Eccetto Topolino
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Eccetto Topolino
Albo signando lapillo. La comics craze italiana N 18 ell’antica Roma i giorni o gli avvenimenti fausti erano pubblicamente indicati con una scritta bianca (“albo signando lapillo”) su una superficie lapidea collocata nel foro affinché il popolo ne traesse motivo di giubilo. Di contro, i giorni o eventi infausti erano evidenziati con una scritta nera (“nigro signando lapillo”). Per il fumetto (anche se non per il resto) il 2011 è da segnare in bianco per ricordare l’uscita del volume di Fabio Gadducci, Leonardo Gori e Sergio Lama, Eccetto Topolino. Lo scontro culturale tra fascismo e fumetto (Nicola Pesce Editore), esemplare “storia editoriale” del fumetto avventuroso, importante settore della stampa periodica per ragazzi in Italia nel decennio 1932-1943. Infatti, come specificato dagli autori in premessa, “[...] il volume non è una storia del fumetto. Nel senso che il suo obiettivo non è documentare lo sviluppo dei personaggi e dei generi del medesimo, se non in maniera incidentale. Non è neanche uno studio dell’impatto che l’invasione dei comics americani ha avuto nella cultura popolare del nostro Paese. [...] Lo scopo del nostro lavoro è stato invece di raccontare la storia editoriale del fumetto negli anni Trenta di Giulio C. Cuccolini Sopra, la copertina del volume Eccetto Topolino; a lato, Gino Schiatti, Mario Nerbini e Giove Toppi, protagonisti del fumetto dell’epoca, a Firenze negli anni Trenta del secolo scorso, ovvero investigare lo sviluppo del suo mercato, e capire quali legami questo abbia avuto con l’establishment politico”. Si tratta, quindi, di un importante capitolo della storia dell’editoria periodica per ragazzi in Italia, che in quel periodo ebbe a registrare un astronomico incremento di testate e di lettori, tendenzialmente snobbato in passato dagli storici accademici solitamente inclini a considerare i giornalini per ragazzi innocenti e innocui strumenti d’evasione con scarsa o nulla incidenza sulla formazione sentimentale e intellettuale dei giovani lettori e nella genesi del loro immaginario individuale e collettivo. Nel quadro delle vicende del fumetto in Italia il decennio preso in esame dall’opera in questione è quasi certamente il più effervescente, trionfalistico e, per certi aspetti, drammatico. L’avvento del settimanale Jumbo il 17 dicembre 1932 con i primi fumetti avventurosi, di produzione britannica e poi americana, mai apparsi in Italia funse da “rompighiaccio” dando la stura a un proliferare di testate (da Topolino e L’Avventuroso di Mario Nerbini a L’Audace di Lotario Vecchi, a decine si altre e al profluvio di albi contenenti le storie precedentemente pubblicate a puntate sui periodici) che – per la forma, i contenuti e i valori veicolati – segnavano una “rivoluzione” editoriale, spettacolare e ideologica per la gioventù italiana sino ad allora rinserrata nell’ottica provinciale e asfittica imposta del regime. È quella che gli autori, mutuando un’espressione americana, chiamano comics craze, euforia collettiva per i fumetti. Non è esagerato affermare che la gioventù del Littorio venne travolta da avvento-diffusionepassione per i fumetti avventurosi made in Usa, fenomeno che trovò una sponda nel contemporaneo dilagare anche da noi di cinema, letteratura, musica e costume statunitensi. Le conseguenze di questa “rivoluzione” vennero gradualmente avvertite dalle gerarchie fasciste preposte all’educazione delle leve giovanili le cui prospettive di vita venivano nutrite da ideali esterofili, libertari e individualistici in aperto contrasto con quelli nazionalistici, collettivistici e autoritari imposti dal fascismo. Così, di fronte alla dilagante diffusione dei comics americani, si registrò la graduale reazione del regime che finì per ricorrere a misure sempre più restrittive. Nel 1938 scattò la proibizione d’importare i comics a stelle e strisce (che in un primo tempo non riguardò l’opera disneyana, donde l’Eccetto Topolino del titolo) seguita dal divieto per i fumettisti nostrani di creare e pubblicare storie e personaggi ispirati a quelli americani. Successivamente nel vano tentativo di ricondurre l’evasione avventurosa per ragazzi alla tradizione letteraria nostrana, sia nella forma che nei contenuti, nei periodici per ragazzi fu ridotto la spazio dedicato alle immagini a favore di testi più estesi. Da ultimo fu vietato il ricorso alla struttura del moderno fumetto, incentrata sulla stringente scansione narrativa in vignette integrate dalle nuvolette del parlato, a favore di una narrazione condotta tramite rade immagini appoggiate da ampie didascalie sottostanti o a lato. Questo scontro culturale tra fascismo e fumetto ha prodotto una complessa e intricata serie di vicende editoriali che gli autori ricostruiscono in dettaglio sulla base di un’ampia documentazione in buona parte finora non indagata. Infatti, accanto a un riesame attento delle fonti già note (direttive del Minculpop, articoli della stampa dell’epoca, vicende editoriali conosciute, precedente saggistica sul tema e così via), gli autori hanno potuto usufruire dell’archivio Guglielmo Emanuel (ritrovato a suo tempo e salvato dal macero dal giornalista Francesco De Giacomo, passato poi nella disponibilità di Franco Fossati e della fondazione che porta il suo nome) e di quello di Federico Pedrocchi. Emanuel era, all’epoca, l’agente per l’Italia del King Features Syndicate, la più importante agenzia statunitense produttrice e distributrice di comics, che con i suoi personaggi fomen- Dall’alto, una pagina di Jumbo (1932); faldone dell’archivio di Guglielmo Emanuel, direttore del Corriere della Sera, la cui documentazione è stata ampiamente usata per la stesura di Eccetto Topolino ad alcuni personaggi coinvolti nell’ambiente fumettistico di quel lontano passato; il testo di diverse circolari sul fumetto diffuse dal Minculpop nel periodo 1940-1943; gli elenchi degli albi a fumetti di cui era permessa o vietata la vendita nel 1942. Personalmente dall’attenta lettura dell’opera ricavo la conferma dettagliatamente documentata di fenomeni già abbozzati dalla precedente storiografia sul fumetto. In primo luogo lo scontro culturale e ideologico tra fascismo e fumetto visto qui, però, da dietro le quinte e, nel caso di specie, analizzato nell’ottica di un’attività editoriale influenzata dalle proposte commerciali provenienti, tramite Emanuel, da oltreoceano, condizionata dalle restrizioni del Minculpop non esenti da influenze o pressioni di natura commerciale, ideologica o diplomatica. Successivamente il ruolo giocato da Emanuel nella produzione fumettistica delle più importanti editrici nostrane di fumetti e le sue entrature in certi ambienti politici tramite le quali riuscì, entro certi limiti, ad attenuare i divieti sulle pubblicazioni dei comics norda- mericani. Infine, la dettagliata e documentata ricostruzione (grazie soprattutto alle carte dell’archivio Pedrocchi) della nascita di una scuola italiana del fumetto a cavallo tra gli anni Trenta e Quaranta e il progressivo affermarsi di uno strumento narrativo, il fumetto, le cui caratteristiche e potenzialità sfuggivano ad artisti, letterati e funzionari di formazione e mentalità italiche. Chiaramente l’indagine svolta in Eccetto Topolino si presenta talmente organica, puntuale e documentata da costituire un superbo capitolo di storia della stampa periodica per ragazzi, imprescindibile per ogni ulteriore approfondimento del tema. Mi pare quindi condivisibile il giudizio espresso nella postfazione al volume da Ernesto Guido Laura: “Mancava finora negli studi di storia contemporanea un’analisi documentata di come si sia affermata negli anni Trenta in Italia la cultura del fumetto”. Con la precisazione che il fenomeno era già stato avvertito e delineato, anche se non sempre debitamente documentato, dalla precedente pubblicistica nostrana sul fumetto, che il prefatore Mimmo Franzinelli pare ignorare quando afferma che il volume si presenta “come l’opera che ha segnato il passaggio dall’interesse collezionistico alla ricostruzione storica”. A tal proposito mi chiedo se Franzinelli conosca questa precedente saggistica citata, d’altronde, nelle tre fittissime pagine di bibliografia del volume. E se conosca, per esemplificare, l’opera di Juri Meda, Stelle e strips. La stampa a fumetti italiana tra americanismo e antiamericanismo: 1935-1955 (Eum) che riprende, allarga e approfondisce il tema da me delineato dapprima in Nerbini l’Avventuroso del 1994 (citato fantomaticamente nella nota 11 del cap. 4, a pag. 376, ma non richiamato in bibliografia) e poi in L’americanismo de “L’Avventuroso” & Co., del1997 (specificamente assente in nota e in bibliografia: Quandoque bonus dormitat Homerus). Non tutta questa pubblicistica italiana sulla storia del fumettto è di alto livello e in diversi casi pecca per superficialità, incompletezza, parzialità iniziative iniziative A proposito di Eccetto Topolino tava l’euforia collettiva per gli eroi avventurosi. L’individuo aveva un’ottima competenza in ambito fumettistico e suo scopo e interesse era vendere la maggior quantità di comics prodotti dal King Features Syndicate agli editori nostrani. Con i suoi consigli e i suoi contratti alimentò e orientò la produzione dei tre grandi editori di fumetti (Vecchi, Nerbini e Mondadori) e delle rispettive testate. Con i suoi interventi su politici e funzionari, anche con l’appoggio diplomatico dell’Ambasciata americana di Roma, cercò altresì d’influenzare la politica del Minculpop, finendo per trasformarsi in una specie di primula rossa a difesa della diffusione del fumetto avventuroso americano in Italia. Il risultato dell’indagine si presenta ricco di diverse rivelazioni soprattutto dal punto di vista editoriale e dei coinvolgimenti politici, nazionali e internazionali, legati all’importazione del materiale fumettistico statunitense. La ricerca offre, inoltre, la conferma documentaria relativa a diversi punti già acquisiti, seppur parzialmente o intuitivamente, dalla precedente pubblicistica sul tema. Sebbene la pubblicistica italiana sul fumetto avventuroso di questo decennio abbia registrato in passato interessanti e puntuali contributi, alcuni dei quali datati ma ancora sostanzialmente validi, mai finora aveva visto la luce una ricerca di questa portata su un tema specifico: per l’ampiezza della stesura che supera le 400 pagine; per il rigore dell’analisi; per il ricorso a svariate e molteplici fonti, due delle quali, archivi Emanuel e Pedrocchi, inesplorate; per l’acume e la maestria nell’utilizzazione di una documentazione varia e plurima; per la profonda e vasta conoscenza della produzione fumettistica dell’epoca. In breve, per l’intelligente scavo effettuato in un terreno, tradizionalmente disdegnato dalla ricerca storica, che ha portato alla puntuale e documentata ricostruzione di un fenomeno dalle rilevanti implicazioni culturali, ideologiche e politiche. Occorre infine aggiungere che il testo del volume riporta le parti essenziali dei vari documenti presi in esame e che, oltre all’ampia e rara iconografia, in appendice compare un’importante sezione di apparati: diverse interviste effettuate a suo tempo da De Giacomo o mancanza di rigore scientifico. Tuttavia in diversi altri casi esprime interessanti contributi alla ricostruzione storica delle vicende fumettistiche in Italia. D’altronde è grazie al lavoro di scavo dei collezionisti che gli autori sono entrati in possesso di alcune fondamentali fonti (gli archivi Emanuel e Pedrocchi), veri e propri “assi” (Gianni Brunoro) che hanno reso possibile la realizzazione di questo volume. A merito degli autori va riconosciuto che hanno saputo giocare queste carte da storici di professione, realizzando un’opera d’inusitato respiro e di grande rigore documentario, imprescindibile per qualsiasi ulteriore ricerca sul fumetto in Italia negli anni Trenta e Quaranta del Novecento. Non è, però, escluso che Eccetto Topolino sia il volume destinato a fare il punto definitivo su questo tema a meno che non si rintracci l’ultimo anello mancante, cioè le carte relative all’attività della sezione del Minculpop denominata Direzione generale della stampa italiana, divisione IV (Propaganda interna), ufficio II (Stampa quotidiana per ragazzi, stampa periodica illustrata e umoristica). Dopo l’8 settembre 1943, con la fuga del re e del governo Badoglio al Sud, il risorto governo fascista di Salò sotto egida germanica operò una diaspora dei ministeri al nord del Paese senza trasferirvi però la totalità degli archivi. Nella Roma liberata il Minculpop fu soppresso con decreto luogotenenziale n. 163 del 3 luglio 1944 perché incompatibile con il nuovo quadro politico e sostituito con il Sottosegretariato per la stampa e le informazioni costituito in seno al Consiglio dei ministri. Queste movimentate vicende provocarono lo smembramento delle carte originarie del ministero e la loro successiva suddivisione e redistribuzione ad altri ministeri in base alle competenze. A una mia richiesta di chiarimento a tal proposito, rivolta anni orsono all’Archivio centrale dello Stato a Roma, è stato risposto che non si sa dove le carte relative alla suddetta divisione IV siano finite. E non si sa, aggiungo io, se siano andate al macero o se esistano ancora, ignorate, negli scantinati di qualche ministero romano. In attesa dell’improbabile scoperta di queste carte godiamoci il ricco, variegato e rivelatore lavoro dei tre autori, nato dalla loro comics craze. 19