vocaboli dei termini bioetici secondo il magistero della chiesa

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vocaboli dei termini bioetici secondo il magistero della chiesa
VOCABOLI DEI TERMINI BIOETICI
SECONDO IL MAGISTERO DELLA CHIESA
(Il vocabolario è preso dal sito della Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Italiana)
VOCABOLI
Aborto
Aborto eugenetico
Aborto terapeutico
Accanimento terapeutico
Adozione e affidamento
Aids
Alimentazione ed idratazione artificiale
Amore coniugale e sue caratteristiche
Analgesici
Annunciare il Vangelo della Vita
Antropologia e interventi in campo biomedico
Anziani
Castità
Celebrare il Vangelo della Vita
Cellule staminali (Uso terapeutico)
Centri di aiuto alla vita
Centri per metodi naturali di regolazione della fertilità
Clonazione umana
Compito della legge civile
Congelamento di ovociti
Consultori matrimoniali o famigliari
Contraccezione
Cooperazione all’aborto
Cooperazione ad azione cattiva
Cooperazione all’eutanasia
Cooperazione al suicidio
Cultura della vita
Cure palliative
Diagnosi pre-impiantatoria
Diagnosi pre-natali
Dolore
Donne
Donne che hanno abortito
Embrione
Eutanasia
Evangelizzazione
Fede e ragione
Fenomeno demografico
Formazione della coscienza morale
Giornata per la Vita
Giudizio morale: criteri fondamentali
Ibridazione
Intra Cytoplasmic sperm injection (ICSI)
Isolamento uterino
1
Legge naturale
Legittima difesa
Legittimazione giuridica
Libertà sessuale
Magistero della Chiesa
Malati inguaribili
Masturbazione
Materiale biologico umano di origine illecita
Materialismo pratico
Maternità sostitutiva
Matrimonio
Morale e diritto
Morte oggi
Natura e finalità dell’atto matrimoniale
Obiezione di coscienza
Operatori Sanitari
Opzione fondamentale
Ospedali
Padronanza di sé
Paternità responsabile
Pena di morte
Periodi infecondi
Procreazione e atto coniugale
Prostituzione
Questione ecologica
Rapporti pre-matrimoniali
Relazioni omosessuali
Ricerca biomedica ed insegnamento della Chiesa
Riduzione embrionale
Sacerdoti
Sacralità vita umana
Scienza e tecnica al servizio della persona
Scomunica
Servire il vangelo della vita
Sperimentazione su embrioni e feti
Sposi cristiani
Sterilità
Suicidio
Tecniche di aiuto alla fertilità
Tecniche diagnostiche pre-natali
Tecniche di riproduzione artificiale
Terapia genetica
Uomini di scienza
Vecchiaia
Vescovi
Violenza contro la vita
Vita umana
Volontariato
2
DOCUMENTI
- PAOLO VI - Humanae vitae (HV)
- GIOVANNI PAOLO II - Evangelium vitae (EvV)
- CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE - Nota sulla banalizzazione della
sessualità a proposito di alcune letture di “Luce del mondo (1)
- CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE - Chiarificazioni della Congregazione
per la Dottrina della Fede sull’aborto procurato (2)
- CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE - Istruzione Dignitas Personae su
alcune questioni di bioetica (DP)
- CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE – Risposta a quesiti della Conferenza
Episcopale Statunitense circa l’alimentazione e l’idratazione artificiale (3)
- CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE – Risposta ai dubbi proposti circa
“L’isolamento uterino” ed altre questioni (4)
- CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE - Donum Vitae. Il rispetto della vita
umana nascente e la dignità della procreazione (DV)
- CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE Iura e bona. Dichiarazione
sull’eutanasia (IB)
- CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE – Alcune questioni di etica sessuale (5)
- CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE - Dichiarazione sull’aborto procurato (6)
ABORTO
«Fra tutti i delitti che l'uomo può compiere contro la vita, l'aborto procurato presenta caratteristiche
che lo rendono particolarmente grave e deprecabile. Il Concilio Vaticano II lo definisce, insieme
all'infanticidio, “delitto abominevole”1.
Ma oggi, nella coscienza di molti, la percezione della sua gravità è andata progressivamente
oscurandosi.
L'accettazione dell'aborto nella mentalità, nel costume e nella stessa legge è segno eloquente di
una pericolosissima crisi del senso morale, che diventa sempre più incapace di distinguere tra il
bene e il male, persino quando è in gioco il diritto fondamentale alla vita.
Di fronte a una così grave situazione, occorre più che mai il coraggio di guardare in faccia alla
verità e di chiamare le cose con il loro nome, senza cedere a compromessi di comodo o alla
tentazione di autoinganno. A tale proposito risuona categorico il rimprovero del Profeta: “Guai a
coloro che chiamano bene il male e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in
tenebre” (Is 5, 20).
Proprio nel caso dell'aborto si registra la diffusione di una terminologia ambigua, come quella di
“interruzione della gravidanza”, che tende a nasconderne la vera natura e ad attenuarne la gravità
nell'opinione pubblica.
Forse questo fenomeno linguistico è esso stesso sintomo di un disagio delle coscienze. Ma
nessuna parola vale a cambiare la realtà delle cose: l'aborto procurato è l'uccisione deliberata e
diretta, comunque venga attuata, di un essere umano nella fase iniziale della sua esistenza,
compresa tra il concepimento e la nascita.
1
COST. PAST. SULLA CHIESA
nefanda sunt crimina".
NEL MONDO CONTEMPORANEO
Gaudium et spes, 51: "Abortus necnon infanticidium
3
La gravità morale dell'aborto procurato appare in tutta la sua verità se si riconosce che si tratta di
un omicidio e, in particolare, se si considerano le circostanze specifiche che lo qualificano.
Chi viene soppresso è un essere umano che si affaccia alla vita, ossia quanto di più innocente in
assoluto si possa immaginare: mai potrebbe essere considerato un aggressore, meno che mai un
ingiusto aggressore!
È debole, inerme, al punto di essere privo anche di quella minima forma di difesa che è costituita
dalla forza implorante dei gemiti e del pianto del neonato.
È totalmente affidato alla protezione e alle cure di colei che lo porta in grembo. Eppure, talvolta, è
proprio lei, la mamma, a deciderne e a chiederne la soppressione e persino a procurarla.
È vero che molte volte la scelta abortiva riveste per la madre carattere drammatico e doloroso, in
quanto la decisione di disfarsi del frutto del concepimento non viene presa per ragioni puramente
egoistiche e di comodo, ma perché si vorrebbero salvaguardare alcuni importanti beni, quali la
propria salute o un livello dignitoso di vita per gli altri membri della famiglia. Talvolta si temono per
il nascituro condizioni di esistenza tali da far pensare che per lui sarebbe meglio non nascere.
Tuttavia, queste e altre simili ragioni, per quanto gravi e drammatiche, non possono mai
giustificare la soppressione deliberata di un essere umano innocente» (EvV. 58).
«Pertanto, con l'autorità che Cristo ha conferito a Pietro e ai suoi Successori, in comunione con i
Vescovi della Chiesa cattolica, confermo che l'uccisione diretta e volontaria di un essere umano
innocente è sempre gravemente immorale. Tale dottrina, fondata in quella legge non scritta che
ogni uomo, alla luce della ragione, trova nel proprio cuore (cf. Rm 2, 14-15), è riaffermata dalla
Sacra Scrittura, trasmessa dalla Tradizione della Chiesa e insegnata dal Magistero ordinario e
universale2 »(EvV. 57).
«"Fin dal primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato. Questo
insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L'aborto diretto, cioè voluto come un fine o come
un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale: "Non uccidere il bimbo con l'aborto, e non
sopprimerlo dopo la nascita"3 .
"Dio, padrone della vita, ha affidato agli uomini l'altissima missione di proteggere la vita, missione
che deve essere adempiuta in modo degno dell'uomo. Perciò la vita, una volta concepita, deve
essere protetta con la massima cura; e l'aborto come pure l'infanticidio sono abominevoli delitti"4»
(2).
ABORTO EUGENETICO
«La legittimazione nell'opinione pubblica nasce da una mentalità — a torto ritenuta coerente con le
esigenze della “terapeuticità” — che accoglie la vita solo a certe condizioni e che rifiuta il limite,
l'handicap, l'infermità» (EvV.14).
ABORTO TERAPEUTICO
«Quanto alla problematica di determinati trattamenti medici al fine di preservare la salute della
madre occorre distinguere bene tra due fattispecie diverse: da una parte un intervento che
direttamente provoca la morte del feto, chiamato talvolta in modo inappropriato aborto
"terapeutico", che non può mai essere lecito in quanto è l'uccisione diretta di un essere umano
innocente; dall'altra parte un intervento in sé non abortivo che può avere, come conseguenza
collaterale, la morte del figlio: "Se, per esempio, la salvezza della vita della futura madre,
indipendentemente dal suo stato di gravidanza, richiedesse urgentemente un atto chirurgico, o
altra applicazione terapeutica, che avrebbe come conseguenza accessoria, in nessun modo voluta
né intesa, ma inevitabile, la morte del feto, un tale atto non potrebbe più dirsi un diretto attentato
2
Cf CONC. ECUM. VAT. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25.
Didachè, 2.2.
4
CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et spes, 51.
3
4
alla vita innocente. In queste condizioni l'operazione può essere considerata lecita, come altri simili
interventi medici, sempre che si tratti di un bene di alto valore, qual è la vita, e non sia possibile di
rimandarla dopo la nascita del bambino, né di ricorrere ad altro efficace rimedio"5»mbre 1951) (2).
ACCANIMENTO TERAPEUTICO
«Certi interventi medici non sono più adeguati alla reale situazione del malato, perché ormai
sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perché troppo gravosi per lui e per la
sua famiglia.
In queste situazioni, quando la morte si preannuncia imminente e inevitabile, si può in coscienza
“rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della
vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all'ammalato in simili casi”6.
Si dà certamente l'obbligo morale di curarsi e di farsi curare, ma tale obbligo deve misurarsi con le
situazioni concrete; occorre cioè valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano
oggettivamente proporzionati rispetto alle prospettive di miglioramento.
La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all'eutanasia; esprime
piuttosto l'accettazione della condizione umana di fronte alla morte» (EvV. 65).
«È molto importante oggi proteggere, nel momento della morte, la dignità della persona umana e
la concezione cristiana della vita contro un tecnicismo che rischia di divenire abusivo. Di fatto,
alcuni parlano di “diritto alla morte”, espressione che non designa il diritto di procurarsi o farsi
procurare la morte come si vuole, ma il diritto di morire in tutta serenità, con dignità umana e
cristiana. Da questo punto di vista, l’uso dei mezzi terapeutici talvolta può sollevare dei problemi.
In molti casi la complessità delle situazioni può essere tale da far sorgere dei dubbi sul modo di
applicare i principi della morale. Prendere delle decisioni spetterà in ultima analisi alla coscienza
del malato o delle persone qualificate per parlare a nome suo, oppure anche dei medici, alla luce
degli obblighi morali e dei diversi aspetti del caso.
Ciascuno ha il dovere di curarsi e di farsi curare. Coloro che hanno in cura gli ammalati devono
prestare la loro opera con ogni diligenza e somministrare quei rimedi che riterranno necessari o
utili.
Si dovrà però, in tutte le circostanze, ricorrere ad ogni rimedio possibile? Finora i moralisti
rispondevano che non si è mai obbligati all’uso dei mezzi “straordinari”. Oggi però tale risposta,
sempre valida in linea di principio, può forse sembrare meno chiara, sia per l’imprecisione del
termine che per i rapidi progressi della terapia. Perciò alcuni preferiscono parlare di mezzi
“proporzionati” e “sproporzionati”. In ogni caso, si potranno valutare bene i mezzi mettendo a
confronto il tipo di terapia, il grado di difficoltà e di rischio che comporta, le spese necessarie e le
possibilità di applicazione, con il risultato che ci si può aspettare, tenuto conto delle condizioni
dell’ammalato e delle sue forze fisiche e morali.
Per facilitare l’applicazione di questi principi generali si possono aggiungere le seguenti
precisazioni:
- In mancanza di altri rimedi, è lecito ricorrere, con il consenso dell’ammalato, ai mezzi messi a
disposizione dalla medicina più avanzata, anche se sono ancora allo stadio sperimentale e non
sono esenti da qualche rischio. Accettandoli, l’ammalato potrà anche dare esempio di generosità
per il bene dell’umanità.
- È anche lecito interrompere l’applicazione di tali mezzi, quando i risultati deludono le speranze
riposte in essi. Ma nel prendere una decisione del genere, si dovrà tener conto del giusto desiderio
dell’ammalato e dei suoi familiari, nonché del parere di medici veramente competenti; costoro
potranno senza dubbio giudicare meglio di ogni altro se l’investimento di strumenti e di personale è
sproporzionato ai risultati prevedibili e se le tecniche messe in opera impongono al paziente
sofferenze e disagi maggiori dei benefici che se ne possono trarre.
- È sempre lecito accontentarsi dei mezzi normali che la medicina può offrire. Non si può, quindi,
imporre a nessuno l’obbligo di ricorrere ad un tipo di cura che, per quanto già in uso, tuttavia non è
5
6
PIO XII, Discorso al “Fronte della famiglia” e all’Associazione Famiglie numerose, 27 novembre 1951.
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. sull'eutanasia Iura et bona (5 maggio 1980), IV,1c, 551.
5
ancora esente da pericoli o è troppo oneroso. Il suo rifiuto non equivale al suicidio: significa
piuttosto o semplice accettazione della condizione umana, o desiderio di evitare la messa in opera
di un dispositivo medico sproporzionato ai risultati che si potrebbero sperare, oppure volontà di
non imporre oneri troppo gravi alla famiglia o alla collettività.
- Nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la
decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e
penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato in simili casi.
Perciò il medico non ha motivo di angustiarsi, quasi che non avesse prestato assistenza ad una
persona in pericolo» (IB. 4).
ADOZIONE E AFFIDAMENTO
«Un'espressione particolarmente significativa di solidarietà tra le famiglie è la disponibilità
all'adozione o all'affidamento dei bambini abbandonati dai loro genitori o comunque in situazioni di
grave disagio.
Il vero amore paterno e materno sa andare al di là dei legami della carne e del sangue ed
accogliere anche bambini di altre famiglie, offrendo ad essi quanto è necessario per la loro vita ed
il loro pieno sviluppo.
Tra le forme di adozione, merita di essere proposta anche l'adozione a distanza, da preferire nei
casi in cui l'abbandono ha come unico motivo le condizioni di grave povertà della famiglia. Con tale
tipo di adozione, infatti, si offrono ai genitori gli aiuti necessari per mantenere ed educare i propri
figli, senza doverli sradicare dal loro ambiente naturale» (EvV. 93).
ALIMENTAZIONE ED IDRATAZIONE ARTIFICIALE
«È moralmente obbligatoria la somministrazione di cibo e acqua (per vie naturali oppure
artificiali) al paziente in “stato vegetativo”, a meno che questi alimenti non possano essere
assimilati dal corpo del paziente oppure non gli possano essere somministrati senza
causare un rilevante disagio fisico?
Sì. La somministrazione di cibo e acqua, anche per vie artificiali, è in linea di principio un mezzo
ordinario e proporzionato di conservazione della vita. Essa è quindi obbligatoria, nella misura in cui
e fino a quando dimostra di raggiungere la sua finalità propria, che consiste nel procurare
l’idratazione e il nutrimento del paziente. In tal modo si evitano le sofferenze e la morte dovute
all’inanizione e alla disidratazione.
Se il nutrimento e l’idratazione vengono forniti per vie artificiali a un paziente in “stato vegetativo
permanente”, possono essere interrotti quando medici competenti giudicano con certezza morale
che il paziente non recupererà mai la coscienza?
No. Un paziente in “stato vegetativo permanente” è una persona, con la sua dignità umana
fondamentale, alla quale sono perciò dovute le cure ordinarie e proporzionate, che comprendono,
in linea di principio, la somministrazione di acqua e cibo, anche per vie artificiali» (3).
AIDS
«Chi sa di essere infetto dall’Hiv e quindi di poter trasmettere l’infezione, oltre al peccato grave
contro il sesto comandamento ne commette anche uno contro il quinto, perché consapevolmente
mette a serio rischio la vita di un’altra persona, con ripercussioni anche sulla salute pubblica.
In proposito il Santo Padre7 afferma chiaramente che i profilattici non costituiscono "la soluzione
autentica e morale" del problema dell’Aids e anche che "concentrarsi solo sul profilattico vuol dire
7
Chiarimenti riguardo al testo: BENEDETTO XVI, Luce del mondo. Il Papa, La Chiesa e i segni dei tempi, Libreria
Editrice Vaticana, 2010.
6
banalizzare la sessualità", perché non si vuole affrontare lo smarrimento umano che sta alla base
della trasmissione della pandemia.
È innegabile peraltro che chi ricorre al profilattico per diminuire il rischio per la vita di un’altra
persona intende ridurre il male connesso al suo agire sbagliato. In questo senso il Santo Padre
rileva che il ricorso al profilattico "nell’intenzione di diminuire il pericolo di contagio, può
rappresentare tuttavia un primo passo sulla strada che porta ad una sessualità diversamente
vissuta, più umana".
Si tratta di un’osservazione del tutto compatibile con l’altra affermazione del Santo Padre: "questo
non è il modo vero e proprio per affrontare il male dell’Hiv".
In conclusione, nella lotta contro l’Aids i membri e le istituzioni della Chiesa cattolica sappiano che
occorre stare vicini alle persone, curando gli ammalati e formando tutti perché possano vivere
l’astinenza prima del matrimonio e la fedeltà all’interno del patto coniugale» (1).
AMORE CONIUGALE E SUE CARATTERISTICHE
Amore coniugale.
«L’amore coniugale rivela massimamente la sua vera natura e nobiltà quando è considerato nella
sua sorgente suprema, Dio, che è "Amore", che è il Padre " da cui ogni paternità, in cielo e in terra,
trae il suo nome ".
Il matrimonio non è quindi effetto del caso o prodotto della evoluzione di inconsce forze naturali: è
stato sapientemente e provvidenzialmente istituito da Dio creatore per realizzare nell’umanità il suo
disegno di amore.
Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla
comunione delle loro persone, con la quale si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla
generazione e alla educazione di nuove vite. Per i battezzati, poi, il matrimonio riveste la dignità di
segno sacramentale della grazia, in quanto rappresenta l’unione di Cristo e della Chiesa» (HV. 8)
Caratteristiche.
«In questa luce appaiono chiaramente le note e le esigenze caratteristiche dell’amore coniugale, di
cui è di somma importanza avere un’idea esatta.
È prima di tutto amore pienamente umano, vale a dire sensibile e spirituale. Non è quindi semplice
trasporto di istinto e di sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera, destinato
non solo a mantenersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana;
così che gli sposi diventino un cuor solo e un’anima sola, e raggiungano insieme la loro perfezione
umana.
È poi amore totale, vale a dire una forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi
generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve o calcoli egoistici.
Chi ama davvero il proprio consorte, non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se
stesso, lieto di poterlo arricchire del dono di sé.
È ancora amore fedele ed esclusivo fino alla morte.
Così infatti lo concepiscono lo sposo e la sposa nel giorno in cui assumono liberamente e in piena
consapevolezza l’impegno del vincolo matrimoniale. Fedeltà che può talvolta essere difficile ma è
sempre possibile nobile e meritoria; nessuno lo può negare.
L’esempio di tanti sposi attraverso i secoli dimostra non solo che essa è consentanea alla natura
del matrimonio, ma altresì che da essa, come da una sorgente, scaturisce una intima e duratura
felicità.
È infine amore fecondo, che non si esaurisce tutto nella comunione dei coniugi, ma è destinato a
continuarsi, suscitando nuove vite. "Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura
alla procreazione ed educazione della prole. I figli infatti sono il preziosissimo dono del matrimonio
e contribuiscono moltissimo al bene degli stessi genitori"» (HV. 9).
7
ANALGESICI
«L’uso intensivo di analgesici non è esente da difficoltà, poiché il fenomeno dell’assuefazione di
solito obbliga ad aumentare le dosi per mantenerne l’efficacia.
Conviene ricordare una dichiarazione di Pio XII, la quale conserva ancora tutta la sua validità.
Ad un gruppo di medici che gli avevano posto la seguente domanda: “La soppressione del dolore e
della coscienza per mezzo dei narcotici è permessa dalla religione e dalla morale al medico e al
paziente (anche all’avvicinarsi della morte e se si prevede che l’uso dei narcotici abbrevierà la
vita)?”. Il Papa rispose: “Se non esistono altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce
l’adempimento di altri doveri religiosi e morali: Sì”8. In questo caso, infatti, è chiaro che la morte
non è voluta o ricercata in alcun modo, benché se ne corra il rischio per una ragionevole causa: si
intende semplicemente lenire il dolore in maniera efficace, usando allo scopo quegli analgesici di
cui la medicina dispone.
Gli analgesici che producono negli ammalati la perdita della coscienza, meritano invece una
particolare considerazione.
È molto importante, infatti, che gli uomini non solo possano soddisfare ai loro doveri morali e alle
loro obbligazioni familiari, ma anche e soprattutto che possano prepararsi con piena coscienza
all’incontro con il Cristo. Perciò Pio XII ammonisce che “non è lecito privare il moribondo della
coscienza di sé senza grave motivo”9» (IB. 3).
ANNUNCIARE IL VANGELO DELLA VITA
«È proprio l'annuncio di Gesù ad essere annuncio della vita.
Egli, infatti, è “il Verbo della vita” (1 Gv 1, 1). In lui “la vita si è fatta visibile” (1 Gv 1, 2); anzi lui
stesso è “la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi” (ivi). Questa stessa vita,
grazie al dono dello Spirito, è stata comunicata all'uomo.
Illuminati da questo Vangelo della vita, sentiamo il bisogno di proclamarlo e di testimoniarlo nella
novità sorprendente che lo contraddistingue: poiché si identifica con Gesù stesso, apportatore di
ogni novità10 e vincitore della “vecchiezza” che deriva dal peccato e porta alla morte11. Tale
Vangelo supera ogni aspettativa dell'uomo e svela a quali sublimi altezze viene elevata, per grazia,
la dignità della persona
La gratitudine e la gioia per l'incommensurabile dignità dell'uomo ci spinge a rendere tutti partecipi
di questo messaggio: “Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché
anche voi siate in comunione con noi” (1 Gv 1, 3).
È necessario far giungere il Vangelo della vita al cuore di ogni uomo e donna e immetterlo nelle
pieghe più recondite dell'intera società»(EvV. 80).
«Nello stesso tempo, si tratta di additare tutte le conseguenze di questo stesso Vangelo, che così
si possono riassumere: la vita umana, dono prezioso di Dio, è sacra e inviolabile e per questo, in
particolare, sono assolutamente inaccettabili l'aborto procurato e l'eutanasia. La vita dell'uomo non
solo non deve essere soppressa, ma va protetta con ogni amorosa attenzione. La vita trova il suo
senso nell'amore ricevuto e donato, nel cui orizzonte attingono piena verità la sessualità e la
procreazione umana. In questo amore anche la sofferenza e la morte hanno un senso e, pur
permanendo il mistero che le avvolge, possono diventare eventi di salvezza; il rispetto per la vita
esige che la scienza e la tecnica siano sempre ordinate all'uomo e al suo sviluppo integrale; l'intera
società deve rispettare, difendere e promuovere la dignità di ogni persona umana, in ogni
momento e condizione della sua vita» (EvV. 81).
8
PIO XII, Allocutio, die 24 febr. 1957: AAS 49 (1957) 147.
PIO XII, Allocutio, die 24 febr. 1957: AAS 49 (1957) 145; cf. PIO XII, Allocutio, die 9 sept. 1958: AAS 50 (1958) 694.
10
Cf S. IRENEO: "Omnem novitatem attulit, semetipsum afferens, qui fuerat annuntiatus", Contro le eresie: IV, 34, 1:
SCh 100/2, 846-847.
11
Cf S. TOMMASO D'AQUINO: "Peccator inveterascit, recedens a novitate Christi", In Psalmos Davidis lectura, 6, 5.
9
8
ANTROPOLOGIA E INTERVENTI BIOMEDICI
«Quali criteri morali si devono applicare per chiarire i problemi posti dalla biomedicina?
La risposta a questo interrogativo suppone un'adeguata concezione della natura della persona
umana nella sua dimensione corporea. Infatti, è soltanto nella linea della sua vera natura che la
persona umana può realizzarsi come "totalità unificata"12: ora questa natura e nello stesso tempo
corporale e spirituale. In forza della sua unione sostanziale con un'anima spirituale, il corpo umano
non può essere considerato solo come un complesso di tessuti, organi e funzioni, ne può essere
valutato alla stessa stregua del corpo degli animali, ma è parte costitutiva della persona che
attraverso di esso si manifesta e si esprime.
La legge morale naturale esprime e prescrive le finalità, i diritti e i doveri che si fondano sulla
natura corporale e spirituale della persona umana. Pertanto essa non può essere concepita come
normatività semplicemente biologica, ma deve essere definita come l'ordine razionale secondo il
quale l'uomo è chiamato dal Creatore a dirigere e regolare la sua vita e i suoi atti e, in particolare,
a usare e disporre del proprio corpo13.
Una prima conseguenza può essere dedotta da tali principi: un intervento sul corpo umano non
raggiunge soltanto i tessuti, gli organi e le loro funzioni, ma coinvolge anche a livelli diversi la
stessa persona; comporta quindi un significato e una responsabilità morali, in modo implicito forse,
ma reale.
Giovanni Paolo II ribadiva con forza all'Associazione medica mondiale: "Ogni persona umana,
nella sua singolarità irrepetibile, non è costituita soltanto dallo spirito ma anche dal corpo, così nel
corpo e attraverso il corpo viene raggiunta la persona stessa nella sua realtà concreta. Rispettare
la dignità dell'uomo comporta di conseguenza salvaguardare questa identità dell'uomo corpore et
anima unus, come affermava il Concilio Vaticano II (Cost. Gaudium et Spes, n. 14, 1). È sulla base
di questa visione antropologica che si devono trovare i criteri fondamentali per le decisioni da
prendere, quando si tratta d'interventi non strettamente terapeutici, per esempio gli interventi
miranti al miglioramento della condizione biologica umana"14.
La biologia e la medicina nelle loro applicazioni concorrono al bene integrale della vita umana
quando vengono in aiuto della persona colpita da malattia e infermità nel rispetto della sua dignità
di creatura di Dio.
Nessun biologo o medico può ragionevolmente pretendere, in forza della sua competenza
scientifica, di decidere dell'origine e del destino degli uomini.
Tutto questo si deve applicare in maniera particolare nell'ambito della sessualità e della
procreazione, dove l'uomo e la donna pongono in atto i valori fondamentali dell'amore e della vita.
Dio, che è amore e vita, ha inscritto nell'uomo e nella donna la vocazione a una partecipazione
speciale al suo mistero di comunione personale e alla sua opera di Creatore e di Padre15. Per
questo il matrimonio possiede specifici beni e valori di unione e di procreazione senza possibilità di
confronto con quelli che esistono nelle forme inferiori della vita.
Tali valori e significati di ordine personale determinano dal punto di vista morale il senso e i limiti
degli interventi artificiali sulla procreazione e sull'origine della vita umana. Questi interventi non
sono da rifiutare in quanto artificiali. Come tali essi testimoniano le possibilità dell'arte medica, ma
si devono valutare sotto il profilo morale in riferimento alla dignità della persona umana, chiamata a
realizzare la vocazione divina al dono dell'amore e al dono della vita» (DV. 3).
ANZIANI
«Un posto particolare va riconosciuto agli anziani.
12
GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris Consortio, 11: AAS 74 (1982) 92.
Cf. PAOLO VI, Encicl. Humanae Vitae, 10: AAS 60 (1968) 488.
14
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alla 35a Assemblea Generale dell'Associazione Medica Mondiale, 29
ottobre 1983: AAS 76 (1984) 393.
15
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris Consortio, 11: AAS 74 (1982) 91-92; cf. anche Costit. past.
Gaudium et Spes, 50.
13
9
Mentre in alcune culture la persona più avanzata in età rimane inserita nella famiglia con un ruolo
attivo importante, in altre culture invece chi è vecchio è sentito come un peso inutile e viene
abbandonato a se stesso: in simile contesto può sorgere più facilmente la tentazione di ricorrere
all'eutanasia.
L'emarginazione o addirittura il rifiuto degli anziani sono intollerabili.
La loro presenza in famiglia, o almeno la vicinanza ad essi della famiglia quando per la ristrettezza
degli spazi abitativi o per altri motivi tale presenza non fosse possibile, sono di fondamentale
importanza nel creare un clima di reciproco scambio e di arricchente comunicazione fra le varie età
della vita.
È importante, perciò, che si conservi, o si ristabilisca dove è andato smarrito, una sorta di “patto”
tra le generazioni, così che i genitori anziani, giunti al termine del loro cammino, possano trovare
nei figli l'accoglienza e la solidarietà che essi hanno avuto nei loro confronti quando s'affacciavano
alla vita: lo esige l'obbedienza al comando divino di onorare il padre e la madre (cf. Es 20, 12; Lv
19, 3).
Ma c'è di più. L'anziano non è da considerare solo oggetto di attenzione, vicinanza e servizio.
Anch'egli ha un prezioso contributo da portare al Vangelo della vita. Grazie al ricco patrimonio di
esperienza acquisito lungo gli anni, può e deve essere dispensatore di sapienza, testimone di
speranza e di carità.
Se è vero che “l'avvenire dell'umanità passa attraverso la famiglia”16, si deve riconoscere che le
odierne condizioni sociali, economiche e culturali rendono spesso più arduo e faticoso il compito
della famiglia nel servire la vita. Perché possa realizzare la sua vocazione di “santuario della vita”,
quale cellula di una società che ama e accoglie la vita, è necessario e urgente che la famiglia
stessa sia aiutata e sostenuta.
Le società e gli Stati le devono assicurare tutto quel sostegno, anche economico che è necessario
perché le famiglie possano rispondere in modo più umano ai propri problemi. Da parte sua la
Chiesa deve promuovere instancabilmente una pastorale familiare capace di stimolare ogni
famiglia a riscoprire e vivere con gioia e con coraggio la sua missione nei confronti del Vangelo
della vita » (EvV. 94).
CASTITA’
«Vogliamo richiamare l’attenzione degli educatori e di quanti assolvono compiti di responsabilità in
ordine al bene comune dell’umana convivenza, sulla necessità di creare un clima favorevole
all’educazione della castità, cioè al trionfo della sana libertà sulla licenza, mediante il rispetto
dell’ordine morale.
Tutto ciò che i moderni mezzi di comunicazione sociale suscitano: dalle eccitazioni dei sensi, alla
sfrenatezza dei costumi, come pure ogni forma di pornografia o di spettacoli licenziosi, deve
suscitare la franca e unanime reazione di tutte le persone sollecite del progresso della civiltà e
della difesa dei beni supremi dello spirito umano.
Invano si cercherebbe di giustificare queste depravazioni con pretese esigenze artistiche
scientifiche o di trarre argomento dalla libertà lasciata in questo settore da parte delle pubbliche
autorità» (HV. 22).
«La virtù della castità dà una impronta a tutta la personalità, nel suo comportamento sia interiore
che esteriore.
Essa deve distinguere le persone, nei loro differenti stati di vita: le une, nella verginità o nel
celibato consacrato, un modo eminente di dedicarsi più facilmente a Dio solo, con cuore indiviso17;
le altre, nella maniera, quale è determinata per tutti dalla legge morale e secondo che siano
sposate o celibi.
Tuttavia, in ogni stato di vita, la castità non si riduce a un atteggiamento esteriore: essa deve
rendere puro il cuore dell'uomo, secondo la parola di Cristo: “Avete inteso che fu detto: Non
16
GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Familiaris consortio (22 novembre 1981), 85: AAS 74 (1982), 188.
Cf. 1 Cor 7,7.34; CONC. DI TRENTO, sess. 24, can. 10: Denz 1810; CONC.. VATICANO II, Cost. dogm. Lumen gentium,
42, 43, 44: EV 1/397-407; SINODO DEI VESCOVI 1971, Il sacerdozio ministeriale, parte II, 4 b: EV 4/1211.
17
10
commettere adulterio; ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla ha già commesso
adulterio con lei nel suo cuore” (Mt 5,27-28).
La castità è compresa in quella continenza che Paolo annovera tra i doni dello Spirito Santo,
mentre condanna la lussuria come un vizio particolarmente indegno del cristiano e che esclude dal
regno dei cieli (cf. Gal 5,19-23; 1 Cor 6,9-11).
“Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione: che vi asteniate dalla impudicizia, che
ciascuno sappia mantenere il proprio corpo con santità e rispetto non come oggetto di passioni e
libidine, come i pagani che non conoscono Dio; che nessuno offenda e inganni in questa materia il
proprio fratello. Dio non ci ha chiamati all'impurità, ma alla santificazione. Perciò chi disprezza
queste norme non disprezza un uomo, ma Dio stesso, che vi dona il suo Santo Spirito” (1 Ts 4,3-8;
cf. Col 3,5-7; 1 Tm 1,10).
“Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come
si addice a santi... Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da
idolatri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per
queste cose infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono. Non abbiate quindi niente in
comune con loro. Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò
come i figli della luce” (Ef 5,3-8; cf. 4,18-19).
L'apostolo, inoltre, precisa la ragione propriamente cristiana di praticare la castità, quando
condanna il peccato di fornicazione non soltanto nella misura in cui quest'azione fa torto al
prossimo o all'ordine sociale, ma perché il fornicatore offende Cristo, che lo ha riscattato con il suo
sangue e di cui egli è membro, e lo Spirito Santo, di cui egli è tempio: “Non sapete che i vostri
corpi sono membra di Cristo? Qualsiasi peccato l'uomo commetta, è fuori del suo corpo; ma chi si
dà all'impudicizia, pecca contro il proprio corpo. O non sapete che il vostro corpo è tempio dello
Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati
comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Cor 6,15.18-19).
Quanto più i fedeli comprenderanno il valore della castità e la sua necessaria funzione nella loro
vita di uomini e di donne, quanto più avvertiranno, per una sorta d'istinto spirituale, ciò che questa
virtù esige e suggerisce, tanto meglio essi sapranno anche accettare e compiere, docili
all'insegnamento della Chiesa, ciò che la retta coscienza detterà loro nei casi concreti» (5.11).
«L'apostolo san Paolo descrive in termini drammatici il doloroso conflitto, nell'interno dell'uomo
schiavo del peccato, tra la “legge della sua mente” e la “legge della carne nelle sue membra”, che
lo tiene prigioniero (cf. Rm 7,23).
Ma l'uomo può ottenere d'esser liberato dal suo “corpo di morte” mediante la grazia di Gesù Cristo
(cf. Rm 7,24-25). Di questa grazia godono gli uomini che essa stessa ha reso giusti, coloro che la
legge dello Spirito, che dà la vita in Cristo, ha liberato dalla legge del peccato e dalla morte (Rm
8,2). Perciò, l'apostolo li scongiura: “Non regni più dunque il peccato nel vostro corpo mortale, sì
da sottomettervi ai suoi desideri” (Rm 6,12).
Questa liberazione, pur rendendo idonei a servire Dio in novità di vita, non sopprime la
concupiscenza che proviene del peccato originale, né gli incitamenti al male di un “mondo che
giace sotto il potere del maligno” (1 Gv 5,19). Perciò l'Apostolo incoraggia i fedeli a superare le
tentazioni con la forza di Dio (cf.1 Cor 10,13) “e a resistere alle insidie del diavolo” (Ef 6,11)
mediante la fede, la preghiera vigilante (cf. Ef 6,16.18) e una austerità di vita che riduce il corpo a
servizio dello Spirito (cf. 1 Cor 9,27).
Vivere la vita cristiana sulle orme di Cristo richiede che ciascuno “rinneghi se stesso e prenda la
sua croce ogni giorno” (Lc 9,23), se sorretto dalla speranza della ricompensa: “Se moriamo con lui,
vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo” (2 Tm 2,11-12).
Nella linea di questi insistenti inviti, i fedeli anche nel nostro tempo, anzi oggi più che mai, devono
adottare i mezzi, che sono stati sempre raccomandati dalla Chiesa per vivere una vita casta: la
disciplina dei sensi e dello spirito, la vigilanza e la prudenza nell'evitare le occasioni di peccato, la
custodia del pudore, la moderazione nei divertimenti, le sane occupazioni, il frequente ricorso alla
preghiera e ai sacramenti della penitenza e dell'eucaristia.
I giovani, soprattutto, devono preoccuparsi sviluppare la loro pietà verso l'Immacolata Madre di Dio
e proporsi, come esempio da imitare, la vita dei santi e degli altri fedeli, specialmente dei giovani,
che si sono distinti nella pratica della castità.
11
Occorre, in particolare, che tutti abbiano un'alta idea della virtù della castità, della sua bellezza e
del suo rifulgente splendore. Essa onora l'essere umano e lo rende capace di un amore vero,
disinteressato, generoso e rispettoso degli altri» (5.12).
CELEBRARE IL VANGELO DELLA VITA
«”Mandati nel mondo come «popolo per la vita”, il nostro annuncio deve diventare anche una vera
e propria celebrazione del Vangelo della vita. È anzi questa stessa celebrazione, con la forza
evocativa dei suoi gesti, simboli e riti, a diventare luogo prezioso e significativo per trasmettere la
bellezza e la grandezza di questo Vangelo.
A tal fine, urge anzitutto coltivare, in noi e negli altri, uno sguardo contemplativo18.
Questo nasce dalla fede nel Dio della vita, che ha creato ogni uomo facendolo come un prodigio
(cf. Sal 139/138, 14). È lo sguardo di chi vede la vita nella sua profondità, cogliendone le
dimensioni di gratuità, di bellezza, di provocazione alla libertà e alla responsabilità. È lo sguardo di
chi non pretende d'impossessarsi della realtà, ma la accoglie come un dono, scoprendo in ogni
cosa il riflesso del Creatore e in ogni persona la sua immagine vivente (cf. Gn 1, 27; Sal 8, 6).
Questo sguardo non si arrende sfiduciato di fronte a chi è nella malattia, nella sofferenza, nella
marginalità e alle soglie della morte; ma da tutte queste situazioni si lascia interpellare per andare
alla ricerca di un senso e, proprio in queste circostanze, si apre a ritrovare nel volto di ogni
persona un appello al confronto, al dialogo, alla solidarietà» (EvV. 83).
«Celebrare il Vangelo della vita significa celebrare il Dio della vita, il Dio che dona la vita: “Noi
dobbiamo celebrare la Vita eterna, dalla quale procede qualsiasi altra vita. Da essa riceve la vita,
proporzionalmente alle sue capacità, ogni essere che partecipa in qualche modo alla vita.
Questa Vita divina, che è al di sopra di qualsiasi vita, vivifica e conserva la vita. Qualsiasi vita e
qualsiasi movimento vitale procedono da questa Vita che trascende ogni vita ed ogni principio di
vita. Ad essa le anime debbono la loro incorruttibilità, come pure grazie ad essa vivono tutti gli
animali e tutte le piante, che ricevono della vita l'eco più debole.
Agli uomini, esseri composti di spirito e di materia, la Vita dona la vita. Se poi ci accade di
abbandonarla, allora la Vita, per il traboccare del suo amore verso l'uomo, ci converte e ci richiama
a sé. Non solo: ci promette di condurci, anime e corpi, alla vita perfetta, all'immortalità. È troppo
poco dire che questa Vita è viva: essa è Principio di vita, Causa e Sorgente unica di vita. Ogni
vivente deve contemplarla e lodarla: è Vita che trabocca vita”19.
Siamo chiamati ad esprimere stupore e gratitudine per la vita ricevuta in dono e ad accogliere,
gustare e comunicare il Vangelo della vita non solo con la preghiera personale e comunitaria, ma
soprattutto con le celebrazioni dell'anno liturgico.
Sono qui da ricordare in particolare i Sacramenti, segni efficaci della presenza e dell'azione
salvifica del Signore Gesù nell'esistenza cristiana: essi rendono gli uomini partecipi della vita
divina, assicurando loro l'energia spirituale necessaria per realizzare nella sua piena verità il
significato del vivere, del soffrire e del morire. Grazie ad una genuina riscoperta del senso dei riti e
ad una loro adeguata valorizzazione, le celebrazioni liturgiche, soprattutto quelle sacramentali,
saranno sempre più in grado di esprimere la verità piena sulla nascita, la vita, la sofferenza e la
morte, aiutando a vivere queste realtà come partecipazione al mistero pasquale di Cristo morto e
risorto» (EvV. 84)
«Nella logica del culto spirituale gradito a Dio (cf. Rm 12, 1), la celebrazione del Vangelo della vita
chiede di realizzarsi soprattutto nell'esistenza quotidiana, vissuta nell'amore per gli altri e nella
donazione di se stessi. Sarà così tutta la nostra esistenza a farsi accoglienza autentica e
responsabile del dono della vita e lode sincera e riconoscente a Dio che ci ha fatto tale dono. È
quanto già avviene in tantissimi gesti di donazione, spesso umile e nascosta, compiuti da uomini e
donne, bambini e adulti, giovani e anziani, sani e ammalati.
18
19
Cf GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus (1° maggio 1991), n. 37: AAS 83 (1991), 840.
PSEUDO-DIONIGI L'AEROPAGITA, Sui nomi divini, VI, 1-3: PG 3, 856-857.
12
Al di là dei fatti clamorosi, c'è l'eroismo del quotidiano, fatto di piccoli o grandi gesti di condivisione
che alimentano un'autentica cultura della vita. Tra questi gesti merita particolare apprezzamento la
donazione di organi compiuta in forme eticamente accettabili, per offrire una possibilità di salute e
perfino di vita a malati talvolta privi di speranza.
A tale eroismo del quotidiano appartiene la testimonianza silenziosa, ma quanto mai feconda ed
eloquente, di “tutte le madri coraggiose, che si dedicano senza riserve alla propria famiglia, che
soffrono nel dare alla luce i propri figli, e poi sono pronte ad intraprendere ogni fatica, ad affrontare
ogni sacrificio, per trasmettere loro quanto di meglio esse custodiscono in sé”20.
Nel vivere la loro missione “non sempre queste madri eroiche trovano sostegno nel loro ambiente.
Anzi, i modelli di civiltà, spesso promossi e propagati dai mezzi di comunicazione, non favoriscono
la maternità. Nel nome del progresso e della modernità vengono presentati come ormai superati i
valori della fedeltà, della castità, del sacrificio, nei quali si sono distinte e continuano a distinguersi
schiere di spose e di madri cristiane.
Vi ringraziamo, madri eroiche, per il vostro amore invincibile! Vi ringraziamo per l'intrepida fiducia
in Dio e nel suo amore. Vi ringraziamo per il sacrificio della vostra vita”21 ». (EvV. 86)
CELLULE STAMINALI (Uso terapeutico)
«Le cellule staminali sono cellule indifferenziate che possiedono due caratteristiche fondamentali:
a) la capacità prolungata di moltiplicarsi senza differenziarsi;
b) la capacità di dare origine a cellule progenitrici di transito, dalle quali discendono cellule
altamente differenziate, per esempio, nervose, muscolari, ematiche.
Da quando si è verificato sperimentalmente che le cellule staminali, se trapiantate in un tessuto
danneggiato, tendono a favorire la ripopolazione di cellule e la rigenerazione di tale tessuto, si
sono aperte nuove prospettive per la medicina rigenerativa, che hanno suscitato grande interesse
tra i ricercatori di tutto il mondo.
Nell’uomo, le fonti di cellule staminali finora individuate sono: l’embrione nei primi stadi del suo
sviluppo, il feto, il sangue del cordone ombelicale, vari tessuti dell’adulto (midollo osseo, cordone
ombelicale, cervello…) e il liquido amniotico.
Inizialmente, gli studi si sono concentrati sulle cellule staminali embrionali, poiché si riteneva che
solo queste possedessero grandi potenzialità di moltiplicazione e di differenziazione.
Numerosi studi, però, dimostrano che anche le cellule staminali adulte presentano una loro
versatilità.
Anche se tali cellule non sembrano avere la medesima capacità di rinnovamento e la stessa
plasticità delle cellule staminali di origine embrionale, tuttavia studi e sperimentazioni di alto livello
scientifico tendono ad accreditare a queste cellule dei risultati più positivi se confrontati con quelle
embrionali. I protocolli terapeutici attualmente praticati prevedono l’uso di cellule staminali adulte e
sono state avviate molte linee di ricerca, che aprono nuovi e promettenti orizzonti» (DP 31).
«Per la valutazione etica occorre considerare sia i metodi di prelievo delle cellule staminali sia i
rischi del loro uso clinico o sperimentale.
Per ciò che concerne i metodi impiegati per la raccolta delle cellule staminali, essi vanno
considerati in rapporto alla loro origine.
Sono da considerarsi lecite quelle metodiche che non procurano un grave danno al soggetto da cui
si estraggono le cellule staminali.
Tale condizione si verifica, generalmente, nel caso di prelievo:
a) dai tessuti di un organismo adulto;
b) dal sangue del cordone ombelicale, al momento del parto;
c) dai tessuti di feti morti di morte naturale.
Il prelievo di cellule staminali dall’embrione umano vivente, al contrario, causa inevitabilmente la
sua distruzione, risultando di conseguenza gravemente illecito.
20
GIOVANNI PAOLO II, Omelia per la beatificazione di Isidoro Bakanja, Elisabetta Canori Mora e Gianna Beretta Molla
(24 aprile 1994): L'Osservatore Romano, 25-26 aprile 1994, p. 5.
21
Idem nota 20.
13
In questo caso “la ricerca, a prescindere dai risultati di utilità terapeutica, non si pone veramente a
servizio dell’umanità. Passa infatti attraverso la soppressione di vite umane che hanno uguale
dignità rispetto agli altri individui umani e agli stessi ricercatori. La storia stessa ha condannato nel
passato e condannerà in futuro una tale scienza, non solo perché priva della luce di Dio, ma anche
perché priva di umanità”22 .
L’utilizzo di cellule staminali embrionali, o cellule differenziate da esse derivate, eventualmente
fornite da altri ricercatori, sopprimendo embrioni, o reperibili in commercio, pone seri problemi dal
punto di vista della cooperazione al male e dello scandalo.
Per quanto riguarda l’uso clinico di cellule staminali ottenute mediante procedure lecite non ci sono
obiezioni morali. Vanno tuttavia rispettati i comuni criteri di deontologia medica. Al riguardo occorre
procedere con grande rigore e prudenza, riducendo al minimo gli eventuali rischi per i pazienti,
facilitando il confronto degli scienziati tra di loro e offrendo un’informazione completa al grande
pubblico.
È da incoraggiare l’impulso e il sostegno alla ricerca riguardante l’impiego delle cellule staminali
adulte, in quanto non comporta problemi etici» (DP. 32)..
CENTRI DI AIUTO ALLA VITA
«A servizio della vita nascente si pongono pure i centri di aiuto alla vita e le case o i centri di
accoglienza della vita.
Grazie alla loro opera, non poche madri nubili e coppie in difficoltà ritrovano ragioni e convinzioni e
incontrano assistenza e sostegno per superare disagi e paure nell'accogliere una vita nascente o
appena venuta alla luce» (EvV. 88).
CENTRI PER METODI NATURALI DI REGOLAZIONE DELLA FERTILITA’
«Alle sorgenti della vita, i centri per i metodi naturali di regolazione della fertilità vanno promossi
come un valido aiuto per la paternità e maternità responsabili, nella quale ogni persona, a
cominciare dal figlio, è riconosciuta e rispettata per se stessa e ogni scelta è animata e guidata dal
criterio del dono sincero di sé» (EvV. 88).
CLONAZIONE UMANA
«Per clonazione umana si intende la riproduzione asessuale e agamica dell’intero organismo
umano, allo scopo di produrre una o più “copie” dal punto di vista genetico sostanzialmente
identiche all’unico progenitore23.
La clonazione viene proposta con due scopi fondamentali: riproduttivo, cioè per ottenere la nascita
di un bambino clonato, e terapeutico o di ricerca.
La clonazione riproduttiva sarebbe in teoria capace di soddisfare alcune particolari esigenze, quali,
ad esempio, il controllo dell’evoluzione umana; la selezione di esseri umani con qualità superiori; la
preselezione del sesso del nascituro; la produzione di un figlio che sia la “copia” di un altro; la
produzione di un figlio per una coppia affetta da forme di sterilità non altrimenti trattabili.
La clonazione terapeutica, invece, è stata proposta come strumento di produzione di cellule
staminali embrionali con patrimonio genetico predeterminato, in modo da superare il problema del
22
BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale sul tema: “Le cellule staminali: quale futuro
in ordine alla terapia?”, promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita (16 settembre 2006): AAS 98 (2006), 694.
23
Allo stato attuale delle conoscenze, le tecniche proposte per realizzare la clonazione umana sono due: la fissione
gemellare e il trasferimento di nucleo. La fissione gemellare consiste nella separazione artificiale di singole cellule o
gruppi di cellule dall’embrione, nelle prime fasi dello sviluppo, e nel successivo trasferimento in utero di queste cellule,
allo scopo di ottenere, in modo artificiale, embrioni identici. Il trasferimento di nucleo, o clonazione propriamente detta,
consiste nell’introduzione di un nucleo prelevato da una cellula embrionaria o somatica in un ovocita precedentemente
denucleato, seguita dall’attivazione di questo ovocita che, di conseguenza, dovrebbe svilupparsi come embrione.
14
rigetto (immunoincompatibilità); essa è dunque collegata con la tematica dell’impiego delle cellule
staminali.
I tentativi di clonazione hanno suscitato viva preoccupazione nel mondo intero. Diversi organismi a
livello nazionale e internazionale hanno espresso valutazioni negative sulla clonazione umana e
nella stragrande maggioranza dei Paesi è stata vietata.
La clonazione umana è intrinsecamente illecita, in quanto, portando all’estremo la negatività etica
delle tecniche di fecondazione artificiale, intende dare origine ad un nuovo essere umano senza
connessione con l’atto di reciproca donazione tra due coniugi e, più radicalmente, senza legame
alcuno con la sessualità. Tale circostanza dà luogo ad abusi e a manipolazioni gravemente lesive
della dignità umana24» (DP. 28).
«Qualora la clonazione avesse uno scopo riproduttivo, si imporrebbe al soggetto clonato un
patrimonio genetico preordinato, sottoponendolo di fatto – come è stato affermato – ad una forma
di schiavitù biologica dalla quale difficilmente potrebbe affrancarsi.
Il fatto che una persona si arroghi il diritto di determinare arbitrariamente le caratteristiche
genetiche di un’altra persona, rappresenta una grave offesa alla dignità di quest’ultima e
all’uguaglianza fondamentale tra gli uomini.
Dalla particolare relazione esistente tra Dio e l’uomo fin dal primo momento della esistenza deriva
l’originalità di ogni persona, che obbliga a rispettarne la singolarità e l’integrità, inclusa quella
biologica e genetica. Ognuno di noi incontra nell’altro un essere umano che deve la propria
esistenza e le proprie caratteristiche all’amore di Dio, del quale solo l’amore tra i coniugi costituisce
una mediazione conforme al disegno del Creatore e Padre celeste.
Ancora più grave dal punto di vista etico è la clonazione cosiddetta terapeutica.
Creare embrioni con il proposito di distruggerli, anche se con l’intenzione di aiutare i malati, è del
tutto incompatibile con la dignità umana, perché fa dell’esistenza di un essere umano, pur allo
stadio embrionale, niente di più che uno strumento da usare e distruggere.
È gravemente immorale sacrificare una vita umana per una finalità terapeutica.
Le obiezioni etiche, sollevate da più parti contro la clonazione terapeutica e contro l’uso di embrioni
umani formati in vitro, hanno spinto alcuni scienziati a proporre nuove tecniche, che vengono
presentate come capaci di produrre cellule staminali di tipo embrionale senza presupporre però la
distruzione di veri embrioni umani25.
Queste proposte hanno suscitato non pochi interrogativi scientifici ed etici, riguardanti soprattutto
lo statuto ontologico del “prodotto” così ottenuto.
Finché non sono chiariti questi dubbi, occorre tenere conto di quanto affermato dall’Enciclica
Evangelium vitae: “tale è la posta in gioco che, sotto il profilo dell’obbligo morale, basterebbe la
sola probabilità di trovarsi di fronte ad una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni
intervento volto a sopprimere l’embrione umano”26» (DP 29).
COMPITO DELLA LEGGE CIVILE
«Certamente, il compito della legge civile è diverso e di ambito più limitato rispetto a quello della
legge morale.
Però “in nessun ambito di vita la legge civile può sostituirsi alla coscienza né può dettare norme su
ciò che esula dalla sua competenza”27, che è quella di assicurare il bene comune delle persone,
24
Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Donum vitae, I, 6: AAS 80 (1988), 84; GIOVANNI PAOLO II,
Discorso ai Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede (10 gennaio 2005), n. 5: AAS 97 (2005),
153.
25
Nuove tecniche di questo genere sono, per esempio, l’applicazione della partenogenesi all’uomo, il trasferimento di
un nucleo alterato (Altered Nuclear Transfer: ANT) e la riprogrammazione assistita dell’ovocita (Oocyte Assisted
Reprogramming: OAR).
26
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae, n. 60: AAS 87 (1995), 469.
27
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. circa il rispetto della vita umana nascente e la dignità della
procreazione Donum vitae (22 febbraio 1987), III: AAS 80 (1988), 98.
15
attraverso il riconoscimento e la difesa dei loro fondamentali diritti, la promozione della pace e
della pubblica moralità28.
Il compito della legge civile consiste, infatti, nel garantire un'ordinata convivenza sociale nella vera
giustizia, perché tutti “possiamo trascorrere una vita calma e tranquilla con tutta pietà e dignità” (1
Tm 2, 2). Proprio per questo, la legge civile deve assicurare per tutti i membri della società il
rispetto di alcuni diritti fondamentali, che appartengono nativamente alla persona e che qualsiasi
legge positiva deve riconoscere e garantire.
Primo e fondamentale tra tutti è l'inviolabile diritto alla vita di ogni essere umano innocente.
Se la pubblica autorità può talvolta rinunciare a reprimere quanto provocherebbe, se proibito, un
danno più grave29, essa non può mai accettare però di legittimare, come diritto dei singoli - anche
se questi fossero la maggioranza dei componenti la società -, l'offesa inferta ad altre persone
attraverso il misconoscimento di un loro diritto così fondamentale come quello alla vita.
La tolleranza legale dell'aborto o dell'eutanasia non può in alcun modo richiamarsi al rispetto della
coscienza degli altri, proprio perché la società ha il diritto e il dovere di tutelarsi contro gli abusi che
si possono verificare in nome della coscienza e sotto il pretesto della libertà30.
Nell'Enciclica Pacem in terris, Giovanni XXIII aveva ricordato in proposito: “Nell'epoca moderna
l'attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri della persona.
Per cui i compiti precipui dei poteri pubblici consistono, soprattutto, nel riconoscere, rispettare,
comporre, tutelare e promuovere quei diritti; e nel contribuire, di conseguenza, a rendere più facile
l'adempimento dei rispettivi doveri. Tutelare l'intangibile campo dei diritti della persona umana e
renderle agevole il compimento dei suoi doveri vuol essere ufficio essenziale di ogni pubblico
potere. Per cui ogni atto dei poteri pubblici, che sia o implichi un misconoscimento o una violazione
di quei diritti, è un atto contrastante con la loro stessa ragion d'essere e rimane per ciò stesso
destituito d'ogni valore giuridico”31 .
Le leggi che autorizzano e favoriscono l'aborto e l'eutanasia si pongono dunque radicalmente non
solo contro il bene del singolo, ma anche contro il bene comune e, pertanto, sono del tutto prive di
autentica validità giuridica.
Il misconoscimento del diritto alla vita, infatti, proprio perché porta a sopprimere la persona per il
cui servizio la società ha motivo di esistere, è ciò che si contrappone più frontalmente e
irreparabilmente alla possibilità di realizzare il bene comune. Ne segue che, quando una legge
civile legittima l'aborto o l'eutanasia cessa, per ciò stesso, di essere una vera legge civile,
moralmente obbligante» (EvV. 72).
«I diritto inviolabile alla vita di ogni individuo umano innocente, i diritti della famiglia e
dell'istituzione matrimoniale costituiscono dei valori morali fondamentali, perché riguardano la
condizione naturale e la vocazione integrale della persona umana, nello stesso tempo sono
elementi costitutivi della società civile e del suo ordinamento.
Per questo motivo le nuove possibilità tecnologiche, apertesi nel campo della biomedicina,
richiedono l'intervento delle autorità politiche e del legislatore, perché un ricorso incontrollato a tali
tecniche potrebbe condurre a conseguenze non prevedibili e dannose per la società civile.
Il riferimento alla coscienza di ciascuno e all'autoregolamentazione dei ricercatori non può essere
sufficiente per il rispetto dei diritti personali e dell'ordine pubblico.
Se il legislatore, responsabile del bene comune, mancasse di vigilare, potrebbe venire espropriato
delle sue prerogative da parte di ricercatori che pretendessero di governare l'umanità in nome
delle scoperte biologiche e dei presunti processi di "miglioramento" che ne deriverebbero.
L' "eugenismo" e le discriminazioni fra gli esseri umani potrebbero trovarsi legittimate: ciò
costituirebbe una violenza e un'offesa grave all'uguaglianza, alla dignità e ai diritti fondamentali
della persona umana.
28
Cf CONC. ECUM. VAT. II, Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 7.
Cf S. TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, I-II, q. 96, a.2.
30
Cf CONC. ECUM. VAT. II, Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 7.
31
GIOVANNI XXIII, Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963), II: AAS 55 (1963), 273-274.
La citazione interna è tratta dal Radiomessaggio della Pentecoste 1941 (1° giugno 1941) di Pio XII: AAS 33 (1941),
200. Su questo argomento l'Enciclica fa riferimento in nota a: Pio XI, Lett. enc. Mit brennender Sorge (14 marzo 1937):
AAS 29 (1937), 159; Lett. enc. Divini Redemptoris (19 marzo 1937), III: AAS 29 (1937), 79; Pio XII, Radiomessaggio
natalizio (24 dicembre 1942): AAS 35 (1943), 9-24.
29
16
L'intervento dell'autorità politica si deve ispirare ai principi razionali che regolano i rapporti tra legge
civile e legge morale.
Compito della legge civile è assicurare il bene comune delle persone attraverso il riconoscimento e
la difesa dei diritti fondamentali, la promozione della pace e della pubblica moralità32.
In nessun ambito di vita la legge civile può sostituirsi alla coscienza né può dettare norme su ciò
che esula dalla sua competenza; essa deve talvolta tollerare in vista dell'ordine pubblico ciò che
non può proibire senza che ne derivi un danno più grave.
Tuttavia i diritti inalienabili della persona dovranno essere riconosciuti e rispettati da parte della
società civile e dell'autorità politica; tali diritti dell'uomo non dipendono né dai singoli individui né
dai genitori e neppure rappresentano una concessione della società e dello Stato: appartengono
alla natura umana e sono inerenti alla persona in forza dell'atto creativo da cui ha preso origine.
Fra tali diritti fondamentali bisogna a questo proposito ricordare:
1. il diritto alla vita e all'integrità fisica di ogni essere umano dal momento del concepimento alla
morte;
2. i diritti della famiglia e del matrimonio come istituzione e, in questo ambito, il diritto per il figlio a
essere concepito, messo al mondo ed educato dai suoi genitori.
Su ciascuna di queste due tematiche occorre qui svolgere qualche considerazione ulteriore.
In diversi Stati alcune leggi hanno autorizzato la soppressione diretta di innocenti: nel momento in
cui una legge positiva priva una categoria di esseri umani della protezione che la legislazione civile
deve loro accordare, lo Stato viene a negare l'uguaglianza di tutti davanti alla legge.
Quando lo Stato non pone la sua forza al servizio dei diritti di ciascun cittadino, e in particolare di
chi è più debole, vengono minati i fondamenti stessi di uno Stato di diritto.
L'autorità politica di conseguenza non può approvare che gli esseri umani siano chiamati
all'esistenza mediante procedure tali da esporli ai gravissimi rischi sopra ricordati.
Il riconoscimento eventualmente accordato dalla legge positiva e dalle autorità politiche alle
tecniche di trasmissione artificiale della vita e alle sperimentazioni connesse renderebbe più ampia
la breccia aperta dalla legalizzazione dell'aborto.
Come conseguenza del rispetto e della protezione che vanno assicurati al nascituro, a partire dal
momento del suo concepimento, la legge dovrà prevedere appropriate sanzioni penali per ogni
deliberata violazione dei suoi diritti.
La legge non potrà tollerare - anzi dovrà espressamente proibire - che degli esseri umani, sia pure
allo stadio embrionale, siano trattati come oggetto di sperimentazione, mutilati o distrutti con il
pretesto che risulterebbero superflui o incapaci di svilupparsi normalmente.
L'autorità politica è tenuta a garantire all'istituzione familiare, sulla quale la società si fonda, la
protezione giuridica alla quale essa ha diritto. Per il fatto stesso che è al servizio delle persone,
l'autorità politica dovrà essere anche a servizio della famiglia.
La legge civile non potrà accordare la sua garanzia a quelle tecniche di procreazione artificiale che
sottraggono a beneficio di terze persone (medici, biologi, poteri economici o governativi) ciò che
costituisce un diritto inerente alla relazione fra gli sposi e non potrà perciò legalizzare il dono di
gameti tra persone che non siano legittimamente unite in matrimonio.
La legislazione dovrà proibire inoltre, in forza del sostegno che è dovuto alla famiglia, le banche di
embrioni, l'inseminazione post mortem e la "maternità sostitutiva".
Rientra nei doveri dell'autorità pubblica operare in modo che la legge civile sia regolata sulle
norme fondamentali della legge morale in ciò che concerne i diritti dell'uomo, della vita umana e
dell'istituzione familiare.
Gli uomini politici dovranno impegnarsi, attraverso il loro intervento sull'opinione pubblica, a
ottenere su tali punti essenziali il consenso più vasto possibile nella società, e a consolidarlo
laddove esso rischiasse di essere indebolito e di venir meno.
In molti paesi la legalizzazione dell'aborto e la tolleranza giuridica verso le coppie non sposate
rendono più difficile ottenere il rispetto dei diritti fondamentali richiamati in questa Istituzione.
Ci si augura che gli Stati non si assumano la responsabilità di rendere ancora più gravi queste
situazioni di ingiustizia socialmente dannose. Al contrario, c'è da auspicare che le nazioni e gli
Stati prendano coscienza di tutte le implicazioni culturali, ideologiche e politiche connesse con le
32
Cf. Dichiar. Dignitatis humanae, 7.
17
tecniche di procreazione artificiale e sappiano trovare la saggezza e il coraggio necessari per
emanare leggi più giuste e rispettose della vita umana e dell'istituzione familiare.
La legislazione civile di numerosi Stati conferisce oggi agli occhi di molti una legittimazione
indebita di certe pratiche; essa si dimostra incapace di garantire quella moralità, che è conforme
alle esigenze naturali della persona umana e alle "leggi non scritte" impresse dal Creatore nel
cuore dell'uomo.
Tutti gli uomini di buona volontà devono impegnarsi, in particolare nell'ambito della loro
professione e nell'esercizio dei loro diritti civili, perché siano riformate le leggi civili moralmente
inaccettabili e corrette le pratiche illecite.
Inoltre deve essere sollevata e riconosciuta l'"obiezione di coscienza" di fronte a tali leggi.
Ancor più, comincia a imporsi con acutezza alla coscienza morale di molti, specialmente fra gli
specialisti delle scienze biomediche, l'istanza per una resistenza passiva alla legittimazione di
pratiche contrarie alla vita e alla dignità dell'uomo» (DV. Parte III).
CONGELAMENTO DI OVICITI
«Per evitare i gravi problemi etici posti dalla crioconservazione di embrioni, è stata avanzata
nell’ambito delle tecniche di fecondazione in vitro la proposta di congelare gli ovociti33.
Una volta che è stato prelevato un numero congruo di ovociti nella previsione di diversi cicli di
procreazione artificiale, si prevede di fecondare soltanto gli ovociti che saranno trasferiti nella
madre, e gli altri verrebbero congelati per essere eventualmente fecondati e trasferiti in caso di
insuccesso del primo tentativo.
Al riguardo occorre precisare che la crioconservazione di ovociti in ordine al processo di
procreazione artificiale è da considerare moralmente inaccettabile» (DP. 20).
CONSULTORI MATRIMONIALI E FAMILIARI
«Anche i consultori matrimoniali e familiari, mediante la loro specifica azione di consulenza e di
prevenzione, svolta alla luce di un'antropologia coerente con la visione cristiana della persona,
della coppia e della sessualità, costituiscono un prezioso servizio per riscoprire il senso dell'amore
e della vita e per sostenere e accompagnare ogni famiglia nella sua missione di “santuario della
vita”».(EvV. 88)
CONTRACCEZIONE
«Dobbiamo ancora una volta dichiarare che è assolutamente da escludere, come via lecita per la
regolazione delle nascite, l’interruzione diretta del processo generativo già iniziato, e soprattutto
l’aborto diretto, anche se procurato per ragioni terapeutiche.
È parimenti da condannare, come il Magistero della Chiesa ha più volte dichiarato, la
sterilizzazione diretta, sia perpetua che temporanea, tanto dell’uomo che della donna.
È altresì esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello
sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la
procreazione.
In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale al fine di evitare un male maggiore o
di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male,
affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è intrinsecamente
disordine e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o
promuovere beni individuali, familiari o sociali.
33
La crioconservazione degli ovociti è stata prospettata anche in altri contesti che qui non vengono considerati. Per
ovocito si intende la cellula germinale femminile non penetrata dallo spermatozoo.
18
È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò
intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda»
(HV. 14).
«Gli uomini retti potranno ancora meglio convincersi della fondatezza della dottrina della Chiesa in
questo campo, se vorranno riflettere alle conseguenze dei metodi di regolazione artificiale delle
nascite.
Considerino, prima di tutto, quale via larga e facile aprirebbero così alla infedeltà coniugale ed
all’abbassamento generale della moralità. Non ci vuole molta esperienza per conoscere la
debolezza umana e per comprendere che gli uomini - i giovani specialmente, così vulnerabili su
questo punto - hanno bisogno d’incoraggiamento a essere fedeli alla legge morale e non si deve
loro offrire qualche facile mezzo per eluderne l’osservanza.
Si può anche temere che l’uomo, abituandosi all’uso delle pratiche anticoncezionali, finisca per
perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a
considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna,
rispettata e amata. Si rifletta anche all’arma pericolosa che si verrebbe a mettere così tra le mani di
autorità pubbliche, incuranti delle esigenze morali.
Chi potrà rimproverare a un governo di applicare alla soluzione dei problemi della collettività ciò
che fosse riconosciuto lecito ai coniugi per la soluzione di un problema familiare? Chi impedirà ai
governanti di favorire e persino di imporre ai loro popoli, ogni qualvolta lo ritenessero necessario, il
metodo di contraccezione da essi giudicato più efficace?
In tal modo gli uomini, volendo evitare le difficoltà individuali, familiari o sociali che s’incontrano
nell’osservanza della legge divina, arriverebbero a lasciare in balia dell’intervento delle autorità
pubbliche il settore più personale e più riservato della intimità coniugale.
Pertanto, se non si vuole esporre all’arbitrio degli uomini la missione di generare la vita, si devono
necessariamente riconoscere limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell’uomo sul proprio corpo
e sulle sue funzioni; limiti che a nessun uomo, sia privato, sia rivestito di autorità, è lecito
infrangere.
E tali limiti non possono essere determinati che dal rispetto dovuto all’integrità del corpo umano e
delle sue funzioni naturali secondo i principi sopra ricordati e secondo la retta intelligenza del
principio di totalità, illustrato dal nostro Predecessore Pio XII» (HV. 17).
«Si afferma frequentemente che la contraccezione, resa sicura e accessibile a tutti, è il rimedio più
efficace contro l'aborto.
Si accusa poi la Chiesa cattolica di favorire di fatto l'aborto perché continua ostinatamente a
insegnare l'illiceità morale della contraccezione.
L'obiezione, a ben guardare, si rivela speciosa.
Può essere, infatti, che molti ricorrano ai contraccettivi anche nell'intento di evitare
successivamente la tentazione dell'aborto. Ma i disvalori insiti nella “mentalità contraccettiva” - ben
diversa dall'esercizio responsabile della paternità e maternità, attuato nel rispetto della piena verità
dell'atto coniugale - sono tali da rendere più forte proprio questa tentazione, di fronte all'eventuale
concepimento di una vita non desiderata. Di fatto la cultura abortista è particolarmente sviluppata
proprio in ambienti che rifiutano l'insegnamento della Chiesa sulla contraccezione.
Certo, contraccezione ed aborto, dal punto di vista morale, sono mali specificamente diversi: l'una
contraddice all'integra verità dell'atto sessuale come espressione propria dell'amore coniugale,
l'altro distrugge la vita di un essere umano; la prima si oppone alla virtù della castità matrimoniale,
il secondo si oppone alla virtù della giustizia e viola direttamente il precetto divino “non uccidere”»
(EvV. 13).
Accanto ai mezzi contraccettivi propriamente detti, che impediscono il concepimento a seguito di
un atto sessuale, esistono altri mezzi tecnici che agiscono dopo la fecondazione, quando
l’embrione è già costituito, prima o dopo l’impianto in utero. Queste tecniche sono intercettive, se
intercettano l’embrione prima del suo impianto nell’utero materno, e contragestative, se provocano
l’eliminazione dell’embrione appena impiantato.
19
Per favorire la diffusione dei mezzi intercettivi34, si afferma talvolta che il loro meccanismo di
azione non sarebbe sufficientemente conosciuto. È vero che non sempre si dispone di una
conoscenza completa del meccanismo di azione dei diversi farmaci usati, ma gli studi sperimentali
dimostrano che l’effetto di impedire l’impianto è certamente presente, anche se questo non
significa che gli intercettivi provochino un aborto ogni volta che vengono assunti, anche perché non
sempre dopo il rapporto sessuale avviene la fecondazione. Si deve notare, tuttavia, che in colui
che vuol impedire l’impianto di un embrione eventualmente concepito, e pertanto chiede o
prescrive tali farmaci, l’intenzionalità abortiva è generalmente presente.
Quando si constata un ritardo mestruale, si ricorre talora alla contragestazione35, che viene
praticata abitualmente entro una o due settimane dopo la constatazione del ritardo. Lo scopo
dichiarato è quello di far ricomparire la mestruazione, ma in realtà si tratta dell’aborto di un
embrione appena annidato.
Come si sa, l’aborto “è l’uccisione deliberata e diretta, comunque venga attuata, di un essere
umano nella fase iniziale della sua esistenza, compresa tra il concepimento e la nascita”36..
Pertanto l’uso dei mezzi di intercezione e di contragestazione rientra nel peccato di aborto ed è
gravemente immorale. Inoltre, qualora si raggiunga la certezza di aver realizzato l’aborto, secondo
il diritto canonico, vi sono delle gravi conseguenze penali37 » (DP. 23).
COOPERAZIONE ALL’ABORTO
«A decidere della morte del bambino non ancora nato, accanto alla madre, ci sono spesso altre
persone.
Anzitutto, può essere colpevole il padre del bambino, non solo quando espressamente spinge la
donna all'aborto, ma anche quando indirettamente favorisce tale sua decisione perché la lascia
sola di fronte ai problemi della gravidanza38: in tal modo la famiglia viene mortalmente ferita e
profanata nella sua natura di comunità di amore e nella sua vocazione ad essere “santuario della
vita”.
Né vanno taciute le sollecitazioni che a volte provengono dal più ampio contesto familiare e dagli
amici. Non di rado la donna è sottoposta a pressioni talmente forti da sentirsi psicologicamente
costretta a cedere all'aborto: non v'è dubbio che in questo caso la responsabilità morale grava
particolarmente su quelli che direttamente o indirettamente l'hanno forzata ad abortire.
Responsabili sono pure i medici e il personale sanitario, quando mettono a servizio della morte la
competenza acquisita per promuovere la vita.
Ma la responsabilità coinvolge anche i legislatori, che hanno promosso e approvato leggi abortive
e, nella misura in cui la cosa dipende da loro, gli amministratori delle strutture sanitarie utilizzate
per praticare gli aborti.
Una responsabilità generale non meno grave riguarda sia quanti hanno favorito il diffondersi di una
mentalità di permissivismo sessuale e disistima della maternità, sia coloro che avrebbero dovuto
assicurare - e non l'hanno fatto - valide politiche familiari e sociali a sostegno delle famiglie,
specialmente di quelle numerose o con particolari difficoltà economiche ed educative.
Non si può infine sottovalutare la rete di complicità che si allarga fino a comprendere istituzioni
internazionali, fondazioni e associazioni che si battono sistematicamente per la legalizzazione e la
diffusione dell'aborto nel mondo. In tal senso l'aborto va oltre la responsabilità delle singole
persone e il danno loro arrecato, assumendo una dimensione fortemente sociale: è una ferita
gravissima inferta alla società e alla sua cultura da quanti dovrebbero esserne i costruttori e i
difensori.
34
I più noti mezzi intercettivi sono la spirale o IUD (IntraUterine Device) e la cosiddetta “pillola del giorno dopo”.
I principali mezzi di contragestazione sono la pillola RU 486 o Mifepristone, le prostaglandine e il Methotrexate.
36
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae, n. 58: AAS 87 (1995), 467.
37
Cf. CIC, can. 1398 e CCEO, can. 1450 § 2; cf. anche CIC, can. 1323-1324. La Pontificia Commissione per
l’interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico ha dichiarato che con il concetto penale di aborto si intende
“l’uccisione del feto in qualunque modo e in qualunque tempo dal momento del concepimento” (Risposte a dubbi, 23
maggio 1988: AAS 80 [1988], 1818).
38
Cf GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 14: AAS 80 (1988), 1686.
35
20
Come ho scritto nella mia Lettera alle Famiglie, “ci troviamo di fronte ad un'enorme minaccia
contro la vita, non solo di singoli individui, ma anche dell'intera civiltà”39. Ci troviamo di fronte a
quella che può definirsi una “struttura di peccato” contro la vita umana non ancora nata» (EvV. 59).
COOPERAZIONE AD AZIONI CATTIVE
«I cristiani, come tutti gli uomini di buona volontà, sono chiamati, per un grave dovere di coscienza,
a non prestare la loro collaborazione formale a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione
civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Infatti, dal punto di vista morale, non è mai lecito
cooperare formalmente al male.
Tale cooperazione si verifica quando l'azione compiuta, o per la sua stessa natura o per la
configurazione che essa viene assumendo in un concreto contesto, si qualifica come
partecipazione diretta ad un atto contro la vita umana innocente o come condivisione
dell'intenzione immorale dell'agente principale.
Questa cooperazione non può mai essere giustificata né invocando il rispetto della libertà altrui, né
facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede: per gli atti che ciascuno
personalmente compie esiste, infatti, una responsabilità morale a cui nessuno può mai sottrarsi e
sulla quale ciascuno sarà giudicato da Dio stesso (cf. Rm 2, 6; 14, 12).
Rifiutarsi di partecipare a commettere un'ingiustizia è non solo un dovere morale, ma è anche un
diritto umano basilare. Se così non fosse, la persona umana sarebbe costretta a compiere
un'azione intrinsecamente incompatibile con la sua dignità e in tal modo la sua stessa libertà, il cui
senso e fine autentici risiedono nell'orientamento al vero e al bene, ne sarebbe radicalmente
compromessa.
Si tratta, dunque, di un diritto essenziale che, proprio perché tale, dovrebbe essere previsto e
protetto dalla stessa legge civile. In tal senso, la possibilità di rifiutarsi di partecipare alla fase
consultiva, preparatoria ed esecutiva di simili atti contro la vita dovrebbe essere assicurata ai
medici, agli operatori sanitari e ai responsabili delle istituzioni ospedaliere, delle cliniche e delle
case di cura» (EvV. 74).
COOPERAZIONE ALL’EUTANASIA
«La scelta dell'eutanasia diventa più grave quando si configura come un omicidio che gli altri
praticano su una persona che non l'ha richiesta in nessun modo e che non ha mai dato ad essa
alcun consenso.
Si raggiunge poi il colmo dell'arbitrio e dell'ingiustizia quando alcuni, medici o legislatori, si
arrogano il potere di decidere chi debba vivere e chi debba morire.
Si ripropone così la tentazione dell'Eden: diventare come Dio “conoscendo il bene e il male” (cf.
Gn 3, 5).
Ma Dio solo ha il potere di far morire e di far vivere: “Sono io che do la morte e faccio vivere” (Dt
32, 39; cf. 2 Re 5, 7; 1 Sam 2, 6). Egli attua il suo potere sempre e solo secondo un disegno di
sapienza e di amore. Quando l'uomo usurpa tale potere, soggiogato da una logica di stoltezza e di
egoismo, inevitabilmente lo usa per l'ingiustizia e per la morte.
Così la vita del più debole è messa nelle mani del più forte; nella società si perde il senso della
giustizia ed è minata alla radice la fiducia reciproca, fondamento di ogni autentico rapporto tra le
persone» (EvV. 65).
COOPERAZIONE AL SUICIDIO
«Condividere l'intenzione suicida di un altro e aiutarlo a realizzarla mediante il cosiddetto !suicidio
assistito” significa farsi collaboratori, e qualche volta attori in prima persona, di un'ingiustizia, che
non può mai essere giustificata, neppure quando fosse richiesta. “Non è mai lecito - scrive con
39
Lettera alle Famiglie Gratissimam sane (2 febbraio 1994), 21: AAS 86 (1994), 920.
21
sorprendente attualità sant'Agostino - uccidere un altro: anche se lui lo volesse, anzi se lo
chiedesse perché, sospeso tra la vita e la morte, supplica di essere aiutato a liberare l'anima che
lotta contro i legami del corpo e desidera distaccarsene; non è lecito neppure quando il malato non
fosse più in grado di vivere”40.
Anche se non motivata dal rifiuto egoistico di farsi carico dell'esistenza di chi soffre, l'eutanasia
deve dirsi una falsa pietà, anzi una preoccupante “perversione” di essa: la vera “compassione”,
infatti, rende solidale col dolore altrui, non sopprime colui del quale non si può sopportare la
sofferenza.
E tanto più perverso appare il gesto dell'eutanasia se viene compiuto da coloro che - come i
parenti - dovrebbero assistere con pazienza e con amore il loro congiunto o da quanti - come i
medici -, per la loro specifica professione, dovrebbero curare il malato anche nelle condizioni
terminali più penose» (EvV. 66).
CULTURA DELLA VITA
«Urgono una generale mobilitazione delle coscienze e un comune sforzo etico, per mettere in atto
una grande strategia a favore della vita.
Tutti insieme dobbiamo costruire una nuova cultura della vita: nuova, perché in grado di affrontare
e risolvere gli inediti problemi di oggi circa la vita dell'uomo; nuova, perché fatta propria con più
salda e operosa convinzione da parte di tutti i cristiani; nuova, perché capace di suscitare un serio
e coraggioso confronto culturale con tutti.
L'urgenza di questa svolta culturale è legata alla situazione storica che stiamo attraversando, ma si
radica nella stessa missione evangelizzatrice, propria della Chiesa. Il Vangelo, infatti, mira a
“trasformare dal di dentro, rendere nuova l'umanità”41; è come il lievito che fermenta tutta la pasta
(cf. Mt 13, 33) e, come tale, è destinato a permeare tutte le culture e ad animarle dall'interno42,
perché esprimano l'intera verità sull'uomo e sulla sua vita» (EvV. 41).
CURE PALLIATIVE
«Nella medicina moderna vanno acquistando rilievo particolare le cosiddette “cure palliative”,
destinate a rendere più sopportabile la sofferenza nella fase finale della malattia e ad assicurare al
tempo stesso al paziente un adeguato accompagnamento umano.
In questo contesto sorge, tra gli altri, il problema della liceità del ricorso ai diversi tipi di analgesici e
sedativi per sollevare il malato dal dolore, quando ciò comporta il rischio di abbreviargli la vita.
Se, infatti, può essere considerato degno di lode chi accetta volontariamente di soffrire rinunciando
a interventi antidolorifici per conservare la piena lucidità e partecipare, se credente, in maniera
consapevole alla passione del Signore, tale comportamento “eroico” non può essere ritenuto
doveroso per tutti. Già Pio XII aveva affermato che è lecito sopprimere il dolore per mezzo di
narcotici, pur con la conseguenza di limitare la coscienza e di abbreviare la vita, “se non esistono
altri mezzi e se, nelle date circostanze, ciò non impedisce l'adempimento di altri doveri religiosi e
morali”43. In questo caso, infatti, la morte non è voluta o ricercata, nonostante che per motivi
ragionevoli se ne corra il rischio: semplicemente si vuole lenire il dolore in maniera efficace,
ricorrendo agli analgesici messi a disposizione dalla medicina.
Tuttavia, “non si deve privare il moribondo della coscienza di sé senza grave motivo”44:
avvicinandosi alla morte, gli uomini devono essere in grado di poter soddisfare ai loro obblighi
morali e familiari e soprattutto devono potersi preparare con piena coscienza all'incontro definitivo
con Dio.
40
Epistula 204, 5: CSEL 57, 320.
PAOLO VI, Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 18: AAS 68 (1976), 17.
42
Cf Ibid., 20, l.c., 18.
43
Discorso ad un gruppo internazionale di medici (24 febbraio 1957), III: AAS 49 (1957), 147; cf CONGREGAZIONE
PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. sull'eutanasia Iura et bona, III: AAS 72 (1980).
44
PIO XII, Discorso ad un gruppo internazionale di medici (24 febbraio 1957), III: AAS 49 (1957), 145.
41
22
Quando poi l'esistenza terrena volge al termine, è ancora la carità a trovare le modalità più
opportune perché i cosiddetti malati terminali possano godere di un'assistenza veramente umana
e ricevere risposte adeguate alle loro esigenze, in particolare alla loro angoscia e solitudine.
Insostituibile è in questi casi il ruolo delle famiglie; ma esse possono trovare grande aiuto nelle
strutture sociali di assistenza e, quando necessario, nel ricorso alle cure palliative, avvalendosi
degli idonei servizi sanitari e sociali, operanti sia nei luoghi di ricovero e cura pubblici che a
domicilio» (EvV. 88).
DIAGNOSI PRE-IMPIANTATORIA
«La diagnosi pre-impiantatoria è una forma di diagnosi prenatale, legata alle tecniche di
fecondazione artificiale, che prevede la diagnosi genetica degli embrioni formati in vitro, prima del
loro trasferimento nel grembo materno. Essa viene effettuata allo scopo di avere la sicurezza di
trasferire nella madre solo embrioni privi di difetti o con un sesso determinato o con certe qualità
particolari.
Diversamente da altre forme di diagnosi prenatale, dove la fase diagnostica è ben separata dalla
fase dell’eventuale eliminazione e nell’ambito della quale le coppie rimangono libere di accogliere il
bambino malato, alla diagnosi pre-impiantatoria segue ordinariamente l’eliminazione dell’embrione
designato come “sospetto” di difetti genetici o cromosomici, o portatore di un sesso non voluto o di
qualità non desiderate.
La diagnosi pre-impiantatoria – sempre connessa con la fecondazione artificiale, già di per sé
intrinsecamente illecita – è finalizzata di fatto ad una selezione qualitativa con la conseguente
distruzione di embrioni, la quale si configura come una pratica abortiva precoce.
La diagnosi pre-impiantatoria è quindi espressione di quella mentalità eugenetica, “che accetta
l’aborto selettivo, per impedire la nascita di bambini affetti da vari tipi di anomalie. Una simile
mentalità è lesiva della dignità umana e quanto mai riprovevole, perché pretende di misurare il
valore di una vita umana soltanto secondo parametri di normalità e di benessere fisico, aprendo
così la strada alla legittimazione anche dell’infanticidio e dell’eutanasia”45.
Trattando l’embrione umano come semplice “materiale di laboratorio”, si opera un’alterazione e
una discriminazione anche per quanto riguarda il concetto stesso di dignità umana.
La dignità appartiene ugualmente ad ogni singolo essere umano e non dipende dal progetto
parentale, dalla condizione sociale, dalla formazione culturale, dallo stato di sviluppo fisico.
Se in altri tempi, pur accettando in generale il concetto e le esigenze della dignità umana, veniva
praticata la discriminazione per motivi di razza, religione o condizione sociale, oggi si assiste ad
una non meno grave ed ingiusta discriminazione che porta a non riconoscere lo statuto etico e
giuridico di esseri umani affetti da gravi patologie e disabilità: si viene così a dimenticare che le
persone malate e disabili non sono una specie di categoria a parte perché la malattia e la disabilità
appartengono alla condizione umana e riguardano tutti in prima persona, anche quando non se ne
fa esperienza diretta.
Tale discriminazione è immorale e perciò dovrebbe essere considerata giuridicamente
inaccettabile, così come è doveroso eliminare le barriere culturali, economiche e sociali, che
minano il pieno riconoscimento e la tutela delle persone disabili e malate» (DP. 22).
DIAGNOSI PRE-NATALI
«Le diagnosi pre-natali, che non presentano difficoltà morali se fatte per individuare eventuali cure
necessarie al bambino non ancora nato, diventano troppo spesso occasione per proporre e
procurare l'aborto» (EvV. 14).
«La diagnosi prenatale è moralmente lecita?
Se la diagnosi prenatale rispetta la vita e l’integrità dell'embrione e del feto umano ed è orientata
alla sua salvaguardia o alla sua guarigione individuale, la risposta è affermativa.
45
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae, n. 63: AAS 87 (1995), 473.
23
La diagnosi prenatale può infatti far conoscere le condizioni dell'embrione e del feto quando è
ancora nel seno della madre; permette, o consente di prevedere, alcuni interventi terapeutici,
medici o chirurgici, più precocemente e più efficacemente.
Tale diagnosi è lecita se i metodi impiegati, con il consenso dei genitori adeguatamente informati,
salvaguardano la vita e l'integrità dell'embrione e di sua madre, non facendo loro correre rischi
sproporzionati;
Ma essa è gravemente in contrasto con la legge morale quando contempla l’eventualità, in
dipendenza dai risultati, di provocare un aborto: una diagnosi attestante l'esistenza di una
malformazione o di una malattia ereditaria non deve equivalere a una sentenza di morte.
Pertanto la donna che richiedesse la diagnosi con l'intenzione determinata di procedere all'aborto
nel caso che l'esito confermi l'esistenza di una malformazione o anomalia, commetterebbe
un'azione gravemente illecita.
Parimenti agirebbero in modo contrario alla morale il coniuge o i parenti o chiunque altro, qualora
consigliassero o imponessero la diagnosi alla gestante con lo stesso intendimento di arrivare
eventualmente all'aborto.
Così pure sarebbe responsabile di illecita collaborazione lo specialista che nel condurre la diagnosi
e nel comunicarne l'esito contribuisse volutamente a stabilire o favorire il collegamento tra diagnosi
prenatale e aborto.
Si deve infine condannare, come violazione del diritto alla vita nei confronti del nascituro e come
prevaricazione sui diritti e doveri prioritari dei coniugi, una direttiva o un programma delle autorità
civili e sanitarie o di organizzazioni scientifiche che, in qualsiasi modo, favorisse la connessione tra
diagnosi prenatale e aborto oppure addirittura inducesse le donne gestanti a sottoporsi alla
diagnosi prenatale pianificata allo scopo di eliminare i feti affetti o portatori di malformazioni o
malattie ereditarie46» (DV. 6).
DOLORE
«Il dolore fisico è certamente un elemento inevitabile della condizione umana; sul piano biologico,
costituisce un avvertimento la cui utilità è incontestabile; ma poiché tocca la vita psicologica
dell’uomo, spesso supera la sua utilità biologica e pertanto può assumere una dimensione tale da
suscitare il desiderio di eliminarlo a qualunque costo.
Secondo la Dottrina Cristiana, però, il dolore, soprattutto quello degli ultimi momenti di vita,
assume un significato particolare nel piano salvifico di Dio; è infatti una partecipazione alla
Passione di Cristo ed è unione al sacrificio redentore, che Egli ha offerto in ossequio alla volontà
del Padre. Non deve dunque meravigliare se alcuni cristiani desiderano moderare l’uso degli
analgesici, per accettare volontariamente almeno una parte delle loro sofferenze e associarsi così
in maniera cosciente alle sofferenze di Cristo crocifisso (cf. Mt 27,34).
Non sarebbe, tuttavia, prudente imporre come norma generale un determinato comportamento
eroico.
Al contrario, la prudenza umana e cristiana suggerisce per la maggior parte degli ammalati l’uso
dei medicinali che siano atti a lenire o a sopprimere il dolore, anche se ne possano derivare come
effetti secondari torpore o minore lucidità.
Quanto a coloro che non sono in grado di esprimersi, si potrà ragionevolmente presumere che
desiderino prendere tali calmanti e somministrarli loro secondo i consigli del medico» (IB. 3).
46
L'obbligo di evitare dei rischi sproporzionati comporta un autentico rispetto degli esseri umani e la rettitudine delle
intenzioni terapeutiche. Esso implica che il medico "dovrà innanzitutto valutare attentamente le eventuali conseguenze
negative che l'uso necessario di una determinata tecnica d'indagine può avere sul concepito, ed eviterà il ricorso a
procedimenti diagnostici circa la cui onesta finalità e sostanziale innocuità non si possiedono sufficienti garanzie. E se
come spesso avviene nelle scelte umane, un coefficiente di rischio dovrà essere affrontato, egli si preoccuperà di
verificare che esso sia compensato da una vera urgenza della diagnosi e dall'importanza dei risultati con essa
raggiungibili in favore del concepito stesso" (GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al Convegno del
"Movimento per la vita", 3 dicembre 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V 3 [1982] 1512).
24
DONNA
«Nella svolta culturale a favore della vita le donne hanno uno spazio di pensiero e di azione
singolare e forse determinante: tocca a loro di farsi promotrici di un “nuovo femminismo” che,
senza cadere nella tentazione di rincorrere modelli “maschilisti”, sappia riconoscere ed esprimere il
vero genio femminile in tutte le manifestazioni della convivenza civile, operando per il superamento
di ogni forma di discriminazione, di violenza e di sfruttamento.
Riprendendo le parole del messaggio conclusivo del Concilio Vaticano II, rivolgo anch'io alle donne
il pressante invito: “Riconciliate gli uomini con la vita”47.
Voi siete chiamate a testimoniare il senso dell'amore autentico, di quel dono di sé e di quella
accoglienza dell'altro che si realizzano in modo specifico nella relazione coniugale, ma che devono
essere l'anima di ogni altra relazione interpersonale.
L'esperienza della maternità favorisce in voi una sensibilità acuta per l'altra persona e, nel
contempo, vi conferisce un compito particolare: “La maternità contiene in sé una speciale
comunione col mistero della vita, che matura nel seno della donna. Questo modo unico di contatto
col nuovo uomo che si sta formando crea a sua volta un atteggiamento verso l'uomo - non solo
verso il proprio figlio, ma verso l'uomo in genere - tale da caratterizzare profondamente tutta la
personalità della donna”48.
La madre, infatti, accoglie e porta in sé un altro, gli dà modo di crescere dentro di sé, gli fa spazio,
rispettandolo nella sua alterità.
Così, la donna percepisce e insegna che le relazioni umane sono autentiche se si aprono
all'accoglienza dell'altra persona, riconosciuta e amata per la dignità che le deriva dal fatto di
essere persona e non da altri fattori, quali l'utilità, la forza, l'intelligenza, la bellezza, la salute.
Questo è il contributo fondamentale che la Chiesa e l'umanità si attendono dalle donne. Ed è la
premessa insostituibile per un'autentica svolta culturale» (EvV. 99).
«Nella misura in cui il movimento di emancipazione della donna tende essenzialmente a liberarla
da tutto ciò che rappresenta un’ingiusta discriminazione, esso è perfettamente legittimo49. Nelle
diverse forme di civiltà, vi è certo molto da fare a questo riguardo; ma non si può cambiare la
natura, né sottrarre la donna, come neanche l’uomo, a ciò che la natura ad essi richiede.
Del resto, ogni libertà pubblicamente riconosciuta ha sempre come limiti i diritti certi degli altri»
(6.15).
DONNE CHE HANNO ABORTITO
«Un pensiero speciale vorrei riservare a voi, donne che avete fatto ricorso all'aborto.
La Chiesa sa quanti condizionamenti possono aver influito sulla vostra decisione, e non dubita che
in molti casi s'è trattato d'una decisione sofferta, forse drammatica. Probabilmente la ferita nel
vostro animo non s'è ancor rimarginata. In realtà, quanto è avvenuto è stato e rimane
profondamente ingiusto. Non lasciatevi prendere, però, dallo scoraggiamento e non abbandonate
la speranza. Sappiate comprendere, piuttosto, ciò che si è verificato e interpretatelo nella sua
verità.
Se ancora non l'avete fatto, apritevi con umiltà e fiducia al pentimento: il Padre di ogni misericordia
vi aspetta per offrirvi il suo perdono e la sua pace nel sacramento della Riconciliazione. Allo stesso
Padre e alla sua misericordia potete affidare con speranza il vostro bambino.
Aiutate dal consiglio e dalla vicinanza di persone amiche e competenti, potrete essere con la
vostra sofferta testimonianza tra i più eloquenti difensori del diritto di tutti alla vita.
Attraverso il vostro impegno per la vita, coronato eventualmente dalla nascita di nuove creature ed
esercitato con l'accoglienza e l'attenzione verso chi è più bisognoso di vicinanza, sarete artefici di
un nuovo modo di guardare alla vita dell'uomo» (EvV. 99).
47
Messaggi del Concilio all'umanità (8 dicembre 1965): Alle donne.
GIOVANNI PAOLO II, Lett. ap. Mulieris dignitatem (15 agosto 1988), 18: AAS 80 (1988), 1696.
49
Pacem in terris, AAS 55, 1963, 267; Gaudium et Spes, 29, AAS 58, 1966, 1048.49; PAOLO VI, Alloc. Salutiamo:
AAS 64, 1972, 779.
48
25
EMBRIONE
«Alcuni tentano di giustificare l'aborto sostenendo che il frutto del concepimento, almeno fin a un
certo numero di giorni, non può essere ancora considerato una vita umana personale.
In realtà, “dal momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura una vita che non è quella del padre o
della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto. Non sarà mai reso
umano se non lo è stato fin da allora.
A questa evidenza di sempre la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme.
Essa ha mostrato come dal primo istante si trovi fissato il programma di ciò che sarà questo
vivente: una persona, questa persona individua con le sue note caratteristiche già ben
determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata l'avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle
grandi capacità richiede tempo, per impostarsi e per trovarsi pronta ad agire”50.
Anche se la presenza di un'anima spirituale non può essere rilevata dall'osservazione di nessun
dato sperimentale, sono le stesse conclusioni della scienza sull'embrione umano a fornire
“un'indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo
comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?”51.
Del resto, tale è la posta in gioco che, sotto il profilo dell'obbligo morale, basterebbe la sola
probabilità di trovarsi di fronte a una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni
intervento volto a sopprimere l'embrione umano. Proprio per questo, al di là dei dibattiti scientifici e
delle stesse affermazioni filosofiche nelle quali il Magistero non si è espressamente impegnato, la
Chiesa ha sempre insegnato, e tuttora insegna, che al frutto della generazione umana, dal primo
momento della sua esistenza, va garantito il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto
all'essere umano nella sua totalità e unità corporale e spirituale: “L'essere umano va rispettato e
trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si
devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere
umano innocente alla vita”52 »(EvV. 60).
«La valutazione morale dell'aborto è da applicare anche alle recenti forme di intervento sugli
embrioni umani che, pur mirando a scopi in sé legittimi, ne comportano inevitabilmente l'uccisione.
È il caso della sperimentazione sugli embrioni, in crescente espansione nel campo della ricerca
biomedica e legalmente ammessa in alcuni Stati. Se “si devono ritenere leciti gli interventi
sull'embrione umano a patto che rispettino la vita e l'integrità dell'embrione, non comportino per lui
rischi sproporzionati, ma siano finalizzati alla sua guarigione, al miglioramento delle sue condizioni
di salute o alla sua sopravvivenza individuale”53, si deve invece affermare che l'uso degli embrioni
o dei feti umani come oggetto di sperimentazione costituisce un delitto nei riguardi della loro
dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto al bambino già nato e ad
ogni persona54.
La stessa condanna morale riguarda anche il procedimento che sfrutta gli embrioni e i feti umani
ancora vivi - talvolta “prodotti” appositamente per questo scopo mediante la fecondazione in vitro sia come “materiale biologico” da utilizzare sia come fornitori di organi o di tessuti da trapiantare
per la cura di alcune malattie.
In realtà, l'uccisione di creature umane innocenti, seppure a vantaggio di altre, costituisce un atto
assolutamente inaccettabile» (EvV. 63).
«Se l’Istruzione Donum vitae non ha definito che l’embrione è persona, per non impegnarsi
espressamente su un’affermazione d’indole filosofica, ha rilevato tuttavia che esiste un nesso
intrinseco tra la dimensione ontologica e il valore specifico di ogni essere umano. Anche se la
presenza di un’anima spirituale non può essere rilevata dall’osservazione di nessun dato
50
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione sull'aborto procurato (18 novembre 1974), 12-13:
AAS 66 (1974), 738.
51
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. circa il rispetto della vita umana nascente e la dignità della
procreazione Donum vitae (22 febbraio 1987), I, 1: AAS 80 (1988), 78-79.
52
Ibid., l. c., 79
53
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. circa il rispetto della vita umana nascente e la dignità della
procreazione Donum vitae (22 febbraio 1987), I, 3: AAS 80 (1988), 80.
54
Carta dei diritti della famiglia (22 ottobre 1983), art. 4b, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1983.
26
sperimentale, sono le stesse conclusioni della scienza sull’embrione umano a fornire
“un’indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo
comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?”55.
La realtà dell’essere umano, infatti, per tutto il corso della sua vita, prima e dopo la nascita, non
consente di affermare né un cambiamento di natura né una gradualità di valore morale, poiché
possiede una piena qualificazione antropologica ed etica. L’embrione umano, quindi, ha fin
dall’inizio la dignità propria della persona» (DP. 5).
«Il rispetto di tale dignità compete a ogni essere umano, perché esso porta impressi in sé in
maniera indelebile la propria dignità e il proprio valore» (DP. 6).
«Gli embrioni prodotti in vitro che presentano difetti vengono direttamente scartati.
Sono sempre più frequenti i casi in cui coppie non sterili ricorrono alle tecniche di procreazione
artificiale con l’unico scopo di poter operare una selezione genetica dei loro figli.
È prassi ormai comune in molti Paesi la stimolazione del ciclo femminile per ottenere un alto
numero di ovociti, che vengono fecondati. Tra gli embrioni ottenuti un certo numero è trasferito nel
grembo materno, e gli altri vengono congelati per eventuali futuri interventi riproduttivi.
La finalità del trasferimento multiplo è di assicurare, per quanto possibile, l’impianto di almeno un
embrione. Il mezzo impiegato per giungere a questo fine è l’utilizzo di un numero maggiore di
embrioni rispetto al figlio desiderato, nella previsione che alcuni vengano perduti e, in ogni caso, si
eviti la gravidanza multipla. In questo modo la tecnica del trasferimento multiplo comporta di fatto
un trattamento puramente strumentale degli embrioni.
Colpisce il fatto che né la comune deontologia professionale né le autorità sanitarie
ammetterebbero in nessun altro ambito della medicina una tecnica con un tasso globale così alto
di esiti negativi e fatali. Le tecniche di fecondazione in vitro in realtà vengono accettate, perché si
presuppone che l’embrione non meriti un pieno rispetto, per il fatto che entra in concorrenza con
un desiderio da soddisfare.
Questa triste realtà, spesso taciuta, è del tutto deprecabile, in quanto “le varie tecniche di
riproduzione artificiale, che sembrerebbero porsi a servizio della vita e che sono praticate non
poche volte con questa intenzione, in realtà aprono la porta a nuovi attentati contro la vita”56»(DP
15).
«Come valutare moralmente l'uso a scopo di ricerca degli embrioni ottenuti mediante la
fecondazione in vitro?
Gli embrioni umani ottenuti in vitro sono esseri umani e soggetti di diritto: la loro dignità e il loro
diritto alla vita devono essere rispettati fin dal primo momento della loro esistenza.
È immorale produrre embrioni umani destinati a essere sfruttati come "materiale biologico"
disponibile.
Nella pratica abituale della fecondazione in vitro non tutti gli embrioni vengono trasferiti nel corpo
della donna; alcuni vengono distrutti. Così come condanna l'aborto procurato, la Chiesa proibisce
anche di attentare alla vita di questi esseri umani.
È doveroso denunciare la particolare gravita della distruzione volontaria degli embrioni umani
ottenuti in vitro al solo scopo di ricerca sia mediante fecondazione artificiale sia mediante "fissione
gemellare".
Agendo in tal modo il ricercatore si sostituisce a Dio e, anche se non ne ha la coscienza, si fa
padrone del destino altrui, in quanto sceglie arbitrariamente chi far vivere e chi mandare a morte e
sopprime esseri umani senza difesa.
Le metodiche di osservazione o di sperimentazione, che causano danno o impongono dei rischi
gravi e sproporzionati agli embrioni ottenuti in vitro, sono moralmente illecite per le stesse ragioni.
Ogni essere umano va rispettato per se stesso, e non può essere ridotto a puro e semplice valore
strumentale a vantaggio altrui.
55
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. circa il rispetto della vita umana nascente e la dignità della
procreazione Donum vitae, I, 1: AAS 80 (1988), 78-79.
56
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae, n. 14: AAS 87 (1995), 416.
27
Non è perciò conforme alla morale esporre deliberatamente alla morte embrioni umani ottenuti in
vitro.
In conseguenza del fatto che sono stati prodotti in vitro, questi embrioni non trasferiti nel corpo
della madre e denominati "soprannumerari", rimangono esposti a una sorte assurda, senza
possibilità di offrire loro sicure vie di sopravvivenza lecitamente perseguibili» (DV. Parte I, 5).
«Quale giudizio dare sugli altri procedimenti di manipolazione degli embrioni connessi con le
"tecniche di riproduzione umana"»?
Le tecniche di fecondazione in vitro possono aprire la possibilità ad altre forme di manipolazione
biologica o genetica degli embrioni umani, quali: i tentativi o progetti di fecondazione tra gameti
umani e animali e di gestazione di embrioni umani in uteri di animali, l'ipotesi o il progetto di
costruzione di uteri artificiali per l'embrione umano.
Questi procedimenti sono contrari alla dignità di essere umano propria dell'embrione e, nello
stesso tempo, ledono il diritto di ogni persona di essere concepita e di nascere nel matrimonio e
dal matrimonio57.
Anche i tentativi o le ipotesi volte a ottenere un essere umano senza alcuna connessione con la
sessualità mediante "fissione gemellare", clonazione, partenogenesi, sono da considerare
contrarie alla morale, in quanto contrastano con la dignità sia della procreazione umana sia
dell'unione coniugale.
Lo stesso congelamento degli embrioni, anche se attuano per garantire una conservazione in vita
dell'embrione - crioconservazione - costituisce un'offesa al rispetto dovuto agli esseri umani, in
quanto li espone a gravi rischi di morte o di danno per la loro integrità fisica, li priva almeno
temporaneamente dell'accoglienza e della gestazione materna e li pone in una situazione
suscettibile di ulteriori offese e manipolazioni.
Alcuni tentativi d'intervento sul patrimonio cromosomico o genetico non sono terapeutici, ma
mirano alla produzione di esseri umani selezionati secondo il sesso o altre qualità prestabilite.
Queste manipolazioni sono contrarie alla dignità personale dell'essere umano, alla sua integrità e
alla sua identità. Non possono quindi in alcun modo essere giustificate in vista di eventuali
conseguenze benefiche per l’umanità futura.
Ogni persona deve essere rispettata per se stessa: in ciò consiste la dignità e il diritto di ogni
essere umano fin dal suo inizio» (DV. Parte prima 6).
.
«Quale rispetto è dovuto all'embrione umano, tenuto conto della sua natura e della sua identità?
L'essere umano è da rispettare - come una persona - fin dal primo istante della sua esistenza.
La messa in atto dei procedimenti di fecondazione artificiale ha reso possibili diversi interventi sugli
embrioni e sui feti umani. Gli scopi perseguiti sono di diverso genere: diagnostici e terapeutici,
scientifici e commerciali.
Da tutto ciò scaturiscono gravi problemi.
Si può parlare di un diritto alla sperimentazione sugli embrioni umani in vista della ricerca
scientifica? Quali normative o quale legislazione elaborare in questa materia?
La risposta a tali problemi suppone una riflessione approfondita sulla natura e sull’identità propria si parla di "statuto" - dell'embrione umano.
Da parte sua la Chiesa nel Concilio Vaticano II ha proposto nuovamente all'uomo contemporaneo
la sua dottrina costante e certa secondo cui: "la vita, una volta concepita, dev'essere protetta con
la massima cura, e l'aborto come l'infanticidio, sono abominevoli delitti"58.
Più recentemente la Carta dei Diritti della Famiglia, pubblicata dalla Santa Sede, ribadiva: "La vita
umana dev'essere rispettata e protetta in modo assoluto dal momento del concepimento"59.
Questa Congregazione conosce le discussioni attuali sull'inizio della vita umana, sull’individualità
dell'essere umano e sull’identità della persona umana. Essa richiama gli insegnamenti contenuti
nella Dichiarazione sull'aborto procurato: "Dal momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura una
nuova vita che non e quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa
57
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alla 35a Assemblea Generale dell'Associazione Medica Mondiale
29 ottobre 1983: AAS 76 (1984) 391.
58
CONC. VAT., Costit. past. Gaudium et Spes, n. 51.
59
SANTA SEDE, Carta dei diritti della famiglia, art. 4: L'Osservatore Romano, 25 novembre 1983.
28
per proprio conto. Non sarà mai reso umano se non lo è stato fin da allora. A questa evidenza di
sempre... la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal
primo istante si trova fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: un uomo, quest'uomoindividuo con le sue note caratteristiche già ben determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata
l’avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacita richiede tempo per impostarsi e
per trovarsi pronta ad agire"60.
Questa dottrina rimane valida e viene peraltro confermata, se ve ne fosse bisogno, dalle recenti
acquisizioni della biologia umana la quale riconosce che nello zigote derivante dalla fecondazione
si è già costituita l’identità biologica di un nuovo individuo umano.
Certamente nessun dato sperimentale può essere per sé sufficiente a far riconoscere un'anima
spirituale; tuttavia le conclusioni della scienza sull'embrione umano forniscono un’indicazione
preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di
una vita umana.
Il Magistero non si è espressamente impegnato su un'affermazione d'indole filosofica, ma ribadisce
in maniera costante la condanna morale di qualsiasi aborto procurato.
Questo insegnamento non è mutato ed è immutabile. Pertanto il frutto della generazione umana
dal primo momento della sua esistenza, e cioè a partire dal costituirsi dello zigote, esige il rispetto
incondizionato che è moralmente dovuto all'essere umano nella sua totalità corporale e spirituale.
L'essere umano va rispettato e trattato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da
quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto
inviolabile di ogni essere umano innocente.
Questo richiamo dottrinale offre il criterio fondamentale per la soluzione dei diversi problemi posti
dallo sviluppo delle scienze biomediche in questo campo: poiché deve essere trattato come
persona, l'embrione dovrà anche essere difeso nella sua integrità, curato e guarito nella misura del
possibile, come ogni altro essere umano nell'ambito dell'assistenza medica» (DV. Parte I, 7).
«Gli interventi terapeutici sull'embrione umano sono leciti?
Come per ogni intervento medico sui pazienti, si devono ritenere leciti gli interventi sull'embrione
umano a patto che rispettino la vita e l’integrità dell'embrione, non comportino per lui rischi
sproporzionati, ma siano finalizzati alla sua guarigione, al miglioramento delle sue condizioni di
salute o alla sua sopravvivenza individuale.
Qualunque sia il genere di terapia medica, chirurgica o di altro tipo, è richiesto il consenso libero e
informato dei genitori, secondo le regole deontologiche previste nel caso di bambini. L'applicazione
di questo principio morale può richiedere delicate e particolari cautele trattandosi di vita embrionale
o di feti.
La legittimità e i criteri di tali interventi sono stati chiaramente espressi da Giovanni Paolo II: "Un
intervento strettamente terapeutico che si prefigga come obiettivo la guarigione di diverse malattie,
come quelle dovute a difetti cromosomici, sarà, in linea di principio, considerato come auspicabile,
supposto che tenda a realizzare la vera promozione del benessere personale dell'individuo, senza
arrecare danno alla sua integrità o deteriorarne le condizioni di vita. Un tale intervento si colloca di
fatto nella logica della tradizione morale cristiana"61 »(DV. DV. Parte I, 8).
EUTANASIA
«Per eutanasia in senso vero e proprio si deve intendere un'azione o un'omissione che di natura
sua e nelle intenzioni procura la morte, allo scopo di eliminare ogni dolore.
“L'eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati”62 »(EvV. 65).
60
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione sull'aborto procurato,12-13: AAS 66 (1974) 738.
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alla 35a Assemblea Generale dell'Associazione Medica Mondiale, 29
ottobre 1983: AAS 76 ( I 984) 392.
62
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. sull'eutanasia Iura et bona (5 maggio 1980), II: AAS 72
(1980), 546.
61
29
«Per trattare in maniera adeguata il problema dell’eutanasia, conviene, innanzi tutto, precisare il
vocabolario.
Etimologicamente la parola eutanasia significava, nell’antichità, una morte dolce senza sofferenze
atroci.
Oggi non ci si riferisce più al significato originario del termine, ma piuttosto all’intervento della
medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e dell’agonia, talvolta anche con il rischio di
sopprimere prematuramente la vita.
Inoltre, il termine viene usato, in senso più stretto, con il significato di “procurare la morte per
pietà”, allo scopo di eliminare radicalmente le ultime sofferenze o di evitare a bambini anormali, ai
malati mentali o agli incurabili il prolungarsi di una vita infelice, forse per molti anni, che potrebbe
imporre degli oneri troppo pesanti alle famiglie o alla società.
È quindi necessario dire chiaramente in quale senso venga preso il termine in questo Documento.
Per eutanasia s’intende un’azione o un’omissione che di natura sua, o nelle intenzioni, procura la
morte, allo scopo di eliminare ogni dolore.
L’eutanasia si situa, dunque, al livello delle intenzioni e dei metodi usati.
Ora, è necessario ribadire con tutta fermezza che niente e nessuno può autorizzare l’uccisione di
un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato
incurabile o agonizzante.
Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua
responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente.
Nessuna autorità può legittimamente imporlo né permetterlo.
Si tratta, infatti, di una violazione della legge divina, di una offesa alla dignità della persona umana,
di un crimine contro la vita, di un attentato contro l’umanità.
Potrebbe anche verificarsi che il dolore prolungato e insopportabile, ragioni di ordine affettivo o
diversi altri motivi inducano qualcuno a ritenere di poter legittimamente chiedere la morte o
procurarla ad altri. Benché in casi del genere la responsabilità personale possa esser diminuita o
perfino non sussistere, tuttavia l’errore di giudizio della coscienza - forse pure in buona fede - non
modifica la natura dell’atto omicida, che in sé rimane sempre inammissibile.
Le suppliche dei malati molto gravi, che talvolta invocano la morte, non devono essere intese
come espressione di una vera volontà di eutanasia; esse infatti sono quasi sempre richieste
angosciate di aiuto e di affetto.
Oltre le cure mediche, ciò di cui l’ammalato ha bisogno, è l’amore, il calore umano e
soprannaturale, col quale possono e debbono circondarlo tutti coloro che gli sono vicini, genitori e
figli, medici e infermieri» (IB. 2).
EVANGELIZZAZIONE
«L'evangelizzazione è un'azione globale e dinamica, che coinvolge la Chiesa nella sua
partecipazione alla missione profetica, sacerdotale e regale del Signore Gesù.
Essa, pertanto, comporta inscindibilmente le dimensioni dell'annuncio, della celebrazione e del
servizio della carità.
È un atto profondamente ecclesiale, che chiama in causa tutti i diversi operai del Vangelo,
ciascuno secondo i propri carismi e il proprio ministero.
Così è anche quando si tratta di annunciare il Vangelo della vita, parte integrante del Vangelo che
è Gesù Cristo.
Di questo Vangelo noi siamo al servizio, sostenuti dalla consapevolezza di averlo ricevuto in dono
e di essere inviati a proclamarlo a tutta l'umanità “fino agli estremi confini della terra” (At 1, 8).
Nutriamo perciò umile e grata coscienza di essere il popolo della vita e per la vita e in tal modo ci
presentiamo davanti a tutti» (EvV. 78).
FAMIGLIA
«La famiglia è chiamata in causa nell'intero arco di esistenza dei suoi membri, dalla nascita alla
morte. Essa è veramente «il santuario della vita, il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere
30
adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi
secondo le esigenze di un'autentica crescita umana»63. Per questo, determinante e insostituibile è
il ruolo della famiglia nel costruire la cultura della vita.
Come chiesa domestica, la famiglia è chiamata ad annunciare, celebrare e servire il Vangelo della
vita.
È un compito che riguarda innanzitutto i coniugi, chiamati ad essere trasmettitori della vita, sulla
base di una sempre rinnovata consapevolezza del senso della generazione, come evento
privilegiato nel quale si manifesta che la vita umana è un dono ricevuto per essere a sua volta
donato.
Nella procreazione di una nuova vita i genitori avvertono che il figlio “se è frutto della loro reciproca
donazione d'amore, è, a sua volta, un dono per ambedue, un dono che scaturisce dal dono”64.
È soprattutto attraverso l'educazione dei figli che la famiglia assolve la sua missione di annunciare
il Vangelo della vita.
Con la parola e con l'esempio, nella quotidianità dei rapporti e delle scelte e mediante gesti e segni
concreti, i genitori iniziano i loro figli alla libertà autentica, che si realizza nel dono sincero di sé, e
coltivano in loro il rispetto dell'altro, il senso della giustizia, l'accoglienza cordiale, il dialogo, il
servizio generoso, la solidarietà e ogni altro valore che aiuti a vivere la vita come un dono.
L'opera educativa dei genitori cristiani deve farsi servizio alla fede dei figli e aiuto loro offerto
perché adempiano la vocazione ricevuta da Dio.
Rientra nella missione educativa dei genitori insegnare e testimoniare ai figli il vero senso del
soffrire e del morire: lo potranno fare se sapranno essere attenti ad ogni sofferenza che trovano
intorno a sé e, prima ancora, se sapranno sviluppare atteggiamenti di vicinanza, assistenza e
condivisione verso malati e anziani nell'ambito familiare.
La famiglia, inoltre, celebra il Vangelo della vita con la preghiera quotidiana, individuale e familiare:
con essa loda e ringrazia il Signore per il dono della vita ed invoca luce e forza per affrontare i
momenti di difficoltà e di sofferenza, senza mai smarrire la speranza.
Ma la celebrazione che dà significato ad ogni altra forma di preghiera e di culto è quella che
s'esprime nell'esistenza quotidiana della famiglia, se è un'esistenza fatta di amore e donazione»
(EvV. 93).
FEDE E RAGIONE
«La legge divina e la ragione naturale escludono qualsiasi diritto di uccidere direttamente un uomo
innocente.
Tuttavia, se le ragioni addotte per giustificare l’aborto fossero sempre manifestamente cattive e
prive di valore, il problema non sarebbe così drammatico: la sua gravità deriva dal fatto che in certi
casi, forse abbastanza numerosi, rifiutando l’aborto si reca pregiudizio a beni importanti, che è
normale voler salvaguardare e che possono anche apparire, talora, prioritari.
Non possiamo misconoscere queste gravissime difficoltà: può essere ad esempio una grave
questione di salute, talvolta di vita o di morte, per la madre; può essere l’aggravio che rappresenta
un figlio in più, soprattutto se ci sono buone ragioni per temere che egli sarà anormale o rimarrà
minorato; può essere il rilievo che, in diversi ambienti, hanno o assumono le questioni di onore e di
disonore, di declassamento sociale…; si deve senz’altro affermare che mai alcuna di queste
ragioni può conferire oggettivamente il diritto di disporre della vita altrui anche se in fase iniziale; e,
per quanto concerne l’infelicità futura del bambino, nessuno, neppure il padre o la madre, può
sostituirsi a lui, neanche se è ancora allo stato embrionale, per preferire a suo nome la morte alla
vita.
Egli stesso, raggiunta l’età matura, non avrà mai il diritto di scegliere il suicidio; tanto meno,
dunque, finché non ha l’età per decidere da solo, potranno essere i suoi genitori a scegliere la
63
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus (1° maggio 1991), 39: AAS 83 (1991), 842.
Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al VII Simposio dei Vescovi europei sul tema "Gli atteggiamenti
contemporanei di fronte alla nascita e alla morte: una sfida per l'evangelizzazione" (17 ottobre 1989), 5: Insegnamenti
XII, 2 (1989), 945. I figli sono presentati dalla tradizione biblica proprio come un dono di Dio (cf Sal 127[126], 3); e
come segno della sua benedizione sull'uomo che cammina nelle sue vie (cf Sal 128[127], 3-4).
64
31
‘morte per lui. La vita, infatti, è un bene troppo fondamentale perché possa essere posta a
confronto con certi inconvenienti, benché gravissimi65» (6.14).
«I progressi della scienza aprono ed apriranno sempre più alla tecnica la possibilità di compiere
interventri ingegnosi, le cui conseguenze possono essere assai gravi, in bene come in male. Si
tratta di conquiste, di per sé mirabili, dello spirito umano.
Ma la tecnica non può sfuggire al giudizio della morale, perché essa è fatta per l’uomo e ne deve
rispettare le finalità.
Come non si ha il diritto di utilizzare indiscriminatamente, cioè a qualunque fine, l’energia nucleare,
così non si è autorizzati a manipolare in un qualunque senso la vita umana: ogni uso della tecnica
non può avvenire che a servizio dell’uomo, per assicurar meglio l’esercizio delle sue capacità
normali, per prevenire o guarire le malattie, per concorrere al suo migliore sviluppo.
È vero, sì, che il progresso della tecnica rende sempre più facile l’aborto precoce, ma non per
questo ne risulta modificata la valutazione morale» (6.17).
FENOMENO DEMOGRAFICO
«Un altro fenomeno attuale, al quale si accompagnano frequentemente minacce e attentati alla
vita, è quello demografico.
Esso si presenta in modo differente nelle diverse parti del mondo: nei Paesi ricchi e sviluppati si
registra un preoccupante calo o crollo delle nascite; i Paesi poveri, invece, presentano in genere
un tasso elevato di aumento della popolazione, difficilmente sopportabile in un contesto di minore
sviluppo economico e sociale, o addirittura di grave sottosviluppo.
Di fronte alla sovrapopolazione dei Paesi poveri mancano, a livello internazionale, interventi globali
- serie politiche familiari e sociali, programmi di crescita culturale e di giusta produzione e
distribuzione delle risorse - mentre si continua a mettere in atto politiche antinataliste.
Contraccezione, sterilizzazione e aborto vanno certamente annoverati tra le cause che
contribuiscono a determinare le situazioni di forte denatalità. Può essere facile la tentazione di
ricorrere agli stessi metodi e attentati contro la vita anche nelle situazioni di “esplosione
demografica”.
I potenti della terra avvertono come un incubo lo sviluppo demografico in atto e temono che i
popoli più prolifici e più poveri rappresentino una minaccia per il benessere e la tranquillità dei loro
Paesi.
Di conseguenza, piuttosto che voler affrontare e risolvere questi gravi problemi nel rispetto della
dignità delle persone e delle famiglie e dell'inviolabile diritto alla vita di ogni uomo, preferiscono
promuovere e imporre con qualsiasi mezzo una massiccia pianificazione delle nascite. Gli stessi
aiuti economici, che sarebbero disposti a dare, vengono ingiustamente condizionati
all'accettazione di una politica antinatalista» (EvV. 64).
«Sappiamo bene quanto può esser grave per certe famiglie e per certi Paesi il problema della
regolazione delle nascite: è per questo che il recente Concilio e, successivamente, l’Enciclica
Humanae Vitae, del 25 luglio 1968, hanno parlato di “paternità responsabile”66.
Ciò che si deve ripetere con forza - come l’hanno richiamato la Costituzione conciliare Gaudium et
Spes, l’Enciclica Populorum Progressio ed altri documenti pontifici - è che mai, per nessun
65
Il Card. G. Villot, Segretario di Stato, scriveva il 10 ottobre 1973, al Card. Döpfner, circa la protezione della vita
umana: “(La Chiesa) però non può riconoscere come leciti, al fine di superare tali difficili situazioni, né i mezzi
contraccettivi né, ancora di meno, l’aborto” (L’Osservatore Romano, ed. tedesca, 26 ottobre 1973, p. 3).
66
CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et Spes, 50 e 51: AAS 58, 1966, 1070-1073; PAOLO VI, Humanae Vitae, 10: AAS 60,
1968, 487. La paternità responsabile suppone l’uso dei soli mezzi leciti del controllo delle nascite. Cfr. Humanae Vitae,
14 (ibid., 490).
32
pretesto, può essere utilizzato l’aborto, né da parte della famiglia, né da parte dell’autorità politica,
come un mezzo legittimo per la regolazione delle nascite67.
L’offesa dei valori morali costituisce sempre, per il bene comune, un male più grande di qualsiasi
altro inconveniente di ordine economico e demografico» (6.18).
FORMAZIONE DELLA COSCIENZA MORALE
«Il primo e fondamentale passo per realizzare questa svolta culturale consiste nella formazione
della coscienza morale circa il valore incommensurabile e inviolabile di ogni vita umana.
È di somma importanza riscoprire il nesso inscindibile tra vita e libertà.
Sono beni indivisibili: dove è violato l'uno, anche l'altro finisce per essere violato. Non c'è libertà
vera dove la vita non è accolta e amata; e non c'è vita piena se non nella libertà. Ambedue queste
realtà hanno poi un riferimento nativo e peculiare, che le lega indissolubilmente: la vocazione
all'amore. Questo amore, come dono sincero di sé68, è il senso più vero della vita e della libertà
della persona.
Non meno decisiva nella formazione della coscienza è la riscoperta del legame costitutivo che
unisce la libertà alla verità.
Come ho ribadito più volte, sradicare la libertà dalla verità oggettiva rende impossibile fondare i
diritti della persona su una solida base razionale e pone le premesse perché nella società si
affermino l'arbitrio ingovernabile dei singoli o il totalitarismo mortificante del pubblico potere69.
È essenziale allora che l'uomo riconosca l'originaria evidenza della sua condizione di creatura, che
riceve da Dio l'essere e la vita come un dono e un compito: solo ammettendo questa sua nativa
dipendenza nell'essere, l'uomo può realizzare in pienezza la sua vita e la sua libertà e insieme
rispettare fino in fondo la vita e la libertà di ogni altra persona. Qui soprattutto si svela che “al
centro di ogni cultura sta l'atteggiamento che l'uomo assume davanti al mistero più grande: il
mistero di Dio”70.
Quando si nega Dio e si vive come se Egli non esistesse, o comunque non si tiene conto dei suoi
comandamenti, si finisce facilmente per negare o compromettere anche la dignità della persona
umana e l'inviolabilità della sua vita» (EvV. 96).
«Alla formazione della coscienza è strettamente connessa l' opera educativa, che aiuta l'uomo ad
essere sempre più uomo, lo introduce sempre più profondamente nella verità, lo indirizza verso un
crescente rispetto della vita, lo forma alle giuste relazioni tra le persone.
In particolare, è necessario educare al valore della vita cominciando dalle sue stesse radici.
È un'illusione pensare di poter costruire una vera cultura della vita umana, se non si aiutano i
giovani a cogliere e a vivere la sessualità, l'amore e l'intera esistenza secondo il loro vero
significato e nella loro intima correlazione.
La sessualità, ricchezza di tutta la persona, “manifesta il suo intimo significato nel portare la
persona al dono di sé nell'amore”71.
La banalizzazione della sessualità è tra i principali fattori che stanno all'origine del disprezzo della
vita nascente: solo un amore vero sa custodire la vita. Non ci si può, quindi, esimere dall'offrire
soprattutto agli adolescenti e ai giovani l'autentica educazione alla sessualità e all'amore,
un'educazione implicante la formazione alla castità, quale virtù che favorisce la maturità della
persona e la rende capace di rispettare il significato “sponsale” del corpo.
L'opera di educazione alla vita comporta la formazione dei coniugi alla procreazione responsabile.
Questa, nel suo vero significato, esige che gli sposi siano docili alla chiamata del Signore e
67
CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et Spes, 87: AAS 58, 1966, 1110-111. PAOLO VI, Populorum progressio, 37: AAS 59,
1967, 275-276. Alloc. alle Nazioni Unite: AAS 57, 1965, 883; GIOVANNI XXIII, Mater et Magistra: AAS 53, 1961, 445448.
68
CF CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 24.
69
Cf GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus (1° maggio 1991), 17: AAS 83 (1991), 841; GIOVANNI PAOLO II,
Lett. enc. Veritatis splendor (6 agosto 1993), 95-101: AAS 85 (1993), 1208-1213.
70
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus (1° maggio 1991), 24: AAS 83 (1991), 822.
71
GIOVANNI PAOLO II, Esort. ap. post-sinodale Familiaris consortio (22 novembre 1981), 37: AAS 74 (1982), 128
33
agiscano come fedeli interpreti del suo disegno: ciò avviene con l'aprire generosamente la famiglia
a nuove vite, e comunque rimanendo in atteggiamento di apertura e di servizio alla vita anche
quando, per seri motivi e nel rispetto della legge morale, i coniugi scelgono di evitare
temporaneamente o a tempo indeterminato una nuova nascita. La legge morale li obbliga in ogni
caso a governare le tendenze dell'istinto e delle passioni e a rispettare le leggi biologiche iscritte
nella loro persona.
Proprio tale rispetto rende legittimo, a servizio della responsabilità nel procreare, il ricorso ai
metodi naturali di regolazione della fertilità: essi vengono sempre meglio precisati dal punto di vista
scientifico e offrono possibilità concrete per scelte in armonia con i valori morali. Una onesta
considerazione dei risultati raggiunti dovrebbe far cadere pregiudizi ancora troppo diffusi e
convincere i coniugi nonché gli operatori sanitari e sociali circa l'importanza di un'adeguata
formazione al riguardo.
La Chiesa è riconoscente verso coloro che con sacrificio personale e dedizione spesso
misconosciuta si impegnano nella ricerca e nella diffusione di tali metodi, promovendo al tempo
stesso un'educazione ai valori morali che il loro uso suppone.
L'opera educativa non può non prendere in considerazione anche la sofferenza e la morte.
In realtà, esse fanno parte dell'esperienza umana, ed è vano, oltre che fuorviante, cercare di
censurarle e rimuoverle. Ciascuno invece deve essere aiutato a coglierne, nella concreta e dura
realtà, il mistero profondo.
Anche il dolore e la sofferenza hanno un senso e un valore, quando sono vissuti in stretta
connessione con l'amore ricevuto e donato. In questa prospettiva ho voluto che si celebrasse ogni
anno la Giornata Mondiale del Malato, sottolineando “l'indole salvifica dell'offerta della sofferenza,
che vissuta in comunione con Cristo appartiene all'essenza stessa della redenzione”72. Del resto
perfino la morte è tutt'altro che un'avventura senza speranza: è la porta dell'esistenza che si
spalanca sull'eternità e, per quanti la vivono in Cristo, è esperienza di partecipazione al suo
mistero di morte e risurrezione» (EvV. 97).
«In sintesi, possiamo dire che la svolta culturale qui auspicata esige da tutti il coraggio di
assumere un nuovo stile di vita che s'esprime nel porre a fondamento delle scelte concrete - a
livello personale, familiare, sociale e internazionale - la giusta scala dei valori: il primato dell'essere
sull'avere73, della persona sulle cose74.
Questo rinnovato stile di vita implica anche il passaggio dall'indifferenza all'interessamento per
l'altro e dal rifiuto alla sua accoglienza: gli altri non sono concorrenti da cui difenderci, ma fratelli e
sorelle con cui essere solidali; sono da amare per se stessi; ci arricchiscono con la loro stessa
presenza.
Nella mobilitazione per una nuova cultura della vita nessuno si deve sentire escluso: tutti hanno un
ruolo importante da svolgere.
Insieme con quello delle famiglie, particolarmente prezioso è il compito degli insegnanti e degli
educatori. Molto dipenderà da loro se i giovani, formati ad una vera libertà, sapranno custodire
dentro di sé e diffondere intorno a sé ideali autentici di vita e sapranno crescere nel rispetto e nel
servizio di ogni persona, in famiglia e nella società.
Anche gli intellettuali possono fare molto per costruire una nuova cultura della vita umana.
Un compito particolare spetta agli intellettuali cattolici, chiamati a rendersi attivamente presenti
nelle sedi privilegiate dell'elaborazione culturale, nel mondo della scuola e delle università, negli
ambienti della ricerca scientifica e tecnica, nei luoghi della creazione artistica e della riflessione
umanistica. Alimentando il loro genio e la loro azione alle chiare linfe del Vangelo, si devono
impegnare a servizio di una nuova cultura della vita con la produzione di contributi seri,
documentati e capaci di imporsi per i loro pregi al rispetto e all'interesse di tutti.
Proprio in questa prospettiva ho istituito la Pontificia Accademia per la Vita con il compito di
“studiare, informare e formare circa i principali problemi di biomedicina e di diritto, relativi alla
72
GIOVANNI PAOLO II, Lettera istitutiva della Giornata Mondiale del Malato (13 maggio 1992), 2: Insegnamenti XV, 1
(1992), 1410.
73
Cf CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 35; PAOLO VI, Lett.
enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 15: AAS 59 (1967), 265.
74
Cf GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie Gratissimam sane (2 febbraio 1994), 13: AAS 86 (1994), 892.
34
promozione e alla difesa della vita, soprattutto nel diretto rapporto che essi hanno con la morale
cristiana e le direttive del magistero della Chiesa”75.
Uno specifico apporto dovrà venire anche dalle Università, in particolare da quelle cattoliche, e dai
Centri, Istituti e Comitati di bioetica.
Grande e grave è la responsabilità degli operatori dei mass media, chiamati ad adoperarsi perché i
messaggi trasmessi con tanta efficacia contribuiscano alla cultura della vita.
Devono allora presentare esempi alti e nobili di vita e dare spazio alle testimonianze positive e
talvolta eroiche di amore all'uomo; proporre con grande rispetto i valori della sessualità e
dell'amore, senza indugiare su ciò che deturpa e svilisce la dignità dell'uomo.
Nella lettura della realtà, devono rifiutare di mettere in risalto quanto può insinuare o far crescere
sentimenti o atteggiamenti di indifferenza, di disprezzo o di rifiuto nei confronti della vita. Nella
scrupolosa fedeltà alla verità dei fatti, sono chiamati a coniugare insieme la libertà di informazione,
il rispetto di ogni persona e un profondo senso di umanità». (EvV. 98)
.
GIORNATA PER LA VITA
Accogliendo anche il suggerimento offerto dai Cardinali nel Concistoro del 1991, propongo che si
celebri ogni anno nelle varie Nazioni una Giornata per la Vita, quale già si attua ad iniziativa di
alcune Conferenze Episcopali.
È necessario che tale Giornata venga preparata e celebrata con l'attiva partecipazione di tutte le
componenti della Chiesa locale.
Suo scopo fondamentale è quello di suscitare, nelle coscienze, nelle famiglie, nella Chiesa e nella
società civile, il riconoscimento del senso e del valore della vita umana in ogni suo momento e
condizione, ponendo particolarmente al centro dell'attenzione la gravità dell'aborto e
dell'eutanasia, senza tuttavia trascurare gli altri momenti e aspetti della vita, che meritano di
essere presi di volta in volta in attenta considerazione, secondo quanto suggerito dall'evolversi
della situazione storica» (EvV. 85).
GIUDIZIO MORALE: CRITERI FONDAMENTALI
« I valori fondamentali connessi con le tecniche di procreazione artificiale umana sono due: la vita
dell'essere umano chiamato all'esistenza e l’originalità della sua trasmissione nel matrimonio.
Il giudizio morale su tali metodiche di procreazione artificiale dovrà quindi essere formulato in
riferimento a questi valori. La vita fisica, per cui ha inizio la vicenda umana nel mondo, non
esaurisce certamente in se tutto il valore della persona ne rappresenta il bene supremo dell'uomo
che è chiamato all’eternità. Tuttavia ne costituisce in un certo qual modo il valore "fondamentale",
proprio perché sulla vita fisica si fondano e si sviluppano tutti gli altri valori della persona76.
L’inviolabilità del diritto alla vita dell'essere umano innocente "dal momento del concepimento alla
morte"77 è un segno e un'esigenza dell'inviolabilità stessa della persona, alla quale il Creatore ha
fatto il dono della vita.
Rispetto alla trasmissione delle altre forme di vita nell'universo, la trasmissione della vita umana ha
una sua originalità, che deriva dalla originalità stessa della persona umana. "La trasmissione della
vita umana è affidata dalla natura a un atto personale e cosciente e, come tale, soggetto alle
santissime leggi di Dio: leggi immutabili e inviolabili che vanno riconosciute e osservate. È per
questo che non si possono usare mezzi e seguire metodi che possono essere leciti nella
trasmissione della vita delle piante e degli animali"78.
I progressi della tecnica hanno oggi reso possibile una procreazione senza rapporto sessuale
mediante l'incontro in vitro delle cellule germinali antecedentemente prelevate dall'uomo e dalla
75
GIOVANNI PAOLO II, Motu proprio Vitae mysterium (11 febbraio 1994), 4: AAS 86 (1994), 386-387
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione sull'aborto procurato, 9: AAS 66 (1974) 736-737.
77
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alla 35a Assemblea Generale dell'Associazione Medica Mondiale, 29
ottobre 1983: AAS 76 (1984) 390.
78
GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, III: AAS 53 (1961) 447.
76
35
donna. Ma ciò che è tecnicamente possibile non è per ciò stesso moralmente ammissibile. La
riflessione razionale sui valori fondamentali della vita e della procreazione umana è perciò
indispensabile per formulare la valutazione morale a riguardo di tali interventi della tecnica
sull'essere umano fin dai primi stadi del suo sviluppo» (DV. 4).
.
IBRIDAZIONE
«Recentemente sono stati utilizzati ovociti animali per la riprogrammazione di nuclei di cellule
somatiche umane – generalmente chiamata clonazione ibrida –, al fine di estrarre cellule staminali
embrionali dai risultanti embrioni, senza dover ricorrere all’uso di ovociti umani.
Dal punto di vista etico simili procedure rappresentano una offesa alla dignità dell’essere umano, a
causa della mescolanza di elementi genetici umani ed animali capaci di turbare l’identità specifica
dell’uomo.
L’eventuale uso delle cellule staminali, estratte da tali embrioni, comporterebbe inoltre dei rischi
sanitari aggiuntivi, ancora del tutto sconosciuti, per la presenza di materiale genetico animale nel
loro citoplasma. Esporre consapevolmente un essere umano a questi rischi è moralmente e
deontologicamente inaccettabile» (DP 33).
INTRA CYTOPLASMIC SPERM INJECTION (ICSI)
«Tra le tecniche recenti di fecondazione artificiale ha progressivamente assunto un particolare
rilievo l’Intra Cytoplasmic Sperm Injection79. L’ICSI è diventata la tecnica di gran lunga più utilizzata
nell’ottica della migliore efficacia, e può superare diverse forme di sterilità maschile80..
Come la fecondazione in vitro, della quale costituisce una variante, l’ICSI è una tecnica
intrinsecamente illecita: essa opera una completa dissociazione tra la procreazione e l’atto
coniugale. Infatti anche l’ICSI “è attuata al di fuori del corpo dei coniugi mediante gesti di terze
persone la cui competenza e attività tecnica determinano il successo dell’intervento; essa affida la
vita e l’identità dell’embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica
sull’origine e sul destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria
alla dignità e all’uguaglianza che dev’essere comune a genitori e figli.
Il concepimento in vitro è il risultato dell’azione tecnica che presiede alla fecondazione; essa non è
né di fatto ottenuta né positivamente voluta come l’espressione e il frutto di un atto specifico
dell’unione coniugale”81» (DP 17).
LEGGE NATURALE
«A torto molti oggi pretendono che, per servire di regola alle azioni particolari, non si possa trovare
né nella natura umana né nella legge rivelata altra norma assoluta e immutabile, se non quella che
si esprime nella legge generale della carità e del rispetto della dignità umana. A prova di questa
asserzione essi sostengono che nelle cosiddette norme della legge naturale o precetti della sacra
Scrittura, non si deve vedere altro che determinate espressioni di una forma di cultura particolare
in un certo momento della storia.
Ma, in realtà, la rivelazione divina e, nel suo proprio ordine, la sapienza filosofica, mettendo in
rilievo esigenze autentiche della umanità, per ciò stesso manifestano necessariamente l'esistenza
79
L’Intra Cytoplasmic Sperm Injection (ICSI), simile pressoché in tutto ad altre forme della fecondazione in vitro, si
differenzia da esse, perché la fecondazione non avviene spontaneamente in provetta, bensì mediante l’iniezione nel
citoplasma dell’ovocita di un singolo spermatozoo precedentemente selezionato o, talora, mediante l’iniezione di
elementi immaturi della linea germinale maschile.
80
Al riguardo si segnala tuttavia che gli specialisti discutono su alcuni rischi che l’ICSI può comportare per la salute del
concepito.
81
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Donum vitae, II, B, 5: AAS 80 (1988), 93.
36
di leggi immutabili, inscritte negli elementi costitutivi della natura umana e che si manifestano
identiche in tutti gli esseri, dotati di ragione.
Inoltre, Cristo ha istituito la sua Chiesa come “colonna e sostegno della verità” (1 Tm 3,15). Con
l'assistenza dello Spirito santo, essa conserva incessantemente e trasmette senza errore le verità
dell'ordine morale, e interpreta autenticamente non soltanto la legge positiva rivelata, “ma anche i
principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana”82, e che concernono il
pieno sviluppo e la santificazione dell'uomo. Ora di fatto, la Chiesa, nel corso della sua storia, ha
costantemente considerato un certo numero di precetti della legge naturale come aventi valore
assoluto e immutabile, e ha visto nella loro trasgressione una contraddizione con la dottrina e lo
spirito del vangelo.
Poiché l'etica sessuale riguarda certi valori fondamentali della vita umana e della vita cristiana, è
pure ad essa che si applica questa dottrina generale. In questo campo esistono principi e norme
che la chiesa, senza alcuna esitazione, ha sempre trasmesso nel suo insegnamento, per quanto
opposti potessero essere ad essi le opinioni e i costumi del mondo.
Questi principi e queste norme non hanno affatto origine da un certo tipo di cultura, ma appunto
dalla conoscenza della legge divina e della natura umana. Essi non possono, pertanto, ritenersi
superati né messi in dubbio, col pretesto di una nuova situazione culturale.
Sono questi i principi che hanno ispirato i suggerimenti e le direttive del concilio Vaticano II per una
educazione e una organizzazione della vita sociale, che tengano debito conto della eguale dignità
dell'uomo e della donna, nel rispetto della loro differenza83.
Parlando dell'indole sessuata dell'essere umano e della facoltà umana di generare, il concilio ha
notato che esse “sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della
vita”84..
Poi si è particolarmente dedicato ad esporre i principi e i criteri, che concernono la sessualità
umana nel matrimonio e che hanno il loro fondamento nella finalità della sua funzione specifica.
A questo proposito, il concilio dichiara che la bontà morale degli atti propri della vita coniugale,
ordinati secondo la pera dignità umana, «non dipende solo dalla sincera intenzione e dalla
valutazione dei motivi, ma va determinata da criteri oggettivi, che hanno il loro fondamento nella
natura stessa della persona e dei suoi atti e sono destinati a mantenere in un contesto di vero
amore l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana85.
Queste ultime parole riassumono brevemente la dottrina del concilio - esposta in precedenza con
maggior ampiezza della stessa costituzione86 - circa la finalità dell'atto sessuale e criterio principale
della sua moralità: è il rispetto della sua finalità che garantisce l'onestà di questo atto.
Questo stesso principio, che la chiesa attinge alla rivelazione divina e alla propria interpretazione
autentica della legge naturale, fonda anche la sua dottrina tradizionale, secondo la quale l'uso
della funzione sessuale ha il suo vero senso e la sua attitudine morale soltanto nel matrimonio
legittimo87».(DV. 11)
LEGITTIMA DIFESA
«Nella legittima difesa, in cui il diritto a proteggere la propria vita e il dovere di non ledere quella
dell'altro risultano in concreto difficilmente componibili. Indubbiamente, il valore intrinseco della vita
e il dovere di portare amore a se stessi non meno che agli altri fondano un vero diritto alla propria
difesa.
82
CONC. ECUM VAT. II, Dignitatis humanae, 14: EV 1/1080; cf. PIO XI, Enc. Casti connubii, 31.12.1930: AAS 22(1930),
579-580; EE 5/552s; PIO XII, Allocuzione 2.11.1954: AAS 46(1954), 671-672; GIOVANNI XXIII, Enc. Mater et
magistra, 15.5.1961: AAS 53(1961 ), 457; EE 7/457; PAOLO VI, Enc. Humanae vitae, 25.7.1968, n. 4: n. 40-42; EV
3/591.
83
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Gravissimum educationis, 1 e 8: EV 1/822.839; Gaudium et spes, 29, 60, 67: EV
1/1410.1519.1547.
84
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Gaudium et spes, 51: n. 23; EV 1/1483.
85
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Gaudium et spes, 51: n. 23; EV 1/1483; cf. anche n. 49: n. 15-16; EV 1/1475s.
86
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Gaudium et spes, 49 e 50: nn. 15-20; EV 1/1475-1480.
87
La presente Dichiarazione non comprende tutte le norme morali sulla vita sessuale nel matrimonio, essendo queste
egregiamente esposte nelle lettere encicliche Casti connubii e Humanae vitae.
37
Lo stesso esigente precetto dell'amore per gli altri, enunciato nell'Antico Testamento e confermato
da Gesù, suppone l'amore per se stessi quale termine di confronto: “Amerai il prossimo tuo come
te stesso” (Mc 12, 31).
Al diritto di difendersi, dunque, nessuno potrebbe rinunciare per scarso amore alla vita o a se
stesso, ma solo in forza di un amore eroico, che approfondisce e trasfigura lo stesso amore di sé,
secondo lo spirito delle beatitudini evangeliche (cf. Mt 5, 38-48) nella radicalità oblativa di cui è
esempio sublime lo stesso Signore Gesù.
D'altra parte, “la legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere, per chi è
responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile”88.
Accade purtroppo che la necessità di porre l'aggressore in condizione di non nuocere comporti
talvolta la sua soppressione. In tale ipotesi, l'esito mortale va attribuito allo stesso aggressore che
vi si è esposto con la sua azione, anche nel caso in cui egli non fosse moralmente responsabile
per mancanza dell'uso della ragione89»(EvV. 55).
ISOLAMENTO UTERINO
«D. 1. Quando l'utero (ad esempio durante un parto o un intervento cesareo) viene così
seriamente danneggiato che se ne rende medicamente indicata l'asportazione (isterectomia)
anche totale per scongiurare un grave pericolo attuale contro la vita o la salute della madre, è
lecito eseguire tale procedura nonostante che per la donna ne seguirà una sterilità permanente?
R. Sì.
D. 2. Quando l'utero (ad esempio a causa di precedenti interventi di taglio cesareo) si trova in uno
stato tale che, pur non costituendo in sé un rischio attuale per la vita o la salute della donna, non
sia prevedibilmente più in grado di portare a termine una gravidanza futura senza pericolo per la
madre, pericolo che in alcuni casi potrebbe risultare anche grave, è lecito asportarlo (isterectomia),
al fine di prevenire un tale eventuale pericolo futuro derivante dal concepimento?
R. No.
D. 3. Nella medesima situazione di cui sopra al n. 2, è lecito sostituire l'isterectomia con la legatura
delle tube (procedimento chiamato anche "isolamento uterino"), tenendo conto che si raggiunge il
medesimo scopo preventivo dei rischi di un'eventuale gravidanza, con una procedura molto più
semplice per il medico e meno gravosa per la donna e che, inoltre, in alcuni casi la sterilità così
procurata può essere reversibile?
R. No.
Spiegazione
Nel primo caso, l'intervento di isterectomia è lecito in quanto ha carattere direttamente terapeutico,
benché si preveda che ne conseguirà una sterilità permanente. Infatti è la condizione patologica
dell'utero (per esempio, un'emorragia che non si può tamponare con altri mezzi) che ne rende
medicamente indicata l'asportazione. Quest'ultima ha pertanto come fine proprio quello di
scongiurare un grave pericolo attuale per la donna, indipendentemente da un'eventuale futura
gravidanza.
Diverso, dal punto di vista morale, si presenta il caso di procedimenti di isterectomia e di
"isolamento uterino" nelle circostanze descritte nei numeri 2 e 3; essi rientrano nella fattispecie
morale della sterilizzazione diretta, la quale, nel documento Quaecumque sterilizatio (AAS LXVIII
1976, 738-740, n. 1), viene definita come un'azione che “ha per unico effetto immediato di rendere
la facoltà generativa incapace di procreare”.
“Perciò, continua lo stesso documento, nonostante ogni soggettiva buona intenzione di coloro i cui
interventi sono ispirati alla cura o alla prevenzione di una malattia fisica o mentale, prevista o
temuta come risultato di una gravidanza, siffatta sterilizzazione rimane assolutamente proibita
secondo la dottrina della Chiesa “.
88
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2265.
Cf S. TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, II-II, q. 64, a. 7; S. ALFONSO DE' LIGUORI, Theologia moralis, l. III,
tr. 4, c. 1, dub. 3.
89
38
In realtà, l'utero come descritto nel n. 2 non costituisce in sé e per sé nessun pericolo attuale per la
donna. Infatti la proposta di sostituire all'isterectomia l'"isolamento uterino" nelle stesse condizioni
mostra precisamente che l'utero non è in sé un problema patologico per la donna.
Pertanto le procedure sopra descritte non hanno un carattere propriamente terapeutico, ma sono
realizzate per rendere sterili i futuri atti sessuali fertili, liberamente compiuti. Il fine di evitare i rischi
per la madre, derivanti da una eventuale gravidanza, viene quindi perseguito con il mezzo di una
sterilizzazione diretta, in se stessa sempre moralmente illecita, mentre altre vie moralmente lecite
restano aperte alla scelta libera.
L'opinione contraria, che considera le suddette pratiche di cui ai numeri 2 e 3 come sterilizzazione
indiretta, lecita a certe condizioni, non può quindi ritenersi valida e non può essere seguita nella
prassi degli ospedali cattolici» (4).
LEGITTIMAZIONE GIURIDICA
«Ai governanti, che sono i principali responsabili del bene comune e tanto possono per la
salvaguardia del costume orale, noi diciamo: non lascino che si degradi la moralità dei loro popoli;
non accettino che si introducano in modo legale in quella cellula fondamentale dello stato, che è la
famiglia, pratiche contrarie alla legge naturale e divina.
Altra è la via mediante la quale i pubblici poteri possono e devono contribuire alla soluzione del
problema demografico: è la via di una provvida politica familiare, di una saggia educazione dei
popoli, rispettosa della legge morale e della libertà dei cittadini.
Siamo ben consapevoli delle gravi difficoltà in cui versano i pubblici poteri a questo riguardo,
specialmente nei paesi in via di sviluppo. Alle loro legittime preoccupazioni abbiamo consacrato la
nostra enciclica Populorum progressio. Ma, con il nostro predecessore Giovanni XXIII, ripetiamo: "
Queste difficoltà non vanno superate facendo ricorso a metodi e a mezzi che sono indegni
dell’uomo e che trovano la loro spiegazione soltanto in una concezione prettamente materialistica
dell’uomo stesso e della sua vita. La vera soluzione si trova soltanto nello sviluppo economico e
nel progresso sociale, che rispettano e promuovono i veri valori umani individuali e sociali ".
Né si potrebbe senza grave ingiustizia rendere la divina Provvidenza responsabile di ciò che
dipendesse invece da minore saggezza di governo, da un senso insufficiente della giustizia
sociale, da egoistico accaparramento o ancora da biasimevole indolenza nell’affrontare gli sforzi e i
sacrifici necessari per assicurare la elevazione del livello di vita di un popolo e di tutti i suoi figli.
Che tutti i poteri responsabili - come certuni già fanno così lodevolmente - ravvivino
generosamente i loro sforzi. E non cessi di estendersi l’aiuto vicendevole tra tutti i membri della
grande famiglia umana: è un campo quasi illimitato che si apre così all’attività delle grandi
organizzazioni internazionali» (HV. 23).
«Una delle caratteristiche proprie degli attuali attentati alla vita umana - come si è già detto più
volte - consiste nella tendenza ad esigere una loro legittimazione giuridica, quasi fossero diritti che
lo Stato, almeno a certe condizioni, deve riconoscere ai cittadini e, conseguentemente, nella
tendenza a pretendere la loro attuazione con l'assistenza sicura e gratuita dei medici e degli
operatori sanitari.
Si pensa non poche volte che la vita di chi non è ancora nato o è gravemente debilitato sia un
bene solo relativo: secondo una logica proporzionalista o di puro calcolo, dovrebbe essere
confrontata e soppesata con altri beni. E si ritiene pure che solo chi si trova nella situazione
concreta e vi è personalmente coinvolto possa compiere una giusta ponderazione dei beni in
gioco: di conseguenza, solo lui potrebbe decidere della moralità della sua scelta.
Lo Stato, perciò, nell'interesse della convivenza civile e dell'armonia sociale, dovrebbe rispettare
questa scelta, giungendo anche ad ammettere l'aborto e l'eutanasia.
Si pensa, altre volte, che la legge civile non possa esigere che tutti i cittadini vivano secondo un
grado di moralità più elevato di quello che essi stessi riconoscono e condividono. Per questo la
legge dovrebbe sempre esprimere l'opinione e la volontà della maggioranza dei cittadini e
riconoscere loro, almeno in certi casi estremi, anche il diritto all'aborto e all'eutanasia.
39
Del resto, la proibizione e la punizione dell'aborto e dell'eutanasia in questi casi condurrebbero
inevitabilmente - così si dice - ad un aumento di pratiche illegali: esse, peraltro, non sarebbero
soggette al necessario controllo sociale e verrebbero attuate senza la dovuta sicurezza medica.
Ci si chiede, inoltre, se sostenere una legge concretamente non applicabile non significhi, alla fine,
minare anche l'autorità di ogni altra legge.
Nelle opinioni più radicali, infine, si giunge a sostenere che, in una società moderna e pluralistica,
dovrebbe essere riconosciuta a ogni persona piena autonomia di disporre della propria vita e della
vita di chi non è ancora nato: non spetterebbe, infatti, alla legge la scelta tra le diverse opinioni
morali e, tanto meno, essa potrebbe pretendere di imporne una particolare a svantaggio delle
altre» (EvV. 68).
«Quando una maggioranza parlamentare o sociale decreta la legittimità della soppressione, pur a
certe condizioni, della vita umana non ancora nata, non assume forse una decisione «tirannica»
nei confronti dell'essere umano più debole e indifeso? La coscienza universale giustamente
reagisce nei confronti dei crimini contro l'umanità di cui il nostro secolo ha fatto così tristi
esperienze. Forse che questi crimini cesserebbero di essere tali se, invece di essere commessi da
tiranni senza scrupoli, fossero legittimati dal consenso popolare?» (EvV. 70).
LIBERTA’ SESSUALE
«Se con questa espressione si intendesse la padronanza, progressivamente acquisita, della
ragione e del vero amore sugli impulsi dell’istinto, senza svalutare il piacere, ma mantenendolo al
suo giusto posto - e la padronanza, ‘in questo campo, è la sola autentica libertà - non ci sarebbe
nulla da eccepire: una tale libertà, infatti, si guarderà sempre dall’attentare alla giustizia.
Ma se, al contrario, si intende affermare che l’uomo e la donna sono “liberi” di ricercare il piacere
sessuale a sazietà, senza tener conto di nessuna legge né dell’ordinazione essenziale della vita
sessuale ai suoi frutti di fecondità90, siffatta opinione non ha nulla di cristiano, ed è anche indegna
dell’uomo. In ogni caso, essa non conferisce alcun diritto a disporre della vita altrui, fosse anche
allo stato embrionale, e a sopprimerla col pretesto che essa arreca fastidio» (6.16).
MAGISTERO DELLA CHIESA
«La Chiesa cattolica, nel proporre principi e valutazioni morali per la ricerca biomedica sulla vita
umana, attinge alla luce sia della ragione sia della fede, contribuendo ad elaborare una visione
integrale dell’uomo e della sua vocazione, capace di accogliere tutto ciò che di buono emerge dalle
opere degli uomini e dalle varie tradizioni culturali e religiose, che non raramente mostrano una
grande riverenza per la vita.
Il Magistero intende portare una parola di incoraggiamento e di fiducia nei confronti di una
prospettiva culturale che vede la scienza come prezioso servizio al bene integrale della vita e della
dignità di ogni essere umano.
La Chiesa pertanto guarda con speranza alla ricerca scientifica, augurando che siano molti i
cristiani a dedicarsi al progresso della biomedicina e a testimoniare la propria fede in tale ambito.
Auspica inoltre che i risultati di questa ricerca siano resi disponibili anche nelle aree povere e
colpite dalle malattie, per affrontare le necessità più urgenti e drammatiche dal punto di vista
umanitario.
E infine intende essere presente accanto ad ogni persona che soffre nel corpo e nello spirito, per
offrire non soltanto un conforto, ma la luce e la speranza. Queste danno senso anche ai momenti
della malattia e all’esperienza della morte, che appartengono di fatto alla vita dell’uomo e ne
segnano la storia, aprendola al mistero della Risurrezione.
90
CONC. ECUM VAT. II, Gaudium et Spes, II, c. 1, 48: AAS 58, 1966, 1068: “Per sua indole naturale, l’istituto stesso del
matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati alla procreazione e alla educazione della prole e in questo trovano il loro
coronamento”. Ibidem, 50, l. c., 1070: “!Il matrimonio e l’amore coniugale sono ordinati per loro natura alla
procreazione ed educazione della prole”.
40
Lo sguardo della Chiesa infatti è pieno di fiducia perché “la vita vincerà: è questa per noi una
sicura speranza. Sì, vincerà la vita, perché dalla parte della vita stanno la verità, il bene, la gioia, il
vero progresso. Dalla parte della vita è Dio, che ama la vita e la dona con larghezza”!91» (DP. 3).
«L’insegnamento morale della Chiesa è stato talvolta accusato di contenere troppi divieti.
In realtà esso è fondato sul riconoscimento e sulla promozione di tutti i doni che il Creatore ha
concesso all’uomo, come la vita, la conoscenza, la libertà e l’amore.
Un particolare apprezzamento meritano perciò non soltanto le attività conoscitive dell’uomo, ma
anche quelle pratiche, come il lavoro e l’attività tecnologica. Con queste ultime, infatti, l’uomo,
partecipe del potere creatore di Dio, è chiamato a trasformare il creato, ordinandone le molteplici
risorse in favore della dignità e del benessere di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, e ad esserne
anche il custode del valore e dell’intrinseca bellezza» (DP. 36).
«Da parte sua il Magistero della Chiesa, anche in questo ambito, offre alla ragione umana la luce
della Rivelazione: la dottrina sull'uomo insegnata dal Magistero contiene molti elementi che
illuminano i problemi che qui vengono affrontati.
Dal momento del concepimento, la vita di ogni essere umano va rispettata in modo assoluto,
perché l'uomo è sulla terra l'unica creatura che Dio ha "voluto per se stesso"92, e l'anima spirituale
di ciascun uomo è "immediatamente creata" da Dio93; tutto il suo essere porta l'immagine del
Creatore.
La vita umana è sacra perché fin dal suo inizio comporta "l'azione creatrice di Dio"94 e rimane per
sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine95. Solo Dio è il Signore della vita
dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a se il diritto il
distruggere direttamente un essere umano innocente96.
La procreazione umana richiede una collaborazione responsabile degli sposi con l'amore fecondo
di Dio97; il dono della vita umana deve realizzarsi nel matrimonio mediante gli atti specifici ed
esclusivi degli sposi, secondo le leggi inscritte nelle loro persone e nella loro unione98 »(DV. 5).
MALATI INGUARIBILI
In un contesto sociale e culturale nel quale è più difficile affrontare e sopportare la sofferenza,
troviamo la tentazione di risolvere il problema del soffrire eliminandolo alla radice con l'anticipare la
morte al momento ritenuto più opportuno.
In tale scelta confluiscono spesso elementi di diverso segno, purtroppo convergenti a questo
terribile esito. Può essere decisivo, nel soggetto malato, il senso di angoscia, di esasperazione,
persino di disperazione, provocato da un'esperienza di dolore intenso e prolungato. Ciò mette a
dura prova gli equilibri a volte già instabili della vita personale e familiare, sicché, da una parte, il
malato, nonostante gli aiuti sempre più efficaci dell'assistenza medica e sociale, rischia di sentirsi
91
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alla VII Assemblea della Pontificia Accademia per la Vita (3 marzo
2001), n. 3: AAS 93 (2001), 446.
92
CONC. ECUM VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 24.
93
Cf. PIO XII, Encicl. Humani Generis: AAS 42 (1950) 575; PAOLO VI, Professio fidei: AAS 60 (1968) 436.
94
GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, III: AAS 53 (1961) 447: cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai sacerdoti
partecipanti a un seminario di studio su "La procreazione responsabile", 17 settembre 1983: Insegnamenti di Giovanni
Paolo II, VI, 2 (1983) 562: "All'origine di ogni persona umana v'è un atto creativo di Dio: nessun uomo viene
all'esistenza per caso; egli e sempre il termine dell'amore creativo di Dio".
95
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 24.
96
Cf. PIO XII, Discorso all'Unione Medico-Biologica "S. Luca". 12 novembre 1944: Discorsi e Radiomessaggi, VI
(1944-1945) 191-192.
97
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 50.
98
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes. 51: "Perciò quando si tratta di comporre l'amore coniugale
con la trasmissione responsabile della vita il carattere morale del comportamento non dipende solo dalla sincera
intenzione e dalla valutazione dei motivi, ma va determinato da criteri oggettivi che hanno il loro fondamento nella
natura stessa della persona umana e dei suoi atti, che sono destinati a mantenere in un contesto di vero amore l'integro
senso della mutua donazione e della procreazione umana".
41
schiacciato dalla propria fragilità; dall'altra, in coloro che gli sono effettivamente legati, può operare
un senso di comprensibile anche se malintesa pietà.
Tutto ciò è aggravato da un'atmosfera culturale che non coglie nella sofferenza alcun significato o
valore, anzi la considera il male per eccellenza, da eliminare ad ogni costo; il che avviene
specialmente quando non si ha una visione religiosa che aiuti a decifrare positivamente il mistero
del dolore.
Riscontriamo una tragica espressione di tutto ciò nella diffusione dell'eutanasia, mascherata e
strisciante o attuata apertamente e persino legalizzata. Essa, oltre che per una presunta pietà di
fronte al dolore del paziente, viene talora giustificata con una ragione utilitaristica, volta ad evitare
spese improduttive troppo gravose per la società» (EvV. 15)
.
MASTURBAZIONE
«Spesso, oggi, si mette in dubbio o si nega espressamente la dottrina tradizionale cattolica,
secondo la quale la masturbazione costituisce un grave disordine morale.
La psicologia e la sociologia, si dice, dimostrano che, soprattutto tra gli adolescenti, essa è un
fenomeno normale dell'evoluzione della sessualità. Non ci sarebbe colpa reale e grave, se non
nella misura in cui il soggetto cedesse deliberatamente ad un'auto soddisfazione chiusa in se
stessa (“ipsazione”), perché in tal caso l'atto sarebbe radicalmente contrario a quella comunione
amorosa tra persone di diverso sesso, che secondo certuni sarebbe quel che principalmente si
cerca nell'uso della facoltà sessuale.
Questa opinione è contraria alla dottrina e alla pratica pastorale della chiesa cattolica.
Quale che sia il valore di certi argomenti d'ordine biologico o filosofico, di cui talvolta si sono serviti
i teologi, di fatto sia il magistero della chiesa - nella linea di una tradizione costante -, sia il senso
morale dei fedeli hanno affermato senza esitazione che la masturbazione è un atto
intrinsecamente e gravemente disordinato.
La ragione principale è che, qualunque ne sia il motivo, l'uso deliberato della facoltà sessuale, al di
fuori dei rapporti coniugali normali, contraddice essenzialmente la sua finalità.
A tale uso manca, infatti, la relazione sessuale richiesta dall'ordine morale, quella che realizza, “in
un contesto di vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana”.
Soltanto a questa relazione regolare dev'essere riservato ogni esercizio deliberato sulla sessualità.
Anche se non si può stabilire con certezza che la Scrittura riprova questo peccato con una distinta
denominazione, la tradizione della chiesa ha giustamente inteso che esso veniva condannato nel
nuovo testamento, quando questo parla di “impurità”, di “impudicizia”, o di altri vizi, contrari alla
castità e alla continenza.
Le inchieste sociologiche possono indicare la frequenza che questo disordine secondo i luoghi, la
popolazione o le circostanze prese in considerazione; si rilevano così dei fatti. Ma i fatti non
costituiscono un criterio che permette di giudicare del valore morale degli atti umani99.
La frequenza del fenomeno in questione è, certo, da mettere in rapporto con l'innata debolezza
dell'uomo in conseguenza del peccato originale, ma anche con la perdita del senso di Dio, la
depravazione dei costumi, generata dalla commercializzazione del vizio, la sfrenata licenza di tanti
spettacoli e di pubblicazioni, come anche con l'oblio del pudore, custode della castità.
La psicologia moderna offre, in materia di masturbazione, parecchi dati validi e utili, per formulare
un giudizio più equo sulla responsabilità morale e per orientare l'azione pastorale. Essa aiuta a
vedere come l'immaturità dell'adolescenza, che può talvolta prolungarsi oltre questa età, lo
squilibrio psichico, o l'abitudine contratta possano influire sul comportamento, attenuando il
carattere deliberato dell'atto, e far sì che, soggettivamente, non ci sia sempre colpa grave.
Tuttavia, in generale, l'assenza di grave responsabilità non deve essere presunta; ciò
significherebbe misconoscere la capacità morale delle persone.
99
“Se le inchieste sociologiche ci sono utili per meglio conoscere la mentalità dell'ambiente, le preoccupazioni e le
necessità di coloro ai quali annunciamo la parola di Dio, come pure le resistenze che le oppone l'umana ragione nell'età
moderna, con l'idea largamente diffusa che non esisterebbe, fuori della scienza, alcuna forma legittima di sapere, le
conclusioni di tali inchieste non potrebbero costituire di per se stesse un criterio determinante di verità” (PAOLO VI,
Esort. apost. Quinque iam anni, 8.12.1970: EV 3/2883 ).
42
Nel ministero pastorale, per formarsi un giudizio adeguato nei casi concreti, sarà preso in
considerazione, nella sua totalità, il comportamento abituale delle persone, non soltanto per ciò
che riguarda la pratica della carità e della giustizia, ma anche circa la preoccupazione di osservare
il precetto particolare della castità. Si vedrà, specialmente, se si fa ricorso ai mezzi necessari,
naturali e soprannaturali, che l'ascesi cristiana, nella sua esperienza di sempre, raccomanda per
dominare le passioni e far progredire la virtù» (5.9).
MATERIALE BIOLOGICO UMANO DI ORIGINE ILLECITA
«Per la ricerca scientifica e per la produzione di vaccini o di altri prodotti talora vengono utilizzate
linee cellulari che sono il risultato di un intervento illecito contro la vita o l’integrità fisica dell’essere
umano. La connessione con l’azione ingiusta può essere immediata o mediata, dato che si tratta
generalmente di cellule che si riproducono facilmente e in abbondanza. Questo “materiale” talvolta
viene commercializzato, talvolta è distribuito gratuitamente ai centri di ricerca da parte degli
organismi statali che per legge hanno tale compito.
Tutto ciò dà luogo a diversi problemi etici, in tema di cooperazione al male e di scandalo.
Conviene pertanto enunciare i principi generali, a partire dai quali gli operatori di retta coscienza
possono valutare e risolvere le situazioni in cui eventualmente potrebbero essere coinvolti nella
loro attività professionale.
Occorre ricordare innanzitutto che la stessa valutazione morale dell’aborto “è da applicare anche
alle recenti forme di intervento sugli embrioni umani che, pur mirando a scopi in sé legittimi, ne
comportano inevitabilmente l’uccisione. È il caso della sperimentazione sugli embrioni, in
crescente espansione nel campo della ricerca biomedica e legalmente ammessa in alcuni Stati…
L’uso degli embrioni o dei feti umani come oggetto di sperimentazione costituisce un delitto nei
riguardi della loro dignità di esseri umani, che hanno diritto al medesimo rispetto dovuto al bambino
già nato e ad ogni persona”100. Queste forme di sperimentazione costituiscono sempre un
disordine morale grave101 »(DP 34).
Una fattispecie diversa viene a configurarsi quando i ricercatori impiegano “materiale biologico” di
origine illecita che è stato prodotto fuori dal loro centro di ricerca o che si trova in commercio.
L’Istruzione Donum vitae ha formulato il principio generale che in questi casi deve essere
osservato: “I cadaveri di embrioni o feti umani, volontariamente abortiti o non, devono essere
rispettati come le spoglie degli altri esseri umani. In particolare non possono essere oggetto di
mutilazioni o autopsie se la loro morte non è stata accertata e senza il consenso dei genitori o
della madre. Inoltre va sempre fatta salva l’esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna
con l’aborto volontario e che sia evitato il pericolo di scandalo”102.
A tale proposito è insufficiente il criterio dell’indipendenza formulato da alcuni comitati etici, vale a
dire, affermare che sarebbe eticamente lecito l’utilizzo di “materiale biologico” di illecita
provenienza, sempre che esista una chiara separazione tra coloro che da una parte producono,
congelano e fanno morire gli embrioni e dall’altra i ricercatori che sviluppano la sperimentazione
scientifica.
Il criterio di indipendenza non basta a evitare una contraddizione nell’atteggiamento di chi afferma
di non approvare l’ingiustizia commessa da altri, ma nel contempo accetta per il proprio lavoro il
“materiale biologico” che altri ottengono mediante tale ingiustizia.
Quando l’illecito è avallato dalle leggi che regolano il sistema sanitario e scientifico, occorre
prendere le distanze dagli aspetti iniqui di tale sistema, per non dare l’impressione di una certa
tolleranza o accettazione tacita di azioni gravemente ingiuste103. Ciò infatti contribuirebbe a
100
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae, n. 63: AAS 87 (1995), 472-473.
Cf. ibid., n. 62: l.c., 472.
102
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Donum vitae, I, 4: AAS 80 (1988), 83.
103
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae, n. 73: AAS 87 (1995), 486: “L’aborto e l’eutanasia sono dunque
crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun
obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di
101
43
aumentare l’indifferenza, se non il favore con cui queste azioni sono viste in alcuni ambienti medici
e politici.
Talvolta si obietta che le considerazioni precedenti sembrano presupporre che i ricercatori di
buona coscienza avrebbero il dovere di opporsi attivamente a tutte le azioni illecite realizzate in
ambito medico, allargando così la loro responsabilità etica in modo eccessivo. Il dovere di evitare
la cooperazione al male e lo scandalo, in realtà, riguarda la loro attività professionale ordinaria, che
devono impostare rettamente e mediante la quale devono testimoniare il valore della vita,
opponendosi anche alle leggi gravemente ingiuste. Va pertanto precisato che il dovere di rifiutare
quel “materiale biologico” – anche in assenza di una qualche connessione prossima dei ricercatori
con le azioni dei tecnici della procreazione artificiale o con quella di quanti hanno procurato
l’aborto, e in assenza di un previo accordo con i centri di procreazione artificiale – scaturisce dal
dovere di separarsi, nell’esercizio della propria attività di ricerca, da un quadro legislativo
gravemente ingiusto e di affermare con chiarezza il valore della vita umana. Perciò il sopra citato
criterio di indipendenza è necessario, ma può essere eticamente insufficiente.
Naturalmente all’interno di questo quadro generale esistono responsabilità differenziate, e ragioni
gravi potrebbero essere moralmente proporzionate per giustificare l’utilizzo del suddetto “materiale
biologico”. Così, per esempio, il pericolo per la salute dei bambini può autorizzare i loro genitori a
utilizzare un vaccino nella cui preparazione sono state utilizzate linee cellulari di origine illecita,
fermo restando il dovere da parte di tutti di manifestare il proprio disaccordo al riguardo e di
chiedere che i sistemi sanitari mettano a disposizione altri tipi di vaccini. D’altra parte, occorre
tener presente che nelle imprese che utilizzano linee cellulari di origine illecita non è identica la
responsabilità di coloro che decidono dell’orientamento della produzione rispetto a coloro che non
hanno alcun potere di decisione» (DP. 35).
MATERIALISMO PRATICO
«L'eclissi del senso di Dio e dell'uomo conduce inevitabilmente al materialismo pratico, nel quale
proliferano l'individualismo, l'utilitarismo e l'edonismo. Si manifesta anche qui la perenne validità di
quanto scrive l'Apostolo: “Poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in
balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno” (Rm 1, 28).
Così i valori dell'essere sono sostituiti da quelli dell'avere.
L'unico fine che conta è il perseguimento del proprio benessere materiale. La cosiddetta “qualità
della vita” è interpretata in modo prevalente o esclusivo come efficienza economica, consumismo
disordinato, bellezza e godibilità della vita fisica, dimenticando le dimensioni più profonde relazionali, spirituali e religiose - dell'esistenza.
In un simile contesto la sofferenza, inevitabile peso dell'esistenza umana ma anche fattore di
possibile crescita personale, viene “censurata”, respinta come inutile, anzi combattuta come male
da evitare sempre e comunque. Quando non la si può superare e la prospettiva di un benessere
almeno futuro svanisce, allora pare che la vita abbia perso ogni significato e cresce nell'uomo la
tentazione di rivendicare il diritto alla sua soppressione.
Sempre nel medesimo orizzonte culturale, il corpo non viene più percepito come realtà tipicamente
personale, segno e luogo della relazione con gli altri, con Dio e con il mondo. Esso è ridotto a pura
materialità: è semplice complesso di organi, funzioni ed energie da usare secondo criteri di mera
godibilità ed efficienza. Conseguentemente, anche la sessualità è depersonalizzata e
strumentalizzata: da segno, luogo e linguaggio dell'amore, ossia del dono di sé e dell'accoglienza
dell'altro secondo l'intera ricchezza della persona, diventa sempre più occasione e strumento di
affermazione del proprio io e di soddisfazione egoistica dei propri desideri e istinti.
Così si deforma e falsifica il contenuto originario della sessualità umana e i due significati, unitivo e
procreativo, insiti nella natura stessa dell'atto coniugale, vengono artificialmente separati: in questo
modo l'unione è tradita e la fecondità è sottomessa all'arbitrio dell'uomo e della donna» (EvV. 23).
coscienza”. Il diritto all’obiezione di coscienza, espressione del diritto alla libertà di coscienza, dovrebbe essere tutelato
dalle legislazioni civili.
44
MATERNITA’ SOSTITUTIVA
«Sotto la denominazione di "madre sostitutiva" l'istruzione intende comprendere:
a) la donna che porta in gestazione un embrione impiantato nel suo utero e che le è
geneticamente estraneo, perché ottenuto mediante l'unione di gameti di "donatori", con l'impegno
di consegnare il bambino una volta nato a chi ha commissionato o pattuito tale gestazione;
b) la donna che porta in gestazione un embrione alla cui procreazione ha concorso con il dono del
proprio ovulo, fecondato mediante inseminazione con lo sperma di un uomo diverso da suo marito,
con l'impegno di consegnare il figlio, una volta nato. a chi ha commissionato o pattuito la
gestazione.
No, per le medesime ragioni che portano a rifiutare la fecondazione artificiale eterologa: è
contraria, infatti, all'unità del matrimonio e alla dignità della procreazione della persona umana.
La maternità sostitutiva rappresenta una mancanza oggettiva di fronte agli obblighi dell'amore
materno, della fedeltà coniugale e della maternità responsabile; offende la dignità e il diritto del
figlio ad essere concepito, portato in grembo, messo al mondo ed educato dai propri genitori; essa
instaura, a detrimento delle famiglie, una divisione fra gli elementi fisici, psichici e morali che le
costituiscono» (DV. Parte II, A)
MATRIMONIO
«L’origine della vita umana, d’altra parte, ha il suo autentico contesto nel matrimonio e nella
famiglia, in cui viene generata attraverso un atto che esprime l’amore reciproco tra l’uomo e la
donna.
Una procreazione veramente responsabile nei confronti del nascituro “deve essere il frutto del
matrimonio”104 .
Il matrimonio, presente in tutti i tempi e in tutte le culture, “è stato sapientemente e
provvidenzialmente istituito da Dio creatore per realizzare nell’umanità il suo disegno di amore. Per
mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla
comunione delle loro persone, con la quale si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla
generazione e all’educazione di nuove vite”105. Nella fecondità dell’amore coniugale l’uomo e la
donna “rendono evidente che all’origine della loro vita sponsale vi è un “sì” genuino che viene
pronunciato e realmente vissuto nella reciprocità, rimanendo sempre aperto alla vita.
La legge naturale, che è alla base del riconoscimento della vera uguaglianza tra le persone e i
popoli, merita di essere riconosciuta come la fonte a cui ispirare anche il rapporto tra gli sposi nella
loro responsabilità nel generare nuovi figli. La trasmissione della vita è iscritta nella natura e le sue
leggi permangono come norma non scritta a cui tutti devono richiamarsi”106 »(DP. 6).
«Il matrimonio cristiano “affonda le sue radici nella naturale complementarietà che esiste tra l’uomo
e la donna, e si alimenta mediante la volontà personale degli sposi di condividere l’intero progetto
di vita, ciò che hanno e ciò che sono: perciò tale comunione è il frutto e il segno di una esigenza
profondamente umana.
Ma in Cristo Signore, Dio assume questa esigenza umana, la conferma, la purifica e la eleva,
conducendola a perfezione col sacramento del matrimonio: lo Spirito Santo effuso nella
celebrazione sacramentale offre agli sposi cristiani il dono di una comunione nuova d'amore che è
immagine viva e reale di quella singolarissima unità, che fa della Chiesa l'indivisibile Corpo mistico
del Signore Gesù”107» (DP. 9).
104
Ibid., II, A, 1: l.c., 87.
PAOLO VI, Lett. enc. Humanae vitae (25 luglio 1968), n. 8: AAS 60 (1968), 485-486.
106
BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale promosso dalla Pontificia Università
Lateranense, nel 40° anniversario dell’Enciclica Humanae vitae (10 maggio 2008): L’Osservatore Romano, 11 maggio
2008, p. 1; cf. GIOVANNI XXIII, Lett. enc. Mater et magistra (15 maggio 1961), III: AAS 53 (1961), 447.
107
Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Donum vitae, II, A, 1: AAS 80 (1988), 87.
105
45
«La Chiesa, inoltre, ritiene eticamente inaccettabile la dissociazione della procreazione dal
contesto integralmente personale dell’atto coniugale108 la procreazione umana è un atto personale
della coppia uomo-donna che non sopporta alcun tipo di delega sostitutiva.
La pacifica accettazione dell’altissimo tasso di abortività delle tecniche di fecondazione in vitro
dimostra eloquentemente che la sostituzione dell’atto coniugale con una procedura tecnica – oltre
a non essere conforme al rispetto che si deve alla procreazione, non riducibile alla sola
dimensione riproduttiva – contribuisce ad indebolire la consapevolezza del rispetto dovuto ad ogni
essere umano. Il riconoscimento di tale rispetto viene invece favorito dall’intimità degli sposi
animata dall’amore coniugale.
La Chiesa riconosce la legittimità del desiderio di un figlio, e comprende le sofferenze dei coniugi
afflitti da problemi di infertilità. Tale desiderio non può però venir anteposto alla dignità di ogni vita
umana, fino al punto di assumerne il dominio. Il desiderio di un figlio non può giustificarne la
“produzione”, così come il desiderio di non avere un figlio già concepito non può giustificarne
l’abbandono o la distruzione» (DP. 16).
«1. Perché la procreazione umana deve aver luogo nel matrimonio?
Ogni essere umano va accolto sempre come un dono e una benedizione di Dio.
Tuttavia dal punto di vista morale una procreazione veramente responsabile nei confronti del
nascituro deve essere il frutto del matrimonio.
La procreazione umana possiede infatti delle caratteristiche specifiche in virtù della dignità dei
genitori e dei figli: la procreazione di una nuova persona, mediante la quale l'uomo e la donna
collaborano con la potenza del Creatore, dovrà essere il frutto e il segno della mutua donazione
personale degli sposi, del loro amore e della loro fedeltà109.
La fedeltà degli sposi, nell'unità del matrimonio, comporta il reciproco rispetto del loro diritto a
diventare padre e madre soltanto l'uno attraverso l'altro. Il figlio ha diritto ad essere concepito,
portato in grembo, messo al mondo ed educato nel matrimonio: è attraverso il riferimento sicuro e
riconosciuto ai propri genitori che egli può scoprire la propria identità e maturare la propria
formazione umana.
I genitori trovano nel figlio una conferma e un completamente della loro donazione reciproca: egli è
l'immagine vivente del loro amore, il segno permanente della loro unione coniugale, la sintesi viva
e indissolubile della loro dimensione paterna e materna110.
In forza della vocazione e delle responsabilità sociali della persona, il bene dei figli e dei genitori
contribuisce al bene della società civile; la vitalità e l'equilibrio della società richiedono che i figli
vengano al mondo in seno a una famiglia e che questa sia stabilmente fondata sul matrimonio.
La tradizione della Chiesa e la riflessione antropologica riconoscono nel matrimonio e nella sua
unità indissolubile il solo luogo degno di una procreazione veramente responsabile.
La fecondazione artificiale eterologa è conforme alla dignità degli sposi e alla verità del
matrimonio?
Nella FIVET e nell'inseminazione artificiale eterologa il concepimento umano viene ottenuto
mediante l'incontro di gameti di almeno un donatore diverso dagli sposi che sono uniti in
matrimonio.
La fecondazione artificiale eterologa è contraria all'unità del matrimonio, alla dignità degli sposi,
alla vocazione propria dei genitori e al diritto del figlio ad essere concepito e messo al mondo nel
matrimonio e dal matrimonio111.
108
Cf. PIO XII, Discorso ai partecipanti al II Congresso Mondiale di Napoli sulla fecondità e sterilità umana (19
maggio 1956): AAS 48 (1956), 470; PAOLO VI, Lett. enc. Humanae vitae, n. 12: AAS 60 (1968), 488-489;
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Donum vitae, II, B, 4-5: AAS 80 (1988), 90-94.
109
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 50.
110
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris Consortio, 14: AAS 74 (1982) 96.
111
Cf. PIO XII, Discorso ai partecipanti al IV Congresso Internazionale dei Medici Cattolici 29 settembre 1949: AAS
41 (1949) 559. Secondo il piano del Creatore, "l'uomo abbandona suo padre e sua madre e si unisce alla sua donna e i
due diventano una sola carne" (Gen 2,24). L'unita del matrimonio, legata all'ordine della creazione, e una verità alla
ragione naturale. La Tradizione e il Magistero della Chiesa si riferiscono sovente al libro della Genesi, sia direttamente
sia attraverso i passi del Nuovo Testamento che vi fanno riferimento: Mt 19,4-6; Mc 10,5-8; Ef 5,31. Cf. ATENAGORA,
Legatio pro christianis, 33: PG 6,965-967; S. GIOVANNI CRISOSTOMO, In Matthaeum homiliae, LXII, 19 1: PG 58,597
S. LEONE MAGNO, Epist. ad Rusticum, 4: PL 54,120i, INNOCENZO III Epist. Gaudemus in Domino: DS 778; CONCILIO
46
Il rispetto dell'unità del matrimonio e della fedeltà coniugale esige che il figlio sia concepito nel
matrimonio; il legame esistente tra i coniugi attribuisce agli sposi, in maniera oggettiva e
inalienabile, il diritto esclusivo a diventare padre e madre soltanto l'uno attraverso l'altro112.
Il ricorso ai gameti di una terza persona, per avere a disposizione lo sperma o l'ovulo, costituisce
una violazione dell'impegno reciproco degli sposi e una mancanza grave nei confronti di quella
proprietà essenziale del matrimonio, che è la sua unità.
La fecondazione artificiale eterologa lede i diritti del figlio, lo priva della relazione filiale con le sue
origini parentali e può ostacolare la maturazione della sua identità personale. Essa costituisce
inoltre una offesa alla vocazione comune degli sposi che sono chiamati alla paternità e maternità:
priva oggettivamente la fecondità coniugale della sua unità e della sua integrità; opera e manifesta
una rottura fra parentalità genetica, parentalità gestazionale e responsabilità educativa.
Tale alterazione delle relazioni personali all'interno della famiglia si ripercuote nella società civile.
Queste ragioni portano a un giudizio morale negativo sulla fecondazione artificiale eterologa:
pertanto è moralmente illecita la fecondazione di una donna con lo sperma di un donatore diverso
da suo marito e la fecondazione con lo sperma del marito di un ovulo che non proviene dalla sua
sposa. Inoltre la fecondazione artificiale di una donna non sposata, nubile o vedova, chiunque sia il
donatore, non può essere moralmente giustificata. Il desiderio di avere un figlio, l'amore tra gli
sposi che aspirano a ovviare a una sterilità non altrimenti superabile, costituiscono motivazioni
comprensibili; ma le intenzioni soggettivamente buone non rendono la fecondazione artificiale
eterologa né conforme alle proprietà oggettive e inalienabili del matrimonio né rispettosa dei diritti
del figlio e degli sposi» (DV. Parte II).
MORALE E DIRITTO
«La discussione morale si accompagna, un po’ dappertutto, a gravi dibattiti giuridici.
Non vi è alcun Paese la cui legislazione non proibisca e non punisca l’omicidio; molti di essi,
inoltre, hanno determinato questa proibizione e queste pene per il caso specifico dell’aborto
procurato.
Ai nostri giorni, un vasto movimento di opinione reclama una liberalizzazione di quest’ultima
proibizione, ed esiste già una tendenza abbastanza diffusa a voler restringere il più possibile ogni
legislazione repressiva, soprattutto quando sembra che essa interferisca nel settore della vita
privata.
Si riprende, inoltre, l’argomento del pluralismo: se molti cittadini e, in particolare, i membri della
Chiesa cattolica, condannano l’aborto, molti altri lo ritengono lecito, almeno dal punto di vista del
minor male: perché allora imporre a questi di seguire un’opinione che non condividono, soprattutto
in un Paese in cui fossero la maggioranza?
D’altronde, dove esistono ancora le leggi che condannano l’aborto, esse si rivelano difficili da
applicare: il delitto è divenuto troppo frequente perché si possa sempre punire, ed i pubblici poteri
trovano spesso più prudente chiudere gli occhi. Senonché, mantenere una legge che non si
applica non si risolve mai senza danno per l’autorità di tutte le altre leggi.
Bisogna aggiungere che l’aborto clandestino espone le donne che vi ricorrono ai più gravi pericoli
non solo per la loro fecondità futura, ma anche, spesso, per la loro stessa vita. Pur continuando a
considerare l’aborto come un male, il legislatore non può forse proporsi di limitarne i danni?»
(6.19).
«Queste ragioni, ed altre ancora che si adducono da diversi punti di vista, non sono, però, valide
per la legalizzazione dell’aborto.
LIONE II, IV sess.: DS 860; CONCILIO DI TRENTO, XXIV sess.: DS 1798.1802; LEONE XIII, Encicl. Arcanum divinae
sapientiae: ASS 12 (1879-80) 388-391; PIO XI, Encicl. Casti Connubii: AAS 22 (1930) 546-547; CONCILIO VATICANO
II, Const. past. Gaudium et Spes, 48; GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris Consortio, 19: AAS 74 (1982) 101102; CLC., can. 1056.
112
Cf. PIO XII, Discorso ai partecipanti al IV Congresso Internazionale dei Medici Cattolici 29 settembre 1949: AAS
41 (1949) 560; Discorso alle congressiste dell'Unione Cattolica Italiana Ostetriche, 29 ottobre 1951: AAS43 (1951)
850; C.I.C., can. 1134.
DI
47
È vero che la legge civile non può abbracciare tutto l’ambito della morale, o punire tutte le
malefatte: nessuno pretende questo da essa. Spesso essa deve tollerare ciò che, in definitiva, è
un male minore, per evitarne uno più grande. Bisogna, tuttavia, far bene attenzione a ciò che può
comportare un cambiamento di legislazione : molti prenderanno per un’autorizzazione quel che,
forse, altro non è che una rinuncia a punire. E, nel caso presente, tale rinuncia sembra comportare
che il legislatore non consideri più l’aborto come un crimine contro la vita umana, poiché l’omicidio
resta sempre gravemente punito.
È vero che la legge non ha il compito di scegliere tra le diverse opinioni, o di imporne una a
preferenza di un’altra. Ma la vita del bambino prevale su qualsiasi opinione, e non si può invocare
la libertà di pensiero per togliergliela» (6.20).
«La funzione della legge non è di registrare passivamente quel che si fa, ma d’i aiutare a far
meglio. È, in ogni caso, missione dello Stato quella di tutelare i diritti di ciascun cittadino, e di
proteggere i più deboli: gli occorrerà per questo riparare molti torti.
La legge non è obbligata a punire tutto, ma non può andare contro una legge più profonda e più
augusta di ogni legge umana: la legge naturale, la quale è inscritta dal Creatore nel cuore
dell’uomo come norma che la ragione discopre e si adopera a ben formulare, che bisogna
costantemente sforzarsi a meglio comprendere, ma che è sempre male contraddire.
La legge umana può rinunciare a punire, ma non può rendere onesto quel che sarebbe contrario al
diritto naturale, perché tale opposizione basta a far sì che una legge non sia più legge» (6.21).
«Dev’essere, in ogni caso, ben chiaro che, qualunque cosa a questo riguardo venga stabilita dalla
legge civile, l’uomo non può mai ubbidire ad una legge intrinsecamente immorale, e questo è il
caso di una legge che ammettesse, in linea di principio, la liceità dell’aborto.
Egli non può né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare
ad essa il suffragio del suo voto. Non potrà neppure collaborare alla sua applicazione. Non si può
ammettere, per esempio, che medici ed infermieri vengano obbligati a concorrere, in modo
prossimo, ad un aborto e a dover scegliere tra la legge di Dio e la loro posizione professionale»
(6.22).
«Spetta, invece, alla legge il dovere di promuovere una riforma della società e delle condizioni di
vita in tutti gli ambienti - a cominciare da quelli meno favoriti - affinché sia resa possibile, sempre e
dappertutto, ad ogni bambino che viene in questo mondo un’accoglienza degna dell’uomo.
Sussidi alle famiglie ed alle madri nubili, aiuti destinati ai bambini, statuto per i figli naturali e
conveniente regolazione dell’adozione: è tutta una politica positiva, questa, da promuovere, perché
si abbia sempre un’alternativa concretamente possibile ed onorevole all’aborto» (6.23).
MORTE OGGI
«All'altro capo dell'esistenza, l'uomo si trova posto di fronte al mistero della morte.
Oggi, in seguito ai progressi della medicina e in un contesto culturale spesso chiuso alla
trascendenza, l'esperienza del morire si presenta con alcune caratteristiche nuove. Infatti, quando
prevale la tendenza ad apprezzare la vita solo nella misura in cui porta piacere e benessere, la
sofferenza appare come uno scacco insopportabile, di cui occorre liberarsi ad ogni costo.
La morte, considerata “assurda” se interrompe improvvisamente una vita ancora aperta a un futuro
ricco di possibili esperienze interessanti, diventa invece una “liberazione rivendicata” quando
l'esistenza è ritenuta ormai priva di senso perché immersa nel dolore e inesorabilmente votata ad
un'ulteriore più acuta sofferenza.
Inoltre, rifiutando o dimenticando il suo fondamentale rapporto con Dio, l'uomo pensa di essere
criterio e norma a se stesso e ritiene di avere il diritto di chiedere anche alla società di garantirgli
possibilità e modi di decidere della propria vita in piena e totale autonomia. È, in particolare, l'uomo
che vive nei Paesi sviluppati a comportarsi così: egli si sente spinto a ciò anche dai continui
progressi della medicina e dalle sue tecniche sempre più avanzate.
Mediante sistemi e apparecchiature estremamente sofisticati, la scienza e la pratica medica sono
oggi in grado non solo di risolvere casi precedentemente insolubili e di lenire o eliminare il dolore,
48
ma anche di sostenere e protrarre la vita perfino in situazioni di debolezza estrema, di rianimare
artificialmente persone le cui funzioni biologiche elementari hanno subito tracolli improvvisi, di
intervenire per rendere disponibili organi da trapiantare.
In un tale contesto si fa sempre più forte la tentazione dell'eutanasia, cioè di impadronirsi della
morte, procurandola in anticipo e ponendo così fine “dolcemente” alla vita propria o altrui. In realtà,
ciò che potrebbe sembrare logico e umano, visto in profondità si presenta assurdo e disumano.
Siamo qui di fronte a uno dei sintomi più allarmanti della “cultura di morte”, che avanza soprattutto
nelle società del benessere, caratterizzate da una mentalità efficientistica che fa apparire troppo
oneroso e insopportabile il numero crescente delle persone anziane e debilitate.
Esse vengono molto spesso isolate dalla famiglia e dalla società, organizzate quasi
esclusivamente sulla base di criteri di efficienza produttiva, secondo i quali una vita
irrimediabilmente inabile non ha più alcun valore» (EvV. 64).
«La morte non avviene sempre in condizioni drammatiche, al termine di sofferenze insopportabili.
Né si deve sempre pensare unicamente ai casi estremi. Numerose testimonianze concordi
lasciano pensare che la natura stessa ha provveduto a rendere più leggeri al momento della morte
quei distacchi, che sarebbero terribilmente dolorosi per un uomo in piena salute. Perciò una
malattia prolungata, una vecchiaia avanzata, una situazione di solitudine e di abbandono, possono
stabilire delle condizioni psicologiche tali da facilitare l’accettazione della morte.
Tuttavia, si deve riconoscere che la morte, preceduta o accompagnata spesso da sofferenze atroci
e prolungate, rimane un avvenimento, che naturalmente angoscia il cuore dell’uomo» (IB. 3).
NATURA E FINALITA’ DELL’ATTO MATRIMONIALE
«Questi atti, con i quali gli sposi si uniscono in casta intimità e per mezzo dei quali si trasmette la
vita umana, sono, come ha ricordato il recente concilio, "onesti e degni", e non cessano di essere
legittimi se, per cause mai dipendenti dalla volontà dei coniugi, sono previsti infecondi, perché
rimangono ordinati ad esprimere e consolidare la loro unione.
Infatti, come l’esperienza attesta, non da ogni incontro coniugale segue una nuova vita. Dio ha
sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il
susseguirsi delle nascite.
Ma, richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua
costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi: atto matrimoniale deve rimanere aperto alla
trasmissione della vita» (HV. 11).
«Unione e procreazione.
Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della chiesa, è fondata sulla connessione
inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati
dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo. Infatti, per la sua intima struttura,
l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di
nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna.
Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva
integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione
dell’uomo alla paternità.
Noi pensiamo che gli uomini del nostro tempo sono particolarmente in grado di afferrare quanto
questa dottrina sia consentanea alla ragione umana» (HV. 12).
OBIEZIONE DI COSCIENZA
L'aborto e l'eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di
legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma
sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza.
Fin dalle origini della Chiesa, la predicazione apostolica ha inculcato ai cristiani il dovere di
obbedire alle autorità pubbliche legittimamente costituite (cf. Rm 13, 1-7; 1 Pt 2, 13-14), ma nello
49
stesso tempo ha ammonito fermamente che “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At
5, 29).
È proprio dall'obbedienza a Dio - al quale solo si deve quel timore che è riconoscimento della sua
assoluta sovranità - che nascono la forza e il coraggio di resistere alle leggi ingiuste degli uomini.
È la forza e il coraggio di chi è disposto anche ad andare in prigione o ad essere ucciso di spada,
nella certezza che “in questo sta la costanza e la fede dei santi” (Ap 13, 10).
Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o
l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, “né partecipare ad una campagna di opinione in
favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto”113.
Un particolare problema di coscienza potrebbe porsi in quei casi in cui un voto parlamentare
risultasse determinante per favorire una legge più restrittiva, volta cioè a restringere il numero degli
aborti autorizzati, in alternativa ad una legge più permissiva già in vigore o messa al voto.
Simili casi non sono rari.
Si registra infatti il dato che mentre in alcune parti del mondo continuano le campagne per
l'introduzione di leggi a favore dell'aborto, sostenute non poche volte da potenti organismi
internazionali, in altre Nazioni invece - in particolare in quelle che hanno già fatto l'amara
esperienza di simili legislazioni permissive - si vanno manifestando segni di ripensamento. Nel
caso ipotizzato, quando non fosse possibile scongiurare o abrogare completamente una legge
abortista, un parlamentare, la cui personale assoluta opposizione all'aborto fosse chiara e a tutti
nota, potrebbe lecitamente offrire il proprio sostegno a proposte mirate a limitare i danni di una tale
legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica. Così
facendo, infatti, non si attua una collaborazione illecita a una legge ingiusta; piuttosto si compie un
legittimo e doveroso tentativo di limitarne gli aspetti iniqui» (EvV.73).
«L'introduzione di legislazioni ingiuste pone spesso gli uomini moralmente retti di fronte a difficili
problemi di coscienza in materia di collaborazione in ragione della doverosa affermazione del
proprio diritto a non essere costretti a partecipare ad azioni moralmente cattive.
Talvolta le scelte che si impongono sono dolorose e possono richiedere il sacrificio di affermate
posizioni professionali o la rinuncia a legittime prospettive di avanzamento nella carriera. In altri
casi, può risultare che il compiere alcune azioni in se stesse indifferenti, o addirittura positive,
previste nell'articolato di legislazioni globalmente ingiuste, consenta la salvaguardia di vite umane
minacciate. D'altro canto, però, si può giustamente temere che la disponibilità a compiere tali
azioni non solo comporti uno scandalo e favorisca l'indebolirsi della necessaria opposizione agli
attentati contro la vita, ma induca insensibilmente ad arrendersi sempre più ad una logica
permissiva .
Chi ricorre all'obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma
anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale» (EvV.74).
OPERATORI SANITARI
«Abbiamo in altissima stima i medici e i membri del personale sanitario ai quali, nell’esercizio della
loro professione, più di ogni interesse umano, stanno a cuore le superiori esigenze della loro
vocazione cristiana.
Perseverino dunque nel promuovere in ogni occasione le soluzioni, ispirate alla fede e alla retta
ragione, e si sforzino di suscitarne la convinzione e il rispetto nel loro ambiente
Considerino poi anche come proprio dovere professionale quello d’acquistare tutta la scienza
necessaria in questo delicato settore, al fine di poter dare agli sposi che li consultano i saggi
consigli e le sane direttive, che questi da loro a buon diritto aspettano» (HV. 27).
«Nel variegato panorama filosofico e scientifico attuale è possibile constatare di fatto una ampia e
qualificata presenza di scienziati e di filosofi che, nello spirito del giuramento di Ippocrate, vedono
nella scienza medica un servizio alla fragilità dell’uomo, per la cura delle malattie, l’alleviamento
113
CONGREGAZIONE
AAS 66 (1974), 744.
PER LA
DOTTRINA
DELLA
FEDE, Dichiarazione sull'aborto procurato (18 novembre 1974), 22:
50
della sofferenza e l’estensione delle cure necessarie in misura equa a tutta l’umanità. Non
mancano, però, rappresentanti della filosofia e della scienza che considerano il crescente sviluppo
delle tecnologie biomediche in una prospettiva sostanzialmente eugenetica» (DP 2) .
«Nel contesto della urgente mobilitazione delle coscienze in favore della vita, occorre ricordare agli
operatori sanitari che «la loro responsabilità è oggi enormemente accresciuta e trova la sua
ispirazione più profonda e il suo sostegno più forte proprio nell’intrinseca e imprescindibile
dimensione etica della professione sanitaria, come già riconosceva l’antico e sempre attuale
giuramento di Ippocrate, secondo il quale ad ogni medico è chiesto di impegnarsi per il rispetto
assoluto della vita umana e della sua sacralità»114» (DP 35).
«Quale criterio morale proporre circa l'intervento del medico nella procreazione umana?
L'atto medico non dev'essere valutato soltanto in rapporto alla sua dimensione tecnica, ma anche
e soprattutto in relazione alla sua finalità, che è il bene delle persone e la loro salute corporea e
psichica. I criteri morali per l'intervento medico nella procreazione si deducono dalla dignità delle
persone umane, della loro sessualità e della loro origine. La medicina che voglia essere ordinata al
bene integrale della persona deve rispettare i valori specificamente umani della sessualità115.
Il medico è al servizio delle persone e della procreazione umana: non ha facoltà di disporre né di
decidere di esse. L'intervento medico è rispettoso della dignità delle persone quando mira ad
aiutare l'atto coniugale sia per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo
fine, una volta che sia stato normalmente compiuto116.
Al contrario, talvolta accade che l'intervento medico tecnicamente si sostituisca all'atto coniugale
per ottenere una procreazione che non è né il suo risultato né il suo frutto: in questo caso l'atto
medico non risulta, come dovrebbe, al servizio dell'unione coniugale, ma si appropria della
funzione procreatrice e così contraddice alla dignità e ai diritti inalienabili degli sposi e del
nascituro.
L'umanizzazione della medicina, che viene oggi insistentemente richiesta da tutti, esige il rispetto
dell'integrale dignità della persona umana in primo luogo nell'atto e nel momento in cui gli sposi
trasmettono la vita a una nuova persona. È logico pertanto rivolgere anche un pressante appello ai
medici e ai ricercatori cattolici perché rendano una esemplare testimonianza del rispetto dovuto
all'embrione umano e alla dignità della procreazione. Il personale medico e curante degli ospedali
e delle Cliniche cattoliche è in modo speciale invitato a fare onore agli obblighi morali contratti,
spesso anche a titolo di statuto. I responsabili di questi ospedali e cliniche cattoliche, che sono
sovente religiosi, avranno cuore di assicurare e promuovere un'attenta osservanza delle norme
morali richiamate nella presente Istruzione» (DV. Parte II, 7).
OPZIONE FONDAMENTALE
«Il rispetto della legge morale, nel campo della sessualità, come anche la pratica della castità,
sono compromessi non poco soprattutto presso i cristiani meno ferventi, dall'attuale tendenza a
ridurre all'estremo - quando addirittura non è negata - la realtà del peccato grave, almeno
nell'esistenza concreta degli uomini.
Certuni arrivano fino ad affermare che il peccato mortale, che separa l'uomo da Dio, si
verificherebbe soltanto nel rifiuto diretto e formale, col quale ci si oppone all'appello di Dio, o
nell'egoismo che, completamente e deliberatamente, esclude l'amore del prossimo.
E allora soltanto, dicono, che ci sarebbe l'”opzione fondamentale”, cioè la decisione che impegna
totalmente la persona e che sarebbe richiesta per costituire un peccato mortale; per mezzo di essa
l'uomo, dall'intimo della sua personalità, assumerebbe o ratificherebbe un atteggiamento
fondamentale nei riguardi di Dio e degli uomini. Al contrario, le azioni chiamate “periferiche” (che si dice - non implicano, in generale, una scelta decisiva) non arriverebbero a modificare l'opzione
114
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae, n. 89: AAS 87 (1995), 502.
Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, III: AAS 53 (1961) 447.
116
Cf. PIO XII, Discorso ai partecipanti al IV Congresso Internazionale dei Medici Cattolici, 29 settembre 1949: AL4S
41 (1949) 560.
115
51
fondamentale, tanto più che esse procedono spesso - si osserva - dall'abitudine. Esse possono,
dunque, indebolire l'opzione fondamentale, ma non modificarla del tutto.
Ora, secondo questi autori, un mutamento dell'opzione fondamentale verso Dio avviene più
difficilmente nel campo dell'attività sessuale, dove, in generale, l'uomo non trasgredisce l'ordine
morale in maniera pienamente deliberata e responsabile, ma piuttosto sotto l'influenza della sua
passione, della sua fragilità o immaturità e, talvolta, anche dell'illusione di testimoniare così il suo
amore per il prossimo; al che spesso si aggiunge la pressione dell'ambiente sociale.
In realtà è, sì, l'opzione fondamentale che definisce, in ultima analisi, la disposizione morale
dell'uomo; ma essa può essere radicalmente modificata da atti particolari, specialmente se questi
sono preparati - come spesso accade - da atti anteriori più superficiali. In ogni caso, non è vero
che uno solo di questi atti particolari non possa esser sufficiente perché si commetta peccato
mortale.
Secondo la dottrina della chiesa, il peccato mortale che si oppone a Dio non consiste soltanto nel
rifiuto formale e diretto del comandamento della carità; esso è ugualmente in questa opposizione
all'autentico amore, inclusa in ogni trasgressione deliberata, in materia grave, di ciascuna delle
leggi morali.
Cristo stesso ha indicato il duplice comandamento dell'amore quale fondamento della vita morale;
ma da questo comandamento “dipende tutta la legge e i profeti” (Mt 22,40): esso dunque
comprende gli altri precetti particolari. Di fatto, al giovane che gli domandava: “Che cosa devo fare
di buono per ottenere la vita eterna?”. Gesù rispose: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i
comandamenti:... non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso,
onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19,16-19).
L'uomo pecca, dunque, mortalmente non soltanto quando il suo atto procede dal disprezzo diretto
di Dio e del prossimo, ma anche quando coscientemente e liberamente, per un qualsiasi motivo,
egli compie una scelta il cui oggetto è gravemente disordinato. In questa scelta, infatti, come è
stato detto sopra, è già incluso il disprezzo del comandamento divino: l'uomo si allontana da Dio e
perde la carità. Ora, secondo la tradizione cristiana e la dottrina della chiesa, e come riconosce
anche la retta ragione, l'ordine morale della sessualità comporta per la vita umana valori così alti,
che ogni violazione diretta di quest'ordine è oggettivamente grave117
È vero che nelle colpe di ordine sessuale, visto il loro genere e le loro cause, avviene più
facilmente che non sia pienamente dato un libero consenso, e questo suggerisce di esser prudenti
e cauti nel dare un giudizio circa la responsabilità del soggetto. Qui, in particolare, è il caso di
richiamare le parole della Scrittura: “L'uomo guarda l'apparenza, il Signore guarda il cuore” (1 Sam
16,7).
Tuttavia, raccomandare una tale prudenza di giudizio circa la gravità soggettiva di un atto
peccaminoso particolare non significa affatto che si debba ritenere che, nel campo sessuale, non
si commettano peccati mortali.
I pastori devono, dunque, dar prova di pazienza e di bontà; ma non è loro permesso né di rendere
vani i comandamenti di Dio, né di ridurre oltre misura la responsabilità delle persone. “Non
sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo è eminente forma di carità verso le anime. Ma ciò
deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Signore stesso ha dato l'esempio
nel trattare con gli uomini. Venuto non per giudicare ma per salvare, Egli fu certo intransigente con
il male, ma misericordioso verso le persone”.118 »(5.10).
OSPEDALI
«In particolare, deve essere riconsiderato il ruolo degli ospedali, delle cliniche e delle case di cura:
la loro vera identità non è solo quella di strutture nelle quali ci si prende cura dei malati e dei
morenti, ma anzitutto quella di ambienti nei quali la sofferenza, il dolore e la morte vengono
riconosciuti ed interpretati nel loro significato umano e specificamente cristiano. In modo speciale
tale identità deve mostrarsi chiara ed efficace negli istituti dipendenti da religiosi o, comunque,
117
Cf, SANT' OFFIZIO, Decreto del 18 marzo 1666: Denz 2060; PAOLO VI, Enc. Humanae vitae, nn. 13 e 14: nn. 6569; EV 3/599s.
118
PAOLO VI, Enc. Humanae vitae, n. 29: nn. 95; EV 3/615.
52
legati alla Chiesa» (EvV. 88).
PADRONANZA DI SE’
«Una retta e onesta pratica di regolazione della natalità richiede anzitutto dagli sposi che
acquistino e posseggano solide convinzioni circa i veri valori della vita e della famiglia, e che
tendano ad acquistare una perfetta padronanza di sé. Il dominio dell’istinto, mediante la ragione e
la libera volontà, impone indubbiamente una ascesi, affinché le manifestazioni affettive della vita
coniugale siano secondo il retto ordine e in particolare per l’osservanza della continenza periodica.
Ma questa disciplina, propria della purezza degli sposi, ben lungi al nuocere all’amore coniugale,
gli conferisce invece un più alto valore umano.
Esige un continuo sforzo, ma grazie al suo benefico influsso i coniugi sviluppano integralmente la
loro personalità, arricchendosi di valori spirituali: essa apporta alla vita familiare frutti di serenità e
di pace e agevola la soluzione degli altri problemi; favorisce l’attenzione verso l’altro coniuge, aiuta
gli sposi a bandire l’egoismo, nemico del vero amore, e approfondisce il loro senso di
responsabilità nel compimento dei loro doveri. I genitori acquistano con essa la capacità di un
influsso più profondo ed efficace per l’educazione dei figli; la fanciullezza e la gioventù crescono
nella giusta stima dei valori umani e nello sviluppo sereno ed armonico delle loro facoltà spirituali e
sensibili» (HV. 21).
PATERNITA’ RESPONSABILE
«Perciò l’amore coniugale richiede dagli sposi che essi conoscano convenientemente la loro
missione di paternità responsabile, sulla quale oggi a buon diritto tanto si insiste e che va
anch’essa esattamente compresa.
Essa deve considerarsi sotto diversi aspetti legittimi e tra loro collegati.
In rapporto ai processi biologici, paternità responsabile significa conoscenza e rispetto delle loro
funzioni: l’intelligenza scopre, nel potere di dare la vita, leggi biologiche che riguardano la persona
umana. In rapporto alle tendenze dell’istinto e delle passioni, la paternità responsabile significa il
necessario dominio che la ragione e la volontà devono esercitare su di esse. In rapporto alle
condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con
la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione,
presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a
tempo indeterminato, una nuova nascita.
Paternità responsabile comporta ancora e soprattutto un più profondo rapporto all’ordine morale
chiamato oggettivo, stabilito da Dio e di cui la retta coscienza è vera interprete.
L’esercizio responsabile della paternità implica dunque che i coniugi riconoscano i propri doveri
verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia dei valori.
Nel compito di trasmettere la vita, essi non sono quindi liberi di procedere a proprio arbitrio, come
se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario,
devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del
matrimonio e dei suoi atti, e manifestata dall’insegnamento costante della chiesa» (HV. 10)
.
PENA DI MORTE
Sulla pena di morte si registra, nella Chiesa come nella società civile, una crescente tendenza che
ne chiede un'applicazione assai limitata ed anzi una totale abolizione.
Il problema va inquadrato nell'ottica di una giustizia penale che sia sempre più conforme alla
dignità dell'uomo e pertanto, in ultima analisi, al disegno di Dio sull'uomo e sulla società. In effetti,
53
la pena che la società infligge “ha come primo scopo di riparare al disordine introdotto dalla
colpa”119.
La pubblica autorità deve farsi vindice della violazione dei diritti personali e sociali mediante
l'imposizione al reo di una adeguata espiazione del crimine, quale condizione per essere
riammesso all'esercizio della propria libertà. In tal modo l'autorità ottiene anche lo scopo di
difendere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone, non senza offrire allo stesso reo uno
stimolo e un aiuto a correggersi e redimersi120.
È chiaro che, proprio per conseguire tutte queste finalità, la misura e la qualità della pena devono
essere attentamente valutate e decise, e non devono giungere alla misura estrema della
soppressione del reo se non in casi di assoluta necessità, quando cioè la difesa della società non
fosse possibile altrimenti.
Oggi, però, a seguito dell'organizzazione sempre più adeguata dell'istituzione penale, questi casi
sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti.
In ogni caso resta valido il principio indicato dal nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, secondo
cui “se i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere le vite umane dall'aggressore e per
proteggere l'ordine pubblico e la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi,
poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi
alla dignità della persona umana”»121 (EvV. 56).
PERIODI INFECONDI
«Se per distanziare le nascite esistono seri motivi, derivanti dalle condizioni fisiche o psicologiche
dei coniugi, o da circostanze esteriori, la chiesa insegna essere allora lecito tener conto dei ritmi
naturali immanenti alle funzioni generative per l’uso del matrimonio nei soli periodi infecondi e così
regolare la natalità senza offendere minimamente i principi morali che abbiamo ora ricordato.
La chiesa è coerente con se stessa, sia quando ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi, sia
quando condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione,
anche se ispirato da ragioni che possano apparire oneste e gravi. Infatti, i due casi differiscono
completamente tra di loro: nel primo caso i coniugi usufruiscono legittimamente di una disposizione
naturale; nell’altro caso essi impediscono lo svolgimento dei processi naturali.
È vero che, nell’uno e nell’altro caso, i coniugi concordano con mutuo e certo consenso di evitare
la prole per ragioni plausibili, cercando la sicurezza che essa non verrà; ma è altresì vero che
soltanto nel primo caso essi sanno rinunciare all’uso del matrimonio nei periodi fecondi quando,
per giusti motivi, la procreazione non è desiderabile, usandone, poi, nei periodi agenesiaci a
manifestazione di affetto e a salvaguardia della mutua fedeltà.
Così facendo essi danno prova di amore veramente e integralmente onesto» (HV. 16).
PROCREAZIONE E ATTO CONIUGALE
«Quale legame è richiesto dal punto di vista morale tra procreazione e atto coniugale?
L'insegnamento della Chiesa sul matrimonio e sulla procreazione umana afferma la "connessione
inscindibile, che Dio ha voluto e che l'uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati
dell'atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo.
Infatti per la sua intima struttura, l'atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli
sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell'essere stesso
dell'uomo e della donna"122.
Questo principio, fondato sulla natura del matrimonio e sull'intima connessione dei suoi beni,
comporta delle conseguenze ben note sul piano della paternità e maternità responsabili.
"Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l'atto coniugale
119
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2266.
Cf Ibid
121
N. 2267
122
PAOLO VI, Encicl. Humanae Vitae, 12: AAS 60 (1968) 488-489.
120
54
conserva integralmente il senso del mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all'altissima
vocazione dell'uomo alla paternità"123. La medesima dottrina relativa al legame esistente fra i
significati dell'atto coniugale e fra i beni del matrimonio chiarisce il problema morale della
fecondazione artificiale omologa, poiché "non è mai permesso separare questi diversi aspetti al
punto da escludere positivamente o l'intenzione procreativa o il rapporto coniugale"124.
La contraccezione priva intenzionalmente l'atto coniugale della sua apertura alla procreazione e
opera in tal modo una dissociazione volontaria delle finalità del matrimonio. La fecondazione
artificiale omologa, perseguendo una procreazione che non è frutto dì un atto specifico di unione
coniugale, opera obiettivamente una separazione analoga tra i beni e i significati del matrimonio.
Pertanto la fecondazione è voluta lecitamente quando è il termine di un "atto coniugale per sé
idoneo alla generazione della prole, al quale il matrimonio è ordinato per sua natura e per la quale i
coniugi divengono una sola carne"125.
Ma la procreazione è privata dal punto di vista morale della sua perfezione propria quando non è
voluta come il frutto dell'atto coniugale, e cioè del gesto specifico dell'unione degli sposi.
Il valore morale dell'intimo legame esistente fra i beni del matrimonio e fra i significati dell'atto
coniugale si fonda sull'unità dell'essere umano, unità risultante di corpo e anima spirituale126.
Gli sposi si esprimono reciprocamente il loro amore personale nel "linguaggio del corpo", che
comporta chiaramente "significati sponsali" e parentali insieme.
L'atto coniugale, con il quale gli sposi si manifestano reciprocamente il dono di sé, esprime
simultaneamente l'apertura al dono della vita: è un atto inscindibilmente corporale e spirituale. È
nel loro corpo e per mezzo del loro corpo che gli sposi consumano il matrimonio e possono
diventare padre e madre.
Per rispettare il linguaggio dei corpi e la loro naturale generosità, l'unione coniugale deve avvenire
nel rispetto dell'apertura alla procreazione, e la procreazione di una persona deve essere il frutto e
il termine dell'amore sponsale. L'origine dell'essere umano risulta così da una procreazione "legata
all'unione non solamente biologica ma anche spirituale dei genitori uniti dal vincolo del
matrimonio"127. Una fecondazione ottenuta fuori del corpo degli sposi rimane per ciò stesso privata
dei significati e dei valori che si esprimono nel linguaggio del corpo e nell'unione delle persone
umane.
Soltanto il rispetto del legame, che esiste fra i significati dell'atto coniugale, e il rispetto dell'unità
dell'essere umano consente una procreazione conforme alla dignità della persona.
Nella sua origine unica e irripetibile il figlio dovrà essere rispettato e riconosciuto come uguale in
dignità personale a coloro che gli donano la vita. La persona umana dev'essere accolta nel gesto
di unione e di amore dei suoi genitori; la generazione di un figlio dovrà perciò essere il frutto della
donazione reciproca128 che si realizza nell'atto coniugale in cui gli sposi cooperano come servitori e
non come padroni, all'opera dell'Amore Creatore129.
L'origine di una persona umana è in realtà il risultato di una donazione. Il concepito dovrà essere il
frutto dell'amore dei suoi genitori. Non può essere voluto né concepito come il prodotto di un
intervento di tecniche mediche e biologiche: ciò equivarrebbe a ridurlo a diventare l'oggetto di una
tecnologia scientifica. Nessuno può sottoporre la venuta al mondo di un bambino a delle condizioni
di efficienza tecnica valutabili secondo parametri di controllo e di dominio.
La rilevanza morale del legame esistente tra i significati dell'atto coniugale e tra i beni del
matrimonio, l'unità dell'essere umano e la dignità della sua origine esigono che la procreazione di
una persona umana debba essere perseguita come il frutto dell'atto coniugale specifico dell'amore
fra gli sposi.
123
Loc. cit.: ibid., 489.
PIO XII, Discorso ai partecipanti al II Congresso Mondiale di Napoli sulla fecondità e sterilità umana, 19 maggio
1956: AAS 48 (1956) 470. 41 C.I.C. can. 1061. Secondo questo canone, l'atto coniugale e quello per il quale il
matrimonio e consumato se i due sposi "l'hanno posto tra loro in modo umano".
125
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 14.
126
Cf. GIOVANNI PAOLO II, udienza generale, 16 gennaio 1980: Insegnamenti di Giovanni Paolo II,III, I (1980) 148152.
127
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alla 35a Assemblea Generale dell'Associazione Medica Mondiale, 29
ottobre 1983: AAS 76 (1984) 393.
128
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 51.
129
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 50.
124
55
Il legame esistente fra procreazione e atto coniugale si rivela, perciò, di grande importanza sul
piano antropologico e morale e chiarisce le posizioni del Magistero a proposito della fecondazione
omologa» (DV. Parte II, 4) .
PROSTITUZIONE
«La morale cristiana da sempre ha considerato gravemente immorale (cfr. Concilio Vaticano II,
Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 27; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2355).
La raccomandazione di tutta la tradizione cristiana – e non solo di quella – nei confronti della
prostituzione si può riassumere nelle parole di san Paolo: "Fuggite la fornicazione" (1 Corinzi, 6,
18).
La prostituzione va dunque combattuta e gli enti assistenziali della Chiesa, della società civile e
dello Stato devono adoperarsi per liberare le persone coinvolte.
A questo riguardo occorre rilevare che la situazione creatasi a causa dell’attuale diffusione
dell’Aids in molte aree del mondo ha reso il problema della prostituzione ancora più drammatico»
(1).
QUESTIONE ECOLOGICA
«Chiamato a coltivare e custodire il giardino del mondo (cf. Gn 2, 15), l'uomo ha una specifica
responsabilità sull'ambiente di vita, ossia sul creato che Dio ha posto al servizio della sua dignità
personale, della sua vita: in rapporto non solo al presente, ma anche alle generazioni future.
È la questione ecologica - dalla preservazione degli “habitat” naturali delle diverse specie animali e
delle varie forme di vita, alla “ecologia umana” propriamente detta130 - che trova nella pagina
biblica una luminosa e forte indicazione etica per una soluzione rispettosa del grande bene della
vita, di ogni vita. In realtà, “il dominio accordato dal Creatore all'uomo non è un potere assoluto, né
si può parlare di libertà di ‘usare e abusare’, o di disporre delle cose come meglio aggrada. La
limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la
proibizione di ‘mangiare il frutto dell'albero’ (cf. Gn 2, 16-17), mostra con sufficiente chiarezza che,
nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali,
che non si possono impunemente trasgredire”131 (EvV. 42).
RAPPORTI PRE-MATRIMONIALI
«Molti oggi rivendicano il diritto all'unione sessuale prima del matrimonio, almeno quando una
ferma volontà di sposarsi e un affetto, in qualche modo già coniugale nella psicologia dei soggetti,
richiedono questo completamento, che essi stimano connaturale; ciò soprattutto quando la
celebrazione del matrimonio è impedita dalle circostanze esterne, o se questa intima relazione
sembra necessaria perché sia conservato l'amore.
Questa opinione è in contrasto con la dottrina cristiana. secondo la quale ogni atto genitale umano
deve svolgersi nel quadro del matrimonio. Infatti, per quanto sia fermo il proposito di coloro che si
impegnano in tali rapporti prematuri, resta vero, però, che questi non consentono di assicurare,
nella sua sincerità e fedeltà, la relazione interpersonale di un uomo e di una donna e, specialmente
di proteggerla dalle fantasie e dai capricci.
Ora, è un'unione stabile quella che Gesù ha voluto e che ha restituito alla sua condizione originale,
fondata sulla differenza del sesso. “Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e
femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due
saranno una carne sola? Così che non sono più due ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha
congiunto, l'uomo non separi” (cf. Mt 19,4-6).
130
131
Cf GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Centesimus annus (1 maggio 1991), 38: AAS 83 (1991), 840-841.
GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), 34: AAS 80 (1988), 560.
56
San Paolo è ancora più esplicito quando insegna che, se celibi e vedovi non possono vivere in
continenza non hanno altra scelta che la stabile unione del matrimonio: (cf. 1 Cor 7,9). Col
matrimonio, infatti, l'amore dei coniugi è assunto nell'amore irrevocabile che Cristo ha per la chiesa
(cf. Ef 5,25-32), mentre l'unione dei corpi nell'impudicizia132 contamina il tempio dello Spirito santo,
quale è divenuto il cristiano. L'unione carnale, dunque, non è legittima se tra l'uomo e la donna non
si è instaurata una definitiva comunità di vita.
Ecco ciò che ha sempre inteso e insegnato la chiesa133, trovando, peraltro, nella riflessione degli
uomini e nelle lezioni della storia un accordo profondo con la sua dottrina.
L'esperienza ci insegna che, affinché l'unione sessuale possa rispondere veramente alle esigenze
della finalità, che le è propria dell'umana dignità, l'amore deve trovare la sua salvaguardia nella
stabilità del matrimonio.
Queste esigenze richiedono un contratto matrimoniale sancito e garantito dalla società, tale da
instaurare uno stato di vita di capitale importanza, sia per l'unione esclusiva dell'uomo e della
donna, sia anche per il bene della loro famiglia e della comunità umana.
Il più delle volte, infatti, accade che le relazioni prematrimoniali escludono la prospettiva della
prole. Ciò che viene presentato come un amore coniugale non potrà, come dovrebbe essere,
espandersi in un amore paterno e materno; oppure, se questo avviene, risulterà a detrimento della
prole, che sarà privata dell'ambiente stabile, nel quale dovrebbe svilupparsi per poter in esso
trovare la via e i mezzi per il suo inserimento nell'insieme della società.
Il consenso che si scambiano le persone, che vogliono unirsi in matrimonio, deve, perciò, essere
esternamente manifestato e in modo che lo renda valido dinanzi alla società. Quanto ai fedeli, è
secondo le leggi della chiesa che essi devono esprimere il loro consenso all'instaurazione di una
comunità di vita coniugale, consenso che farà del loro matrimonio un sacramento di Cristo» (5.7).
RELAZIONI OMOSESSUALI
«Ai nostri giorni, contro l’insegnamento costante del magistero e il senso morale del popolo
cristiano, alcuni, fondandosi su osservazioni di ordine psicologico, hanno cominciato a giudicare
con indulgenza, anzi a scusare del tutto, le relazioni omosessuali presso certi soggetti.
Essi distinguono - e sembra non senza motivo - tra gli omosessuali la cui tendenza, derivando da
falsa educazione, da mancanza di evoluzione sessuale normale, da abitudine contratta, da cattivi
esempi o da altre cause analoghe, è transitoria o, almeno, non incurabile, e gli omosessuali che
sono definitivamente tali per una specie di istinto innato o di costituzione patologica, giudicata
incurabile.
Ora, per ciò che riguarda i soggetti di questa seconda categoria, alcuni concludono che la loro
tendenza è a tal punto naturale da dover ritenere che essa giustifichi, in loro, relazioni omosessuali
in una sincera comunione di vita e di amore, analoga al matrimonio, in quanto essi si sentono
incapaci di sopportare una vita solitaria.
Certo, nell'azione pastorale, questi omosessuali devono essere accolti con comprensione e
sostenuti nella speranza di superare le loro difficoltà personali e il loro disadattamento sociale.
La loro colpevolezza sarà giudicata con prudenza; ma non può essere usato nessun metodo
pastorale che, ritenendo questi atti conformi alla condizione di quelle persone, accordi loro una
giustificazione morale.
Secondo l'ordine morale oggettivo, le relazioni omosessuali sono atti privi della loro regola
essenziale e indispensabile. Esse sono condannate nella sacra Scrittura come gravi depravazioni
e presentate, anzi, come la funesta conseguenza di un rifiuto di Dio134. Questo giudizio della
132
Il rapporto sessuale extramatrimoniale viene espressamente condannato in 1 Cor 5,1-6.9; 7,2; 10,8; Ef 5,5-7; 1 Tm
1,10; Eb 13,4; e con argomentazioni chiare: 1 Cor 6,12-20.
133
Cf. INNOCENZO IV, Ep. Sub catholicae professione, 6.3.1254: Denz 835; PIO II, Proposizioni condannate nella
lettera Cum sicut accepimus, 14.11.1459: Denz 1367; SANT'OFFIZIO, Decreti del 24.9.1665 e 2.3.1679: Denz 2045 e
2148; PIO XI. Enc. Casti connubii, 31.12.1930: 22(1930), 558-559; EE 5/497-499.
134
Rm 1,24-27: “Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore sì da disonorare fra di loro i
propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al
posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne
hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale
57
Scrittura non permette di concludere che tutti coloro, i quali soffrono di questa anomalia, ne siano
personalmente responsabili, ma esso attesta che gli atti di omosessualità sono intrinsecamente
disordinati e che, in nessun caso, possono ricevere una qualche approvazione »(5.8).
RICERCA BIOMEDICA ED INSEGNAMENTO DELLA CHIESA
Il dono della vita, che Dio Creatore e Padre ha affidato all'uomo, impone a questi di prendere
coscienza del suo inestimabile valore e di assumerne la responsabilità: questo principio
fondamentale dev'essere posto al centro della riflessione, per chiarire e risolvere i problemi morali
sollevati dagli interventi artificiali sulla vita nascente e sui processi della procreazione.
Grazie al progresso delle scienze biologiche e mediche, l'uomo può disporre di sempre più efficaci
risorse terapeutiche, ma può anche acquisire poteri nuovi dalle conseguenze imprevedibili sulla
vita umana nello stesso suo inizio e nei suoi primi stadi.
Diversi procedimenti consentono oggi d'intervenire non soltanto per assistere ma anche per
dominare i processi della procreazione. Tali tecniche possono consentire all'uomo di "prendere in
mano il proprio destino", ma lo espongono anche "alla tentazione di andare oltre i limiti di un
ragionevole dominio sulla natura"135. Per quanto possano costituire un progresso a servizio
dell'uomo, esse comportano anche dei rischi gravi. Da parte di molti, viene espresso così un
urgente appello, affinché siano salvaguardati, negli interventi sulla procreazione, i valori e i diritti
della persona umana. Le richieste di chiarificazione e orientamento non provengono soltanto dai
fedeli, ma anche da parte di quanti riconoscono comunque alla Chiesa, "esperta in umanità"136,
una missione al servizio della "civiltà dell'amore"137 e della vita.
Il Magistero della Chiesa non interviene in nome di una competenza particolare nell'ambito delle
scienze sperimentali; ma, dopo aver preso conoscenza dei dati della ricerca e della tecnica,
intende proporre in virtù della propria missione evangelica e del suo dovere apostolico, la dottrina
morale rispondente alla dignità della persona e alla sua vocazione integrale, esponendo i criteri di
giudizio morale sulle applicazioni della ricerca scientifica e della tecnica, in particolare per ciò che
riguarda la vita umana e i suoi inizi.
Tali criteri sono il rispetto, la difesa e la promozione dell'uomo, il suo "diritto primario e
fondamentale" alla vita138, la sua dignità di persona, dotata di un'anima spirituale, di responsabilità
morale139 è chiamata alla comunione beatifica con Dio.
L'intervento della Chiesa anche in quest'ambito è ispirato all'amore che essa deve all'uomo
aiutandolo a riconoscere e rispettare i suoi diritti e i suoi doveri. Tale amore si alimenta alle
sorgenti della carità di Cristo: contemplando il mistero del Verbo Incarnato, la Chiesa conosce
anche il "mistero dell'uomo"140, annunciando il Vangelo della salvezza, rivela all'uomo la sua
dignità e lo invita a scoprire pienamente la sua verità.
La Chiesa ripropone così la legge divina per fare opera di verità e di liberazione. È infatti per
bontà—per indicare il cammino della vita - che Dio da agli uomini i suoi comandamenti e la grazia
per osservali; ed è pure per bontà - per aiutarli a perseverare nello stesso cammino che Dio offre
sempre a tutti il suo perdono. Cristo ha compassione delle nostre fragilità: Egli è nostro Creatore e
con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo
così in sé stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento”. Cf. anche quello che Paolo dice a proposito degli
uomini sodomiti e pervertiti in 1 Cor 6,10 e 1 Tm 1,10.
135
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti all'81° Congresso della Società Italiana di Medicina Interna e all'82°
Congresso della Società Italiana di Chirurgia Generale, 27 ottobre 1980: AAS 72 (1980) 1126.
136
PAOLO VI, Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite 4 ottobre 1965: AAS 57 (1965) 878; Encicl.
Popolorum Progressio, 13: AAS 59 (1967) 263.
137
PAOLO VI, Omelia durante la Messa di chiusura dell'Anno Santo, 25 dicembre 1975: AAS 68 (1976) 145; GIOVANNI
PAOLO II, Encicl. Dives in Misericordia, 30: AAS 72 (1980) 1224.
138
GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti alla 35a Assemblea Generale dell'Associazione Medica Mondiale, 29
ottobre 1983: AAS 76 (1984) 390.
139
Cf. CONC. ECUM VAT. II, Dichiar. Dignitatis Humanae, 2.
140
CONC. ECUM VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 22, GIOVANNI PAOLO II, Encicl. Redemptor Hominis, 8: AAS
71 (1979) 270-272.
58
nostro Redentore. Che il suo Spirito apra gli animi al dono della pace di Dio e all'intelligenza dei
suoi precetti» (DV 1).
RIDUZIONE EMBRIONALE
«Alcune tecniche usate nella procreazione artificiale, soprattutto il trasferimento di più embrioni al
grembo materno, hanno dato luogo ad un aumento significativo della percentuale di gravidanze
multiple. Perciò si è fatta strada l’idea di procedere alla cosiddetta riduzione embrionale. Essa
consiste in un intervento per ridurre il numero di embrioni o feti presenti nel seno materno
mediante la loro diretta soppressione.
La decisione di sopprimere esseri umani, in precedenza fortemente desiderati, rappresenta un
paradosso e comporta spesso sofferenza e sentimento di colpa, che possono durare anni.
Dal punto di vista etico, la riduzione embrionale è un aborto intenzionale selettivo. Si tratta, infatti,
di eliminazione deliberata e diretta di uno o più esseri umani innocenti nella fase iniziale della loro
esistenza, e come tale costituisce sempre un disordine morale grave141..
Le argomentazioni proposte per giustificare eticamente la riduzione embrionale si fondano spesso
su analogie con catastrofi naturali o situazioni di emergenza nelle quali, malgrado la buona volontà
di ciascuno, non è possibile salvare tutte le persone coinvolte. Queste analogie non possono
fondare in alcun modo un giudizio morale positivo su una pratica direttamente abortiva.
Altre volte ci si richiama a principi morali, come quelli del male minore o del duplice effetto, che qui
non sono applicabili. Non è mai lecito, infatti, realizzare un’azione che è intrinsecamente illecita,
neppure in vista di un fine buono: il fine non giustifica i mezzi»(DP 21).
SACERDOTI
«Diletti figli sacerdoti, che per vocazione siete i consiglieri e le guide spirituali delle singole persone
e delle famiglie, ci rivolgiamo ora a voi con fiducia.
Il vostro primo compito - specialmente per quelli che insegnano la teologia morale - è di esporre
senza ambiguità l’insegnamento della chiesa sul matrimonio. Siate i primi a dare, nell’esercizio del
vostro ministero, l’esempio di un leale ossequio, interno ed esterno, al magistero della chiesa. Tale
ossequio, ben lo sapete, obbliga non solo per le ragioni addotte, quanto piuttosto a motivo del
lume dello Spirito santo, del quale sono particolarmente dotati i pastori della chiesa per illustrare la
verità.
Sapete anche che è di somma importanza, per la pace delle coscienze e per l’unità del popolo
cristiano, che, nel campo della morale come in quello del dogma, tutti si attengano al magistero
della chiesa e parlino uno stesso linguaggio.
Perciò con tutto il nostro animo vi rinnoviamo l’accorato appello del grande apostolo Paolo: " Vi
scongiuro, fratelli, per il nome di nostro signore Gesù Cristo, abbiate tutti uno stesso sentimento,
non vi siano tra voi divisioni, ma siate tutti uniti nello stesso spirito e nello stesso pensiero"» (HV.
28).
«Non sminuire in nulla la salutare dottrina di Cristo, è eminente forma di carità verso le anime. Ma
ciò deve sempre accompagnarsi con la pazienza e la bontà di cui il Redentore stesso ha dato
l’esempio nel trattare con gli uomini.
Venuto non per giudicare, ma per salvare, egli fu certo intransigente con il male, ma paziente e
misericordioso verso i peccatori. Nelle loro difficoltà, i coniugi ritrovino sempre nella parola e nel
cuore del sacerdote l’eco della voce e dell’amore del Redentore.
Parlate poi con fiducia, diletti figli, ben convinti che lo Spirito santo di Dio, mentre assiste il
magistero nel proporre la dottrina, illumina internamente i cuori dei fedeli, invitandoli a dare il loro
assenso. Insegnate agli sposi la necessaria via della preghiera, e istruiteli convenientemente,
141
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. Gaudium et spes, n. 51; GIOVANNI PAOLO II, Lett. enc. Evangelium vitae, n.
62: AAS 87 (1995), 472.
59
affinché ricorrano spesso e con grande fede ai sacramenti dell’eucaristia e della penitenza, e
perché mai si scoraggino a motivo della loro debolezza» (HV. 29).
«La chiesa non può restare indifferente dinanzi a tale confusione degli spiriti e a tale rilassamento
dei costumi. Si tratta, infatti, di una questione importantissima per la vita personale dei cristiani e
per la vita sociale del nostro tempo.
Gli uomini del nostro tempo sono sempre più persuasi che la dignità e la vocazione della persona
umana richiedono che, alla luce della loro ragione, essi scoprano i valori inscritti nella loro natura,
che li sviluppino incessantemente e li realizzino nella loro vita, in vista di un sempre maggiore
progresso.
Ma, in materia morale, l'uomo non può emettere giudizi di valore secondo il suo personale arbitrio:
“Nell'intimo del propria coscienza l'uomo scopre una legge che non è lui a dati e alla quale deve
obbedire... Egli ha una legge scritta da Dio dentro il suo cuore, obbedire alla quale è la dignità
stessa del l'uomo e secondo la quale egli sarà giudicato”142.
Inoltre, a noi cristiani, Dio mediante la sua rivelazione ha fatto conoscere il suo disegno di salvezza
e ha proposto il Cristo, salvatore e santificatore, nella sua dottrina e nel suo esempio, come la
norma suprema e immutabile della vita, lui, il quale ha detto: “Io sono la luce del mondo; chi segue
me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Gv 8,12).
Non può, dunque, esserci vera promozione della dignità dell'uomo se non nel rispetto dell'ordine
essenziale della sua natura. Certo, nella storia della civiltà, molte condizioni concrete ed esigenze
della vita umana sono mutate e muteranno ancora; ma ogni evoluzione dei costumi e ogni genere
di vita devono essere contenuti nei limiti imposti dai principi immutabili, fondati sugli elementi
costitutivi e le relazioni essenziali di ogni persona umana: elementi e relazioni che trascendono le
contingenze storiche.
Questi principi fondamentali, che la ragione può cogliere, sono contenuti nella “legge divina,
eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio, nel suo disegno di sapienza e di amore,
ordina, dirige e governa l'universo e le vie della società umana. Dio rende partecipe l'uomo di
questa sua legge, cosicché l'uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio
conoscere l'immutabile verità”143.. Questa legge è accessibile alla nostra conoscenza» (5.2).
SACRALITA’ VITA UMANA
«”La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio, comporta ‘l'azione creatrice di Dio’ e rimane per
sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal
suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza, può rivendicare a sé il diritto di
distruggere direttamente un essere umano innocente”144. Con queste parole l'Istruzione Donum
vitae espone il contenuto centrale della rivelazione di Dio sulla sacralità e inviolabilità della vita
umana. L'uomo è chiamato a una pienezza di vita che va ben oltre le dimensioni della sua
esistenza terrena, poiché consiste nella partecipazione alla vita stessa di Dio.
L'altezza di questa vocazione soprannaturale rivela la grandezza e la preziosità della vita umana
anche nella sua fase temporale. La vita nel tempo, infatti, è condizione basilare, momento iniziale
e parte integrante dell'intero e unitario processo dell'esistenza umana. Un processo che,
inaspettatamente e immeritatamente, viene illuminato dalla promessa e rinnovato dal dono della
vita divina, che raggiungerà il suo pieno compimento nell'eternità (cf. 1 Gv 3, 1-2). Nello stesso
tempo, proprio questa chiamata soprannaturale sottolinea la relatività della vita terrena dell'uomo e
della donna. Essa, in verità, non è realtà “ultima”, ma “penultima”; è comunque realtà sacra che ci
viene affidata perché la custodiamo con senso di responsabilità e la portiamo a perfezione
nell'amore e nel dono di noi stessi a Dio e ai fratelli.
142
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Gaudium et spes, 16: EV 1/1369.
CONC. ECUM. VAT. II Dignitatis humanae, 3: EV 1/1047..
144
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. circa il rispetto della vita umana nascente e la dignità della
procreazione Donum vitae (22 febbraio 1987), Introd., 5: AAS 80 (1988), 76-77; cf Catechismo della Chiesa Cattolica,
n. 2258.
143
60
Pur tra difficoltà e incertezze, ogni uomo sinceramente aperto alla verità e al bene, con la luce
della ragione e non senza il segreto influsso della grazia, può arrivare a riconoscere nella legge
naturale scritta nel cuore (cf. Rm 2, 14-15) il valore sacro della vita umana dal primo inizio fino al
suo termine, e ad affermare il diritto di ogni essere umano a vedere sommamente rispettato questo
suo bene primario. Sul riconoscimento di tale diritto si fonda l'umana convivenza e la stessa
comunità politica.
La vita umana è sacra e inviolabile in ogni momento della sua esistenza, anche in quello iniziale
che precede la nascita. L'uomo, fin dal grembo materno, appartiene a Dio che tutto scruta e
conosce, che lo forma e lo plasma con le sue mani, che lo vede mentre è ancora un piccolo
embrione informe e che in lui intravede l'adulto di domani i cui giorni sono contati e la cui
vocazione è già scritta nel “libro della vita” (cf. Sal 139/138, 1.13-16).
Anche lì, quando è ancora nel grembo materno, - come testimoniano numerosi testi biblici145 -—
l'uomo è il termine personalissimo dell'amorosa e paterna provvidenza di Dio» (EvV. 61).
«La vita umana deve essere rispettata e protetta in modo assoluto fin dal momento del
concepimento. Dal primo istante della sua esistenza, l'essere umano deve vedersi riconosciuti i
diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile di ogni essere innocente alla vita. "Prima di
formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato"
(Ger 1, 5). "Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle
profondità della terra" (Sal 139, 15)» (2).
«La vita umana è il fondamento di tutti i beni, la sorgente e la condizione necessaria di ogni attività
umana e di ogni convivenza sociale. Se la maggior parte degli uomini ritiene che la vita abbia un
carattere sacro e che nessuno ne possa disporre a piacimento, i credenti vedono in essa anche un
dono dell’amore di Dio, che sono chiamati a conservare e a far fruttificare. Da quest’ultima
considerazione derivano alcune conseguenze:
1. Nessuno può attentare alla vita di un uomo innocente senza opporsi all’amore di Dio per lui,
senza violare un diritto fondamentale, inammissibile e inalienabile, senza commettere, perciò, un
crimine di estrema gravità. (Hic omnino praetermittuntur quaestiones de poena mortis et de bello,
quae postulant ut aliae fiant peculiares considerationes, quae huius Declarationis argomento
extraneae sunt.)
2. Ogni uomo ha il dovere di conformare la sua vita al disegno di Dio. Essa gli è affidata come un
bene che deve portare i suoi frutti già qui in terra, ma trova la sua piena perfezione soltanto nella
vita eterna.
3. La morte volontaria ossia il suicidio è, pertanto, inaccettabile al pari dell’omicidio: un simile atto
costituisce, infatti, da parte dell’uomo, il rifiuto della sovranità di Dio e del suo disegno di amore. Il
suicidio, inoltre, è spesso anche rifiuto dell’amore verso se stessi, negazione della naturale
aspirazione alla vita, rinuncia di fronte ai doveri di giustizia e di carità verso il prossimo, verso le
varie comunità e verso la società intera, benché talvolta intervengano- come si sa- dei fattori
psicologici che possono attenuare o, addirittura, togliere la responsabilità.
Si dovrà, tuttavia, tenere ben distinto dal suicidio quel sacrificio con il quale per una causa
superiore - quali la gloria di Dio, la salvezza delle anime, o il servizio dei fratelli - si offre o si pone
in pericolo la propria vita (cf. Gv 15,14)» (IB. 1).
SCIENZA E TECNICA AL SERVIZIO DELLA PERSONA
«Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza: "maschio e femmina li creò" (Gen. 1, 27),
affidando loro il compito di "dominare la terra" (Gen. 1, 28). La ricerca scientifica di base e quella
applicata costituiscono un'espressione significativa di questa signoria dell'uomo sul creato. La
scienza e la tecnica, preziose risorse dell'uomo quando si pongono al suo servizio e ne
145
Così il profeta Geremia: "Mi fu rivolta la parola del Signore: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo,
prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni"" (1, 4-5). Il Salmista, per parte
sua, così si rivolge al Signore: "Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre tu sei il mio
sostegno" (Sal 71[70], 6; cf Is 46, 3; Gb 10, 8-12; Sal 22[21], 10-11).
61
promuovono lo sviluppo integrale a beneficio di tutti, non possono da sole indicare il senso
dell'esistenza e del progresso umano. Essendo ordinate all'uomo da cui traggono origine e
incremento, attingono dalla persona e dai suoi valori morali l'indicazione della loro finalità e la
consapevolezza dei loro limiti.
Sarebbe, perciò, illusorio rivendicare la neutralità morale della ricerca scientifica e delle sue
applicazioni; d'altro canto non si possono desumere i criteri di orientamento dalla semplice
efficienza tecnica, dall’utilità che possono arrecare ad alcuni a danno di altri o, peggio ancora, dalle
ideologie dominanti.
Pertanto la scienza e la tecnica richiedono, per il loro stesso intrinseco significato, il rispetto
incondizionato dei criteri fondamentali della moralità: debbono essere cioè, al servizio della
persona umana, dei suoi diritti inalienabili e del suo bene vero e integrale secondo il progetto e la
volontà di Dio146. Il rapido sviluppo delle scoperte tecnologiche rende più urgente questa esigenza
di rispetto dei criteri ricordati: la scienza senza la coscienza ad altro non può portare che alla
rovina dell'uomo. "L'epoca nostra, più ancora che i secoli passati, ha bisogno di questa sapienza,
perché diventino più umane tutte le sue nuove scoperte. È in pericolo, di fatto, il futuro del mondo,
a meno che non vengano suscitati uomini più saggi"»147 (DV 2).
SCOMUNICA
«La disciplina canonica della Chiesa, fin dai primi secoli, ha colpito con sanzioni penali coloro che
si macchiavano della colpa dell'aborto e tale prassi, con pene più o meno gravi, è stata confermata
nei vari periodi storici. Il Codice di Diritto Canonico del 1917 comminava per l'aborto la pena della
scomunica148. Anche la rinnovata legislazione canonica si pone in questa linea quando sancisce
che “chi procura l'aborto ottenendo l'effetto incorre nella scomunica latae sententiae”,149 cioè
automatica. La scomunica colpisce tutti coloro che commettono questo delitto conoscendo la pena,
inclusi anche quei complici senza la cui opera esso non sarebbe stato realizzato:150 con tale
reiterata sanzione, la Chiesa addita questo delitto come uno dei più gravi e pericolosi, spingendo
così chi lo commette a ritrovare sollecitamente la strada della conversione.
Nella Chiesa, infatti, la pena della scomunica è finalizzata a rendere pienamente consapevoli della
gravità di un certo peccato e a favorire quindi un'adeguata conversione e penitenza» (EvV. 62).
«La cooperazione formale a un aborto costituisce una colpa grave. La Chiesa sanziona con una
pena canonica di scomunica questo delitto contro la vita umana. "Chi procura l'aborto, se ne
consegue l'effetto, incorre nella scomunica latae sententiae" (Cic, can. 1398), "per il fatto stesso
d'aver commesso il delitto" (Cic, can. 1314) e alle condizioni previste dal diritto (cfr. Cic, cann.
1323-1324). La Chiesa non intende in tal modo restringere il campo della misericordia. Essa mette
in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all'innocente ucciso, ai
suoi genitori e a tutta la società» (2).
SERVIRE IL VANGELO DELLA VITA
«In forza della partecipazione alla missione regale di Cristo, il sostegno e la promozione della vita
umana devono attuarsi mediante il servizio della carità, che si esprime nella testimonianza
personale, nelle diverse forme di volontariato, nell'animazione sociale e nell'impegno politico. È,
questa, un'esigenza particolarmente pressante nell'ora presente, nella quale la “cultura della
146
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 35.
CONC. ECUM. VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 15. Cf. anche PAOLO VI, Encicl. Popolorum Progressio, 20:
AAS 59 (1967) 267; GIOVANNI PAOLO II, Encicl. Redemptor Hominis, 15: AAS 71 (1979) 286-289; Esort. apost.
Familiaris Consortio, 8: AAS 74 (1982) 89.
148
Cf Can. 2350, § 1.
149
Codice di Diritto Canonico, can. 1398; cf pure Codice dei canoni delle Chiese Orientali, can. 1450, §2.
150
Cf Ibid., can. 1329; parimenti Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 1417.
147
62
morte” così fortemente si contrappone alla «cultura della vita» e spesso sembra avere il
sopravvento.
Nel servizio della carità c'è un atteggiamento che ci deve animare e contraddistinguere: dobbiamo
prenderci cura dell'altro in quanto persona affidata da Dio alla nostra responsabilità. Come
discepoli di Gesù, siamo chiamati a farci prossimi di ogni uomo (cf. Lc 10, 29-37), riservando una
speciale preferenza a chi è più povero, solo e bisognoso. Proprio attraverso l'aiuto all'affamato,
all'assetato, al forestiero, all'ignudo, al malato, al carcerato - come pure al bambino non ancora
nato, all'anziano sofferente o vicino alla morte - ci è dato di servire Gesù, come Egli stesso ha
dichiarato: “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l'avete fatto a me” (Mt 25, 40).
Il servizio della carità nei riguardi della vita deve essere profondamente unitario: non può tollerare
unilateralismi e discriminazioni, perché la vita umana è sacra e inviolabile in ogni sua fase e
situazione; essa è un bene indivisibile.
Si tratta dunque di “prendersi cura” di tutta la vita e della vita di tutti. Anzi, ancora più
profondamente, si tratta di andare fino alle radici stesse della vita e dell'amore» (EvV. 87).
SPERIMENTAZIONE SU EMBRIONI E FETI
«Come valutare moralmente la ricerca e la sperimentazione* sugli embrioni e sui feti umani?
La ricerca medica deve astenersi da interventi sugli embrioni vivi, a meno che non ci sia la
certezza morale di non arrecare danno né alla vita né all’integrità del nascituro e della madre, e a
condizione che i genitori abbiano accordato il loro consenso, libero e informato, per l'intervento
sull'embrione. Ne consegue che ogni ricerca, anche se limitata alla semplice osservazione
dell'embrione, diventerebbe illecita qualora, per i metodi impiegati o per gli effetti indotti, implicasse
un rischio per l’integrità fisica o la vita dell'embrione.
Per quanto riguarda la sperimentazione presupposta la distinzione generale tra quella con finalità
non direttamente terapeutica e quella chiaramente terapeutica per il soggetto stesso, nella
fattispecie occorre distinguere anche tra la sperimentazione attuata sugli embrioni ancora vivi e la
sperimentazione attuata su embrioni morti. Se essi sono vivi, viabili o non, devono essere rispettati
come tutte le persone umane; la sperimentazione non direttamente terapeutica sugli embrioni è
illecita151.
Nessuna finalità, anche in se stessa nobile, come la previsione di una utilità per la scienza, per altri
esseri umani o per la società, può in alcun modo giustificare la sperimentazione sugli embrioni o
feti umani vivi, viabili e non, nel seno materno o fuori di esso. Il consenso informato, normalmente
richiesto per la sperimentazione clinica sull'adulto, non può essere concesso dai genitori i quali
non possono disporre né dell’integrità fisica né della vita del nascituro.
D'altra parte la sperimentazione sugli embrioni o feti comporta sempre il rischio, anzi, il più delle
volte la previsione certa di un danno per la loro integrità fisica o addirittura della loro morte.
Usare l'embrione umano, o il feto, come oggetto o strumento di sperimentazione rappresenta un
delitto nei confronti della loro dignità di esseri umani che hanno diritto allo stesso rispetto dovuto al
bambino già nato e ad ogni persona umana.
La Carta dei diritti della famiglia, pubblicata dalla Santa Sede, afferma: "Il rispetto per la dignità
dell'essere umano esclude ogni sorta di manipolazione sperimentale o sfruttamento dell'embrione
umano"152.
La prassi di mantenere in vita degli embrioni umani, in vivo o in vitro, per scopi sperimentali o
commerciali, è del tutto contraria alla dignità umana.
Nel caso della sperimentazione chiaramente terapeutica, qualora si trattasse cioè di terapie
sperimentali impiegate a beneficio dell'embrione stesso allo scopo di salvare in un tentativo
151
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti a un Convegno della Pontificia Accademia delle Scienze, 23
ottobre 1982: AAS 75 (1983) 37: "lo condanno nel modo più esplicito e formale le manipolazioni sperimentali fatte
sull'embrione umano, perché l'essere umano, dal momento del suo concepimento fino alla morte, non può essere
sfruttato per nessuna ragione".
152
SANTA SEDE, Carta dei diritti della famiglia art. 4b: L'Osservatore Romano 25 novembre 1983.
63
estremo la sua vita, e in mancanza di altre terapie valide, può essere lecito il ricorso a farmaci o a
procedure non ancora del tutto convalidate153.
I cadaveri di embrioni o feti umani, volontariamente abortiti o non, devono essere rispettati come le
spoglie degli altri esseri umani. In particolare non possono essere oggetto di mutilazioni o autopsie
se la loro morte non è stata accertata e senza il consenso dei genitori o della madre. Inoltre va
sempre fatta salva l'esigenza morale che non vi sia stata complicità alcuna con l'aborto volontario
e che sia evitato il pericolo di scandalo. Anche nel caso di feti morti, come per i cadaveri di
persone adulte, ogni pratica commerciale deve essere ritenuta illecita e deve essere proibita.
(Poiché i termini "ricerca" e "sperimentazione" sono frequentemente usati in modo equivalente e
ambiguo, si ritiene di dover precisare il significato loro attribuito nel presente documento.
I) Per ricerca s'intende qualsiasi procedimento induttivo-deduttivo, inteso a promuovere
l'osservazione sistematica di un dato fenomeno in campo umano o a verificare un'ipotesi emersa
da precedenti osservazioni.
2) Per sperimentazione s'intende qualsiasi ricerca, in cui l'essere umano (nei diversi stadi della sua
esistenza: embrione, feto, bambino o adulto) rappresenta l'oggetto mediante il quale o sul quale
s'intende verificare l'effetto, al momento sconosciuto o ancora non ben conosciuto, di un dato
trattamento - ad es. farmacologico, teratogeno, chirurgico ecc.)» (DV parte I).
«Come valutare moralmente l'uso a scopo di ricerca degli embrioni ottenuti mediante la
fecondazione in vitro?
Gli embrioni umani ottenuti in vitro sono esseri umani e soggetti di diritto: la loro dignità e il loro
diritto alla vita devono essere rispettati fin dal primo momento della loro esistenza.
È immorale produrre embrioni umani destinati a essere sfruttati come "materiale biologico"
disponibile.
Nella pratica abituale della fecondazione in vitro non tutti gli embrioni vengono trasferiti nel corpo
della donna; alcuni vengono distrutti.
Così come condanna l'aborto procurato, la Chiesa proibisce anche di attentare alla vita di questi
esseri umani. È doveroso denunciare la particolare gravita della distruzione volontaria degli
embrioni umani ottenuti in vitro al solo scopo di ricerca sia mediante fecondazione artificiale sia
mediante "fissione gemellare". Agendo in tal modo il ricercatore si sostituisce a Dio e, anche se
non ne ha la coscienza, si fa padrone del destino altrui, in quanto sceglie arbitrariamente chi far
vivere e chi mandare a morte e sopprime esseri umani senza difesa.
Le metodiche di osservazione o di sperimentazione, che causano danno o impongono dei rischi
gravi e sproporzionati agli embrioni ottenuti in vitro, sono moralmente illecite per le stesse ragioni.
Ogni essere umano va rispettato per se stesso, e non può essere ridotto a puro e semplice valore
strumentale a vantaggio altrui. Non è perciò conforme alla morale esporre deliberatamente alla
morte embrioni umani ottenuti in vitro. In conseguenza del fatto che sono stati prodotti in vitro,
questi embrioni non trasferiti nel corpo della madre e denominati "soprannumerari", rimangono
esposti a una sorte assurda, senza possibilità di offrire loro sicure vie di sopravvivenza lecitamente
perseguibili» (DV. 5).
«Quale giudizio dare sugli altri procedimenti di manipolazione degli embrioni connessi con le
"tecniche di riproduzione umana"?
Le tecniche di fecondazione in vitro possono aprire la possibilità ad altre forme di manipolazione
biologica o genetica degli embrioni umani, quali: i tentativi o progetti di fecondazione tra gameti
umani e animali e di gestazione di embrioni umani in uteri di animali, l'ipotesi o il progetto di
costruzione di uteri artificiali per l'embrione umano.
153
Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai partecipanti al Convegno del "Movimento per la vita" 3 dicembre 1982:
Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V 3, (1982) 1511: "Inaccettabile e ogni forma di sperimentazione sul feto che possa
danneggiarne l’integrità o peggiorarne le condizioni a meno che si tratti di un tentativo estremo di salvarlo da morte".
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione sull'eutanasia 4: AAS 72 (1980) 550: "In mancanza di
altri rimedi, e lecito ricorrere, con il consenso dell'ammalato, ai mezzi messi a disposizione dalla medicina più avanzata,
anche se sono ancora allo stato sperimentale e non sono esenti da qualche rischio".
64
Questi procedimenti sono contrari alla dignità di essere umano propria dell'embrione e, nello
stesso tempo, ledono il diritto di ogni persona di essere concepita e di nascere nel matrimonio e
dal matrimonio.
Anche i tentativi o le ipotesi volte a ottenere un essere umano senza alcuna connessione con la
sessualità mediante "fissione gemellare", clonazione, partenogenesi, sono da considerare
contrarie alla morale, in quanto contrastano con la dignità sia della procreazione umana sia
dell'unione coniugale.
Lo stesso congelamento degli embrioni, anche se attuano per garantire una conservazione in vita
dell'embrione — crioconservazione— costituisce un'offesa al rispetto dovuto agli esseri umani, in
quanto li espone a gravi rischi di morte o di danno per la loro integrità fisica, li priva almeno
temporaneamente dell'accoglienza e della gestazione materna e li pone in una situazione
suscettibile di ulteriori offese e manipolazioni.
Alcuni tentativi d'intervento sul patrimonio cromosomico o genetico non sono terapeutici, ma
mirano alla produzione di esseri umani selezionati secondo il sesso o altre qualità prestabilite.
Queste manipolazioni sono contrarie alla dignità personale dell'essere umano, alla sua integrità e
alla sua identità. Non possono quindi in alcun modo essere giustificate in vista di eventuali
conseguenze benefiche per l’umanità futura(33). Ogni persona deve essere rispettata per se
stessa: in ciò consiste la dignità e il diritto di ogni essere umano fin dal suo inizio» (DV. 6).
SPOSI CRISTIANI
«E ora la nostra parola si rivolge più direttamente ai nostri figli, particolarmente a quelli che Dio
chiama a servirlo nel matrimonio.
La chiesa, mentre insegna le esigenze imprescrittibili della legge divina, annunzia la salvezza e
apre con i sacramenti le vie della grazia, la quale fa dell’uomo una nuova creatura, capace di
corrispondere nell’amore e nella vera libertà al disegno del suo Creatore e Salvatore e di trovare
dolce il giogo di Cristo.
Gli sposi cristiani, dunque, docili alla sua voce, ricordino che la loro vocazione cristiana iniziata col
battesimo si è ulteriormente specificata e rafforzata col sacramento del matrimonio. Per esso i
coniugi sono corroborati e quasi consacrati per l’adempimento fedele dei propri doveri, per
l’attuazione della propria vocazione fino alla perfezione e per una testimonianza cristiana loro
propria di fronte mondo.
Ad essi il Signore affida il compito di rendere visibile agli uomini la santità "e la soavità della legge
che unisce l’amore vicendevole degli sposi con la loro cooperazione all’amore di Dio autore della
vita umana. Non intendiamo affatto nascondere le difficoltà talvolta gravi inerenti alla vita dei
coniugi cristiani: per essi, come per ognuno, è stretta la porta e angusta la via che conduce alla
vita ". Ma la speranza di questa vita deve illuminare il loro cammino, mentre coraggiosamente si
sforzano di vivere con saggezza, giustizia e pietà nel tempo presente, sapendo che la figura di
questo mondo passa.
Affrontino quindi gli sposi i necessari sforzi, sorretti dalla fede e dalla speranza che " non delude,
perché l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori con lo Spirito santo, che ci è stato dato ";
implorino con perseverante preghiera l’aiuto divino; attingano soprattutto nell’eucaristia alla
sorgente della grazia e della carità.
E se il peccato facesse ancora presa su di loro, non si scoraggino, ma ricorrano con umile
perseveranza alla misericordia di Dio, che viene elargita con abbondanza nel sacramento della
penitenza. Essi potranno in tal modo realizzare la pienezza della vita coniugale descritta
dall’apostolo: " Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa (...). I mariti
devono amare le loro mogli come il proprio corpo. Amare la moglie, non è forse amare se stesso?
Ora nessuno mai ha odiato la propria carne, che anzi la nutre e la cura, come fa Cristo per la
chiesa (...). Grande è questo mistero, voglio dire riguardo a Cristo e alla chiesa. Ma per quel che vi
concerne, ognuno ami la sua moglie come se stesso e la moglie rispetti il proprio marito "» (HV.
25).
65
STERILITA’
«La sofferenza degli sposi che non possono avere figli o che temono di mettere al mondo un figlio
handicappato, è una sofferenza che tutti debbono comprendere e adeguatamente valutare. Da
parte degli sposi il desiderio di un figlio è naturale: esprime la vocazione alla paternità e alla
maternità inscritta nell'amore coniugale. Questo desiderio può essere ancora più forte se la coppia
è affetta da sterilità che appaia incurabile.
Tuttavia il matrimonio non conferisce agli sposi il diritto di avere un figlio, ma soltanto il diritto di
porre quegli atti naturali che di per sé sono ordinati alla procreazione154. Un vero e proprio diritto al
figlio sarebbe contrario alla sua dignità e alla sua natura. Il figlio non è un qualche cosa di dovuto e
non può essere considerato come oggetto di proprietà: è piuttosto un dono, "il più grande"155 e il
più gratuito del matrimonio, ed è testimonianza vivente della donazione reciproca dei suoi genitori.
A questo titolo il figlio ha il diritto - come è stato ricordato - di essere il frutto dell'atto specifico
dell'amore coniugale dei suoi genitori e ha anche il diritto a essere rispettato come persona dal
momento del suo concepimento. Tuttavia la sterilità, qualunque ne sia la causa e la prognosi, è
certamente una dura prova.
La comunità dei credenti è chiamata a illuminare e sostenere la sofferenza di coloro che non
possono realizzare una legittima aspirazione alla maternità e paternità. Gli sposi che si trovano in
queste dolorose situazioni sono chiamati a scoprire in esse l'occasione per una particolare
partecipazione alla croce del Signore, fonte di fecondità spirituale.
Le coppie sterili non devono dimenticare che "anche quando la procreazione non è possibile, non
per questo la vita coniugale perde il suo valore. La sterilità fisica infatti può essere occasione per
gli sposi per rendere altri servizi importanti alla vita delle persone umane, quali ad esempio
l'adozione, le varie forme di opere educative, l'aiuto ad altre famiglie, ai bambini poveri o
handicappati"156..
Molti ricercatori si sono impegnati nella lotta contro la sterilità. Salvaguardando pienamente la
dignità della procreazione umana, alcuni sono arrivati a risultati che in precedenza sembravano
irraggiungibili. Gli uomini di scienza vanno quindi incoraggiati a proseguire nelle loro ricerche, allo
scopo di prevenire le cause della sterilità e potervi rimediare, in modo che le coppie sterili possano
riuscire a procreare nel rispetto della loro dignità personale e di quella del nascituro» (DV. Parte II,
8)..
SUICIDIO
«Il suicidio è sempre moralmente inaccettabile quanto l'omicidio. La tradizione della Chiesa l'ha
sempre respinto come scelta gravemente cattiva157. Benché determinati condizionamenti
psicologici, culturali e sociali possano portare a compiere un gesto che contraddice così
radicalmente l'innata inclinazione di ognuno alla vita, attenuando o annullando la responsabilità
soggettiva, il suicidio, sotto il profilo oggettivo, è un atto gravemente immorale, perché comporta il
rifiuto dell'amore verso se stessi e la rinuncia ai doveri di giustizia e di carità verso il prossimo,
verso le varie comunità di cui si fa parte e verso la società nel suo insieme158.
Nel suo nucleo più profondo, esso costituisce un rifiuto della sovranità assoluta di Dio sulla vita e
sulla morte, così proclamata nella preghiera dell'antico saggio di Israele: «Tu hai potere sulla vita e
sulla morte; conduci giù alle porte degli inferi e fai risalire» (Sap 16, 13; cf. Tb 13, 2)» (EvV. 66).
154
57 Cf. PIO XII, Discorso ai partecipanti al II Congresso Mondiale di Napoli sulla fertilità e sterilità umana, 19
maggio 1956: AAS 48 ( I 956) 471 -473.
155
CONC. ECUM. VAT. II, Costit. past. Gaudium et Spes, 50.
156
GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris Consortio, 14: AAS 74 (1982) 97.
157
Cf S. AGOSTINO, De civitate Dei I, 20: CCL 47, 22; S. TOMMASO D'AQUINO, Summa Theologiae, II-II, q. 6, a. 5.
158
Cf CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. sull'eutanasia Iura et bona (5 maggio 1980), I: AAS 72
(1980), 545; Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 2281-2283.
66
TECNICHE DI AIUTO ALLA FERTILITA’
«Per quanto riguarda la cura dell’infertilità, le nuove tecniche mediche devono rispettare tre beni
fondamentali:
a) il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano dal concepimento fino alla morte
naturale;
b) l’unità del matrimonio, che comporta il reciproco rispetto del diritto dei coniugi a diventare padre
e madre soltanto l’uno attraverso l’altro159;
c) i valori specificamente umani della sessualità, che “esigono che la procreazione di una persona
umana debba essere perseguita come il frutto dell’atto coniugale specifico dell’amore tra gli
sposi”160
Le tecniche che si presentano come un aiuto alla procreazione “non sono da rifiutare in quanto
artificiali. Come tali esse testimoniano le possibilità dell’arte medica, ma si devono valutare sotto il
profilo morale in riferimento alla dignità della persona umana, chiamata a realizzare la vocazione
divina al dono dell’amore e al dono della vita”161.
Alla luce di tale criterio sono da escludere tutte le tecniche di fecondazione artificiale eterologa162
e le tecniche di fecondazione artificiale omologa163 che sono sostitutive dell’atto coniugale.
Sono invece ammissibili le tecniche che si configurano come un aiuto all’atto coniugale e alla sua
fecondità. L’Istruzione Donum vitae si esprime così: “Il medico è al servizio delle persone e della
procreazione umana: non ha facoltà di disporre né di decidere di esse. L’intervento medico è in
questo ambito rispettoso della dignità delle persone, quando mira ad aiutare l’atto coniugale sia
per facilitarne il compimento sia per consentirgli di raggiungere il suo fine, una volta che sia stato
normalmente compiuto”164. E, a proposito dell’inseminazione artificiale omologa, dice:
“L’inseminazione artificiale omologa all’interno del matrimonio non può essere ammessa, salvo il
caso in cui il mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell’atto coniugale, ma si configuri come una
facilitazione e un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale”165 (DP 12).
Sono certamente leciti gli interventi che mirano a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla
fertilità naturale, come ad esempio la cura ormonale dell’infertilità di origine gonadica, la cura
chirurgica di una endometriosi, la disostruzione delle tube, oppure la restaurazione microchirurgica
della pervietà tubarica.
Tutte queste tecniche possono essere considerate come autentiche terapie, nella misura in cui,
una volta risolto il problema che era all’origine dell’infertilità, la coppia possa porre atti coniugali
con un esito procreativo, senza che il medico debba interferire direttamente nell’atto coniugale
stesso. Nessuna di queste tecniche sostituisce l’atto coniugale, che unicamente è degno di una
procreazione veramente responsabile.
Per venire incontro al desiderio di non poche coppie sterili ad avere un figlio, sarebbe inoltre
auspicabile incoraggiare, promuovere e facilitare, con opportune misure legislative, la procedura
dell’adozione dei numerosi bambini orfani, che hanno bisogno, per il loro adeguato sviluppo
umano, di un focolare domestico.
C’è da osservare, infine, che meritano un incoraggiamento le ricerche e gli investimenti dedicati
alla prevenzione della sterilità» (DP. 13).
159
Cf. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Donum vitae, II, A, 1: AAS 80 (1988), 87.
Ibid., II, B, 4: l.c., 92.
161
Ibid., Introduzione, 3: l.c., 75.
162
Per fecondazione o procreazione artificiale eterologa si intendono “le tecniche volte a ottenere artificialmente un
concepimento umano a partire da gameti provenienti almeno da un donatore diverso dagli sposi, che sono uniti in
matrimonio” (ibid., II: l.c., 86).
163
Per fecondazione o procreazione artificiale omologa si intende “la tecnica volta a ottenere un concepimento umano a
partire dai gameti di due sposi uniti in matrimonio” (ibid.).
164
Ibid., II, B, 7: l.c., 96; cf. PIO XII, Discorso ai partecipanti al IV Congresso internazionale dei medici cattolici (29
settembre 1949): AAS 41 (1949), 560.
165
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Donum vitae, II, B, 6: l.c., 94.
160
67
TECNICHE DIAGNOSTICHE PRE-NATALI
«Una speciale attenzione deve essere riservata alla valutazione morale delle tecniche
diagnostiche prenatali, che permettono di individuare precocemente eventuali anomalie del
nascituro. Infatti, per la complessità di queste tecniche, tale valutazione deve farsi più accurata e
articolata. Quando sono esenti da rischi sproporzionati per il bambino e per la madre e sono
ordinate a rendere possibile una terapia precoce o anche a favorire una serena e consapevole
accettazione del nascituro, queste tecniche sono moralmente lecite.
Dal momento però che le possibilità di cura prima della nascita sono oggi ancora ridotte, accade
non poche volte che queste tecniche siano messe al servizio di una mentalità eugenetica, che
accetta l'aborto selettivo, per impedire la nascita di bambini affetti da vari tipi di anomalie.
Una simile mentalità è ignominiosa e quanto mai riprovevole, perché pretende di misurare il valore
di una vita umana soltanto secondo parametri di «normalità» e di benessere fisico, aprendo così la
strada alla legittimazione anche dell'infanticidio e dell'eutanasia» (EvV. 63).
TECNICHE DI RIPRODUZIONE ARTIFICIALE
«Anche le varie tecniche di riproduzione artificiale, che sembrerebbero porsi a servizio della vita e
che sono praticate non poche volte con questa intenzione, in realtà aprono la porta a nuovi
attentati contro la vita.
Al di là del fatto che esse sono moralmente inaccettabili, dal momento che dissociano la
procreazione dal contesto integralmente umano dell'atto coniugale166, queste tecniche registrano
alte percentuali di insuccesso: esso riguarda non tanto la fecondazione, quanto il successivo
sviluppo dell'embrione, esposto al rischio di morte entro tempi in genere brevissimi.
Inoltre, vengono prodotti talvolta embrioni in numero superiore a quello necessario per l'impianto
nel grembo della donna e questi cosiddetti “embrioni soprannumerari” vengono poi soppressi o
utilizzati per ricerche che, con il pretesto del progresso scientifico o medico, in realtà riducono la
vita umana a semplice “materiale biologico” di cui poter liberamente disporre» (EvV. 14).
«Il fatto che la fecondazione in vitro comporti assai frequentemente l’eliminazione volontaria di
embrioni è già stato rilevato dall’Istruzione Donum vitae167.. Alcuni pensavano che ciò fosse dovuto
a una tecnica ancora parzialmente imperfetta. L’esperienza successiva ha dimostrato invece che
tutte le tecniche di fecondazione in vitro si svolgono di fatto come se l’embrione umano fosse un
semplice ammasso di cellule che vengono usate, selezionate e scartate.
È vero che circa un terzo delle donne che ricorrono alla procreazione artificiale giunge ad avere un
bambino. Occorre tuttavia rilevare che, considerando il rapporto tra il numero totale di embrioni
prodotti e di quelli effettivamente nati, il numero di embrioni sacrificati è altissimo168.
Queste perdite sono accettate dagli specialisti delle tecniche di fecondazione in vitro come prezzo
da pagare per ottenere risultati positivi. In realtà è assai preoccupante che la ricerca in questo
campo miri principalmente a ottenere migliori risultati in termini di percentuale di bambini nati
rispetto alle donne che iniziano il trattamento, ma non sembra avere un effettivo interesse per il
diritto alla vita di ogni singolo embrione» (DP. 14).
«Spesso si obietta che tali perdite di embrioni sarebbero il più delle volte preterintenzionali, o
avverrebbero addirittura contro la volontà dei genitori e dei medici. Si afferma che si tratterebbe di
rischi non molto diversi da quelli connessi al processo naturale della generazione, e che voler
comunicare la vita senza correre alcun rischio comporterebbe in pratica astenersi dal trasmetterla.
È vero che non tutte le perdite di embrioni nell’ambito della procreazione in vitro hanno lo stesso
166
Cf CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. circa il rispetto della vita umana nascente e la dignità della
procreazione Donum vitae (22 febbraio 1987): AAS 80 (1988), 70-102.
167
Cf. ibid., II: l.c., 86
168
Attualmente, anche nei maggiori centri di fecondazione artificiale, il numero di embrioni sacrificati si aggira al di
sopra dell’80%.
68
rapporto con la volontà dei soggetti interessati. Ma è anche vero che in molti casi l’abbandono, la
distruzione o le perdite di embrioni sono previsti e voluti »(DP. 15).
«Per "procreazione artificiale" o "fecondazione artificiale" si intendono qui le diverse procedure
tecniche volte a ottenere un concepimento umano in maniera diversa dall'unione sessuale
dell'uomo e della donna. L'Istruzione tratta della fecondazione di un ovulo in provetta
(fecondazione in vitro) e dell'inseminazione artificiale mediante trasferimento, nelle vie genitali
della donna, dello sperma precedentemente raccolto.
Un punto preliminare per la valutazione morale di tali tecniche è costituito dalla considerazione
delle circostanze e delle conseguenze che esse comportano in ordine al rispetto dovuto
all'embrione umano. L'affermarsi della pratica della fecondazione in vitro ha richiesto innumerevoli
fecondazioni e distruzioni di embrioni umani. Ancora oggi, presuppone abitualmente una
iperovulazione della donna: più ovuli sono prelevati, fecondati e poi coltivati in vitro per alcuni
giorni. Abitualmente non sono trasferiti tutti nelle vie genitali della donna; alcuni embrioni, chiamati
solitamente "soprannumerari", vengono distrutti o congelati. Fra gli embrioni impiantati talora alcuni
sono sacrificati per diverse ragioni eugenetiche, economiche o psicologiche. Tale distruzione
volontaria di esseri umani o la loro utilizzazione a scopi diversi, a detrimento della loro integrità e
della loro vita, è contraria alla dottrina già ricordata a proposito dell'aborto procurato. Il rapporto tra
fecondazione in vitro e eliminazione volontaria di embrioni umani si verifica troppo frequentemente.
Ciò è significativo: con questi procedimenti, dalle finalità apparentemente opposte, la vita e la
morte vengono sottomesse alle decisioni dell'uomo, che viene così a costituirsi donatore di vita e
di morte su comando.
Questa dinamica di violenza e di dominio può rimanere non avvertita da parte di quegli stessi che,
volendola utilizzare, vi si assoggettano. I dati di fatto ricordati e la fredda logica che li collega,
devono essere considerati per un giudizio morale sulla FIVET (fecondazione in vitro e
trasferimento dell'embrione): la mentalità abortiva che l'ha resa possibile, conduce così, lo si voglia
o no, al dominio dell'uomo sulla vita e sulla morte dei suoi simili, che può portare ad un eugenismo
radicale. Tuttavia abusi del genere non esimono da una approfondita e ulteriore riflessione etica
sulle tecniche di procreazione artificiale considerate in se stesse, astraendo, per quanto è
possibile, dalla distruzione degli embrioni prodotti in vitro.
La presente Istruzione prenderà in considerazione pertanto in primo luogo i problemi posti dalla
fecondazione artificiale eterologa (II, 1-3)*, e successivamente quelli che sono collegati con la
fecondazione artificiale omologa (II, 4-6)**. Prima di formulare il giudizio etico su ciascuna di esse,
saranno considerati i principi e i valori che determinano la valutazione morale di ciascuna di queste
procedure.
(* L'Istruzione intende con la denominazione di Fecondazione o procreazione artificiale eterologa
le tecniche volte a ottenere artificialmente un concepimento umano a partire da gameti provenienti
almeno da un donatore diverso dagli sposi, che sono uniti in matrimonio.
Tali tecniche possono essere di due tipi:
a) FIVET eterologa: la tecnica volta a ottenere un concepimento umano attraverso l'incontro in
vitro di gameti prelevati almeno da un donatore diverso dai due sposi uniti da matrimonio.
b) Inseminazione artificiale eterologa: la tecnica volta a ottenere un concepimento umano
attraverso il trasferimento nelle vie genitali della donna dello sperma precedentemente raccolto da
un donatore diverso dal marito.
** L'Istruzione intende per Fecondazione o procreazione artificiale omologa la tecnica volta a
ottenere un concepimento umano a partire dai gameti di due sposi uniti in matrimonio.
La fecondazione artificiale omologa può essere attuata con due diverse metodiche:
a) FIVET omologa: la tecnica diretta a ottenere un concepimento umano mediante l'incontro in
vitro dei gameti degli sposi uniti in matrimonio.
b) Inseminazione artificiale omologa: la tecnica diretta a ottenere un concepimento umano
mediante il trasferimento, nelle vie genitali di una donna sposata, dello sperma precedentemente
raccolto del marito)» (DV. Parte due).
«La fecondazione omologa in vitro è moralmente lecita?
La risposta a questa domanda è strettamente dipendente dai principi ora ricordati. Non si possono
certamente ignorare le legittime aspirazioni degli sposi sterili; per alcuni il ricorso alla FIVET
69
omologa appare come l'unico mezzo per ottenere un figlio sinceramente desiderato: ci si domanda
se in queste soluzioni la globalità della vita coniugale non basti ad assicurare la dignità confacente
alla procreazione umana.
Si riconosce che la FIVET certamente non può supplire all'assenza dei rapporti coniugali169 e non
può essere preferita, considerati i rischi che si possono verificare per il figlio e i disagi della
procedura, agli atti specifici dell'unione coniugale. Ma ci si chiede se nell'impossibilità di rimediare
in altro modo alla sterilità, che è causa di sofferenza, la fecondazione omologa in vitro non possa
costituire un aiuto, se non addirittura una terapia, per cui ne potrebbe essere ammessa la liceità
morale. Il desiderio di un figlio - o quanto meno la disponibilità a trasmettere la vita - è un requisito
necessario dal punto di vista morale per una procreazione umana responsabile.
Ma questa intenzione buona non è sufficiente per dare una valutazione morale positiva della
fecondazione in vitro tra gli sposi. Il procedimento della FIVET deve essere giudicato in se stesso,
e non può mutuare la sua qualificazione morale definitiva né dall'insieme della vita coniugale nella
quale esso si iscrive né dagli atti coniugali che possono precederlo o seguirlo170. È già stato
ricordato come, nelle circostanze in cui è abitualmente praticata, la FIVET implichi la distruzione di
esseri umani, fatto questo che è contro la dottrina già richiamata sulla illiceità dell'aborto.
Ma anche nel caso in cui si mettesse in atto ogni cautela per evitare la morte degli embrioni umani,
la FIVET omologa, attua la dissociazione dei gesti che sono destinati alla fecondazione umana
dall'atto coniugale. La natura propria della FIVET omologa, pertanto, dovrà anche essere
considerata astraendo dal legame con l'aborto procurato.
La FIVET omologa è attuata al di fuori del corpo dei coniugi mediante gesti di terze persone la cui
competenza e attività tecnica determinano il successo dell'intervento; essa affida la vita e l'identità
dell'embrione al potere dei medici e dei biologi e instaura un dominio della tecnica sull'origine e sul
destino della persona umana. Una siffatta relazione di dominio è in sé contraria alla dignità e
all'uguaglianza che dev'essere comune a genitori e figli.
Il concepimento in vitro è il risultato dell'azione tecnica che presiede alla fecondazione; essa non è
né di fatto ottenuta né positivamente voluta come l'espressione e il frutto di un atto specifico
dell'unione coniugale.
Nella FIVET omologa, perciò, pur considerata nel contesto dei rapporti coniugali di fatto esistenti,
la generazione della persona umana è oggettivamente privata della sua perfezione propria: quella
di essere, cioè, il termine e il frutto di un atto coniugale in cui gli sposi possono farsi "cooperatori
con Dio per il dono della vita a una nuova persona"171.
Queste ragioni permettono di comprendere perché l'atto di amore coniugale sia considerato
nell'insegnamento della Chiesa come l'unico luogo degno della procreazione umana. Per le stesse
ragioni il cosiddetto "caso semplice", cioè una procedura di FIVET omologa, che sia purificata da
ogni compromissione con la prassi abortiva della distruzione di embrioni e con la masturbazione,
rimane una tecnica moralmente illecita perché priva la procreazione umana della dignità che le è
propria e connaturale. Certamente la FIVET omologa non è gravata di tutta quella negatività etica
che si riscontra nella procreazione extraconiugale; la famiglia e il matrimonio continuano a
costituire l'ambito della nascita e dell'educazione dei figli.
Tuttavia, in conformità con la dottrina tradizionale relativa ai beni del matrimonio e alla dignità della
persona, la Chiesa rimane contraria, dal punto di vista morale, alla fecondazione omologa in vitro;
questa è in se stessa illecita e contrastante con la dignità della procreazione e dell'unione
coniugale, anche quando tutto sia messo in atto per evitare la morte dell'embrione umano.
Pur non potendo essere approvata la modalità con cui viene ottenuto il concepimento umano nella
FIVET, ogni bambino che viene al mondo dovrà comunque essere accolto come un dono vivente
della Bontà divina e dovrà essere educato con amore» (DV. Parte II, 5).
«Coma valutare dal punto di vista morale l'inseminazione artificiale omologa?
169
47 Cf. PIO XII, Discorso ai partecipanti al IV Congresso Internazionale dei Medici Cattolici 29 settembre 1949:
AAS 41 (1949) 560: "Sarebbe falso pensare che la possibilità di ricorrere a questo mezzo (fecondazione artificiale)
possa rendere valido il matrimonio tra persone incapaci a contrarlo a motivo dell'impedimentum impotentiae".
170
Una questione analoga è trattata da PAOLO VI, Encicl. Humanae Vitae, 14: AAS60 (1968) 490-491.
171
GIOVANNI PAOLO II, Esort. apost. Familiaris Consortio, 14: AAS 74 (1982) 96.
70
L'inseminazione artificiale omologa all'interno del matrimonio non può essere ammessa, salvo il
caso in cui il mezzo tecnico risulti non sostitutivo dell'atto coniugale, ma si configuri come una
facilitazione e un aiuto affinché esso raggiunga il suo scopo naturale.
L'insegnamento del Magistero a questo proposito è stato già esplicitato172: esso non è soltanto
espressione di circostanze storiche particolari, ma si fonda sulla dottrina della Chiesa in tema di
connessione fra unione coniugale e procreazione, e sulla considerazione della natura personale
dell'atto coniugale e della procreazione umana. "L'atto coniugale, nella sua struttura naturale, è
un'azione personale, una cooperazione simultanea e immediata dei coniugi, la quale, per la stessa
natura degli agenti e la proprietà dell'atto, è l'espressione del dono reciproco, che, secondo la
parola della Scrittura, effettua l'unione "in una carne sola"173. Pertanto la coscienza morale "non
proscrive necessariamente l'uso di taluni mezzi artificiali destinati unicamente sia a facilitare l'atto
naturale, sia a procurare il raggiungimento del proprio fine all'atto naturale normalmente
compiuto"174. Se il mezzo tecnico facilita l'atto coniugale o l'aiuta a raggiungere i suoi obiettivi
naturali, può essere moralmente accettato. Qualora, al contrario, l'intervento si sostituisca all'atto
coniugale, esso è moralmente illecito.
L'inseminazione artificiale sostitutiva dell'atto coniugale è proibita in ragione della dissociazione
volontariamente operata tra i due significati dell'atto coniugale. La masturbazione, mediante la
quale viene normalmente procurato lo sperma, è un altro segno di tale dissociazione; anche
quando è posto in vista della procreazione, il gesto rimane privo del suo significato unitivo: "gli
manca… la relazione sessuale richiesta dall'ordine morale, quella che realizza, "in un contesto di
vero amore, l'integro senso della mutua donazione e della procreazione umana"175» (DV. Parte II,
6).
.
TERAPIA GENETICA
«Con il termine terapia genica si intende comunemente l’applicazione all’uomo delle tecniche di
ingegneria genetica con una finalità terapeutica, vale a dire, con lo scopo di curare malattie su
base genetica, anche se recentemente si sta tentando di applicare la terapia genica al trattamento
di malattie non ereditarie, ed in particolare al trattamento del cancro.
In teoria, è possibile applicare la terapia genica a due livelli: nelle cellule somatiche e nelle cellule
germinali.
La terapia genica somatica si propone di eliminare o ridurre difetti genetici presenti a livello delle
cellule somatiche, cioè delle cellule non riproduttive, che compongono i tessuti e gli organi del
corpo. Si tratta, in questo caso, di interventi mirati a determinati distretti cellulari, con effetti
confinati nel singolo individuo.
La terapia genica germinale mira invece a correggere difetti genetici presenti in cellule della linea
germinale, al fine di trasmettere gli effetti terapeutici ottenuti sul soggetto all’eventuale
discendenza del medesimo. Tali interventi di terapia genica, sia somatica che germinale, possono
essere effettuati sul feto prima della nascita – si parla allora di terapia genica in utero – o dopo la
nascita, sul bambino o sull’adulto» (DP 25).
172
Cf. Risposta del S. Uffizio, 17 marzo 1897: DS 3323; PIO XII, Discorso ai partecipanti al IV Congresso
Internazionale dei Medici Cattolici 29 Settembre 1949: AAS41 (1949) 560, Discorso alle congressiste dell'Unione
Cattolica Italiana Ostetriche, 29 ottobre 1951: AAS 43 (1951) 850; Discorso ai partecipanti al II Congresso Mondiale
di Napoli sulla fertilità e sterilità umana, 19 maggio 1956: AAS 48 (1956) 471 473; Discorso ai partecipanti al VII
Congresso Internazionale della Società Internazionale di Ematologia, 12 Settembre 1958: AAS 50 (1958) 733;
GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 111: AAS 53 (1961) 477.
173
PIO XII, Discorso alle congressiste dell'Unione Cattolica Italiana Ostetriche, 29 ottobre 1951: AAS43 (1951) 850.
174
PIO XII, Discorso ai partecipanti al IV Congresso Internazionale dei Medici Cattolici 29 settembre 1949: AAS 41
(1949) 560.
175
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione su alcune questioni di etica sessuale, 9:
AAS 68 (1976) 86, che cita a Costit. past. Gaudium et Spes, 51; cf. Decreto del S. Uffizio, 2 agosto 1929: AAS 21
(1929) 490: Pio XII Discorso ai partecipanti al XXVI Congresso indetto dalla Società Italiana di urologia, 8 ottobre
1953: AAS45 (1953) 678.
71
Per la valutazione morale occorre tener presenti queste distinzioni. Gli interventi sulle cellule
somatiche con finalità strettamente terapeutica sono in linea di principio moralmente leciti. Tali
interventi intendono ripristinare la normale configurazione genetica del soggetto oppure
contrastare i danni derivanti da anomalie genetiche presenti o da altre patologie correlate. Dato
che la terapia genica può comportare rischi significativi per il paziente, bisogna osservare il
principio deontologico generale secondo cui, per attuare un intervento terapeutico, è necessario
assicurare previamente che il soggetto trattato non sia esposto a rischi per la sua salute o per
l’integrità fisica, che siano eccessivi o sproporzionati rispetto alla gravità della patologia che si
vuole curare. È anche richiesto il consenso informato del paziente o di un suo legittimo
rappresentante.
Diversa è la valutazione morale della terapia genica germinale.
Qualunque modifica genetica apportata alle cellule germinali di un soggetto sarebbe trasmessa
alla sua eventuale discendenza. Poiché i rischi legati ad ogni manipolazione genetica sono
significativi e ancora poco controllabili, allo stato attuale della ricerca non è moralmente
ammissibile agire in modo che i potenziali danni derivanti si diffondano nella progenie. Nell’ipotesi
dell’applicazione della terapia genica sull’embrione, poi, occorre aggiungere che essa necessita di
essere attuata in un contesto tecnico di fecondazione in vitro, andando incontro quindi a tutte le
obiezioni etiche relative a tali procedure. Per queste ragioni, quindi, si deve affermare che, allo
stato attuale, la terapia genica germinale, in tutte le sue forme, è moralmente illecita» (DP. 26).
«Una considerazione specifica merita l’ipotesi di finalità applicative dell’ingegneria genetica diverse
da quella terapeutica.
Taluni hanno immaginato la possibilità di utilizzare le tecniche di ingegneria genetica per realizzare
manipolazioni con presunti fini di miglioramento e potenziamento della dotazione genetica. In
alcune di queste proposte si manifesta una sorta di insoddisfazione o persino di rifiuto del valore
dell’essere umano come creatura e persona finita. A parte le difficoltà tecniche di realizzazione,
con tutti i rischi reali e potenziali connessi, emerge soprattutto il fatto che tali manipolazioni
favoriscono una mentalità eugenetica e introducono un indiretto stigma sociale nei confronti di
coloro che non possiedono particolari doti e enfatizzano doti apprezzate da determinate culture e
società, che non costituiscono di per sé lo specifico umano. Ciò contrasterebbe con la verità
fondamentale dell’uguaglianza tra tutti gli esseri umani, che si traduce nel principio di giustizia, la
cui violazione, alla lunga, finirebbe per attentare alla convivenza pacifica tra gli individui. Inoltre, ci
si chiede chi potrebbe stabilire quali modifiche siano da ritenersi positive e quali no, o quali
dovrebbero essere i limiti delle richieste individuali di presunto miglioramento, dal momento che
non sarebbe materialmente possibile esaudire i desideri di ciascun singolo uomo. Ogni possibile
risposta a questi interrogativi deriverebbe comunque da criteri arbitrari ed opinabili. Tutto ciò porta
a concludere che una tale prospettiva d’intervento finirebbe, prima o poi, per nuocere al bene
comune, favorendo il prevalere della volontà di alcuni sulla libertà degli altri. Si deve rilevare infine
che nel tentativo di creare un nuovo tipo di uomo si ravvisa una dimensione ideologica, secondo
cui l’uomo pretende di sostituirsi al Creatore.
Nell’affermare la negatività etica di questo tipo di interventi, che implicano un ingiusto dominio
dell’uomo sull’uomo, la Chiesa richiama anche la necessità di tornare ad una prospettiva di cura
delle persone e di educazione all’accoglienza della vita umana nella sua concreta finitezza storica»
(DP 27).
UOMINI DI SCIENZA
«Vogliamo ora esprimere il nostro incoraggiamento agli uomini di scienza, i quali " possono dare
un grande contributo al bene del matrimonio e della famiglia e alla pace delle coscienze, se,
unendo i loro studi, cercheranno di chiarire più a fondo le diverse condizioni che favoriscono una
onesta regolazione della procreazione umana ".
È in particolare auspicabile che, secondo l’augurio formulato da Pio XII, la scienza medica riesca a
dare una base sufficientemente sicura ad una regolazione delle nascite, fondata sull’osservanza
dei ritmi naturali.
72
Così gli uomini di scienza, e in modo speciale gli scienziati cattolici, contribuiranno a dimostrare
con i fatti che, come la chiesa insegna, "non vi può essere vera contraddizione tra le leggi divine
che reggono la trasmissione della vita e quelle che favoriscono un autentico amore coniugale"»
(HV. 24).
VECCHIAIA
«La vecchiaia è segnata da prestigio e circondata da venerazione (cf. 2 Mac 6, 23). E il giusto non
chiede di essere privato della vecchiaia e del suo peso; al contrario così egli prega: “Sei tu,
Signore, la mia speranza, la mia fiducia fin dalla mia giovinezza... E ora, nella vecchiaia e nella
canizie, Dio, non abbandonarmi, finché io annunzi la tua potenza, a tutte le generazioni le tue
meraviglie” (Sal 71/70, 5.18). L'ideale del tempo messianico è proposto come quello in cui «non ci
sarà più... un vecchio che non giunga alla pienezza dei suoi giorni» (Is 65, 20).
Ma, nella vecchiaia, come affrontare il declino inevitabile della vita? Come atteggiarsi di fronte alla
morte? Il credente sa che la sua vita sta nelle mani di Dio: “Signore, nelle tue mani è la mia vita”
(cf. Sal 16/15, 5), e da lui accetta anche il morire: “Questo è il decreto del Signore per ogni uomo;
perché ribellarsi al volere dell'Altissimo?” (Sir 41, 4).
Come della vita, così della morte l'uomo non è padrone; nella sua vita come nella sua morte, egli
deve affidarsi totalmente al «volere dell'Altissimo», al suo disegno di amore» (EvV.46).
VESCOVI
«Cari e venerabili fratelli nell’episcopato, con i quali condividiamo più da vicino la sollecitudine del
bene spirituale del popolo di Dio, a voi va il nostro pensiero riverente e affettuoso al termine di
questa enciclica. A tutti rivolgiamo un pressante invito.
A capo dei vostri sacerdoti, cooperatori del sacro ministero, e dei vostri fedeli, lavorate con ardore
e senza sosta alla salvaguardia e alla santità del matrimonio, perché sia sempre più vissuto in tutta
la sua pienezza umana e cristiana. Considerate questa missione come una delle vostre più urgenti
responsabilità nel tempo presente. Essa comporta, come sapete, un’azione pastorale concertata in
tutti i campi della attività umana, economica, culturale e sociale: solo infatti un miglioramento
simultaneo in questi vari settori permetterà di rendere non solo tollerabile, ma più facile gioconda la
vita dei genitori e dei figli in seno alle famiglie, più fraterna e pacifica la convivenza nell’umana
società, nella rigorosa fedeltà al disegno di Dio sul mondo» (HV. 29).
«Ogni giorno i vescovi sono indotti a costatare le crescenti difficoltà che incontrano i fedeli nel
prendere coscienza della sana dottrina morale, specialmente in materia sessuale, e i pastori
nell'esporla con efficacia.
Essi si sentono chiamati, in forza del loro ufficio pastorale, a rispondere su questo punto così grave
ai bisogni dei fedeli ad essi affidati; e già importanti documenti sono stati pubblicati circa questa
materia da alcuni di loro, o da alcune conferenze episcopali. Tuttavia, poiché le opinioni erronee e
le deviazioni che ne risultano continuano a diffondersi dappertutto, la congregazione per la dottrina
della fede, in virtù della sua funzione nei confronti della chiesa universale176 e per mandato del
sommo pontefice, ha ritenuto necessario pubblicare la presente dichiarazione»(5.2)..
VIOLENZA CONTRO LA VITA
«Già il Concilio Vaticano II, in una pagina di drammatica attualità, ha deplorato con forza molteplici
delitti e attentati contro la vita umana. A trent'anni di distanza, facendo mie le parole dell'assise
conciliare, ancora una volta e con identica forza li deploro a nome della Chiesa intera, con la
certezza di interpretare il sentimento autentico di ogni coscienza retta: “Tutto ciò che è contro la
176
Cf. Cost. ap. Regimini ecclesiae universae. 15.8.1967, n. 29: EV 2/1569.
73
vita stessa, come ogni specie di omicidio, il genocidio, l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio
volontario; tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture inflitte
al corpo e alla mente, gli sforzi per violentare l'intimo dello spirito; tutto ciò che offende la dignità
umana, come le condizioni infraumane di vita, le incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la
schiavitù, la prostituzione, il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni
di lavoro con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di guadagno, e non come
persone libere e responsabili; tutte queste cose, e altre simili, sono certamente vergognose e,
mentre guastano la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano ancor più che non
quelli che le subiscono; e ledono grandemente l'onore del Creatore”177.
Purtroppo, questo inquietante panorama, lungi dal restringersi, si va piuttosto dilatando: con le
nuove prospettive aperte dal progresso scientifico e tecnologico nascono nuove forme di attentati
alla dignità dell'essere umano, mentre si delinea e consolida una nuova situazione culturale, che
dà ai delitti contro la vita un aspetto inedito e - se possibile - ancora più iniquo suscitando ulteriori
gravi preoccupazioni: larghi strati dell'opinione pubblica giustificano alcuni delitti contro la vita in
nome dei diritti della libertà individuale e, su tale presupposto, ne pretendono non solo l'impunità,
ma persino l'autorizzazione da parte dello Stato, al fine di praticarli in assoluta libertà ed anzi con
l'intervento gratuito delle strutture sanitarie.
Ora, tutto questo provoca un cambiamento profondo nel modo di considerare la vita e le relazioni
tra gli uomini.
La stessa medicina, che per sua vocazione è ordinata alla difesa e alla cura della vita umana, in
alcuni suoi settori si presta sempre più largamente a realizzare questi atti contro la persona e in tal
modo deforma il suo volto, contraddice sé stessa e avvilisce la dignità di quanti la esercitano.
L'esito al quale si perviene è drammatico: se è quanto mai grave e inquietante il fenomeno
dell'eliminazione di tante vite umane nascenti o sulla via del tramonto, non meno grave e
inquietante è il fatto che la stessa coscienza, quasi ottenebrata da così vasti condizionamenti,
fatica sempre più a percepire la distinzione tra il bene e il male in ciò che tocca lo stesso
fondamentale valore della vita umana» (EvV. 3-4).
VITA UMANA
«La vita dell'uomo proviene da Dio, è suo dono, sua immagine e impronta, partecipazione del suo
soffio vitale. Di questa vita, pertanto, Dio è l'unico signore: l'uomo non può disporne. Dio stesso lo
ribadisce a Noè dopo il diluvio: “Domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ognuno di suo
fratello” (Gn 9, 5). E il testo biblico si preoccupa di sottolineare come la sacralità della vita abbia il
suo fondamento in Dio e nella sua azione creatrice: “Perché ad immagine di Dio Egli ha fatto
l'uomo” (Gn 9, 6).
La vita e la morte dell'uomo sono, dunque, nelle mani di Dio, in suo potere: “Egli ha in mano
l'anima di ogni vivente e il soffio d'ogni carne umana”, esclama Giobbe (12, 10). “Il Signore fa
morire e fa vivere, scendere agli inferi e risalire” (1 Sam 2, 6). Egli solo può dire: “Sono io che do la
morte e faccio vivere” (Dt 32, 39).
Ma questo potere Dio non lo esercita come arbitrio minaccioso, bensì come cura e sollecitudine
amorosa nei riguardi delle sue creature» (EvV. 39).
«Il comandamento del “non uccidere”, incluso e approfondito in quello positivo dell'amore del
prossimo, viene ribadito in tutta la sua validità dal Signore Gesù. Al giovane ricco che gli chiede:
“Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?”, risponde: “Se vuoi entrare
nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19, 16.17). E cita, come primo, il “non uccidere” (v. 18).
Nel Discorso della Montagna, Gesù esige dai discepoli una giustizia superiore a quella degli scribi
e dei farisei anche nel campo del rispetto della vita: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non
uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio
fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Mt 5, 21-22)» (EvV. 41).
177
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 27.
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«Difendere e promuovere, venerare e amare la vita è un compito che Dio affida a ogni uomo,
chiamandolo, come sua palpitante immagine, a partecipare alla signoria che Egli ha sul mondo:
«Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e
dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla
terra"(Gn 1, 28).
Il testo biblico mette in luce l'ampiezza e la profondità della signoria che Dio dona all'uomo (42).
Una certa partecipazione dell'uomo alla signoria di Dio si manifesta anche nella specifica
responsabilità che gli viene affidata nei confronti della vita propriamente umana. È responsabilità
che tocca il suo vertice nella donazione della vita mediante la generazione da parte dell'uomo e
della donna nel matrimonio, come ci ricorda il Concilio Vaticano II: “Lo stesso Dio che disse: ‘non è
bene che l'uomo sia solo’ (Gn 2, 18) e che ‘creò all'inizio l'uomo maschio e femmina’ (Mt 19, 4),
volendo comunicare all'uomo una certa speciale partecipazione nella sua opera creatrice,
benedisse l'uomo e la donna, dicendo loro: ‘crescete e moltiplicatevi’ (Gn 1, 28)”178.
Parlando di “una certa speciale partecipazione” dell'uomo e della donna all' ”opera creatrice” di
Dio, il Concilio intende rilevare come la generazione del figlio sia un evento profondamente umano
e altamente religioso, in quanto coinvolge i coniugi che formano “una sola carne” (Gn 2, 24) ed
insieme Dio stesso che si fa presente.
La cosa non deve stupire: uccidere l'essere umano, nel quale è presente l'immagine di Dio, è
peccato di particolare gravità» (EvV. 43).
«Ad ogni essere umano, dal concepimento alla morte naturale, va riconosciuta la dignità di
persona. Questo principio fondamentale, che esprime un grande “sì” alla vita umana, deve essere
posto al centro della riflessione etica sulla ricerca biomedica, che riveste un’importanza sempre
maggiore nel mondo di oggi» (DP. 3).
«“Dio non ha fatto la morte, né si rallegra per la fine dei viventi!” (Sap. 1, 13). Certamente Dio ha
creato degli esseri che vivono per un tempo limitato, e la morte fisica non può essere assente dal
mondo dei viventi corporei. Ma ciò che è, anzitutto, voluto, è la vita; tutto, nell’universo visibile è
stato fatto in vista dell’uomo, immagine di Dio e coronamento del mondo (Gen. 1, 26-28). Sul piano
umano, “è per invidia del diavolo che la morte è entrata nel mondo” (Sap. 2, 24); introdotta a causa
del peccato, essa gli rimane legata, e ne è insieme il segno e il frutto. Ma essa non potrà
trionfare179. Confermando infatti la fede nella risurrezione, il Signore proclama nel Vangelo che Dio
“non è Dio dei morti, ma dei vivi” (Matth. 22, 32), e la morte, come il peccato, sarà definitivamente
vinta dalla risurrezione nel Cristo (1 Cor. 15, 20-27).
Così si comprende come la vita umana, anche su questa terra, sia preziosa. Ispirata dal
Creatore180, da lui è ripresa (Gen. 2, 7; Sap. 15, 11). Essa resta sotto la sua protezione: il sangue
dell’uomo grida verso di Lui (Gen. 4, 10) ed Egli ne domanderà conto, “perché ad immagine di Dio
è stato fatto l’uomo” (Gen. 9, 5-6). Il comandamento di Dio è formale: “Non uccidere” (Ex. 20, 13).
La vita è nello stesso tempo un dono e una responsabilità; ricevuta come un “talento” (Matth, 25,
14-30), essa deve essere valorizzata. Per farla fruttificare, si offrono all’uomo in questo mondo
molti compiti, ai quali egli non deve sottrarsi; ma più profondamente, il cristiano sa che la vita
eterna dipende per lui da ciò che, con la grazia di Dio, egli avrà operato nella sua vita terrestre.
La tradizione della Chiesa ha sempre ritenuto che la vita umana deve essere protetta e favorita fin
dal suo inizio, come nelle diverse tappe del suo sviluppo. Opponendosi ai costumi del mondo
greco-romano, la Chiesa dei primi secoli ha insistito sulla distanza che, su questo punto, separa da
essi i costumi cristiani. Nella Didachè è detto chiaramente: “Tu non ucciderai con l’aborto il frutto
del grembo e non farai perire il bimbo già nato”181. Atenagora sottolinea che i cristiani considerano
178
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 50.
CONC. ECUM. VAT. II, Cost. Lumen Gentium, 25: AAS 57, 1965, 29-31
180
Gli autori sacri non fanno considerazioni filosofiche sull’animazione, ma parlano del periodo della vita, che precede
la nascita, come oggetto dell’attenzione di Dio. Egli crea e forma l’essere umano, quasi plasmandolo con la sua mano.
Sembra che questo tema abbia la sua prima espressione in Ier. 1, 5. Lo si ritroverà in molti altri testi. Cfr. Is. 49, 13; 46,
3; Iob. 10, 8-12; Ps. 22, 10; 71, 6; 139, 13. Nel Vangelo leggiamo in S. Luca 1, 44: “Ecco, appena la voce del tuo saluto
è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo”.
181
Didachè Apostolorum, V, 2: ed. Funk, Patres Apostolici, I, 17; La Lettera di Barnaba, XIX, 5, utilizza le medesime
espressioni (Funk, o. c., I, 91-93)
179
75
come omicide le donne che usano medicine per abortire; egli condanna chi assassina i bimbi,
anche quelli che vivono ancora nel grembo della loro madre, dove si ritiene che essi “sono già
l’oggetto delle cure della Provvidenza divina”182. Tertulliano non ha forse tenuto sempre il
medesimo linguaggio; tuttavia egli afferma chiaramente questo principio essenziale: “È un omicidio
anticipato impedire di nascere; poco importa che si sopprima l’anima già nata o che la si faccia
scomparire sul nascere. È già un uomo colui che lo sarà”183» (6.6).
«Nel corso della storia, i Padri della Chiesa, i suoi Pastori e Dottori hanno insegnato la medesima
dottrina, senza che le diverse opinioni circa il momento dell’infusione dell’anima spirituale abbiano
introdotto un dubbio sulla illegittimità dell’aborto. Certo, quando nel medio evo era generale
l’opinione che l’anima spirituale non fosse presente che dopo le prime settimane, si faceva una
differenza nella valutazione del peccato e nella gravità delle sanzioni penali; eccellenti .autori
hanno ammesso, per questo primo periodo, soluzioni casuistiche più larghe, che respingevano per
i periodi seguenti della gravidanza. Ma nessuno ha mai negato che l’aborto procurato, anche in
quei primi giorni, fosse oggettivamente una grave colpa. Questa condanna è stata, di fatto,
unanime. Fra i tanti documenti, basterà ricordarne qualcuno. Il primo Concilio di Magonza,
nell’847, conferma le pene stabilite dai Concili precedenti contro l’aborto e decide che la più
rigorosa penitenza sarà imposta “alle donne che commettono fornicazione e uccidono i loro parti o
quelle che provocano l’eliminazione del frutto concepito nel loro grembo” 184. Il Decreto di Graziano
cita queste parole del Papa Stefano V: “È omicida colui che fa perire mediante aborto ciò che era
stato concepito”185. San Tommaso, dottore comune della Chiesa, insegna che l’aborto è un
peccato grave contrario alla legge naturale186.. Al tempo del Rinascimento, il Papa Sisto V
condanna l’aborto con la più grande severità187. Un secolo più tardi, Innocenzo XI condanna le
proposizioni di certi canonisti lassisti, che pretendevano di scusare l’aborto procurato prima del
momento in cui alcuni fissavano l’animazione spirituale del nuovo essere188. Ai nostri giorni, gli
ultimi Romani Pontefici hanno proclamato la medesima dottrina con la più grande chiarezza: Pio XI
ha risposto espressamente alle obiezioni più gravi189; Pio XII ha chiaramente escluso ogni aborto
diretto, cioè quello che è fine o mezzo al fine190; Giovanni XXIII ha richiamato l’insegnamento dei
Padri sul carattere sacro della vita “che, fin dal suo inizio, esige l’azione di Dio creatore”191. Più
recentemente, il Concilio Vaticano II, sotto la presidenza di Paolo VI, ha condannato con molta
severità l’aborto: “La vita, una volta concepita, deve essere protetta con la massima cura: l’aborto
182
ATENAGORA, Apologia per i cristiani, 35 (PG 6, 970: Sources Chrétiennes [ = S.C.] 3, p. 166-167). Ci si riferisce
anche alla Lettera a Diognete, V, 6 (FUNK, o. c., I, 399: S.C. 33, 63) che dice dei cristiani: “Essi procreano figli, ma
non eliminano i feti”.
183
TERTULIANO, Apologeticum, IX, 8 (PL I, 371-372: Corp. Christ. I, p. 103, 1. 31-36).
184
Canone 21 (MANSI, 14, 909). Cfr. il Concilio di Elvira, canone 63 (MANSI, 2, 16) e di Ancira, canone 21 (ibid.,
519). Si veda anche il decreto di Gregorio III riguardante la penitenza da imporre a coloro che si rendono colpevoli di
tale crimine (MANSI, 12, 292, c. 17).
185
GRAZIANO, Concordia discordantium canonum, c. 2, q. 5, c. 20. Durante il medio evo, si ricorre spesso all’autorità
di S. Agostino, il quale scrive a tale proposito nel De nuptiis et concupiscentiis, c. 15: «Talvolta questa crudeltà
libidinosa o questa libidine crudele giungono a procurarsi delle pozioni che rendono sterili. Se il risultato non viene
raggiunto, la madre estingue la vita ed espelle il feto che era nelle sue viscere, di modo che il bimbo muore prima
d’esser vissuto o, se il bimbo viveva già nel seno materno, viene ucciso prima di nascere» (PL 44, 423-424: CSEL 42,
230. Cfr. GRAZIANO, o. c., c. 32, q. 2, c. 7).
186
S. TH. In IV Sententiarum, dist. 31.
187
Constitutio Effraenatam del 1588 (Bullarium Romanum, V, 1, pp. 25-27; Fontes Iuris Canonici, I, n. 165, pp. 308311).
188
Denz-Schon 2134 (1184). Cfr. anche la Costituzione Apostolicae Sedis di Pio IX (Acta Pii IX V, 55-72; ASS 5,
1869, 287-312; Fontes Iuris Canonici, III, n. 552, pp. 24-31).
189
Casti connubii: AAS 22, 1930, 562-565; Denz-Schon 3719-21 (2242- 2244).
190
Le dichiarazioni di Pio XII sono esplicite, precise e numerose; da sole richiederebbero uno studio completo. Citiamo
soltanto, perché formula il principio in tutta la sua universalità, il Discorso all’Unione Italiana Medico-Biologica “San
Luca”, del 12 novembre 1944: “Finché un uomo non è colpevole, la sua vita è intangibile, ed è quindi illecito ogni atto
tendente direttamente a distruggerla, sia che tale distruzione venga intesa come fine o soltanto come mezzo al fine, sia
che si tratti di vita embrionale o nel suo pieno sviluppo ovvero giunta ormai al suo termine” (Discorsi e radiomessaggi,
VI, p. 191).
191
GIOVANNI XXIII, Mater et Magistra: AAS 53, 1961, 447.
76
e l’infanticidio sono abominevoli delitti”192. Lo stesso Paolo VI, parlando a più riprese di tale
argomento non ha esitato a dichiarare che questo insegnamento della Chiesa “non è mutato ed è
immutabile”193» (6.7).
VOLONTARIATO
«Uno specifico ruolo sono chiamate a svolgere le persone impegnate nel volontariato: esse offrono
un apporto prezioso nel servizio alla vita, quando sanno coniugare capacità professionale e amore
generoso e gratuito.
Il Vangelo della vita le spinge ad elevare i sentimenti di semplice filantropia all'altezza della carità
di Cristo; a riconquistare ogni giorno, tra fatiche e stanchezze, la coscienza della dignità di ogni
uomo; ad andare alla scoperta dei bisogni delle persone iniziando - se necessario - nuovi cammini
là dove più urgente è il bisogno e più deboli sono l'attenzione e il sostegno» (EvV. 90).
192
CONC. ECUM. VAT. II, COST. Gaudium et Spes, II, c. 1, n. 51. Cfr. n. 27 (AAS 58, 1966, 1072; cfr. 1047).
Alloc. Salutiamo con paterna effusione, del 9 dicembre 1972, AAS 64, 1972, 777. Tra le testimonianze di questa
dottrina immutabile si ricorda la Dichiarazione del Santo Uffizio, che condanna l’aborto diretto (ASS 17, 1884, 555.556;
22, 1888 1890, 748; Denz-Schon 3258 - 1890).
193
77