REVISIONE DEL PROGETTO U29.00.042.0 rev post GS-A - Light-is

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REVISIONE DEL PROGETTO U29.00.042.0 rev post GS-A - Light-is
REVISIONE DEL PROGETTO
U29.00.042.0 rev post GS-A
Commenti e proposte di modifica presentate dalle associazioni
CIELOBUIO e LIGHT-IS
Autori:
Dott. Ing. Matteo Seraceni
Dott. Fabio Falchi
Il presente documento può essere utilizzato solo ai fini della revisione della bozza di norma UNI
U29.00.042.0 e non può essere diffuso, né modificato, né copiato senza l’autorizzazione scritta di
CieloBuio e Light-IS.
1
Premessa
In data 27 ottobre 2011, Diego Bonata, Giampiero Baldassarri, Matteo Seraceni, hanno
partecipato alla riunione indetta dal Gruppo Settoriale A in merito alla revisione della norma UNI
11248:2008, condividendo assieme ai presenti le proposte di modifica allegate al documento
“Resoconto Riunione” nel paragrafo “Decisioni N°1”, di seguito riportate:
«
- punto 1 “Scopo e campo di applicazione”: dopo il 1° paragrafo, in cui si elencano i punti
sviluppati nel testo, inserimento del seguente periodo: “La presente […] di progetto.”
- prospetto 1: modificare il titolo come segue “Classificazione delle strade e individuazione
delle categorie illuminotecniche di riferimento ingresso per l’analisi dei rischi obbligatoria”.
Tale modifica sarà da riportare in tutto il testo;
- prospetto 1: la colonna “Categoria illuminotecnica di ingresso per l’analisi dei rischi
obbligatoria” viene suddivisa in 2 colonne, una per la complessità del campo visivo elevata,
l’altra per la complessità del campo visivo normale.
»
Siamo pertanto rimasti basiti di fronte al documento prodotto in seguito al nostro incontro,
denominato “progetto U29000420_rev_post-GS-A_gen12.pdf”, poiché esso non reca traccia
alcuna della suddivisione in due colonne del prospetto 1, decisione cardine su cui era improntata
gran parte della riunione dell’ottobre scorso.
Poco importa che nel resto del documento sia indicata più volte la differenza fra categoria
illuminotecnica di ingresso e categoria illuminotecnica di progetto, perché la decisione di togliere
la differenziazione in due colonne del prospetto 1 in complessità del campo visivo elevata e
normale snatura in toto le considerazioni fatte sull’opportunità di aumentare le categorie di
ingresso di uno step rispetto alle attuali categorie di riferimento della norma UNI 11248:2008.
Lo sconcerto è tanto più grande quanto ci erano parse condivise ed accettate le decisioni
intraprese durante la riunione di ottobre: a questo punto ci chiediamo se la CCT UNI abbia
realmente potere decisionale sulle scelte dei singoli individui oppure se i documenti di revisione di
una norma così importante come la UNI 11248 siano a completo appannaggio dell’Organo Tecnico
Competente, che continua imperterrito nella sua strada senza tenere in alcuna considerazione le
indicazioni emerse dalle riunioni e dalle richieste delle associazioni partecipanti.
Milano è una città emozionante ed è sempre un piacere visitarla. Avremmo preferito a questo
punto, visti i risultati, spendere il nostro tempo in maniera più proficua.
Crediamo che questa premessa sia d’obbligo per valutare fino a che punto possano essere prese in
considerazione le indicazioni fornite a suo tempo e ribadite anche nel presente documento e
soprattutto se l’Organo Tecnico Competente sia disponibile ad un confronto serio, basato su scritti
e ricerche pubblicate da organi internazionali.
Un comportamento corretto avrebbe infatti condotto ad una revisione del progetto U29000420
secondo quanto indicato dalle decisioni condivise ed eventualmente ad una ulteriore proposta di
2
correzione presentata in allegato secondo le modalità descritte nel documento “progetto
U29000420_rev_post-GS-A_gen12.pdf”. Avere saltato il primo passaggio appare non solo
irriguardoso nei confronti di chi cerca di migliorare una norma importante per la progettazione
illuminotecnica ma denota anche un atteggiamento di sufficienza: se il nostro lavoro è considerato
iniquo oppure inutile preferiremmo saperlo in anticipo.
Per dimostrare che le proposte da noi avanzate si basano su una conoscenza approfondita della
materia e su documenti condivisi in ambito internazionale, ogni punto da noi espresso verrà
accompagnato da un cospicuo numero di citazioni e rimandi; gradiremmo che nei prossimi incontri
fosse possibile discutere dei contenuti della norma con documenti a supporto delle proprie tesi,
tralasciando le proprie opinioni personali per le chiacchiere al bar.
3
1) Proposta 1 – Suddivisione, nel prospetto 1, della colonna “Categoria illuminotecnica di
ingresso per l’analisi dei rischi” in 2 parti, una per la complessità del campo visivo elevata,
l’altra per la complessità del campo visivo normale
A pagina 8 del progetto U29.00.42.0 – Testo post GS-A, il prospetto 1 è così definito:
Si propongono le seguenti modifiche:
a) Ripristinare la suddivisione in due colonne della categoria illuminotecnica di ingresso per
l’analisi dei rischi, così come concordato durante la riunione del 27 ottobre 2011 del GS-A,
specificando nella prima colonna la dicitura “complessità del campo visivo elevata” (con gli
stessi valori riportati nella tabella sopra) e nella seconda colonna la dicitura “complessità
del campo visivo normale” (con i valori attualmente presenti nel prospetto 1 della norma
UNI 11248:2008).
b) Eliminare di conseguenza dal prospetto 2 la riga riguardante “Complessità del campo visivo
normale”.
4
MOTIVAZIONI:
punto (a)
Come già evidenziato a suo tempo, il passaggio dalla complessità del campo visivo normale a
elevata comporta un incremento ingiustificato della categoria illuminotecnica, con conseguente
ricaduta negativa su almeno l’80% delle strade italiane: è infatti ovvio che, mentre un
professionista serio e preparato può intraprendere una analisi dei rischi con cognizione di causa,
molti tecnici o professionisti meno preparati che affrontano questa tipologia di progetto tendono
a lasciare invariata la categoria illuminotecnica di ingresso (ex “di riferimento”) per non assumersi
azzardi nella definizione dei parametri illuminotecnici di progetto.
Se l’obiettivo della revisione della norma UNI 11248:2008 – come più volte ribadito – è quello di
condurre ad una razionalizzazione del processo decisionale, appare indubbio che la presenza di
una tabella con due colonne distinte per complessità visiva risulti estremamente più leggibile e
chiara degli innumerevoli arzigogoli tecnici presenti nel testo post GS-A per sopperire a questa
mancanza (tanto che, inspiegabilmente, da facoltà necessaria diviene “opinabile”, in quanto
inserita all’interno del paragrafo “E’ buona norma” a pagina 12 del progetto U29.00.42.0 – Testo
post GS-A).
Non solo l’innalzamento delle categorie illuminotecniche è incompatibile con gli obiettivi di
risparmio energetico ma resta ancora da dimostrare che l’innalzamento dell’illuminamento medio
a terra possa comportare benefici in termini di riduzione di incidenti o criminalità (in letteratura
legati a tutt’altri parametri, come la riduzione della velocità di circolazione, l’introduzione di
dispositivi rallentatori, la modifica alla carrozzeria delle automobili, la razionalizzazione della
segnaletica per quel che riguarda la riduzione degli incidenti stradali e parametri come una politica
di assistenza alle fasce sociali deboli, la creazione di quartieri con attività miste, la scolarizzazione e
la socializzazione per quel che riguarda la riduzione della criminalità)1.
Si vuole inoltre fare notare come la complicazione introdotta dall’unica colonna porta le
autostrade urbane ed extraurbane ad essere definite, in virtù della complessità del campo visivo
normale (e non si vede come potrebbe essere altrimenti, visto il fatto che si tratta di strade
interdette ai pedoni e veicoli “lenti”, con segnaletica ridotta e una velocità di circolazione che non
consente un campo visivo particolarmente ampio), con una categoria illuminotecnica di progetto
massima ME2 e cioè una categoria illuminotecnica inferiore rispetto a quello che sarebbe stato
adottando un prospetto a due colonne.
punto (b)
Si veda quanto detto al punto (a)
1
Si faccia riferimento all’Allegato 1 – Correlazione fra illuminazione stradale e sicurezza
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2) Proposta 2 - Allineamento criteri “luce bianca” a documentazione scientifica internazionale
A pagina 10 del progetto U29.00.42.0 – Testo post GS-A, è presente la seguente dicitura:
“Con apparecchi che emettono luce con indice di resa dei colori maggiore o uguale a 60, previa verifica, nell’analisi
dei rischi delle condizioni di visione, il progettista può apportare la riduzione massima di una categoria illuminotecnica.
Se tra i parametri che hanno determinato la riduzione di categoria di progetto compare anche l’indice di resa dei colori,
allora il progettista deve verificare che questo parametro risulti congruo in ogni categoria di esercizio prevista,
indipendentemente dalle tecniche usate per la riduzione del flusso luminoso.”
Si propongono le seguenti modifiche:
a) Depennare dalla norma il criterio di declassificazione indiscriminata per Ra>60, non trovando
riscontri né nella normativa internazionale del settore né negli studi condotti a riguardo di un
miglioramento significativo della visione con sorgenti ad elevata resa cromatica.
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MOTIVAZIONI:
punto (a)
Poiché la metodologia generale proposta da suddetta normativa prevede una definizione di
categorie di riferimento massime in base alle tipologie da D.M. 05/11/2001 n.6792 e successiva
declassificazione in base ad analisi dei rischi, in prima istanza non si comprende perché un
parametro di influenza a tutti gli effetti (tutt’ora nel testo della UNI 11248 viene indicato come
tale) viene inteso come a sé stante.
Il documento che funge oggi da riferimento per la visione in ambito mesopico a livello
internazionale è il CIE 191:2010. In base a questo documento è facile evidenziare come benefici
tali per cui è possibile la declassificazione (pari a circa un -25% della luminanza richiesta) si
ottengono solo per luminanze in ambito fotopico inferiori a 0,50 cd/m2. Inoltre il parametro
significativo per ottenere una diminuzione della luminanza in ambito fotopico non è rappresentato
dalla resa cromatica, ma dal rapporto S/P della sorgente luminosa adottata2.
Non si comprende pertanto su quale base l’ing. Soardo affermi che “la bibliografia scientifica
dimostra che già all’inizio della zona mesopica, 3 cd/m2, la luce con elevato indice di resa dei colori
facilita la percezione degli ostacoli in visione periferica” (pagina 3 del resoconto di riunione 27-102011 GS-A): non siamo a conoscenza di alcun documento che affermi queste cose, tanto più che
tutti i documenti da noi citati attestano in prima istanza che la resa dei colori è un parametro
ininfluente e soprattutto che per una luminanza di 3 cd/m2 non si hanno effetti sull’aumento della
percezione degli ostacoli.
Una resa cromatica elevata può aumentare la percezione di contrasto, ma non è stato ancora
indicato in che modo e fino a quando questa può essere migliorata dall’uso di queste sorgenti3;
inoltre la normativa derivante dalla norma prUNI EN 13201-1 si basa sul calcolo della luminanza
dello fondo stradale ovvero dell’illuminamento a terra. Il parametro di resa cromatica pertanto
appare iniquo e poco significativo all’interno di questa normativa4.
Va inoltre sottolineato come alcuni materiali utilizzati per i manti stradali abbiano una riflettanza
nella parte blu dello spettro molto inferiore rispetto a quella giallo-verde (in base alla letteratura,
questo si verifica in presenza di aggregati chiari o rossi, mentre con aggregati scuri l’effetto è
minore). Le sorgenti ad elevato contenuto di luce blu (alto S/P) si vedono pertanto riflettere
dall'asfalto circa la metà della parte blu dello spettro rispetto alla parte gialla5, vanificando di fatto
i presunti effetti benefici dell'elevato contenuto di blu. Al contrario la luce che colpisce
direttamente l'occhio, maggiormente responsabile dell'abbagliamento, non subisce questa
attenuazione. Occorrerebbe pertanto valutare in maniera approfondita non solo l’influenza della
luce “bianca” sulla capacità di visione, ma anche come questa influenza vari in relazione ai manti
stradali adottati: appaiono pertanto infondate o quantomeno riduttive le affermazioni presenti sia
2
Si faccia riferimento all’Allegato 2 – Illuminazione mesopica
Si faccia riferimento all’Allegato 3 – Aumento della visibilità con sorgenti a elevato rapporto S/P
4
Si faccia riferimento all’Allegato 4 – La resa cromatica e i LED
5
Si faccia riferimento all'Allegato 5 – Proprietà fotometriche delle pavimentazioni stradali
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7
nella versione modificata che nella versione attuale della norma UNI 11248 riguardanti i presunti
benefici della “luce bianca”.
Appare peraltro singolare che si spinga all'adozione di luce con alta resa cromatica ai fini della
sicurezza quando non è nemmeno certo che la sicurezza aumenti con la presenza o meno
dell'illuminazione stradale stessa. Un conto è infatti parlare di visibilità di ostacoli ecc., un conto è
invece vedere se la sicurezza aumenti (cioè il numero e la gravità degli incidenti diminuisca) in
presenza di illuminazione o meno. Mancano infatti, ad oggi, studi statisticamente seri ed
indipendenti su questi fondamentali aspetti6. L'aumento di visibilità legato all'aumento dei livelli di
illuminazione può avere conseguenze negative se si considera che in strade molto illuminate
aumenta la sensazione di sicurezza che a sua volta potrebbe portare ad aumentare la velocità con
conseguente aumento del numero e della gravità degli incidenti.
Infine, le scelte nell'illuminazione stradale inoltre non possono trascurare le scoperte recenti sugli
effetti negativi sulla salute umana7 dell'esposizione alla luce durante le ore notturne, specialmente
quella di elevato contenuto di luce blu come nel caso di lampade agli alogenuri metallici o di LED
bianchi. Obbligare ad illuminare con elevati livelli di illuminamento costringe forzatamente la
popolazione ad esposizioni alla luce durante le ore notturne.
6
7
Si faccia riferimento all'Allegato 1 – Correlazione fra illuminazione stradale e sicurezza
Si faccia riferimento all'Allegato 6 – Influenza della luce artificiale sull’uomo
8
3) Proposta 3 - Responsabilizzazione del progettista
A pagina 6 del progetto U29.00.42.0 – Testo dopo inchiesta pubblica, è presente la seguente
dicitura:
“2) Definizione della categoria illuminotecnica di progetto:
nota la categoria illuminotecnica di ingresso per l’analisi dei rischi, valutare i parametri di influenza riportati nel
prospetto 2 secondo quanto indicato nel punto 7 (analisi dei rischi) e, considerando anche gli aspetti del
contenimento dei consumi energetici, decidere se considerare questa categoria come quella di progetto o
modificarla secondo le indicazioni del prospetto 2 ed eventuali altri parametri di influenza valutati dal progettista.
[…]
Nota In conseguenza, per la luminanza e l’illuminamento, […] Tuttavia, salvo esigenze particolari, è conveniente che
illuminamenti e luminanze massime previste dal progetto non siano maggiori del 50% di quelli previsti dalla
categoria illuminotecnica considerata al fine di contenere i consumi energetici.”
Si propongono le seguenti modifiche:
a) Aggiungere alla fine del punto 2) la dicitura “l’analisi dei rischi è condizione obbligatoria ed
imprescindibile per la piena validità del progetto illuminotecnico”.
b) Cambiare la dicitura nella nota in “inoltre, salvo esigenze particolari, si rende obbligatorio che
illuminamenti e luminanze massime previste dal progetto non siamo maggiori del 25% di
quelli previsti dalla categoria illuminotecnica considerata al fine di contenere i consumi
energetici”.
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MOTIVAZIONI:
punto (a)
Viste le problematiche emerse in sede di consultazione, appare auspicabile che i progettisti siano
vincolati all’analisi dei rischi, senza la quale il progetto perde la sua validità.
punto (b)
Un aumento del 50% della luminanza o dell’illuminamento significa il passaggio alla classe
illuminotecnica superiore: questo significa che il sistema adottato è assolutamente
sovradimensionato e pertanto spreca energia. Poiché sarebbe auspicabile che un progettista si
attenesse per quanto possibile alle indicazioni di progetto (e quindi si potrebbe supporre un
aumento massimo del 15%, già oltre i limiti dovuti a condizioni al contorno difficoltose), un limite
del 25% appare oltremodo giustificabile.
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4) Documentazione tecnica allegata
• Allegato 1 – Correlazione fra illuminazione stradale e sicurezza
Come spiegato nel testo, non è sufficiente stabilire che l'illuminazione aumenti la visibilità degli
ostacoli per dedurne che illuminando la gravità e la frequenza degli incidenti diminuisca: ci sono
altri fattori che entrano in gioco, come la sensazione di sicurezza data dalla presenza
dell'illuminazione, che possono tramutare un potenziale vantaggio in uno svantaggio. Per questo
servono studi statistici seri come quelli indicati in bibliografia.
Per comprendere la correlazione tra l'illuminazione e gli incidenti notturni, vanno prima identificati
quei parametri che influenzano la capacità di guida nell’evitare incidenti.
Un parametro fondamentale è sicuramente costituito dai fattori legati all’arresto del veicolo. Per
portare un veicolo ad un arresto sicuro da una certa velocità, in ordine occorre che:
1. il conducente osservi l'ambiente circostante per regolare la propria guida e quindi variare
velocità e direzione. Questo comportamento è chiamato “frequenza di campionamento” ed è
associato ad una funzione probabilistica. Il tempo occorrente per questa attività viene chiamato
“tempo di campionamento”;
2. il conducente veda e acquisisca un'immagine (o “bersaglio”) che porti al pensiero di dover
arrestare il veicolo. Il tempo occorrente per questa attività viene chiamato “tempo di
acquisizione”;
3. il conducente elabori questo pensiero e reagisca mettendo il piede sul freno. Il tempo
occorrente per questa attività viene chiamato “tempo di reazione”;
4. il veicolo deceleri fino ad arrestare la sua corsa. Il tempo occorrente per questa attività viene
chiamato “tempo di arresto”.
Il “tempo di arresto” può venire calcolato in maniera molto semplice (tramite le formule del moto)
se la velocità iniziale è nota oppure anche stimata. Il “tempo di reazione” varia da individuo a
individuo, ma la letteratura riguardante la sicurezza autostradale pone questo tempo come
costante e pari a 2,50 secondi. Il “tempo di acquisizione” è un parametro più complesso ed è in
funzione della visibilità (cioè il conducente deve poter vedere il bersaglio) e di altri fattori casuali
quali la maggiore o minore attenzione del conducente quando il bersaglio diventa visibile o la
capacità più o meno immediata del conducente di riconoscere il bersaglio come un pericolo.
Tutti gli studi riguardanti l’influenza dell’illuminazione sugli incidenti si sono quindi concentrati
sulla validazione dell’ipotesi secondo la quale aumentare la visibilità del bersaglio comporta anche
un tempo medio inferiore di reazione e quindi un aumento della sicurezza alla guida.
E’ possibile osservare, già in via preliminare, quanto l’illuminazione non rappresenti che una
piccola parte del processo, poiché anche a livelli molto bassi di visibilità, definisce un aumento
massimo nel “tempo di acquisizione” inferiore al secondo; inoltre la visibilità non viene influenzata
solamente dalla luminanza del manto stradale, ma anche da altri fattori, quali l’età del
conducente, la posizione relativa dell’ostacolo, la grandezza dell’ostacolo, ecc.
11
Un altro elemento importante da tenere in considerazione è il fatto che nessuno degli studi finora
condotti ha portato a risultati statisticamente rilevanti o perlomeno significativi:
a) Studio sperimentale condotto da Elvik8 (1995)
Lo studio, condotto sotto il patrocinio dell’Istituto Norvegese di Economia dei Trasporti, basato su
37 casi in 11 diversi stati, fa riferimento ad un parametro chiamato “criterion safety” espresso
come:
Ovvero il parametro CS sarà maggiore di 1,00 se l’illuminazione notturna accresce il numero di
incidenti oppure minore se li diminuisce.
Al di là dei dati raccolti e di una generale riduzione degli incidenti in ambito notturno in zone
illuminate, lo stesso autore sottolinea come lo studio non sia del tutto esente dagli errori perché
“non c’è dubbio che esistano numerose altre variabili rispetto alle quali l’effetto dell’illuminazione
pubblica potrebbe variare”; a riprova di questo in alcuni casi considerati il numero di incidenti
risultava superiore con le strade illuminate rispetto alle stesse strade non illuminate.
b) Studio sperimentale condotto da Box9 (1971)
Lo studio, condotto sul numero di incidenti lungo le superstrade americane, dimostra in prima
istanza una diffusa riduzione degli incidenti con strade illuminate, attraverso il calcolo di due
parametri:
E’ interessante notare anche in questo caso come i risultati sperimentali siano poco significativi,
poiché in molti casi gli intervalli di confidenza sono estremamente ampi, tanto che in alcune
superstrade è possibile osservare un parametro di sicurezza maggiore quando la strada non è
illuminata piuttosto di quando è illuminata.
c) Studio sperimentale condotto da Fisher10 (1977)
Questo studio molto importante, condotto in Australia, è stato condotto prendendo in
considerazione gli aspetti relativi alla diminuzione di incidenti dovuta all’illuminazione attraverso il
parametro:
Questo parametro è molto simile a quello utilizzato da Elvik e conferma che può dare evidenza in
maniera significativa dell’incidenza dell’illuminazione in questo tipo di analisi. Ancora più
8
Elvik R., 1995. Meta-Analysis of Evaluations of Public Lighting as Accident Countermeasure. Transportation Research
Record, 1485.
9
Box P.C., 1971. Relationship between illumination and freeway accidents. Illuminating Engineering, 66.
10
Fisher A.J., 1977 . Road Lighting as an Accident Counter-Measure. Australian Road Research, 7(4).
12
interessante è il fatto che solo in pochissimi casi (circa il 12%) il numero degli incidenti veniva
ridotto aumentando l’illuminamento a terra, utilizzando potenze maggiori di lampada.
Secondo le parole dello stesso autore: “L’illuminazione può ridurre gli incidenti notturni, ed è una
preziosa contro-misura. Tuttavia, vi sono dei limiti alla sua applicazione, e deve essere considerata
solo come una delle tante contromisure disponibili. L’illuminazione notturna spiega solo una parte
molto piccola del fenomeno di incidenti, e vi è sempre un minore ritorno nell’investimento mano a
mano che l'illuminazione stradale viene ampliata e aggiornata”.
In conclusione, tutte le prove documentali rilevano come la pretesa di ricondurre la diminuzione
degli incidenti notturni alla sola illuminazione stradale sia del tutto errata, in quanto
l’illuminazione notturna non rappresenta che uno dei molteplici fattori che possono incidere sul
comportamento alla guida e probabilmente nemmeno quello preponderante. Aumentare
indiscriminatamente il livello di luminanza/illuminamento a terra non solo rischia di dimostrarsi
improduttivo ma incrementa notevolmente i consumi energetici.
Un altro motivo di aumento generalizzato dell’illuminazione notturna è dovuto alla presunta
diminuzione degli atti criminali in presenza di maggiore luce.
Anche in questo caso, nonostante i proclami di produttori e diverse municipalità, queste
affermazioni sono ancora tutte da verificare e addirittura alcuni recenti studi11,12,13 pongono
diversi dubbi sull’affermazione secondo cui una maggiore luce notturna porterebbe alla
riduzione degli atti criminali.
A titolo esemplificativo, si riporta il risultato di un importante studio condotto da Malcolm Ramsay
per l’Home Office Crime Prevention Unit inglese14:
“Good street lighting contributes to the quality of urban life. That is not in doubt. What this review
concludes is that improvements to street lighting can help to reduce the public’s fear of crime, but
that they make less of a difference to the prevailing level of crime than many people would expect.
The main points are listed below:
• The public has considerable - but not boundless – faith in street lighting as a means of crime
prevention.
• Offenders are not necessarily much influenced by lighting conditions. When deciding
whether to commit a crime they are likely to take into account a variety of considerations,
rather than an single factor, such as lighting.
• Better lighting by itself has very little effect on crime. There are some limited local
‘blackspots’ where improved lighting may have a modest impact on crime and perhaps a
11
Marchant P. R., 2004. A Demonstration that the Claim that Brighter Lighting Reduces Crime is Unfounded. The
British Journal of Criminology 44, 441-447.
12
Marchant P. R., 2005. What Works? A Critical Note on the Evaluation of Crime Reduction Initiatives. Crime
Prevention and Community Safety 7 7-13.
13
Marchant P. R., 2006. Shining a light on evidence based policy: street lighting and crime. Criminal Justice Matters
No. 62 Uses of Research p18, The Centre for Criminal Justice Studies, Kings College, London.
14
Ramsay M., 1991. The effect of better street lighting on crime and fear: a review. Home Office Crime Prevention
Unit.
13
slightly larger one on incivilities. Also, in conjunction with other measures, better lighting
may help to improve an area. Indirectly, this may conceivably assist in reducing crime although such an outcome is not guaranteed. There is no scope for reducing crime on any
broad basis simply by investing in better street lighting. The sophisticated evaluation of the
major re-lighting scheme in the London Borough of Wandsworth confirms that particular
point (Atkins, Husain and Storey, 1991). Even where localized lighting improvements have
been followed by a reduction in crime, any such effect may taper off after the first few
months, as appears to have happened in Hastings.
• Better street lighting helps to reduce the public’s fear of crime. The extent to which this is
likely to happen remains uncertain. Measuring fear is not straightforward. Different
methods result in different answers. It seems easier to notch up attitudinal changes than to
enable significantly more people to ‘reclaim the night’ in terms of their behavior. However,
an increase in pedestrian traffic after dark has sometimes been demonstrated, at least on a
localised basis. The Hammersmith and Fulham walkway project is an obvious example
(Painter, 1989b). There are also indications, for instance in Cleveland, that, following relighting, women’s attitudes are more likely to change – in a positive direction - than those
of men, who are comparatively less prone to feelings of insecurity in the first place, or at
least are less likely to admit them to an interviewer (Vamplew, 1990).”
Probabilmente il fattore più importante rilevato è quello che l’illuminazione notturna non porta ad
una riduzione diretta degli atti criminali, ma ad una diminuzione della paura delle persone e quindi
incide positivamente sul comportamento degli individui, favorendo la propensione a
comportamenti più civili. Questo significa che non è tanto la maggiore o minore presenza di luce a
incidere sulla criminalità ed il comportamento degli individui, ma la corretta progettazione e la
capacità di un professionista dell’illuminazione di riuscire a progettare nella migliore maniera
possibile gli ambiti considerati.
14
• Allegato 2 – Illuminazione mesopica
Le norma UNI 11248 e le relative UNI 13201-2,3,4 prescrivono luminanze da 0,3 a 2 cd/m2 sul
piano stradale, anche se raramente si vedono impianti a meno di 0,75 cd/m2. La luminanza
indicata dalle norme si riferisce alla sede stradale, che normalmente risulta la parte più buia di una
scena notturna cittadina. Numerose altre sorgenti entrano nella scena visiva, tra le quali i fari e le
luci di automobili, insegne luminose, semafori, vetrine, finestre di edifici ecc. Tutte queste sorgenti
sono a luminanze superiori e contribuiscono a rendere prevalentemente fotopica la visione in
ambito urbano, come si può osservare dalla figura sottostante.
Figura 1. Una scena notturna tipica in ambito urbano. La sede stradale è tra le zone più buie. L'occhio lavora in
maniera fotopica. Foto di Bruce Kingsbury
La visione notturna in ambito urbano – ovvero dove si concentra maggiormente l'illuminazione
pubblica – può essere pertanto ricondotta ad un ambito fotopico e quindi alle norme e ai valori già
presenti in normativa, senza ricorrere ad ulteriori specificazioni. A riprova di questo è il fatto che
nelle condizioni tipiche (come quelle indicate dalla fotografia) i nostri occhi percepiscono i colori e
quindi i coni stanno lavorando nel processo della visione (ovvero siamo in ambito fotopico anziché
scotopico). Se così non fosse, cioè se non riuscissimo a percepire i colori, tanto varrebbe usare
sorgenti di luce monocromatiche.
Questo fatto demolisce fin da subito le pretese di un miglioramento della visione in presenza di
“luce bianca”, tanto più che una delle condizioni fondamentali perché questo si verifichi è che ci si
trovi in un ambiente con illuminazione unicamente in ambito mesopico (definito dall’intervallo di
15
luminanza compreso fra 0,001 e 3 cd/m2 per tutto l’ambiente considerato).
Anche volendo accettare che la visione sia totalmente mesopica (e questo può avvenire
unicamente in situazioni in cui non ci siano altre fonti di luce al di fuori di quelle adibite
all’illuminazione stradale, come ad esempio in una strada rurale di campagna), tutte le
pubblicazioni scientifiche sull’argomento dimostrano che il miglioramento dovuto all’utilizzo di
“luce bianca” non può portare a considerare valida la declassificazione adottata all’interno
dell’attuale norma UNI 11248.
A riprova di questo viene di seguito citata la conclusione del report tecnico CIE 115:2010
denominato “LIGHTING OF ROADS FOR MOTOR AND PEDESTRIAN TRAFFIC” in revisione:
“Considering visibility, the TC 4-36 document Visibility Design for Roadway Lighting gives the
current state of knowledge on how to predict visibility. Three methods are described:
− Visibility Level (VL) on plane and spherical targets;
− Small Target Visibility (STV) on plane targets;
− Revealing Power (RP) concept as a percentage of the road surface area where visibility can
occur for plane targets in negative contrast.
Visibility of objects in the eye’s peripheral field of view is enhanced when white light sources are
used at typical road lighting levels (He et al., 1997). This may be of considerable importance, as
peripheral vision is believed to be significant in relation to night time road safety (CIE x028:2005).
The amount of benefit of improved peripheral vision has not yet been determined (TAC 2006). The
Mesopic Optimization of Visual Efficiency (MOVE) consortium has published a practical system for
mesopic photometry in road lighting dimensioning (Eloholma and Halonen, 2006). There may be
substantial differences in dimensioning low luminance levels of road lighting depending on
whether photopic or mesopic photometry is used. (This subject is being dealt with in CIE TC 1-58
Visual Performance in the Mesopic Region)”.
Il gruppo di lavoro CIE TC1-58 ha quindi prodotto il documento CIE191:2010 – “Recommended
system for mesopic photometry”, che incorpora al suo interno gli studi ed approfondimenti nati in
seno al progetto “MOVE” e che può essere considerato a tutti gli effetti il riferimento chiave per la
visione in ambito mesopico, anche se lo stesso documento non è esente da critiche e lacune (si
veda l'allegato 3). Questo documento, in concomitanza con diversi studi apparsi negli ultimi anni,
dimostra come in ambito mesopico la curva di ponderazione scotopica adottata attualmente si
dimostri non del tutto appropriata nel descrivere il comportamento visivo in questo
ambito15,16,17,18,19,20,21,22,23,24.
15
CIE AA. VV., 1989. Mesopic photometry: history, special problems and pratical solutions. CIE 081-1989.
John D. and Mark S. Rea, 2004. Visual Performance Under Mesopic Conditions.Transportation Research Record:
Journal of the Transportation Research Board.
17
Eloholma M., Viikari M. et al., 2005. Mesopic models – from brightness matching to visual performance in nighttime driving: a review. Lighting Res. Technol. 37,2.
18
He Y., Bierman A. and Rea M., 1998. A system of mesopic photometry, Lighting Res. Technol. 30,4.
19
Eloholma M., Halonen L., 2006. New model for mesopic photometry and its application to road lighting.
Leukos 2(4):263-93.
16
16
E’ infatti emerso che la sensibilità spettrale dell’occhio non cambia quando i livelli di illuminazione
raggiungono l’area mesopica per angoli visuali ristretti e quindi la curva fotopica V(λ) rimane una
misura valida per la visione foveale a basse luminanze. Invece, in situazioni in cui le informazioni
vengono catturate anche da una visione periferica (angolo visivo di 15°-20°), i bastoncelli
assumono un ruolo dominante: in questi casi una sorgente con forte componente blu dello spettro
luminoso apporta miglioramenti alla visione periferica e quindi all’identificazione di oggetti fuori
dal campo foveale, soprattutto col diminuire della luminosità.
Lo studio definisce una nuova curva di ponderazione in ambito mesopico, in sostituzione a quella
attuale fotopica, per valutare il flusso luminoso di una sorgente; questa nuova curva è fatta in
maniera tale da raccordarsi alla curva scotopica (CIE 1951) per valori bassi di luminanza e a quella
fotopica (CIE 1931) per valori alti di luminanza.
Figura 2. Le varie curve di ponderazione in relazione alla luminanza dello sfondo.
In particolare la capacità di una sorgente luminosa di fornire maggiori prestazioni in ambito
mesopico non è tanto dovuta alla resa cromatica o alla temperatura di colore, quanto al rapporto
S/P, determinato come rapporto fra “capacità scotopica” della sorgente e “capacità fotopica”
definito in relazione alle rispettive curve di ponderazione. La richiesta di “luce bianca” (o
comunque con Ra>60) presente nell’attuale norma non è pertanto pertinente e potrebbe
addirittura essere errata nella definizione di sorgenti ad elevata efficienza mesopica (tanto che è
possibile avere sorgenti con Ra>60 e rapporto S/P inferiore anche a quello del sodio).
20
Eloholma M., Ketomäki J., Orreveteläinen P. et al., 2006. Visual performance in night-time driving conditions,
Ophthal Physiol 25:1-10.
21
Freiding A., Eloholma M., Ketomäki J., et al., 2007. Mesopic visual efficiency I: Detection threshold measurements.
Lighting Res Technol. 39.
22
Walkey H., Orreveteläinen P., Barbur J. et al., 2007. Mesopic visual efficiency II: Reaction time experiments, Lighting
Res Technol. 39.
23
Várady G., Freiding A., Eloholma M. et al., 2007. Mesopic visual efficiency III: Discrimination threshold
measurements, Lighting Res Technol. 39.
24
Goodman T., Forbes A., Walkey H. et al., 2007. Mesopic visual efficiency IV: A model with relevance to nighttime
driving and other applications, Lighting Res Technol. 39.
17
Inoltre si ribadisce come la riduzione di una categoria illuminotecnica per l’utilizzo di sorgenti ad
elevata resa cromatica non trova alcun riscontro nello studio pubblicato dal CIE così come nella
moltitudine di studi che si sono susseguiti negli ultimi anni sull’argomento.
A titolo esemplificativo si riporta lo schema indicato dalla CIE 191:2010 per una sorgente LED
4000K (con rapporto S/P = 1,85).
Figura 3. Tabella di incremento della luminanza percepita in ambito mesopico secondo CIE 191:2010
Come si può vedere, per fornire 1,00 cd/m2in ambito mesopico (e quindi realmente percepite
dall’osservatore), utilizzando questa sorgente occorrerebbero circa 0,90 cd/m2secondo il normale
calcolo illuminotecnico. Questo significa che, seguendo pedissequamente il prospetto 3 e
declassificando una categoria ME3c (a 1,00 cd/m2) in ME4b (a 0,75 cd/m2), forniremmo circa il
25% di luce in meno rispetto a quella realmente richiesta.
18
A titolo esemplificativo, si riportano i valori più comuni di luminanza in rapporto alle tipologie di
sorgenti più diffuse (a sodio alta pressione e a “luce bianca” a diverse temperature di colore).
Figura 4. Correlazione fotopica/scotopica per sorgente sodio alta pressione standard
Sorgente Sodio Alta Pressione:
0,75 cd/m2-> 0,83 cd/m2 (+10%)
1,00 cd/m2-> 1,06 cd/m2 (+6%)
1,50 cd/m2-> 1,55 cd/m2 (+2%)
Figura 5. Correlazione fotopica/scotopica per illuminante a 3500K
Sorgente Luce Bianca 3500K:
0,75 cd/m2-> 0,73 cd/m2 (-3%)
1,00 cd/m2-> 0,97 cd/m2 (-3%)
1,50 cd/m2-> 1,47 cd/m2 (-2%)
Figura 6. Correlazione fotopica/scotopica per illuminante a 5000K
Sorgente Luce Bianca 5000K:
0,75 cd/m2-> 0,66 cd/m2 (-12%)
1,00 cd/m2-> 0,93 cd/m2 (-7%)
1,50 cd/m2-> 1,43 cd/m2 (-5%)
Come si può vedere, rimane ben poco della riduzione permessa dalla normativa, soprattutto per
valori uguali o superiori a 1,00 cd/m2.
19
Allegato 3 – Aumento della visibilità con sorgenti a elevato rapporto S/P
Il documento UNI 11248 ha introdotto come discriminante per la declassificazione della categoria
illuminotecnica di riferimento il criterio di “luce bianca” (espresso dalla disequazione Ra>60).
Eppure, come indicato nell’Allegato 2, la discriminante per l’aumento di visibilità in ambito
mesopico non è dovuto né alla “luce bianca” né tantomeno alla resa cromatica: l'elevata resa
cromatica, al meglio della nostra conoscenza, non comporta alcun vantaggio nelle prestazioni
visive legate alla guida.
L’unico criterio valido – espresso da diversi studi e modellazioni in ambito mesopico – oggi
riconosciuto è legato al rapporto S/P delle sorgenti luminose. Per assurdo, esistono sorgenti a
“luce bianca” (o comunque con Ra>60) con basso rapporto S/P e quindi che non apportano il
minimo beneficio in ambito mesopico. Questo significa che l’utilizzo del criterio premiante per
“luce bianca” non solo è sbagliato concettualmente, ma porta anche a favorire sorgenti che non
avrebbero alcun motivo di essere considerate utili dal punto di vista dell’aumento di visibilità.
L'aumento di visibilità con sorgenti ad elevato rapporto S/P deriva dal progetto MOVE, Mesopic
Optimisation of Visual Efficiency25 ampliato e corretto in seguito dagli studi successivi (CIE
191:2010).
Tale documento ha alcuni difetti, tra i quali26:
a) si assume che l'intera scena sia illuminata da un sistema di illuminazione fisso, trascurando
quello che avviene nella realtà (luci abbaglianti non appartenenti all'impianto, luci degli altri
veicoli, ecc.);
b) si assume che l'intera scena sia illuminata da lampade dello stesso tipo e con quindi lo stesso
spettro (nella realtà, oltre alle luci provenienti da altre sorgenti di illuminazione non
appartenenti all'impianto, anche l'impianto stesso può essere dotato di lampade diverse,
soprattutto dopo alcuni anni dall'installazione iniziale);
c) si assume che il campo di adattamento sia calcolato in base alle condizioni al contorno relative
alla sola illuminazione della strada e non quella eventualmente presente nell’ambito reale
illuminato;
d) non esiste ancora alcun metodo sperimentale che possa definire quando il campo di
adattamento sia globale e quando sia locale;
e) non esiste alcun metodo di verifica sperimentale in condizioni mesopiche (attraverso
luminanzometro o strumento simile) che possa dar conto del calcolo effettuato tramite i
coefficienti correttivi espressi dalla CIE 191:2010;
f) si assume che la procedura sviluppata da ricerche svolte in simulatori tenga conto in maniera
corretta degli abbagliamenti nel mondo reale e della conseguente riduzione dell'apertura della
pupilla che riduce l'illuminamento sulla retina;
25
26
http://www.lightinglab.fi/CIETC1-58/files/MOVE_Report.pdf
Ringraziamo David M. Keith per gli spunti forniti.
20
g) non si considera la differenza di prestazioni dovute all'invecchiamento del sistema visivo, tra cui
la ridotta trasmissione della componente blu (si veda il grafico di figura 1, adattato da Brainard,
Rollag, Hanifin, 1997)27.
Così ad esempio per i guidatori anziani, il miglioramento della visione con luce ad elevato rapporto
S/P viene del tutto annullato, per la riduzione del flusso “utile” sulla retina28. In aggiunta, sorgenti
ad elevato rapporto S/P tendono a far chiudere maggiormente la pupilla, peggiorando
ulteriormente il problema. Tutto questo comporta un significativo aumento dell'abbagliamento,
una diminuzione delle prestazioni visive e un aumento dei rischi legati alla guida. Non a caso,
probabilmente, nello studio non si danno informazioni sulle età dei 109 soggetti utilizzati nella
ricerca.
Figura 1. Adattata da Brainard, Rollag, Hanifin, (1997). Come si vede la trasmittanza del cristallino è praticamente
identica nei ventenni e nei sessantenni per la lunghezza d'onda di picco del sodio (589 nm), mentre nel blu la
trasmittanza dell'occhio anziano è molto inferiore rispetto a quello giovane, anche meno della metà.
Inoltre, come riportato nell’ Allegato 6, un elevato rapporto S/P indica una forte componente
“blu” dello spettro della sorgente, che porta alla soppressione della produzione della melatonina
(stimolo circadiano) nell'uomo e ai conseguenti effetti negativi sulla salute umana. In figura 2 si
vede come vi sia una correlazione lineare tra il rapporto S/P e lo stimolo circadiano. Da notare che
27
Brainard G.C., Rollag M.D., Hanifin J.P., 1997. Photic regulation of melatonin in humans: ocular and neural signal
transduction. Journal of Biological Rhythms, 12(6): 537-546.
28
Weale R.A., 1992. On the Senescence of Human Vision. Oxford University Press p49.
21
le sorgenti a LED bianche hanno rapporti S/P molto elevati29 e quindi si collocano sulla parte più a
destra del grafico.
Al contrario le sorgenti di gran lunga meno impattanti sullo stimolo circadiano sono quelle ai
vapori di sodio.
Figura 2. Correlazione tra rapporto S/P e lo stimolo circadiano per alcune sorgenti (si ringrazia David M. Keith,
http://www.mindspring.com/~resodance/Circ_SP.html)
29
Falchi, F., Cinzano, P., Elvidge, C.D., Keith, D.M., Haim, A., 2011. Limiting the impact of light pollution on human
health, environment and stellar visibility. Journal of Environmental Management vol.92 2714-2722.
Si veda anche: http://donklipstein.com/spratio.html
22
• Allegato 4 – La resa cromatica e i LED
L’Indice di Resa Cromatica Ra (chiamato in inglese CRI, Color Rendering Index), è una valutazione
qualitativa sull’aspetto cromatico degli oggetti illuminati e non va confusa con la temperatura di
colore: due sorgenti con temperatura di colore identica possono avere un Ra diverso, come
indicato dalla tabella seguente. Questo parametro indica in che modo una sorgente è in grado di
mantenere inalterato il colore di un oggetto da essa illuminato: varia in una scala da 0 a 100, dove
0 rappresenta il minimo e 100 indica il massimo di Resa Cromatica.
Il metodo, definito dallo standard CIE 13.3-1995, si basa sul calcolo delle differenze che una serie
di campioni di colore presenta al variare dell’illuminazione della sorgente di riferimento rispetto a
quella in esame: proprio per l’arbitrarietà sulla scelta dei colori presi in considerazione, questo
indice rappresenta un valore abbastanza soggettivo.
Il metodo proposto presenta alcuni difetti e lacune:
1) Illuminante di riferimento: la scelta è tra corpo nero e luce diurna di pari temperatura correlata
di colore rispetto alla sorgente sotto test; tuttavia, non vi è alcuna evidenza che queste
sorgenti siano perfette dal punto di vista della resa dei colori. Inoltre, nessuna sorgente può
rendere meglio i colori rispetto al riferimento, situazione che rappresenta un limite allo
sviluppo di nuove sorgenti.
2) Il set di campioni utilizzati (8+6): sono stati estratti dall’atlante Munsell, ma non sono più
commercialmente disponibili. Inoltre, i campioni indicati non coprono il gamut dei possibili
colori in maniera sufficiente come invece possono fare campioni cromatici estratti da altre
raccolte Macbeth Colour Checker.
3) La formula utilizzata per tener conto dell’adattamento cromatico nel passare dell’illuminante di
test a quello di riferimento si è dimostrata inapplicabile per grandi differenze cromatiche.
4) Lo spazio colore U*,V*,W* non è percettivamente uniforme rispetto ad altri spazi colore definiti
in epoche successive dalla CIE, inoltre la formula per il calcolo delle differenze cromatiche
appare obsoleta e inadeguata.
5) L’utilizzo di un solo valore medio non riesce a spiegare le differenze nella resa cromatica di due
diverse sorgenti che hanno lo stesso valore dell’indice, ma differenti valori degli Special Color
Rendering Index (Ri).
6) Per alcune lampade, come quelle al sodio bassa pressione, il valore dell’indice risulta negativo.
Il rapporto CIE 177:2007 riporta i risultati di alcuni esperimenti percettivi e di simulazione sulla
resa del colore. Nell’esperimento dell’università di Hiroshima, attraverso il metodo della differenza
semantica mediante una serie di 18 coppie di aggettivi (high-low fidelity, warm-cool, beatiful-ugly,
saturated-desaturated) è stata valutata l’impressione visuale di 5 scene naturali illuminate da 9
gruppi di illuminanti LED RGB e da un LED bianco30. I risultati hanno mostrato problemi nella
valutazione delle sorgenti LED mediante CRI, ovvero che il CRI non può essere applicato nella
valutazione delle moderne sorgenti bianche a LED. Si può leggere infatti che il parametro di resa
cromatica “generalmente non può venire applicato per definire un indice di classificazione di resa
cromatica di una serie di sorgenti luminose in cui siano inserite sorgenti bianche a LED” e che
“l’applicazione dell’indice di resa cromatica correntemente definito dalla CIE (secondo lo standard
del 1995) è notevolmente limitata se riferita alle sorgenti bianche a LED. Infatti è possibile ad
esempio che sorgenti storicamente ritenute con CRI elevato possano venire visualmente
classificate al di sotto di sorgenti bianche a LED che in realtà avrebbero CRI minore”.
30
Musante F. e Paleari D., 2011. LED e indice di resa cromatica. LEDin n°08/2011.
23
Alla luce di queste evidenze sperimentali risulta necessario riconsiderare l’indice di resa cromatica
come parametro di valutazione per le sorgenti LED; in particolar modo si consiglia di seguire le
seguenti raccomandazioni:
1. il CRI può essere un parametro da tenere in considerazione se la restituzione fedele dei
colori è fondamentale per il compito visivo considerato;
2. il CRI generalmente andrebbe valutato solo tra sorgenti con la medesima temperatura
colore;
3. differenze inferiori ai 5 punti di valutazione non sono significative per la distinzione di due
diverse sorgenti luminose (ad esempio due sorgenti rispettivamente con CRI 80 o CRI 84
sono essenzialmente identiche);
4. occorre valutare sempre la resa degli apparecchi a LED dal vivo e di persona.
Per questo motivo appare incongruo o quantomeno inopportuno richiedere – in una norma che
voglia definirsi oggettiva e corretta – il soddisfacimento di un indice che risulta del tutto privo di
significato, in quanto non solo inapplicabile per le moderne sorgenti LED ma anche inutile dal
punto di vista delle prestazioni in ambito mesopico (si veda l’Allegato 2 e l’Allegato 3, in cui si
mette in evidenza come l’unico indice significativo risulti il rapporto S/P).
24
• Allegato 5 – Proprietà fotometriche delle pavimentazioni stradali
Al di là delle caratterizzazioni adottate in sede internazionale come pavimentazioni standard, è
stato recentemente dimostrato (Ekrias A. et alt., 2008)31 come per la maggior parte degli asfalti la
riflettanza aumenta spostandosi verso lunghezze d’onda maggiori: in generale il fenomeno è più
rilevante con aggregati chiari o rossi, mentre con aggregati scuri l’influenza è ridotta.
Figura 1. La riflettanza di 17 tipi di copertura stradale in relazione a una riflettanza spettrale di riferimento definita
da una superficie omogenea di solfato di bario.
Questo significa che le sorgenti luminose con emissione concentrata nelle lunghezze d’onda
maggiori (come ad esempio le lampade a sodio alta pressione e LED warm white) sono più efficaci
delle sorgenti luminose con emissione concentrata nelle lunghezze d’onda minori (come ad
esempio le lampade a ioduri metallici o LED neutral o cold white). “For the most of the measured
31
Aleksanteri Ekrias, Anne-Mari Ylinen, Marjukka Eloholma, and Liisa Halonen – “Effects of pavement lightness and
colour on road lighting performance”, Proceedings of the CIE International Symposium on Road Surface Photometric
Characteristics: Measurement Systems and Results, Torino 2008.
25
pavements the relative reflectances were higher for the long wavelength region. The results
indicate that light sources with high output in the long wavelength region (for example HPS lamps)
are more effective compared to ones with high output in the short wavelength region.” (pag.4
dell’articolo citato).
Figura 2. La riflettanza totale per lampada a sodio alta pressione e lampada a ioduri metallici per i provini di
copertura stradale visti sopra: si può osservare come la lampada a sodio alta pressione risulti sempre più efficace
della lampada a ioduri metallici.
A conferma di questi dati vengono proposte le risultanze sperimentali condotte dalla Portland
Cement Association32 e da NASA, Jet Propulsion Laboratory e California Institute of Technology33.
Figura 3. La riflettanza spettrale per un manto stradale in cemento ed in asfalto, secondo le indagini condotte dalla
Portland Cement Association.
32
Adrian W., Jobanputra R., 2005. Influence of Pavement Reflectance on Lighting for Parking Lots. Portland Cement
Association. R&D Serial No. 2458.
33
Baldridge, A.M., Hook, S.J., Grove, C.I., Rivera G., 2009. The ASTER Spectral Library Version 2.0. Remote Sensing of
Environment, vol 113, pp. 711-715; http://speclib.jpl.nasa.gov/
26
Figura 4. La riflettanza di quattro tipi di copertura stradale, tre asfalti (AS1, AS2, AS3) e un cemento. Figura tratta da
34
Falchi et al. (2011) . I dati degli asfalti sono presi dalla libreria ASTER (NASA/California Institute of Technology/Jet
Propulsion Laboratory, Baldridge et al., 2009) a sono consultabili online (http://speclib.jpl.nasa.gov/). I dati del
cemento sono tratti da Adrian e Jobanputra (2005).
I documenti presentati dimostrano l’infondatezza della presunta maggiore visibilità fornita da
“sorgenti bianche”, poiché ancora una volta si dimostra che non tutte le sorgenti bianche sono
uguali e soprattutto come la declassificazione per “sorgenti bianche” e la maggiorazione per
sorgenti come lampade al sodio sia del tutto illegittima, visto e considerato che i risultati
definiscono una riflettanza spettrale maggiore di almeno il 15% delle sorgenti al sodio rispetto alle
corrispettive a ioduri metallici (a “luce bianca” appunto).
34
Falchi, F., Cinzano, P., Elvidge, C.D., Keith, D.M., Haim, A., 2011, Limiting the impact of light pollution on human
health, environment and stellar visibility, Journal of Environmental Management vol.92 2714-2722,
doi:10.1016/j.jenvman.2011.06.029
27
• Allegato 6 – Influenza della luce artificiale sull’uomo
Esiste una consolidata evidenza scientifica che l'allungamento artificiale del giorno provochi serie
conseguenze alla salute umana e all'ambiente.
Non ci sono dubbi che l'esposizione alla luce di notte faccia diminuire la secrezione della
melatonina nell'uomo. A mano a mano che la ricerca procede si sta scoprendo che i livelli di
illuminamento sufficienti per ridurre la produzione di melatonina sono sempre più bassi. Nel 1980
Lewy35 mostrò che con alcune migliaia di lux la melatonina non veniva più prodotta dal nostro
organismo. Una decina di anni fa risultò che anche illuminamenti di un solo lux o meno potevano
diminuire significativamente la produzione (Wright et al. 200136; Glickman et al. 200237; Gooley et
al. 201138).
Sempre all'inizio del millennio venne scoperto un nuovo fotorecettore nell'occhio umano, non
implicato nella visione (il Non Image Forming Photoreceptor) e il fotopigmento melanopsina.
Queste scoperte dimostrarono l'importanza dello spettro delle sorgenti di illuminazione nella
risposta del nostro organismo alla luce artificiale (Thapan et al. 200139; Brainard et al. 200140;
Hankins e Lucas 200241; Leonid et al. 200542; Berman e Clear 200843). Cajochen44 scoprì, misurando
melatonina, allerta, termoregolazione e ritmo cardiaco, che la luce monocromatica di lunghezza
d'onda 460 nm (blu) influenzava i fattori misurati, mentre a parità di intensità, la luce
monocromatica a 550 nm (verde) non li influenzava.
35
Lewy A.J., Wehr T.A., Goodwin F.K., Newsome D.A., Markey S.P., 1980. Light suppresses melatonin secretion in
humans. Science 210:1267–1269.
36
Wright K.P. Jr, Hughes R.J., Kronauer R.E., Dijk, D.J., Czeisler C.A., 2001. Intrinsic near-24-h pacemaker period
determines limits of circadian entrainment to a weak synchronizer in humans. Proceedings of the National Academy of
Sciences USA, 98(24): 14027-32.
37
Glickman G., Levin R., Brainard G. C., 2002. Ocular Input for Human Melatonin Regulation: Relevance to Breast
Cancer. Neuroendocrinology Letters, 23 (suppl 2):17-22.
38
Gooley J.J., Chamberlain K., Smith K.A., Khalsa S.B., Rajaratnam S.M., Van Reen E., Zeitzer J.M., Czeisler C.A., Lockley
S.W., 2011. Exposure to room light before bedtime suppresses melatonin onset and shortens melatonin duration in
humans. J. Clin. Endocrinol. Metab. 96:463–72.
39
Thapan K., Arendt J., Skene D.J., 2001. An action spectrum for melatonin suppression: evidence for a novel non-rod,
non-cone photoreceptor system in humans. Journal of Physiology, 535, 261–267.
40
Brainard G.C., Hanifin J.P., Greeson J.M., Byrne B., Glickman G., Gerner G. et al., 2001. Action spectrum for
melatonin regulation in humans: evidence for a novel circadian photoreceptor. Journal of Neuroscience, 21(16), 64056412.
41
Hankins M.W., Lucas R.J., 2002. The Primary Visual Pathway in Humans Is Regulated According to Long-Term Light
Exposure through the Action of a Nonclassical Photopigment. Current Biology,12(3), 191–198.
42
Leonid K., Casper R.F., Hawa R.J., Perelman P., Chung S.H., Sokalsky S., Shapiro C.M., 2005. Blocking LowWavelength Light Prevents Nocturnal Melatonin Suppression with No Adverse Effect on Performance during
Simulated Shift Work. The Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism 90(5):2755–2761.
43
Berman S.M. and Clear R.D., 2008. Past visual studies can support a novel human photoreceptor. Light and
Engineering, v. 16, no. 2, p. 88-94.
44
Cajochen C., Munch M., Kobialka S., Krauchi K., Steiner R., Oelhafen P., Orgul S., Wirz-Justice A., 2005.High
sensitivity of human melatonin, alertness, thermoregulation, and heart rate to short wavelength light. J. Clin.
Endocrinol. Metab. 90:1311-1316.
28
Il prof. Provencio, su “Le Scienze” di luglio 2011 ha scritto un articolo interessante sulle capacità
del nostro organo visivo di reagire a stimoli luminosi nella banda del “blu” anche in assenza di coni
e bastoncelli45: questa proprietà avrebbe una funzione regolatrice del ritmo circadiano. Lo stesso
Provencio ha confermato via mail che tutti gli esperimenti di questo tipo fino ad oggi sono stati
condotti solo su topi e quindi hanno una validità molto relativa.
Questo problema diventa molto evidente con l’utilizzo di sorgenti luminose LED, poiché in genere,
questo tipo di sorgenti presentano un caratteristico picco attorno ai 450 nm; nel confronto con
una lampada a ioduri si può osservare che, benché entrambe forniscano una luce “bianca” (cioè
grazie ad uno spettro abbastanza completo non alterino in maniera sostanziale i colori illuminati),
la sorgente a LED presenta dei “buchi” importanti e dei picchi caratteristici.
Questi picchi diventano sempre più “morbidi” mano a mano che la temperatura di colore della
sorgente LED diviene più calda.
Figura 1. Confronto fra lo spettro luminoso di una sorgente ad alogenuri metallici ed una sorgente Power-LED
bianca con temperatura di colore 4000K.
I primi moduli LED prodotti impiegavano una luce “blu” perché era l’unico modo per garantire
efficienze paragonabili a quelle delle sorgenti tradizionali; ovviamente i produttori si sono dati da
fare per mascherare questa pecca e quindi ancora oggi abbondano lodi sulla luce “bianco/blu”,
che favorirebbe la visione notturna.
Oggi è possibile avere sorgenti luminose LED a svariate temperature di colore; poiché la luce
emessa è essenzialmente “bianca”, vengono definite “warm white” le sorgenti con temperatura
inferiori a 4000K, “neutral white” le sorgenti con temperatura compresa fra 4000K e 6000K e “cool
white” quelle con temperatura superiore a 6000K. E' da ricordare che ai livelli di illuminamento
relativamente bassi della luce artificiale la piacevolezza della tonalità del bianco aumenta alle
basse temperature di colore (si veda la figura 2). Il termine 'neutral white' per lampade a
temperatura di colore così elevate (da 4000 K a 6000 K) è stato probabilmente usato dai
produttori per nascondere la loro incapacità nel fornire lampade a bassa temperatura di colore. In
realtà a 20 lux una sorgente a 4000 K appare spettrale. Per avere un bianco caldo e piacevole la
45
Provencio I., 2011. La funzione nascosta della retina. Le Scienze n° 515.
29
temperatura di colore dovrebbe scendere significativamente sotto i 3000 K (2000 K stando alla
curva di Kruithof46).
Figura 2. La parte bianca del grafico indica che la piacevolezza della luce percepita dall'occhio cambia al cambiare
dell'illuminamento. Ai livelli dell'illuminazione stradale siamo all'estrema sinistra del grafico. A 20 lux la
temperatura ideale dovrebbe essere attorno ai 2000 K. Autore del grafico: Han-Kwang.
L’efficienza del diodo diminuisce passando dal “blu” al “giallo” poiché è maggiore lo strato di
fosforo necessario per la correzione del colore. In realtà oggi, grazie all’evoluzione tecnologica,
abbiamo sorgenti LED “calde” con efficienze paragonabili a quelle “fredde”: non solo la luce
emessa è più gradevole, ma vengono anche ridotti in maniera drastica gli effetti negativi legati alla
luce “blu”.
46
Kruithof, Arie Andries (1941). "Tubular Luminescence Lamps for General Illumination". Philips Technical Review 6
(3): 65–96
30
Figura 3. Emissione luminosa dei Power-LED CREE XM-L per diverse temperature di colore.
Per i diodi LED di ultima generazione si passa quindi da un’efficienza luminosa di circa 133 lm/W
per temperature superiori 5000K a 103 lm/W per temperature inferiori a 3700K (con corrente di
alimentazione pari a 700 mA). Per correnti inferiori l’efficienza aumenta, mentre per correnti
superiori diminuisce.
In realtà quindi il problema della luce “blu” potrebbe essere risolto facilmente, modificando gli
spettri dei LED verso temperature di colore inferiori (e/o l'introduzione di filtri per la
soppressione della componente blu pericolosa). Ciò però comporterebbe un peggioramento
dell’efficienza con totale annullamento dei benefici energetici che potrebbero esserci
nell’adozione di un sistema illuminante LED.
Un documento molto citato e pubblicato recentemente è “The potential of outdoor lighting for
stimulating the human circadian system” di Rea47, in cui si afferma che un probabile pericolosità si
potrebbe avere con moduli LED a luce fredda, mentre per temperature inferiori a 6900K non ci
dovrebbero essere particolari problemi. A parte le considerazioni fatte poco sopra, va rilevato che
l’articolo si riferisce alla semplice applicazione di un modello matematico che rappresenterebbe la
“probabile” risposta dell’occhio umano a stimoli luminosi di vario tipo, sviluppata dallo stesso
autore48: questo significa che lo studio non è stato svolto su base empirica (cioè valutando la
stimolazione su soggetti viventi), ma è stato svolto unicamente su una base teorica derivata da un
modello empirico statistico ancora da verificare.
Inoltre non si tiene conto dell’esposizione ripetuta nel tempo a stimoli anche brevi ma che
possono comportare alterazioni nel lungo periodo.
Recentemente un altro articolo, “Circadian photoreception: ageing and the eye’s important role in
systemic health”49, analizza i vari fattori che possono interessare l’alterazione dei ritmi circadiani
nell’uomo in relazione all’età. In questo scritto si fa notare come esista un picco della sensibilità
47
Rea M.S., Smith A., et al., 2010. The potential of outdoor lighting for stimulating the human circadian system.
ASSIST.
48
Rea M.S., Figueiro M.G., Bullough J.D., et al., 2005. A model of phototransduction by the human circadian system.
Brain Res. Rev. 2005.
49
Turner P.L., Mainster M.A., 2011. Circadian photoreception: ageing and the eye’s important role in systemic health.
Br. J. Ophthalmol.
31
spettrale dei ritmi circadiani attorno ai 460 nm (e quindi rimane confermata l’ipotesi
dell’alterazione dovuta alla componente “blu”), ma anche come l’aumento dell’età porti ad un
progressivo deterioramento delle capacità trasmissive dell’occhio, soprattutto per quel che
riguarda le lunghezze d’onda più corte (pertanto le persone anziane sarebbero meno a rischio
rispetto a quelle più giovani, avendo praticamente un filtro giallo nell'occhio invecchiato).
Il documento principale e più aggiornato riguardante la potenziale pericolosità delle sorgenti LED –
citato anche dal ministro Fazio nella risposta all’interrogazione scritta n° 4-04088 del 2011, relativa
alla pericolosità degli apparecchi illuminanti LED – è rappresentato sicuramente dal resoconto
“Effets sanitaires des systèmes d’éclairage utilisant des diodes électroluminescentes” pubblicato
dall’ ANSES nell’ottobre del 201050.
Nel documento vi è una disamina dei vari rapporti medici inerenti l’utilizzo delle sorgenti luminose
LED e pertanto riassume le posizioni riscontrate fino ad ora piuttosto che offrire nuovi scenari:
resta comunque il fatto che stabilisce un punto fermo nella definizione degli effetti sulla salute
dell’uomo (e dell’ambiente) e, in quanto riassunto, reca al suo interno tutte le posizioni sopra
espresse, oltre a porre ulteriori domande che ancora restano senza risposta (da qui l’accezione
“ancora da verificare” posta a margine del titolo di questo paragrafo).
Il documento non parla solo dei pericoli della luce “blu”, ma si sofferma anche su altre
caratteristiche negative delle sorgenti LED (come ad esempio l’elevata luminosità concentrata in
piccole dimensioni che rendono estremamente “fastidiosi” da guardare certi apparecchi). Per quel
che riguarda la luce “blu” si cita testualmente:
“Le risque d’effet photochimique est associé à la lumière bleue et son niveau dépend de la dose
cumulée de lumière bleue à laquelle la personne a été exposée. Il résulte généralement
d’expositions peu intenses répétées sur de longues durées. Le niveau de preuve associé à ce
risque est important. Des arguments issus d’observations humaines et d’études expérimentales sur
des cultures cellulaires et sur différentes espèces animales convergent pour démontrer une toxicité
particulière des courtes longueurs d’ondes (bleues) pour la rétine. La lumière bleue est ainsi
reconnue pour ses effets néfastes et dangereux sur la rétine, résultant d’un stress oxydatif
cellulaire.
Les effets aggravants de la lumière bleue sur la dégénérescence maculaire liée à l’âge (DMLA) sont
fortement soupçonnés et issus d’observations convergentes sur des modèles expérimentaux. Les
études épidémiologiques réalisées à ce jour n’ont pas permis de conclure du fait de leur manque
de précision sur l’évaluation de l’exposition et sur les données relatives à la prédisposition
individuelle. Trois populations plus particulièrement sensibles au risque ou particulièrement
exposées à la lumière bleue ont été identifiées:
•
les enfants (en raison de la transparence du cristallin) et les personnes aphakes (sans cristallin)
ou pseudophakes (cristallin artificiel) qui ne filtrent pas (ou peu) les courtes longueurs d’ondes
(notamment la lumière bleue) du fait de leur cristallin ;
50
ANSES, 2010. Effets sanitaires des systèmes d’éclairage utilisant des diodes électroluminescentes (LED). Saisine n°
«2008-SA-0408»
32
•
•
les populations sensibles à la lumière : patients atteints de certaines maladies oculaires (par
exemple la DMLA) et cutanées, patients consommant des substances photo-sensibilisantes,
etc. pour lesquels la lumière bleue peut être un facteur aggravant de leur pathologie;
les populations particulièrement exposées aux LED (certaines populations de travailleurs:
installateurs éclairagistes, métiers du spectacle, etc.) qui sont soumises à des éclairages de
forte intensité, et sont donc susceptibles d’être exposées à de grandes quantités de lumière
bleue.”
In definitiva si pone l’accento sul rischio dovuto ad esposizioni ripetute (anche se brevi) alla
cosiddetta luce “blu”, soprattutto per alcune categorie (come ragazzi e persone molto esposte o
con particolari patologie), anche se ad oggi gli studi non hanno portato a conclusioni definitive a
causa della mancanza di precisione sulla valutazione dell'esposizione e dei dati sulla
predisposizione individuale.
A questo punto, data la situazione attuale, credo si ponga il solito dilemma cui sono condannate
le nuove tecnologie: continuare con la realizzazione di prodotti a LED con forte componente
“blu” e rischiare fra qualche anno di ritrovarci con un nuovo caso “amianto” oppure cercare di
appianare il picco sul “blu” ma avere prodotti meno performanti e quindi meno appetibili dal
punto di vista economico. La continua crescita dell'illuminazione notturna (favorita da norme di
settore cieche alle scoperte scientifiche), combinata con l'avvento, finora incontrollato, della
tecnologia LED che permette di avere economicamente luce con elevato contenuto di blu porterà
a severe conseguenze sulla salute umana. A parità di illuminamento, i LED bianchi possono
sopprimere la produzione di melatonina oltre 5 volte di più di una tradizionale lampada al sodio ad
alta pressione e circa 20 volte di più di una lampada al sodio a bassa pressione (Falchi et al.
201151).
Va ricordato infine che la melatonina è un agente oncostatico e quindi la sua diminuzione o
mancanza nel sangue causata dall'esposizione alla luce può incoraggiare la crescita di alcuni tipi di
cancro (Rea et al. 200152; Glickman et al. 2002; Bullough et al. 200653; Stevens et al. 200754; Kloog
et al. 200855; Haim et al. 201056). La melatonina ha inoltre effetti sui disturbi alle coronarie
51
Falchi F., Cinzano P., Elvidge C.D., Keith D.M., Haim A., 2011. Limiting the impact of light pollution on human health,
environment and stellar visibility. Journal of Environmental Management 92, 2714-2722.
52
Rea M.S., Stevens R.G, 2001. Light in the built environment: potential role of circadian disruption in endocrine
disruption and breast cancer. Kluwer Academic Publishers.
53
Bullough J.D., Rea M.S., Figueiro M.G., 2006. Of mice and women: light as a circadian stimulus in breast cancer
research. Cancer Causes Control; 17:375–383.
54
Stevens R.G., 2009. Light-at-night, circadian disruption and breast cancer: assessment of existing evidence.
International Journal of Epidemiology.
55
Kloog I., Haim A., Stevens R.G., Barchana M., Portnov B.A., 2008. Light at Night Co-distributes with Incident Breast
but not Lung Cancer in the Female Population of Israel. Chronobiology International, 25(1), 65-81.
56
Haim, A., Yukler, A., Harel, O., Schwimmer, H., Fares, F., (2010). Effects of chronobiology on prostate cancer cells
growth in vivo. Sleep Science, 3 (1): 32-35.
33
(Brugger et al. 199557). L'assenza di melatonina agisce anche indirettamente sulla nostra fisiologia
causando disordini del sonno che possono a loro volta aver effetti negativi su diabete, obesità e
altro (Bass & Turek 200558; Haus & Smolensky 200659; Reiter et al. 201160,61; Bray & Young 201262).
Le conseguenze fisiologiche, epidemiologiche ed ecologiche della luce artificiale notturna sono
discusse da Navara & Nelson63 e Fonken & Nelson64.
La stessa International Agency for Research on Cancer ha inserito nel gruppo 2A dei probabili
agenti cancerogeni per l'uomo il lavoro notturno che causa la distruzione dei ritmi circadiani (Straif
et al. 200765). Come è possibile rilevare da tutti questi studi la luce notturna sta diventando un
fattore di rischio per la salute umana per la possibile distruzione dei ritmi circadiani (Stevens
200966; Fonken & Nelson 201156). Una risoluzione dell' American Medical Association67 afferma
che l'inquinamento luminoso è diventato un pericolo per la salute pubblica.
Anche il nuovo rapporto "Health Effects of Artificial Light" dello Scientific Committee on Emerging
and Newly Identified Health Risks (SCENIHR)68della Commissione Europea mette in guardia, con la
dovuta prudenza, sui potenziali effetti negativi della luce artificiale di notte e in particolare di
quella ad elevato contenuto di blu:
“Despite the beneficial effects of light, there is mounting evidence that suggests that illtimed
exposure to light (light-at-night), possibly through circadian rhythm disruption, may be
associated with an increased risk of breast cancer and also cause sleep disorders,
gastrointestinal, and cardiovascular disorders, and possibly affective states. Importantly, these
57
Brugger P., Marktl W., Herold M., 1995. Impaired nocturnal secretion of melatonin in coronary heart disease.
Lancet; 345:1408.
58
Bass J., Turek F.W., 2005. Sleepless in America: a pathway to obesity and the metabolic syndrome?. Arch Intern
Med; 165:15–16.
59
Haus E., Smolensky M., 2006. Biological clocks and shift work: circadian dysregulation and potential long-term
effects. Cancer Causes Control; 17:489–500.
60
Reiter R., Tan D., Korkmaz A., Ma S., 2011. Obesity and metabolic syndrome: Association with chronodisruption,
sleep deprivation, and melatonin suppression. Annals of Medicine.
61
Reiter R., Tan D., Sanchez-Barcelo E., Mediavilla M., Gitto E., et al., 2011. Circadian mechanisms in the regulation of
melatonin synthesis: disruption with light at night and the pathophysiological consequences. J Exp Integr Med 1: 1322.
62
Bray M., Young M., 2012. Chronobiological effects on obesity. Current Obesity Reports.
63
Navara K.J., Nelson R.J., 2007. The dark side of light at night: physiological, epidemiological, and ecological
consequences. J. Pineal Res. 43:215-224.
64
Fonken L.K., Nelson R.J., 2011. Illuminating the deleterious effects of light at night. F1000 Med Rep. 2011; 3: 18.
65
Straif K., Baan R., Grosse Y., Secretan B., El Ghissassi F., Bouvard V., Altieri A., Benbrahim-Tallaa L., Cogliano V., 2007.
Carcinogenicity of shift-work, painting, and fire-fighting. Lancet Oncol. 2007 Dec;8(12):1065-6. PubMed PMID:
19271347.
66
Stevens R.G., Blask E.D., Brainard C.G., Hansen J., Lockley S.W. et al., 2007. Meeting Report: The Role of
Environmental Lighting and Circadian Disruption in Cancer and Other Diseases. Environmental Health Perspectives,
vol. 115, n.9, p.1357-1362
67
American Medical Association, House of Delegates, 2009. Resolution 516 – Advocating and Support for Light
Pollution Control Efforts and Glare Reduction for both Public Safety and Energy Savings.
68
SCENIHR, 2012. Health Effects of Artificial Light. Scientific Committee on Emerging and Newly Identified Health
Risks.
34
effects are directly or indirectly due to light itself, without any specific correlation to a given
lighting technology.
Specifically under certain conditions blue light may be more effective in influencing human
biological systems than other visible wavelengths. Thus, monochromatic blue light or light
artificially enriched in blue is particularly effective in melatonin phase shift and suppression
[...]”.
35