Le conseguenze delle interruzioni nella conversazione - In-Mind

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Le conseguenze delle interruzioni nella conversazione - In-Mind
“Dimmi come e quanto interrompi e ti dirò che
effetto fai”: Le conseguenze delle interruzioni nella
conversazione
In-Mind Italia
V, 7–12
http://it.in-mind.org
ISSN 2240-2454
Augusto Gnisci, Antonio Pace e Enza Graziano
Seconda Università di Napoli
Keywords
Interruzione, cultura, valutazione, percezione, conversazione
Gli piaceva citare il parere di quell’arguta signora
sulla lingua tedesca:
un idioma del tutto inadatto alla conversazione
perché bisogna aspettare la fine di una frase
per sentire il verbo
e perciò non si può interrompere
Jeffrey Eugenides (2002), Middlesex
“Se lei mi dà un minuto senza interrompermi, io glielo spiego… Lei adesso mi fa la cortesia di lasciarmi
rispondere, sennò mi alzo e me ne vado… Lei mi ha
fatto una domanda, io esigo che lei mi faccia rispondere.” Con queste parole Silvio Berlusconi si rivolgeva a Lucia Annunziata, rivendicando il proprio
diritto alla parola, in una puntata di “In ½ h” che si
concludeva con l’abbandono da parte di Berlusconi
dello studio televisivo dopo una serie d’interruzioni
subite (Gnisci, Di Conza, & Zollo, 2011; v. video
http://www.youtube.com/watch?v=6PH5iIUos8M).
Lo stralcio si rivela esemplificativo del tema
trattato nel presente contributo, ovvero le interruzioni (si veda glossario) del turno di parola ed
i loro effetti sulla valutazione degli interlocutori di conversazioni diadiche. Cosa accade quando interrompiamo un nostro interlocutore? Fino
a che punto è conveniente intromettersi nel discorso di un altro parlante per prendere il turno?
È probabile che se immaginassimo una conversazione ideale, ci verrebbe in mente una scena in
cui ogni interlocutore attende con rispetto che chi
parla esprima completamente il proprio pensiero e,
solo a quel punto, si sentirebbe in diritto di prendere la parola. Dopodiché, in virtù del rispetto reciproco, gli altri interlocutori dovrebbero, stando
alle aspettative, fare lo stesso, ascoltando chi parla
e attendendo la fine del suo turno. Questa immagine sembra rievocare le raffigurazioni, così diffuse
nel XV secolo, della “Sacra conversazione”, in cui
Fig. 1. Primo esempio di “Sacra conversazione” ( fonte: http://
it.wikipedia.org/wiki/Pala_di_Annalena): Beato Angelico,
Madonna con bambino e santi, Museo di San Marco, In. 1890
n. 8493, Tempera su tavola. Su concessione del Ministero
per i Beni e le Attività Culturali. Sono vietate riproduzioni o
duplicazioni con qualsiasi mezzo.
la Madonna è in trono con il bambino Gesù ed è
circondata dai santi, che interloquiscono, in modo
composto, su temi dottrinari o teologici (Figura 1).
Corrispondenza:
Augusto Gnisci
Dipartimento di Psicologia
Seconda Università di Napoli
viale Ellittico, 31 – 81100 Caserta
E-mail: [email protected]
8
La conversazione ideale trova riscontro, ad esempio, nell’interazione madre-bambino: i componenti
di questa straordinaria coppia si sincronizzano nelle
loro interazioni, anche molto precoci, alternandosi
nelle vocalizzazioni proprio come se seguissero un
regolare scambio dei turni di parola (Schaffer, 1984).
Tuttavia, anche se la sincronizzazione tra la fine del
turno di un parlante e l’inizio di quello di un interlocutore è, effettivamente, il fenomeno di presa del turno
che avviene più frequentemente nella conversazione
(Bazzanella, 2001; Sacks, Schegloff, & Jefferson,
1974; Schegloff, 2001), nella vita quotidiana gli interlocutori possono interrompersi vicendevolmente.
È interessante notare che l’auspicato alternarsi
ordinato dei parlanti in una conversazione è anche
sottolineato da espressioni spesso utilizzate in lingua italiana da chi viene interrotto, come “mi faccia parlare”, “posso finire?”, “non m’interrompa,
per favore” eccetera. Così, inserendo nella barra di
ricerca di un sito di condivisione video (youtube.
com) le parole chiave “mi faccia parlare,” spunta
fuori un medley di scene televisive italiane, tipiche
dei talk show e delle interviste politiche, in cui si
verificano interruzioni sistematiche o talvolta perpetrate a ripetizione al solo scopo di infastidire il parlante e farlo desistere dal mantenimento del turno
(http://www.youtube.com/watch?v=LT0o0rh-bFY).
Esistono, nella letteratura sull’argomento, molti
studi che documentano quanto sia diffuso il fenomeno delle interruzioni, in contesti formali, come
nelle interviste politiche (Beattie, 1982, 1989a,
1989b; Bull, 2003; Bull & Mayer, 1988), negli
esami dibattimentali (Gnisci, 2005; Gnisci & Bakeman, 2007), a scuola (Maroni, Gnisci, & Pontecorvo, 2008), nei colloqui medici (Menz & AlRoubaie, 2008) ed in contesti informali, come tra
amici (Bull, 2002), in scambi diadici e di gruppo
(Ng, Bell, & Brooke, 1993; Ng, Brooke, & Dunne, 1995), in lingue e culture diverse (Bogetic,
2011; Li, 2001; Murata, 1994; Tannen, 1984, 1989).
Interrompere viola la “regola aurea” della conversazione: Si parla uno alla volta (Sacks et al.,
1974). Così, di primo acchito, si potrebbe pensare che contravvenire questa regola costituisca una
mancanza di rispetto verso l’interrotto (Brown &
Levinson, 1987; Goffman, 1955) che rende poco
gradevole l’interrompente (Farley, 2008). Di seguito, vengono passati brevemente in rassegna gli
studi sinora pubblicati in proposito, i quali seguono due procedure di conduzione degli esperimenti:
Il primo, denominato “paradigma esterno”, include
gli studi in cui sono state somministrate audio o
videoregistrazioni di conversazioni diadiche a partecipanti che, in seguito, ne hanno valutato alcuni
aspetti; il secondo è il “paradigma interno”, in cui
Gnisci et al.
ciascun partecipante, interagendo con un confederato (ovvero un collaboratore dello sperimentatore
che finge di essere un partecipante), subisce varie
interruzioni e successivamente deve valutare l’interrompente, se stesso o la conversazione in generale.
Minaccia o Espressione d’Interesse?
Ciascuno di noi è costantemente impegnato a difendere la propria “faccia” (si veda glossario; Brown &
Levinson, 1987; Holtgraves, 2001), ovvero l’immagine di sé che ognuno vuol dare agli altri in termini
di attributi socialmente approvati, cercando di individuare e reagire alle azioni che riteniamo possano
minacciarla, come accade per le interruzioni, le quali impediscono di terminare un discorso.
Per comprendere la relazione che lega le interruzioni e la minaccia avvertita da chi le subisce, ci viene in aiuto l’interpretazione della teoria della cortesia (politeness theory) della gestione della “faccia”
(Brown, & Levinson, 1987; Goffman, 1955). Questa teoria cerca di far luce sulla minacciosità di alcuni atti verbali, anche considerando l’interazione
con alcune variabili interpersonali, sostenendo che,
in relazione all’esistenza di tali atti, le persone sono
costantemente impegnate a difendere la propria faccia dalle minacce e a migliorarla. Adattando tale teoria al caso specifico delle interruzioni (Gnisci, Sergi,
De Luca, & Errico, 2012), possiamo supporre che il
loro livello di minacciosità sia funzione di tre elementi e della loro interazione: Il grado d’imposizione
dell’interruzione; la distanza sociale tra gli interlocutori; il potere di un interlocutore rispetto all’altro.
Il grado d’imposizione di un’interruzione è legato alla sua tipologia ed alla frequenza. Le interruzioni non sono tutte uguali. Esistono, infatti, interruzioni negative ed interruzioni positive (Bogetic, 2011;
Goldberg, 1990; Graziano & Gnisci, 2011; Murata,
1994) che, rispettivamente, mirano a intrudere nel
discorso del parlante e a prendere il turno oppure a
sostenere quanto il parlante sta dicendo e mostrare
interesse e coinvolgimento. Per ciò che concerne la
frequenza, poi, un conto è se un’interruzione occorre
sporadicamente, altro si verifica se il suo accadimento è sistematico. Gnisci e collaboratori (2012) hanno
verificato l’interazione tra tipo e frequenza dell’interruzione: Gli effetti negativi (o positivi) delle interruzioni negative (o positive) si amplificano quando
esse sono più frequenti. Nell’episodio di Berlusconi
citato all’inizio, ad esempio, è probabile che proprio
la sistematicità delle interruzioni abbia trasformato in un “insulto” (West & Zimmerman, 1983) alla
“faccia” ciò che, se sporadico, sarebbe stato percepito come un intoppo casuale della conversazione.
La distanza sociale tra gli interlocutori, poi, con-
Gli effetti delle interruzioni
tribuisce a far percepire in maniera diversa un’interruzione a seconda che sia fatta da uno sconosciuto in un contesto formale o da un conoscente in un
contesto informale (Maroni et al., 2008). Nel primo
caso, ci si aspetta un maggiore rispetto dell’alternanza dei turni e, quindi, le interruzioni costituiscono
una minaccia alla “faccia” più grave rispetto a quelle
compiute in una situazione informale, ad esempio
tra amici, in cui le conversazioni sono normalmente
più “disordinate” (ossia con uno scambio dei turni di
parola flessibile in merito a tipologia e frequenza).
Infine, circa la relazione di potere tra gli interlocutori, maggiore è lo status (si veda glossario) di una persona, ovvero la dimensione del
potere che veicola aspettative di comportamento legate al ruolo, più consideriamo lecito che interrompa, in virtù dell’attribuzione di un maggiore diritto a prendere la parola (Ridgeway &
Berger, 1986; Ridgeway, Berger, & Smith, 1985).
Di conseguenza, essere interrotti da una persona
con status minore è un atto più minaccioso rispetto
a quando l’interrompente ha uno status maggiore.
In sostanza, e integrando quanto appena detto con i presupposti teorici dell’expectancy violations theory (Burgoon, 1993; Burgoon & Burgoon,
2001), le azioni (nel caso specifico le interruzioni)
che violano le attese in modo negativo (come accade per le interruzioni negative, che provengono
da sconosciuti e/o che sono compiute da persone
con basso status) costituiscono una minaccia alla
“faccia”; quelle che, invece, violano le attese in
modo positivo (come per le interruzioni positive,
che provengono da amici e/o che sono compiute
da persone con alto status) sono interpretate come
una gradita espressione d’interesse e coinvolgimento nella conversazione da parte dell’interlocutore.
Negli studi sugli effetti delle interruzioni, l’interrotto veniva valutato come meno dominante, influente e competente e meno assertivo dei non interrotti; lo stesso è accaduto quando l’interrotto era
chiamato a valutare se stesso: Il partecipante si giudicava come meno influente (Farley, 2008; Robinson
& Reis, 1989). Tuttavia, pur essendo interrotti con
interruzioni negative, gli interrotti sono stati valutati
come più attraenti e conversazionalmente appropriati (Hawkins, 1991), più rispettosi (LaFrance, 1992) e
più socievoli (Chambliss & Feeny, 1992) dei loro interrompenti. Di conseguenza, anche se perde in termini di status, chi viene interrotto guadagna in termini di piacevolezza e, dunque, acquisisce una luce
positiva nell’ambito delle relazioni interpersonali.
Il Potere Ha un Prezzo
Com’è valutato chi interrompe dalla persona inter-
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rotta e da chi assiste alla conversazione? Anche in
questo caso, diversamente da quanto si potrebbe
pensare, gli esiti non sono univocamente negativi.
Innanzitutto, abbiamo visto che, accanto alle
interruzioni connotate negativamente, esistono
quelle positive. Gnisci e colleghi (2012) hanno dimostrato che questo tipo d’interruzioni (ad esempio quelle che mostrano supporto), oltre a non
essere considerate minacciose dalla persona interrotta, comportano valutazioni positive dell’interrompente, in particolare quando sono compiute con una certa sistematicità, poiché questi
viene percepito come interessato alla conversazione, e quindi gradevole, piuttosto che maleducato.
Fig. 1I. Il destino di chi usa frequentemente interruzioni
negative (per gentile concessione dell’autore: Domenico
Monaco).
Inoltre, anche se chi interrompe si avvale d’interruzioni di tipo negativo, non è inesorabilmente valutato in maniera negativa. Ad esempio, Farley (2008)
ha dimostrato che le persone che usano interruzioni
negative acquisiscono status, ovvero sono giudicate
come più dominanti e influenti. Di conseguenza, questo tipo d’intervento interruttivo può essere un’arma
vantaggiosa di cui avvalersi in alcuni contesti, come
quello politico, in cui è spesso auspicabile mostrare di possedere uno status elevato (Ekstrӧm, 2009).
Talvolta, un’interruzione può anche essere utilizzata
proprio per ribadire il proprio status, come nel caso di
Giuliano Ferrara, il quale, durante una trasmissione
di “Linea Rovente” del 1987, arriva a interrompere
il proprio interlocutore per autorizzarlo a proseguire
(!), come mostrato dalla trascrizione che segue (tratta e modificata da Bazzanella, 1994, pp. 175-176;
le parentesi quadre indicano le sovrapposizioni):
B: a questo livello [io ho parlato]
Ferrara:
[dica dica Padre]
B: in quel contesto proprio di dimissioni…
Tutto, però, ha un suo prezzo. Se le interruzioni negative fanno sembrare più potente chi le uti-
Gnisci et al.
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lizza, allo stesso tempo possono pregiudicarne la
gradevolezza. L’esperimento di Farley (2008) ha
evidenziato che le persone che interrompono negativamente sono valutate come meno piacevoli e
rispettose di chi non interrompe. La Figura 2 mostra il destino di chi usa frequentemente interruzioni negative: sarà una persona dominante, ma sola.
Riassumendo, l’interrompente deve tenere bene a mente il proprio obiettivo ed il contesto che lo circonda. Se in alcune situazioni, il
gioco può valere la candela, e si utilizzano anche
le interruzioni peggiori perché si preferisce essere considerati potenti, seppure antipatici, in altre situazioni questo è senz’altro sconsigliato.
Tutto È Relativo: Il Peso della Cultura
I modi in cui le conversazioni si strutturano e prendono forma non sono avulsi dal contesto culturale
entro il quale gli interlocutori discorrono. La cultura, pertanto, può essere l’elemento decisivo di mediazione nel definire la minacciosità delle interruzioni e, in modo simile, le valutazioni nei confronti
dell’interrompente.
In alcune culture, come quella anglosassone, le
norme condivise sulla conversazione determinano
l’alternarsi ordinato nella presa del turno. In altre
culture, come quella italiana (in particolare meridionale), è, invece, più comune intrattenere conversazioni in cui gli interlocutori s’interrompono reciprocamente (Bull, 2002). Come afferma Umberto Eco
(1986; citato in O’Connell, Kowal & Kaltenbacher,
1990, nostra traduzione) a proposito della differenza
nel conversare tra Italiani ed Americani: “Gli Italiani
si interrompono a vicenda. Tutti si agitano e cercano
di far prevalere il proprio punto di vista impedendo
all’altro di parlare e cercando di dimostrare che l’altro
è un fascista o un comunista. Gli Americani invece
parlano alternandosi in turni di parola.” Così, persone con diverso background culturale possono assumere modalità di cambi di turno differenti nelle loro
interazioni, con aspettative e violazioni delle stesse
decisamente diverse tra loro. Per esempio, è stato
osservato che, in conversazioni avvenute durante il
Giorno del Ringraziamento tra americani newyorkesi e non, i nativi della Grande Mela parlavano molto
più spesso dei non-newyorkesi perché interpretavano le lunghe pause interne al turno dei non-newyorkesi come pause di fine turno e quindi si sentivano autorizzati a prendere la parola (Tannen, 1984).
Analogamente, è lecito aspettarsi che in alcune
culture sia fastidioso ricevere persino interruzioni
positive, mentre in altre possano essere gradite anche interruzioni apparentemente negative. Lo studio
italiano di Gnisci e colleghi (2012) ha, infatti, dimo-
strato che, per gli studenti universitari di un ateneo
del Sud Italia, il disaccordo è percepito in maniera simile alle interruzioni supportive. Allo stesso
modo, anche l’impatto della frequenza delle interruzioni può variare a seconda del contesto culturale.
In alcuni casi, possono bastare poche interruzioni
per provocare nell’interlocutore fastidio e valutazioni negative dell’interrompente; in altre culture,
invece, la vivacità tipica delle conversazioni può far
passare inosservate anche interruzioni sistematiche
o, comunque, è necessario un alto tasso d’interruzione per sortire degli effetti (Gnisci et al., 2012).
Ancora, la cultura influenza la soglia della distanza sociale oltre la quale è sconsigliato interrompere.
In alcuni ambienti, anche essere interrotti da un amico
può risultare fastidioso; in altri, può essere considerato normale persino interrompere in situazioni formali.
La cultura, inoltre, può mediare i rapporti di
potere tra le persone, cosa che vale anche nelle relazioni uomo-donna. Nelle culture in cui la
differenza di status tra uomo e donna è ancora elevata, gli uomini hanno maggiore diritto di
interrompere, cosa che non si verifica laddove
uomo e donna hanno ormai acquisito pari diritti.
A queste considerazioni è legata la cosiddetta
“ipotesi di genere”, secondo la quale le interruzioni
avrebbero un effetto diverso a seconda del genere
dell’interlocutore che le perpetra, come mostrato dai risultati di alcuni studi (Chambliss & Feeny, 1992; Farley, 2008; Hawkins, 1988; Orcutt &
Mennella, 1995). In realtà, altri risultati mostrano
che sarebbe la composizione di genere della diade d’interlocutori a fare la differenza: Se la donna
interrompe un uomo, sarà valutata in maniera più
negativa di quando interrompe un’altra donna (LaFrance, 1992); viceversa, se è un uomo che interrompe e una donna a essere interrotta, la situazione
sarà considerata come più lecita e non comporterà
attribuzioni negative verso gli interlocutori. La questione è così dibattuta perché altri studi non rilevano
particolari effetti del genere degli interlocutori sulle
valutazioni degli stessi (Farley, 2008; Gnisci et al.,
2012; Hawkins, 1991; Robinson & Reis, 1989), lasciando aperte riflessioni metodologiche e teoriche.
Conclusioni
Le interruzioni nella conversazione costituiscono un
fenomeno diffuso quanto sfaccettato, in termini di
definizione, percezione ed effetti. In particolare, pur
violando le abituali norme che prevedono un’alternanza ordinata dei turni, gli effetti sugli interlocutori coinvolti (interrotto ed interrompente) non sono
esclusivamente negativi. Status e gradevolezza di
entrambi, infatti, sembrano influenzati dalle interru-
Gli effetti delle interruzioni
zioni in maniera opposta e complementare. Inoltre,
tali effetti sono mediati dal tipo e dalla frequenza
delle interruzioni, dalla distanza sociale e dalle relazioni di potere tra gli interlocutori, oltre che dal contesto culturale che fa da sfondo alla conversazione.
Percezione delle interruzioni, valutazione delle
stesse ed effetti che provocano, in termini di giudizio su interlocutori e conversazione, sono processi
legati che meritano un approfondimento da parte degli studiosi del settore. Non è detto, infatti, che i criteri individuati dagli studiosi delle interruzioni corrispondano a quelli che le rendono tali agli occhi di
osservatori ingenui (Coon & Schwanenflugel, 1996;
Goldberg, 1990), ovvero non sempre un’interruzione, definita come tale dagli studiosi, viene altrettanto
percepita da osservatori ingenui, così come potrebbe verificarsi il contrario. In altre parole, andrebbe
approfondito quando (e cioè in base a quali criteri)
un osservatore percepisce un cambio di turno come
un’interruzione. Il legame tra percezione dell’interruzione e giudizio che ne scaturisce relativamente
agli interlocutori coinvolti potrebbe costituire una
chiave di volta nella comprensione del fenomeno.
Glossario
Interruzione. Un intervento intrusivo fatto a chi parla
da un interlocutore, che può impedire al parlante di completare il proprio turno (sistema di codifica ICS; Gnisci,
Bull, Graziano, Ciancia, & Errico, 2011).
“Faccia”. L’immagine che si vuol dare di sé agli altri, in
termini di caratteristiche sociali apprezzate e approvate
(Goffman, 1955).
Status. Dimensione del potere che veicola aspettative di
comportamento legate al ruolo (ad esempio, avere lo status d’insegnante).
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Augusto Gnisci è professore ordinario di Psicometria e Metodologia e tecniche della ricerca
applicata presso il Dipartimento
di Psicologia della Seconda Università di Napoli, dove dirige
anche il Laboratorio di Osservazione. È esperto di tecniche di osservazione e di analisi del comportamento,
dell’interazione sociale e della comunicazione verbale e
non verbale. Su questi argomenti, che ha studiato in laboratorio e in contesti applicati, ha pubblicato più di 100
contributi scientifici nazionali e internazionali.
Antonio Pace è dottorando in Scienze della Mente presso il Dipartimento
di Psicologia della Seconda Università
di Napoli. I suoi attuali interessi di ricerca riguardano gli effetti della comunicazione non verbale (in particolare
delle interruzioni e dei gesti) sui giudizi
sociali, che studia in laboratorio avvalendosi della collaborazione di confederati.
Enza Graziano è dottore di ricerca in Scienze della mente presso
la Seconda Università di Napoli. I
suoi principali interessi di ricerca
riguardano l’interazione sociale, in
particolare gli aspetti comunicativi
verbali e non verbali, in diversi contesti. Ad oggi, infatti, il suo impegno nella ricerca e le
sue pubblicazioni hanno riguardato lo studio di aspetti
verbali e non verbali della comunicazione politica e l’approfondimento di caratteristiche conversazionali dell’interazione diadica in diversi contesti.