Terra, AD - Confronti

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Terra, AD - Confronti
24 agosto 2011 - numero 30
www.confronti.info
Terra, A.D. 2100
Mensile progressista della Svizzera italiana
Dunca Daniel
editoriale
Fino a prova contraria
su questo numero
di Marco Cagnotti
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Editoriale
Il lupo non è solitario
Bufale negazioniste
«È colpa nostra»
«Viviamo in un laboratorio»
Climategate
La voce del dissenso
La lobby nucleare si ricorda
del clima
Attenti agli spifferi
Terramatta
Paranoia antistranieri
La corsa di Tita
Occasioni perse
La balena bianca
Colpa loro… no, eh?
La bestemmia in chiesa
del «GdP»
I «diari» di Mussolini
Fumetto…
Rapporto confidenziale
Tifosi?
Nel nome della rosa
Accidenti
Errata Corrige
Nel numero di luglio, a pag. 8,
ovviamente la metà di un quintale è 50 chili, non 500.
Hanno collaborato a questo numero
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Adriano Agustoni, Pietro Canovati,
Tita Carloni, cri.bro, Gabriele Croci,
Michele De Lauretis, Firmino,
Daniele Fontana, Françoise Gehring,
Marlis Gianferrari, Giobbe, Don Juan,
Teo Lorini, Carlo Maffei, Mandrake,
Occhiovigile, Emma Peel, Roberto Rippa,
Astutillo Smeriglia, Silvano Toppi,
Cristina Valsecchi, Libano Zanolari.
No, non siamo liberi. Non siamo liberi
di dire quello che ci pare. O, meglio,
siamo sì liberi di sostenere qualsiasi
idiozia ci passi per la mente (ci mancherebbe: esiste la libertà di espressione!), ma non siamo liberi di
pretendere che goda di attenzione e
credito: un'idiozia rimane un'idiozia,
se contrasta con i fatti osservati. Perché la Natura è matrigna, non madre,
e non ci fa (quasi) mai la cortesia di
soddisfare i nostri desideri: il mondo
è com'è, non come ci piacerebbe che
fosse. Quindi, per esempio, le Torri
Gemelle non sono state abbattute
dalla CIA e dal Mossad, i «rimedi»
omeopatici non funzionano meglio di
un placebo, non c'è bisogno di ipotizzare una creazione divina di Homo sapiens e (per restare nel tema del
nostro dossier) il clima si sta riscaldando, lo fa per colpa nostra e in futuro andrà pure peggio.
Ne consegue che la critica argomentata non è lecita? Ovviamente no. La
ricerca scientifica è un costante work
in progress, nel quale nuove osservazioni e nuove teorie possono mettere
in crisi il paradigma dominante e addirittura costringere gli scienziati a
cambiarlo. Il paradigma è il quadro
teorico all'interno del quale si muove
una comunità scientifica: un quadro
coerente, fino a prova contraria, con
le misure e le osservazioni. Ciò significa che la maggioranza degli specialisti di una certa disciplina aderisce a
quel paradigma. Poi, certo, ci sono le
voci discordi di scienziati «eretici»:
sono coloro che non trovano convincente il paradigma e ritengono che
debba essere modificato o sostituito.
Sono preziosissimi, perché rappresentano la coscienza critica della comunità scientifica, con il ruolo insostituibile di impedire ai colleghi di adagiarsi sugli allori delle troppo facili
certezze. Gli «eretici» attirano l'attenzione sulle eventuali discrepanze fra
teorie e osservazioni, sui fatti nuovi e
non spiegabili all'interno del paradigma, sulle possibili interpretazioni
alternative delle misure raccolte. I loro
argomenti vanno ascoltati e considerati con serietà e attenzione, ma…
…fino a prova contraria il paradigma
rimane dominante. Forse un giorno
sarà necessario rivederlo e magari so-
stituirlo, tuttavia, in assenza di qualcosa di meglio sostenuto da prove altrettanto forti, bisogna accettarlo.
D'altronde, se migliaia di scienziati si
riconoscono in quel paradigma, vorrà
dire qualcosa? Nel nostro caso, sostenere che il riscaldamento globale non
c'è, o che c'è ma non è provocato dalle
attività umane, significa insinuare che
i climatologi sono, a migliaia, condizionati da un pregiudizio ideologico. E
questa è una colossale idiozia. A maggior ragione quando l'accusa arriva
non da chi a propria volta è specialista
in climatologia, ma da un editorialista
politico o da un economista neoliberista. Che titolo ha, per dire, un Paolo
Pamini qualsiasi per discettare di fisica dell'atmosfera? Eppure, non appena una nevicata memorabile
ammanta le pianure o un luglio piovoso e frescolino mette in crisi il turismo estivo, troviamo subito costoro a
chieder conto del «presunto riscaldamento globale». Citando, in mancanza
del climatologo «eretico» disposto a
sostenerli nella polemica, qualche sociologo o biologo della Miskatonic University o magari perfino lo Zichichi di
turno che, stufo di sproloquiare su Dio
e sulla creazione dell'universo, decide
di estendere la propria insipienza
anche al clima: personaggi che per il
comune cittadino sono «scienziati» e
quindi degni di credito, ma la cui autorevolezza sul clima è trascurabile.
Tuttologi, neoliberisti, scienziati off
topic e fisici incarogniti dal Nobel
mancato invocano le ragioni dell'economia, della produzione e del consumo, che (a sentir loro) non
dovrebbero subire i lacci e i lacciuoli
imposti per difendere l'ambiente in
nome del bene collettivo, insinuando
che «la climatologia non è una scienza
esatta» e che «non ci sono prove definitive del global warming». Ma i fatti
esistono e le relazioni fra loro possono
essere messe alla prova. Il riscaldamento climatico globale è un fatto, la
produzione umana di gas serra pure,
il legame causale fra i due fatti è accertato, i modelli per descrivere l'evoluzione futura del clima sono
affidabili.
Sicché, se un pregiudizio ideologico
esiste, sta nelle teste di chi nega l'evidenza. Fino a prova contraria.
economia
Il lupo non è solitario
di Silvano Toppi
Il successo sta nel fatto che in Norvegia (parliamo in particolar modo della
Norvegia che non appartiene né alla
Unione Europea né alla zona euro) la
concezione di Stato-provvidenza è ben
diversa da quella che prevale in Europa. Infatti la Norvegia ha creato ciò
che viene definito uno «Stato delle risorse efficace, razionale, democratico». Come? La risposta è lunga e
articolata. In estrema sintesi, rileviamo: evitando i conflitti di classe codificando l'assieme della «vita al
lavoro» (arbeidsliv, espressione che
non riguarda solo il lavoro in se stesso
ma tutti i rapporti dentro la comunità
di lavoro); ottenendo il pieno impiego
non con misure protezionistiche ma
con l'adeguamento dinamico di industrie e servizi; promuovendo azioni di
governo che ostacolino l'ineguaglianza smodata dei redditi; considerando le risorse naturali (acqua,
minerali, foreste, petrolio) come beni
pubblici che, anche se sfruttati da privati, costituiscano dapprima una giusta retribuzione alla collettività;
gestendo le risorse (umane, capitalistiche, naturali) a beneficio di tutti senza
privilegiare, con pretesti di progresso
o competitività, la finanza o l'industria; ritenendo la sovranità finanziaria coessenziale alla sopravvivenza
dello «Stato delle risorse» nel senso
che la banca, la finanza, le operazioni
su azioni siano in misura maggioritaria nelle mani di società locali o scandinave e non di istituzioni di altri
Paesi e siano quindi finalizzate al benessere di tutto il Paese, cosicché solo
in questo modo il risparmio o il capitale locale possano essere partner di
lunga durata delle imprese.
Dunque priorità al lavoro e al diritto
del lavoro. Priorità al giusto impiego
delle risorse umane, all'innovazione e
alla cultura d'impresa, prima che a un
fluenza di una parte sociale contraente (il lavoro, i sindacati), sia con l'affermarsi dell'ideologia di destra che
gioca sulla paura dello straniero (che
sottrae essenza identitaria e benessere ai norvegesi), destra che avversa
pure lo Stato con le sue regolamentazioni (burocrazia). Ideologia che per
motivi diversi è in larga misura finanziata dal padronato. Secondo: per la
nuova sfida che investe il Paese e che
il «lupo solitario» (ma tutt'altro che
solitario) voleva condurre nella sua direzione. La sfida consiste nel riuscire
a difendere l'equilibrio raggiunto dal
Paese contro le forze ideologiche e finanziarie sviluppatesi negli ultimi
tempi, in un connubio che in Europa
ha sempre provocato disastri enormi.
Infatti le forze finanziarie pretendono
che la parte più ampia possibile del
valore creato vada verso i profitti o
che i maggiori guadagni vadano verso
i proprietari o gli intermediari del capitale piuttosto che verso i salari, l'imposta, la solidarietà. Fanno quindi
leva su quei movimenti che, agendo
invece sulla paura del crollo del benessere a causa delle invasioni straniere, ripropongono, addirittura sotto
l'etichetta di «progresso», il terreno ideale per un nuovo
capitalismo di rapina
contro cui la Norvegia ha sempre
operato.
Non ci vorrà
molto per dedurre da tutto
questo le similitudini che corrono
anche per la Svizzera e per il Ticino. Oppure che
la
domanda
dei
media, «Può capitare
anche da noi?», poteva avere altro
senso.
Anders
Behring Breivik
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protezionismo di
chiusura. Priorità
alla ridistribuzione
della ricchezza (attraverso la politica
fiscale, che dai dati
esposti e dai confronti fatti non risulta
eccessiva
come si crede).
Priorità assoluta
data ai beni comuni (risorse naturali,
ritenute
«proprietà
della
nazione»): è significativo, ad esempio, che i redditi ricavati dallo
sfruttamento del gas e del petrolio
siano versati in un fondo di pensione
pubblico (Norwegian Government
Pension Fund) «creato con lo scopo di
permettere alle generazioni future di
beneficiare dei redditi ottenuti dalla
vendita di beni comuni» (è il secondo
fondo sovrano del mondo e gestisce
attualmente più di 560 miliardi di dollari). Priorità alla funzione creativa interna, più che alla ricerca di
performance finanziarie all'esterno
del proprio risparmio e dei capitali.
Dopo la tragedia norvegese appare ancora più significativo
il fatto che il rapporto citato già nel febbraio
scorso si chiedeva chi
possa minacciare o
mettere a repentaglio
questa «via nordica».
E rispondeva che la
vulnerabilità poteva
manifestarsi su due
lati. Primo: per l'indebolimento sistematico del
diritto del lavoro. Sia
con la perdita di in-
Tragedia norvegese: vediamola da un altro
lato. Come fanno i Paesi nordici, con tassi di
imposizione fiscale gravosi e con spese pubbliche elevate nei settori della socialità e della
formazione, a risultare più equilibrati e più
prosperi degli altri Paesi europei? The Nordic
Model: Is it Sustainable and Exportable?
(bit.ly/thenordicmodel) è un rapporto pubblicato l'8 febbraio scorso (quindi anteriore alla
tragedia norvegese) a Oslo dalla Norwegian
Business School (già Norwegian School of Management) e dall'Università di Oslo, nel quale
si dà una risposta, dimostrata, forse diversa da
quella che ci attenderemmo.
dossier
di Carlo Maffei
Bufale negazio
Metti caso che sei lì, al Bar Sport, a leggerti tranquillo il giornale. Le solite cose: le devastazioni notturne a Londra, Berlusconi dichiara che la crisi non c'è e se c'è non è grave e se è
grave fa niente, il Nano dice che vuol costruire un muro lungo
tutta la frontiera ticinese. Mentre mediti sulla dissennatezza
umana, si avvicina un tuo amico e ti presenta un suo conoscente: un giovane economista rampante membro dell'Istituto
Bruno Leoni. Siccome il tempo pazzerello è sempre un buon
argomento da affrontare con gli sconosciuti, il discorso devia
velocemente verso i mutamenti climatici.
Il giovane economista sembra informato. Sostiene che il riscaldamento globale non c'è, se c'è non è grave e se è grave fa
niente (ma li fanno con lo stampino, i destrorsi?). E snocciola
affermazioni in apparenza documentate e lunghe liste di «famosi scienziati scettici sul global warming». Come gli rispondi?
Vediamo gli argomenti più frequenti proposti dai climate skeptic e cerchiamo di capire perché sono bufale belle e buone.
Il clima è già cambiato in passato
Risposta: Vero. Ma…
La scienza è in grado di ricostruire con buona precisione le condizioni
climatiche del passato e di comprenderne le cause. Il risultato è che sì,
è vero: nella storia del pianeta ci sono state variazioni significative della
temperatura media e anche periodi più caldi di oggi, ovviamente non
per colpa dei SUV e delle centrali a carbone. Ma proprio la comprensione dei meccanismi naturali che inducono i mutamenti ci mostra che
un fattore fondamentale è la quantità di anidride carbonica nell'atmosfera. Ebbene, negli ultimi 200 anni, dopo la Rivoluzione Industriale,
proprio le attività umane hanno contribuito ad arricchire l'atmosfera di
anidride carbonica, a causa della combustione delle fonti fossili di energia. È questa la novità: stavolta la responsabilità è nostra. E la situazione, se la confrontiamo con l'andamento passato del clima, potrà solo
peggiorare. Specie se non ci daremo una calmata.
L. Rinder
È solo colpa del Sole
Risposta: Se fosse per il Sole, il clima dovrebbe raffreddarsi, piuttosto.
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La principale fonte di energia per tutte le forme viventi e per la civiltà umana è il Sole. Nel nostro caso, non solo l'energia ricavata direttamente dai pannelli solari. I combustibili fossili, per esempio, sono prodotti dalla decomposizione di organismi
vissuti molti milioni di anni fa, che prosperavano grazie al Sole. Inoltre sfruttiamo l'energia idroelettrica perché c'è il ciclo dell'acqua (dagli oceani alle montagne e infine ancora agli oceani), mantenuto dal Sole. Perfino l'energia chimica nei nostri corpi
arriva dalla nostra stella: l'abbiamo ricavata dalla bistecca mangiata qualche giorno fa, bistecca che prima era una mucca,
che si nutriva di erba, che a propria volta prendeva energia dal Sole (se siamo vegetariani saltiamo la mucca e andiamo dritti
all'erba, ma la sostanza non cambia). Solo le fonti di energia nucleare, geotermica e mareale non derivano direttamente dalla
nostra stella. Ma allora, se è così importante, perché non può essere proprio il Sole la causa del mutamento climatico osservato?
Se ci limitassimo a considerare il contributo solare, il clima terrestre dovrebbe raffreddarsi, non riscaldarsi. Infatti il ciclo undecennale di attività del Sole è andato calando di intensità negli ultimi decenni. Anzi, secondo alcuni fisici solari potrebbe
perfino sparire entro pochi anni. Se sussiste una correlazione con il clima terrestre (e la faccenda è controversa), l'attività
solare dovrebbe implicare un raffreddamento. Invece la temperatura media aumenta, alla faccia del Sole. Perciò non è lui il
responsabile.
dossier
niste
In realtà il clima si sta raffreddando
Risposta: Non confondere il clima
con il tempo meteorologico.
I modelli climatici
sono inaffidabili
Alcuni anni fa, in occasione di una formidabile nevicata, «il Giornale» titolava in prima
pagina, sotto una grande foto di Milano sommersa dalla neve: «Ecco il riscaldamento
globale». Questa è un'idiozia che viene ripetuta ogni volta che il tempo meteorologico
sembra contraddire il global warming e che nasce dalla confusione fra le condizioni
meteorologiche e il clima. Le prime possono variare parecchio, ma ciò che conta è la
tendenza climatica globale su tempi medio-lunghi e su scala planetaria. Un inverno
gelido e un'estate frescolina sulle Alpi, anche per un paio di anni di fila, sono perfettamente compatibili con il riscaldamento globale, che viene rivelato da ricerche su
scala decennale e condotte su tutto il pianeta. Ebbene, gli indicatori-chiave sono concordi: le temperature vicino alla superficie e nella troposfera aumentano, i ghiacciai
e le banchise si ritirano, la copertura nevosa diminuisce, il livello degli oceani cresce.
Poi, certo, alcune giornate del luglio di quest’anno sembravano autunnali. Ma questo
non significa nulla.
Risposta: Falso.
Non è poi così male
Risposta: Vallo a raccontare ai più poveri.
Se è vero che alle alte latitudini, nei climi temperati, un riscaldamento climatico può
portare dei benefici all'agricoltura, le catastrofi alle basse latitudini compensano abbondantemente. Il riscaldamento globale provocherà carestie e siccità, perdita di biodiversità, desertificazione, aumento del livello degli oceani, erosione costiera… e di
conseguenza ecatombi, guerre ed esodi massicci di milioni di persone.
D'altronde anche da noi non saranno tutte rose e fiori. E no, non si tratta banalmente
delle stazioni sciistiche in crisi. Se pioverà e nevicherà meno, non solo ci sarà meno
da bere, ma sarà anche più difficile riempire gli invasi dei laghi artificiali per produrre
energia idroelettrica. Il permafrost, cioè lo strato sotterraneo di terreno sempre ghiacciato, si indebolirà, provocando frane più frequenti e più gravi. Si libereranno dal sottosuolo i depositi di metano, che a propria volta è un gas serra e aggiungerà il proprio
effetto a quello dell'anidride carbonica.
La questione è controversa
e la comunità scientifica è spaccata
Risposta: Falso.
Ci sono voci critiche nella comunità dei climatologi.
Proviamo però a quantificarle, per vedere se davvero
«la comunità scientifica è divisa».
Fra il 1993 e il 2003 non è stato pubblicato un solo
articolo su una rivista professionale che negasse la
responsabilità umana nel global warming. Più del 95
per cento degli specialisti in climatologia concorda
nell'individuare nelle attività dell'uomo la causa del
riscaldamento globale. Nessuna fra le più importanti
istituzioni scientifiche nazionali e internazionali
mette in discussione la teoria dominante sui mutamenti climatici. E negli elenchi di «famosi scienziati
critici sul riscaldamento globale di origine antropica», spesso citati dai negazionisti, pullulano gli economisti, i sociologi, i genetisti, i matematici, i fisici
nucleari. I climatologi, cioè le persone davvero competenti, in quegli elenchi non ci sono o, se ci sono, si
contano sulle dita di una mano.
Per saperne di più
Gli argomenti dei negazionisti
sono spesso difficili da controbattere. Ma la Rete ci fornisce
potenti controargomenti. Il sito
Climalteranti.it (www.climalteranti.it) è tutto in italiano. RealClimate (www.realclimate.org) è
in assoluto il più aggiornato e
completo. Skeptical Science
(www.skepticalscience.com)
smonta le tesi negazioniste una
per una con dovizia di documentazione scientifica. Skeptical
Science propone pure un ottimo
ebook gratuito di approfondimento sul global warming, disponibile anche in italiano
(bit.ly/guidascientifica). Non bastasse, c'è pure un'app per gli
smartphone. Poi non dire che
non sai che cosa rispondere…
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La climatologia è una scienza «storica», come l'astrofisica: non può riprodurre in laboratorio il sistema
sottoposto a indagine. Però può crearne delle versioni virtuali, cioè simulazioni all'interno di computer: sono i
modelli. E sono comodi: basta modificare i parametri del sistema e poi stare
a vedere che succede.
È chiaro che è un'impresa difficile, perché il sistema è molto complesso e le
interazioni fra i diversi fattori sono
complicate. Però non è impossibile. E
funziona: lo dimostra l'applicazione dei
modelli ai dati del passato, dai quali si
ricostruisce il clima presente. Anche di
fronte a eventi nuovi e imprevisti, come
l'improvvisa eruzione di un vulcano
che scaraventa nell'atmosfera alcuni
chilometri cubi di materiale, alcuni modelli possono prevedere che cosa succederà, ossia, per esempio, come
cambierà la temperatura media. E, di
fatto, s'è visto che ci azzeccano. Tutto
questo dà una ragionevole sicurezza
anche sulla previsione del futuro. Ovviamente un modello non può dire che
tempo farà in Danimarca il 7 febbraio
del 2023. Può però prevedere delle tendenze di massima nell'arco dei prossimi decenni.
I modelli vengono continuamente perfezionati, grazie all'aumento della potenza di calcolo dei computer e alle
nuove misure raccolte sul campo: al
suolo, nell'atmosfera e dallo spazio.
Sono dunque uno strumento prezioso e
affidabile. E tutti conducono alla stessa
conclusione: il clima della Terra va
verso un riscaldamento globale e la sua
causa è l'attività umana di produzione
di energia dai combustibili fossili.
dossier
«È colpa
di Marco Cagnotti
nostra
scienziato serio.
Non solo abbiamo
le osservazioni raccolte da quando le
temperature vengono misurate rigorosamente, ma
anche i dati della
paleoclimatologia.
Sono molte le metodologie raffinate
che ci permettono
di ricostruire la
climatica:
storia
dai pollini fossili ai
sedimenti oceanici
e lacustri, fino all'estensione dei
ghiacciai, che chiunque può vedere
con i propri occhi. Botanici, paleontologi e chimici collaborano con i climatologi per disegnare il quadro
complessivo. Dal quale si conclude,
per esempio, che rispetto a un secolo
e mezzo fa la temperatura media è più
alta di circa 1 grado.
«Signora mia, non ci sono più le mezze stagioni»: lo dicono le nostre nonne e probabilmente lo dicevano anche le loro nonne. Da
sempre la saggezza popolare ha rivolto la propria attenzione verso il cielo e i suoi fenomeni.
Ovvio: la civiltà contadina non poteva prescinderne. Sicché cercava regolarità e anomalie.
Qualche volta azzeccandoci, qualche altra no.
Poi è arrivata la scienza, 400 anni fa, con il rigore delle misure quantitative. E nell'ultimo
secolo e mezzo ha dimostrato che il clima sta
mutando in direzione di un riscaldamento globale. Non solo: ha individuato un responsabile.
E tenta pure qualche proiezione verso il futuro.
Volto noto della televisione per la sua
presenza regolare alla trasmissione di
Fabio Fazio, Luca Mercalli è un
uomo pacato. Non te l'immagini lasciarsi andare a una sfuriata violenta.
Eppure nella sua voce si percepisce,
contenuta ma inconfondibile, l'indignazione. La stessa che emerge dai
suoi libri, il più recente dei quali, Prepariamoci, è appena stato pubblicato
da Chiarelettere. Indignazione per la
resistenza altrui, in buona o in cattiva
fede, nell'accettare un fatto palese: il
riscaldamento climatico e le sue cause
umane. Indignazione per l'incapacità
di trarne le dovute conseguenze e per
la pigrizia nell'opporsi cambiando i
propri stili di vita. Ma chi è davvero
Luca Mercalli? Uno che ha capito tutto
sul clima oppure una Cassandra catastrofista?
Professor Mercalli, lei è un autorevole climatologo che si esprime a favore della teoria del riscaldamento
globale e…
Calma: la fermo subito. Io mi occupo
solo di una piccola parte della climatologia: lo studio del clima e dei ghiacciai nell'arco alpino. Poi, siccome
m'interesso pure di comunicazione
della scienza, mi faccio anche portavoce di una comunità scientifica molto
vasta. In quest'ambito, il mio ruolo
non consiste nel concordare con una
tesi o con un'altra, ma nel portare al
grande pubblico la conoscenza del paradigma dominante.
Paradigma secondo il quale il clima
sta cambiando e la temperatura
media sta aumentando.
Sì, il clima sta cambiando.
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Ne siamo sicuri?
Il riscaldamento climatico non è
messo in discussione da nessuno
D'altronde nei miliardi di anni di
storia del pianeta il clima è già cambiato molto e spesso. Perché preoccuparsi, allora?
Anzitutto perché stavolta l'umanità ci
ha messo lo zampino: lo ha fatto in
passato e lo farà ancora nei prossimi
decenni. La nostra specie è un prodotto recente dell'evoluzione: i primi
ominidi risalgono a 6 milioni di anni
fa e Homo sapiens ha circa 200 mila
anni. E l'invenzione dell'agricoltura risale a 8.000 anni fa. Però solo negli ultimi due secoli, a partire dalla
Rivoluzione Industriale, abbiamo
agito forzando il sistema climatico
verso condizioni che non si erano mai
viste prima negli ultimi 3,5 milioni di
anni: 394 parti per milione di anidride
carbonica nell'atmosfera.
Però la stessa umanità si è trovata a
dover fronteggiare situazioni climatiche molto differenti, nel proprio
passato.
Sì, ma questo non significa che possa
farlo sempre e in tutte le condizioni.
Supponiamo per un momento che la
tendenza sia invertita, cioè che ci
stiamo avviando verso un raffreddamento globale. Dovremmo forse pensare di poterlo affrontare a cuor
leggero solo perché 20 mila anni fa i
nostri antenati hanno già vissuto nell'Era Glaciale? A quell'epoca c'erano
5 milioni di esseri umani nomadi e
cacciatori. Oggi ci sono 7 miliardi di
persone, praticamente tutte sedentarie. Lei se lo immagina un Nordamerica ricoperto da una coltre di
ghiaccio?
D'accordo. Ma noi che c'entriamo?
Insomma, come si può essere sicuri
che la responsabilità del global warming sia umana?
Abbiamo 100 anni di ricerche scientifiche che ci consentono di compren-
Il piccolo ghiacciaio della Porta (Gran Paradiso) nel 1897 (a sinistra) e nel 2005 (a destra).
»
Chi è
Luca Mercalli ha studiato agrometeorologia in Italia e climatologia in Francia, specializzandosi nella ricostruzione dei climi e
nel monitoraggio dei ghiacciai delle Alpi.
Presiede la Società Meteorologica Italiana,
associazione nazionale fondata nel 1865, dirige la rivista di settore «Nimbus» e svolge attività didattica per scuole, università e corsi di formazione.
Ha una vasta esperienza di giornalismo scientifico e comunicazione ambientale, con oltre 1.000 articoli scritti per «la Repubblica», «La Stampa»,
«Donna moderna», «Il Caffè», «Gardenia», ed è ospite fisso dei programmi
televisivi «Che tempo che fa» su RAI3 e «TGR Montagne» su RAI2. Tra i
suoi libri divulgativi, Filosofia delle nuvole (Rizzoli), Che tempo che farà
(Rizzoli), Viaggi nel tempo che fa (Einaudi), Prepariamoci (Chiarelettere).
La probabilità, non la certezza. Già
in passato i paradigmi dominanti si
sono rivelati scorretti e sono stati
sostituiti da altri. E se vi sbagliaste?
Non ho parlato di «probabilità» a
caso. La certezza assoluta non esiste.
Spesso mi sento obiettare che la climatologia non è una scienza esatta.
Ma quale scienza è esatta? Forse che
la medicina è una scienza esatta? Non
per questo rinunciamo a curare le
malattie. E che dire perfino della banale tecnologia quotidiana? Lei ha
forse la certezza che la sua automobile
partirà, la prossima volta in cui cercherà di accenderla? Certo che no. Si
può solo dire quante vetture si rompono ogni 100 mila, non quando e
come si romperà quella precisa automobile. E comunque lei domani proverà ad avviare la sua auto.
Sicché i modelli climatici attuali
sono quanto di meglio la scienza è
stata capace di fare finora, fino a
prova contraria vanno presi sul
serio e gli scienziati sono concordi
nel concludere che il riscaldamento
globale è un fatto e che la responsabilità è del genere umano. Eppure
molti non sono d'accordo e…
Non è vero.
Lo so: non è vero nella comunità
scientifica, che a grande maggioranza aderisce al paradigma. Tuttavia, anche fra i climatologi, qualche
voce discorde c'è. Richard Lindzen,
per esempio…
Richard Lindzen è riconosciuto come
uno dei pochi fisici dell'atmosfera critici e con le giuste competenze nel set-
Società Meteorologica Italiana
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dere come funziona il sistema climatico e quali interruttori agiscono sul
bilancio energetico. Uno di questi interruttori è proprio l'anidride carbonica, la cui concentrazione ci è nota
dai carotaggi nei ghiacci polari.
Quando sviluppiamo i modelli climatici, possiamo modificare la quantità
di questo gas serra nelle simulazioni
numeriche. E, quando la aumentiamo
virtualmente nella ricostruzione del
clima del passato, scopriamo che
anche la temperatura aumenta. La
probabilità che l'anidride carbonica di
origine fossile sia la causa dell'attuale
e futuro aumento termico è elevatissima.
dossier
tore. D'altronde le sue tesi sono variate con il tempo. All'inizio negava
addirittura il riscaldamento globale,
poi ha cambiato opinione focalizzandosi su altri dettagli. In sostanza, le
sue obiezioni si riducono a un piccolo
ambito del problema. D'altronde Lindzen è piuttosto isolato e parla solo
per se stesso.
Si potrebbe dire lo stesso anche di
Luca Mercalli.
Ma infatti, come ho detto all'inizio, io
mi guardo bene dal dire che Luca
Mercalli ha capito tutto del cambiamento climatico. Io sono solo uno specialista di un piccolo settore della
climatologia alpina, nel quale faccio
ricerca attiva, e inoltre mi presento
come portavoce di una grande comunità scientifica, che conosco molto
bene perché frequento i congressi,
parlo con i miei colleghi e leggo la letteratura scientifica anche di fuori del
mio ristretto ambito di competenza.
Ma in generale sospetto molto di un
quadro nel quale la scienza viene presentata con un uomo solo al comando,
con il professor Tal dei Tali che ha capito tutto e dimostra che gli altri sono
tutti scemi. Poteva andar bene nell'Ottocento, ma non va più bene oggi, perché la ricerca di punta è un lavoro di
cesello svolto da équipe di decine o
centinaia di scienziati.
Tuttavia, al di fuori della comunità
dei climatologi, la questione del riscaldamento globale e della responsabilità umana viene presentata
come se fosse controversa. Come se
i fatti non fossero ancora accertati.
Così almeno descrivono il problema
i mezzi d'informazione.
Se lei fa un esame del modo in cui i
media descrivono i grandi temi oggetto di dibattito, dalla fecondazione
assistita agli OGM, dall'eutanasia all'energia nucleare, si accorgerà che le
controversie sono ovunque e che c'è
una grande superficialità, che deriva
dalla semplificazione. Ma semplificare
non è possibile. Consideri solo quante
parole sto spendendo io con lei, in
quest'intervista, e soltanto per grattare la superficie del problema. Invece
la stampa e la televisione vogliono
sempre semplificare. Prenda il caso,
per esempio, del presunto optimum
termico medievale…
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Già, il Medioevo: era un'epoca dal
clima mite, vero? Lo si legge dap-
pertutto. E di sicuro non era colpa
dell'inquinamento. Quindi perché
preoccuparsi se anche adesso la
temperatura si alza un po'?
L'optimum climatico medievale è uno
dei grandi luoghi comuni sul clima. Si
è diffuso all'inizio del Novecento, basandosi sui dati alpini, quando si diceva che una volta erano facilitati i
transiti attraverso i colli alpini. Ma le
teorie più recenti ci dicono che in realtà l'optimum climatico medievale
non c'è mai stato, almeno non così
come si crede. E questo è proprio un
argomento sul quale io stesso faccio
ricerca. Di fatto, il Medioevo è stato un
periodo leggermente più mite di quello
che l'ha preceduto e di quello che l'ha
seguito, la cosiddetta Piccola Era Glaciale, ma è stata solo una fluttuazione
momentanea e circoscritta all'Europa.
Se noi consideriamo la temperatura
media del Medioevo, ci accorgiamo
che oggi l'abbiamo già superata. Però
il Medioevo caldo è uno di quegli argomenti sui quali ci si accontenta di
quattro battute nei discorsi da bar.
Come quando si sostiene che l'aumento dei furti è colpa degli immigrati. Ma la climatologia è proprio una
disciplina nella quale non ci si può
permettere di semplificare. E ci vogliono professionalità, dati, misure.
Professionalità che nei mezzi di comunicazione manca. Così tutti
danno credito a tutti e…
Guardi, un fatto definitivo, che va al di
là dell'opinione di Luca Mercalli o di
Richard Lindzen, è la posizione sui
cambiamenti climatici dell'Intergovernmental Panel on Climate Change:
una struttura di elevatissimo livello
creata apposta per dirimere la questione con equità e per arrivare a una
mediazione scientifica rigorosa su
tutta la conoscenza sul clima. Una
struttura che però, forse anche per
difficoltà sue nella comunicazione,
qualcuno ha cercato di screditare.
Dobbiamo però ricordare che l'IPCC è
un'emanazione diretta delle Nazioni
Unite. Questo significa che i 193 Stati
rappresentati nell'ONU ne sottoscrivono le conclusioni. Significa che i 193
governi dichiarano che il mutamento
climatico c'è ed è grave. Poi Richard
Lindzen e Luca Mercalli possono
esporre la propria opinione, ma nei
fatti il dibattito è chiuso: non c'è più
alcun Paese moderno che neghi il problema ambientale. L'Unione Europea
fonda tutta la propria politica su questo presupposto. E, anche se Obama
ha vita difficile a causa dell'opposizione della lobby del petrolio, nessuna
persona seria mette in discussione il
global warming e la responsabilità
umana.
Abbiamo parlato del passato e del
presente. Ora tocca al futuro. Come
lo descrivono i modelli? E, anzitutto,
questi modelli sono affidabili?
dossier
Conferenza
Venerdì 30 settembre alle 20 e 30, presso l'Istituto Cantonale di Economia
e Commercio (ICEC) di Bellinzona, Luca Mercalli terrà una conferenza
dal titolo «Prepariamoci», organizzata da «Confronti» e dal Partito Socialista.
In che senso?
Se anche per assurdo la teoria dell'origine antropica del riscaldamento globale fosse sbagliata… ecco, anche in
quel caso i provvedimenti presi sarebbero comunque positivi. È una strategia win-win: ci sarebbe solo da
guadagnarci. Risparmieremmo sulla
bolletta e sui danni alla salute. Perché
quello che esce dalle ciminiere fa male
al clima ma anche ai polmoni.
In questo caso rispondo solo come
portavoce della comunità, perché non
sono un modellista. Se vuole saperne
di più deve chiedere a un modellista.
Però, da quello che mi assicurano i
colleghi specialisti di modelli, posso
dirle che sì, i modelli sono affidabili e
vengono continuamente perfezionati.
In questo momento ci sono ricercatori
che lavorano proprio per dare ai modelli una maggiore affidabilità.
E a quali conclusioni portano i modelli?
I risultati sono drammatici. L'intervallo di variazione possibile della temperatura media nei prossimi 100 anni
è compreso fra 2 e 5 gradi. Ora, che si
avverino le ipotesi più ottimiste oppure quelle più pessimiste, comunque
noi vedremo cambiare i connotati alla
faccia del pianeta. E questo non va
bene per niente, perché l'ambiente è
già confrontato con criticità importanti, come le crisi alimentari, la scarsità d'acqua, le disparità di benessere
fra le varie regioni del mondo. Ci troviamo già in una condizione di grande
fragilità. Proviamo allora a pensare
che cosa accadrebbe se si sollevassero
gli oceani o se si fondesse il permafrost. Tutti speriamo di essere così
bravi da poter contenere la variazione
in 2 gradi piuttosto che in 4, ma quello
che importa davvero è il segno positivo della variazione. Smettiamo di
baloccarci con i decimali, di discutere
se il cambiamento sarà di 2,8 oppure
di 3,5 gradi. L'importante è che
stiamo uscendo dalla variabilità climatica naturale dell'Olocene. E ciò
avrà conseguenze importanti sulla nostra vita.
Va bene: smettiamo di baloccarci. E
che facciamo?
Si possono fare tante cose. Per cominciare, si possono tagliare gli sprechi:
una scelta che sarebbe eticamente dovuta e tecnicamente possibile. Lo
spreco non fa bene a nessuno, salvo a
chi ci vende la roba che sprechiamo.
Viviamo in una società molto inefficiente, perché dilapidiamo energia e
materie prime. Invece potremmo fare
le stesse cose, ma farle meglio. Non si
tratterebbe di spegnere la luce, ma di
accenderla solo quando serve e utilizzando una lampadina a risparmio
energetico: avremmo la stessa qualità
di vita, ma senza sprecare. Poi c'è il
passo successivo: la sobrietà. Che consiste nel chiedersi se davvero tutti
questi consumi sono necessari. Ho
davvero sempre bisogno di accendere
quella lampadina? Già se non sprecassimo e fossimo un po' più sobri potremmo ridurre le emissioni del 30
per cento. Poi magari verrà addirittura l'epoca delle rinunce vere e proprie. Ma in ogni caso ne varrebbe la
pena. Anche se ci sbagliassimo.
In conclusione, dovremmo modificare le nostre abitudini.
Non dovremmo: dobbiamo. È una
questione di irreversibilità.
Irreversibilità?
Certo. In linea di principio, se devo
scegliere una linea di condotta, io
m'interrogo sempre sulla reversibilità
delle sue conseguenze. Se posso correggere un errore, allora vale la pena
provare. Se invece il cambiamento è
irreversibile, il rischio è inaccettabile.
Siccome, se continuiamo così, ci troveremo di fronte a un mutamento irreversibile nelle condizioni del
pianeta, dobbiamo necessariamente
cambiare le nostre abitudini e vincere
le nostre resistenze ideologiche.
9
J.M. Will
Messa così, sembra facile: si cambia
e via. Perché allora tante resistenze?
Perché è un cambiamento che richiede mutamenti profondi di abitudini e di punti di vista. Perché tutti
cercano di crearsi degli alibi per non
cambiare. Prenda il caso del fumo, per
esempio. Fino agli Anni Settanta si sosteneva che il fumo non faceva male
alla salute. Gli attori erano sollecitati
a girare scene con la sigaretta in
mano anche se non erano fumatori,
per lanciare un messaggio di virilità e
di modernità. Inutile ricordare com'è
andata a finire. O consideri il caso dell'amianto. A Casale Monferrato ci
sono voluti 30 anni per chiudere uno
stabilimento che ha provocato migliaia di morti: non c'è famiglia senza
un caso di mesotelioma pleurico. E
migliaia ne provocherà nei prossimi
30 anni. Eppure l'amianto continua a
essere usato nei Paesi meno sviluppati. Perché? Perché ci sono interessi
e opposizioni ideologiche. E lo stesso
vale per il clima.
dossier
«Viviamo in un
di Marco Cagnotti
Se s'innalzano gli oceani, a noi che importa? Il
punto più basso della Svizzera si trova a Brissago, a quasi 200 metri sul livello del mare.
Anche i fenomeni meteorologici estremi sono
problemi altrui: roba da Tropici o da Equatore.
Qui stiamo bene. Che ce ne importa del riscaldamento globale? Anzi, meglio: se fa più caldo,
la stagione turistica estiva si allunga. Tanto di
guadagnato. O no?
M. Dudarev
No. Per niente. Anche ragionando da
egoisti e fregandocene delle disgrazie
altrui (che comunque non è bello), non
possiamo ignorare le conseguenze dei
mutamenti climatici sulla nostra realtà
locale. Ma quali saranno? La persona
giusta a cui chiederlo è Marco Gaia,
responsabile del centro regionale di
MeteoSvizzera a Locarno Monti.
10
Il riscaldamento globale è un fatto
assodato. Da un punto di vista quantitativo, il versante sudalpino come
sta messo? Qui il mutamento climatico è maggiore o minore rispetto
alla media globale?
Le misurazioni, che in Svizzera sono
eseguite in modo sistematico dal 1864,
mostrano un aumento delle temperature statisticamente significativo. Rispetto al trentennio di riferimento
internazionale 1961-1990, a partire
dagli Anni Ottanta del secolo scorso si
nota un deciso aumento della temperatura dell'aria in prossimità del suolo.
Quantitativamente, l'ultimo rapporto
dell'Intergovernmental Panel on Climate Change pubblicato nel 2007 indica un aumento della temperatura
media sull'intero globo terrestre fra il
1906 e il 2005 di +0,74 gradi. Si tratta
appunto di una media sia temporale
sia spaziale. Ciò significa che ci sono
state delle variazioni, anche importanti, sia nel corso dei decenni sia spazialmente da una regione all'altra della
Terra. In Svizzera l'aumento dal 1901
al 2010 delle temperature è circa il
doppio dei valori globali. Si passa da
+1,3 gradi di Lugano a +1,7 di Basilea,
fino a +1,9 di Sion.
Oltre alle misure dirette della temperatura, quali altri indicatori indiretti locali confermano il riscaldamento a sud delle Alpi?
I ghiacciai o i nevai alpini tendono a
diminuire il proprio volume e a contrarsi. Differenti specie vegetali tendono a iniziare precocemente lo
sviluppo vegetativo in primavera. Alcune specie vegetali non indigene si
diffondono sempre più anche nei nostri boschi, mentre s'inizia a notare
che quelle indigene si spingono gradualmente a quote sempre più elevate.
Tutti questi indicatori non sono però
influenzati esclusivamente dalla temperatura. Anche altri fattori possono
giocare un ruolo. Ad esempio la distribuzione e la quantità delle precipitazioni, che però a sud delle Alpi non si
sono modificate negli anni scorsi in
misura così significativa come le temperature.
Se il riscaldamento è maggiore rispetto alla media globale, quali sono
i motivi di questa peculiarità? Qui il
contributo antropico è più importante che altrove oppure i fattori determinanti sono altri?
L'aumento della temperatura non è
omogeneo sulle varie regioni terrestri:
in particolare le zone costiere si sono
riscaldate meno delle regioni continentali, perché l'acqua degli oceani, con la
sua grande inerzia termica, reagisce
meno velocemente rispetto alle masse
continentali. Questo spiega in parte
l'aumento maggiore della temperatura
nella regione alpina rispetto alla media
globale. Inoltre un ruolo non secondario lo riveste probabilmente il fatto che
le Alpi si spingono fin oltre i 4.000
metri: rispetto a zone continentali
molto più omogenee e a basse quote,
come certe pianure dell'Europa centro-orientale, questo fa sì che le interazioni all'interno della biosfera siano
molto più delicate e gli effetti amplificati. In questo senso si può considerare la regione alpina come un
«laboratorio», un riferimento che può
essere studiato con attenzione per rendersi conto, magari prima di altre regioni, di eventuali cambiamenti in
atto. Il contributo antropico nella nostra regione non è maggiore rispetto
ad altre aree. Inoltre non si deve dimenticare che poco importa dove sia
emessa l'anidride carbonica: essa ha
un tempo di permanenza nell'atmosfera talmente lungo che riesce a distribuirsi abbastanza omogeneamente
su tutto il globo terrestre. I quantitativi
prodotti in Cina, in Svizzera, in Brasile, in Australia contribuiscono tutti
assieme all'aumento complessivo, indipendentemente da dove l'anidride
carbonica è stata liberata. Le conseguenze possono poi manifestarsi
anche a grande distanza. Si pensi che
fra le regioni in cui il riscaldamento
dell'atmosfera è maggiore ci sono le
regioni polari alle latitudini settentrionali, zone ben poco antropizzate.
È possibile tentare delle previsioni
sul riscaldamento della nostra regione fra 20-50-100 anni, oppure le
simulazioni si applicano solo su
scala globale?
Non potendo eseguire degli esperimenti in vitro, i climatologi hanno sviluppato negli ultimi 30 anni dei
modelli computerizzati che cercano di
descrivere le interazioni fra l'atmosfera terrestre, gli oceani e le superfici
continentali coperte da foreste, praterie, deserti eccetera. Questi modelli,
inizialmente molto grossolani, sono
andati via via affinandosi e iniziano a
fornire delle indicazioni non solo su
scala globale, ma anche sempre più su
scala continentale. Sono poi state sviluppate delle tecniche che permettono
di «ridurre» i risultati dei modelli globali fino alla scala regionale. Disponiamo dunque anche di proiezioni per
Società Meteorologica Italiana
dossier
laboratorio»
Il Ghiacciaio di Pré-de-Bar (Monte Bianco) nel 1897 (a sinistra) e nel 2005 (a destra).
Nel nostro contesto, quali potrebbero essere le conseguenze per la
società di un ulteriore riscaldamento climatico?
Se per società si intende quella ticinese
o svizzera, probabilmente le conseguenze maggiori sono quelle indirette.
È diverso il discorso se invece si intende la società in senso lato, considerandola a livello planetario. In
generale un cambiamento nel regime
delle temperature e delle precipitazioni porta con sé differenti conseguenze sull'ambiente. Prendiamo
l'esempio dei ghiacciai alpini. Ragionevolmente continueranno a sciogliersi anche in futuro. Le possibili
conseguenze sono una diminuzione
dell'attrattività turistica come pure
una modifica dell'apporto di acqua di
origine glaciale nei numerosi impianti
di produzione idroelettrica svizzeri.
Entrambe le conseguenze sono probabilmente sopportabili per la nostra
economia, ma non possiamo nasconderci che saranno necessarie delle misure di adattamento, con i costi che
comporteranno. Per la benestante
Svizzera è ragionevole pensare che si
sarà in grado di affrontare queste
nuove sfide per adattarsi. Ma in altre
nazioni, con minori disponibilità economiche, probabilmente i costi di
adattamento potrebbero essere un
ostacolo ben più difficile da superare.
C'è allora da domandarsi che cosa
questo significherà per le relazioni
economiche fra le varie nazioni, rispettivamente come si comporteranno
i loro abitanti. Assisteremo a nuovi
movimenti di rifugiati ambientali?
Dal futuro al presente: dov'è finito il
mese di luglio quest'anno?
Effettivamente il mese di luglio non ha
soddisfatto le aspettative di tutti coloro
che desiderano un'estate con temperature elevate, possibilmente sopra i
25 gradi, e senza troppe precipitazioni: l'estate ideale per le attività all'aria aperta e per le manifestazioni
turistiche. Però la variabilità climatica
del versante sudalpino è tale che erano
tutto sommato più «strane» le estati
degli scorsi 5-7 anni, calde e soleggiate, che non quella del 2011. Le nostre aspettative sul tempo e la nostra
memoria corta in relazione ad esso
fanno sì che, nonostante tutto quanto
si sente raccontare sui cambiamenti
climatici, sotto sotto la maggior parte
della popolazione si augura che le
estati siano piuttosto come quelle degli
scorsi anni, piuttosto che come quella
del 2011. Nessuno si ricorda più ormai
gli «strani» mesi di marzo, aprile e
maggio di quest'anno, particolarmente
asciutti e soleggiati, tanto che iniziavano a esserci diversi problemi per
l'assenza delle precipitazioni e si superarono i 30 gradi già in aprile. E
quei mesi erano sicuramente molto
più «strani» che non il mese di luglio
del 2011.
Chi è
Fisico dell'atmosfera e della
neve, dal 2001
Marco Gaia è
meteorologo
presso MeteoSvizzera, di
cui dal 2008
è il responsabile del centro regionale a Locarno Monti. Coordina il
lavoro di 20 collaboratori, divisi in
due team: uno dedicato al servizio
operazionale di previsione del tempo,
l'altro alle attività di ricerca e sviluppo nel campo della meteorologia
radar e satellitare. È pure attivo
come conferenziere sulla climatologia
e la meteorologia.
11
la regione alpina, suddivisa addirittura
fra sud e nord delle Alpi. Esse indicano che tendenzialmente l'aumento
della temperatura si mantiene, anzi si
dovrebbe rafforzare. Si stima ad
esempio per il 2050 un aumento ulteriore di +1,8 gradi rispetto al 1990.
Non va però dimenticato che queste
proiezioni si basano su ipotesi sullo
sviluppo del nostro modo di vita nei
prossimi decenni. Lo stile di vita occidentale si estenderà anche alle altre
nazioni? Oppure assisteremo a una
diffusione massiccia di fonti energetiche rinnovabili? Siccome lo stile di vita
ha un impatto diretto sulle emissioni
di anidride carbonica nell'atmosfera,
non si può trascurare quest'aspetto
nell'interpretazione delle previsioni
sui cambiamenti climatici. Poiché nessuno sa esattamente come si evolverà
la nostra società, il margine d'incertezza di queste stime non è trascurabile. Nel caso della temperatura, per la
regione alpina la variazione delle
stime è quantificabile fra +0,9 e +3,4
gradi. Per quel che riguarda il regime
delle precipitazioni, ci si aspetta un
loro aumento in inverno e una tendenza alla diminuzione nelle altre stagioni.
dossier
Climategate
di Cristina Valsecchi
crescimento degli
alberi. Esiste infatti un rapporto
lineare tra la temperatura media
annuale e lo spessore del rispettivo
anello sulla sezione di un tronco
d'albero. Per ragioni che non sono
state ancora del
tutto chiarite, a partire dagli Anni Sessanta del XX secolo questo metodo risulta poco attendibile. Le stime
ottenute dagli anelli degli alberi relative agli ultimi decenni sono in disaccordo con le misure dirette della
temperatura atmosferica. Il «trucco» a
cui Phil Jones faceva riferimento in
uno dei suoi messaggi consiste nel
combinare le temperature più antiche,
ricavate dagli anelli degli alberi, con i
dati più recenti ottenuti da misurazioni
dirette. È una tecnica del tutto lecita
per trattare informazioni di provenienza diversa, come hanno confermato gli esperti delle commissioni
d'inchiesta che hanno riesaminato le
pubblicazioni della Climatic Research
Unit.
Punto secondo: l'affermazione che il
riscaldamento globale non è un fenomeno illusorio dovuto al fatto che le
temperature vengono misurate in
prossimità dei centri urbani, notoriamente più caldi rispetto alle zone scarsamente popolate. In uno studio del
Emergenza mondiale o grande complotto?
Come tutte le questioni che hanno importanti
risvolti sociali, politici ed economici, la teoria
del riscaldamento globale è oggetto di continui
attacchi da parte di negazionisti che interpretano l'allarme dei climatologi come un tentativo
di destabilizzare la prosperità economica e lo
stile di vita dei Paesi industrializzati e denunciano oscure trame degli scienziati catastrofisti. In questo contesto, si inserisce la brutta
storia del Climategate.
12
Due anni fa, nel novembre del 2009, i
complottisti hanno accolto trionfanti la
conferma ai propri sospetti quando
una mano ignota ha sottratto e divulgato oltre 1.000 messaggi di posta elettronica e 2.000 documenti riservati
che erano archiviati in un server della
Climatic Research Unit (CRU) della
University of East Anglia di Norwich,
in Inghilterra. Alcune frasi tratte da
questi documenti, isolate dal loro contesto e riprese dalla stampa di tutto il
mondo, suonavano come palesi atti di
autoaccusa: «Ho usato un trucco per
nascondere il declino delle temperature» oppure «Dobbiamo escludere
questi due studi, a costo di ridefinire il
concetto di revisione della letteratura
scientifica».
Nei mesi successivi Phil Jones, direttore della Climatic Research Unit, e i
suoi colleghi sono stati scagionati da
ogni accusa di manomissione dei dati
da parte di ben tre commissioni chiamate a esaminare la questione. Ciononostante, la vicenda ha inferto un duro
colpo alla pubblica reputazione della
ricerca sul riscaldamento globale e ancora oggi abbondano in rete i blog negazionisti che citano le email rubate a
sostegno delle loro ipotesi di complotto. Con questo scopo, concentrano
le proprie accuse a Jones e ai suoi colleghi su tre argomenti principali.
Punto primo: l'affermazione che l'attuale innalzamento della temperatura
media globale non ha precedenti
negli ultimi 1.000 anni di storia
climatica del nostro pianeta. A
sostegno di questa tesi, i climatologi utilizzano stime indirette dei mutamenti
della temperatura atmosferica nel corso dei secoli, ottenute analizzando gli anelli di ac-
CRU/University of East Anglia
1990, Phil Jones portava a sostegno di
questa tesi i dati raccolti per decenni
da stazioni meteorologiche cinesi situate lontano da centri urbani. Il contenuto delle email divulgate suggeriva
che i dati cinesi fossero di qualità scadente e di dubbia provenienza. Lo
stesso Phil Jones ha ammesso in seguito di aver smarrito il materiale originario relativo all'acquisizione di quei
dati. Nondimeno, ricerche successive
hanno confermato la validità della tesi
sostenuta nel suo articolo.
Infine, punto terzo: discutendo con un
collega, Jones obiettava sull'opportunità di inserire in un rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate
Change due ricerche i cui risultati non
si accordavano con gli altri studi citati.
Su questo punto, il climatologo rivendica con forza il diritto di discutere e
criticare la qualità del lavoro dei colleghi come parte del processo di revisione della letteratura scientifica.
L'unico aspetto su cui le tre commissioni d'inchiesta hanno biasimato la
Climatic Research Unit è l'incapacità
di comunicare con il pubblico che gli
scienziati hanno manifestato in occasione dello scandalo, la scarsa trasparenza e la tendenza ad arroccarsi su
posizioni difensive che non hanno di
certo giovato all'immagine pubblica
della ricerca. Ma un fatto è assodato:
non c'è stata frode né pregiudizio ideologico. E il metodo scientifico è stato rigorosamente rispettato.
La sede della Climatic Research Unit.
dossier
La voce del dissenso
di Cristina Valsecchi
come di un sistema estremamente fragile e instabile. Invece non c'è alcuna
prova dell'esistenza in natura di simili
meccanismi di amplificazione. I colleghi dell'International Panel for Climate Change riconoscono i limiti degli
attuali modelli nella simulazione del
comportamento delle nuvole, eppure
le previsioni di un significativo aumento futuro della temperatura media
globale si basano proprio sulla presunta amplificazione dell'effetto serra
ad opera delle nuvole.
Tra i pochi specialisti «dissidenti», il
più autorevole è Richard Lindzen,
professore di meteorologia presso il
Massachusetts Institute of Technology.
La sua opinione, per quanto «eretica»,
non può essere ignorata. Per questo ci
siamo fatti esporre le sue ragioni.
L'aumento della temperatura media
globale è un fatto scientificamente
dimostrato?
Sì, il riscaldamento globale è un fatto
dimostrato. Non è oggetto di disputa.
È un fatto che però va collocato nel
giusto contesto: la temperatura media
globale è un parametro in continuo
mutamento. Va detto inoltre che il riscaldamento registrato dalla fine del
XIX secolo fino a oggi è minimo. Non
c'è un accordo generale sull'entità dell'aumento di temperatura, ma tutti
concordano sul fatto che si tratta di
meno di 1 grado.
Anche la concentrazione atmosferica di anidride carbonica è in aumento, vero? Secondo lei i due
fenomeni non sono correlati?
È vero: anche la concentrazione di
anidride carbonica è in aumento. Però
non possiamo attribuire il riscaldamento globale a questo fenomeno,
perché l'aumento della temperatura
media globale rientra nei limiti della
normale variabilità interna del clima,
dovuta a processi di origine oceanica
come El Niño, l'oscillazione pacifica
decennale e l'oscillazione
atlantica
multidecennale, che
determinano
scambi di calore tra
gli oceani e la superficie.
Possiamo formulare previsioni sull'andamento futuro
della temperatura
media
globale?
Sono giustificate le
preoccupazioni di chi teme conseguenze disastrose?
No, non possiamo formulare previsioni attendibili. Chi vuole preoccuparsi è libero di farlo, naturalmente,
ma per ora non c'è alcuna evidenza
che preoccuparsi serva a qualcosa.
Analoghe oscillazioni della temperatura media globale si sono già verificate in passato, legate a processi
naturali ben più importanti dell'effetto
serra dovuto alle emissioni umane.
Che cosa pensa, allora, delle previsioni formulate dai suoi colleghi con
l'ausilio di modelli matematici dell'andamento climatico?
I modelli utilizzati oggi per prevedere
l'andamento futuro della temperatura
media globale hanno diversi difetti
che li rendono inattendibili. Per esempio, non sono in grado di simulare con
la dovuta accuratezza fenomeni come
El Niño, l'oscillazione pacifica decennale e l'oscillazione atlantica multidecennale. Non sono in grado di
rappresentare con precisione le variazioni climatiche regionali. L'andamento dell'evaporazione in funzione
della temperatura così come risulta
dalle simulazioni è inferiore a quello
osservato direttamente. Ma l'aspetto
più importante di tutti è che, secondo
questi modelli, il vapore acqueo e le
nuvole amplificherebbero gli effetti
dell'anidride carbonica. Ne emerge
così una rappresentazione del clima
Scettici e sostenitori dell'origine antropica del riscaldamento globale
basano le proprie ricerche sugli
stessi dati. Come mai arrivano a
conclusioni tanto differenti?
Le ragioni sono tante. I dati di partenza sono tutt'altro che perfetti. La
copertura mondiale delle misurazioni
spesso è incompleta e i cambiamenti
registrati fino a oggi sono piccoli a
confronto con il grado di incertezza
delle stesse misurazioni. Comunque la
distanza tra scettici e sostenitori non
è dovuta tanto ai dati grezzi di partenza quanto alle previsioni sull'andamento futuro del clima.
Chi è
Nato nel 1940
a Webster, nel
Massachusetts, e laureato
in
fisica dell'atmosfera alla
Harvard
University,
Richard Lindzen
è attualmente professore di meteorologia al Massachusetts Institute of Technology. Ha pubblicato più di 200
articoli sul trasporto di calore globale,
sul ciclo dell'acqua, sulla meteorologia
dei monsoni e sui fenomeni atmosferici stagionali. Nel 1995 e nel 2001 ha
preso parte alla stesura dei rapporti
dell'International Panel on Climate
Change delle Nazioni Unite. In numerose occasioni ha criticato la validità
dei modelli matematici usati per formulare previsioni sull'andamento futuro del clima. Non condivide le
conclusioni di gran parte dei suoi colleghi sull'entità del cambiamento climatico in atto e sulla sua origine
antropica.
13
La quasi totalità dei climatologi è concorde
nel sostenere che la temperatura media globale è aumentata negli ultimi decenni, che è
destinata ad aumentare ulteriormente con
esiti potenzialmente catastrofici, e che la responsabilità è dell'inquinamento prodotto
dalle attività umane. Ma non tutti sono d'accordo. Molti sono economisti neoliberisti o
giornalisti tuttologi la cui opinione può essere
serenamente trascurata. C'è però anche qualche rara voce all'interno della comunità
scientifica.
dossier
«Dopo Fukushima, nessuno parla più del clima?»: è questa la domanda che si poneva un Consigliere di Stato dell'UDC del Canton
Zurigo sul «Tages Anzeiger» del 6 luglio scorso. E al Congresso
del PLRT il presidente ha sottolineato l'importanza della protezione del clima per il suo partito. Tutti e due, membri della nutrita
lobby atomica in Consiglio Nazionale, intendevano naturalmente:
«L'energia nucleare è l'unica via per proteggerci dalla catastrofe
climatica».
14
Nel gennaio di quest'anno, in una votazione consultiva nel Canton Berna,
una maggioranza risicata (pari al
51,2%) si dichiarava favorevole a una
nuova centrale atomica a Mühleberg.
Erano ormai dimenticati i timori suscitati dalla nuvola radioattiva di
Chernobyl di più di 20 anni fa. I rappresentanti dei gruppi dell'elettricità
non avevano problemi a spiegare che
ormai tutto era sotto controllo e che
l'atomo era una fonte energetica irrinunciabile.
Dopo i gravissimi incidenti ai reattori
nucleari in Giappone (per i quali non
sappiamo ancora come andrà a finire)
l'opinione pubblica è però tornata a
nutrire forti dubbi sulla sicurezza di
questi impianti. Il Consiglio federale
ha deciso un lento abbandono di questa tecnologia e il Consiglio nazionale
lo ha seguito. Siamo in attesa delle decisione del Consiglio degli Stati, per
nulla scontata.
L'UDC, che ha votato contro l'abbandono, e i liberali, che si sono astenuti,
ma anche molti rappresentanti dei
partiti «di centro», legati ai gruppi di
pressione nucleari, si stanno muovendo con prudenza per rilanciare il
nucleare.
La prima tattica consiste nell'insistere
con i dubbi sui costi e le difficoltà
della riconversione energetica: opera-
zione costosa, dai tempi lunghi, non
sufficiente a coprire l'ammanco energetico che ci attende, non in grado di
garantire alla nostra industria le
quantità di energia sempre crescenti
di cui ha bisogno.
La seconda tattica è il richiamo ai problemi del cambiamento climatico. Si
tratta di solito delle stesse persone o
delle stesse cerchie che fino a pochi
mesi fa esprimevano i loro dubbi sull'esistenza del riscaldamento globale
(linea perdente di fronte ai dati oggettivi) o, più smaliziati, consideravano
opinabili la correlazione con l'aumento di anidride carbonica o la responsabilità umana di quest'aumento.
La Svizzera non rispetterà gli obiettivi
di Kyoto (riduzione dell'8% rispetto al
1990 entro il 2012). L'iniziativa per il
clima (che chiede una riduzione del
30% rispetto al 1990 entro il 2020) è
di fatto combattuta dal Consiglio federale, e in Parlamento si sta formando
un accordo su una riduzione del 20%.
La discussione non è però tanto sugli
obiettivi (anche se secondo gli iniziativisti sarebbe necessaria una riduzione
del 40% per evitare il collasso climatico), quanto piuttosto sulle misure da
adottare: misure poco efficaci non permetterebbero di raggiungere neanche
i modesti obiettivi fissati.
Con un voltafaccia notevole, le lobby
energetiche si ricordano ora del clima
e buttano là l'idea che il nucleare in
fin dei conti potrebbe essere una soluzione. Magari non con centrali come
quelle giapponesi, ma con modelli di
ultima generazione o addirittura della
successiva. Legate alla visione della
disponibilità infinita di energia, mentre frenano sulla riduzione della produzione di anidride carbonica le lobby
rilanciano l'atomo proprio con argomenti climatici!
Qual è invece la posizione di chi non
vuole lasciare un mondo surriscaldato
o radioattivo alle generazioni future?
La ricetta, più volte ripetuta, è: risparmio, efficienza, energie rinnovabili.
Le potenzialità di risparmio sono
enormi. Le nostre case dovrebbero diventare a energia zero (risanamento
energetico degli edifici) o addirittura
produrre energia e contribuire all'efficienza delle reti elettriche intelligenti
(smart grid). Le nostre vetture, sempre più raffinate tecnologicamente, diventano anche sempre più grosse,
annullando i miglioramenti. Sono
anche troppo numerose di fronte alle
possibilità non sfruttate dei trasporti
pubblici e della mobilità lenta. La
maggior efficienza dovrebbe essere
normale, ma anche qui i progressi
sono lenti e spesso annullati dall'aumento dei consumi. Le fonti rinnovabili di energia, considerate «care» da
chi non conteggia i costi ambientali e
i rischi nucleari facendoli pagare alla
comunità, sono in realtà disponibili in
misura sufficiente e a costi (tutto compreso) accettabili.
Il passo da fare consiste però nel passare da una concezione basata su
grandi progetti e consumi crescenti a
una visione di produzione di energia
diffusa e di consumi in calo.
P. Eggermann
di Don Juan
spifferi
Come qualcuno avrà sicuramente notato, l'universo
non è abitabile. Di solito
si dice che Madre Natura
ha preparato tutto a
puntino per accogliere
la vita umana, il suo fenomeno fisico preferito,
ma non è così. L'universo è un posto pericoloso, pieno di radiazioni
cancerogene, bombardamenti meteorici e reazioni
nucleari:
in
confronto, l'Inferno di
Dante sembra Disneyland.
Basta dare un'occhiata in
giro per rendersi conto che il
fenomeno fisico preferito dalla
Natura non è la vita umana, ma il
vuoto spinto. L'universo è quasi tutto
vuoto e quel poco che c'è è ospitale
come uno tsunami. Un posto come la Terra
non è la regola, ma l'eccezione. La regola è Plutone (200 gradi sotto zero e niente atmosfera) o Venere (l'atmosfera di una camera a gas e 500 gradi all'ombra),
non la Terra. La Natura, più che una madre premurosa, sembra
un assassino. Forse, invece che chiamarla «Madre Natura», sarebbe più corretto chiamarla «Jack lo Squartatore Natura».
Il genere umano è come una muffa attaccata a un sassolino umido e tiepido
sparato nel vuoto cosmico: basta uno
spiffero e tanti saluti. Se l'umanità ci
tiene tanto a continuare a proliferare
sul suo sassolino, allora deve stare attenta agli spifferi. Certo, se un'estate
è più calda della media non c'è da
preoccuparsi, la media è fatta così, sarebbe molto più strano se tutte le
estati avessero sempre esattamente la
stessa temperatura. Invece la situazione è un po' più interessante se la
temperatura media del pianeta aumenta di 0,7 gradi in 100 anni, come
è successo nel XX secolo.
C'è un grande dibattito su quale sia la
causa di quest'aumento: da una parte
ci sono i climatologi che dicono che è
colpa degli esseri umani, dall'altra ci
sono gli esseri umani che dicono che
è colpa dei climatologi che fanno gli
allarmisti. Purtroppo io non ho i
mezzi per fare dei carotaggi in Antartide e non ho idea di come si faccia
una simulazione numerica per studiare l'evoluzione del clima, per cui,
in mancanza di meglio, mi tocca fidarmi dei climatologi. Magari si sbagliano. Succede spesso agli scienziati
di sbagliarsi: dicevano che il calore è
una sostanza materiale e non è vero,
dicevano che la luce si propaga nell'etere e non è vero, dicevano che la
Via Lattea è tutto l'universo e non è
vero. Quindi è possibile che si sbaglino anche stavolta. Ma, finché non
arrivano Lavoisier, Einstein e Hubble
con una teoria migliore, che cosa dovrei fare? Fidarmi del macellaio? Se si
tratta di bistecche chiedo al macellaio,
se si tratta di clima chiedo a un climatologo. E al momento la maggior parte
dei climatologi dice che quest'aumento di temperatura è anomalo, pericoloso e causato dalle attività
umane. Quindi?
Quindi ecco il mio piano, una cosa
semplice e a costo zero che risolve il
problema alla radice: ridurre la popolazione mondiale. Niente di cruento, ci
mancherebbe. Basta solo impedire
alla gente di fare figli finché non si
torna sotto il miliardo, oppure finché
non si trova un pianeta più grande su
cui traslocare. Che senso ha continuare a riprodursi in questo modo? È
per dare a tutti la possibilità di vivere?
Tutti chi? Se non fai nascere nessuno
non è che stai negando qualcosa a
qualcuno, perché prima della nascita
non c'è nessuno a cui si possa negare
NASA
La Terra
non è la regola,
ma l'eccezione.
alcunché. O è forse per migliorare il
mondo? Più figli si fanno più probabilità ci sono di mettere al mondo dei
geni? Vediamo… nell'anno 1600 non
c'era neanche mezzo miliardo di persone, eppure fra queste c'erano Caravaggio, Rubens, Monteverdi, Bacone,
Galileo, Keplero, Cervantes e Shakespeare, tutti vivi in quello stesso anno.
Ora siamo 14 volte tanto: dove sono i
14 Caravaggio, i 14 Galileo e i 14 Shakespeare?
Fare figli può avere senso solo per chi
li fa, ma per l'umanità nel suo insieme
è solo un fenomeno da razionalizzare,
come si fa con le licenze di pesca.
Anche se i climatologi dovessero aver
torto e il riscaldamento globale fosse
una bufala, il sovraffollamento della
Terra rimarrebbe comunque un problema pratico: più gente significa più
traffico, più code in posta, più ressa
agli Uffizi, più urla di notte sotto la
mia finestra. La Terra è come un autobus: più si è, peggio si sta.
Un'altra cosa che si dice spesso è che
gli esseri umani con il loro comportamento stanno distruggendo la Natura.
È chiaramente falso: caso mai le
stanno dando una mano.
15
di Astutillo Smeriglia
dossier
Attenti agli
Down
di Marco Cagnotti
terramatt
a
Ore 6 e 30 di mattina. Apro il browser
e clicco sul bookmark di Terramatta:
voglio verificare se ci sono novità ed
eventualmente fare un po' di manutenzione quotidiana. Normale routine,
niente di che. Mentre Safari carica la
pagina, mi volto, consulto un documento, frugo fra le scartoffie, passo al
client dell'email per vedere chi mi ha
scritto stanotte. Poi torno a Safari e…
Terramatta non c'è. Al suo posto, una
scritta: «Safari non trova il server».
Uh? Non è un mio problema locale,
perché l'ADSL funziona: tutti gli altri
siti sono raggiungibili, la posta arriva,
il modem lampeggia come deve. Rica-
rico Terramatta, però stavolta ci sto
attento. Trattengo il fiato e… «Safari
non trova il server». Maledetto! Ricarico. Ancora: «Safari non trova il server». Non va bene. Per niente.
È iniziato così un incubo durato qualche giorno intorno a Ferragosto.
Ovvio: se qualcosa si rompe, lo fa sempre quando gli Help desk sono fuori
servizio (per inciso, lo stesso giorno
mi si è scassata anche la lavastoviglie,
mannaggia a lei). Nel giro di poche ore
l'indirizzo www.terramatta.ch ha risposto ai visitatori «Safari non trova il
server», ma anche «Directory listing
denied - This Virtual Directory does
not allow contents to be listed» e perfino l'orribile «404: Not Found».
Perché tutto ciò? Non si sapeva. Non
si è mai saputo, di fatto. Di certo non
www.terramatta.ch
per colpa nostra, comunque. Alla fine
Mario, il nostro efficiente sistemista, è
riuscito a venire a capo del problema
skypando con l'Help desk di Ning
negli Stati Uniti (dove, mi dice, ha trovato un operatore piuttosto competente), resettando il sito e modificando
l'IP.
Ora, nel momento in cui scrivo, Terramatta regge. Speriamo continui. Ma
tant'è: la tecnologia è così. Oggi funziona, domani… chissà?
Lezione per il futuro, anche per gli
iscritti al social network (e pure per
me): non agitarsi, non entrare in fibrillazione. Mantenere un atteggiamento zen. Ché Terramatta è
importante, ma in fondo è solo un social network. Le magagne importanti
sono altre.
ai ticinesi non far sapere
Paranoia antistranieri
16
L'UDC, in combutta con i suoi alleati (in Ticino la Lega dei
Ticinesi) e con formazioni simili (come i Democratici Svizzeri), torna alla carica sulla questione dell'immigrazione e
degli stranieri. Lo fa con una nuova iniziativa popolare federale, i cui termini per la raccolta delle 100 mila firme necessarie scadono nel gennaio del 2013. Altre due iniziative
sul medesimo tema sono preannunciate: quella dei Democratici Svizzeri (partito in via di estinzione, vista la concorrenza sulle posizioni populiste e xenofobe della stessa
UDC), che punta a riequilibrare il saldo migratorio, e quella
di EcoPop, che vuol limitare l'aumento della popolazione
al 2% annuo.
Il momento del lancio delle due iniziative non è certo casuale. In particolare per l'UDC, in vista delle elezioni federali di ottobre, si tratta di rilanciare il tradizionale e
classico cavallo di battaglia delle campagne antistranieri.
Operazione inoltre necessaria per cercare di far dimenticare la posizione dei democentristi svizzeri e dei loro vari
alleati a favore del nucleare in un momento in cui l'uscita
dallo stesso è al centro del dibattito politico e delle preoccupazioni della maggioranza della popolazione.
Con la sua nuova iniziativa, l'UDC chiede:
- di reintrodurre in materia di immigrazione il sistema dei
contingenti, privilegiando i bisogni dell'economia, limitando per settori il numero annuale ammesso di stranieri,
- di limitare il diritto al soggiorno stabile, al ricongiungimento familiare e alle prestazioni sociali,
- di introdurre criteri precisi per l'ammissione, quali la presenza di una richiesta padronale, la capacità d'integrazione e una capacità finanziaria autonoma,
di Occhiovigile
- la ridiscussione entro tre anni dall'approvazione dell'iniziativa dei trattati internazionali sottoscritti, come quello
sulla libera circolazione delle persone.
Il caso ha voluto che la presentazione e il lancio dell'iniziativa venissero a cadere proprio tre giorni dopo gli eccidi di
Oslo. Un fatto che ha creato qualche preoccupazione agli
stessi iniziativisti, che tuttavia per finire non hanno desistito. E non per niente, perché una volta di più le scelte dei
democentristi svizzeri e dei loro alleati cantonali, al di là
dei contenuti dell'iniziativa, costituiscono l'ennesimo contributo allo sviluppo della cultura dell'odio verso il diverso,
verso lo straniero. Cultura che sta alla base degli atti di violenza, e i fatti di Oslo lo confermano. Un'atmosfera che già
esiste anche da noi e che è estremamente pericoloso favorire e incentivare. In questo quadro quanto è accaduto a
Oslo potrebbe verificarsi anche in Svizzera.
Al di là dei danni che l'iniziativa potrebbe causare all'economia svizzera, sulla paranoia antistranieri e sulle relative
possibili conseguenze dovrebbero interrogarsi i vari Gobbi,
Quadri e Rusconi, sempre in prima fila a cavalcare i temi
antistranieri. Ma non ci illudiamo che ciò si verifichi. Non
a caso fin qui non abbiamo mai sentito il neoconsigliere
nazionale della Lega dei Ticinesi Lorenzo Quadri prendere
le distanze dai contatti che il suo collega di gruppo Oskar
Freysinger, spesso presente sui teleschermi ticinesi, intrattiene con i gruppuscoli fondamentalisti cristiani e fascisteggianti che appunto diffondono l'odio anti-Islam. Che può
sfociare nel tipo di violenza di Oslo.
libri
La corsa di Tita
di Daniele Fontana
Lui, con quell'intelligente ironico distacco di
cui è capace, lo chiama «fine corsa storicamente determinato». Eppure il libro (Pathopolis, Edizioni Casagrande), uscito proprio per i
suoi 80 anni (e doppiato da un lungo colloquio
trascritto sull'ultimo numero dell'Archivio storico ticinese), è la condensazione sublime di
una persona che ha segnato (metaforicamente
e materialmente) il tessuto di casa nostra. E
importante per il Ticino, umanamente ancor
prima che professionalmente, l'architetto Tita
Carloni lo è per davvero.
dominante, con il suo Berufsverbot. Il
sistema, pubblico e privato, si mise di
traverso e la strada di questa giovane,
capace generazione si fece percorso a
ostacoli. Per taluni un giogo sotto cui
piegarsi. Per altri, più indomiti, sbarramento che li costrinse materialmente all'emigrazione in terre meno
condizionate da simili logiche, meno
soffocanti, più disposte a riconoscere
i loro talenti. Carloni, ad esempio,
trovò spazi nell'insegnamento accademico a Ginevra.
Per qualcuno di loro (e Tita è uno di
questi) quella «maledizione» continua
tuttora a espletare i propri effetti. «Gli
autori come Mumford, insieme con i
materialisti storici europei», scrive
Carloni nella sua premessa a Pathopolis, «mi sono stati di grande aiuto per
capire le trasformazioni degli ultimi
cinquant'anni. Ma le loro proposte, le
loro speranze, le loro utopie sono state
in gran parte deluse, almeno sino ad
ora. Anche per questo succede, credo,
che un architetto di provincia del secondo Novecento finisca nei suoi ultimi anni per scrivere articoletti come
quelli che troverete in questo libro».
80 anni sono una vita. Epperò ci sono
vite e vite. Quella di Carloni è certamente esemplare. Nel suo essere
forte, nella costanza e nella passione,
pur tra mille avversità. Questa è la sua
grande lezione. Non arrendersi, mai.
Trovare un senso nelle cose, in ogni
cosa. Avere il coraggio della critica
(quella densa di senso e di proposte),
la forza dei sentimenti e l'ostinata, invincibile fiducia in una società migliore. In un Uomo migliore.
17
In Pathopolis («la città malata») è contenuta una cinquantina di articoli che
Tita Carloni ha scritto in dieci anni
per «Area». E, siccome a quel giornale
me l'ero portato io, l'emozione che
provo nel mio voler bene a Tita si
veste oggi di orgogliosa commozione
nel trovare edito in un libro questo
mezzo centinaio di testi brevi: densi,
sapidi, intelligenti, capaci di pathos,
indignazione e ironia insieme. Il frutto
maturo, saggio e disincantato di una
passione civile autentica. Che polverizza, superandolo, certo snobismo intellettuale. E che smaschera nella sua
inconsistenza l'esser contro «parolaio», aprioristico, tanto per esserci.
Carloni, che pur li conosce (eccome li
conosce!), non parte mai dai massimi
sistemi. No, lui muove dalle occasioni,
dai fatti quotidiani, dalle cose all'apparenza anche minime. E poi, con il
sapere derivante dalla somma di bagagli che la vita gli ha messo a disposizione e che lui ha saputo con
intelligenza capitalizzare (anche quelli
dolorosi, ingiusti), passa con maestria
e capacità pedagogica a parlar di intrecci, di cause e di effetti. Riuscendo
a spiegare cose alle volte anche complesse in modo chiaro, intelligibile, godibile. E infatti è sempre un
godimento leggere Carloni. Lo raccontano anche le molte testimonianze registrate in questo suo esserci, oggi,
sulle pagine di «Confronti». E pare
(pare) che forse un domani da qui potrebbe sortire un secondo volume.
Sempre che, naturalmente, qualche
mano poco lungimirante non abbia
prima torto il collo a questa rivista.
Dicevamo di percorsi anche dolorosi,
nella vita di Carloni. Sì, perché questo
bravo architetto di casa nostra, come
capitò in quegli anni ad altri giovani
pieni di idee, intelligenza, passione e
saperi (in particolare nello spietato
campo delle attività edili), toccò con
testa (nel senso di capocciate) che
cosa volesse dire in concreto il potere
´
katholikos
contrasto
18
Occasioni perse
La balena bianca
di cri.bro
di Pietro Canovati
Questa volta, a tempo ormai scaduto (ma poco importa), vien voglia di parlare di due occasioni perse.
La prima occasione persa è quella dei programmatori più o meno estivi della RSI che non hanno saputo rinunciare a imporre in prima serata il
massimo distillato della scemenza americana che
nelle segnalazioni porta il titolo E alla fine arriva
mamma. Ma li pre-visionano, questi telefilm, oppure, come arrivano preconfezionati dai magazzini
Mediaset, li mettono in onda, giulivi per il buco
riempito? Nel primo caso hanno dato un'infamante
patente di stupidità ai telespettatori ticinesi, nel secondo sarebbe opportuno indagare sulle fatture.
L'obiezione «Puoi cambiar canale» non tiene. Perché è pure stupida: se la RSI non riesce a offrire cultura, eviti perlomeno l'incretinimento generalizzato,
oltretutto facendocelo pagare.
La seconda grande occasione persa riguarda il Tour.
Non mettiamo in discussione la conoscenza e le qualità tecniche dei due nostri commentatori e la loro
innegabile abilità, mista a grande fatica, nel tenere
corda per oltre tre ore. C'è chi guarda il Tour (lo abbiamo constatato persino in una casa per anziani)
per le splendide immagini e panoramiche dei territori, delle regioni, dei borghi e delle città, dei monumenti storici, della sequenza di castelli e antiche
dimore, dei luoghi pregni di storia. «Le Monde» ha
scritto che anche chi non è appassionato di ciclismo
dovrebbe seguire il Tour proprio per questo. È giusto che quelle immagini rimangono mute o ha
senso, sulla visione lenta e circolare di un magnifico
e imponente castello, parlare (com'è capitato) delle
emorroidi del corridore X, costretto a stare sui pedali? Bisogna allora rifugiarsi su France 2 dove, tra
i commentatori, c'è anche uno storico-geografo che
non perde mai un'occasione per spiegarci ciò che si
sta vedendo. Non pretendiamo tanto dalla RSI, ma
una maggior attenzione (e preparazione) anche a
quest'aspetto sarebbe tutto di guadagnato, con
un'ottima occasione per sposare sport e cultura,
Cadel Evans e Francesco II. Un pensierino per
l'anno prossimo?
Stanno resuscitando la balena bianca. Con i vecchi
metodi politico-clericali, le alte gerarchie vaticane e
alcuni movimenti dell'associazionismo cattolico, dall'immancabile Compagnia delle Opere (il braccio economico-politico di Comunione e Liberazione, che si
sfoga nel tradizionale meeting ferragostano di Rimini) agli Opusdeisti, fino ai Focolarini e via enumerando, si danno da fare.
«Balena bianca» era definita l'imponente e invadente
Democrazia Cristiana, finita quando si dovette ammettere ch'era tutto meno che bianca e puzzava. Si
vuol ricreare un neopartito cattolico, un soggetto politico che si faccia pieno interprete dei desiderata ecclesiastico-vaticaneschi e che dopo il lungo ipocrita
ma profittevole innamoramento col Cavaliere, ormai
disarcionato, orienti le scelte di un centrodestra
post-berlusconiano.
Unità cattolica sui valori, trasversale ai partiti, oppure partito unico? Farebbe più comodo il partito
unico, il quale potrebbe avere, come la vecchia balena, efficacia certa nell'ottenere prebende e dipendenza più strutturata nel recepire le volontà del
Vaticano e dei cardinali che manovrano. Si è così cominciato col presentare un Manifesto per la buona
politica e il bene comune in linea con le direttive ecclesiastiche e con la fantomatica dottrina sociale
della Chiesa. Che sono: difesa della persona «nella
nascita, nella salute e nella malattia» (i famosi «valori non negoziabili», cioè testamento biologico, contraccezione, aborto, staminali eccetera), sostegno
economico alle famiglie (se non divorziate), pluralità
delle offerte formative (ovvero finanziamento della
scuola privata ciellina), sussidiarietà «per un welfare
moderno», meno intervento statale e più mercato,
«un ambiente favorevole per le imprese, depotenziando la conflittualità sociale». Insomma l'eterno
cattolicesimo tra precetti, finzioni, nascondini e compromissioni affaristiche.
Commenta ironico l'amico monsignore: «Cristo resuscitò Lazzaro che già puzzava; dai Vangeli prendono sempre il peggio».
deliri
Colpa loro… no, eh?
di Marco Cagnotti
Subito dopo gli attentati in Norvegia, la destra
ha sostenuto a gran voce che la colpa era dei
musulmani. «Con l'Islam il buonismo non
paga», titolava «Libero». Si dirà: «Ipotesi prematura ma comprensibile. Dopo l'11 settembre, Madrid, Londra…». Invece non è così
semplice. Perché l'Europol ha pubblicato il documento TE-SAT 2010 – EU Terrorism Situation
and Trend Report (bit.ly/te-sat2010), dedicato
alla disamina degli attentati terroristici nell'Unione Europea nel triennio 2007-2009.
Sarebbe bastato consultarne le ultime
pagine per scoprire che, su 1.316 attacchi, solo 3 sono stati di matrice
islamica (2 su 581 nel 2007, 0 su 441
nel 2008, 1 su 294 nel 2009). La
grande maggioranza rientra invece
nella categoria del separatismo e ha
colpito gli Stati in cui le rivendicazioni
sono più forti (ma dai?). Ma non importa, perché il riflesso pavloviano destrorso è irresistibile: «Un attentato?
Di sicuro è colpa dell'Islam! Anzi, è
colpa del multiculturalismo, troppo
comprensivo e disponibile con i musulmani».
L'indomani si scopre che no, non
erano i musulmani. Era invece
(guarda un po') un indigeno tirato su
a fanatismo cristiano, nazionalismo
esasperato, radicalismo
identitario, pregiudizio
anti-islamico. Ma per i
destrorsi la responsabilità di chi è? Ovvio: del
multiculturalismo. «La
mia conclusione? Se vogliamo sconfiggere questo razzismo
dobbiamo porre fine al multiculturalismo», scrive Magdi Cristiano Allam su
«il Giornale». Addirittura, Littorio Feltri conclude che, sull'isola di Utøya, le
vittime se la sono anche un po' cercata: infatti, se tutte insieme si fossero
coalizzate contro l'assassino, avrebbero potuto sopraffarlo con la sola
forza del numero. E Mario Borghezio
dichiara a Radio 24 che le idee di Anders Nehring Breivik «sono condivisibili», «alcune buone… al netto della
violenza, direi in qualche caso ottime». Siamo al delirio, ormai.
Insomma, se sono stati i musulmani è
colpa del multiculturalismo, mentre
invece se è stato un norvegese allora
è colpa del multiculturalismo. La falsificabilità dell'ipotesi va a farsi benedire, Karl Popper si rivolta nella
La tag cloud del «Manifesto» di Anders Breivik.
tomba. E questa gentaglia si dimostra,
per l'ennesima volta, incapace di ammettere che, alla fin dei conti, se si
raccoglie tempesta la colpa è di chi semina vento. Cioè colpa loro.
E qui? Qui c'è un Nano che per taluni
è una macchietta folkloristica. Certo,
quando le Iene lo intervistano ci costringe a rimediare figuracce immonde (provate a dire a un italiano
che la classe politica della Penisola fa
schifo… provate, perché quando citerà Giuliano Bignasca vi verrà voglia
di scavare una fossa dove nascondervi
per la vergogna). «Però è inoffensivo»,
dicono in tanti. «Ogni domenica dalle
pagine del suo giornalucolo da strapazzo sbraca, farnetica e insulta gli
stranieri, i frontalieri, i diversi. Ma più
che disgusto suscita tenerezza. È solo
un buffo, innocuo esagitato». Innocuo? Lui, forse. Ma… gli altri? Tutti gli
altri, che magari lo prendono sul
serio? Per fare una strage, di idiota fanatico psichicamente disturbato ne
basta uno solo. E… hai visto mai?
La bestemmia in chiesa del «GdP»
di Giobbe
sero state scritte da qualche estremista del «campo avverso» come si sarebbe comportata quella direzione…).
Ma poi eccoti anche lo spazio sul giornale della Curia, quello la cui linea dovrebbe esse ispirata alle parole del
Vangelo (com'era?… «Abbiate sale in
voi stessi e siate in pace gli uni con gli
altri», Marco 9,50). Ma, si sa, la simpatia ciel-leghista val bene una bestemmia in chiesa. Con buona pace di
chi ogni domenica (e ora grazie al
giornale del vescovo anche durante la
settimana) vien messo in croce.
19
Ormai lo squadrismo applicato a bastonate ogni domenica contro chiunque osi pensarla diversamente dal
covo di via Monte Boglia sta diventando moneta corrente in questo
Paese. Al punto che oggi persino qualsiasi signor Nessuno si sente autorizzato a promettere manganello e olio
di ricino in funzione «dialogante». A
lasciare allibiti e inquieti è però il fatto
che simili sentimenti bestiali trovino
la dignità di spazio sui media «normali». Queste «raffinate» minacce
prima sono apparse tra le lettere del
«Corriere del Ticino» (chissà se fos-
cultura
I «diari» di Mussolini
di Teo Lorini
Chi non ha sentito parlare dei «diari di Mussolini», alla cui ricerca si è da anni lanciato il senatore del PdL Marcello Dell'Utri?
Trascurando taluni impegni parlamentari (dai
dati del Senato italiano emerge una percentuale di assenze pari al 95,2% delle sedute) in
favore di una quête degna de Il nome della
rosa, il cofondatore di Forza Italia ha sguinzagliato i suoi segugi per tutto l'orbe terracqueo
fino ad arrivare al nostro Cantone, dove, tramite l'intervento del classico Mister X, le leggendarie agende sarebbero saltate fuori dal
baule in soffitta (altro superclassico delle
cacce al tesoro) di un ex partigiano italiano.
Acquisito il materiale, Dell'Utri ha iniziato un
complesso valzer di perizie per dimostrarne
l'autenticità e, parallelamente, la ricerca di un
editore che volesse pubblicarlo. Risultato: nel
2010 esce per Bompiani-RCS un volume intitolato I diari di Mussolini [veri o presunti].
20
È buona norma del mondo scientifico
che un volume di documenti sia firmato da un curatore: uno storico,
cioè, che ci metta la faccia per certificare col proprio lavoro la bontà del
materiale proposto. Il volume di Bompiani invece (e qui la vicenda gira decisa verso la farsa) di curatore è privo.
Nemmeno i possenti mezzi (finanziari
e, diciamo così, persuasivi) di Dell'Utri sono valsi a trovare uno studioso disposto ad assumersi questa
responsabilità. Il motivo? Lo si può
scoprire, assieme a molte altre circostanze di estremo interesse in merito
all'affaire dei presunti diari mussoliniani, nell'ottimo volume dello storico
Mimmo Franzinelli, Autopsia di un
falso, da poco uscito per Bollati Boringhieri.
Già autore di diversi tomi sulla dittatura fascista, Franzinelli rintraccia in
primo luogo la genesi delle agende
mussoliniane, contraffazioni (peraltro
abbastanza marchiane) redatte negli
Anni Cinquanta da due dame di Vercelli che già all'epoca avevano provato
a rifilare la bufala a Mondadori, venendo in seguito processate e condannate per falso e truffa. Dopo aver
ristabilito la natura apocrifa del materiale «scoperto» da Dell'Utri, Franzinelli ne segue le vicende documentandone le periodiche riemersioni negli ambienti dei nostalgici del
Ventennio. Ma soprattutto chiarisce lo
scopo della complessa operazione che
ha portato i falsi diari prima nella biblioteca di Via Senato (la fondazione
fortemente voluta
dal bibliofilo senatore palermitano) e poi nelle
librerie grazie al
colosso editorial-distributivo
RCS.
Il Mussolini che
emerge dalle
false
agende
«made in Vercelli» appare infatti
come un'inerme vittima delle circostanze, un convinto antinazista contrario all'alleanza con Hitler e persino
un amico degli ebrei (!), costretto a
sterminarli dalla soverchiante follia
del detestato dittatore tedesco. Martellando gli identici concetti a ogni intervista e a ogni presentazione,
Dell'Utri si basa sulle agende apocrife
per condurre un'opera di smaccato
revisionismo paragonata da Franzinelli alla diffusione, a inizio Novecento, dei falsissimi Protocolli dei
Savi di Sion, che tanta parte ebbero
nell'inoculare il pregiudizio antisemita nel cuore dell'Europa. E, dato
che proprio ai Protocolli Umberto Eco
ha dedicato il suo ultimo romanzo
(uscito per Bompiani), in noi si fa
strada una domanda.
Giusto un anno fa il mondo dell'editoria italiana era dilaniato da un interrogativo: è lecito pubblicare con
Mondadori ed Einaudi, le case editrici
di Berlusconi? Al cancan degli editorialisti con tanto di elenchi degli autori buoni e di quelli cattivi, alle
richieste di abiura editoriale rivolte a
molti scrittori, alla rivendicazione di
una superiorità etica sulla base dell'editore con cui si pubblica si è unito
anche Umberto Eco. Che, per l'appunto, non pubblica con Mondadori
ma con il gruppo RCS. Ora, se della
verità vogliamo vedere tutto e non
solo la parte che ci fa comodo, il dubbio che ci poniamo è questo: come
reagisce e dove va a finire la superiorità etica di chi «rifiuta» Mondadori,
quando la casa editrice per cui costui
pubblica un romanzo sulla mortale
pericolosità dei revisionismi e delle
manipolazioni storiche dà retta al senatore Dell'Utri (su cui pende una
condanna a sette anni di carcere per
concorso esterno in associazione mafiosa) e riempie le librerie di copie dei
falsi diari che riabilitano un dittatore
sanguinario come Mussolini?
sussurri
Fumetto...
di Mandrake
L'inverno del disegnatore di Paco Roca
Spagna, seconda metà degli Anni Cinquanta. Siamo nel periodo franchista,
quindi c'è poco da rompere. Disegnare fumetti a quell'epoca, sotto una
dittatura e con una censura, non do-
veva essere evidente. Tutte e solo storie simpatiche, barzellette animate a
fumetti, niente satira politica, niente
erotismo, niente a che fare con quello
che possiamo leggere oggi in un fumetto.
Senza che gli autori ne sapessero
qualcosa, un giornaletto di fumetti, tra
Spagna e America Latina, stampava
circa un milione di copie. Una storia
vera di una manciata di fumettari che
decisero di andare contro il loro edi-
tore. I motivi sono attuali: paghe ridotte, nessun diritto, l'impossibilità di
esprimersi liberamente. Un sogno,
una causa persa, la forza di alzare la
testa per ottenere dei diritti. In parte
raggiunti.
Quest'opera di Paco Roca ci racconta
la storia del fumetto spagnolo, gli editori, le testate, gli autori e i personaggi. Anche volendo, è difficile
restare insensibili: vien voglia di andare a leggere gli originali.
Rapporto confidenziale
www.rapportoconfidenziale.org
Uomini di domenica
Quattro giovani amanti del cinema girano a Berlino nel 1929, nell'epoca
delle ricche produzioni di Fritz Lang e
Josef von Sternberg, Menschen am
Sonntag, un film sperimentale a bassissimo costo realizzato al tramonto
del cinema muto e della Repubblica di
Weimar, all'alba dell'ascesa al potere
del Partito Nazionalsocialista al comando di Hitler (che li porterà a emigrare negli Stati Uniti). Sono i registi
Robert Siodmak (diventerà un mae-
stro del noir; suo I gangsters, del
1946, per cui venne candidato all'Oscar), Edgar G. Ulmer (poi regista
di Détour, del 1945), l'assistente alla
fotografia Alfred Zinnemann (abbreviato il nome in Fred, è il regista di,
tra i tanti, Mezzogiorno di fuoco nel
1952 e Da qui all'eternità nel 1953;
tre i Premi Oscar per lui), l'autore del
soggetto Kurt Siodmak (poi Curt, è
stato sceneggiatore e scrittore; suo il
soggetto per L'uomo lupo, del 1941, di
George Waggner) e lo sceneggiatore
Samuel «Billie» Wilder (diventerà Billy
Wilder, in assoluto uno tra i più grandi
registi della storia del cinema; impossibile riassumerne qui la carriera).
Il film narra di due uomini e due
donne (presi dalla strada) che trascorrono una domenica sulle rive del Wan-
di Roberto Rippa
nsee a Berlino. Una storia innocua?
Per nulla: si tratta del ritratto feroce
di una battaglia tra i sessi vista da
quattro diversi punti di vista. Ma è lo
stile visivo del film a essere rivoluzionario per l'epoca: debitore a Ruttmann, Vertov e Eisenstein e
precursore del Neorealismo italiano e
della Nouvelle Vague francese, il film
ha come vero protagonista la cinepresa e non gli attori, che non di rado
vengono abbandonati in favore di dettagli, panoramiche o primi piani di
persone che non hanno ruolo nella vicenda.
Il film è stato restaurato nel 1997 dal
Nederlands Filmmuseum integrando
spezzoni provenienti dalle cineteche
svizzera, belga e italiana. È ora disponibile in DVD ed è da vedere.
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sport
?
Tifosi
di Libano Zanolari
La resa dei conti, in tutti i sensi, è vicina: perché allo Stato (cioè a noi) il tifo costa 3 milioni
l'anno e perché le FFS, i Cantoni e il Dipartimento dei Trasporti non sembrano più disposti
a tollerare le distruzioni negli stadi e all'interno dei treni. Quando si tratta di moneta
(«Pas d'argent, pas de Suisse»), le autorità si
muovono. Minore impatto avevano avuto finora
i ferimenti dei cittadini colpiti dalla violenza
gratuita dei «fan»…
22
Di ritorno da Basilea dopo la sconfitta
nella finale di Coppa Svizzera, un migliaio di tifosi del Sion ha devastato il
treno speciale che li riportava a casa.
Déjà vu: qualche reazione a caldo e si
passa all'ordine del giorno. Il treno
viene rimesso a posto. Sennonché
quel giorno i «fan» hanno inventato
un nuovo gioco: il lancio di oggetti vari
e di petardi fra la gente in attesa alle
fermate. Uno è scoppiato a un metro
dal passeggino di un bimbo… A Ostermundigen i tifosi dello Young Boys
hanno atteso la fermata del treno che
collega la capitale a Thun spaccando i
vetri con spranghe e grosse pietre, devastando le carrozze e seminando il
panico fra i viaggiatori normali, colpevoli solo di essere presenti sul convoglio usato anche dai tifosi del Thun in
festa per l'imprevista vittoria a Berna.
A Zurigo 1.500 tifosi del Basilea, in
marcia con bandiere e torce al vento,
hanno sfondato le porte d'entrata, rapinato l'incasso delle buvette, rubato
tutto quanto si poteva cacciare in gola
e spaccato infine gli interni dei bagni.
Danni per 150 mila franchi, a cui si
aggiungono i costi per l'impiego della
polizia: 250 mila franchi. Il Letzigrund
cambierà i cancelli e le reti di protezione all'interno dello stadio per separare i settori dei «tifosi» e proteggere
la gente normale. Costo: 1,2 milioni.
A questo punto si potrebbe applicare
una legge non scritta che causa danni
allo sport e alle società: rinunciare
allo stadio, troppo pericoloso per
grandi e piccini. Al treno però gli svizzeri, massimi fruitori al mondo, non
vogliono rinunciare. Ci mancherebbe
altro.
Una tavola rotonda fra le autorità e il
mondo dello sport che si tiene due
volte l'anno non cava il classico ragno
dal buco anche perché nessuno può
impedire a una persona in possesso di
un biglietto valido di salire su un treno
o di entrare in uno stadio. A meno di
schedare i tifosi o di munirli di una
tessera come si fa in Italia. Figuriamoci: la Federazione Svizzera non
vuole, i club nemmeno. Ma potrebbe
volerlo lo Stato.
Siamo all'eterna questione, all'eterno
doppio gioco: il mondo del calcio è reticente perché teme di perdere le
«Sturmtruppen», che oltre a far cassa
fanno «colore», incitano la squadra
amica e fischiano gli avversari, incutono paura all'arbitro e cercano di
condizionarlo. Insomma fanno il gioco
sporco, tipico anche della nostra società, senza passare necessariamente
per i servizi segreti. Qui di segreto o
misterioso c'è semmai il comportamento delle «autorità», della politica,
dello Stato. Ci deve scappare il morto?
Conosciamo bene certe tesi sul male
minore: meglio lasciar sfogare questa
gente allo stadio, evitando guai peggiori… Ora però il vaso è colmo: presto qualcuno dovrà uscire allo
scoperto anche a costo di correre
qualche rischio o di perdere voti.
Le FFS e il Dipartimento dei Trasporti
lavorano insieme per vedere se si può
trovare una base legale per negare il
trasporto ai «fan». La Città di Berna,
stufa di pagare, propone partite a
porte chiuse e un permesso ai club per
poter organizzare le partite: a mali
estremi, estremi rimedi, ma sarebbe
la fine del campionato. Il Canton Neuchâtel pensa di chiedere il deposito di
una cauzione alla società ospite (chi
rompe paga). Ma di chi è la responsabilità oggettiva? Il presidente della Federazione Svizzera di Calcio Thomas
Grimm la mette sull'assurdo: se il club
è responsabile oggettivo della violenza
dei tifosi, è responsabile anche di un
tifoso che rapina una banca? Forse
l'idea più semplice arriva dal Canton
San Gallo: i bruti, facilmente identificabili dalle telecamere, vengono sottoposti a processo immediato e puniti.
Il ministro dello sport Ueli Maurer
dice che non si può punire la passione
sportiva e non si possono confondere
malessere sociale e sport. Giusto. Ma
non si possono nemmeno punire i
viaggiatori delle FFS e i normali cittadini amanti dello sport per proteggere
le turbe psichiche e le pulsioni violente
di molti «fan». Che oltretutto non si limitano alla violenza. In molti mostrano anche la couleur: nera come il
carbone. Apertamente, con simboli,
canti e bandiere. Che sia questo il problema?
glamour
Nel nome della
di Emma Peel
Ce ne sono tantissime: mosqueta, centifolia, damascena, gallica, turca, bulgara. Tutte sono messaggere di
splendore. Molte hanno virtù curative
e cosmetiche sorprendenti. Alcune
sprigionano essenze che incantano i profumi. Altre allietano i palati della cucina
mediorientale: si chiamano Folle courtisane, Neige
d'Avril, Meijerem, Virgo Mallerin, Esperanza, Mermaid. La
lista è lunga, l'incanto prolungato.
Le virtù medicamentose della rosa,
antinfiammatorio naturale, sono celebri fin dall'Antichità. L'olio di rosa è il
preferito in alta profumeria. Possiede
virtù analgesiche, antidepressive, antisettiche, antitubercolotiche, emostatiche, sedative, depurative cicatrizzanti e, soprattutto, afrodisiache. Leggiamo in un piccolo prontuario di erboristeria: «L'aggiunta, all'olio di rosa
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Da Afrodite ad Adone, da Cleopatra a Confucio, da Dante a Guillaume de Lorris e il suo Roman de la Rose: la regina dei fiori ha
profonde radici nelle civiltà orientale e greco-romana. È fonte
di ispirazione per i poeti ma anche per i creatori di profumi, per
i quali le rose rappresentano, unitamente ai gelsomini, ciò che
il pianoforte e il violino sono nei concerti di musica classica, per
solisti o per duo.
mosqueta, di olio essenziale della
Rosa di Damasco (Rosa damascena) la regina delle rose dalla fragranza
vellutata e avvolgente - consente di ottenere un mix dall'aroma ultrafemminile e dall'azione ammorbidente e
idratante per la cute».
Famosa l'acqua di rose dell'Officina
farmaceutica di Santa Maria Novella,
una delle farmacie più antiche del
mondo, le cui origini risalgono al XIII
secolo, per opera dei frati domenicani
di Firenze, che producono l'acqua di
rose, considerata a quei tempi sia un
efficace disinfettante di ambienti sia
un blando medicinale da diluire con il
vino o per ingerire delle pillole.
Generosa e soprattutto preziosa (ci vogliono dai 3.500 ai 5.000 fiori appena
colti per ottenere un chilogrammo di
olio essenziale puro al 100%), la rosa
fa bene anche all'anima: basta metterne una goccia sul fazzoletto, il cuscino o il cuore. E, per combattere i
segni del tempo, mescolare in 50 millilitri di olio di jojoba 2 gocce di rosa
turca e 2 gocce di neroli.
Basta sfogliarla simbolicamente tra i
libri per scoprire altri segreti, virtù, rimedi e ricette. La rosa rossa, quella
della passione e delle idee, andrebbe
coltivata in ognuno di noi con dedizione particolare.
Confronti, Piazza Governo 4, 6500 Bellinzona
GAB 6500 Bellinzona
Accidenti
di Firmino
La Lega allarga gli orizzonti
L'allucinante Bignasca jr
Finora le proposte andavano dai trasporti gratuiti per i giovani alla tredicesima per i «noss vecc». Nei giorni
scorsi tuttavia i leghisti hanno avviato
sul MattinOnline la battaglia in difesa
dei nascituri (o meglio per criminalizzare l'interruzione di gravidanza), per
concludere con un atto parlamentare
che propone di regolamentare con
una nuova legge l'attività dei becchini
(difendiamo i «noss mort»!). Il tributo
all'integralismo religioso è chiaro.
Sbaglia però chi pensa che il neodeputato Sanvido abbia semplicemente voluto difendere la sua onorata e
funebre attività commerciale. È solo
che, frequentando il PPD, nella Lega
hanno capito che i morti possono
avere un decisivo peso elettorale…
«Ma ogni ora che passa, le favole si
arricchiscono di sempre più entusiasmanti particolari: la RSI l'ha definito
un "fondamentalista cristiano", altri
giornali l'hanno etichettato come un
pazzo di estrema destra, altri ancora
come un neonazista. Qualcuno ha
scritto che è pure massone. Tutto e il
suo contrario. In realtà occorreranno
alcuni giorni per capire quanto è successo e chi c'è veramente dietro due
azioni che non hanno pari in nessun
Paese scandinavo. Ma, come in tutti
gli attentati terroristici degli ultimi
anni, a partire da quelli dell'11 settembre, la versione ufficiale continua
a non convincere chi pensa con la propria testa e non si beve tutto quello
che emerge da Internet. Risulta molto
difficile, anche per i dilettanti dell'informazione, credere che un solo uomo
abbia potuto pianificare nei minimi
dettagli due azioni di stampo militare,
eseguite alla perfezione».
Questo testo allucinante è stato scritto
da Bignasca junior su «il Mattino» del
14 luglio. Di che restare allibiti, se non
si sapesse che l'ideologia del norvegese Breivik coincide in quasi tutto e
per tutto con le posizioni della Lega:
anti-islamismo virulento, odio per gli
stranieri, nazionalismo spinto, impegno cristiano concepito come salvifico
Il manganello e il doppiopetto
«il Mattino» torna a insultare Paolo
Bernasconi, una delle poche personalità di prestigio del Cantone. Il 10 luglio lo definisce «emerito cretino»,
«squallido personaggio», «besugo»,
«emerito bambela» e via discorrendo.
È allora bene sapere (ma non lo diciamo per Bernasconi, che queste cose
le insegna) che la persona lesa nell'onore può denunciare non solo il
giornale che lo ha insultato, ma anche
lo stampatore. E chi è lo stampatore?
La rotativa del «Corriere del Ticino».
Mensile progressista della Svizzera italiana
Editore Confronti Sagl, [email protected]
Redazione
Marco Cagnotti, direttore, [email protected]
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e impositivo. Questo è quanto semina
da anni la Lega. La speranza è che in
Ticino non ci debbano mai essere raccolti come quello di Oslo.
Mistero Ministero
La decisione del Ministero pubblico di
silurare le denunce contro i tre Consiglieri di Stato che hanno deciso per il
blocco parziale dei ristorni ai frontalieri lascia di stucco. Non entriamo
certo nel merito della questione giuridica (ci penserà il Tribunale federale),
ma di sicuro un paio di cose stridono
da far paura e un po' puzzano. La
prima è stata la decisione del Procuratore generale di passare a una collega un incarto istituzionale così
importante: i suoi predecessori avevano sempre trattato in prima persona i dossier istituzionali. La seconda
è la iper-rapidità con cui la Procuratrice (nota peraltro per l'attesa infinita
con cui altri dossier megaimportanti
di reati finanziari giacciono nei suoi
cassetti) ha fucilato le denunce. Caro
Noseda, è vero che i Bilaterali, con le
loro norme a favore degli operai, permettono al Ministero di far bella figura, ma quella luce non serva a far
ombra su tutto il resto. Ci ridia, per favore, una Procura coraggiosa su tutti
i fronti.
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