discorso del santo padre francesco ai partecipanti

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discorso del santo padre francesco ai partecipanti
22/6/2014
Ai partecipanti al Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma (16 giugno 2014)
DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO DIOCESANO DI
ROMA DEDICATO AL TEMA:
"UN POPOLO CHE GENERA I SUOI FIGLI, COMUNITÀ E
FAMIGLIE
NELLE GRANDI TAPPE DELL'INIZIAZIONE
CRISTIANA"
Lunedì, 16 giugno 2014
Prima di tutto, buonasera a tutti!
Sono contento di essere tra voi.
Ringrazio il Cardinale Vicario per le parole di affetto e di fiducia che mi ha
rivolto a nome di tutti voi. Grazie anche a Don Giampiero Palmieri e ai due
catechisti Ada e Pierpaolo, che hanno illustrato la situazione. Io ho detto
loro: “Avete detto tutto voi! Io do la benedizione e me ne vado”. Sono
bravi.
Vorrei dire una cosa, senza dubbio: mi è piaciuto tanto che tu, don
Giampiero, abbia menzionato l’Evangelii nuntiandi. Anche oggi è il
documento pastorale più importante, che non è stato superato, del postConcilio. Dobbiamo andare sempre lì. E’ un cantiere di ispirazione
quell’Esortazione Apostolica. E l’ha fatta il grande Paolo VI, di suo pugno.
Perché dopo quel Sinodo non si mettevano d’accordo se fare una
Esortazione, se non farla…; e alla fine il relatore - era san Giovanni Paolo II
- ha preso tutti i fogli e li ha consegnati al Papa, come dicendo: “Arrangiati
tu, fratello!”. Paolo VI ha letto tutto e, con quella pazienza che aveva,
cominciò a scrivere. E’ proprio, per me, il testamento pastorale del grande
Paolo VI. E non è stata superata. E’ un cantiere di cose per la pastorale.
Grazie per averla menzionata, e che sia sempre un riferimento!
In questo anno, visitando alcune parrocchie, ho avuto modo di incontrare
tante persone, che spesso fugacemente ma con grande fiducia mi hanno
espresso le loro speranze, le loro attese, insieme alle loro pene e ai loro
problemi. Anche nelle tante lettere che ricevo ogni giorno leggo di uomini e
donne che si sentono disorientati, perché la vita è spesso faticosa e non si
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riesce a trovarne il senso e il valore. E’ troppo accelerata! Immagino
quanto sia convulsa la giornata di un papà o di una mamma, che si alzano
presto, accompagnano i figli a scuola, poi vanno a lavorare, spesso in
luoghi dove sono presenti tensioni e conflitti, anche in luoghi lontani. Prima
di venire qui, sono andato in cucina a prendere un caffè, c’era il cuoco e gli
ho detto: “Tu per andare a casa tua di quanto tempo hai bisogno?”; “Di
un’ora e mezza…”. Un’ora e mezza! E torna a casa, ci sono i figli, la
moglie…. E devono attraversare Roma nel traffico. Spesso capita a tutti noi
di sentirci soli così. Di sentirci addosso un peso che ci schiaccia, e ci
domandiamo: ma questa è vita? Sorge nel nostro cuore la domanda: come
facciamo perché i nostri figli, i nostri ragazzi, possano dare un senso alla
loro vita? Perché anche loro avvertono che questo nostro modo di vivere a
volte è disumano, e non sanno quale direzione prendere affinché la vita sia
bella, e la mattina siano contenti di alzarsi.
Quando io confesso i giovani sposi e mi parlano dei figli, faccio sempre una
domanda: “E tu hai tempo per giocare con i tuoi figli?”. E tante volte sento
dal papà: “Ma, Padre, io quando vado a lavorare alla mattina, loro
dormono, e quanto torno, alla sera, sono a letto, dormono”. Questa non è
vita! E’ una croce difficile. Non è umano. Quando ero Arcivescovo nell’altra
diocesi avevo modo di parlare più frequentemente di oggi con i ragazzi e i
giovani e mi ero reso conto che soffrivano di orfandad, cioè di orfanezza. I
nostri bambini, i nostri ragazzi soffrono di orfanezza! Credo che lo stesso
avvenga a Roma. I giovani sono orfani di una strada sicura da percorrere,
di un maestro di cui fidarsi, di ideali che riscaldino il cuore, di speranze che
sostengano la fatica del vivere quotidiano. Sono orfani, ma conservano
vivo nel loro cuore il desiderio di tutto ciò! Questa è la società degli orfani.
Pensiamo a questo, è importante. Orfani, senza memoria di famiglia:
perché, per esempio, i nonni sono allontanati, in casa di riposo, non hanno
quella presenza, quella memoria di famiglia; orfani, senza affetto d’oggi, o
un affetto troppo di fretta: papà è stanco, mamma è stanca, vanno a
dormire… E loro rimangono orfani. Orfani di gratuità: quello che dicevo
prima, quella gratuità del papà e della mamma che sanno perdere il tempo
per giocare con i figli. Abbiamo bisogno di senso di gratuità: nelle famiglie,
nelle parrocchie, nella società tutta. E quando pensiamo che il Signore si è
rivelato a noi nella gratuità, cioè come Grazia, la cosa è molto più
importante. Quel bisogno di gratuità umana, che è come aprire il cuore alla
grazia di Dio. Tutto è gratis: Lui viene e ci dà la sua grazia. Ma se noi non
abbiamo il senso della gratuità nella famiglia, nella scuola, nella parrocchia ci
sarà molto difficile capire cosa è la grazia di Dio, quella grazia che non si
vende, che non si compra, che è un regalo, un dono di Dio: è Dio stesso.
E per questo sono orfani di gratuità.
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Gesù ci ha fatto una grande promessa: «Non vi lascerò orfani» (Gv
14,18), perché Lui è la via da percorrere, il maestro da ascoltare, la
speranza che non delude. Come non sentire ardere il cuore e dire a tutti, in
particolare ai giovani: “Non sei orfano! Gesù Cristo ci ha rivelato che Dio è
Padre e vuole aiutarti, perché ti ama”. Ecco il senso profondo dell’iniziazione
cristiana: generare alla fede vuol dire annunziare che non siamo orfani.
Perché anche la società rinnega i suoi figli! Per esempio a quasi un 40% dei
giovani italiani non dà lavoro. Cosa significa? “Tu non mi importi! Tu sei
materiale di scarto. Mi spiace, ma la vita è così”. Anche la società rende
orfani i giovani. Pensate cosa significa che 75 milioni di giovani in questa
civiltà Europea, giovani dai 25 anni in giù, non abbiano lavoro… Questa
civiltà li lascia orfani. Noi siamo un popolo che vuole far crescere i suoi figli
con questa certezza di avere un padre, di avere una famiglia, di avere una
madre. La nostra società tecnologica — lo diceva già Paolo VI — moltiplica
all’infinito le occasioni di piacere, di distrazione, di curiosità, ma non è
capace di portare l’uomo alla vera gioia. Tante comodità, tante cose belle,
ma la gioia dov’è? Per amare la vita non abbiamo bisogno di riempirla di
cose, che poi diventano idoli; abbiamo bisogno che Gesù ci guardi. È il suo
sguardo che ci dice: è bello che tu viva, la tua vita non è inutile, perché a
te è affidato un grande compito. Questa è la vera sapienza: uno sguardo
nuovo sulla vita che nasce dall’incontro di Gesù.
Il Cardinale Vallini ha parlato di questo cammino di conversione pastorale
missionaria. E’ un cammino che si fa e si deve fare e noi abbiamo la grazia
ancora di poterlo fare. Conversione non è facile, perché è cambiare la vita,
cambiare metodo, cambiare tante cose, anche cambiare l’anima. Ma
questo cammino di conversione ci darà l’identità di un popolo che sa
generare i figli, non un popolo sterile! Se noi come Chiesa non sappiamo
generare figli, qualcosa non funziona! La sfida grande della Chiesa oggi è
diventare madre: madre! Non una Ong ben organizzata, con tanti piani
pastorali… Ne abbiamo bisogno, certo… Ma quello non è l’essenziale, quello
è un aiuto. A che cosa? Alla maternità della Chiesa. Se la Chiesa non è
madre, è brutto dire che diventa una zitella, ma diventa una zitella! E’ così:
non è feconda. Non solo fa figli la Chiesa, la sua identità è fare figli, cioè
evangelizzare, come dicePaolo VI nell’Evangelii nuntiandi. L’identità della
Chiesa è questa: evangelizzare, cioè fare figli. Penso a nostra madre Sara,
che era invecchiata senza figli; penso ad Elisabetta, la moglie di Zaccaria,
invecchiata senza figli; penso a Noemi, un’altra donna invecchiata senza
discendenza… E queste donne sterili hanno avuto figli, hanno avuto
discendenza: il Signore è capace di farlo! Ma per questo la Chiesa deve fare
qualcosa, deve cambiare, deve convertirsi per diventare madre. Deve
essere feconda! La fecondità è la grazia che noi oggi dobbiamo chiedere
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allo Spirito Santo, perché possiamo andare avanti nella nostra conversione
pastorale e missionaria. Non si tratta, non è questione di andare a cercare
proseliti, no, no! Andare a suonare al citofono: “Lei vuol venire a questa
associazione che si chiama Chiesa cattolica?...”. Bisogna fare la scheda, un
socio di più… La Chiesa - ci ha detto Benedetto XVI - non cresce per
proselitismo, cresce per attrazione, per attrazione materna, per questo
offrire maternità; cresce per tenerezza, per la maternità, per la
testimonianza che genera sempre più figli. E’ un po’ invecchiata la nostra
Madre Chiesa… Non dobbiamo parlare della “nonna” Chiesa, ma è un po’
invecchiata…. Dobbiamo ringiovanirla! Dobbiamo ringiovanirla, ma non
portandola dal medico che fa la cosmetica, no! Questo non è il vero
ringiovanimento della Chiesa, questo non va. La Chiesa diventa più giovane
quando è capace di generare più figli; diventa più giovane quanto più
diventa madre. Questa è la nostra madre, la Chiesa; e il nostro amore di
figli. Essere nella Chiesa è essere a casa, con mamma; a casa di mamma.
Questa è la grandezza della rivelazione.
E’ un invecchiamento che… credo… - non so se Don Giampiero o il
Cardinale - ha parlato di fuga dalla vita comunitaria, questo è vero:
l’individualismo ci porta alla fuga dalla vita comunitaria, e questo fa
invecchiare la Chiesa. Andiamo a visitare un’istituzione che non è più
madre, ci dà una certa identità, come la squadra di calcio: “Sono di questa
squadra, sono tifoso della cattolica!”. E questo avviene quando c’è la fuga
dalla vita comunitaria, la fuga dalla famiglia. Dobbiamo recuperare la
memoria, la memoria della Chiesa che è popolo di Dio. A noi oggi manca il
senso della storia. Abbiamo paura del tempo: niente tempo, niente
percorsi, niente, niente! Tutto adesso! Siamo nel regno del presente, della
situazione. Soltanto questo spazio, questo spazio, questo spazio, e niente
tempo. Anche nella comunicazione: luci, il momento, telefonino, il
messaggio… Il linguaggio più abbreviato, più ridotto. Tutto si fa di fretta,
perché siamo schiavi della situazione. Recuperare la memoria nella pazienza
di Dio, che non ha avuto fretta nella sua storia di salvezza, che ci ha
accompagnato lungo la storia, che ha preferito la storia lunga per noi, di
tanti anni, camminando con noi.
Nel presente - ne parlerò dopo, se ho tempo - una sola parola dirò:
accoglienza. Ecco, l’accoglienza. E un’altra che avete detto voi: tenerezza.
Una madre è tenera, sa accarezzare. Ma quando noi vediamo la povera
gente che va alla parrocchia con questo, con quell’altro e non sa come
muoversi in questo ambiente, perché non va spesso in parrocchia, e trova
una segretaria che sgrida, che chiude la porta: “No, Lei per fare questo
deve pagare questo, questo e questo! E deve fare questo e questo…
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Prenda questa carta e deve fare…”. Questa gente non si sente a casa di
mamma! Forse si sente nell’amministrazione, ma non a casa della madre.
E le segretarie, le nuove “ostiarie” della Chiesa! Ma segretaria parrocchiale
vuol dire aprire la porta della casa della madre, non chiuderla! E si può
chiudere la porta in tante maniere. A Buenos Aires era famosa una
segretaria parrocchiale: tutti la chiamavano la “tarantola”… non dico di più!
Saper aprire la porta nel presente: accoglienza e tenerezza.
Anche i preti, i parroci e i viceparroci hanno tanto lavoro e io capisco che a
volte sono un po’ stanchi; ma un parroco che è troppo impaziente non fa
bene! A volte io capisco, capisco… Una volta ho dovuto sentire una
signora, umile, molto umile, che aveva lasciato la Chiesa da giovane;
adesso era madre di famiglia, è tornata alla Chiesa, e dice: “Padre, io ho
lasciato la Chiesa perché in parrocchia, da ragazzina - non so se andava
alla Cresima, non sono sicuro… - è venuta una donna con un bambino e ha
chiesto al parroco di fare il Battesimo… - questo tanto tempo fa e non qui
a Roma, da un’altra parte -, e il parroco ha detto di sì, ma che doveva
pagare… «Ma non ho i soldi!». «Vai a casa tua, prendi quello che hai,
portamelo e io ti battezzo il figlio»”. E quella donna mi parlava in presenza
di Dio! Questo succede… Questo non significa accogliere, questo è chiudere
la porta! Nel presente: tenerezza e accoglienza.
E per il futuro, speranza e pazienza. Dare testimonianza di speranza,
andiamo avanti. E la famiglia? E’ pazienza. Quella che san Paolo ci dice:
sopportarvi a vicenda, l’un l’altro. Sopportarci. E’ così.
Ma torniamo al testo. La gente che viene sa, per l’unzione dello Spirito
Santo, che la Chiesa custodisce il tesoro dello sguardo di Gesù. E noi
dobbiamo offrirlo a tutti. Quando arrivano in parrocchia - forse mi ripeto,
perché ho fatto una strada diversa e mi sono allontanato dal testo -, quale
atteggiamento dobbiamo avere? Dobbiamo accogliere sempre tutti con
cuore grande, come in famiglia, chiedendo al Signore di farci capace di
partecipare alle difficoltà e ai problemi che spesso i ragazzi e i giovani
incontrano nella loro vita.
Dobbiamo avere il cuore di Gesù, il quale «vedendo le folle ne sentì
compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno
pastore» (Mt 9,36). Vedendo le folle, ne sentì compassione. A me piace
sognare una Chiesa che viva la compassione di Gesù. Compassione è
“patire con”, sentire quello che sentono gli altri, accompagnare nei
sentimenti. E’ la Chiesa madre, come una madre che carezza i suoi figli con
la compassione. Una Chiesa che abbia un cuore senza confini, ma non solo
il cuore: anche lo sguardo, la dolcezza dello sguardo di Gesù, che spesso è
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molto più eloquente di tante parole. Le persone si aspettano di trovare in
noi lo sguardo di Gesù, a volte senza nemmeno saperlo, quello sguardo
sereno, felice che entra nel cuore. Ma — come hanno detto i vostri
rappresentanti – deve essere tutta la parrocchia ad essere una comunità
accogliente, non solo i sacerdoti e i catechisti. Tutta la parrocchia!
Accogliere…
Dobbiamo ripensare quanto le nostre parrocchie sono accoglienti, se gli
orari delle attività favoriscono la partecipazione dei giovani, se siamo capaci
di parlare i loro linguaggi, di cogliere anche negli altri ambienti (come ad
esempio nello sport, nelle nuove tecnologie) le possibilità per annunciare il
Vangelo. Diventiamo audaci nell’esplorare nuove modalità con cui le nostre
comunità siano delle case dove la porta è sempre aperta. La porta aperta!
Ma è importante che all’accoglienza segua una chiara proposta di fede; una
proposta di fede tante volte non esplicita, ma con l’atteggiamento, con la
testimonianza: in questa istituzione che si chiama Chiesa, in questa
istituzione che si chiama parrocchia si respira un’aria di fede, perché si
crede nel Signore Gesù.
Io chiederò a voi di studiare bene queste cose che ho detto: questa
orfanezza, e studiare come far recuperare la memoria di famiglia; come
fare affinché nelle parrocchie ci sia l’affetto, ci sia la gratuità, che la
parrocchia non sia una istituzione legata solo alle situazioni del momento.
No, che sia storica, che sia un cammino di conversione pastorale. Che nel
presente sappia accogliere con tenerezza, e sappia mandare avanti i suoi
figli con la speranza e la pazienza.
Io voglio tanto bene ai sacerdoti, perché fare il parroco non è facile. E’ più
facile fare il vescovo che il parroco! Perché noi vescovi sempre abbiamo la
possibilità di prendere le distanze, o nasconderci dietro il “Sua Eccellenza”, e
quello ci difende! Ma fare il parroco, quando ti bussano alla porta: “Padre,
questo, padre qua e padre là…”. Non è facile! Quando ti viene uno a dire i
problemi della famiglia, o quel morto, o quando vengono a chiacchierare le
cosiddette “ragazze della caritas” contro le cosiddette “ragazze delle
catechesi”… Non è facile, fare il parroco!
Ma voglio dire una cosa, l’ho detta un’altra volta: la Chiesa italiana è tanto
forte grazie ai parroci! Questi parroci che - adesso avranno un altro sistema
- dormivano col telefono sopra il comodino e si alzavano a qualsiasi ora per
andare a trovare un ammalato… Nessuno moriva senza i Sacramenti…
Vicini! Parroci vicini! E poi? Hanno lasciato questa memoria di
evangelizzazione…
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Pensiamo alla Chiesa madre e diciamo alla nostra madre Chiesa quello che
Elisabetta ha detto a Maria quando era diventata madre, in attesa del figlio:
“Tu sei felice, perché hai creduto!”.
Vogliamo una Chiesa di fede, che creda che il Signore è capace di farla
madre, di darle tanti figli. La nostra Santa Madre Chiesa. Grazie!
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