata senza problemi. In un attimo lo scenario cambiò e io mi ritrovai subito dall’ospedale in una casa buia tetra senza luce, c’era umido nell’aria, muschio sulle pareti, ma quello che mi spaventò era l’odore di cadavere in quella casa; nella stanza c’era uno specchio in cui vedevo riflessa la mia immagine ma alle mie spalle c’era un’ombra, improvvisamente sentii sulla schiena qualcosa di freddo quindi mi girai di scatto e vidi una pistola puntata addosso a me e la persona che la impugnava era identica alle descrizioni di mia madre, quindi capii che colui che aveva sparato a Matilda, era lo stesso umo che noi cercavamo ed era lo stesso uomo che ora mi puntava la pistola contro, e prima che lui potesse premere il grilletto dissi ad alta voce: “Tu sei mio padre”. E beng... premette il grilletto, il proiettile mi trafisse il petto e io mi svegliai di soprassalto sudato ma in camera mia e al sicuro... era stato solo un sogno! TESTO N.7 Era sera e mi trovavo a Napoli, entrai in un bar e subito dietro di me entrò un uomo. Era coperto da un cappuccio nero e portava addosso un mantello, mi si avvicinò e abbassò il cappuccio, vidi subito una stretta somiglianza, mi disse che era mio padre e rimasi perplesso. Mi costrinse a bere del whisky. Il barista non fece caso che ero minorenne e mi diede una bottiglia da 1,5 litri. Io non so come ma bevvi tutto il whiski e barcollai. Vidi fuori delle persone che portavano maglie larghe e bandane in testa e avevano delle mitragliatrici. Ruppero i vetri ed entrarono dentro il bar rompendo tutto. Puntarono una pistola sulla testa di mio padre, lui rimase immobile e io me la feci sotto. Invece un altro uomo mi puntò anche a me una pistola sulla schiena. Uno della gang prese un coltello dalla tasca e tolse tutte le unghie al barista, dopo averlo fatto soffrire prese una mazza e gliela tirò in testa. L'uomo che puntava la pistola a mio padre schiacciò il grilletto e la pallottola perforò la testa di mio padre e mi schizzo il sangue in faccia e dopo mi svegliai di colpo. TESTO N.8 Mi alzai, andai in bagno a bere un bicchiere d'acqua, presi dei calmanti. Rintronato mi girai e vidi un'ombra dietro la tenda della doccia. Aprii lentamente la tenda, l'ombra non c'era più ma sulla parete c'era del sangue che colava. La tenda era bagnata e quindi qualcuno si era fatto la doccia mentre dormivo. Erp spaventatissimo. Guardai per terra e vidi degli asciugamani bagnati. Li presi e li buttai in vasca, sentii un tonfo, guardai meglio tra la biancheria: era una pistola! Con il cuore in gola la presi e la misi nel lavandino dietro di me. Andai in cucina per chiamare la polizia, appena mi avvicinai al telefono cominciò a squillare. Feci un salto indietro, presi uno spavento e decisi di rispondere. Chiesi chi era e mi rispose una voce da lontano che chiamava il mio nome. Era una voce familiare, la ricordavo da quando ero piccolo. In questi secondi mi venne in mente quando mi ero sentito abbandonato in quella casa vecchia vicino al fiume, quando in casa vedevo tanti computer in giro, quando sentivo le urla dei litigi dei miei genitori... aspetta, forse questa voce è proprio... è proprio... la sua. Mi sentivo male. Sangue in bagno, pistola, la voce di lui ma... era un sogno o la realtà? TESTO N.9 Io e mio padre stavamo facendo una passeggiata al chiaro di luna tra le calli per andare nella pasticceria di Campo San Polo perché mio padre voleva comperare a mia madre una scatola di cioccolatini per farle una sorpresa. Appena girato l’angolo tra una calle e l’altra, mentre stavamo camminando, avevo sentito sotto ai piedi una pozzanghera e avevo pensato: “Strano, non piove da giorni!” Con la mano mi ero appoggiato alla parete di pietre di un palazzo e sentii una cosa appiccicosa e umida. Mi guardai la mano ed era tutta rossa, sporca di sangue; capii subito che ero andato a finire con il piede in una piscina di sangue. Mi girai verso mio padre ma non c’era e vidi, a poca distanza da me, un uomo a terra senza vita. Improvvisamente sentii una punta fredda appoggiarsi sulla mia schiena e con uno scatto mi voltai di colpo: c’erano tre persone con delle pistole nere in mano che avevano sulla faccia delle maschere da clown e vicino a loro c’era mio padre incappucciato. Incappucciarono anche me e ci dissero di camminare. Non sapevo dove ci stessero portando ma sentivo gli alberi senza foglie che si muovevano, ondeggiavano, e una voce disse: “Una volta passati non si torna più indietro.” Sentivo il verso dei gufi e delle civette e l’aria fischiava e mi avvolgeva e mi trapassava tutto il corpo, poi salimmo su una barca e me ne accorsi perché ondeggiavo e sentivo le onde sbattere sulle bricole. Scendemmo e camminammo ancora, mi tolsero il cappuccio e mi spinsero talmente forte che sbattei la testa e persi i sensi. Infine, dopo non so quanto tempo, aprii gli occhi ed ero rinchiuso in una tomba famiglia del cimitero di Venezia con vicino a me uno scheletro incappucciato: era quello di mio padre. Gridai talmente forte e mi sentivo il cuore in gola, accesi la luce e mi ritrovai disteso per terra sul pavimento coperto con il tappeto: guardai tutta la camera e capii che avevo fatto solamente un brutto incubo. TESTO N.10 Mi stavano portando via, chissà dove, ero bendato non vedevo niente, ma sentivo. Stavo scendendo da una scala di ferro fredda e puzzolente. Sembrava una fogna, mi sbendarono. Avevo ragione, era una fogna nera e puzzolente, i due tipi, uno basso davanti a me andò a guardare dietro una porta e disse: “Ok, vieni!”, il “gigante” dietro di me con una pistola mi portò davanti alla porta. Il basso la aprì e mi portarono dentro. Lì c'era ad aspettarmi seduto su una poltrona un uomo basso e tarchiato che mi disse: ”Finalmente ci conosciamo, Karl”. Non sapevo come sapesse il mio nome, ma sembrava amichevole in mio confronto. Disse ai due di uscire e cominciò a parlarmi. La stanza era scura, ma era illuminata da un piccolo lume. Mi disse: “Ciao Karl come stai? Spero bene se no Mark e Lurk dovranno pagarmela. Comunque, mi hanno detto di tuo padre, mi dispiace”. Io lo guardai disperato: ”Perché?” “So che lo hanno ucciso” “Non è vero.” “Sarà come dici tu.” Io mi girai di scatto verso la porta, la aprii e scappai, nessuno mi fermò, restarono tutti fermi. Andai a casa e mi chiusi in camera. Ero disperato, non sapevo a chi credere, se all'uomo sulla poltrona o a me stesso. Ad un certo punto sentii un rumore terrificante, un urlo. Poi il rumore delle scale cigolanti, mi affrettai a chiudere a chiave la porta e a chiudere la finestra. Fuori era buio, non si vedeva nulla. Sentii tre bussate alla porta. Lungo la schiena mi scivolò un brivido. Chiesi: “Chi è?” Chiese lui: “Vuoi proprio saperlo?” La sua voce era rauca, quella di un maschio adulto. Entrò ma io non c'ero, aveva sfondato la porta, vide la finestra aperta e si buttò fuori, cadde nell'erba e corse per cercare di vedermi. C'era sol un problema, io ero sotto il letto, uscii e scappai via. Lo vidi e andai nella direzione opposta. Sotto il letto avevo visto le sue scarpe, erano delle Nike verdi e nere, scarpe molto particolari. Ritornai nella fogna ed entrai nella porta. Mi stava ancora aspettando. “Ciao, allora?” “Allora cosa?” “Come è andata a casa?” “Male, mi stava per prendere un uomo” gli risposi, anche se ancora una volta non sapevo come facesse a sapere che ero andato a casa. “Via, subito.” Io andai. Andai in giro senza una meta, poi, ad un certo punto vidi le Nike. Scappai, l'uomo mi vide e mi cominciò ad inseguire, mi prese. Era quell'uomo, basso e tarchiato, quello della fogna. Non avevo mai visto le sue scarpe ed infatti erano le Nike. Si spiegava come facesse a sapere che ero andato a casa, però come faceva a sapere il mio nome? Mi disse il suo nome. “Papà!” Ecco tutto. TESTO N.11 Io e miei genitori eravamo tranquilli seduti sul divano a guardare la televisione. Verso le 23.30 finito il film siamo andati a dormire, ma dopo essermi addormentato un rumore di passi. Mi svegliai, sentivo che qualcuno saliva le scale, io impaurito mi arrotolai sotto le coperte sentivo che si avvicinavano sempre di più, ero terrorizzato allora mi alzai dal letto e vidi che la porta si stava aprendo, mi nascosi sotto il letto, la porta si aprì, io ero tutto sudato dalla paura. Vidi entrare due uomini incappucciati e con le pistole, io non riuscivo nemmeno a respirare, si misero a controllare tutta la stanza, dentro l’armadio, dietro al comò, dietro alle tende e alla fine sotto il letto, così mi trovarono e mi tirarono fuori per i capelli e mi dissero di non urlare e mi puntarono la pistola nera e fredda sulla schiena. Andammo nella stanza dei miei genitori che dormivano, non si erano accorti di nulla. Uno dei due aprì la porta facendola sbattere, i miei genitori si svegliarono di scatto. Mia mamma si mise a gridare il mio nome “Karl”. Mio papà era immobile come una statua, uno dei due ladri si avvicinò a lui e lo prese per i capelli e lo fece alzare, gli diede un pugno in faccia che lo fece sanguinare. Alla mamma dissero di stare zitta se no mi avrebbero sparato. A quel punto ci portarono in cucina e ci legarono alle sedie e chiesero a mio papà dove teneva i soldi e i gioielli, papà stava zitto, però uno dei due ladri cominciò a picchiarlo, io e la mamma non potevano fare niente; alla fine mio papà gli disse che erano in camera sua, nella cassaforte dietro il quadro sopra il letto, gli diede la combinazione, i due ladri in fretta andarono su. Papà era debole, perdeva sangue dal naso ma riuscì a liberarsi, liberò me e la mamma, mi disse “Karl prendi qualcosa per difenderti”, lo disse anche alla mamma. “Facciamo presto, scappiamo!”, ma mentre cercavamo di scappare i due ladri stavano già scendendo, mi sentivo male dalla paura. Papà riuscì non so come a disarmare un ladro, lo buttò a terra mentre la mamma che si era presa il mattarello colpì forte il secondo ladro e lo fece cadere a terra svenuto. Il ladro che papà aveva disarmato cercò di liberarsi, ma mio papà gli sparò un colpo su una gamba, c’era molto sangue. “Presto, Karl!” urlò la mamma, “prendi una corda che li leghiamo” e così dopo averli legati chiamammo la polizia e anche l’autoambulanza, mio papà aveva un taglio sulla testa e uno vicino all’occhio e sanguinava, io ero preoccupato per lui. Sentivo le sirene che si avvicinavano sempre più forti, a quel punto mi sono svegliato, mi resi conto che era stato solo un sogno bruttissimo e così tirai un sospiro di sollievo. TESTO N.12 Era una giornata semplice, con un cielo dal colorito grigio, come quello di un film noir in bianco e nero. Ero nel mio appartamento e, come al solito, stavo facendo i compiti. Ad un certo punto si sentì un urlo quasi demoniaco provenire da sotto; andai di corsa a vedere cos’era accaduto e a quella vista rimasi sconvolto: davanti a me c’era un cadavere! Ero l’unico ad aver assistito a quella scena, sembrava che nessuno avesse sentito quell’urlo. Analizzai il cadavere: sulla testa e sulla gamba aveva un colpo di coltello, invece sul torace un colpo di pistola grande quanto un pollice e le ossa erano tutte fratturate dato che era caduto dal balcone. D’istinto chiamai la polizia, che arrivò in 5 minuti. Non stette quanto me l’aspettavo, soltanto 20 minuti e poi andò via, con il cadavere. Era rimasto solo il commissario che mi interrogò: “Quando sei sceso il cadavere c’era già?” “Sì.” “E perché eri sceso?” “Avevo sentito un urlo e la mia curiosità ha preso il sopravvento.” “E solo tu eri sceso?” “Sì.” “… Credo che si tratti ancora di lui…” “Lui chi?” “Non sono affari tuoi, ragazzo, e 'sta notte fai attenzione…” “Ok.” Il commissario se ne andò e io ritornai a casa con la domanda: chi era la persona a cui si riferiva il commissario? Appena rientrato mi accorsi che erano le 7, preparai le lasagne e mentre si stavano cuocendo nel forno, andai a fare una doccia di 20 minuti. Nella doccia cominciai a farmi domande: Chi era la persona a cui si riferiva il commissario? Perché il commissario mi aveva detto di stare attento? Perché solo io avevo sentito l’urlo? E mentre mi facevo quelle domande l’acqua cominciò a cambiare colore fin a diventare rossa; provai ad assaggiarla: quello era… sangue! Uscii subito dalla doccia e mi accorsi che io e la vasca eravamo totalmente coperti dal sangue. Provai ad aprire l’acqua del lavandino del bagno e della cucina e da tutti e due era uscito il liquido rosso. Mi pulii con un asciugamano e chiamai la polizia, ma fu vano perché non c’era campo. Mi spaventai per un minuto ma poi mi calmai e andai a mangiare. Le lasagne avevano un sapore strano, soprattutto il ragù, un sapore di crudo e insipido. Le guardai attentamente e mi accorsi che quello non era ragù… ma carne umana. Andai a guardare nel forno, ma non trovai le lasagne, ma una testa mozzata di una donna insanguinata, che mi guardava con uno sguardo da far morire. Ritentai spaventato di chiamare la polizia, ma non c’era campo. Uscii di corsa di casa e andai verso la stazione di polizia. Sulle strade non c’era nessuno, nemmeno una macchina, nemmeno un’ombra, un lampione che si stava per spegnere e un'oscura presenza non visibile… Ma sotto il lampione c’era qualcosa… tre persone, ma due di quelle erano distese a terra e insanguinate, invece la terza persona era in piedi, nella mano destra teneva un coltello, invece nella sinistra una pistola. Ad un certo punto quattro lampioni si accesero e sotto di essi altre persone decedute e insanguinate. L’uomo si avvicinò lentamente, con passo pigro e disse: “Ciao figliolo… Come stai? Tutto bene?” Rimasi paralizzato dalla paura e non risposi. “Perché non rispondi? Hai paura di tuo padre?” Non risposi ancora, ma provai richiamare la polizia, ma non ce la feci perché l’uomo sparò al cellulare. “Sai che è maleducazione usare il cellulare mentre una persona ti parla? Nessuno ti ha insegnato le buone maniere?” L’uomo si avvicinò a me e andò dietro di me. “Allora te le insegno io!” L’uomo mi puntò la pistola sulla schiena e mi presi al collo con il coltello; sparò e mi finì sgozzandomi con il coltello. La mia ultima scena fu quella di lui che si girò e ritornò nel buio con i lampioni che si spegnevano, come la mia vita. TESTO N.13 Ero a Milano ed era cominciato a tramontare il sole, la grande città era vuota ma rimaneva sempre quell'odore di fumo nell'aria. Il cielo era grigio, si intravedeva a malappena il calare del sole. Mi trovavo in centro di una strada, così cominciai a camminare, dopo qualche metro sentii sotto i miei piedi un rumore come quello di quando passi sopra a una pozzanghera. Quel liquido sotto i miei piedi capii subito che non era acqua, sembrava qualcosa di più consistente, guardai sotto e vidi che era una pozza di sangue. Poco più avanti della pozza si intravedevano nel buio delle impronte della stessa sostanza. Le seguii ma dopo circa dieci metri sentii delle urla che mi fecero gelare. Sembravano grida umane, di un bambino, subito dopo delle fucilate. Preso dal panico mi nascosi in un vicolo buio, rimasi là per un lungo periodo di tempo. Ad un certo punto mi feci coraggio ed uscii da quel posto lugubre. Davanti a me era di nuovo come prima, così mi misi a camminare lungo le case ai lati della strada e al primo riparo mi nascosi per sicurezza. Dentro di me c'era una fifa terribile ma oltre che a nascondermi non sapevo cosa fare. Camminai per quasi un chilometro, ma ad un certo punto sentii una puzza terribile, proveniva da un vicolo poco distante da me. Io avevo molta paura ma ero curioso di scoprire da cosa proveniva quell'odore insopportabile. Mi trovai davanti al vicolo, sapevo che era una sciocchezza quello che stavo facendo ma ci entrai lo stesso. Mentre percorrevo quel vicolo sentivo la puzza sempre più forte, ad un certo punto davanti a me trovai un muro. Guarda ai piedi del muro dove vidi una ragazza violentata e uccisa a fucilate nel petto. La ragazza era cosparsa di sangue ovunque ma riuscii a distinguere che sul corpo c'erano profondi graffi tipo morsi. Davanti di me apparirono due paia di occhi rossi nascosti nel buio, da dove spuntarono dei grossi cani. Subito dietro di me sentii un fruscio e delle gelide mani che mi tirarono via di lì. Era un uomo alto e magro vestito di nero e incappucciato che si mise a correre, io lo seguii. Facevo fatica a stargli dietro, faceva delle lunghe falcate e correva sempre sui marciapiedi anche se non c'era nessuno perché aveva paura di essere preda anche di altre cose. Dopo circa dieci minuti di corsa i cani erano ancora dietro di noi, ma delle fucilate uguali a quelle di prima uccisero i due cani e sentii subito delle mani che mi presero tappandomi la bocca e mi portarono dentro un altro vicolo buio, anche l'uomo che mi aveva salvato venne preso da delle mani. Ci portarono tutti e due sullo stesso vicolo, le persone che cii avevano salvato erano anche loro vestite di nero e incappucciate. Un uomo mi prese e mi puntò una pistola sulla schiena, l'arma era fredda, l'uomo che mi aveva salvato dai cani invece venne legato a un palo e tolto la felpa con il cappuccio. L'uomo legato mi guardò e vidi delle somiglianze tra noi due, ad un certo punto disse: ”Adesso che ti ho visto posso morire in pace figliolo”. Così capii che era mio padre. I tizi incappucciati mi misero a fianco a lui e mi tennero gli occhi aperti, dopo presero un'ascia e cominciarono a fare mio padre a pezzi. Dopo avergli tagliato tutti gli arti era ormai in una pozza di sangue e infine gli diedero il colpo di grazia, gli tagliarono la testa con un colpo netto di ascia. La testa rotolò vicino ai miei piedi, era morto con gli occhi aperti che fissavano i miei. Infine uccisero anche me con un colpo di pistola sulla schiena, poi mi svegliai. TESTO N.14 Ero andato a casa di Louis per fare i compiti e poi mi ero fermato a mangiare lì. Verso le 10:00 ricevetti un messaggio con scritto: ”Vieni giù, ti sto aspettando”. Era strano perché io ero certo di aver memorizzato il numero di mia madre, e per di più il numero cominciava con 0049, il prefisso tedesco. Lasciai perdere, salutai Louis e i suoi genitori e scesi le scale. Uscii dalla casa e cercai la macchina di mia madre, il parcheggio era vuoto, c’era solo una Limousine nera. Si aprì la portiera e qualcuno disse: “Sali, muoviti”; era la voce di un uomo, sicuramente. Un uomo vestito con uno smoking e degli occhiali scuri mi aprì la porta anteriore e mi fece cenno di salire. Subito dietro i sedili c’era una tenda scura e si sentivano degli strani rumori, come se qualcuno stesse cantando. “La la la la la….” Era sempre lo stesso motivetto, era una vocina sottile a canticchiare. Alla guida dell’auto c’era un uomo vestito interamente di nero che portava un cappuccio lungo a punta che gli copriva la faccia. “Chi è lei?… dove mi sta portando?” dissi, nessuno rispose. Dopo un po’ cominciai ad avere davvero paura. “La vocina, l’uomo incappucciato, la tenda nera, l’inconsapevolezza… cosa stava succedendo, dove stavo andando, con chi ero, sarei tornato a casa?” pensavo. Dopo un lungo e inquietante tragitto l’auto si fermò. “Scendi!” Aprii la portiera e scesi, non ebbi nemmeno il tempo di alzarmi, fui preso e legato, e una ragazza con la faccia coperta da una maschera anti-gas mi fece ingerire qualcosa di acido che mi fece perdere i sensi. Mi risvegliai seduto su una sedia di legno, ero vicino a tanti bambini con la faccia pallida e gli occhi rossi, avevano tutti i capelli neri, erano tutti vestiti con dei pantaloni grigi e una camicia bianca, erano tutti perfettamente uguali, tutti mi guardavano. Sentii un urlo, la porta si spalancò, entrò un carrettino rosso, nessuno lo tirava o lo spingeva, si fermò davanti a me, c’era dentro una piccola radio, si accese. “Scappa!” Mi alzai veloce dalla sedia e corsi verso la porta, la oltrepassai. Mi ritrovai in una stanzetta senza finestre, buia, con una luce fioca, c’era solo un uomo. Ma chi era quell’uomo? “Chi sei?” chiesi “Sono tuo padre, guardami.” Quando tentai di guardargli il viso lui mi prese un braccio e lo girò, ero immobilizzato. Tirò fuori dalla tasca una pistola e me la puntò sulla schiena. “Ho detto guardami!” urlò “Guardami o succederà qualcosa di brutto”. Non riuscivo a guardarlo. “Forse hai bisogno che io ti faccia capire che se non mi guardi accadrà qualcosa di spiacevole… accontentato”. Abbassò la testa e poi la alzò di scatto. Uscirono dal soffitto litri e litri di sangue, continuavano ad aumentare ed aumentare. “Guardami! Guardami!” ripeteva. Non riuscivo a guardarlo, il sangue aumentava, il soffitto era sempre più vicino. “Guardami, guardami”. Dopo un po’ sentii di nuovo la vocina “La la la la”. Gli urli, il sangue, la vocina, la pistola, mio padre. Quando il sangue riempì completamente la stanza ci fu qualche secondo di silenzio, poi ricominciò la vocina e infine mio padre mi sparò. Era solo un sogno… credo! TESTO N.15 Stavo tornando a casa dopo aver fatto una passeggiata con i miei amici. Era buio e c’era una luce soffusa, erano solo le otto di sera. Si sentivano dei rumori di passi che venivano da dietro di me, ed ero sicuro che non ero io. Continuai a camminare facendo finta di niente, però quei rumori si sentivano ancora e più forti, avevo paura di girarmi per vedere chi era, ma alla fine mi girai ma ancora niente, non c’era nessuno, c’ero solo io. Avevo una paura che non si può immaginare, allora iniziai a camminare più veloce sperando di arrivare più presto possibile a casa mia. Oltre ai rumori di passi, iniziarono a sentirsi delle risatine come quelle dei clown malvagi nei film horror. A quel punto ero certo che i miei amici mi avessero fatto uno scherzo, allora mi girai e iniziai a gridare: “Dai, ho capito che è uno scherzo, la smettete?” Niente, nessuna risposta, ma continuavo a sentirsi quei rumori e le risatine. Allora iniziai a camminare più veloce che potevo. Ma ad un certo punto buio, solo buio. Dopo mezz'ora o un quarto d’ora mi ritrovai seduto in una sedia legato molto forte, in una stanza con le luci soffuse. Si sentivano sempre quei rumori, cercavo di liberarmi, ma niente. Ad un tratto le luci si spensero e una voce iniziò a parlare. Era una voce di un uomo adulto. Mi parlava e parlava, ma per la mia paura non capivo più niente. Mi diceva: “So chi sei, so chi è la tua famiglia e soprattutto chi è tuo padre”. Dopo cinque minuti che aveva detto questa frase capii quello che aveva detto, e gli dissi: “chi sei, e come fai a conoscermi?” Lui fece una risatina e mi slegò. Era buio, non vedevo niente, le luci iniziarono ad accendersi e spegnersi in continuazione, mi girai e vidi lui, un signore. Lui disse: “tuo padre mi ha mandato qui, vuole che ti dica di non cercarlo.” Io dissi: “ perché?” “Tu fai così e sarà meglio per te!” Non so come mia mamma avesse fatto, ma era arrivata fino a lì. Dolores tirò fuori una pistola e di conseguenza il signore mi prese e mi mise una pistola puntata sulla schiena. Siamo restati così per circa cinque o dieci minuti e si dicevano: “lascia mio figlio!” “Prima metti per terra la pistola!” Ad un certo punto vidi che il signore era distratto allora riuscii a scappare. Però mia mamma si preparò per sparare, io la spinsi e il proiettile fece solo un taglio sul braccio, ma c’era comunque del sangue per terra. A quel punto lui scappò e anche noi ritornammo a casa. “Per fortuna sono salvo” mi dissi “e per fortuna nessuno è morto”. TESTO N.16 Sarà che è stata una bruttissima giornata: non avevo studiato, l'interrogazione era andata male, avevo preso il brutto voto del compito fatto la settimana scorsa. A metà mattina ero stata chiamata in direzione perché mi incolpavano dei graffiti sul muro della palestra. Avevo un mal di testa tremendo che mi aveva costretto a buttarmi sul divano subito dopo essere entrato a casa. Sarà... alle quattro e mezza mi sono svegliato perché avevo fatto l 'incubo che mi avrebbe cambiato la vita per sempre. Delle immagini dentro la mia mente così terrificanti e così tragicamente reali che domani non voglio andare neppure a scuola. Il sogno era su mio padre, steso per terra con il sangue attorno, tanto sangue attorno. La pistola, la mia mano e quella di un uomo dietro di me. Nell'incubo c'era anche mia madre che assisteva alla scena con le mani tra i capelli. Io non capivo perché avevo una pistola contro le spalle, perché mio padre era steso per terra morto. Era tutto un sogno o era vero? Mi svegliai di soprassalto e corsi in camera dei miei genitori, dormivano tranquillamente nel loro letto, era stato tutto un sogno, però troppo reale. Tornai in camera mia e mi stesi sul letto, avevo paura a chiudere gli occhi, non volevo addormentarmi! Mi alzai e andai in cucina per bere del latte; la mia attenzione fu attirata dalla luce accesa del salotto: come mai a quell'ora, saranno state le cinque, c'era la luce accesa? Con il cuore in gola andai verso quella luce. Vidi mia madre che piangeva disperata e il corpo di mio padre in una pozza di sangue. Dormivo? Era l' incubo o era la realtà? mi stavo perdendo nella mia mente. In quel momento mi sentii afferrare il braccio, mi voltai e vidi un uomo più alto di me con il viso coperto da una maschera nera, riuscivo a vedere solo gli occhi che erano impenetrabili. Mi puntò una pistola fredda e nera sulla testa, io sentii che la stava caricando. Sentii mia madre urlare “noooo”e poi lo sparo, un calore improvviso e un odore di polvere da sparo e poi... il nulla. Mi svegliai di soprassalto, ero vivo? Avevo paura di alzarmi e scoprirlo... TESTO N.17 Quella notte sognai che ero in una capanna degli indiani. Quando uscii vidi degli indiani fare dei riti strani, scorsi la faccia di mio padre legato ad un paletto di legno. Cercai di aiutarlo ma non ci riuscii, due ragazzi abbastanza muscolosi mi presero in braccio e mi buttarono a terra. Mi risvegliai in una grotta dove c’era un lupo, mi inseguì e io chiusi gli occhi… BENG. Poco dopo quel suono aprii gli occhi e il lupo era morto. Mi alzai dal letto e andai in cucina a bere, dopo mi rimisi a dormire. “Sono prigioniero, aiutatemi!” sentii dire… BENG, di nuovo quel suono, ero confuso. Dopo vidi una foto, una foto di una famigliola felice, una tipica famiglia. Non riuscii a mettere la foto in tasca, dato che mi colpirono alla nuca: erano sempre quei due indiani ma questa volta furono più “gentili”, mi portarono da mio padre. Mio padre era ricco, egoista e presuntuoso a tal punto che… “Dammi quei soldi sennò di' addio a tuo figlio!” un signore minacciò mio padre. “Quello te lo puoi tenere, non ti darò il mio gruzzoletto”. Era peggio di un pugno allo stomaco, peggio di una tortura e perfino peggio della morte stessa. Il signore mi sparò, caddi a terra, non annuii. Non ero morto: vedevo, capivo ma non mi potevo muovere, ero paralizzato. Laghi di sangue provenivano dalla mia schiena… arrivò un signore, si chinò verso di me e si mise a piangere. Era mio padre, quello vero, no quel disgraziato ricco ed ingordo, no, lui era mio padre. A quel punto morii completamente…BENG…BENG…BENG! Mi svegliai e mi misi a piangere, il mio cuscino era come una spugna, aveva raccolto lacrima per lacrima. TESTO N.18 Mentre dormivo ho sognato un sogno pauroso in cui c'erano mio padre e Matilda. Matilda era la più paurosa nel mio sogno perché era quella che voleva uccidermi perché io stavo con un'altra ragazza senza che lei lo sapesse, aveva una pistola color nero, mio padre cercava di toglierle la pistola dalle mani, ma lei diceva che se provava a toccarla avrebbe sparato anche a lui. Io tremavo dalla paura e anche la mano di Mati tremava, ad un certo punto le luci si spensero e si sentivano delle grida, Matilda urlava dicendo che non ci dovevamo muovere, se no ci avrebbe sparato. Andò in cantina e accese le luci, noi invece stavamo uscendo dalla finestra ma ci beccò e sparò due volte in aria facendoci prendere paura; ci fece subito rientrare in casa e ci legò a delle sedie,era ormai notte fonda e si mise a dormire. Mio papà aveva un coltellino in tasca e lo tirò fuori cercando di tagliare la corda ma Matilda sentì un rumore e si svegliò, sparò a mio papà sul petto e io mi misi a gridare, infine sparò anche a me. Questo è stato il mio sogno horror. TESTO N.19 Ero in una villa, vecchia, forse molto vecchia. Il pavimento era in legno e scricchiolava a ogni mio passo. Le porte erano tutte rigate, come se fossero state colpite con qualcosa di appuntito. Non c’era elettricità, il telefono non aveva campo. I muri erano vecchi, dipinti con una tonalità giallastra, molto chiara. I mobili proiettavano ombre inquietanti. Sul muro c’erano piccole crepe, su cui scorrevano e cadevano gocce di sangue. Si udiva una musichetta, se si poteva chiamare così. Si ripeteva sempre, aveva un suono monotono e ogni tanto si sentiva come un’unghia che graffiava una lavagna. Ero spaventato, iniziai a camminare in cerca di una candela, non c’era buio, anzi, però nelle stanze c’era come una nebbiolina che mi offuscava la vista. Vidi un gatto nero, zoppicava, gli colava il sangue dal muso, all’improvviso si accasciò a terra e smise di respirare. Sentii uno sparo, caddi dallo spavento, non riuscivo a muovermi, era come se avessi le gambe e le braccia incollate al pavimento. Dei passi si avvicinavano velocemente verso di me, raccolsi tutto il coraggio che avevo e riuscii ad alzarmi e a uscire dalla stanza. Ora ero in un corridoio, c’era un candelabro, lo presi e mi diressi verso un grande salone. Mi spostavo di stanza in stanza senza meta, un improvviso alito di vento spense le candele. Sentii cadere qualcosa, molto vicino a me. Iniziai a correre, ero terrorizzato. Andai a sbattere contro un treppiedi che reggeva un vaso che cadde a terra e finì in mille pezzi, mi aveva sentito. Continuai a camminare ansimando, fino ad arrivare a un altro corridoio che finiva nel salone principale, forse attraversandolo sarei potuto uscire e scappare. Mi accorsi attraverso una finestra di essere al secondo piano. Dovevo arrivare al piano terra. Non ero solo, rumori di passi dietro di me, qualcuno m’inseguiva. Corsi, mai avevo corso così tanto in vita mia. Arrivato alle scale, tentai di scendere ma inciampai e mi feci male a una spalla. Vidi un cadavere attaccato al pavimento con delle catene, era il cadavere di mia madre. Ricominciai a correre fino alla porta, ma era chiusa. Mi nascosi in una stanza laterale della sala, ero dietro una tenda. L’inseguitore era arrivato nella stanza dov’ero io. Lo vidi in faccia, papà! Ero sconvolto, perché scappavo? Perché m’inseguiva? Dove potevo andare?. Ancora di corsa, ora ero al terzo piano! Presi le scale, salii al quarto piano, poi in soffitta. Non avevo la minima idea di come sarei scappato. Vidi una fune, aprii la finestra e la buttai giù dopo averla attaccata con tre nodi ad una colonna di sostegno. Stavo per scendere quando sentii qualcosa di freddo sul collo e una mano che mi teneva fermo, fece una piccola e corta risata e poi disse: ”Game over”. Mi svegliai.