leggi tutto - Società Storica Civitavecchiese
Transcript
leggi tutto - Società Storica Civitavecchiese
E l’aquila sveva scese sui monti della Tolfa ECCO I DISCENDENTI DEL BARBAROSSA Nel 1939 Hitler volle rintracciare gli ultimi eredi dell’Imperatore Federico I di Livio Spinelli In un recente articolo su ALTRA VOCE rievocammo, con dovizia di particolari e foto, il 50° anniversario del viaggio in Italia di Hitler, durante il quale il Führer venne anche a S.Marinella e Furbara accolto dal Re d’Italia e Mussolini per assistere ad una esercitazione aeronavale e terrestre e partecipare allo storico pranzo al Castello Odescalchi. Ci sono tuttavia altri episodi direttamente legati al Führer, avvenuti dalle nostre parti, anche se poco noti. Uno in particolare lo venni a sapere da un mio zio di Tolfa, che me ne parlò dopo aver letto una notizia - su un noto quotidiano - che gli aveva fatto ricordare di quando i carabinieri, prima della guerra, vennero a cercare sui Monti della Tolfa i discendenti dell’Imperatore Barbarossa, dei quali probabilmente Hitler era venuto a conoscenza durante questo viaggio. Il fatto mi incuriosì al punto da spingermi ad incontrare le persone direttamente coinvolte in questa storia – oggi residenti a Ceri - per conoscere questa vicenda nei particolari. Alcuni mesi dopo il viaggio in Italia Adolf Hitler si era intestardito a voler rintracciare i discendenti del Barbarossa. Sapeva che c’erano, li mandò a cercare, li trovò, li gratificò con una ingente somma, ma non ebbe il tempo, o forse non ardì di ricondurli con tutti gli onori nella Germania neoimperiale. L'Aquila sveva del loro superbo casato si era nel frattempo troppo spelacchiata. Gli ultimissimi pronipoti facevano i carrettieri sui monti della Tolfa o Ceriti, parlavano burino, fuggivano all’arrivo dei carabinieri di scorta all’ambasceria del Führer, temendo di essere arrestati. Ma come erano finiti i discendenti del Barbarossa a fare i carrettieri sui monti della Tolfa? La nostra storia inizia in un paesino in collina a 60km da Roma nei pressi dell’autostrada per l’Aquila: ANTICOLI CORRADO, con un bellissimo ed altero vecchio spiantato che viveva di mistero, sempre avvolto in un mantellone, leggende di antiche risse, occhi azzurri, viso aguzzo, raramente un sorriso. Si chiamava Antonio Corrado, ma lo chiamavano l’Impunito. Uno di quei soprannomi di taverna che nei paesi si danno più per rispetto che per dispetto, per riverenza della diversità, ai personaggi che la fantasia popolare immagina al di fuori del bene e del male, venuti dalle ombre. La sua inavvicinabilitá di cencioso e di scontroso aveva un che di regale. Misteri ed inconscio, della razza. In effetti quel barbone misantropo viveva nel paese che portava il nome e il segno dei suoi lontanissimi antenati. Anticoli Corrado era rinomata per le splendide e pettorute popolane, modelle dei pittori famosi che, quando non riuscivano a farsele amanti, le sposavano. Ma Anticoli Corrado ( Corrado come il cognome dell’Impunito e come i nomi storici dei cugini imperiali Corrado e Corradino di Svevia) è anche il paese dei discendenti degli Hohenstaufen. (la famiglia dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Federico Barbarossa) che avevano mischiato il loro medioevale sangue tedesco e ghibellino con quello italiano. L’Impunito era, appunto, a un postero in linea diretta degli Hohenstaufen, poi ribattezzati Corrado o Corradi. Non c'erano dubbi. L'avevano accertato certi studi compiacenti ma esatti che, sul finire degli anni Trenta, gli storici ammanicati con Hitler e docili a i suoi sogni di restauratore imperiale dell'Ordine Nuovo europeo, che fu del grande Federico, si erano premurati di approfondire. Da Roma un funzionario del Centro di Cultura Tedesco, il poeta Schulemberg, aveva inviato una segnalazione all'«Ufficio ricerche razza» della Cancelleria del Reich. Quando i tedeschi andarono a cercare l’Impunito ad Anticoli per osannarlo ultimo discendente di Barbarossa, questi era già morto. All'ambasceria, guidata da un distinto signore in nero con grossa borsa di cuoio, non restò altro che mettersi a caccia del suoi figli, un maschio e due femmine. Domenico, Vittoria e Giovanna, che però non risiedevano ad Anticoli Corrado. Erano fuggiti da quel padre impossibile rifugiandosi a Ceri dove facevano i carrettieri tra l’Aurelia e i Monti della Tolfa. L'episodio é pressoché sconosciuto. Ne accenna soltanto uno studioso locale, un sacerdote, Padre Gabriele Carosi, che alla gloria araldica di Anticoli Corrado e del Corrado ex Hohenstaufen ha dedicato un piccolo erudito saggio dal titolo, appunto «Discendenti di Barbarossa». Come è noto i rapporti tra gli Hohenstaufen e il Papato nel Lazio, erano rapporti tumultuosi, di incoronazioni e anatemi. Per la cronaca l’esercito imperiale di Federico Barbarossa, comandato dal cancelliere Rainaldo vescovo di Colonia, dopo aver attraversato la maremma nel 1167 assediò per circa 2 mesi Civitavecchia. La popolazione della città, asserragliata nella solidissima Rocca e capeggiata dal figlio di Pietro Latro, sempre di nome Pietro, oppose una strenua resistenza rendendo vano ogni assalto delle fitte schiere imperiali germaniche, permettendo a Roma di consolidare le proprie difese. Solo l’intervento di Pisa, fedele all’Imperatore, con la sua flotta, riuscì ad impedire il trasporto di vettovaglie ed ogni soccorso via mare, facendo capitolare Civitavecchia che si arrese con patti onorevoli. Ma dicevamo della molto ambiziosa e poco epica ambasceria di Hitler: a Ceri viveva ancora la signora Giovanna Corrado vedova Pagnotta novantaseienne ma diritta e solenne come suo padre l'Impunito, ogni giorno una «passeggiata della salute» con passo lento e cadenzato come quello del kaiser. Era una dei tre Corrado ex Hohenstaufen, che i tedeschi rintracciarono a Ceri non avendoli trovati ad Anticoli. I tedeschi cercavano un maschio, il continuatore del nome e della stirpe. I carabinieri fecero da interprete. Giovanna raccontava che la sorella Vittoria si sdegnò e si mise a gridare che il fratello Domenico non aveva fatto niente di male e neppure il nipote Fernando. Poi, però, si trovarono in mano un assegno, chi dice trentamila, chi centomila, un capitale per quell’epoca. La «scoperta» rimbalzò in Germania molto enfatizzata, senza i particolari più deludenti, e qualche mese dopo arrivò a Ceri un principe prussiano per chiedere in sposa donna Giovanna, non sapendo che faceva la contadina. Sembra però che fu Giovanna a tirarsi indietro, non il principe. Voleva sposare un suo pari dei campi, non del blasone: un certo Pagnotta anch’egli carrettiere. A Ceri oggi ci sono altri Corrado, ma soprattutto donne che hanno cambiato cognome. Vivono sparpagliati tra il paese e la campagna, accuratamente ignari del loro pedigree. Santina, una nipote dell’Impunito, e la «Sora Lella» avevano una trattoria che faceva dell'ottima, polenta con salsicce, dove l’aquila sveva avrebbe rischiato di essere confusa per un palombaccio da fare allo spiedo. Esse non si inorgogliscono quando gli si spiega loro che discendono da una famiglia, che ha fatto la storia. Conservano riflessi metallici nello sguardo e tratti decisi. Al tavolo con la polenta di Santina, si cerca di ricostruire una genealogia per sapere se c’è per caso un figlio maschio, l'ultimo ignaro portanome e futuro ignaro continuatore del casato. C'è un Domenico muratore, che vive a Roma, nipote ed omonimo di Domenico che cercavano i carabinieri per i conto dei tedeschi. Gli è nato un pupo. Evviva. Si chiama Fabrizio, i lampi azzurri negli occhi alteri di questo giovanissimo Corrado ex Hohenstaufen baluginano solo per chiedere: ma che vi frega?