Il vecchio libro meglio del tablet I nativi digitali

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Il vecchio libro meglio del tablet I nativi digitali
Il vecchio libro meglio del tablet
I nativi digitali scelgono la carta
I cosiddetti «Millennials» non resistono al fascino dell’odore
della carta e secondo il «Washington Post»
solo il 9% degli studenti universitari si affida agli e-book
di Paolo Di Stefano
Sorpresa, i nativi digitali preferiscono leggere e studiare sul libro di
testo tradizionale, ovvero sul vecchio volume a stampa, quello inventato
cinque secoli fa da Gutenberg e Manuzio, piuttosto che avere a che fare
con lo schermo di un computer.
I cosiddetti «Millennials» non resistono al fascino dell’odore della carta
e del fruscio dei fogli, non vogliono rinunciare alla possibilità di
sottolineare e di scarabocchiare a margine né al piacere di fare le
orecchie alle pagine. Amano persino le macchie di caffè sul bianco della
carta. È il risultato di un sondaggio condotto presso librerie e studenti
dalla linguista Naomi S. Baron, della American University di
Washington, autrice di un recente libro sul destino della lettura nell’era
digitale ( Words Onscreen).
Un altro dato che sorprende è quello emerso in settembre da una ricerca
del Washington Post, secondo cui soltanto il 9 per cento degli studenti
universitari americani si affida agli e-book. Si aggiunga, come ha
rivelato domenica lo stesso quotidiano in un ampio servizio di Michael
S. Rosenwald, che un quarto degli studenti preferisce sborsare decine di
dollari per libri di carta (nuovi o usati) la cui versione digitale sarebbe
gratuita.
Se fossero cinquantenni, sarebbero bollati come ottusi nostalgici. Invece
no, niente struggimenti malinconici, solo la constatazione che la carta è
meglio, per varie ragioni: pratiche, fisico-tattili e probabilmente tecnicomnemoniche, poco importa se i libri pesano negli zaini.
In lunghi anni di indagini sull’argomento, la Baron ha chiesto ai giovani
quali fossero gli aspetti meno gradevoli della lettura su carta. La
risposta ricorrente (e la più interessante)? Eccola: «L’aspetto
sgradevole è che ci vuole più tempo, perché si legge con più attenzione».
È questo il punto. «Non riesco a studiare Tocqueville sul tablet», ha
detto alla Baron uno studente di Scienze politiche. Solo il 16 per cento
legge un testo parola per parola sullo schermo: la stragrande
maggioranza si sofferma su una pagina digitale poco più di un minuto.
Un’indagine dell’università norvegese di Stavanger, qualche mese fa, ha
fatto il giro del mondo: affidando la lettura dello stesso racconto a due
gruppi di ragazzi, su carta agli uni e su Kindle agli altri, si è scoperto
che la memorizzazione è nettamente superiore per i primi. Del resto, già
nel 2008 la neuroscienziata Maryanne Wolf, nel suo studio «Proust e il
calamaro», aveva sottolineato il pericolo, per i nativi digitali, di perdere
la capacità di una «lettura profonda».
Ora, è ovvio che il «ritorno» delle giovani generazioni al cartaceo si
presta a molte riflessioni. E magari suggerisce se non proprio il
dietrofront precipitoso dei più entusiasti ipermodernisti, almeno
qualche cautela, se è vero che anche Don Kilburn, il presidente
americano della Pearson (leader mondiale dell’editoria scolastica e
universitaria), sostiene che il passaggio al digitale non è propriamente
una
rivoluzione
ma
un’evoluzione
ancora
indecifrabile.
Forse spingere gli studenti, sin dalle prime classi scolastiche, verso l’ebook è una delle tante forme di irresponsabilità adolescenziale degli
adulti (educatori e istituzioni). I ragazzi ce lo dicono a modo loro
imparando ad annusare la carta e a fare le orecchie alle pagine.