atti sia pisa s.anna 2014 - Società Italiana di Agronomia

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atti sia pisa s.anna 2014 - Società Italiana di Agronomia
 Società Italiana di Agronomia Atti del XLIII Convegno Nazionale “La sostenibilità dell’intensificazione colturale e le politiche agricole: il ruolo della ricerca agronomica” 17 ‐ 19 settembre 2014 Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa Comitato Scientifico Salvatore Cosentino (Presidente SIA) Enrico Bonari Mariana Amato Stefano Bocchi Michele Monti Francesco Morari Simone Orlandini Amedeo Reyneri Domenico Ventrella Comitato Organizzatore Enrico Bonari (Presidente) Marco Mazzonicini Laura Ercoli Paolo Bàrberi Camilla Moonen Giorgio Ragaglini Simona Bosco Cristiano Tozzini Tiziana Sabbatini Elisa Pellegrino Nicola Silvestri Nicoletta Nassi o Di Nasso Ricardo Villani Federico Triana Elisa Marraccini Gionata Bocci Federica Bigongiali Stefano Carlesi Rudy Rossetto Chiara Carbonaro Impaginazione e realizzazione del volume a cura di: Francesco Fornaro e Alessandro Vittorio Vonella Atti del XLIII Convegno della Società Italiana di Agronomia - Pisa, 17-19 Settembre 2014
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Indice Relazioni a invito La ricerca agronomica e la sostenibilità dell’intensificazione colturale nell’agricoltura italiana E. Bonari Quale futuro per l’agricoltura di fronte alle grandi sfide dell’alimentazione mondiale. Il rapporto con le politiche agricole D. Casati La sostenibilità delle colture non‐alimentari; il ruolo della ricerca agronomica M. Mazzoncini  •   •   •  Comunicazioni orali Sessione 1 & 2 ‐ Pianificazione territoriale, intensificazione colturale e modelli di simulazione Intensificazione sostenibile del sistema foraggero per l’azienda zootecnica da latte in Pianura Padana. Borreani G., L. Comino, E. Tabacco pag. 7 pag. 19 pag. 25 pag. 37 Barriere e motivazioni nell’adozione di buone pratiche agrarie presso gli agricoltori italiani analizzate con la teoria del comportamento pianificato. Costamagna C., C. Grignani, L. Zavattaro, L. Bechini pag. 38 L' impatto del greening sull' agricoltura toscana. Landi C., L. Fastelli, M. Rovai, F. Bartolini, G. Brunori pag. 39 Indicatori dell’intensità dei sistemi agricoli: un’analisi della letteratura. Ruiz Martines I., E. Marraccini, M. Debolini, E. Bonari pag. 40  •   •   • 
Sessione 3 ‐ Tecniche colturali e qualità dei cereali e di altre colture Evapotraspirazione del frumento duro in litosuoli con i modelli CRITERIA e AquaCrop. Campi P., F. Modugno, M. Mastrorilli, F. Tomei, G. Villani, V. Marletto pag. 41 Sfide scientifiche e tecnologiche come strumento didattico in un corso di Sistemi Colturali: bilancio dopo cinque anni di esperienze. Confalonieri R. pag. 42 Il progetto Against: AnalyzinG human And model contributioNS to the uncertainTy in simulation results. Confalonieri R., C. Gilardelli, E. Movedi, F. Orlando et al. pag. 43 Scelta varietale e impiego di living mulch per migliorare l’abilità competitiva del frumento tenero. Costanzo A., P. Bàrberi pag. 44 _________________________________________________________________________________________________________
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Impatti dei cambiamenti climatici sulla distribuzione dei pascoli montani dell’appennino. Dibari C., G. Argenti, F. Catolfi, M. Moriondo, N. Staglianò, M. Bindi pag. 45 Un’analisi delle relazioni tra l’intensità dei sistemi produttivi periurbani e l’orientamento commerciale delle aziende. Filippini R., E. Marraccini, S. Lardon, E. Bonari pag. 46 Gestione dei residui colturali durante la fase di transizione all’agricoltura conservativa in ambiente mediterraneo per produzioni di frumento duro (Triticum durum Desf.) di qualità. Galieni A., F. Stagnari, S. Speca, M. Pisante pag. 47 Nuovo germoplasma di frumento duro con migliorate caratteristiche di produttività associate al trasferimento di segmenti cromosomici della specie selvatica Thinopyrum ponticum. Kuzmanović L., R. Ruggeri, F. Rossini, C. Ceoloni L’individuazione e la gestione delle aree agricole ad alto valore naturale. Lazzerini G., P. Merante, V. Moschini, P. Migliorini, C. Pacini, C. Vazzana pag. 48 pag. 49 Percorsi agronomici per migliorare e stabilizzare produzione e qualità di frumenti di forza coltivati in differenti condizioni agronomiche ed ambientali. Marinaccio F., M. Blandino, A. Reyneri pag. 50 Water saving and reduced arsenic uptake in aerobic rice (Oryza sativa L.): feasibility of drip irrigation under Mediterranean climate. Ragaglini G., F. Triana, C. Tozzini, F. Taccini, A. Mantino, A. Puggioni, E. Vered, E. Bonari È giusto dare un sostegno economico alle aziende agricole che optano per l’Agricoltura Conservativa? Valutazione dell’impatto economico e ambientale. Rinaldi M., C. Maddaluno, M. Mucci, M. Russo, A. Troccoli
Il ruolo dell'agronomia territoriale e dell'ecologia del paesaggio a supporto della gestione integrata delle aree rurali. Rizzo D., E. Marraccini, E. Padoa‐Schioppa pag. 51 pag. 52 pag. 53 Valutazione agronomica della fertilizzazione azotata del frumento duro (Triticum durum Desf.) nella fase di transizione all’Agricoltura Conservativa. Stagnari F., G. Visioli, N. Marmiroli, A. Galieni, S. Speca, M. Pisante pag. 54  •   •   • 
Sessione 4 ‐ Agricoltura biologica e ricerche sulla flora infestante Innovative strategies for weed control in organic spinach and cauliflower organic crop systems. Bigongiali F., S. Carlesi, D. Antichi, M. Fontanelli, C. Frasconi, A. Peruzzi, P. Bàrberi pag. 55 L’integrazione del sovescio di veccia vellutata con compost arricchiti in fosforo aumenta la sostenibilità di un sistema colturale biologico senza produzione animale? Effetti sul mais e sulla vegetazione infestante. Carlesi S., F. Bigongiali, D. Antichi, P. Bàrberi pag. 56 Metodo e dispositivo di semina per il contrasto delle erbe infestanti nei sistemi cerealicoli. De Vita P., I. Pecorella, S. A. Colecchia pag. 57 Produzioni e bilancio apparente dell’azoto del melone in un confronto di lungo periodo tra un sistema biologico e uno convenzionale a basso input. Farneselli M., P. Benincasa, G. Tosti, F. Tei, M. Guiducci pag. 58 _________________________________________________________________________________________________________
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La gestione integrata delle piante infestanti riduce la densità della banca semi aumentando la sostenibilità ecologica e salvaguardando quella produttiva. Moonen A. C., S. Carlesi, P. Bàrberi pag. 59 Sistemi colturali per colture di IV gamma: osservazioni annuali sull’effetto delle dosi di diversi ammendanti organici verso produzione commerciabile, concentrazione di nitrati nelle foglie, contenuto di C organico nel suolo. Morra L., M. Bilotto, S. Baiano, D. Cerrato pag. 60  •   •   • 
Sessione 5 ‐ Emissione di gas ad effetto serra e gestione agronomica del suolo Effetto della fertilizzazione e della gestione del suoli sull’emissione di gas ad effetto serra in una azienda zootecnica della pianura padana. Amaducci S., A. Perego, M. Chiazzese, C. Chimento, A. Finco, G. Gerosa pag. 61 Exploration of conditions for the adoption of no‐tillage agriculture via Bayesian network modeling. A case study from the Chaouia‐Ouardigha Region, Morocco. Bonzanigo L., C. Giupponi pag. 62 La valutazione della sostenibilità delle filiere agroalimentari: dall'analisi LCA alla comunicazione al consumatore. Bosco S., R. Villani, G. Ragaglini, G. Olivieri, F. Falcone, L. Rocchi, F. Rossi, T. De Filippis, G. Garcea, F. Piva, A. Luisi, G. Legnani, R. De Natale pag. 63 Monitoring and mitigation of N2O emissions from Tuscany agriculture: the LIFE+IPNOA project. Bosco S., I. Volpi, F. Triana, N. Roncucci, N. Nassi o Di Nasso, C. Tozzini, R. Villani, S. Neri, F. Mattei, G. Virgili, P. Laville, S. Nuvoli, L. Fabbrini, E. Bonari pag. 64 Emissione di CO2 dal terreno in condizioni ambientali ed agronomiche diversificate. Guarnaccia P., V. Copani, G. Testa, P. Caruso pag. 65 Valutazione delle emissioni di CO2 da suolo agrario a seguito dello spandimento della frazione fluida di digestato. Maucieri C., M. Borin pag. 66 Simulazione di flussi di carbonio da ecosistemi pratensi: applicazione del modello colturale ARMOSA al sito di Laqueuille (Francia). Perego A., M. Sanna, M. Fumagalli, M. E. Chiodini, G. Bellocchi, M. Acutis pag. 67 Perennial forage cover as soil conservation measure: a case study in southern Tuscany. Vallebona C., E. Pellegrino, A. Mantino, E. Bonari pag. 68  •   •   • 
Sessione 6 ‐ Colture da biomassa per energia Analisi della filiera per l’impiego ad uso energetico in impianti di digestione anaerobica del tutolo, un sottoprodotto del mais da granella. Blandino M., C. Fabbri, C. Ferrero, A. Reyneri pag. 69 Produttività della barbabietola da zucchero per energia irrigata con acque reflue. Campi P., A. Navarro, A. D. Palumbo, M. Solimando, C. Vitti, M. Mastrorilli pag. 70 _________________________________________________________________________________________________________
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Le colture da energia possono contenere il livello di nitrati nel suolo anche se fertilizzate con liquami bovini e concimi minerali. Ceotto E., R. Marchetti, F. Castelli pag. 71 Resa e qualità della biomassa di canna comune (Arundo donax L.) in un'area marginale del sud Italia. D'Andrea L., C. Vitti, M. Mastrangelo, N. Martinelli, G. Rana, M. Mastrorilli pag. 72 Nitrogen use efficiency and land use saving of giant reed (Arundo donax L.) for biomethane production compared to arable crops. Dragoni F., G. Ragaglini, E. Corneli, N. Nassi o Di Nasso, C. Tozzini, S. Cattani, E Bonari Caratterizzazione degli apparati radicali di piante idonee alla fitodepurazione e alla produzione di biomassa per bioenergie. Florio G., M. Borin, C. Maucieri pag. 73 pag. 74 Gestione delle paglie cerealicole: destino energetico o valorizzazione agronomica? La proposta di un connubio virtuoso e lungimirante. Monteleone M., A. R. Bernadette Cammerino, P. Garofalo, A. Libutti pag. 75 Efficiency of nitrogen in miscanthus and switchgrass under Mediterranean conditions. Nassi o Di Nasso N., N. Roncucci, G. Ragaglini, F. Triana, C. Tozzini, F. Taccini, M. V. Lasorella, E. Bonari pag. 76 Potenzialità dell’impiego della biomassa di cardo per la produzione di metano mediante digestione anaerobica. Raccuia S., P. Calderaro, C. Leonardi, L. Sollima, C. Genovese, M. G. Melilli pag. 77 Growing giant reed (Arundo donax L.) in a marginal soil: short‐term effect on soil organic carbon. Roncucci N., N. Nassi o Di Nasso, G. Ragaglini, F. Triana, S. Bosco, C. Tozzini. Enrico Bonari pag. 78 Geotropismo radicale e assorbimento idrico in porzioni distinte del profilo radicale di Arundo donax L. Sartoni R., W. Zegada‐Lizarazu, A. Monti pag. 79 Risposta al contenuto idrico del suolo di Saccharum spontaneum spp. aegyptiacum, potenziale coltura da biomassa per energia in ambiente semi‐arido mediterraneo. Scordia D., G. Testa, V. Copani, C. Patané, S. L. Cosentino pag. 80 In‐field harvest and storage of sweet sorghum. Zegada‐Lizarazu W., A. Vecchi, A. Monti pag. 81  •   •   • 
Elenco dei poster pag. 82 _________________________________________________________________________________________________________
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Società Italiana di Agronomia XLIII Convegno Nazionale La sostenibilità dell’intensificazione colturale e le politiche agricole: il ruolo della ricerca agronomica La ricerca agronomica e la sostenibilità dell’intensificazione colturale nell’agricoltura italiana Enrico Bonari Istituto di Scienze della Vita Scuola Superiore Sant’Anna 17 – 19 settembre 2014 Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa _________________________________________________________________________________________________________
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La ricerca agronomica e la sostenibilità dell’intensificazione colturale nell’agricoltura italiana 1. Premessa Nel quadro sull’evoluzione complessiva dell’agricoltura moderna il termine di “intensificazione sostenibile” recentemente coniato riguardo ai processi produttivi agricoli è stato – com’è noto ‐ usato per indicare la principale risposta alle diverse “sfide” che ci attendono in tema di sicurezza alimentare mondiale; “sfide” che – anche se non del tutto definite in termini quantitativi e nelle diverse parti del pianeta ‐ derivano dalla crescita demografica ed economica mondiale, dalla scarsità di suolo agricolo e di acqua irrigua disponibili, dai rischi e dalle insicurezze legate ai cambiamenti climatici in atto, dai fenomeni di inquinamento talvolta registrati in ambito agricolo e dalle perdite di biodiversità e di fertilità del suolo sovente lamentate. A livello mondiale appare inoltre ormai pressoché scontato che ‐ senza nulla togliere all’importanza che deve essere ulteriormente riservata agli sforzi già in atto per contenere, dov’è il caso, il consumo di cibo, per ridurre gli sprechi e per la messa a punto di diversi stili di vita e di una sempre migliore educazione alimentare ‐ gli incrementi richiesti (sia per le produzioni agricole food che per le no‐food) dovranno soprattutto derivare da sempre maggiori rese medie unitarie sui terreni agrari già oggi disponibili, piuttosto che dalla acquisizione di nuove superfici da coltivare; processo questo che sarebbe particolarmente dannoso per il clima, la qualità dell’ambiente e la biodiversità dell’intero pianeta ... semmai, come ci ha ricordato anche Casati, sull’entità della crescita necessaria e sulla sua più coerente e corretta distribuzione di questa nelle diverse aree del mondo, non tutto sembra essere definitivamente chiarito. Negli anni la bibliografia mondiale in tal senso mette certamente in luce un crescendo significativo dei lavori pubblicati, sia per il numero dei richiami che per l’autorevolezza delle riviste e degli autori coinvolti, ma al di là delle indicazioni strategiche che ne derivano, rispetto alle specifiche soluzioni alternative da indicare e da percorrere nei diversi contesti operativi, si ha l’impressione di essere ancora lontani dall’aver concluso il lavoro, sia rispetto alle possibili proposte tecnico‐agronomiche a livello delle imprese agricole, sia nelle relative valutazioni economiche e politico‐sociali. Una stima condivisibile della FAO per la prossima metà‐secolo prevede infatti che la produzione annua di cereali dovrà portarsi a 3 miliardi di tonnellate (circa 1/3 in più rispetto a oggi), quella di soia dovrà aumentare del 140% e quella di carne dovrà raggiungere i 470 milioni di tonnellate (duecento in più di quelle attuali); e poiché negli ultimi 50 anni l’espansione dei suoli coltivati ha contribuito all’aumento della disponibilità di cibo per meno del 30 %, e l’incremento delle rese ha coperto oltre il 70% del fabbisogno, la previsione che l’ulteriore aumento di produzione dovrà realizzarsi proprio attraverso la maggiore resa unitaria delle colture viene ulteriormente confermata. In estrema sintesi sembra comunque che l’agricoltura mondiale sia chiamata ad incrementare le produzioni agroalimentari di circa il 70‐80% da qui al 2050. Da studioso di problemi agronomici, però, mi sembra che, nelle valutazioni rese note, spesso non appare del tutto chiaro che le azioni necessarie per raggiungere in modo “sostenibile” l’obiettivo previsto nelle diverse parti del mondo, non hanno carattere universale; e non si registri a sufficienza come – invece – queste dipendono in gran parte dalle specifiche condizioni agro‐ambientali di partenza (quelle del livello della produttività agricola attuale), dalle caratteristiche economiche e sociali dei diversi Paesi, dalle concrete possibilità di migliorare in tempi ravvicinati le tecnologie oggi utilizzate, dalle peculiarità e tipicità dei differenti territori, dalle politiche d’indirizzo intraprese e, non di secondaria importanza, dal sostegno possibile alle “diverse agricolture”. In Europa, ad esempio, è ormai opinione diffusa che qui si realizzi ‐ già oggi ‐ un’agricoltura tra le più intensive del pianeta, tanto che nelle più recenti linee politiche di indirizzo dell’UE, sia nell’ambito della PAC 2014‐ 2020 che nei documenti relativi alle proposte di “ricerca e innovazione” – come anche nelle trattazioni della stampa tecnica occidentale ‐ viene sempre più spesso invocata la necessità di una maggiore “riduzione di velocità” nell’impiego degli input tecnici ed energetici di vario genere nella gestione dell’agricoltura; e cioè una maggiore estensivizzazione dei processi produttivi. Anche la Fondazione RISE (Rural Investment Support for Europe), guidata da Franz Fischler, noto ex commissario europeo all’agricoltura, ha sostenuto che, trattandosi l’UE di un’area agricola per lo più _________________________________________________________________________________________________________
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caratterizzata da alti costi di produzione, dove le esportazioni sono sostanzialmente costituite da prodotti trasformati di alta qualità e come tali non adatti come fonte di calorie a basso costo per i Paesi più poveri, un’eventuale riduzione della produzione conseguente alle misure agro‐ambientali non deve destare alcuna preoccupazione per la sicurezza alimentare mondiale. La stessa fonte ritiene che anche la eventuale sottrazione di pochi punti percentuali di terreno agricolo coltivato nel nostro continente ‐ cioè un altro po’ di abbandono – non debba preoccuparci molto, in quanto essa può essere adeguatamente compensata dall’“ordinario” e storico aumento della produttività e dalla contemporanea riduzione degli sprechi. Tanto che, conclude, gran parte della pressione necessaria per ottenere maggior produzione alimentare a livello mondiale si realizzerà fuori dai confini dell’UE; da ciò deriva che nell’agricoltura del vecchio continente si deve senz’altro dare maggiore enfasi alla seconda parola (sostenibile) che non alla prima (intensificazione) della nostra allocuzione. Premetto subito che, a me personalmente, non sembra questo un ragionamento del tutto coerente, sia rispetto al fatto che si consideri “a priori” impossibile realizzare un adeguato equilibrio fra sostenibilità dei processi produttivi e la prevista crescita delle rese medie unitarie; sia che si possa ancora contare su un ulteriore “scontato” aumento delle rese medie unitarie (almeno per i cereali molti dubbi stanno sorgendo da più parti); sia ‐ e ancor più ‐ rispetto alle esigenze complessive (e non solo alimentari) delle popolazioni e dei territori dell’Unione e, del nostro Paese in particolare, dove invece a mio avviso,dopo troppi anni di indecisioni e diversi errori di programmazione – soprattutto a danno dell’agricoltura delle aree mediterranee ‐ occorre che si torni a coltivare e a produrre anche ai fini di una più efficace conservazione attiva del territorio rurale. Ed è con questa convinzione che ho accettato l’onere e l’onore offertomi oggi – e di cui ringrazio ‐ dalla Società Italiana di Agronomia di tenere questa relazione introduttiva. 2. Sulla “intensificazione sostenibile” o della sostenibilità dell’intensificazione colturale Linguisticamente parlando il termine “intensificazione sostenibile” potrebbe senz’altro apparire come un “ossimoro” (e come tale pieno di contraddizioni) che però, pur non risultando molto gradito in ambito scientifico, esprime con adeguata semplicità un concetto utile ed estrapolabile (sia a livello planetario che a scala locale); un termine che, da un lato, punta a rendere più immediata la comprensione da parte di tutti coloro cui spetta prendere, a vario livello, le più opportune decisioni di indirizzo relativamente all’attività primaria (vedremo presto come tutto questo sarà interpretato dai PSR italiani) e, dall’altro lato, serve a rendere sempre più chiara e palpabile, da parte degli operatori del mondo agricolo, la necessità di perseguire una gestione aziendale con il miglior bilancio possibile tra produzione utile e rispetto dell’ambiente. In questi tre giorni di convegno non sarà possibile discutere con il dettaglio che merita di quando, di quanto e di come la ricerca agronomica ha potuto e potrà aiutare sia l’agricoltura moderna che la società tutta a fornire alle diverse popolazioni del mondo (sempre più urbanizzate), oltre che cibo a sufficienza, anche un crescente insieme di servizi eco‐sistemici; e non sarà neppure possibile trattare compiutamente di quanto sia altrettanto indispensabile valutare come l’attività primaria possa ulteriormente contribuire alla “mitigazione” delle cause dei cambiamenti climatici in atto, ma è evidente che questi temi sono diventati ormai parte integrante di molti programmi e progetti di ricerca (di cui anche in questi tre giorni saremo ulteriormente informati per la componente nazionale). Gli studiosi di discipline agrarie di tutto il mondo hanno preso a trattare sempre più spesso del concetto di sostenibilità dell’“intensificazione colturale” dei processi produttivi; gli argomenti di cui alla premessa giustificano pienamente la crescente importanza loro attribuita a tutti i livelli nei diversi Paesi. Da una pur sintetica rappresentazione della bibliografia internazionale (SCOPUS) ‐ che sarà più dettagliatamente presentata in una delle comunicazioni ‐ si evince che le tematiche di maggior interesse, inteso come numerosità dei lavori pubblicati, hanno soprattutto riguardato: (i) la perdita di biodiversità registrabile nei sistemi produttivi a colture erbacee o agroforestali (principalmente misurata usando come indicatori gli uccelli e la diversità delle specie infestanti), (ii) la mitigazione delle emissioni di gas ad effetto‐serra (con pratiche agricole più appropriate in diversi sistemi produttivi); (iii) i rischi di inquinamento delle acque e la qualità del suolo (con particolare riguardo ai sistemi agro‐forestali tropicali); (iv) la progressiva riduzione della qualità delle risorse idriche e, più in generale, (v) la relazione esistente tra cambiamenti di uso del suolo e intensificazione agricola. _________________________________________________________________________________________________________
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Se dal complesso della bibliografia emerge facilmente come la sostenibilità dei sistemi colturali sia da anni un argomento di studio di notevole rilievo scientifico sotto tutti i punti di vista, vi confesso – di avere netto il sospetto che il tema specifico della sua corretta valutazione – intesa sia come misurazione che come ponderazione “multi‐criterio” delle alternative possibili in vista delle scelte strategiche da compiere ‐ sia invece ancora ben lungi dall’essere esaurito. Pur non potendo approfondire troppo la questione in questa sede appaiono evidenti le difficoltà che ancora si prospettano quando si voglia, ad esempio, attribuire un “peso”, il più corretto possibile, ai differenti indicatori utilizzabili (agronomici, ambientali, economici, ecc) nella lettura “olistica” dei risultati sperimentali di colture agrarie sia per valutarne la sostenibilità complessiva in senso teorico, che per metterli a disposizione del sistema produttivo nel suo complesso. Mi ha particolarmente colpito apprendere – ad esempio – che a fronte dell’apparente condivisione di tutto l’apparato tecnico‐burocratico degli organismi internazionali (UE compresa) e di tutto il mondo scientifico sull’utilità di condividere criteri e metodi da adottare per un’adeguata misurazione della sostenibilità dei sistemi agricoli (anche allo scopo di studiare la possibilità di definire eventuali soglie ambientali), una recente review di 49 ricerche in proposito, abbia identificato ben 500 diversi indicatori di sostenibilità ma che, di questi, 202 siano di tipo sociale, 95 economici, 198 siano ambientali e 5 siano stati classificati come “altri”… ed è francamente demoralizzante apprendere come esistano così tante difficoltà anche per la definizione di un set di indicatori “principali” per le valutazioni della sostenibilità; e come, anzi, anche il set di indicatori della performance agro‐ ambientale (IRENA) predisposto dal Joint Research Centre, non sia stato utilizzato dalle diverse istituzioni europee (e neanche dalle accademie) neppure come base di partenza per l’analisi empirica della sostenibilità agricola. Di recente, anche alcuni di noi hanno ottenuto fondi UE per approfondire ulteriormente l’argomento … speriamo che i frutti di questo lavoro siano al più presto disponibili per una adeguata riflessione da parte di tutti i soci della SIA e, ancor più importante per contribuire all’obiettivo di misurare con la maggiore attendibilità possibile quali siano i risultati concreti delle differenti politiche europee nella gestione di sistemi colturali alternativi a livello aziendale e comprensoriale nei diversi areali del nostro Paese. 3. Uno sguardo all’agricoltura italiana e al bisogno di innovazione Nonostante che recentemente sia stato confermato anche a livello governativo, che l’Italia, in termini di fabbisogno di cibo per la propria popolazione residente, avrebbe bisogno di una SAU di varie volte superiore a quella oggi utilizzata; dai dati dell’ultimo censimento dell’agricoltura, come ci ha anticipato Casati, si registra (ISTAT, 2010) che negli ultimi 20 anni abbiamo perduto oltre 2 milioni di ha di SAU rispetto ai 15 che ne avevamo nel 1990 e si apprende anche che un po’ tutte le aree e le Regioni sono state investite dal problema – vuoi per la progressiva cementificazione dei terreni agricole vuoi per l’abbandono vero e proprio di superfici prima coltivate – e dagli stessi dati emerge anche che, almeno in quelle aree più ricche di seminativi, le maggiori contrazioni si sono registrate a carico dei cereali autunno‐vernini e delle colture industriali di pieno campo. L’Italia, come ci diceva anche Casati, importa il 35‐40% dei suoi bisogni agro‐alimentari, sia come prodotti finiti che come produzioni per la propria industria di trasformazione: esporta vini, formaggi, paste alimentari, salumi, frutta e ortaggi, ecc ma ha bisogno di importare cereali, prodotti lattiero‐caseari, carni e animali di allevamento. Ciò non di meno, dovrebbe a mio avviso destare una qualche preoccupazione, sempre rispetto al discorso sulla opportunità di reagire o meno all’abbandono delle aree coltivate, anche il perdurare del divario veramente eccessivo – pur se difficilmente azzerabile – che esiste fra i fabbisogni e le produzioni di alcune delle grandi colture di pieno campo. In tutte le Regioni italiane sono comprese aree pianeggianti a più o meno spiccata vocazione produttiva per le grandi colture mercantili (cereali, colture industriali, ecc) e/o per gli allevamenti in produzione zootecnica (foraggicoltura intensiva) e, in presenza di acqua irrigua sufficiente, anche aree a vocazione orticola e/o orto‐ frutticola), in cui, a mio avviso, già oggi possiamo ritenere che molte delle problematiche sulla sostenibilità di quelle produzioni possano essere avviate a soluzione con le attuali forze organizzative e le conoscenze tecniche già acquisite durante le ricerche di questi ultimi lustri. A queste aree se ne alternano anche altre in cui le “limitazioni” naturali più o meno severe delle rese attese dalle colture rendono molto più difficile definire sistemi colturali in grado di sorreggersi economicamente _________________________________________________________________________________________________________
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nelle attuali condizioni di mercato globale l’agricoltura convive decisamente e l’agricoltura è chiamata a convivere con assetti territoriali, paesaggistici e socio‐economici assai diversi; ed è proprio in queste ultime che appare più evidente la necessità che, accanto alla ricerca del massima sostenibilità complessiva degli specifici processi produttivi, l’uomo‐agricoltore torni a fare impresa, ad aggiornarsi e innovarsi, anche per assumere un ruolo prevalente di presidio, di tutore dell’ambiente, del paesaggio, della coltura locale, delle emergenze storico‐ sociali, ecc, di cui sente molto il bisogno tutta la società moderna. Condivido senz’altro anch’io la necessità che l’agricoltura italiana, come input più importante da inserire nel processo produttivo ‐ accettando il bel termine coniato nella recente bibliografia più divulgativa ‐ implementi soprattutto il livello della “conoscenza per ettaro coltivato” (e ciò anche per cercare di risolvere al più presto i problemi dell’ ”adattamento” delle colture ai cambiamenti climatici); ma ‐ come feci all’Accademia dei Georgofili durante la presentazione del volume sull’Agricoltura Sostenibile ‐ oserei ripetere anche in questa sede che, nel nostro Paese, occorre tornare a produrre “qualunque cosa abbia economicamente un senso compiuto” a livello nazionale e/o a livello locale e aziendale. Sono infatti fermamente convinto che, se si opera nel rispetto delle ordinarie norme di buona pratica agricola, della effettiva “vocazionalità” agronomica e delle caratteristiche socio‐economiche e culturali dei territori, della tutela delle risorse non rinnovabili e con la professionalità necessaria per ridurre i costi di produzione a tutti i livelli, allora, anche dal punto di vista ambientale e della tutela dei territori agro‐forestali, è a mio avviso sempre più opportuno coltivare la terra piuttosto che abbandonarla. Al riguardo, mi ha molto colpito (ovviamente per mia ignoranza nel merito) leggere un recente studio dell’Ambasciata Francese in Italia (Martin, 2013) per cui il nostro Paese (con una SAU pari al 45% di quella francese) realizza circa 40 miliardi di €/anno di produzione agricola (secondo settore dell’economia nazionale) contro i 63 miliardi della Francia (quindi oltre il 60% di quella); la nostra, secondo i francesi si caratterizza come una produzione intensiva, che genera mediamente più valore aggiunto per unità di superficie della maggior parte delle agricolture europee e ciò malgrado una geografia, quella italiana, che determina condizioni di sole e di clima spesso difficili; il tutto con apprezzabili differenze tra le diverse aree agricole di un Nord più strutturato e più produttivo e quelle di un Centro‐Sud spesso caratterizzato da un’agricoltura meno intensiva e meno organizzata. Voglio solo aggiungere qui che nello studio dei colleghi francesi ‐ in cui quasi ci si stupisce delle nostre performance produttive per unità di superficie a livello nazionale ‐ non si tiene conto che il tutto avviene nonostante l’ulteriore fattore limitante evidenziato recentemente da Henke, INEA (2014) e costituito dal fatto che – indipendentemente dalla superficie gestita ‐ delle aziende agricole italiane censite nel 2010 (ben 1.620.884) solo il 26% di queste (425.465) ha una dimensione economica (DE) superiore a 15.000 €/anno di potenziale reddito; solo queste possono infatti definirsi vere imprese, con stabili relazioni con il mercato e con gli altri attori della filiera e che più delle altre riescono ad avvantaggiarsi degli strumenti della PAC; la loro dimensione media sale dai 7,9 ha della media nazionale ai 23,4, pur se con differenze piuttosto sensibili tra il nord‐ovest con circa 30 ha ed il sud con circa 20 ha. Tutte le altre aziende italiane (il 74% che coprono almeno il 30‐35% della SAU), pur avendo un ruolo importantissimo sul territorio in termini di svolgimento di funzioni secondarie e accessorie (autoconsumo, residenziale, di presidio ambientale, di cura del paesaggio, ecc) non lo hanno certo dal punto di vista economico ed il loro reddito deve essere necessariamente integrato. Anche di questo dovremo imparare noi agronomi e studiosi della produzione vegetale a tener di conto nello studio dei sistemi colturali aggiornati per i differenti comparti produttivi: a quali aziende/imprese possiamo fare effettivo riferimento ? Fatta questa premessa, ricordo che, con un’ampiezza e una ricchezza di particolari di notevole entità e interesse, il nostro MiPAAF ha recentemente (Bozza 10 luglio 2014) reso noto il “Piano strategico per l’innovazione e la ricerca nel settore agricolo alimentare e forestale” che costituisce la sintesi ragionata dei lavori di molti gruppi di studio (a cui anche molti dei presenti hanno contribuito) appositamente costituiti nell’ultimo biennio per indagare sui fabbisogni di innovazione e di ricerca applicata dell’agricoltura italiana. Mi auguro che la maggior parte di Voi abbia già avuto modo di scorrerlo e mi permetto invitare tutti coloro che ancora non lo hanno fatto a una prossima attenta valutazione dei suoi contenuti; credo che ci sia compreso tutto quello che gli addetti ai lavori potessero prevedere. Nel documento si afferma che per affrontare al meglio le sfide che attendono l’agricoltura italiana, si deve contare sulle risorse che rappresentano punti di forza del nostro panorama agricolo e che devono essere tutelati e valorizzati quali la biodiversità, la qualità dei prodotti alimentari, il patrimonio forestale, il suolo e, inoltre, si _________________________________________________________________________________________________________
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afferma che “Il settore primario e quelli ad esso collegati devono essere riportati al centro della strategia di sviluppo nazionale concentrandosi su alcuni obiettivi essenziali volti ad aumentare la base di conoscenze e favorirne il trasferimento per l’incremento dell'innovazione nel settore agricolo, forestale e nelle zone rurali”. Per ciascuna delle 6 aree tematiche individuate come prioritarie ‐ e delle relative sotto‐aree che ne dettagliano gli ambiti di attività ‐ è riportata una breve descrizione, la sintesi dell’innovazione disponibile e le esigenze di ricerca necessarie per soddisfare il fabbisogno di innovazione in riferimento ai diversi ambiti di applicazione (produzioni vegetali, animali, biologiche, forestali; filiere, sistemi locali e distretti) e ai relativi beneficiari (imprese, territorio, governance, cittadini). AREE DI INTERVENTO AREA 1. Aumento sostenibile della produttività, della redditività e dell’efficienza delle risorse negli agroecosistemi ‐ Scelte varietali, di razza, di destinazione d’uso, miglioramento genetico mediante l’utilizzo di biotecnologie sostenibili; ‐ Uso sostenibile dei nutrienti, dei prodotti fitosanitari e dei prodotti zooprofilattici, utilizzazione di microrganismi, insetti utili e molecole bioattive per la difesa delle piante; ‐ Ottimizzazione dei processi produttivi (tecnica colturale, alimentazione, benessere animale, pratiche di prevenzione, risparmio energetico, ecc.), anche mediante l’utilizzo di sistemi di supporto alle decisioni (telerilevamento, agricoltura e zootecnia di precisione, meccanizzazione integrale, robotica e altri sistemi automatici intelligenti, applicazione di principi e strumenti di intelligenza artificiale ecc.) e biotecnologie sostenibili; ‐ Soluzioni tecnologiche per il miglioramento degli impianti e delle strutture aziendali; ‐ Gestione efficiente della risorsa idrica e della qualità delle acque; ‐ Conservazione, conservabilità e condizionamento delle produzioni (riduzione degli sprechi, conservanti naturali ecc.); ‐ Strumenti e sistemi funzionali alla gestione aziendale (pianificazione, costi di produzione, diversificazione ecc.) e alla sua caratterizzazione (impronta ecologica). AREA 2. Cambiamento climatico, biodiversità, funzionalità suoli e altri servizi ecologici e sociali ‐ Tecniche di produzione per la mitigazione e l’adattamento al cambiamento climatico, inclusa la selezione di risorse genetiche idonee; ‐ Valorizzazione delle varietà e razze locali e salvaguardia delle risorse genetiche; ‐ Biodiversità microbica, conservazione, qualità e fertilità dei suoli; ‐ Servizi ecologici (manutenzione e ripristini ambientali, agricoltore/ /selvicoltore custode, verde urbano, bonifica dei terreni inquinati ecc.) utilizzando indicatori di sostenibilità ambientale; ‐ Agricoltura sociale, relazioni urbano – rurale, accettabilità sociale dell’attività agricola; AREA 3. Coordinamento e integrazione dei processi di filiera e potenziamento del ruolo dell’agricoltura ‐ Soluzioni organizzative, economiche e sociali alle difficoltà strutturali di integrazione orizzontale e verticale nei distretti e nelle filiere; ‐ Soluzioni tecnologiche per il miglioramento dei processi di filiera; ‐ Sviluppo di sistemi distributivi, commerciali, promozionali e di marketing. AREA 4. Qualità e tipicità dei prodotti agricoli, sicurezza degli alimenti e stili di vita sani ‐ Produzione di alimenti di qualità per tutti (food security); ‐ Miglioramento, tutela e tracciabilità della qualità e della distintività e adeguamento dei relativi standard di certificazione; ‐ Tecniche sostenibili per la trasformazione, conservazione e confezionamento dei prodotti agroalimentari; ‐ Valorizzazione della relazione tra alimentazione e salute e della valenza nutraceutica dei prodotti alimentari. _________________________________________________________________________________________________________
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AREA 5. Utilizzo sostenibile delle risorse biologiche a fini energetici e industriali ‐ Sviluppo e razionalizzazione delle filiere di biocarburanti e di biomasse con adeguati requisiti di sostenibilità ambientale ed economica; ‐ Sviluppo di bioraffinerie per la produzione di materiali industriali e mezzi tecnici a partire da residui e scarti agricoli nell’ottica dell’adeguata remunerazione del settore agricolo. AREA 6. Sviluppo e riorganizzazione del sistema della conoscenza ‐ Processi di governance per il coordinamento e l’efficienza del sistema della conoscenza (pianificazione, monitoraggio, valutazione ecc.); ‐ Strutturazione stabile di servizi di supporto, formazione e consulenza alle imprese agricole, agroalimentari, PMI e microimprese: interventi di indirizzo, proposte metodologiche e individuazione di strumenti; ‐ Creazione di un sistema per l’emersione dei bisogni di imprese agroalimentari e territori rurali. E’ forse mancato in qualche caso, ma probabilmente non era quella l’occasione per farlo, il coraggio di passare dall’elencazione di tutte le cose interessanti e degli argomenti che “piacciono” agli sperimentatori di tutte le discipline alla indispensabile definizione delle priorità necessarie quando si devono strategicamente allocare delle risorse inevitabilmente scarse come quelle che il nostro Paese riesce a distribuire per R&S in agricoltura; ma questo non è compito primario dei ricercatori e degli studiosi di problemi agronomici. Sul piano dei finanziamenti, infatti, secondo i ricercatori dell’Ambasciata di Francia, gli investimenti italiani in R&S rappresentavano nel 2010 circa 19,6 miliardi di € ponendo il Paese al 4° posto in valore assoluto a livello europeo; negli ultimi 20 anni questi sono nettamente aumentate in valore assoluto ma in termini relativi si sono mantenute intorno al 1% del PIL, al di sotto della media europea e al 17° posto nell’UE. Se si cumulano la spesa pubblica e privata per R&S nell’ambito delle scienze agronomiche, si hanno valori di circa 850 milioni di € nel 2010, che corrisponde al 4,3 % della spesa totale per la R&S in Italia e allo 0,9 % del valore aggiunto agricolo, contro il 5,9% del Regno Unito, il 3,5% della Francia e il 1,2% della Spagna. Se si distinguono poi i valori per categorie di attori; le imprese private, le istituzioni e organismi pubblici di ricerca, le università e gli organismi privati a scopo non lucrativo dai dati ISTAT 2010 emerge che: ‐ le spese per ricerca e sviluppo delle imprese private nell’ambito dell’agricoltura, selvicoltura e pesca assommano a circa 3,5 milioni di € e, benché siano raddoppiate rispetto al 2008, restano molto inferiori a quelle delle imprese del settore della trasformazione dei prodotti agricoli (quelle dell’industria alimentare, delle bevande e del tabacco nel 2010 hanno investito 164,2 milioni di €, quasi 50 volte di più). Nel complesso le imprese private dell’agroalimentare hanno quindi investito in R&S 167,7 milioni di € pari al 1,6 % di quanto la categoria delle imprese private nel complesso investe in R&S in Italia. Sempre nel 2010, i ricercatori in scienze agronomiche nelle imprese del settore (circa 1100 persone) rappresentavano circa lo 0,2% del numero totale dei ricercatori impiegati nel privato (pressoché tutti nelle industrie dell’agroalimentare e del tabacco); ‐ gli investimenti in R&S degli organismi pubblici nelle scienze agronomiche (definite dall’autore come l’insieme delle scienze esatte, naturali, economiche e sociali, come delle tecniche alle quali fanno ricorso per la comprensione della pratica dell’agricoltura per la produzione di prodotti agricoli a fini alimentari e non), sostanzialmente aumentati rispetto all’anno precedente (+ 78%), assommano nel 2010 a 303,5 milioni, rappresentano il 11,3 % del totale delle strutture pubbliche di ricerca e piazzano la disciplina al 4° posto (ISTAT 2012). Nel 2009 le stesse erano state pari a 170,3 milioni di € (ossia 2,8 €/abitante contro gli 11,7 della Spagna, o i 6,9 della Germania), impiegavano 1765 ricercatori che rappresentano un po’ meno del 10% di quelli impiegati nel complesso degli enti pubblici di ricerca (contro il 5% del 2006); ‐ nel 2010 le spese di R&S fatte dalle università italiane nel campo delle scienze agronomiche si è ridotta del 3% rispetto all’anno precedente (216,3 milioni di € contro i 223,3 del 2009) e costituisce il 3,8 % degli investimenti in tutta la ricerca universitaria. Nel 2009 ciò corrispondeva a 3,7 €/abitante (molto inferiori agli 8 della Germania, ai 4,3 del portoghesi e superiore ai 2,2 spagnoli. Nel 2006 il sistema impiegava 2755 ricercatori, ossia il 4% di tutti i ricercatori universitari; ‐ per il periodo 2000‐2010 l’Italia si colloca all’11° posto mondiale per il numero delle pubblicazioni scientifiche nel campo delle scienze animali e vegetali e al 6° posto a livello europeo, ma la domanda di brevetti nel settore dell’agricoltura selvicoltura e pesca nel periodo 1998‐2009 è stato invece di solo 1,1 per milione di abitante, _________________________________________________________________________________________________________
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inferiore alla media europea (pari a 1,78), ma la brevettazione sembra costituire un problema complessivo in Italia e non uno problema specifico dell’area dell’agricoltura. I dati dei colleghi francesi parlano da soli e, anche se non sarò così superficiale da promuovere in questa sede una scontata “lamentatio” per gli scarsi investimenti profusi dal nostro Paese nella ricerca di base e applicata d’interesse per l’agricoltura, mi sia consentito almeno di esortare tutti gli attori in gioco, nessuno escluso, alla massima “trasparente valorizzazione” e alla “non infruttuosa dispersione” delle scarse risorse di cui sembra disporre oggi l’Italia, sia a livello nazionale che regionale. E ciò, se non altro per dare un minimo di conforto anche a tutti quelli, più anziani fra noi, che ormai passano troppo del loro tempo a cercare il modo di far quadrare i bilanci delle proprie strutture di ricerca e a coloro, più giovani fra noi, che da questi finanziamenti traggono la indispensabile linfa vitale per tentare di riuscire a proseguire negli studi e nelle ricerche intraprese sul suolo nazionale. Qual è allora nell’ambito di questo piano strategico il contributo concreto che le scienze agronomiche possono oggi dare a tutto quanto è stato previsto a livello nazionale (e regionale) per aiutare l’evoluzione dell’agricoltura italiana nel contesto interno e internazionale in cui essa si confronta ? Come noi tutti possiamo contribuire almeno a giocare la partita, sia sotto il profilo degli approfondimenti scientifici ancora necessari che dal punto di vista del trasferimento dell’innovazione e dell’ulteriore avanzamento della ricerca applicata a livello territoriale ? 4. La ricerca della sostenibilità dell’intensificazione colturale in Italia Più di una volta durante la preparazione di questa relazione di apertura – e prima ancora dell’uscita del piano strategico del MiPAAF ‐ mi sono chiesto se il mondo della ricerca nazionale in campo agrario e in particolare la nostra, quella agronomica e delle produzioni vegetali, abbia effettivamente tenuto in debita considerazione quanto necessario per promuovere l’evoluzione della “sostenibilità dei sistemi colturali” nel nostro Paese e se abbia ugualmente ben operato‐ per quanto di competenza ‐ per un corretto e tempestivo trasferimento delle innovazioni di processo e di prodotto nelle produzioni caratterizzanti la nostra agricoltura. Rispetto ai risultati della ricerca sperimentale pubblicati sull’intensificazione colturale, la medesima elaborazione quanti‐qualitativa condotta sulla bibliografia italiana (intesa come quella pubblicata con la partecipazione di almeno un autore italiano) nell’ambito di quella mondiale prima sintetizzata ‐ i cui dettagli saranno esposti durante i lavori del convegno ‐ conferma a mio avviso come la nostra più moderna ricerca agronomica abbia adeguatamente affrontato le tematiche di propria competenza con una visione senza dubbio sempre meno ancorata ai criteri meramente produttivistici del passato e si sia, invece, sempre più spesso caratterizzata dalla volontà di disegnare comunque un “percorso” di produzione agraria adeguatamente sostenibile. Non indugerò sui risultati delle elaborazione bibliografiche ‐ di cui ringrazio comunque i miei allievi e collaboratori più giovani per l’aiuto prestato –ma mi corre l’obbligo di segnalare come l’analisi dei nostri lavori sembri evidenziare che in essi prevale ancor più che a livello internazionale l’attenzione in primo luogo prestata alle conseguenze ambientali dell’intensificazione agricola (es. biodiversità, erosione, qualità del suolo, qualità delle acque superficiali, ecc), facendo in qualche modo balenare l’idea che la sostenibilità del processo produttivo debba leggersi quasi esclusivamente dal punto di vista della sua ricaduta “ambientale” nell’accezione più ampia del termine e non anche sotto il profilo della sostenibilità economica a livello aziendale. Produrre di più, spendendo e inquinando di meno, costituisce senz’altro un obiettivo affascinante per noi agronomi, anche se assai arduo da raggiungere. Ma se concordiamo sul fatto che ‐ nel quadro complessivo ‐ la soluzione al problema non sia tanto da ricercare nel puro e semplice ricorso a processi produttivi troppo estensivi (inevitabilmente meno produttivi), è allora evidente che sul piano della ricerca occorre anche proseguire ‐ senza esagerazioni ma anche senza eccessivi tentennamenti ‐ nell’impegno profuso in questi ultimi venti anni per la messa a punto di nuovi sistemi colturali aggiornati (convenzionali, biologici, integrati, ecc) anche sfruttando più sinergicamente i progressi della genetica, della fisiologia, della chimica agraria, della meccanica, della difesa delle colture e delle biotecnologie agrarie; e ‐infine ‐ studiando con ancor più “laicità scientifica” e convinzione anche le funzioni ambientali, territoriali e paesaggistiche – e anche salutistiche –da valorizzare nell’agricoltura italiana. _________________________________________________________________________________________________________
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Al riguardo, per quanto attiene l’agricoltura italiana interessata alle grandi colture erbacee di pieno campo, un ruolo di supporto conoscitivo particolarmente importante ‐ ne sono assolutamente convinto ‐ potrebbero averlo le ricerche di lungo periodo, a suo tempo e per gran parte nate dai progetti finalizzati del CNR e dell’allora MAF e ancora in essere in molte delle nostre strutture scientifiche. Se non altro, queste sono le sole che al momento possano fornire indicazioni sufficientemente testate, sia nel tempo che nello spazio, sugli effetti delle diverse scelte tecniche inserite nei sistemi colturali alternativi; sulla loro funzionalità in termini di produzione di beni, sull’entità dei consumi di risorse non rinnovabili, sul rischio di rilascio di contaminanti ecc. Ma – come prima accennavo – queste possono essere anche di sicuro ausilio per contribuire ad evidenziare il “peso” delle diverse possibili chiavi di lettura (produttive, ambientali, economiche, ecc) per le stime del livello di “sostenibilità dell’intensificazione colturale” effettivamente raggiunto e per evidenziare le possibili “contraddizioni” (punti di forza e punti di debolezza) da segnalare nelle diverse modalità di conduzione dei sistemi colturali. Inoltre, se è ovvio che, da un lato, noi agronomi e studiosi di produzioni vegetali dobbiamo sempre più ricercare il miglioramento dell’efficienza d’uso delle risorse nei diversi contesti socio‐economici e agro‐pedo‐climatici, dall’altro lato, è però giunto anche il momento di rammentare con forza che un fattore che più di altri può condizionare il risultato atteso è costituito soprattutto dal livello di trasferimento delle innovazioni di processo e di prodotto effettivamente realizzato sia a livello nazionale che locale e, quindi, dalla preparazione tecnica e professionale che caratterizza gli imprenditori (agricoli e non) lungo tutte le filiere. Già al Convegno di Bari ebbi modo di plaudire all’idea promossa dal progetto ICFAR di fare “rete” fra le diverse sedi sperimentali che hanno ancora in campo esperienze di lungo periodo e mi fa piacere oggi citare un altro progetto che troverete presentato anche al convegno (MAC‐SUR) e che si basa ugualmente, in gran parte, su una moderna elaborazione delle osservazioni tratte dalle medesime prove sperimentali italiane di lungo periodo sui sistemi colturali‐ per studiare e validare, coinvolgendo i più esperti modellisti fra noi, anche le stime delle possibili ricadute dei cambiamenti climatici sui risultati produttivi nel nostro sistema agricolo, sia in termini di acqua disponibile, che nelle caratteristiche del terreno e nel comportamento delle colture agrarie. Alcuni altri progetti di ricerca ‐ finanziati sia a livello europeo e/o nazionale e/o anche regionale ‐ sono già in corso e/o stanno per partire anche nella direzione di una più attenta valutazione del contributo che possono portare, in termini di riduzione delle emissioni di gas‐serra e nel sequestro del carbonio nel terreno agrario, alcune ben mirate e facilmente adottabili modifiche nella scelta delle colture e degli itinerari tecnici nei diversi sistemi produttivi di molti dei nostri territori. Anche queste valutazioni possono a mio avviso essere coadiuvate e agevolate, con l’uso di tutte le tecniche e le metodologie di rilevamento ed elaborazione di cui oggi disponiamo, dalla disponibilità delle esperienze sperimentali di campo prima richiamate e attive ormai da decenni, soprattutto per realizzare adeguate validazioni delle previsioni formulate e incrementare così la validità delle stime possibili a scala aziendale e territoriale. Anticipo qui che, a mio avviso, proprio sul consolidamento prioritario di queste “reti” sperimentali, ulteriormente allargate recuperando ovviamente anche le altre ricerche italiane eventualmente esistenti ed organizzate anche sulle specifiche caratteristiche fisiologiche e produttive delle colture più diffuse (come ad es. ACER‐ Frumento duro), dovrebbe a mio avviso basarsi ‐ in particolare sotto il cappello scientifico della SIA – la indispensabile “ripartenza” della sperimentazione e della divulgazione italiana sulla sostenibilità dei sistemi colturali (food e no‐food), come primo passo indispensabile per cercare almeno di recuperare all’agricoltura attiva la parte “migliore” della SAU perduta negli ultimi anni. La ricerca agronomica è oggi stretta tra la necessità di proseguire, da un lato, negli studi pluriennali e multidisciplinari delle complesse interazioni fra le colture in rotazione, le relative tecniche colturali e/o il loro adattamento ai cambiamenti climatici (ed altro ancora) e, dall’altro lato, dalla breve durata che in genere oggi caratterizza i progetti di ricerca comunque finanziati. Al riguardo, come vedremo anche in questi giorni, lo sviluppo dei modelli matematici può senz’altro aiutare la migliore comprensione degli effetti indagati, ma non possiamo prescindere da una rigorosa validazione degli stessi con i dati reali provenienti da esperienze di campo. Ed è sul campo che si dovrà promuovere maggiormente anche la collaborazione tra specialisti diversi per capire i meccanismi alla base dei risultati. Qualcuno deve farsi carico di queste esigenze di più lungo periodo! Le riflessioni propositive che seguono – tutte da me elaborate soltanto come traccia per un’auspicabile discussione fra noi – saranno in alcuni casi “più abituali”per il nostro consueto modo di affrontare temi scientifici in un convegno e appariranno più attinenti al nostro mestiere di sperimentatori. Altre note rifletteranno invece _________________________________________________________________________________________________________
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alcune “preoccupazioni”, a mio avviso collegate alle esigenze di trasferimento dell’innovazione e della politica degli interventi, di cui spesso tendiamo a non occuparci ma che, credo fermamente, abbiano bisogno anche di noi ricercatori per risolversi. Ed altre ancora che attengono invece alla responsabilità culturale e professionale di quella parte di noi soci della SIA che hanno, direttamente o indirettamente, compiti di “formazione” a tutti i livelli nell’ambito della preparazione delle figure professionali attinenti all’agricoltura. 5. Ulteriori spunti e priorità sul fabbisogno di ricerca applicata Sotto il profilo del fabbisogno di ricerca applicata non provo neanche ad entrare nel merito di tutto quanto problematicamente previsto dal piano strategico del MiPAAF; il documento è completo e molto ben articolato per aree disciplinari ed io sono convinto che alla loro soluzione tutta la Società Italiana di Agronomia, insieme a tutti i ricercatori italiani, possa portare il validissimo contributo. Sul piano più immediatamente operativo però ‐ riguardo alla odierna problematica della ricerca agronomica sulla “sostenibilità dell’intensificazione colturale” in Italia – vorrei rammentare alcuni aspetti per me particolarmente importanti su cui soffermare l’attenzione: ‐ se siamo ormai in grado di sostenere – ed io credo di si – che l’abbandono della coltivazione (nei seminativi come nei boschi) determina spesso problemi ambientali e territoriali maggiori rispetto a quelli posti da una corretta gestione agronomica degli stessi, dobbiamo anche affermare che occorre al riguardo studiare anche una più adeguata “zonizzazione” degli interventi prevedibili a favore delle aziende agricole e una definizione delle priorità basata sulla valutazione della “vocazionalità” delle aree agricole da studiare interiorizzando nel medesimo concetto agronomico‐ambientale anche quello della “multifunzionalità dell’agricoltura”. Se poi c’è anche bisogno di studiare meglio come “controllare” da lontano le aziende e i loro comportamenti lo faremo, ma nel frattempo il “sistema” deve aggiornarsi perché non possiamo più illuderci ‐ e questo è il problema più spinoso ‐ che l’imprenditore agricolo possa garantire la corretta coltivazione delle superfici disponibili a livello aziendale anche quando non viene adeguatamente stimolato dalla politica degli indirizzi e, men che mai, quando tutto ciò non risulti per lui economicamente conveniente; ‐ analogamente, abbiamo già detto che l’agricoltura può effettivamente contribuire alla sostanziale riduzione delle emissioni di gas climalteranti. Esistono già molte conoscenze di base in proposito e si stanno ulteriormente raccogliendo le risultanze sperimentali per suggerire agli operatori comportamenti più virtuosi (scelta delle colture in rotazione, lavorazioni del terreno, concimazioni, ecc), ma occorre tutti insieme studiare meglio come definire le necessarie priorità, precise, circoscritte e di più alta efficacia, senza pensare di applicare al riguardo criteri troppo “generalisti” o ad assurde e contraddittorie penalizzazioni di interi comparti produttivi ( come la zootecnia dei ruminanti ad es.); ‐ nel prossimo futuro l’acqua potrà essere (in molte Regioni del nostro Paese lo è già) un fattore limitante lo sviluppo dell’agricoltura italiana “che vogliamo” (ad alto valore aggiunto), ancor più di quanto non possa esserlo la stessa disponibilità del capitale terra. E se l’ampliamento delle superfici irrigabili sembra spesso configgere (almeno in Toscana per il periodo 2007‐2013 questo è avvenuto) con i desiderata dell’UE che si oppone a tale ipotesi (a proposito di zonizzazione!), appaiono da un lato particolarmente prioritari gli studi e le ricerche sperimentali sull’efficienza (sia tecnica che economica) dell’uso dell’acqua nelle aree già irrigue e, dall’altro lato, si rende altrettanto evidente la necessità di mettere a punto procedure, anche non convenzionali, per interventi di rimpinguamento extra‐stagionale delle falde acquifere profonde per accrescere in modo economico la disponibilità di acqua irrigua durante il periodo estivo. Un discorso a parte merita poi la valutazione delle possibilità di valorizzare adeguatamente (magari con colture no‐food) anche gli enormi quantitativi di acque reflue della depurazione civile che, soprattutto negli areali a forte presenza turistica costituiscono spesso anche un problema non indifferente per la manutenzione ordinaria e straordinaria (per i fanghi che ne derivano) della rete scolante delle aree pianeggianti litoranee e di bonifica; ‐ infine, un argomento particolarmente interessante a mio avviso (anch’esso decisamente multidisciplinare) in termini di reale fabbisogno di ricerca agronomica è senz’altro da ricavarsi anche nel contesto della bioeconomia, della chimica verde, delle bioenergie di ultima generazione, ecc, e di tutto _________________________________________________________________________________________________________
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quanto fa capo alle “colture no‐food” e alla possibile valorizzazione dei residui e dei reflui dell’agroalimentare e dell’agro‐industria. Il prof Mazzoncini affronterà da par suo questo argomento, a me è sufficiente rammentare che, attraverso questa strada, potrebbe anche essere studiata la maniera di rendere possibile e sostenibile una adeguata rivalutazione di importanti superfici di terreno variamente marginali per le colture food, o disastrate dal punto di vista dei rischi di erosione, o indispensabili alla fitodepurazione delle acque, o da impiegare a vario scopo nell’ambito del greening, o a valorizzare anche a “strisce” delle superfici a seminativo in vario modo “qualitativamente compromesse”, ecc. Sul modo in cui riterrei opportuno oggi affrontare sperimentalmente temi così complessi, mi aiuto con il richiamo al pensiero del Prof. Bonciarelli che, quasi vent’anni fa, al XXX convegno SIA di Perugia, sosteneva, tra l’altro,che grazie alla nostra capacità di sintesi, proprio sui temi e problemi di più ampio respiro e di attualità, noi ricercatori delle scienze agronomiche e delle produzioni vegetali dovremmo farci ancor più propositori di forme di collaborazione con altre discipline settoriali e più specialistiche (fisiologia, chimica agraria, miglioramento genetico, patologia, entomologia ecc) e, molto onestamente, affermava però che, spesso, siamo proprio noi ad essere riluttanti nell’intraprendere studi a carattere olistico e multidisciplinare e, soprattutto, di lunga durata. E ciò, sia per le difficoltà di carattere metodologico che questi sviluppano, sia per la maggiore semplicità di organizzare la ricerca quando si possa lavorare da soli, sia per la maggiore facilità di pubblicare su riviste più specialistiche e a più elevato Impact factor che un approccio più “riduzionistico” sembra consentire … ma poi affermava anche che lavorare in equipe è oggi (venti anni fa) necessario perché la collettività, soprattutto in tempi di scarse risorse economiche (come quelli attuali) tende inevitabilmente a pretendere che il mondo scientifico privilegi ricerche che forniscano non solo “la luce della scienza” ma anche il “beneficio” di questa … e concludeva ‐ allora ‐ che “starà poi al buon senso della comunità scientifica incoraggiare chi accetta di operare nella linea suggerita mediante criteri di valutazione dei titoli di carriera che non penalizzino troppo gli “olisti” ! Ma anche di questo dovremo probabilmente riparlare. 6. Altri attori del trasferimento di innovazione e conclusioni Ma ‐ nel quadro delle “strategie” per l’innovazione ‐ a mio avviso non tutto compete al mondo della ricerca e alcuni sforzi importanti per il trasferimento delle innovazioni di processo e di prodotto riguardano anche il mondo dei tecnici professionisti dell’agricoltura iscritti o meno ai vari albi professionali. Il loro coinvolgimento si impone, sia per la corretta “veicolazione” verso il mondo della ricerca delle eventuali domande di conoscenza ancora irrisolte, sia ‐ e soprattutto – per la ricostruzione di un sistema di trasferimento alle aziende e alle imprese, lungo tutte le filiere dell’agricoltura e dell’agro‐industria italiane (compreso anche il mondo del contoterzismo troppo spesso trascurato), di tutta l’innovazione già elaborata. Alcune sedi degli ordini professionali di riferimento (quello degli agronomi di Milano ad esempio) e le varie Accademie di Agricoltura stanno facendo un ottimo lavoro in proposito, ma lo sforzo profuso nella maggior parte del territorio è ancora ben lungi dal risultare sufficiente. Troppi sono i risultati del nostro lavoro che negli ultimi anni, pur essendo stato realizzato quasi sempre con finanziamenti pubblici, non sono stati tempestivamente trasferiti nella pratica aziendale e invece ‐ potrete convenire con me ‐ quante volte girando per le nostre campagne, oltre che dell’abbandono delle aree più difficili, capita di doversi stupire sia della ingiustificata mancanza di tempestività che delle carenti e/o troppo dispendiose modalità di esecuzione di molti degli interventi tecnici sulle colture (lavorazioni, semina e impianto delle colture, epoca e uniformità della concimazione, del diserbo chimico, degli interventi di protezione delle stesse, ecc) che sappiamo invece essere basilari per garantirsi un adeguato risultato produttivo e che sono stati da tempo oggetto delle nostre pubblicazioni e dei nostri manuali tecnici. Nei diversi contesti operativi, gli agronomi (dipendenti o liberi professionisti, pubblici o privati) saranno sempre più chiamati ‐ e dovranno saperlo e poterlo fare ‐ a mettere definitivamente a punto , sia scala territoriale che a livello aziendale, modelli di gestione e tecniche in grado di perseguire alacremente: ‐ la riduzione dei costi di produzione per unità di prodotto conseguito e per unità di lavoro prestato, anche attraverso e una migliore valorizzazione del contoterzismo o di altre forme di gestione partecipata delle superfici coltivate; _________________________________________________________________________________________________________
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‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ ‐ più adeguati parametri qualitativi e sanitari delle produzioni aziendali e migliore “standardizzazione” delle partite sul piano commerciale; l’incremento della biodiversità colturale anche con l’introduzione di adeguati elementi di protezione del suolo e/o di “interruzione del paesaggio” ; le innovazioni di processo e di prodotto che servono per chiudere efficacemente le filiere agroindustriali di interesse e mantenere il livello di competizione sul mercato; la messa a punto di produzioni agroalimentari di qualità superiore, da valorizzare anche attraverso una migliore “tracciabilità” lungo tutta la filiera; la valorizzazione delle produzioni “tipiche” anche attraverso la chiusura in loco delle relative filiere produzione/trasformazione/commercializzazione; la definizione di specifici sistemi aziendali che, con la massima attenzione alla conservazione della fertilità del terreno (agricoltura integrata, biologica, conservativa, di precisione, ecc) siano comunque in grado di conferire maggior valore ai prodotti realizzati e di migliorare il bilancio aziendale; la migliore integrazione delle attività produttive con le problematiche locali di tipo sociale, anche puntando sulla costruzione di maggiori opportunità di lavoro, soprattutto nei contesti periurbani e in tutti gli ambienti rurali in cui è massima l’importanza della presenza dell’uomo; la conservazione attiva dello spazio rurale e la ricostruzione di adeguati elementi di naturalità dei luoghi, anche attraverso la gestione di attività agrosilvopastorali con valenza turistico‐ambientale. Al riguardo, un’ipotesi “di lavoro” che offro alla riflessione della SIA, anche per un eventuale successivo approfondimento con gli ordini professionali nazionali e con il sistema della formazione professionale delle categorie professionali può essere costituita dall’allestimento di una serie di “piattaforme dimostrative”, diffuse sui territori ma saldamente in rete fra loro ‐ adeguatamente ancorate/appoggiate alle Regioni, ai diversi Enti di ricerca pubblici (CRA, CNR, ecc) e privati/alle Università/al Sistema della cooperazione, ecc, che ne hanno il possesso – cui affidare al livello di specializzazione delle competenze opportunamente pre‐definito e differenziato fra loro, sia il lavoro di carattere più “dimostrativo” per il trasferimento delle innovazioni di processo e di prodotto nell’ambito delle filiere di maggiore interesse, sia il compito di organizzare le attività dimostrative e di aggiornamento professionale per gli operatori del settore di riferimento, sia di ospitare le attività di ricerca applicata e di trasferimento sollecitate e promosse dal “basso”, sia – infine ‐ l’intero processo di aggiornamento dei formatori e dei consulenti tecnici variamente operanti sul territorio; il tutto mettendo adeguatamente a sistema le diverse competenze, le energie ed i finanziamenti pubblici e privati disponibili. Ne parlammo proprio in questa Aula Magna, in sede di presentazione dei risultati del progetto finalizzato PANDA sui sistemi colturali (Bonari e Ceccon, 2002); poi la morte prematura di una degli ideatori (il Dott. Rosso di Agronomia) ne ha impedito un più adeguato e tempestivo approfondimento; forse in un momento di crisi economica come quello che stiamo attraversando potremmo anche rispolverare l’idea. Vorrei infine chiudere queste mie riflessioni rivolgendomi ‐ forse più direttamente ai colleghi della SIA impegnati nella didattica e/o nella formazione alla ricerca nelle Università del nostro Paese ma non solo, per sollecitare anche al nostro interno una qualche maggiore riflessione in merito a come sia possibile che, anche nei percorsi di studio adottati ‐ sia negli Istituti tecnici che nei differenti corsi di laurea che attengono a vario livello all’esercizio dell’agricoltura ‐ possano essere condotti gli aggiustamenti che servono ad insegnare ai tecnici che stiamo formando come loro debbano farsi maggiormente carico delle tematiche di cui stiamo discutendo, con una visione il più possibile olistica del processo produttivo e affrontando i problemi che ne derivano a viso aperto e con il massimo della disponibilità e della preparazione necessarie. _________________________________________________________________________________________________________
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Società Italiana di Agronomia XLIII Convegno Nazionale La sostenibilità dell’intensificazione colturale e le politiche agricole: il ruolo della ricerca agronomica Quale futuro per l’agricoltura di fronte alle grandi sfide dell’alimentazione mondiale. Il rapporto con le politiche agricole Dario Casati Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali ‐ Produzione, Territorio, Agroenergia Università degli Studi di Milano 17 – 19 settembre 2014 Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa _________________________________________________________________________________________________________
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Quale futuro per l’agricoltura di fronte alle grandi sfide dell’alimentazione mondiale. Il rapporto con le politiche agricole 1. Due questioni complesse e un consenso solo apparente Il futuro dell’agricoltura e dell’umanità poggia su due questioni su cui, in apparenza, vi è un largo consenso: a) il diritto di ogni essere umano ad avere un’alimentazione adeguata, in costante miglioramento qualitativo e in quantità crescenti; b) la necessità di ottenere i prodotti agricoli necessari senza danneggiare o depauperare il complesso delle risorse naturali disponibili trasmettendolo ai futuri utilizzi mantenendone inalterato il potenziale. Un approfondimento di entrambi i punti complica, tuttavia, la definizione delle soluzioni possibili. Il diritto individuale all’alimentazione va visto nel quadro di un numero crescente di individui che accedono ad esso e quindi vi è un fattore, l’effetto demografico, che procede autonomamente nella sua azione di incremento della popolazione e, di conseguenza, della domanda totale a parità di consumi individuali. Vi è poi da considerare il diritto/desiderio di ognuno di fruire di livelli alimentari più evoluti secondo una regola che collega l’incremento del reddito a quello dei consumi (effetto reddito) anche se quello dei consumi alimentari procede con modalità meno che proporzionale (legge di Engel dei consumi). Quindi, in un mondo in cui, nonostante la crisi i redditi pro capite e totale salgono, a parità di popolazione la domanda di prodotti alimentari cresce e si evolve, secondo logiche economiche. L’evoluzione dei consumi va in un primo tempo nella direzione dell’incremento della quantità pro capite degli alimenti base, poi diventa selettiva, spostandosi in quantità verso alimenti più pregiati (prodotti di origine animale, grassi, zuccheri) con scelte via via più orientate alla qualità, e poi ancora verso categorie di consumi sempre più selezionate e rispondenti a motivazioni di scelta meno legate alla semplice sussistenza e sempre più mirate alla soddisfazione di esigenze diversificate dei singoli individui ed aggregati umani. La soddisfazione di queste esigenze implica una riduzione del potenziale alimentare dell’offerta agricola per molti motivi: 1. una parte di essa viene utilizzata per produrre alimenti di origine animale, 2. la selezione qualitativa implica la messa fuori mercato di prodotti con standard meno elevati, 3. la catena logistica determina perdite e sprechi specifici, 4. la sicurezza sanitaria impone norme selettive sempre più rigorose, 5. i nuovi modelli di consumo comportano ulteriori restrizioni delle quantità utilizzabili. Il tutto vin un quadro di grandi differenze fra le aree geografiche e geo‐economiche del mondo caratterizzate da situazioni diverse e da percorsi evolutivi simili, ma certamente non uguali per un’ampia serie di ragioni storiche, sociali, economiche, religiose e politiche che incidono sui comportamenti individuali e collettivi. Tutti elementi su cui influiscono in maniera decisiva le condizioni climatiche e quelle agronomiche che, nel tempo, hanno impresso una specifica impronta alle produzioni agricole e, di conseguenza, alla formazione dei modelli di consumo. Il secondo punto, la preoccupazione per mantenimento/conservazione/potenziamento delle risorse naturali e dello stato della terra ha acquisito una rilevanza crescente e con lei la mitizzazione di una realtà di presunta migliore salvaguardia in un passato difficile da collocare storicamente con la costruzione di paure collettive nei confronti del futuro che sono, forse, l’inconscio retaggio di antiche e più giustificate paure del passato. La crescita della popolazione umana è avvenuta sotto la ferrea regola di un equilibrio, spesso drammatico e assai di rado felice come la retorica del buon tempo antico lo dipinge, fra disponibilità alimentari e popolazione stessa. La concezione assolutistica che oggi emerge diventa una negazione aprioristica delle possibilità di incremento della produttività dei sistemi agricoli e si somma, nel ridurre il potenziale di incremento dell’offerta, al desiderio di disporre di spazi agricoli per destinarli a modalità di fruizione non produttive. In questo modo si _________________________________________________________________________________________________________
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riduce l’offerta produttiva su due versanti: quello della base produttiva utilizzabile e quello degli incrementi di produttività. L’apparente convergenza del consenso assume l’espressione di volontà confuse, contraddittorie e incompatibili. 2. Un mondo complesso La realtà è molto più complessa di quanto in genere si sia portati a ritenere. Anche le recenti evoluzioni della situazione alimentare collegate al procedere della crisi mondiale ne sono una conferma, con l’introduzione o l’ampliamento del ruolo di variabili che hanno assunto posizioni in apparenza dominanti sulle tradizionali driving forces del sistema. Nel tempo, l’offerta di prodotti agricoli è costantemente aumentata, contemporaneamente è cresciuta anche la domanda per l’effetto demografico e l’effetto reddito. L’aumento dell’offerta si è sviluppato a ritmi leggermente superiori dando luogo ad un sostanziale equilibrio complessivo fra domanda e offerta per i principali cereali che costituiscono la base dell’alimentazione umana (graf. 1). Con la crisi il problema alimentare è tornato a sollevare interesse. Gli obiettivi fissati dalla FAO con un eccesso di ottimismo si sono dimostrati irraggiungibili nei tempi previsti. Tuttavia negli ultimi anni, a partire dal 2010, nonostante il perdurare della crisi, il ritorno delle tradizionali forze di mercato ha dimostrato che il settore agricolo ha un potenziale di crescita che molti osservatori ritenevano in via di esaurimento, attribuendo questo fenomeno soprattutto alle conseguenze di un eccessivo sfruttamento delle risorse naturali. I dati più recenti sulle produzioni e le previsioni per la prossima campagna sembrano confermare che la crescita produttiva possa proseguire ancora, almeno in un orizzonte di breve/medio periodo quale è quello consentito dai dati disponibili (tab. 1). Una valutazione approfondita non può essere condotta solo sul dato mondiale aggregato, ma sull’articolazione della produzione e della domanda nelle diverse aree In cui si raggiungono equilibri parziali che concorrono a quello più generale, ma che sono molto per le popolazioni di ciascuna di esse. Essi si formano a partire dall’offerta locale e dalle variabili che influenzano la domanda, sociali, economiche, religiose, di conflittualità interna ed esterna nei rapporti con altri paesi. La stessa dieta alimentare, in passato basata sull’offerta locale, nel tempo si modifica grazie all’ampliamento degli scambi e delle comunicazioni (tab.2). La maggiore possibilità di comunicazione rende più elastici i margini degli equilibri, favorendo il miglioramento del sistema nel suo insieme stimolando la capacità dei singoli paesi/aggregati e valorizzando i rispettivi vantaggi competitivi. 3. Le prospettive dell’equilibrio domanda/offerta Il mercato mondiale dei prodotti agricoli oggi è un sistema unico, molto più di quanto sia mai stato in passato. Il fenomeno della globalizzazione è, allo stesso tempo, il motore di un processo di integrazione sempre più stretta fra le diverse economie e il risultato tangibile che questo processo è una realtà che cresce e si consolida nel tempo. L’attuale crisi economica ne costituisce la conferma più evidente. La crisi esplode e i suoi effetti negativi su estendono a tutto il mondo perché la globalizzazione ha ormai acquisito una propria realtà e, con essa, un grado di avanzamento che la rende prossima ad essere irreversibile, se non in condizioni drammaticamente negative che non si possono a priori escludere. Di fronte ai primi effetti negativi della crisi la reazione è stata il ritorno ad un forte protezionismo. La maggior parte dei provvedimenti di politica agraria adottati nel primo semestre 2008 fu di natura protezionistica e venne tacitamente accantonato il processo di ulteriore integrazione e liberalizzazione degli scambi nel quadro del negoziato Wto. Ma gli effetti del nuovo protezionismo agricolo sono stati inefficaci, se non negativi. Il meccanismo dei mercati agricoli si è riavviato riaprendo le frontiere e riprendendo gli scambi di prodotti agricoli che intanto sono stati prodotti in quantità record sotto lo stimolo dei prezzi. Non è in crisi, dunque, il concetto dell’ampliamento dei mercati, ma la ridotta convinzione delle politiche agricole a perseguirlo con maggiore coerenza. _________________________________________________________________________________________________________
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Certamente, tuttavia, occorre tenere conto della varietà dei contesti politici, economici e produttivi in cui ci si muove. Il sentiero di evoluzione dei consumi alimentari, è abbastanza facilmente individuabile nel quadro del processo di sviluppo economico nei vari paesi/gruppi di paesi classificabili secondo quattro tipologie: 1. PVS con grave carenza di alimenti e di energia, 2. Pvs con potenzialità atte a fare conseguire un grado di copertura dei consumi adeguato, 3. Paesi emergenti con output e consumi in crescita, 4. Paesi sviluppati con consumi maturi, buona capacità produttiva di alimenti e anche di commodity agricole. In tutte queste situazioni è possibile accompagnare la crescita della domanda agendo sul versante dell’offerta con una serie di stimoli che vanno dall’aumento della produttività agricola al miglioramento delle fasi post raccolta, alla conservazione e trasformazione delle materie prime agricole, alla logistica, all’incremento dell’interscambio sino alla valorizzazione dei vantaggi competitivi esistenti. Non è realistico escludere ulteriori incrementi della quantità e qualità delle produzioni agricole né ipotizzarne un contenimento per riservare risorse al futuro in presenza di un aggravamento del quadro alimentare attuale. La prospettiva di sviluppo richiede però una consistente immissione di innovazioni tecnologiche differenziate in funzione delle diverse esigenze e delle variabili che influiscono sulla domanda e sull’offerta di innovazione. Perché ciò sia possibile occorre resistere alla tentazione di pensare che un solo modello di politica vada bene per tutti e sviluppare invece una logica che includa diverse soluzioni e modelli. 4. Quale logica per le politiche agrarie? Ciò che appare necessario, soprattutto in un orizzonte di lungo termine, appare affidato ad una logica in apparenza egoistica, ma in realtà di maggiore lungimiranza, che affidi alle singole politiche agricole nazionali o sovranazionali il compito di strutturarsi in modo da tenere conto del contesto mondiale complessivo e non solo di quello proprio che in questo orizzonte si presenta limitato da interessi specifici. In sintesi sarebbe sufficiente che esse fossero costruite sulla base delle esigenze rispettive, ma in funzione del contesto complessivo in cui si inseriscono e delle prospettive a lungo termine a livello sia interno sia esterno. 5. Le politiche agricole alla prova: il caso della Pac La recente approvazione della riforma della Pac che sta entrando in vigore in questi mesi costituisce in questo senso un esempio su cui riflettere. Essa rappresenta il quinto successivo passaggio di un unico processo di riforma avviato nell’ormai lontano 1992 per sostituire la precedente impostazione della Pac che, dopo un quarantennio, si mostrava superata. Al momento in cui questa fase viene approvata lo scenario è però ulteriormente mutato. La crisi ha mostrato le difficoltà di un mondo globale e la necessità di strategie di politica agraria adeguate. Ma la riforma è fortemente deludente, un semplice sviluppo accompagnato da riduzione delle risorse, spostamento degli aiuti fra paesi, introduzione di norme velleitariamente a favore dell’ambiente. In sostanza una politica senza respiro che semplicemente allontana nel tempo l’adozione di una vera politica agricola nuova. Si riducono ad affermazioni generiche i grandi problemi dello scenario mondiale e della necessità di incrementare le produzioni per tener conto della nuova realtà. In Europa si punta ad un congelamento della produzione che già da anni è stabile. Le tematiche del cambiamento climatico e degli usi non alimentari dei prodotti agricoli vengono sottaciute e non vengono affrontate in una logica di lungo periodo. Il mondo agricolo appare deluso e disorientato anche perché vede calare il sostegno alle produzioni nel momento in cui si profila un futuro in cui invece vi sarà l’esigenza opposta. _________________________________________________________________________________________________________
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6. La politica agricola italiana esiste? La politica agricola italiana nel corso degli anni è stata di fatto sostituita dalla Pac. Il nostro paese ha abbandonato, anche a causa della regionalizzazione dell’agricoltura, ogni autonoma capacità di elaborazione di una propria politica agricola. La riforma della Pac offre agli stati membri la possibilità di intervenire su alcuni aspetti, infrangendo l’interpretazione troppo rigida della natura “comune” della Pac. Il nostro paese si è adeguato ad un modello adottato da un certo numero di paesi, quello irlandese. Ma non è riuscito a compiere scelte proprie nella parte relativa all’assegnazione delle risorse finanziarie per l’accoppiamento degli aiuti distribuiti fra un numero elevato di prodotti senza strategia, come sarebbe invece compito di ogni politica. Accanto ai fondi europei, poi il nostro paese non è stato in grado da anni di aggiungere risorse finanziarie proprie. 7. La responsabilità produttiva delle diverse agricolture La crescente integrazione del mercato agricolo mondiale permette una migliore allocazione delle risorse produttive e costituisce il supporto per un equilibrato incremento della produzione che possa sostenere, a sua volta, quello della domanda. Il futuro delle sfide per l’agricoltura si trova nel recupero delle potenzialità produttive esistenti e nella conseguente redistribuzione fra i diversi paesi ed aree. Se in apparenza la situazione è abbastanza chiara, non lo è altrettanto la risposta che sembra provenire da un certo numero di paesi sviluppati. La politica agricola europea è sempre più orientata ad un relativo contenimento della produzione da realizzare riducendo l’intensificazione. La virata della Pac dal suo modello originario, produttivista e protezionista, a quello che nelle diverse tappe della riforma si sta consolidando, moderatamente estensivo e semi protetto nei confronti della concorrenza mondiale, trova giustificazione in due e contrastanti obiettivi: a) la riduzione delle costose eccedenze produttive provocate dalla vecchia Pac unita alla necessità di conformarsi agli orientamenti mondiali in materia di libertà degli scambi, b) la volontà di proporre ad una società meno sensibile che in passato alle necessità dell’agricoltura una motivazione forte, quella ambientale, per conseguire il consenso necessario a proseguire in una moderata azione di sostegno che incide per lo 0,4% del Pil europeo. L’attuale situazione di equilibrio mondiale fra domanda e offerta di beni agricoli nel breve periodo consente una simile tendenza, ma si dimostra di corta prospettiva se si considerano le grandi variabili in gioco. I prezzi agricoli nel lungo periodo sono stabili o flettenti grazie agli incrementi di produttività (graf.2 e 3). La spinta demografica, pur rallentata negli ultimi anni, prosegue. L’auspicata fine della crisi determinerà insieme ad un ulteriore impulso della domanda anche un parallelo aumento dei prezzi oggi fermi dal 2012 (graf. 4) e forti carenze a livello globale e di singoli paesi. Sarà necessario un forte sforzo produttivo complessivo che vedrà il suo fulcro nei paesi delle aree temperate. Ciò impone all’Europa, ed all’Italia nello specifico, la riconsiderazione delle politiche agricole attuali nella logica di una assunzione di responsabilità nei confronti dell’intero pianeta. 8. Il ruolo dell’innovazione scientifica e tecnologica Per poter pensare ad un futuro mondiale più sereno è necessario che l’intero pianeta sia coinvolto in un grande sforzo di incremento della produzione agricola diversificato in funzione dei differenti ruoli e stadi di sviluppo. L’incremento dell’offerta può essere conseguito solo grazie ad un aumento della produttività sia tecnica sia economica nelle diverse situazioni. La riduzione dei costi di produzione unitari, in questo senso, è un fattore chiave nello stimolare l’ulteriore sviluppo della produzione in tutti i contesti, inclusi quelli dei paesi più avanzati il cui peso sull’offerta agricola complessiva rimarrà determinante. Accanto ad essa si colloca la logica della valorizzazione dei vantaggi competitivi di ogni contesto produttivo. Perché ciò sia possibile con effetti sia sui prodotti sia sui processi sia sull’organizzazione della produzione. occorre favorire una nuova politica agricola di stimolo. Le grandi sfide del futuro sul piano produttivo comprendono anche la tutela del patrimonio di risorse naturali e la necessità degli adattamenti che il cambiamento climatico può determinare. La semplice riduzione della produzione dei paesi ricchi compensata da crescenti importazioni dal mercato mondiale si traduce in una _________________________________________________________________________________________________________
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minore disponibilità per gli altri potenziali acquirenti ed in un incremento dei prezzi che aggrava le condizioni dei più deboli. 9. La lezione della situazione agricola italiana Queste considerazioni trovano conferma nelle recenti vicende del nostro sistema agricolo. Il trend di progressiva contrazione della produzione agricola è un fatto evidente. Il contesto in cui si muovono le grandi colture è di stagnazione o flessione: il frumento è stazionario e non ha potuto approfittare di un mercato migliore in termini di prezzi relativi rispetto alle colture competitive, la superficie è in lento calo e le rese non decollano; il mais negli ultimi 5 anni presenta un trend in calo nonostante un mercato interno che può assorbire quantitativi maggiori e che si rivolge alle importazioni aprendo questioni irrisolte sul suo futuro; il riso risente della stasi del mercato mondiale, si trova in una situazione di mercato difficile ed è anch’esso in calo; la soia, e le oleaginose in generale, insieme alla barbabietola rappresentano esempi clamorosi di mancanza di strategia nazionale fondata sulle esigenze dell’impiego zootecnico delle prime e del consumo interno della seconda. In questo contesto si innestano le difficoltà delle ultime due annate in cui l’andamento climatico anomalo ha condotto ad un calo delle produzioni in un contesto di prezzi che, essendo legato a quello mondiale, rimangono bassi (graf.5), mentre la relativa abbondanza di offerta mondiale è in grado di compensare le carenze produttive interne. (tab. 4.1 e 4.2). In genere le avversità in un’agricoltura avanzata sono contrastate dall’impiego dei mezzi tecnici. Ciò avviene dove si può fare ricorso a questi ultimi con il risultato che il rischio tecnico più elevato in agricoltura che in altre attività economiche viene di norma ridotto. La difficoltà a poter impiegare mezzi tecnici tuttavia è elevata nel nostro paese ed ha influito negativamente riportando indietro l’orologio della storia in agricoltura. 10. Le politiche agricole e le sfide dell’agricoltura Le considerazioni svolte indicano la mancanza di strategia delle politiche agricole a fronte di un contesto difficile e in potenziale aggravamento. L’attuale fase di relativa tranquillità può essere improvvisamente interrotta da eventi extra agricoli imprevisti, come indicano le crisi in corso nel bacino del Mar Nero o in Medio Oriente. L’impressione è che in concreto prevalgano orientamenti più basati sulla ricerca di vantaggi immediati sul fronte commerciale che la considerazione dell’importanza dei fenomeni produttivi. In breve: 1. L’Italia non può avviarsi ad essere un paese fortemente trasformatore di materie prime agricole e, nello stesso tempo, giocare la carta della difesa a oltranza delle produzioni a denominazione protetta. 2. Non si possono avere modelli alimentari evoluti con consumi che tornino ad essere quelli di un passato in cui le esigenze alimentari erano ben più modeste e comunque insoddisfatte. 3. È velleitaria la partecipazione ai problemi alimentari del pianeta se rifiutiamo di sostenere il ruolo che ci compete. 4. Le grandi sfide delle produzioni agricole, da quelle climatiche a quelle alimentari agli usi non alimentari, non possono essere affrontate se si rifiuta per principio l’innovazione che il progresso scientifico e tecnologico consentono. Il ruolo delle politiche agricole è quello di inserire tutte queste considerazioni in una strategia coerente e realizzabile, ma non se ne trova traccia reale in quelle attuali. _________________________________________________________________________________________________________
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Società Italiana di Agronomia XLIII Convegno Nazionale La sostenibilità dell’intensificazione colturale e le politiche agricole: il ruolo della ricerca agronomica La sostenibilità delle colture non‐alimentari; il ruolo della ricerca agronomica Marco Mazzoncini Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro‐ambientali Università di Pisa 17 – 19 settembre 2014 Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa _________________________________________________________________________________________________________
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La sostenibilità delle colture non‐alimentari; il ruolo della ricerca agronomica 1. Introduzione I terreni agricoli sono stati utilizzati da sempre per coltivare specie a destinazione alimentare (food), foraggera (feed) e non‐alimentare (non‐food) per la produzione di fibre, zucchero, tabacco, energia, coloranti, spezie, medicamenti, oli essenziali; la loro coltivazione ha contribuito a soddisfare le esigenze della popolazione e allo stesso tempo a diversificare gli avvicendamenti colturali e integrare il reddito aziendale. A seguito della prima crisi petrolifera del ’73, si è iniziato a valutare il settore primario sia come utilizzatore di energia sia come potenziale fornitore di biomasse destinabili alla produzione di bio‐energia (bio‐ diesel, bio‐etanolo e biomasse solide da utilizzare per la produzione di energia sotto forma di calore e elettricità). Da quel momento, scomparse alcune colture tipicamente non alimentari come il lino e la canapa, nel nostro Paese la ricerca nel settore “non‐food” e le applicazioni tecnologiche da essa derivanti, si sono sviluppate in modo discontinuo, seguendo più gli impulsi generati da eventi particolari (seconda crisi petrolifera del ’79‐80, iniziative locali o nazionali promosse in modo sporadico) piuttosto che un filone di ricerca che riflettesse una chiara esigenza sociale. Dagli anni ’90, nell’ambito della UE, anche la PAC1 ha condizionato lo sviluppo delle colture non‐food consentendone la coltivazione sui terreni a set‐aside. Data l’esistenza di filiere nazionali dedicate alla produzione di bio‐diesel e ai benefici effetti prodotti sull’ambiente dall’uso di questo bio‐carburante, le colture non‐food che si sono diffuse in questo contesto sono state prevalentemente quelle utilizzabili per i biocarburanti di prima generazione (in Europa colza, soia e più raramente il girasole; in Brasile la canna da zucchero). Più recentemente, a seguito del riconoscimento della gravità degli effetti prodotti dai cambiamenti climatici sul futuro del Pianeta, la ricerca e le politiche di indirizzo si sono concentrate sulla individuazione delle attività maggiormente responsabili delle emissioni di GHGs e sulle relative misure di mitigazione e di adattamento a queste nuove condizioni. Poiché i principali “emettitori” sono stati individuati nel settore energetico e in quello dei trasporti (previsto in aumento) [1], le politiche globali si sono dirette a rafforzare la produzione di energia rinnovabile e di biocarburanti. Già negli anni ’90 la Politica Comunitaria ha sostenuto la produzione di biocarburanti facendo leva sui numerosi vantaggi associabili alla loro utilizzazione (maggiore sicurezza energetica, maggiore sicurezza del settore dei trasporti, possibilità di sviluppo rurale, produzione e esportazione di tecnologie) e prefigurando all’opinione pubblica il ruolo di leader globale della UE in questo settore [2]. L’uso dei biocarburanti è stato quindi promosso in molti Stati attraverso sistemi di tassazione agevolata e contributi specifici. In ambito UE, l’interesse per i biocarburanti si è concretizzato con la Direttiva 2003/30/EC. Nel 2007 negli USA è stato approvato EISA (Energy Independence and Security Act) con il quale si rendeva obbligatoria la miscelazione di benzina e gasolio rispettivamente con bioetanolo e biodiesel fino al 2022. Nel 2009 anche l’Unione Europea ha reso obbligatoria la miscelazione dei carburanti fossili con quelli di origine vegetale secondo quantitativi annui prefissati e variabili nel tempo (Renewable Energy Directive (RED) ‐ Fuel Quality Directive (FQD) fino al 2020. Anche a seguito di queste iniziative, oggi constatiamo che nell’ambito delle colture “convenzionalmente” destinate all’alimentazione umana e animale (mais, frumento, colza, palma da olio, canna da zucchero, ecc.) la quota di produzione non destinata all’alimentazione umana e animale è aumentata ed è prevalentemente destinata alla produzione di bio‐energia e segnatamente di biofuels (per circa il 75% al 2010) [3]. In un futuro non troppo lontano le politiche dell’Unione sembrano indicare un ruolo sempre più importante dell’Agricoltura nel cambiamento verso una nuova economia mondiale basata su prodotti di origine biologica e a ridotta produzione di rifiuti (bio‐raffinerie) mirata a combinare l’interesse del singolo con quello della collettività e a risolvere a livello locale problemi globali [4, 5]. 1 http://ec.europa.eu/agriculture/envir/report/en/n‐food_en/report.htm#foot6a _________________________________________________________________________________________________________
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2. La sostenibilità delle colture a destinazione non alimentare La “riscoperta” dell’Agricoltura come settore di importanza strategica per la difesa dell’ambiente (in sensu lato e non soltanto in termini di riduzione delle emissioni) e per la produzione di bio‐base‐products, dovrebbe rappresentare motivo di grande soddisfazione per chi ha a cuore i problemi dell’Agricoltura e il futuro del nostro Pianeta. Da anni riconosciamo alle colture non‐food e alla loro utilizzazione una serie di vantaggi potenziali nei confronti dell’ambientale, dello sviluppo rurale e della conservazione delle risorse peraltro ancora oggi assolutamente condivisibili [6]. Ma negli ultimi anni la percezione positiva delle filiere agro‐energetiche e dei biocarburanti da parte dei tecnici, dai portatori d’interesse e dall’opinione pubblica, si sta ridimensionando drasticamente al punto di farli percepire come una minaccia per la sicurezza alimentare e il riscaldamento globale. Questo cambiamento di paradigma sembra derivare più dallo scorretto sviluppo del comparto e dei sistemi di interrelazioni che si sono sviluppati all’interno delle “filiere” produttive piuttosto che alla natura stessa dei processi di produzione e trasformazione che, anche se non molto efficienti, potrebbero ancora garantire i ben noti vantaggi per i quali sono stati diffusi se soltanto fossero applicati in modo corretto (anche in relazione all’ambiente pedo‐climatico e alle condizioni socio‐economiche al contorno). Lo sviluppo delle filiere del non‐food, registrato dal 2008 ad oggi, infatti, si è concentrato prevalentemente su quelle agro‐energetiche (biocarburanti e biogas), seguendo una crescita accelerata basata più su opportunità economiche connesse a normative e direttive, che sulle reali condizioni di mercato . In molti casi ciò ha prodotto un rapporto instabile tra territorio‐agricoltura e industria generando talvolta scarsi vantaggi al mondo agricolo e stimolando accesi dibattiti ideologici sia a livello locale che globale. Infine, anche recenti ricerche sull’impatto ambientale delle filiere così sviluppatesi, hanno dimostrato che non sempre esse sono in grado di determinare una apprezzabile riduzione delle emissioni di GHG. Tutto ciò è ben lontano dalle aspettative che si attribuivano all’Agricoltura non‐food, basate sullo sviluppo di un rapporto stabile, equilibrato e sinergico tra il mondo della produzione primaria e quello della trasformazione industriale finalizzato a ridurre l’impatto sull’ambiente e a garantire la rinnovabilità dei processi produttivi. In altre parole, le filiere non‐food non sono riuscite del tutto, a tenere di conto degli interessi di più soggetti (pubblici e privati) che, all’interno della filiera, operano legittimamente o alla ricerca del proprio tornaconto o di quello della “cosa pubblica”, ma che si dovrebbero comunque caratterizzare per la volontà condivisa di operare nella direzione di uno sviluppo più sostenibile. I risultati non sempre positivi di queste attività dipendono in gran parte dalle “modalità” con le quali esse vengono gestite dall’uomo. Ma per evitare che una opportunità si trasformi di fatto in una minaccia è necessario poter “valutare” le possibili “modalità” di gestione e le possibili interazioni che esse possono generare nelle diverse Regioni del Mondo. Dal punto di vista ideologico, formale e operativo, questa valutazione non può non inserirsi nell’ambito di una più ampia analisi della Sostenibilità e dei suoi 3 pilastri: la sostenibilità ambientale, quella economica e infine quella sociale intesa nell’accezione più ampia del termine che include anche la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo secondo la Dichiarazione Universale del 1948. In molte occasioni è stata richiamata la necessità di sottoporre questo settore produttivo a un’attenta analisi della sostenibilità2 ma i numerosi studi sulla sostenibilità condotti su filiere produttive diverse hanno spesso prodotto risultati contraddittori evidenziando la difficoltà di analizzare questa caratteristica (la sostenibilità) così complessa e mutabile in relazione alle condizioni al contorno. 2 Crops, wood and waste are the building blocks of the bioeconomy; they are the feedstocks that fuel the biomass industry. We must learn to use these vital resources more efficiently and sustainably if we are to balance the need for food, feed, energy, fuel and materials (http://www.nnfcc.co.uk/feedstocks#sthash.M26G5Lk5.dpuf ‐2014) Sustainability criteria should be defined and applied to biomass independent of its end‐use (with the exception of forest biomass which, according to Finnish Forest Industries already has a high sustainability level in the EU) to ensure a level playing field. Such criteria should include all three pillars of sustainability (environmental, social and economic). The development of lifecycle assessments for products and processes should encompass the whole value chain of a bio‐based product, addressing the full cycle of extraction, production, commercialisation, use and disposal, shifting from a ‘cradle‐to‐ grave’ towards a ‘cradle‐to‐cradle’ thinking (CCIEP). Besides CO2 emissions reductions, future key aspects of such life cycle assessments (LCAs) should be biodiversity, soil protection, water conservation, air quality and social sustainability. (http://ec.europa.eu/research/bioeconomy/pdf/biobasedeconomyforeuropepart2_allbrochure_web.pdf ‐ 2011) _________________________________________________________________________________________________________
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I motivi della disomogeneità di molti risultati dell’analisi della sostenibilità delle filiere non‐food e delle agro‐energetiche in particolare, risiedono nella variabilità dei criteri di sostenibilità adottati e nella affidabilità delle metodologie di indagine utilizzate in questi studi. Criteri La definizione di criteri di sostenibilità condivisi e certificabili da applicare a prodotti diversi e in particolare a quelli ottenuti da risorse rinnovabili é un’esigenza sempre più sentita sia da strutture pubbliche che private per guidare scelte di indirizzo politico e imprenditoriale. Anche per molte imprese, comprese quelle della GDO, le certificazioni ottenibili da un’adeguata analisi della sostenibilità dei loro prodotti alimentari e non, possono rappresentare un punto di forza e un importante strumento di marketing (Metro, Coop,3). La scelta dei criteri da utilizzare nell’analisi della sostenibilità, in assenza di regolamentazione specifica, avviene sulla base dell’interesse prevalente dell’utilizzatore dei risultati dell’analisi, della semplicità di determinazione dei parametri e dell’interesse dei diversi stakeholders. Ecco quindi che vengono privilegiati più frequentemente i criteri più facilmente comunicabili e misurabili; in genere quelli ambientali e quelli sociali (rispetto dei principi dei lavoratori e della tutela dei minori). La maggiore frequenza con la quale in molti studi si fa riferimento esclusivamente alla valutazione della sostenibilità ambientale potrebbe essere legata, oltreché al crescente interesse per l’ambiente da parte della collettività, anche alla maggiore attività del mondo della ricerca in questo settore legata a sua volta alla oggettività dei risultati conseguiti. Altri fattori che sicuramente hanno contribuito e contribuiranno a indirizzare sempre di più l’analisi della sostenibilità nella direzione ambientale sono: (i) la priorità che nell’ambito della UE si sta dando ai cambiamenti climatici e agli strumenti di mitigazione e adattamento; (ii) la disponibilità di una metodologia ormai riconosciuta a livello globale e certificata (LCA). Ecco quindi che, in assenza di studi multidisciplinari, sempre più spesso si assiste a analisi specifiche di carattere ambientale e/o economico tralasciando spesso l’aspetto della sostenibilità sociale nella sua forma più ampia comprendente anche le problematiche di natura etica. Anche l’articolo di Tilman e collaboratori pubblicato su Science nel 2009 [7] ha generato un interessante dibattito interno alla rivista, proprio perché tra i criteri di sostenibilità indicati dagli Autori non si faceva alcun riferimento alle problematiche sociali connesse all’attivazione delle filiere non‐food [8]. Un caso ancora più evidente è rappresentato dalla direttiva RED nella quale è espressamente dichiarato di non considerare problematiche economiche e sociali ai fini della valutazione della sostenibilità dei biocarburanti. Più recenti sistemi di certificazione volontaria (RSPO‐RED)4 prendono in considerazione sia le problematiche legate alla sostenibilità ambientale che a quella sociale. Secondo Biksey e Wu [9] sarebbe inoltre opportuno considerare tra i criteri per la valutazione delle sostenibilità delle filiere non‐food anche l’effetto sulla salute degli uomini e degli animali dell’intera filiera e dei suoi co‐prodotti. Metodologie di indagine Tra i metodi di analisi della sostenibilità (soprattutto quella ambientale), quello più diffuso e certificato (ISO 14040 e 14044) è rappresentato dal metodo LCA (Life Cycle Assessment). Il metodo è adottato da molti enti di certificazione e la stessa UE lo ha scelto per la stima della sostenibilità dei biocarburanti e dei bioliquidi nell’ambito delle direttive RED e FQD. Con il metodo LCA vengono normalmente analizzate le seguenti categorie di impatto: riscaldamento globale, riduzione dell’ozono presente nella stratosfera, potenziale di formazione fotochimica dell’ozono nella troposfera, potenziale di eutrofizzazione, potenziale di acidificazione, tossicità per l’uomo, eco‐tossicità, consumo di risorse abiotiche (ADP), consumo di risorse biotiche (BDP), utilizzo del territorio, utilizzo dell’acqua. Di questi impatti, la RED prende in considerazione soltanto il GWP (emissioni di GHG) al fine di definire i valori soglia di risparmio delle emissioni rispetto all’omologa filiera “fossile” del biocarburante considerato (35%). La RED, inoltre, introduce altri obblighi come il divieto di coltivazione delle colture da biofuels su terreni forestali, su aree con funzioni ecosistemiche, su pascoli con alta biodiversità, su terreni con alto contenuto in C (terreni torbosi e paludi che non hanno variato la loro destinazione successivamente al gennaio 2008). Le emissioni 3 http://www.metrogroup.de/internet/site/mcc/node/356037/Lde/index.html; ‐ COOP ‐ http://www.coop.ch/pb/site/nachhaltigkeit/node/64228308/Lit/index.html# ‐ 4 http://www.rspo.org/ _________________________________________________________________________________________________________
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prevedono anche il computo, ove necessario del LUC (Land Use Change), l’allocazione delle emissioni tra i co‐ prodotti sulla base del loro valore energetico, un bonus per energia ulteriore prodotta dalla filiera e per la coltivazione delle aree fortemente degradate. Le principali criticità legate all’utilizzazione di questa metodologia di analisi [10] saranno discusse nei paragrafi seguenti. 3. Analisi delle criticità legate ai criteri e alle metodologie utilizzate per la valutazione della sostenibilità delle colture non‐food Come noto, una filiera può risultare sostenibile dal punto di vista economico e ambientale (in relazione a valori standard predefiniti) ma può non esserlo dal punto di vista sociale ed etico; molto dipende da come l’uomo intende gestire la produzione, la trasformazione, il trasporto e la commercializzazione dei prodotti non‐ alimentari. Nel caso delle filiere basate sulla produzione di “biofuel‐1G”, la loro rapida diffusione trova ragione nella convenienza economica alla produzione delle biomasse da biocarburanti (in relazione alle specie coltivata, all’ambiente di coltivazione, ai costi di produzione, al regime fiscale applicato nei Paesi produttori e al regime di dazi eventualmente attivato in caso di importazioni‐esportazioni), alla loro trasformazione (stante il prezzo attuale del petrolio) e all’esistenza di un mercato stabile con regole sufficientemente chiare (effetto indotto dall’obbligo di miscelazione dei carburanti fossili con biocarburanti sia negli USA che nella UE). Queste condizioni di mercato possono stimolare comportamenti speculativi da parte di imprenditori senza scrupoli, propensi ad attivare filiere basate su una gestione intensiva delle colture da energia/biomassa e una gestione centralizzata della trasformazione delle biomasse stesse su larga scala anche a lunga distanza dalla zona di produzione. Da questo tipo di approccio possono derivare problemi ambientali, sociali, socio‐economici e etici anche in relazione a quelli che sono i diritti dell’Uomo sanciti nella Dichiarazione Universale del 1948. 4. La sostenibilità sociale L’importanza di questo pilastro della sostenibilità emerge anche dai lavori di ricercatori italiani e stranieri finalizzati all’analisi della sostenibilità ambientale delle colture/filiere non‐food (da energia in particolare), che evidenziano sempre più frequentemente la necessità di analizzare anche le problematiche sociali, socio‐ economiche e etiche connesse alla loro diffusione [6, 7, 8]. Problematiche sociali In un mercato globale i trasformatori tendono ad approvvigionarsi di “materia prima” laddove i prezzi della stessa sono più bassi; ciò potrebbe portare all’esclusione dei piccoli produttori che operano nell’areale di trasformazione ma non sono sufficientemente competitivi nei confronti di omologhi stranieri. In molti casi, data la necessità di acquisire ingenti quantità di biomassa per supportare il funzionamento di grandi impianti di trasformazione (invero, spesso più efficienti), i trasformatori assumono le vesti di produttori primari acquisendo terreni agricoli e controllano il processo di produzione fin dall’inizio della filiera. Ciò ha portato all’acquisizione di terreni nelle regioni del Mondo dove il prezzo della terra è più basso per motivi di mercato o per la facilità dei Governi (soprattutto quelli dei PVS) di assegnare terre a multinazionali, altri governi stranieri e privati senza ricompensare adeguatamente gli agricoltori che occupavano i terreni ceduti ‐ (accaparramento della terra o land grabbing). Ancora una volta, un’interessante opportunità di crescita per molti Regioni del nostro Pianeta, legata all’apporto di capitali e quindi all’avvio dei processi di produzione, si sta spesso rivelando una minaccia per l’ambiente (sviluppo della monocoltura, applicazione di tecniche colturali intensive) e per il tessuto sociale visto che molti agricoltori ex‐conduttori del fondo passando alle dipendenza del nuovo proprietario hanno perso i loro diritti sulla terra e le altre risorse connesse (acqua, energia sotto forma di legname, ecc.). Inoltre, la grande azienda capitalistica dei PVS, basata sul lavoro degli abitanti del luogo (in precedenza agricoltori diretti) potrebbe non garantire salari adeguati al contesto sociale. _________________________________________________________________________________________________________
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Ma forse il problema sociale più grave che potrebbe sorgere a seguito di questi fenomeni, risiede nell’insicurezza alimentare che in un futuro più o meno lontano potrebbe generarsi a seguito dell’abbandono dell’area occupata dalle colture non‐food da parte dei “nuovi” proprietari e la riconsegna (forse) alle famiglie un tempo conduttrici o proprietarie del fondo; in questa ipotesi sarebbe lecito chiedersi se i loro vecchi terreni saranno ancora sufficientemente fertili, se le nuove generazioni avranno l’interesse e la capacità di coltivare il fondo di famiglia, e quanta cultura contadina sarà andata persa negli anni. Problematiche socio‐economiche Da alcune esperienze dirette maturate nella messa a punto di filiere non‐food a livello regionale (Progetto Biovit, Dulvit, SiENA, ecc.) è emersa in modo costante la difficoltà di distribuire il VA dei prodotti trasformati tra i componenti della filiera in modo proporzionale al loro impegno economico nella filiera stessa. La “ricchezza” ottenuta dalla trasformazione dei prodotti (anche nel caso delle filiere food) rischia sovente di non distribuirsi in modo soddisfacente tra gli attori della filiera; tra questi, i più frequentemente penalizzati sono proprio gli agricoltori, relegati al ruolo di semplici produttori di “materia prima” e solo marginalmente coinvolti nel risultato finale della filiera. Il perdurare di atteggiamenti opportunistici di questo tipo potrebbe portare, in certi casi, al rifiuto degli agricoltori a stipulare contratti di filiera palesemente più favorevoli ai trasformatori, spingendo così l’industria di trasformazione a acquisire la “materia prima” in altri areali ai prezzi più bassi trasferendo altrove la potenziale ricchezza indotta dalla filiera. Problematiche etiche La crescente necessità di cibo correlata all’incremento demografico del nostro Pianeta atteso per i prossimi decenni, impone una più attenta gestione delle risorse disponibili; in quest’ottica, si spiegano le ragioni di un dibattito che si protrae da qualche anno in merito l’utilizzazione a scopi non alimentari (per biocarburanti in particolare) dei terreni destinati tradizionalmente alle colture a destinazione alimentare. Solo attraverso questa considerazione possiamo infatti spiegarci perché negli anni ’90 il dibattito sul “set‐aside sì ‐ set‐aside no” non avesse raggiunto toni così accesi come ora sta avvenendo per il dibatto “food vs biofuel”. Eppure all’epoca si registrò una riduzione dei terreni coltivati di ben 8 milioni di ettari rientrati poi in coltivazione a partire dal 2008 (almeno per i contratti a scadenza annuale) a seguito dell’abolizione di questo regolamento comunitario. Se si considera che circa il 99% dei biocarburanti usati nel 2012 in EU per il trasporto su strada derivavano da colture destinabili all’alimentazione umana o animale [11], nasce legittima la domanda se sviluppare o meno queste filiere quando in molte parti del mondo la popolazione soffre ancora la fame [12‐13]. Al dibattito internazionale sull’argomento, i sostenitori di questa opinione adducono le seguenti ragioni: (i) la diffusione delle colture non‐food a scapito delle food potrebbe incrementare l’insicurezza alimentare per la diminuita produzione di food; (ii) potrebbe ridurre l’entità delle scorte alimentari; (iii) potrebbe determinare un maggiore impatto ambientale. A fronte di questa posizione eccessivamente radicale si contrappongono altre altrettanto oltranziste che mettono in evidenza soltanto gli aspetti positivi legati allo sviluppo delle filiere non‐alimentari. La questione è sicuramente più complessa di quanto le due posizioni contrapposte possono far emergere, soprattutto perché i termini del problema non sono completamente definiti. In accordo con TIlman e collaboratori [7] e con Venturi [14], ricordiamo che le ricadute economiche, sociali e ambientali prodotte dall’attivazione delle filiere non‐food dipendono moltissimo: 1. dal modo con il quale esse sono gestite dall’uomo; 2. dal contesto agricolo e socio‐economico nel quale si realizzano; 5
3. dalla disponibilità di terreni ; 5 Dipende dall’estensione delle superfici agricole dei diversi Paesi: grandi estensioni e basse densità abitative lasciano supporre disponibilità di espansione delle non‐food e convivenza con le food: condizione ideale). Questa situazione è frequente in alcuni Paese extra UE ma è proprio in questi contesti che l’utilizzazione dei terreni potrebbe implicare la distruzione di ambienti naturali (es. deforestazione). In altri contesti caratterizzati da limitata superficie agricola e forte densità abitativa (UE) è necessario verificare la disponibilità di superfici. In un r ecente rapporto del IEEP (Institute for European Environmental Policy) [11] sono state stimate le superficie potenzialmente convertibili in Europa a colture energetiche considerando utilizzabili le seguenti tipologie di terreno: abbandonato, a maggese, marginale, contaminato, con riferimento all’anno 2012). I principali risultati evidenziano che nonostante la disponibilità ottimisticamente stimata di 1.35 milioni di ettari, il contr ibuto alla produzione di bioenergia (biocarburanti, calore, elettricità) sarebbe ben poca cosa: da un minimo dello 0,5‐1,0% nel caso dei biocarburanti, a un massimo 5‐11% nel caso del calore. _________________________________________________________________________________________________________
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4. 5. 6. dalla loro fertilità6; dalla disponibilità di nuove fonti alimentari (alghe, pesci, insetti, ecc.) e dalla possibilità di operare per una drastica riduzione degli sprechi alimentari; dalla diffusione dei biocarburanti 2G. E’ evidente, quindi, che non è assolutamente facile evidenziare tutto questo in un’analisi della sostenibilità sociale; se ancora troppo frequentemente il criterio della sostenibilità sociale non rientra nelle analisi condotte, un motivo deve pur esserci. Verosimilmente dipende dalla complessità delle tematiche, dalla difficoltà di individuare indicatori sintetici e al tempo stesso facilmente calcolabili o direttamente acquisibili. In molti casi il rilevamento dei dati di base è condizionato dalla volontà del detentore del dato di non renderlo disponibile per non autodenunciare eventuali irregolarità (lavoro nero; sfruttamento minorile; salari inferiori a minimi di legge; sicurezza sul lavoro; ecc.). Nonostante le difficoltà dovremmo fare di più, perché l’incompletezza delle analisi di sostenibilità che non prendendo in considerazione la sfera del “sociale “, rischia di aggravare le incertezze sulla validità o meno di considerare l’Agricoltura come fonte di materie prime rinnovabili per un’industria “sostenibile”, alimentando così convinzioni basate spesso su ricerche non del tutto appropriate per l’incompletezza dei criteri adottati e/o per l’inadeguatezza delle metodologie utilizzate. 5. La sostenibilità ambientale A differenza di quella sociale, la sostenibilità ambientale rientra sempre nella valutazione delle filiere agro‐energetiche sia per la verifica della riduzione dell’impatto ambientale rispetto alle corrispondenti filiere convenzionali basate su prodotti di origine fossile, sia per trasmettere all’opinioni pubblica un messaggio rassicurante in merito alla possibilità di intraprendere uno sviluppo sostenibile del nostro Pianeta anche grazie all’uso di bio‐energie e bio‐prodotti. Gli impatti ambientali presi in considerazione in questo tipo di analisi dovrebbero riguardare tutti quei fenomeni che, sviluppandosi nell’ambito della filiera, possono rappresentare una minaccia per l’ambiente sia a livello locale che globale. Nel primo caso dovremmo considerare i seguenti fenomeni: (i) inquinamento dell’aria (dovuto al trasporto della materia prima, di quella trasformata e allo smaltimento dei residui della trasformazione); (ii) inquinamento delle acque superficiali e profonde (da fitofarmaci e nutrienti ricollegabili all’attività agricola e ai processi di trasformazione); (iii) erosione del suolo; (iv) perdita di fertilità dei terreni agricoli; (v) perdita di biodiversità. Nel secondo caso dovremmo ricordare: (vi) l’utilizzazione di risorse non rinnovabili (energia fossile, rocce fosfatiche), (vii) emissioni di gas climalteranti. Nel loro insieme questi fenomeni tendono, nel tempo, a compromettere il funzionamento degli ecosistemi terrestri e degli agro‐ecosistemi, quindi, per una completa analisi della sostenibilità ambientale sarebbe opportuno considerarli come un insieme indivisibile. Purtroppo, sempre più spesso, in considerazione delle emergenze ambientali del momento, della disponibilità di tempo e risorse, molte analisi tendono a considerare soltanto una parte di questi impatti e in certi casi soltanto il livello di emissione di GHGs, come se questo parametro potesse fungere da indice sintetico della sostenibilità ambientale. La diffusione delle colture energetiche, e segnatamente di quelle destinate alla produzione di biocarburanti, ha messo però in evidenza come non sempre le filiere agro‐energetiche siano state in grado di ridurre l’impatto ambientale rispetto a quelle di riferimento [10]. Sempre più frequentemente le analisi di sostenibilità ambientale evidenziano casi in cui il rapporto tra energia in uscita e energia in entrata diviene 6 In merito alla disponibilità di terreni per le colture non‐food, si fa spesso riferimento all’utilizzazione dei terreni agricoli “abbandonati” che nell’ambito della UE rappresentano circa 800.000 ha [11]. E’ però legittimo pensare che se i terreni in questione sono stati abbandonati per motivi economici, difficilmente il regime di prezzi delle biomasse sui mercati globali potrebbe indurre gli imprenditori a tornare s ulle proprie decisioni. Anche i terreni “marginali” sono spesso considerati come possibile destinazione delle colture non‐food sia per evitare competizioni con le food sia per migliorare le performance delle non‐food in termini di riduzione delle emissioni e “sequestro” del C (spesso il C stock di questi terreni è molto basso). Per questa tipologia di terreni dobbiamo però ricordare altri limiti alla loro utilizzazione legati alla loro fertilità, alle disponibilità idriche, alla collocazione sul territorio, alla dimensione degli appezzamenti, alla distanza dalle viabilità principale, al basso livello produttivo). Inoltre, molti di questi terreni sono destinati a servizi ambientali e la loro conversione potrebbe avere un costo ambientale superiore a terre ni “normalmente” coltivati. _________________________________________________________________________________________________________
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sfavorevole per i sistemi “bio” e casi in cui si assiste a un incremento delle emissioni di GHGs o alla perdita di biodiversità dei sistemi e di fertilità del terreno. Molto spesso questi risultati si riferiscono a filiere gestite in un’ottica imprenditoriale di breve periodo che induce le imprese maggiormente coinvolte nella filiera a individuare strategie di gestione (relative alla produzione, trasformazione, trasporto e commercializzazione) poco “conservative” nei confronti delle risorse naturali dalle quali potrebbe dipendere la loro stessa attività economica (si pensi, per esempio, alla deforestazione in atto nei Paesi del sud‐est asiatico, dell’Africa e dell’America Latina). Una stabile e apprezzabile riduzione degli impatti ambientali dovrebbe passare, quindi, attraverso la presa di coscienza degli operatori del settore e un profondo processo di ottimizzazione dell’uso delle risorse naturali abbinato alla contemporanea riduzione di quelle non rinnovabili (in tutte le fasi della filiera). Ciò implica una rinnovata attenzione al cambiamento di uso del suolo (LUC), alla realizzazione di tecniche agronomiche specifiche che facciano minore ricorso a input esterni e contribuiscano a conservare la biodiversità e lo stock di C nel terreno. Su queste problematiche torneremo nel prossimo paragrafo per evidenziare il ruolo che le Scienze Agronomiche possono avere in questo processo di ottimizzazione. Ma, indipendentemente dalle strategie applicabili nella fase di produzione primaria di trasformazione, distribuzione e commercializzazione dei prodotti trasformati, è fondamentale, anche per supportare le scelte di policy, poter misurare, in modo attendibile, gli impatti ambientali di cui sopra. 7
Al di là degli specifici indicatori applicabili a questo tipo di analisi , lo strumento maggiormente utilizzato, e internazionalmente codificato (ISO 14040‐14044), è rappresentato dalla LCA, metodologia ben nota anche nel mondo agronomico. Nonostante la sua diffusione, questo strumento di analisi non si è sempre dimostrato in grado definire univocamente gli impatti prodotti dalla fase agricola delle filiere non‐food; a fronte di valutazioni positive delle filiere energetiche in termini di emissioni vi sono anche ricerche che portano a risultati diametralmente opposti [16, 17]. Ciò potrebbe trovare una spiegazione nei parametri considerati (LUC e ILUC) e nel metodo di calcolo degli stessi [15]. Relativamente alla fase agricola delle filiere non‐food, si deve ricordare che, rispetto ai prodotti ottenuti dai sistemi industriali (per i quali è stata pensata in origine LCA), quelli agricoli differiscono per flussi di materiali relativamente inconsistenti, emissioni diffuse legate alla estensione della superficie considerata, incertezza nelle variabili in entrata al sistema (fissazione dell’azoto, mineralizzazione della sostanza organica del suolo), un elevato livello di variabilità dei flussi di materiali all’interno dei sistemi agricoli (legato alle caratteristiche pedo‐ climatiche dell’area di produzione e dalle tecniche colturali adottate) [18]. Per questa forte variabilità dei flussi in entrata e in uscita, l’analisi del ciclo di vita viene spesso condotta utilizzando valori medi per i differenti processi [18]. Tutte queste caratteristiche possono rendere l’analisi del ciclo di vita non del tutto attendibile e richiedono la messa a punto di diverse metodologie per meglio adattare questo tipo di analisi ai sistemi agricoli. Gli studi che sottolineano le criticità nell’utilizzo dell’analisi del ciclo di vita nel settore agricolo sono sempre più numerosi [19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27] e nel complesso evidenziano la necessità di: I. considerare altri impatti rispetto a quelli canonici (net energy balance della filiera; l’erosione del suolo; la biodiversità dei sistemi agricoli con particolare riferimento a quella funzionale; l’ecotossicità dei prodotti chimici utilizzati nei processi produttivi); II. ottimizzare le metodologie di analisi degli impatti (rendere più rispondente la ripartizione degli impatti tra i vari prodotti e co‐prodotti modulando attentamente l’impiego della procedura di allocazione; incrementare l’oggettività delle assunzioni; considerare con più attenzione le emissioni legate alle dinamiche del carbonio e dell’azoto nel suolo; migliorare la qualità dei dati utilizzati facendo maggiore ricorso ai dati primari rispetto a quelli secondari desunti da letteratura o da database specifici; definire con maggiore attenzione l’unità funzionale più consona all’interpretazione dei risultati). 7 p.e: rapporto output/input; NEB (Net Energy Balance della filiera); NER (Net Energy Ratio della filiera); Carbon balance [15] _________________________________________________________________________________________________________
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Nonostante queste critiche LCA è stata riconosciuta come metodo di stima degli impatti ambientali nella Direttiva Energie Rinnovabili (RED, 2009) e nella sua recente proposta di revisione (Direttiva ILUC, 2014) In quest’ultima, proprio in ragione degli impatti sociali e ambientali indirettamente ricollegabili all’attivazione delle filiere non‐food, la LCA dovrebbe comprendere l’analisi degli impatti ambientali prodotti dal cambiamento indiretto dell’uso del suolo indotto dalle colture non‐food (ILUC).8 Come spesso accade, anche su questa proposta, che scaturisce nel 2012 da un’analisi articolata e oggettiva dell’impatto ambientale che lo sviluppo dei biocarburanti in Europa sta generando in altre Regioni del Mondo [28,29,30,31], è nato un acceso dibattito tecnico‐scientifico. Del resto, l’incertezza nel calcolo delle emissioni di GHGs prodotte dai biocarburanti era già stata denunciata nel 2008 relativamente alle emissioni dovute al cambiamento indiretto dall’uso del suolo e alle emissioni (con particolare riferimento al protossido di azoto) addebitabili agli input agricoli [10,32]. Studi più recenti hanno confermato la difficoltà di osservare e misurare i cambiamenti indiretti di uso del suolo e la loro difficoltà a essere inseriti all’interno della metodologia standardizzata LCA [33]. 6. Il ruolo delle Scienze agronomiche nel miglioramento della sostenibilità delle colture non‐food Le problematiche tracciate nei paragrafi precedenti richiedono risposte attendibili e basate su solide evidenze scientifiche. Sotto questo aspetto anche le Scienze Agronomiche possono fornire un contributo qualificato nell’ambito di studi multidisciplinari in grado di affrontare nel merito la complessità insita nella valutazione e ottimizzazione delle filiere non‐food. Il contributo di cui sopra si potrebbe concretizzare in due diverse modalità di intervento. La prima, già seguita da tutti quei ricercatori che da anni lavorano nel settore delle colture non‐food, prevede azioni tipiche del mondo della ricerca (analisi delle problematiche, formulazione di ipotesi di ricerca, sviluppo della ricerca, elaborazione dei risultati) finalizzate a dare risposte certe alle problematiche del settore. La seconda modalità, invece, dovrebbe essere finalizzata a “comunicare” all’opinione pubblica, ai portatori di interesse e ai funzionari preposti alla gestione della “cosa pubblica”, l’opinione qualificata della Comunità agronomica che, in molti casi, grazie alla sua formazione, sarebbe l’unica in grado di esprimere suggerimenti tecnici e gestionali coerenti con la complessità delle filiere non‐food e in grado di migliorarne, quando necessario, la sostenibilità. Infatti, in accordo con Tilman e collaboratori [7], si sente sempre più spesso la necessità di far prevalere nel mondo politico e nell’opinione pubblica il peso delle conoscenze acquisite dal mondo della ricerca nei diversi settori, non‐food compreso, per evitare che i dibattiti che di volta in volta possono scaturire su questioni di interesse collettivo procedano in modo semplicistico e talvolta demagogico e utilitaristico. Nell’ambito degli interventi del primo tipo, anche in relazione alle problematiche descritte in precedenza, il contributo delle Scienze Agronomiche potrebbe articolarsi nelle seguenti attività: 9 ‐ azioni mirate a valutare gli impatti agro‐ambientali connessi all’introduzione delle colture non‐food e ai cambiamenti di uso del suolo: variazioni del contenuto in carbonio organico del terreno, emissioni di GHGs con particolare riferimento a protossido di azoto, variazione della biodiversità pianificata e associata, modificazioni dell’entità e composizione della flora infestante; ‐ azioni mirate a migliorare la produttività di biomassa delle colture non‐food per unità di superficie e quindi a ridurre la necessità di superficie coltivabile e incrementare la redditività dell’impresa): (i) maggiore conoscenza delle esigenze eco‐fisiologiche, idriche e nutrizionali delle colture a destinazione non‐alimentare di nuova introduzione; (ii) selezione di specie e genotipi in funzione della produttività e qualità delle diverse componenti della biomassa prodotta destinata a una utilizzazione quanto più possibile integrale; ‐ azioni mirate a preservare l’uso dei terreni migliori a favore delle food e a guidare la diffusione delle non‐food nelle aree marginali: (i) analisi agro‐ambientali e socio‐economiche della vocazionalità delle 8 Per ILUC si intendo i cambiamenti di uso del suolo, che si verificano in luoghi diversi da quelli ove si coltivano specie a destinazione non‐alimentare, indotti dalla necessità di compensare il cambiamento di uso del suolo verificatosi nell’areale di produzione considerato. 9 Erbacee e arboree, annuali e poliennali. _________________________________________________________________________________________________________
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aree10; (ii) verifica della adattabilità delle specie di cui sopra a condizioni pedo‐climatiche sub‐ottimali o comunque non idonee alle colture food; ‐ azioni mirate a ridurre i costi di produzione: (i) definizione di appropriati itinerari tecnici e sistemi colturali (inclusa l’agro‐forestazione) finalizzati alla riduzione costi colturali; (ii) impiego di colture a destinazione energetica nel settore della fitodepurazione e della fito‐remediation; (iii) messa a punto di motori e macchine operatrici di usuale impiego nelle aziende agricole in grado di utilizzare biocarburanti innovativi di vario genere; ‐ azioni mirate a ridurre gli impatti delle colture non‐food: (i) sviluppo di tecniche e sistemi di coltivazione a basso impiego di input esterni e mirati alla loro sostituzione con risorse interne al sistema; (ii) studio dell’inserimento delle colture non‐food annuali e poliennali nei sistemi colturali (ottimizzazione degli avvicendamenti mirata al bilancio del C e dell’energia e all’incremento della biodiversità, anche attraverso l’impiego di doppi raccolti e consociazioni temporanee); (iii) strategie gestionali per la stabilizzazione della fertilità del terreno nel caso di utilizzazione integrale o parziale dei residui colturali ligno‐cellulosici a fini energetici, e la messa a coltura di terreni precedentemente coltivati con specie poliennali. Riguardo alle attività finalizzate alla diffusione delle conoscenze e competenze maturate dalla ricerca agronomica nel settore del non‐food, si potrebbero identificare le seguenti azioni: ‐ azioni mirate a evidenziare i limiti alla diffusione delle filiere agro‐energetiche con particolare riferimento a quelle destinate alla produzione di biofuel 1G: denuncia dei rischi agro‐ambientali e sociali connessi alla cattiva gestione delle filiere non‐food; denuncia delle problematiche connesse al “land‐grabbing” e alla rarefazione della piccola proprietà contadina nei PVS a favore delle grandi aziende capitalistiche; ‐ azioni mirate a migliorare l’organizzazione delle filiere non‐alimentari: (i) supporto allo sviluppo di filiere agro‐energetiche locali basate sulla partecipazione concreta dei “piccoli” agricoltori alla realizzazione degli obiettivi della filiera; supporto alla realizzazione di filiere locali che possano incontrare il favore degli agricoltori e della collettività attraverso la condivisione delle modalità di produzione, trasformazione, raccolta e trasporto delle biomasse; ‐ azioni mirate a ridurre gli impatti delle filiere non‐food: (i) supporto allo sviluppo di tecnologie per la produzione diffusa di energia; (ii) supporto allo sviluppo di tecnologie per la conversione energetica delle biomasse facilmente utilizzabili dalle aziende agricole (impianti a basso costo, di semplice gestione, dimensionabili in funzione delle biomasse realmente disponibili in azienda in modo da non modificare sostanzialmente l’ordinamento produttivo e non sacrificare superfici al food). Le Scienze agronomiche hanno in sé le prerogative per affrontare in modo sistemico e interdisciplinare queste problematiche e quindi percepirle nella loro interezza, fornendo adeguate soluzioni grazie all’esperienza maturata nello studio e nella gestione di sistemi complessi. Proprio per queste esperienze e competenze, il ruolo delle Scienze agronomiche nel miglioramento della sostenibilità delle colture (food e non‐food) non dovrebbe limitarsi alla ricerca e al trasferimento dei suoi risultati ai principali portatori di interesse, ma dovrebbe estendersi anche alle attività di sensibilizzazione a queste problematiche delle future classi dirigenti (funzionari e professionisti) che si stanno formando nelle nostre Università. Una formazione che dovrebbe essere basata non soltanto su nozioni di base e informazioni tecniche ma anche sulla trattazione delle tematiche connesse all’applicazione dei principi della sostenibilità ambientale, economica e sociale ai diversi comparti produttivi, sia a scala globale che locale. 10 Gli studi su questo argomento dovrebbero quindi essere sviluppati a livello regionale (sito‐specifici) con l’obiettivo di rispondere alle seguenti domande: superficie disponibile, qualità dei terreni in relazione alle rese raggiungibili e al rendimento energetico, possibi lità di conversione (terreni non adatti perché destinati a funzione eco‐sistemiche, conservazione natura, ecc.), possibili modelli di conversione; logistica. _________________________________________________________________________________________________________
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7. Conclusioni Il tema di questa relazione, e delle altre presentate in apertura del 43° convegno della SIA, si inserisce in una problematica ben più ampia che tutti noi stiamo vivendo in questi anni ma che forse non riusciamo sempre a comprendere del tutto. Se stiamo parliamo di Sostenibilità da oltre 20 anni, evidentemente è perché percepiamo, ormai chiaramente, che sul nostro Pianeta si è rotto l’equilibrio tra consumo di risorse e disponibilità delle stesse [34] e che non potremmo proseguire sulla strada dello sviluppo se non assumiamo a questo riguardo posizioni consapevoli, ferme e condivise. Secondo Meadows e colleghi [35] nei prossimi 20 anni si giocherà il futuro del nostro Pianeta in termini di sostenibilità: potremmo immaginarci un Mondo che ignorerà le problematiche ambientali e sociali e continuerà a cercare di garantire la sostenibilità economica e finanziaria del sistema fino al suo tracollo finale; oppure un mondo che inizierà a porre rimedio agli squilibri ecologici e sociali della Terra con estremo ritardo generando così pesanti conflitti; oppure immaginare un Mondo che da domani, forte delle conoscenze scientifiche e tecnologiche a sua disposizione, finalmente capace di programmare su una scala temporale adeguatamente lunga, riesce a reimpostare la sua “crescita” in termini di “sviluppo”, operando scelte importanti in termini di riduzione dell’incremento demografico, di cambiamento dello stile di vita, dell’impiego delle risorse non rinnovabili e di miglioramento dell’efficienza di utilizzazione di tutte le altre. Anche l’Agricoltura potrà contribuire a questo cambiamento se sarà in grado di modificare il paradigma nel quale è incastonata da decenni e aprirsi a soluzioni tecniche e programmi di sviluppo in armonia con i principi della sostenibilità. Ma i tempi sono stretti e in molte parti del Mondo dove è prioritario acquisire quei diritti fondamentali come il cibo, il lavoro, la salute e l’educazione (PVS), lo sviluppo è ancora programmato nel breve periodo e non sempre tiene conto delle conseguenze negative della crescita sulla disponibilità futura delle risorse dalle quali essa dipende. Ciò che sta avvenendo in questi Paesi “emergenti” mette ancor più in evidenza: (i) la difficoltà di condividere obiettivi e politiche comuni a livello mondiale partendo da condizioni socio‐economiche molto diversificate; (ii) la necessità di darsi comunque delle regole comuni in termini di sostenibilità senza compromettere lo sviluppo di altre Regioni del Mondo meno avanzate. Per superare queste difficoltà e far sì che questa “rivoluzione” possa verificarsi e condurci verso un futuro sostenibile, sarebbe necessario sviluppare anche un nuovo modo di pensare: più sistemico, in grado di farci inquadrare le problematiche da diversi punti di vista (anche in relazione alle diverse condizioni delle Regioni del Mondo) e ci inducesse a definire nuovi obiettivi, forse meno ambiziosi, ma più in linea con il concetto di “sostenibilità”. Da che parte iniziare questo cambiamento se non dai giovani ai quali stiamo consegnando il futuro del nostro Pianeta ? Come docenti non possiamo quindi esimerci dal comunicargli l’importanza vitale di queste problematiche e stimolare in loro una visione olistica dei fenomeni come strumento per affrontarli e risolverli in modo “durevole”. Questi sono gli scenari e per fronteggiarli occorrono persone oneste11 e preparate; questa è la sfida per la nostra Società e non solo per quella scientifica. 8. Bibliografia [1] IPCC, (2014). Climate Change 2014: Mitigation of Climate Change. Working Group III Contribution to the IPCC 5th Assessment Report [2] Levidow L., (2013). EU criteria for sustainable biofuels: Accounting for carbon, depoliticising plunder. Geoforum, 44, 211‐223. [3] Hervé G., Agneta F., Yves D., (2011). Biofuels and World Agricultural Markets: Outlook for 2020 and 2050, Economic Effects of Biofuel Production, Dr. Marco Aurelio Dos Santos Bernardes (Ed.), ISBN: 978‐953‐307‐178‐7, InTech, Disponibile su: http://www.intechopen.com/books/economic‐ effects‐ofbiofuel‐ production/biofuels‐and‐world‐agricultural‐markets‐outlook‐for‐2020‐and‐2050 11 “Lo stato stazionario farebbe appello non tanto alle nostre risorse ambientali, quanto alle nostre risorse morali” ‐ Herman D.E. (1971). Essays toward a steady‐state economy. Cuernavaca, Centre Intercultural de Documentación, CIDOC cuaderno no. 70 _________________________________________________________________________________________________________
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[4] Bio‐based economy in Europe:state of play and future potential. Part 2: Summary of the position papers received in response to the European Commission’s Public on‐line consultation (2011). Luxembourg: Publications Office of the European Union, 2011 ISBN 978‐92‐79‐20653‐5, doi 10.2777/67596. [5] Innovating for Sustainable Growth: A Bioeconomy for Europe (2012). Communication from the Commission to the european parl iament, the council, the european economic and social committee and the committee of the regions. COM(2011) 615, Annex IV. [6] Zegada‐Lizarazu W., Elbersen H.W., Cosentino S.L., Zatta A., Alexopoulou E., Monti A., (2010). Agronomic aspects of future energy cr ops in Europe. Biofuels, Bioproducts and Biorefining, 4, 674‐691. [7] Tilman D., Socolow R., Foley J.A., Hill J., Larson E., Lynd L., Pacala S., Reilly J., Searchinger T., Somerville C., Williams R. (2009). Beneficial Biofuels ‐ The Food, Energy, and Environment Trilemma. Science 17 July 2009: 270‐271. [DOI:10.1126/science.1177970] [8] Rist L., Lee J.S.H., Pin Kon L., (2009). Biofuels: Social Benefits. Science, vol.326, 4 Dicember 2009: 1344. [9] Biksey T.M. e Wu F., (2009). Biofuels: By‐Products. Science, vol.326, 4 Dicember 2009: 1344‐1345. [10] Zerlia T. e Pinelli G., (2011). L’(in)sostenibile ciclo del “BIO” ‐ Osservazioni su biocarburanti & sostenibilità. www.ssc.it_ [11] Allen B., Kretschmer B., Baldock D., Menadue H., Nanni S., Tucker G., (2014). Space for energy crops – assessing the potential contribution to Europe’s energy future. Report produced for BirdLife Europe, European Environmental Bureau and Transport & Environment. IEEP, London [12] Buyx A. and Tait J., (2011). Ethical Framework for Biofuels. Science, vol.332, 29 April 2011: 540‐541. [13] Thompson P.B.,(2012). The Agricultural Ethics of Biofuels: The Food vs. Fuel Debate. Agriculture, 2, 339‐358. [14] Venturi G., (2013). Alcune considerazioni sulla sostenibilità delle agroenergie. Relazione presentata al convegno: Filiere agroenergetiche in FVG: valutazione della sostenibilità aziendale e territoriale. Fiera di Udine, 25 gennaio 2013. Consultabile su: http://www.unibo.it/it/ricerca/progett i‐ e‐iniziative/piattaforme‐tecnologiche/biofuels‐italia/biofuels‐italia [15] Yuan J.S., Tiller K.H., Al‐Ahmad H., Stewart N.R., Stewart Jr.C.N., (2008). Plants to power: bioenergy to fuel the future. Trends in Plant Sciences 13, 421–429. [16] Fargione J., Hill J., Tilman D., Polasky S., Hawthorne P. (2008). Land Clearing and the Biofuel Carbon Debt. Science, vol.319, 29 February 2008, 1235‐1237. [17] Searchinger T., Heimlich, R., Houghton R. A., Dong F., Elobeid A., Fabiosa J., Tokgoz S., Hayes D., Yu T.H. (2008). Use of U.S. croplands for biofuels increases greenhouse gases through emissions from land‐use change. Science Express 319, 1238‐1240. [18] Miller S.A., Landis A.E., Theis T.L. (2006). Use of Monte Carlo Analysis to Characterize Nitrogen Fluxes in Agroecosystems. Environ. Sci. Technol., 40:2324–2332. doi: 10.1021/es0518878 [19] Guinée J, Van Oers L, De Koning A, Tamis W (2006) Life cycle approaches for conservation agriculture; Part I: A definition study for data analysis; Part II: Report of the Special Symposium on Life cycle approaches for Conservation Agriculture on 8th May 2006 at the SETAC ‐ Europe, 16th annual meeting at the Hague. 156. Available at: http://www.leidenuniv.nl/cml/ssp/publications/life_cycle_conserv_agri.pdf. [20] Guinée J, Heijungs R, Voet E (2009). A greenhouse gas indicator for bioenergy: some theoretical issues with practical implications. Int J Life Cycle Assess 14:328–339. doi: 10.1007/s11367‐009‐0080‐x [21] Baan L de, Alkemade R, Koellner T (2013). Land use impacts on biodiversity in LCA: a global approach. Int J Life Cycle Assess 18:1216–1230. doi: 10.1007/s11367‐012‐0412‐0 [22] Margni M, Rossier D, Crettaz P, Jolliet O (2002). Life cycle impact assessment of pesticides on human health and ecosyst ems. 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Sci Total Environ 490:921–933. doi: 10.1016/j.scitotenv.2014.05.070 [28] Impacts of the EU biofuel target on agricultural markets and land use: a comparative modelling assessment (2010). http://ec.europa.eu/energy/renewables/consultations/doc/public_consultation_iluc/study_1_jrc_biofuel_target_iluc.pdf [29] Global trade and environmental impact study of the EU biofuels mandate. http://ec.europa.eu/energy/renewables/consultations/doc/public_consultation_iluc/study_2_iluc_completed_report.pdf [30] The impact of land use change on greenhouse gas emissions from biofuels and bioliquids; literature review (2010). http://ec.europa.eu/energy/renewables/consultations/doc/public_consultation_iluc/study_3_land_use_change_literature_review_final_30_7_ 10.pdf [31] Indirect land use change from increased biofuels demand – comparison of models and results for marginal biofuels production from different feedstocks. http://ec.europa.eu/energy/renewables/consultations/doc/public _consultation_iluc/study_4_iluc_modelling_comparison.pdf [32] Biofuels in the European Context:Facts and Uncertainties (2008). Editor: Giovanni DE SANTI (IE); R. EDWARDS (IE); S. SZE KERES (IPTS); F. NEUWAHL (IPTS); V. MAHIEU (IES)_ 2008 ‐ http://ec.europa.eu/dgs/jrc/downloads/jrc_biofuels_report.pdf [33] Finkbeiner M., (2013). Indirect land use change (iLUC ) within life cycle assessment (lca) – scientific robustness and consistency with international standards. VDB pubblication. Verband der Deutschen Biokraftstoffindustrie e. V. ‐ Association of the German Biofuel Industry ‐ Am Weidendamm 1A D ‐10117 Berlin ‐ www.biokraftstoffverband.de [34] http://www.footprintnetwork.org/en/index.php/GFN/blog/spreading_the_word_on_earth_overshoot_day_2014 [35] Meadows D., Meadows D., Randers J., 2004. I nuovi limiti dello sviluppo. Oscar Mondadori. _________________________________________________________________________________________________________
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Comunicazioni orali Atti del XLIII Convegno della Società Italiana di Agronomia - Pisa, 17-19 Settembre 2014
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Intensificazione sostenibile del sistema foraggero per l’azienda zootecnica da latte in Pianura Padana G. Borreani, L. Comino, E. Tabacco Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (DISAFA) Università degli Studi di Torino Introduzione Negli ultimi decenni i sistemi colturali, e in particolare quelli foraggeri legati alla zootecnia da latte, sono stati interessati da un processo di semplificazione e di intensificazione produttiva, che ha visto da un lato la riduzione del numero di aziende e dall'altro la crescita della consistenza in termini di capi allevati e il conseguente incremento della quantità di latte prodotta per ettaro di superficie coltivata (Bava et al., 2014). L'intensificazione e la semplificazione del sistema foraggero aziendale sono state portate all'eccesso, tanto che in molte realtà produttive l'intera superficie aziendale è oggi investita a mais in monosuccessione, con una forte riduzione delle foraggere prative. Un sistema colturale basato sulla monosuccessione del mais, per mantenere elevati livelli produttivi, necessita di input esterni molto dispendiosi dal punto di vista del consumo di energie non rinnovabili sia dirette (consumi elevati di gasolio e energia elettrica per le operazioni colturali, l'irrigazione, l'essiccazione e lo stoccaggio) che indirette (sintesi dei fertilizzanti azotati e produzione di principi attivi per gli agrofarmaci), con conseguente riduzione dell'efficienza e aumento dell'impatto ambientale dell'intero sistema produttivo (Fumagalli et al., 2012). Con lo scopo di aumentare l’efficienza produttiva, tecnica, agronomica ed economica dell’azienda zootecnica da latte intensiva, in tre aziende commerciali della Pianura Padana il sistema foraggero è stato riorganizzato per massimizzare la produzione aziendale di energia netta latte e di proteina utilizzabile per unità di superficie coltivata in relazione ai fabbisogni alimentari degli animali in produzione, evitando nel con tempo di peggiorare l’impatto ambientale dell’attività agricola. Metodologia Le aziende in esame sono state analizzate per un periodo di 6 anni monitorando le produzioni agricole (tutte pesate) e zootecniche, ottimizzando il sistema colturale e la sua gestione (sfalci in stadi precoci e adozione dell’insilamento), valutando con indicatori la sostenibilità ambientale e l’efficienza agronomica e zootecnica del sistema. Le aziende sono state analizzate nel loro complesso confrontando il Periodo I (1° e 2° ann o), definito “convenzionale” e basato principalmente sulla coltivazione di mais in monosuccessione, e il Periodo II (5° e 6° anno) definito “innovativo” ottenuto sostituendo parte della superficie a mais con erba medica (circa il 50% della SAU) e migliorando l’efficienza della conservazione dei foraggi (sia cereali sia prativi). In ognuna delle aziende è stato previsto un periodo di transizione (3° e 4° anno), monitorato in dettaglio, per consentire l’adeguamento tecnico alla nuova gestione. Risultati e Conclusioni La valorizzazione di doppie colture, di prati avvicendati e leguminose foraggere, attraverso l’adozione di sistemi di insilamento dei foraggi che consentano di abbinare il taglio precoce alla massima efficienza di conservazione, ha permesso di ottenere un aumento della produttività del sistema foraggero in termini di proteina (da 1226 a 1867 kg ha‐1 pari ad un incremento del 52%), di sostanza secca (+11%) e di energia netta latte (+14%) per ettaro e della quantità del latte sostenuto da un ettaro di superficie coltivata (+21%). Questi dati confermano l’importanza di abbinare il miglioramento dell’efficienza agronomica all’efficienza della formulazione delle razioni al fine di indirizzare al meglio la domanda della stalla all’adeguamento al sistema colturale e alla qualità nutrizionale dei prodotti agricoli. Nel contempo l’adozione del sistema “innovativo” ha permesso di ridurre i costi di produzione del latte e il potenziale ecotossicologico dell’attività agricola, migliorando l’efficienza energetic a dell’intero processo produttivo e l’efficienza alimentare dell’azoto, conseguendo appieno l’obbiettivo di un’intensificazione sostenibile della produzione di latte. Il sistema ha dimostrato di essere particolarmente efficiente in questo periodo caratterizzato da prezzi delle commodities (mais e soia) particolarmente elevati e altalenanti. Questo approccio definisce la basi per una nuova gestione agronomica che deve mutuare da sistemi statici a sistemi dinamici che permettano di adeguare il sistema colturale alla variazione dei costi di mercato delle materie prime utilizzate nell’alimentazione degli animali. Bibliografia: Bava L., Sandrucci A., Zucali M., Guerci M., Tamburini A., 2014. J. Dairy Sci. 97: 4579 ‐4593. Fumagalli M., Acutis M., Mazzetto F., Vidotto F., Sali G., Bechini L., 2011. Eur. J. Agron. 34: 71 ‐82. _________________________________________________________________________________________________________
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Barriere e motivazioni nell’adozione di buone pratiche agrarie presso gli agricoltori italiani analizzate con la teoria del comportamento pianificato C. Costamagna1, C. Grignani1, L. Zavattaro1, L. Bechini2 1 Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, Università degli Studi di Torino 2 Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università degli Studi di Milano Introduzione La ricerca agronomica ha individuato le buone pratiche agrarie che consentono di produrre rispettando l’ambiente. Tuttavia, non sempre gli agricoltori le adottano, in parte a causa del contesto pedo‐climatico, in parte per limiti tecnici (es. indisponibilità di attrezzature adeguate) e in parte per motivi lega ti alla sfera personale (competenze, influenza da parte di altri soggetti). Con il lavoro descritto in questa nota ci siamo prefissi l’obiettivo di comprendere le barriere e le motivazioni rispetto all’adozione dell’interramento dei residui colturali in tre tipologie aziendali italiane. Metodologia La teoria del comportamento pianificato considera l’influenza dei seguenti elementi sull’intenzione delle persone di adottare un certo comportamento (in questo caso l’interramento dei residui): i) l’attitudine r ispetto alle conseguenze attese; ii) il ruolo dei referenti sociali (es. familiari, tecnici); e iii) il ruolo di fattori di controllo ambientali, economici o tecnici. Il lavoro ha riguardato aziende da latte in pianura nel Nord Italia (IT1), aziende a seminativi in pianura in tutto il paese (IT2), e aziende a seminativi in collina nel Centro e nel Sud (IT3). Nella prima fase sono state condotte 24 interviste non strutturate per redigere un elenco di conseguenze attese (“cosa potrebbe accadere nel caso di interramento dei residui?”), referenti (“chi potrebbe esprimere un parere sul fatto che lei interri/non interri i residui?”) e i fattori di controllo (“in quali condizioni l’interramento dei residui colturali è più facile o più difficile?”). Su questa base, nella seconda fase è stato messo a punto e distribuito un questionario strutturato, dove è stato chiesto di rispondere, utilizzando una scala 1‐5, a domande tese a valutare: le convinzioni rispetto alle conseguenze attese (probabilità B, e desiderabilità E); le convinzioni “normative” (opinione dei referenti N e motivazione ad aderirvi M), e i fattori di controllo (intensità C e potere dei fattori P). L’analisi dei 309 questionari ricevuti è stata condotta calcolando gli effetti combinati: B(E–3) per le conseguenze; (N–3)M per i referenti; C(P–3) per i fattori; questi assumono valori compresi tra –10 e +10. Gli effetti combinati indicano barriere (valori negativi) o motivazioni (valori positivi) all’adozione della pratica. Risultati e Conclusioni Tra le conseguenze attese, quelle relative al miglioramento della fertilità del suolo costituiscono motivazioni all’interramento (effetti combinati di 4.6, 6.8 e 6.2 per l’aumento della sostanza organica; 6.2, 7.2 e 6.4 per il miglioramento della struttura, rispettivamente in IT1, IT2 e IT3). Altre conseguenze attese rappresentano motivazioni all’adozione della pratica in IT1 (aumento delle rese e diminuzione di erbe infestanti e funghi: 5.6 e 2.6) e in IT2 (aumento del contenuto di proteina nel frumento: 2.3). Le altre conseguenze attese agiscono come barriere: aumento del fabbisogno di fertilizzante azotato (‐2.3 e ‐3.9 in IT2 e IT3), perdita di reddito dovuta alla mancata vendita (‐3.9 in IT3), ostacolo alla semina della coltura successiva (‐3.9 in IT3). L’effetto combinato per la conseguenza attesa “lenta decomposizione dei residui nel terreno” ha un valore neutro (0.5 in IT2). Tra i referenti, quelli più frequentemente nominati sono stati gli altri agricoltori (1.9, 2.4 e 1.3) e i tecnici delle ditte che fornis cono i mezzi tecnici (2.1 e 3.0 in IT1 e IT2): tranne che in IT2, queste figure non hanno un ruolo di motivazione verso la pratica molto spiccato. In IT3 sono stati nominati anche le associazioni dei produttori (2.3) e i familiari (1.5). I fattori di controllo sono stati diversificati nelle tre tipologie aziendali. Tra le barriere all’adozione della pratica ricordiamo le condizioni ambientali che sfavoriscono la decomposizione dei residui nel suolo (‐2.3 in IT2) e la possibilità di vendere i residui ad un prezzo elevato (‐2.0 in IT2 e ‐1.8 in IT3). Tra le motivazioni ricordiamo la disponibilità di macchinari adeguati (4.9 e 5.0 in IT1 e IT3), il divieto di bruciatura (4.7 e 4.2 in IT2 e IT3). L’accesso al mercato delle paglie si è rivelato una barriera nelle aziende cerealicole di collina (‐1.9) e un elemento di motivazione all’adozione nelle aziende da latte (1.2). Progetto CATCH‐C (G.A. 289782) cofinanziato nel 7° PQ da Commissione Europea. www.catch‐c.eu. _________________________________________________________________________________________________________
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L'impatto del Greening sull'Agricoltura Toscana C. Landi1, L. Fastelli2, M. Rovai1, F. Bartolini1, G. Brunori1 1 2 Dip. di Scienze Agrarie Alimentari e Agro‐ambientali, Univ. Pisa, IT, [email protected] Dip. di Ingegneria dell'Energia, dei Sistemi, del Territ. e delle Costruzioni, Univ. Pisa, IT, [email protected] Introduzione Il greening è una delle nuove componenti della PAC 2014‐2020. Questo pagamento ecologico è accessibile solo per gli agricoltori che percepiscono il pagamento di base e che, sulla superficie ammissibile in cui non rientrano né le colture permanenti né i prati‐pascoli, rispettano contemporaneamente le seguenti tre pratiche agricole benefiche per il clima e l'ambiente: la diversificazione colturale in base alla dimensione aziendale (ne risultano esenti le aziende con una superficie a seminativo inferiore ai 10 ha e le aziende biologiche); il mantenimento dei prati permanenti (tale superficie non deve diminuire di oltre il 5% rispetto alla superficie aziendale); la destinazione di almeno il 5% della superficie eleggibile ad aree d’interesse ecologico (ne risultano esenti le aziende con superfici a seminativo inferiori ai 15 ha e le aziende biologiche). Il presente lavoro in tende valutare i potenziali impatti del greening sulle aziende agricole toscane, andando a individuare la numerosità e la distribuzione spaziale delle aziende conformi ai requisiti previsti. Metodologia Per verificare l'impatto potenziale del greening sull'agricoltura toscana è stata effettuata un'analisi utilizzando dati del VI censimento dell'agricoltura. In mancanza di dati specifici sulla distribuzione delle aree ad interesse ecologico e in assenza di una esatta identificazione delle aree da parte della normativa vigente a livello nazionale, il presente lavoro si è limitato a considerare solo i dati certi: il set aside e le colture azotofissatrici. Successivamente, effettuando una join tra il partecellario catastale regionale e i dati estratti dal data base ARTEA, è stato georeferenziato il dataset delle aziende potenzialmente inadempienti (in misura parziale o totale) rispetto ai requisiti del greening, in questo modo è stato possibile localizzare le particelle aziendali (4.842 aziende corrispondenti a 148.040 particelle). Infine è stata testata l'esistenza di pattern spaziali attraverso l’applicazione del Local indicator of spatial association (LISA) e dell'indice di Moran. Risultati e Conclusioni Il 93% delle aziende toscane e dunque il 64% della SAU regionale, rispettano già ambedue i requisiti: di diversificazione e presenza di aree a interesse ecologico. Sono invece 1.143 le aziende, corrispondenti a circa il 9% della SAU regionale, che non rispettano nessuno dei due requisiti. Il requisito della diversificazione è rispettato dal 96% degli agricoltori (78% della SAU regionale) mentre il requisito delle aree a interesse ecologico è rispettato dal 95,6% delle aziende (75,6 % della SAU regionale). Analizzando sia la distribuzione spaziale delle particelle aziendali sia la percentuale di SAU che a livello comunale rispetta i requisiti del greening, si nota che le suddette due condizioni sono rispettate in misura minore (minor numero di aziende e di SAU) laddove vi è una maggior concentrazione di terreni pianeggianti e di aziende di dimensioni elevate (nella parte centrale e meridionale della regione). Nella parte settentrionale della regione, caratterizzata da territori montani e aziende mediamente di piccole dimensioni, la concentrazione di aziende e di ettari di SAU che rispettano entrambi i requisiti è invece più elevata. Infine sia il LISA e sia l'indice di Moran (pari a 0,166), mostrano l'esistenza di un pattern spaziale nella conformità al greening. I risultati mostrano che la percentuale di aziende che rispettano i requisiti greening è influenzata dai sistemi agricoli prevalenti. Infatti, nelle aree in cui si concentra maggiormente un'agricoltura caratterizzata da seminativi più produttivi (Siena, Arezzo e Grosseto) si osservano cold spots con aziende che non rispettano tali requisiti. Diversamente, nei comuni delle aree montane caratterizzati da un’agricoltura a seminativi in progressiva marginalizzazione (provincie di Lucca e di Massa) sono presenti hot spots.Alla luce dei risultati emersi si sottolinea l’importanza della componente spaziale nella definizione dei requisiti per l'accesso al greening, al fine di garantire effettivi miglioramenti nelle “prestazioni ambientali” degli agro‐ecosistemi come, ad esempio, la biodiversità. Riteniamo infatti che il mantenimento di una tale condizionalità non possa essere definito a scala aziendale prevedendo i medesimi vincoli indipendentemente dal contesto di riferimento, ma debba invece essere definito su scala territoriale in relazione alle specificità del contesto stesso. Tutto ciò al fine di evitare l'introduzione di ulteriori effetti distorsivi sulle dinamiche competitive delle aziende agricole, e di ottenere i miglioramenti ambientali perseguiti. Pertanto, al fine di rendere più mirate ed efficaci le polit iche di sostegno all'agricoltura, è indispensabile integrare tali requisiti con la componente spaziale. Bibliografia Anselin L. 1995. Local Indicators of Spatial Association – LISA. Geographical Analysis. 19(4): 93‐115. De Filippis F. (a cura di) 2013. La nuova Pac 2014‐2020. Un’analisi delle proposte della Commissione. Quaderni Gruppo 2013, Ed. Tellus. _________________________________________________________________________________________________________
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Indicators of agricultural intensity: a review of literature I. Ruiz‐Martinez1, E. Marraccini1, M. Debolini2, E. Bonari1 1 Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’Anna – Pisa 2 INRA, UMR EMMAH – Avignon (France) Introduction Since the 1960s, numerous studies have dealt with agricultural intensification (AI) as a response to population growth. More recently, sustainable intensification is a term that has increasingly been used to describe the agricultural production systems that will be needed to feed a growing global population whilst ensuring adequate ecosystem service provision. Nevertheless, key definitions support quite different approaches and indicators, some of which refer to increase in inputs (e.g., energy, fertilizer or water), increased outputs (e.g., yields per unit area and year) or management practices (crop rotation, fallow, cropping intensity, etc.). Moreover, there is not a univocal definition for the different terms used, such as agricultural intensity, land use intensity or agricultural intensification. Due to this variation in terminology and the use of different indicators, today there are no homogeneous and clear criteria to manage land and agricultural systems without exceeding the environmental, social and economical thresholds. But, how to intensify in a sustainable way is still an open question. Most researchers agree that changes in land use intensity play an essential role in land transformations and their research would benefit from a better understanding of the land system. However, the indicators used to assess the intensity of such systems are quite simple and often not specific (ex. Nitrogen input). The aim of the paper is to understand which are until now the most applied indicators for agricultural (or land use) intensity, trying to propose a univocal framework to better define AI. Materials and Methods In this paper we carry out a review of the different approach and application to assess and to evaluate land use and agricultural intensity. In this study, agricultural intensity is defined as the result of farming practices at any given time and intensification is considered as the total process rather than a condition at any time. We analyzed the state of the art based on a meta‐analysis of the bibliography from 1970 to 2014 using the CorText software (IFRIS 2012). The literature review generated more than 1,000 papers and among these, in a more detailed selection as second step, we filtered those that met in these criteria: 1. Study are related in land use science; 2. Study must quantify the agricultural land use changes; 3. Study must quantify intensification within the context of land and food planning; 4. Study must quantify the land use intensity as a proxy for the assessment of ecosystem services delivered by agricultural systems. We adopted a pragmatic approach taking into account the methodology, scale level and context, with the only way of identifying major achievements, deficits and potentials of existing application as well as to rank the systems along an intensity gradient to detect tradeoffs among ecosystem services. Results and Conclusions Many studies tackling the environmental impacts of agricultural intensity focused on a single indicator, such as nitrogen input or pesticides. Others have used proxy indicators such as yield or the relative amount of arable fields and, in the some case studies have integrated various components into a more complete indicator. Researchers argue that it would be more useful to frame the discussion around the notion of land use changes and land scarcity and quantify the change processes originated by the production per unit area gained or lost such as the abandonment and expansion. On the other hand, a focus on intensively used agricultural regions or likewise, obtaining a gradient of intensity is obviated frequently and it results important to get an insight into promoting and hindering factors for any implementation of low input measures in some regions with their special agri‐ environmental conditions. How to carry out these approaches at spatial level is discussed and despite the importance of local studies of production systems and environmental changes, the rate and magnitude of agricultural intensification have been quantified at global scales so that, the final outcome in these challenges is not enough due to need to be confronted with local realities. Therefore an overall vision that collects all indicators in literature is a pertinent and realistic tool to measure agriculture performance and monitoring progress toward the one goal of producing detailed knowledge of agricultural land use intensity. _________________________________________________________________________________________________________
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Evapotraspirazione del frumento duro in litosuoli con i modelli CRITERIA e AquaCrop P. Campi1, F. Modugno1, M. Mastrorilli1, F. Tomei2, G. Villani2,3, V. Marletto2 1 Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura – Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo‐aridi, Bari, IT 2 ARPA Emilia‐Romagna, Servizio Idro‐Meteo‐Clima, Viale Silvani 6, 40122, Bologna, IT 3 Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro‐Alimentari (DISTAL), University of Bologna, Bologna, IT Introduzione In molte zone dell’Italia meridionale, la messa a coltura di terreni con roccia affiorante è stata eseguita dopo la sistemazione superficiale dei terreni che prevede, in genere, lo ‘scasso’ a 0.50 m di profondità, seguito dalla frantumazione in loco delle pietre. Il risultato è un litosuolo ‘arabile’, caratterizzato da uno strato superficiale ricco di scheletro e da un sottosuolo rappresentato da roccia calcarea fessurata. In tali terreni, la determinazione dell’acqua disponibile nel profilo del terreno va fatta considerando che lo scheletro riduce il volume di terreno esplorabile dalle radici. Un modello di bilancio idrico ‘operativo’ dovrebbe essere in grado di simulare la dinamica del contenuto di acqua anche nei litosuoli. In questo lavoro sono stati confrontati gli output di due modelli ‘operativi’ di bilancio idrico: CRITERIA e AquaCrop. Il modello CRITERIA richiede come input i parametri granulometrici (terra fine e scheletro) e idrologici (cur va tensiometrica e velocità di infiltrazione), mentre il modello AquaCrop richiede solo i parametri idrologici (saturazione, capacità idrica di campo, punto di appassimento e velocità di infiltrazione). Per ovviare a questa differenza in AquaCrop abbiamo tenuto conto dello scheletro in modo indiretto, riducendo lo spessore dello strato di terreno esplorato dalle radici di una frazione pari a quella dello scheletro presente. Metodologia Per valutare le prestazioni dei due modelli, è stato utilizzato un data‐set agronomico relativo al frumento duro coltivato in Italia meridionale nell’annata 2013 in due siti con terreni diversi. Il sito di Rutigliano (lat: 40°59'N, long: 17° 01'E, alt: 147 m s.l.m.), presenta un terreno superficiale di natura limoso ‐ argillosa, con sottosuolo ricco di scheletro (> 60%); il sito di Foggia (lat: 41°26’N, long: 15°30’E, alt: 90 m s.l.m.) è caratterizzato da un terreno profondo 3 m, di tessitura prevalentemente argillosa, privo di scheletro. Per la calibrazione sono stati utilizzati i dati di accrescimento (LAI e canopy cover) del frumento duro (cv Simeto) relativi al sito Foggia. Per la validazione dei due modelli sono stati utilizzati dati indipendenti da quelli usati per la calibrazione (contenuto idrico del suolo e l’evapotraspirazione). In entrambi siti, il contenuto idrico del suolo è stato monitorato con sonde capacitive installate a tre profondità (0.2 m, 0.4 m, 0.6 m) mentre l’evapotraspirazione del frumento è stata stimata giornalmente con il bilancio idrico semplificato, che prende in considerazione i termini di pioggia, irrigazioni, variazioni dell’umidita del terreno e drenaggio. Quest’ultima è pari alla quantità di acqua che eccede la capacità idrica di campo. Il test ‘Relative Root Mean Square Error’ (RRMSE) è stato utilizzato per valutare il grado di affidabilità del modello nella stima dei dati giornalieri del contenuto idrico del solo e dell’evapotraspirazione del frumento; mentre il test della differenza normalizzata (D) è stata utilizzato per valutare il grado di affidabilità del modello nella stima dei dati stagionali dell’evapotraspirazione della coltura. Risultati e Conclusioni Il test RRMSE indica che la capacità di stimare il contenuto idrico del suolo è eccellente per i due modelli (3% per CRITERIA e 6 % per AquaCrop). Invece, per quanto riguarda l’evapotraspirazione giornaliera del frumento, il test statistico indica che le simulazioni del modello CRITERIA sono sufficienti (RRMSE < 24%), mentre per il modello AquaCrop la capacità predittiva è bassa (RRMSE > 30 %). Questi valori sono confermati anche alla scala stagionale dal test della differenza normalizzata. In particolare, considerando i valori medi del test D sui due siti, AquaCrop sovrastima l’evapotraspirazione stagionale del frumento dell’11%, mentre CRITERIA la sottostima del 3%. Questi risultati indicano che il modello CRITERIA si dimostra un valido strumento per stimare i fabbisogni idrici anche in terreni ricchi di scheletro, in quanto richiede input dettagliati sulle caratteristiche idrologiche del terreno. _________________________________________________________________________________________________________
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Sfide scientifiche e tecnologiche come strumento didattico in un corso di Sistemi Colturali: bilancio dopo cinque anni di esperienze R. Confalonieri Università degli Studi di Milano, DiSAA, Cassandra lab, [email protected] Introduzione Questa iniziativa nasce da alcune considerazioni sul contesto socio‐economico e culturale nel quale i giovani nel nostro Paese completano la formazione superiore e si affacciano al mondo del lavoro. Ritengo che tra quelle di carattere culturale, l’atteggiamento spesso passivo nei confronti della scienza e della tecnologia giochi un ruolo cruciale. Il nostro Paese è, ad esempio, ai primi posti nelle classifiche di spesa per prodotti tecnologici pur avendo in larga parte smesso di svilupparli. Questa tendenza culturale, insieme alla (parziale) retorica dei cervell i in fuga, alla disoccupazione giovanile e al calo dell’offerta di credito, ha generato mancanza di fiducia e dinamismo, al punto che le poche storie di creatività imprenditoriale sono ormai tanto rare da fare notizia… in un Paese in cui in anni non lontani sono stati inventati, tra l’altro, l’elicottero moderno (C. D’Ascanio, 1930) e il personal computer (P.G. Perotto all’Olivetti, 1965). Gli obiettivi di questa iniziativa – lanciata nell’a.a. 2008/2009 – sono far capire ai nostri studenti (i) come formalizzare nuova conoscenza attraverso un sistema puramente attivo di apprendimento e, soprattutto, (ii) che è possibile (anche in questo Paese) creare innovazione da immettere sul mercato, con buone idee e senza disporre inizialmente di capitali importanti. Metodologia L’iniziativa si svolge all’interno del corso di Sistemi Colturali (8 CFU) dell’Università degli Studi di Milano e riguarda progetti di ricerca della durata di 2 CFU condotti in classi di circa sessanta studenti. I progetti devono essere (i) di chiaro interesse, (ii) affrontabili con budget inferiore a 2000 €, pur con la struttura e l’ambizione di un grande progetto finanziato, e (iii) affrontabili da molte persone per un tempo limitato. I progetti sono condotti dividendo gli studenti in workpackage, identificando workpackage leader e delegando parte delle attività di gestione e disseminazione a workpackage dedicati. Le tematiche ad oggi affrontate riguardano l’analisi di processi finalizzata allo sviluppo di modelli utili a fini gestionali (a.a. dal 2008/09 al 2010/11; progetti MAZINGA e MIATA1,2) e lo sviluppo di nuove tecnologie per il monitoraggio in vivo di variabili di interesse agronomico (a.a. 2011/12 e 2012/13; progetti PocketLAI e PocketN). Risultati e Conclusioni Il progetto MAZINGA ha portato ad un nuovo approccio per la stima della concentrazione critica di azoto in piante di riso (J. Agric. Sci. 149:633‐638). Il nuovo metodo, oltre ad essere risultato più accurato e a non necessitare di calibrazione, utilizza come variabile guida il LAI, facilmente stimabile in vivo con strumenti commerciali. Questi strumenti sono tuttavia costosi e caratterizzati da bassa portatilità. Durante li progetto PocketLAI è stata quindi sviluppata una app per smartphone per la stima di questa variabile. La app è stata valutata (Comput. Electron. Agr. 96:67‐74) adattando il protocollo ISO 5725 a metodi di pieno campo (Field Crop. Res. 161:128‐136) risultando comparabile, per trueness e precisione (ripetibilità e riproducibilità), ai più diffusi strumenti commerciali (LAI 2000, AccuPAR). Secondo un approccio largamente utilizzato, la diagnosi dello stato nutrizionale in specie erbacee è basata sulla determinazione delle concentrazioni di azoto critica ed effettiva nella pianta. Il problema della determinazione di quella critica è stato affrontato con i progetti MIATA e PocketLAI, mentre la stima di quella effettiva è stata ottenuta (progetto PocketN) sviluppando un’altra app per smartphone, che ha mostrato caratteristiche di ripetibilità e riproducibilità comparabili con quelle di SPAD e Dualex e una trueness intermedia. Il progetto MIATA, l’unico durato due anni, si è invece concentrato sull’analisi dei processi fisiologici legati all’effetto di agrotecniche sulla crescita in altezza di piante di riso. Le prove in serra hanno permesso di sviluppare un sistema di modelli per massimizzare la produzione e minimizzare la suscettibilità all’allettamento (Crop Sci. 54:2294‐2302). Queste iniziative sono state condotte in un momento storico in cui la tecnologia è matura per offrire opportunità legate allo sviluppo e alla fornitura di servizi in agricoltura. Ritengo che questi progetti abbiano fatto capire agli studenti che lo sviluppo di servizi (o parti di servizi) può non richiedere investimenti iniziali importanti e che inventare nuova tecnologia – invece di adottare quanto sviluppato da altri – è il modo migliore per assicurarsi vantaggio competitivo, elemento fondamentale per creare realtà imprenditoriali dinamiche e sostenibili. _________________________________________________________________________________________________________
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Il progetto Against: analyzing human and model contributions to the uncertainty in simulation results R. Confalonieri1, C. Gilardelli1, E. Movedi1,2, F. Orlando1, V. Pagani1, L. Paleari1, G. Cappelli1, T. Stella1, M. Donatelli2, A. Vertemara3, M. Capelli3, M. Mambretti3, M. Ceruti3, L. Alberti3, A. Confalonieri3, A. Rea3, A. Pedemonti3, G. Nocella3, G. Albanese3, P. Alberti3, S. Atanassiu3, M. Bonaiuti3, M. Bonelli3, S. Bormolini3, S. Buzzi3, G. Cappelletti3, C. Contrini3, G. Corgatelli3, P. Corti3, M. Dell’Oro3, F. Di Giovanni3, M. Fabbian3, G. Pizzamiglio3, J. Fazio3, S. Forlani3, A. Ghidoni3, A. Lamarta3, A. Maghini3, F. Magni3, A. Manchia3, C.C. Marino3, G. Massoni3, P. Mutti3, S. Pariani3, D. Pasini3, F. Pasotti3, S. Soldo3, A. Pesenti3, A. Ravasio3, E. Rossatti3, B. Rovati3, D. Santorsola3, G. Serafini3, M. Slavazza3, S. Sudati3, M. Travaini3, M. Acutis1 1 Università degli Studi di Milano, DiSAA, Cassandra lab, [email protected] 2 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, CRA‐CIN 3 Università degli Studi di Milano, Studenti del corso di Sistemi Colturali Introduzione Negli ultimi anni sono nate diverse iniziative internazionali (e.g., AgMIP) volte a comparare modelli colturali con il duplice scopo di migliorarli e di produrre ensemble di previsioni (Agric. Forest Meteorol. 170:166‐182). Uno degli assunti alla base di questo approccio è che statistiche (e.g., mediana) calcolate sugli output di diversi modelli forniscano stime migliori di quelle fornite dai singoli modelli (Nature Clim. Change 3:827‐832). Uno dei fattori non considerati in questo tipo di studi è che diversi modelli possono generare output diversi non solo in funzione degli approcci implementati ma anche per l’impatto (mai quantificato) dell’essere umano che li utilizza. L’obiettivo di questa ricerca era valutare la significatività della quota di variabilità negli output dovuta ai modelli rispetto a quella dovuta a diversi operatori. Metodologia I modelli (CropSyst, WOFOST, DSSAT, STICS, Aquacrop) sono stati scelti in quanto, oltre ad essere tra i più usati simulatori colturali generici, implementano approcci molto diversi per la formalizzazione di processi chiave. I dati sperimentali utilizzati derivano prove condotte, tra il 1991 e il 2013, negli Stati Uniti, in Italia e in Francia per mais (coltura molto studiata in modellistica), in Francia e in Italia per colza (coltura quasi ignorata dalla comunità dei modellisti). La differenze nei genotipi di mais utilizzati nelle prove hanno consigliato di definire tre seti di parametri per ogni modello (per Italia, Francia e Stati Uniti). L’esperimento di simulazione si è quindi basato sulla calibrazione dei parametri dei cinque modelli per le due colture, il tutto ripetuto da quattro gruppi di operatori indipendenti, secondo un disegno sperimentale con il fattore (modello, cinque livelli) randomizzato entro gruppo di operatori (blocco). Il disegno sperimentale è stato applicato per colza e, per quanto riguarda mais, per Italia, Francia e Stati Uniti. Risultati e Conclusioni Nelle condizioni esplorate, tutti i modelli hanno mostrato prestazioni soddisfacenti per mais, mentre in molti casi si sono rivelati parzialmente inadeguati per colza. I più accurati sono stati STICS e Aquacrop, con valori medi di RRMSE (calcolati per biomassa aerea) inferiori a 20% per mais e tra 30% e 40% per colza. I valori peggiori di RRMSE sono stati ottenuti da WOFOST e DSSAT (RRMSE tra 23% e 36% per mais e circa 50% per colza). STICS è stato premiato, insieme a CropSyst, anche dall’indice di robustezza (Ecol. Model. 221:960‐964), che ha invece penalizzato WOFOST e DSSAT. Per quanto riguarda la complessità (AIC, IEEE Trans. Automatic Control 19:716723), i modelli con il miglior rapporto accuratezza/numero di parametri sono risultati Aquacrop e CropSyst, quelli col peggior rapporto WOFOST e STICS. L’analisi della varianza sui dati simulati ha permesso di valutare la quota di variabilità negli output dovuta ai diversi approcci implementati rispetto a quella dovuta al fattore umano (operatore). Per mais, il fattore modello è risultato significativo solo nel 31% dei casi per la biomassa alla raccolta e nel 36% dei casi per il LAI massimo. Per colza, il fattore modello è invece risultato significativo nella quasi totalità dei casi. L’analisi condotta in questo studio sembra suggerire che l’inadeguatezza dimostrata dai modelli per colza sia dovuta a problemi specifici di ciascun modello, con una conseguente convergenza delle calibrazioni effettuate dai diversi operatori intorno a regioni dell’iperspazio dei parametri prossime al minimo assoluto per ciascun modello, sebbene le performance siano risultate insoddisfacenti per la maggior parte dei dataset. Per il mais, invece, tutti i modelli si sono rivelati in grado di riprodurre correttamente i dati osservati e le differenze tra i diversi modelli sono quasi sempre risultate non significative rispetto a quelle dovute ai diversi operatori. _________________________________________________________________________________________________________
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Scelta varietale e impiego di living mulch per migliorare l’abilità competitiva del frumento tenero A. Costanzo, P. Bàrberi Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’Anna, Piazza Martiri della Libertà 33, Pisa Introduzione La riduzione o l’eliminazione dei mezzi chimici di controllo della flora infestante nelle colture cerealicole rende necessaria l’adozione di strategie alternative che migliorino l’abilità competitiva della coltura, intesa come capacità di contenere l’abbondanza e la crescita delle infestanti. L’obiettivo di questo lavoro è di valutare l’efficacia di strategie di miglioramento dell’abilità competitiva della coltura basate sulla scelta varietale e sull’inclusione nel ciclo del frumento di un living mulch di leguminose. Metodologia Un esperimento di pieno campo è stato condotto dal 2010 al 2013 su un terreno di medio impasto‐limoso alcalino della pianura costiera pisana, incluso in una rotazione biologica con precessione favino (Vicia faba L. subsp. minor), presso il Centro Interdipartimentale di Ricerche Agroambientali E. Avanzi dell’Università di Pisa. Sette cultivar di frumento tenero (Triticum aestivum L.), comprendenti linee pure, miscugli varietali di cultivar moderne e antiche, e composite cross populations – cultivar ad alta diversità genetica – sono state testate con o senza l’inclusione di un living mulch di trifoglio sotterraneo (Trifolium subterraneum L. subsp. brachychalycinum) in uno schema a blocchi completi randomizzati. Sia il frumento che il trifoglio sono stati seminati contemporaneamente alla densità di semina di coltura pura, rispettivamente 450 e 800 semi m‐2. Come unico mezzo diretto di controllo delle infestanti, un passaggio di erpice strigliatore è stato effettuato in corrispondenza della fase di fine accestimento del frumento nel primo e secondo anno, ma non nel terzo. Le cultivar di frumento sono state caratterizzate in termini di ciclo fenologico, habitus di crescita, e altezza durante tutte le fasi del ciclo colturale. La biomassa di coltura, infestanti e living mulch, e l’abbondanza e composizione floristica della comunità infestante sono state rilevate alla levata, alla fioritura e alla raccolta del frumento. Risultati e Conclusioni Significative riduzioni della biomassa delle infestanti sono apparse associate al fattore varietale nel secondo anno, caratterizzato da un inverno molto secco, e alla presenza del living mulch nel terzo anno, caratterizzato da un inverno mite e umido. A livello varietale, l’altezza della coltura durante tutte le fasi del ciclo e l’accumulo di biomassa nelle fasi precedenti la levata sembrano essere i principali caratteri legati all’abilità c ompetitiva del frumento. Nel secondo anno, le cultivar antiche hanno mostrato valori di biomassa delle infestanti inferiori del 50% rispetto a tutte le altre cultivar sia alla levata che alla fioritura, producendo tuttavia una resa del 18% inferiore alla media generale di 4 t ha‐1. Nel terzo anno, le linee pure italiane hanno ridotto la biomassa delle infestanti del 22% rispetto alle cultivar di origine centro e nordeuropea alla levata, ma questo effetto non è stato confermato dai dati rilevati ala fioritura. Nessuno svantaggio è stato invece associato alle cultivar ad alta diversità genetica. La presenza del living mulch ha ridotto l’abbondanza relativa delle infestanti dicotiledoni in tutti gli anni, e nel terzo anno, in corrispondenza della fioritura del frumento, ha significativamente ridotto la biomassa delle infestanti del 30%. Solo nel primo anno, caratterizzato da una semina tardiva e da un investimento subottimale, la presenza del trifoglio ha significativamente ridotto del 30% la resa del frumento, peraltro già contratta su valori medi di 1.2 t ha‐1. Un’adeguata scelta varietale e un ottimale impiego di living mulch sono quindi strategie complementari per migliorare e stabilizzare l’abilità competitiva del frumento in un’ottica d’intensificazione ecologica. _________________________________________________________________________________________________________
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Impatti dei Cambiamenti Climatici sulla distribuzione dei pascoli montani dell’Appennino C. Dibari1, G. Argenti1 , F. Catolfi1, M. Moriondo2, N. Staglianò1, M. Bindi1 1 Università di Firenze ‐ DISPAA, Piazzale delle Cascine 18, 50144 Firenze, Italia 2 IBIMET‐CNR, Via Madonna del Piano 10, 50019 Sesto Fiorentino (Fi), Italia Introduzione Così come per l’intero bacino del Mediterraneo, anche sulla catena appenninica sono stati osservati fenomeni legati al cambiamento climatico (e.g. graduale aumento delle temperature, progressiva riduzione delle piogge, intensificarsi di eventi estremi, ecc.), e secondo le proiezioni climatiche tale situazione è destinata a peggiorare in assenza di serie politiche di mitigazione. L’ambiente appenninico di più alta quota è caratterizzato dalla presenza di vaste zone dominate da risorse pastorali, generalmente localizzate in aree marginali dove il clima rappresenta uno dei principali fattori responsabili del permanere di determinate specie o comunità vegetali. Inoltre i pascoli montani sono riconosciuti come ecosistemi fortemente sensibili e vulnerabili ai cambiamenti climatici. Sulla base di queste premesse, il presente studio si è posto l’obiettivo di analizzare i probabili impatti dei cambiamenti climatici sulla distribuzione delle risorse pastorali appenniniche tramite l’utilizzo del modello di classificazione statistica RandomForest (RF). Metodologia Lo studio si è concentrato sulle risorse pastorali naturali che dominano l’area montana dell’intera catena appenninica (approssimativamente 38°‐45° Lat N e 8°‐17° Long E) poste a quote superiori di 600 metri. La loro attuale estensione (riportata come presenza/assenza del pascolo) è stata ricavata estraendo i codici corrispondenti dalla carta Corine Land Cover più recente, mentre i parametri climatici riferiti al periodo presente e futuro relativi all’area di studio sono stati estratti dal progetto WorldClim. I dataset climatico e pastorale sono stati quindi integrati fra loro in ambito GIS in modo da creare un unico grid, avente risoluzione spaziale di 1 km x 1 km, dal quale sono state estratte le variabili predittive (media delle temperature mensili del mese più freddo e più caldo, sommatoria delle precipitazioni stagionali) e di risposta (presenza/assenza del pascolo) di input richieste dal modello RF. Quest’ultimo è stato quindi calibrato per il periodo presente e successivamente applicato alle condizioni climatiche future, così come simulato dal modello di circolazione globale HadCM3, in due finestre temporali di medio (2040‐2069) e lungo periodo (2070‐2099), secondo i due scenari di riferimento SRES A2 e B2. L’accuratezza della simulazione di RF è stata valutata tramite il calcolo dell’errore interno di classificazione out ‐of‐ bag‐error (OOB) per ogni bootstrap casuale creato dal modello per il periodo presente. Risultati e Conclusioni Nonostante una leggera sovrastima, l’applicazione del modello RF è risultata efficace nel riprodurre la distribuzione dei pascoli in ambiente appenninico per il periodo presente (OOB: 19%). Per ciò che concerne gli impatti del clima futuro, così come previsto dal modello HadCM3, sono attese in media rilevanti riduzioni della aree potenzialmente idonee al pascolo sia nello scenario A2 (‐50%) sia nel B2 (‐45%) della prima finestra temporale analizzata (2040‐2069). Minori riduzioni sono invece previste nella finestra temporale di lungo termine (2070‐ 2099) in entrambi gli scenari (‐10% e ‐18%, rispettivamente nello scenario A2 e B2). In tutte e due le finestre temporali, le riduzioni delle superfici a pascolo risultano concentrate prevalentemente sull’Appennino centrale e settentrionale, dove attualmente è presente circa il 73% del totale delle risorse pastorali appenniniche. Andando ad analizzare nel dettaglio, si può notare che nell’ultima finestra temporale, nonostante siano attese rilevanti riduzioni fino alla totale scomparsa di superfici idonee al pascolo sull’Appennino settentrionale e centrale rispetto al presente, queste sono controbilanciate da espansioni nelle zone meridionali della catena, dove il modello prevede aumenti di superficie superiori al +150% rispetto al periodo presente in entrambi gli scenari. Nelle due finestre temporali analizzate dei due scenari SRES sono infine attesi incrementi altitudinali delle superfici a pascolo prevalentemente localizzati sulla zona centrale della catena montuosa. I risultati di questo studio hanno messo in evidenza gli impatti che i cambiamenti climatici previsti potranno avere sulla distribuzione dei pascoli appenninici, mostrando, in mancanza di strategie mitigative, una preoccupante minaccia al permanere di condizioni climatiche favorevoli alle risorse pastorali appenniniche, ecosistemi che si distinguono per la loro peculiare ed elevata biodiversità. _________________________________________________________________________________________________________
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Un’analisi delle relazioni tra l’intensità dei sistemi produttivi periurbani e l’orientamento commerciale delle aziende R. Filippini1,2, E. Marraccini1, S. Lardon2,3, E. Bonari1 1 2 AgroParisTech, UMR 1273 Métafort, Aubière (Francia) Institute for Life Sciences, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa (Italia) 3 INRA, UMR 1273 Métafort, Saint‐Genes Champanelle (Francia) Introduzione La letteratura sui sistemi agricoli periurbani si è al momento poco occupata degli aspetti tecnico‐produttivi, mentre maggior rilevanza hanno avuto le analisi sull’impatto e sul funzioni agro‐ambientali di tali sistemi (Silvestri et al., 2012). Nelle aree periurbane gli aspetti produttivi possono essere strettamente legati alla prossimità con i consumatori e alle possibilità offerte da filiere ridotte. A questo proposito le analisi sulle filiere “alternative” o “corte” (Renting et al., 2003) possono contribuire all’analisi sulle funzioni produttive alimentari dell’agricoltura periurbana. Tuttavia tali studi concentrandosi soprattutto sull’organizzazione delle relazioni di filiera, solitamente assumono che l’organizzazione della produzione agricola sul territorio e la sua intensificazione siano di per sè sostenibili (Cardona, 2012). L’obiettivo di questo studio è comprendere la relazione tra l’organizzazione della produzione delle aziende agricole periurbane e la destinazione commerciale in filiere alternative e locali, convenzionali o miste di tali produzioni. Il caso di studio è l’area periurbana di Pisa, rappresentativo delle principali dinamiche dell’agricoltura periurbana del Mediterraneo (ISTAT, 2012). Metodologia L’analisi, resa difficile dalla scarsità di dati reperibili, è basata su dati provenienti da interviste dirette ad aziende agricole. Il campione comprende 58 aziende (circa il 10% delle aziende censite nel 2010 dall’ISTAT), selezionate in base alla dimensione della SAU, all’orientamento produttivo principale e alla distanza geografica dalla città. In una prima fase le aziende sono state suddivise a seconda della destinazione commerciale dei prodotti in tre gruppi: le aziende che devolvono i prodotti esclusivamente in filiere alternative‐locali, quelle che vendono in circuiti convenzionali e quelle che si appoggiano sia a filiere convenzionali che a circuiti locali. Quindi per ciascuna azienda sono stati calcolati 48 indicatori relativi all’uso agricolo del suolo, all’intensità produttiva, alla gestione aziendale e alle caratteristiche individuali degli imprenditori agricoli. Infine tramite test di Kruskal – Wallis sono state valutate le differenze tra le medie dei diversi indicatori a seconda dell’appartenenza ai tre gruppi di aziende. Risultati e Conclusioni I risultati mostrano che le differenze più significative tra i tre gruppi riguardano gli indicatori che si riferiscono all’intensificazione produttiva e alla gestione aziendale, suggerendo una correlazione tra questi indicatori e la destinazione commerciale delle produzioni agricole: in particolare sembrerebbe che per le aziende agricole più intensive, la produzione è più facilmente destinata a filiere commerciali convenzionali. Rispetto agli indicatori che riguardano il territorio aziendale e le caratteristiche dell’agricoltore, non si rilevano differenze significative tra i tre gruppi. Questo lavoro suggerisce quindi che l’orientamento commerciale delle aziende può essere correlato alla tipologia di sistema produttivo nelle aree periurbane e alla sua intensità, contribuendo quindi alla valutazione della sostenibilità dei sistemi agricoli periurbani. Bibliografia Cardona, A. (2012). Territorial agri‐food systems: relinking farming to local and environmental stakes to change farming systems. In Producing and Reproducing Farming Systems. New Modes of Organisation for Sustainable Food Systems of Tomorrow. 10th European IFSA Symposium, Aarhus, Denmark, 1‐4 July 2012. ISTAT (2011). Censimento generale dell'agricoltura. Risultati definitivi. http://www.istat.it/it/archivio/66591 Renting, H., Marsden, T.K., and Banks, J. (2003). Understanding alternative food networks: exploring the role of short fo od supply chains in rural development. Environ. Plan. A 35, 393–411. Silvestri, N., Pistocchi, C., Sabbatini, T., Rossetto, R., and Bonari, E. (2012). Diachronic analysis of farmers’ strategies within a protected area of central Italy. Ital. J. Agron 7. _________________________________________________________________________________________________________
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Gestione dei residui colturali durante la fase di transizione all’agricoltura conservativa in ambiente mediterraneo per produzioni di frumento duro (Triticum durum Desf.) di qualità A. Galieni, F. Stagnari, S. Speca, M. Pisante Centro di ricerca e formazione in agronomia e produzioni vegetali, Univ. Teramo, IT, [email protected] Introduzione Gli areali asciutti del centro‐sud Italia sono prevalentemente caratterizzati da avvicendamenti colturali stretti, imperniati su cereali autunno‐vernini e gestiti secondo sistemi di agricoltura convenzionale. In tali situazioni l’adozione dell’Agricoltura Conservativa (AC) può rappresentare una valida strategia per la conservazione del suolo e delle risorse idriche, per il miglioramento delle caratteristiche biologiche del terreno, purché i residui colturali vengano gestiti in modo efficiente. In tali ambienti, infatti, durante la fase di transizione ad AC, i residui colturali sono quantitativamente inferiori rispetto ai sistemi di AC stabilizzati. In tale periodo, variabile da 5 a 7 anni circa, l’aggiunta di residui vegetali a quelli prodotti dalla precessione colturale potrebbe favorire più elevate disponibilità idriche e nutritive, con effetti significativi sullo sviluppo e sulla produzione del frumento duro. Il presente lavoro, pertanto, ha l’obiettivo principale di valutare l’influenza dell’intensità di copertura del terreno con residui vegetali addizionali sulle caratteristiche fisiologiche, di accrescimento e di produzione del frumento duro in ambiente Mediterraneo. Metodologia Lo studio è stato condotto presso il campo sperimentale del Centro di ricerca e formazione in agronomia e produzioni vegetali, dell’Università degli Studi di Teramo a Mosciano Sant’Angelo (103 m s.l.m., lat. 42° 43' 21.18", long.13° 53' 51.24") dal 2010 al 2013. Secondo uno schema sperimentale a blocco randomizzato, sono state poste a confronto 3 tesi a differenti livelli di copertura del suolo con residui vegetali: 5,0 t ha ‐1 di paglia (100%MC), 2,5 t ha‐1 di paglia (50%MC) e 1,5 t ha‐1 di paglia (30%MC), più un Controllo non pacciamato. Il contenuto idrico del terreno (VWC) e il contenuto di elementi minerali nella soluzione circolante sono stati monitorati ad intervalli regolari. A partire dalla fioritura e in corrispondenza delle principali fasi fenologiche, sono stati misurati parametri fisiologici colturali (Leaf Water Content (LWC), SPAD, NDVI, GNDVI, WI) e di accrescimento (accumulo di s.s. in foglie, culmi e spighe). Il contenuto di N totale è stato determinato tramite metodo Kjeldahl e, alla fioritura, il Nitrogen Nutrition Index (NNI) è stato calcolato secondo la formula di Lemaire et al. (2008). Alla raccolta sono state misurate le performance produttive e le caratteristiche qualitative della granella. Risultati e Conclusioni In generale, il contenuto idrico del terreno è risultato positivamente correlato con la quantità di residui colturali apportati. La tesi 100%MC ha registrato in media i valori superiori di VWC (del 36, 41 e 37 % più elevati rispetto al Controllo nei tre anni); alle più alte intensità di copertura corrispondono le concentrazioni inferiori di elementi minerali in soluzione. Tali condizioni influenzano positivamente le componenti della resa produttiva, come indicato ‐ dagli elevati valori dei coefficienti di correlazione tra il numero di cariossidi m ‐2 vs. NO 3 nella soluzione circolante (R2=0,84) e vs. VWC (R2=0,90), monitorati all’antesi. La copertura del terreno ha migliorato lo status fisiologico della coltura: rispetto al Controllo, i valori di SPAD e NDVI sono aumentati rispettivamente del 22% e 18% in 100%MC e del 12% e 13% in 50%MC. Inoltre, 5,0 t ha ‐1 di paglia assicurano i più elevati valori di NNI calcolati alla fioritura (0,97 vs. 0,50 del Controllo). La produzione è stata condizionata positivamente dal maggior peso secco e contenuto di azoto all’antesi (0,50 kg m‐2 in 100%MC vs. 0,26 kg m‐2 del Controllo, come media del triennio). Infine, le più alte percentuali di copertura (100%MC e 50%MC) hanno favorito un maggiore accumulo di azoto nelle cariossidi (0,56, 0,51 e 0,44 mg N cariosside‐1 nel 2011, 2012 e 2013 per 50%MC), corrispondente ad un aumento del contenuto proteico della granella alla raccolta (fino al 16% in 100%MC). Durante la fase di transizione ad AC, in ambiente Mediterraneo, l’aggiunta di 2,5 t ha‐1 garantisce effetti positivi sulle caratteristiche del terreno e, conseguentemente, sulla produzione; tuttavia un aumento delle quantità applicate (fino a 5,0 t ha‐1) determina un progressivo miglioramento delle performance fisiologiche del frumento duro con un ulteriore incremento quali‐quantitativo della produzione. Bibliografia Lemaire, G., Jeuffroy, M.H., Gastal, F., 2008. Diagnosis tool for plant and crop N status in vegetative stage Theory and practices for crop N management. Eur. J. Agron. 28, 614‐624. _________________________________________________________________________________________________________
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Nuovo Germoplasma di Frumento Duro con Migliorate Caratteristiche di Produttività Associate al Trasferimento di Segmenti Cromosomici della Specie Selvatica Thinopyrum ponticum L. Kuzmanović, R. Ruggeri, F. Rossini, C. Ceoloni Dipartimento di Scienze e Tecnologie per l’Agricoltura, le Foreste, la Natura e l’Energia (DAFNE), Università degli Studi della Tuscia, IT Introduzione Il frumento rappresenta il cereale più coltivato al mondo e il suo prodotto contribuisce per più del 40% al fabbisogno proteico della popolazione mondiale. Nel complesso scenario dell’aumento della densità demografica e dei cambiamenti climatici, l’ampliamento della base genetica dei frumenti coltivati utilizzando la variabilità presente in specie selvatiche, rappresenta sicuramente un valido approccio per migliorarne una serie di caratteristiche, comprese le rese.. Tra le specie utilizzabili, la graminacea selvatica Thinopyrum ponticum, in parte impiegata nel miglioramento del frumento tenero, si evidenzia per essere portatrice di numerosi geni utili in grado di determinare, tra l’altro, resistenza a varie patologie, incremento delle rese e ciclo perennante. D’altra parte, i recenti progressi dell’ingegneria cromosomica hanno portato allo sviluppo di una serie di linee ricombinanti frumento duro‐Th. ponticum, in cui sono stati trasferiti sul cromosoma 7A del frumento duro differenti segmenti del 7Ag di Th. ponticum, contenenti geni per resistenza alla ruggine bruna (Lr19) e nera (Sr25), un gene (Yp) responsabile della colorazione gialla delle semole e geni che portano ad un aumento delle rese. L’obiettivo di questo studio è stato quello di verificare in pieno campo le capacità produttive di questi ricombinanti, al fine di confermare i risultati promettenti ottenuti recentemente su piante spaziate e selezionare le linee migliori per futuri programmi di miglioramento genetico del frumento duro. Metodologia Lo studio è stato condotto in due stagioni consecutive (2011/2012 e 2012/2013) a Viterbo (42°25’ N, 12°05’ E, 326 m s.l.m.). Sono state utilizzate tre linee ricombinanti quasi‐isogeniche frumento duro‐Th. ponticum: R5‐2‐10, R112‐4 and R23‐1. Le linee sono state ottenute da reincroci ricorrenti con la cv. Simeto e sono caratterizzate dall’avere il 23% (R5‐2‐10), il 28% (R112‐4) e il 40% (R23‐1) dell’estremità telomerica del loro braccio 7AL sostituito con cromatina 7AgL. Come linee controllo sono state utilizzate linee segreganti non portatrici di alcun segmento 7AgL. Lo schema sperimentale è stato il blocco randomizzato con tre repliche e parcelle di 1.5 m x 1.5 m. Durante la sperimentazione sono stati rilevati i seguenti caratteri: somma termica all’antesi, altezza delle piante, biomassa per m 2 e per culmo, produzione di granella per m2 e per culmo, harvest index (HI), numero di spighe per m2, numero di cariossidi per m2 e per culmo, peso mille semi, peso ettolitrico, contenuto proteico e in glutine. Tutti i dati rilevati sono stati sottoposti ad analisi della varianza (ANOVA) e le medie separate mediante il test di Tukey per P≤0.05. Risultati e Conclusioni Le due stagioni di crescita si sono differenziate notevolmente, soprattutto per quanto riguarda il livello termico e pluviometrico: il 2011/2012 è stata un’annata tipica del nostro ambiente di coltivazione, consentendo una più marcata differenziazione dei genotipi in prova, mentre il 2012/2013 è stato caratterizzato da elevata piovosità durante tutto il ciclo colturale, determinando una similarità di espressione per i caratteri rilevati tra le linee ricombinanti ed i controlli. Comunque, la presenza di differenti segmenti 7AgL ha influenzato positivamente la maggior parte delle caratteristiche produttive analizzate. Nei due anni di prova, la linea ricombinante R112‐4 è risultata la più promettente. In particolare, nel 2011/2012 si sono registrati i seguenti incrementi per unità di superficie: +9% di biomassa, +7% di resa in granella, +25% del numero di spighe e +12% del numero di semi. Nessuna differenza significativa è stata osservata nella percentuale di proteine (media dei due anni superiore al 15%) e di glutine della granella. Buone anche le caratteristiche produttive e qualitative della linea R5‐2‐10, mentre appare necessario migliorare l’HI della linea R23‐1, la quale ha comunque dimostrato un aumento notevole del numero di semi per m2 (+39%) e per culmo (+21%). In conclusione, il trasferimento di segmenti di Th. ponticum, per la prima volta realizzato in frumento duro, produce incrementi di resa molto interessanti, senza apparentemente alterare le principali caratteristiche qualitative della granella del frumento ricevente, in più apportando le ulteriori caratteristiche positive, soprattutto di resistenza a malattie, sopra riportate. Alla luce di questi risultati, la sperimentazione in pieno campo delle linee ricombinanti sarà estesa a più località e per più anni, al fine di valutarne la stabilità in differenti condizioni climatiche e di coltivazione. _________________________________________________________________________________________________________
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L’individuazione e la gestione delle aree agricole ad alto valore naturale: il caso di studio della Toscana G. Lazzerini1, C. Di Bari1, G.C. Pacini1, V. Moschini1, P. Migliorini2, P. Merante1, C. Vazzana1 1 Dip. di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell'Ambiente, Univ. Firenze, IT, [email protected] 2 Università degli Studi di Scienze Gastronomiche, IT. Introduzione I paesaggi agricoli costituiscono oltre il 45% del territorio dell’Unione Europea. Essi mostrano differenze sostanziali in termini ecologici e diverse modalità e intensità di gestione. (Henle et al., 2008) Alcuni di questi paesaggi prevedono sistemi agrari tradizionali (ad esempio i sistemi silvo‐pastorali di montagna), ricchi di biodiversità vegetale ed animale, soggetti ad abbandono e quindi con conseguenti problemi di conservazione. A partire dagli anni ’90 tali paesaggi e le loro modalità di gestione sono stati identificati come aree agricole ad alto valore naturale “High Nature Value Farmland” (HNVF). (Pain and Pienkowski, 1997; Bignal and McCracken, 2000; EEA, 2004;) Le HNVF e le loro modalità di gestione possono essere di grande beneficio per la conservazione della biodiversità all’interno del territorio rurale. La gestione degli agroecosistemi con tecniche intensive risulta infatti negativa per la biodiversità e diventa una minaccia per la sopravvivenza di molte specie e habitat. Quindi è fondamentale garantire che l'intensità di gestione agricola sia appropriata per la conservazione della biodiversità degli agroecosistemi, in particolare nelle aree di alto valore naturale ma anche nel resto del territorio rurale. Le HNVF possono costituire un modello di gestione delle pratiche agricole di tipo sostenibile e quindi essere una risposta al conflitto fra intensivizzazione e biodiversità nelle aree agricole. Numerosi studi hanno utilizzato approcci metodologici diversi per la individuazione delle HNVF. Aspetto ancora poco studiato, riguarda invece, la definizione di misure gestionali di tali aree (Andersen et al., 2003; Pointereau et al., 2007; Samoy et al., 2007; Paracchini et al., 2008). Nel presente lavoro viene presentato il caso studio della Toscana con la definizione di una metodologia di identificazione di tali aree. Per gli habitat agricoli più significativi individuati all’interno di queste ultime, vengono definiti le misure di gestione per la conservazione della biodiversità. Metodologia La Metodologia utilizzata per la definizione delle are HNVF in Toscana è di tipo “farming system” (modificata da Samoy et al., 2007) e prevede di considerare 3 indicatori (IEEP, 2007a): 1.Diversità colturale, 2.Pratiche estensive, 3.Elementi del Paesaggio. Ogni indicatore e composto di più sub‐indicatori, ognuno dei quali ha un valore fra 0 e 1. A ciascun indicatore è stato attribuito un valore compreso fra 1 e 10 punti. La mappa finale delle HNVF è stata prodotta attraverso la somma dei tre indicatori utilizzati e il punteggio massimo raggiungibile è di 30. Per il calcolo dei tre indicatori sono stati utilizzati le seguenti fonti di informazioni: - per la diversità colturale (distribuzione spaziale delle colture) e per l’identificazione delle pratiche estensive (carico animali e coltivazioni foraggere permanenti e avvicendate) sono stati utilizzati i dati statistici del Censimento dell’Agricoltura. Queste informazioni sono a livello comunale. - per gli elementi del paesaggio (lunghezza siepi e muri a secco, lunghezza corpi idrici, numero di laghi e alberi sparsi, superficie ad aree umide) le informazioni sono state rilevate dalla cartografia tecnica della Regione Toscana in scala 1:10.000. I dati a livello comunale verranno down scalati tramite modelli di regressione sulle aree HNVF estratte dal Corine Land Cover IV livello (2006). Per i diversi habitat agricoli individuati all’interno delle HNVF rilevate cartograficamente sono stati identificati gli indirizzi gestionali e le principali misure di conservazione. Risultati e Conclusioni Il lavoro svolto ha consentito di verificare che a livello europeo non esiste una metodologia univoca per la definizione delle HNVF, ma esistono invece diverse tipologie di percorsi metodologici, che partono tutti da lla conoscenza della copertura del suolo. La metodologia “farming system” applicata consente di integrare la copertura del suolo con l’intensità di gestione e con la presenza di elementi del paesaggio e di definite quindi le HNVF in modo più puntuale. Questo metodo ha permesso di definire gli habitat agricoli più significativi che hanno le caratteristiche di essere identificati come aree HNVF. Per questi habitat agricoli sono state indentificate le azioni e pratiche di gestione della biodiversità. _________________________________________________________________________________________________________
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Percorsi agronomici per migliorare e stabilizzare produzione e qualità di frumenti di forza coltivati in differenti condizioni agronomiche ed ambientali F. Marinaccio, M. Blandino, A. Reyneri Dip. di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari, Univ.Torino, IT, [email protected] Introduzione Attualmente, la volatilità dei prezzi e la crescente domanda di grano di alta qualità da parte del settore molitorio e dell'industria alimentare hanno portato alla ricerca di materie prime sempre più caratterizzate a seconda dell’utilizzo specifico a cui esse sono destinate. Tra le numerose tipologie di frumento richieste dal mercato spiccano i frumenti di forza, ai quali è richiesto alto contenuto proteico e forza dell’impasto, elevato indice alveografico W e stabilità al farinografo di Brabender (Foca et al., 2007). Tuttavia, non è facile ottenere granelle in grado di fornire farine corrispondenti a quelle richieste dalla filiera, dal momento che i fattori pedo‐climatici, genetici e agronomici, influenzano la crescita della pianta e l'accumulo di riserve. Pertanto, per “specializzare” la produzione dei frumenti di forza, è necessario esplorare più in dettaglio i percorsi agronomici che portano alla formazione di lotti omogenei con caratteristiche che si avvicinino stabilmente a quelle richieste. L’obiettivo dello studio è quello di valutare l’effetto di diverse strategie agronomiche volte a stabilizzare, migliorando la qualità dei frumenti di forza, in differenti condizioni agronomiche e ambientali. Metodologia La sperimentazione è stata condotta per 6 campagne agrarie (dal 2007 al 2013), in 6 diverse località del Pie monte per tipologia di suolo e clima, per un totale di 18 campi sperimentali. In ogni località è stata utilizzata la cultivar Bologna (varietà maggiormente coltivata in Italia sotto contratto) e 3 trattamenti di concimazione azotata tra accestimento, levata e fioritura: apporto di 50 kg N ha‐1 in accestimento e 80 kg N ha‐1 in levata (T1), 50 kg N ha‐1 in accestimento + 80 kg N ha‐1 in levata e 5 kg N ha‐1 in fioritura utilizzando concime fogliare (T2) e 50 kg N ha ‐1 in accestimento + 80 kg N ha‐1 in levata e 40 kg N ha‐1 in fioritura (T3). Le concimazioni minerali sono state effettuata con nitrato ammonico al 33%. Tutte le parcelle sono state trattate con fungicida alla levata e alla spigatura. Alla raccolta sono stati valutati la produzione di granella, il contenuto proteico con metodica NIR, il parametro W utilizzando l’alveografo di Chòpin e le caratteristiche reologico‐enzimatiche con strumentazione Mixolab® (Chòpin Technologies). Risultati e Conclusioni I risultati ottenuti confermano che la dose e le modalità di concimazione azotata esercitano un effetto più consistente sulla qualità del frumento che sulla produzione. Per i frumenti di forza, in tutte le condizioni pedo ‐ climatiche, l’applicazione di nitrato ammonico alla spigatura, permette di raggiung ere i requisiti minimi di filiera (W=300 J 10‐4 e contenuto proteico=13%) nel 100% dei campioni analizzati, mentre con la sola applicazione di concime fogliare, i requisiti sono soddisfatti, rispettivamente, nel 59% e 64% dei casi. L’assenza di concimazione azotata alla spigatura abbassa i livelli di soddisfacimento al di sotto del 50%. Allo stesso modo la concimazione azotata alla spigatura, ha significativamente incrementato l’assorbimento di acqua delle farine (+ 5%), la stabilità dell’impasto (+ 90%) e ridotto l’elasticità (‐ 25%). È stata inoltre incrementata la forza del glutine (+ 12%) e ridotta la retrogradazione dell’amido, aumentando così la shelf‐life del prodotto finito. In conclusione, la concimazione azotata tardiva è una pratica essenziale per soddisfare stabilmente i livelli proteici e reologici attesi nei lotti commerciali. I vantaggi più consistenti sono stati ottenuti impiegando il concime azotato granulare alla spigatura. Bibliografia Foca et al., 2007. Reproducibility of the Italian ISQ method for quality classification of bread wheats : an evaluation by expert assessors. Journal of the Science of Food and Agriculture, 87 (5), 839–846. _________________________________________________________________________________________________________
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Water saving and reduced arsenic uptake in aerobic rice (Oryza sativa L.): feasibility of drip irrigation under Mediterranean climate G. Ragaglini1, F. Triana1, C. Tozzini1, F. Taccini1, A. Mantino1, A. Puggioni2, E. Vered3, E. Bonari1 1 Istituto Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant'Anna, Piazza Martiri della Libertà 33, 56127, Pisa 2 NETAFIM Italia SRL, Via Pian Degli Alberi 27/C, 16044, Monleone di Cicagna (GE) 3 NETAFIM Ltd. Corporate Headquarters, Derech Hashalom 10,Tel Aviv, Israel 67892 Introduction Most of the global rice production is performed under flooding conditions. This system limits the extension of rice‐cultivated areas and several concerns arise on its sustainability due to the high water consumption, the emissions of methane from saturated soil and the loss of soil fertility. Furthermore, recent studies revealed that the increased bioavailability of arsenic (As) under flooded conditions is the main reason for an enhanced As accumulation by paddy rice, raising an issue on the risk for humans of As exposure from consumption of rice. This risk is concrete where contaminated water are used for irrigation, Bangladesh and West Bengal, India, have been recognized as the most critical cases, since rice represents the most important source of food for local population, but As traces, probably originated from the exploitation of geothermal sources, have been found also in the river water of South Tuscany. In 2010 it was showed that the risk of As uptake can be drastically reduced in aerobic rice cultivation. In this study the challenge of producing rice aerobically was addressed throughout a field experiment aimed at evaluating the feasibility of drip irrigation for saving water and reducing the risk of As accumulation in rice grain. Metodology The experimental trial was located in the province of Grosseto (southern Tuscany). The experimental plots were located in an uncultivated area of the farm, characterized by a clay‐loamy soil texture. The total area dedicated to the trial was about 2,400 m2. A strip‐plot design with four replications was adopted considering irrigation and fertilization as experimental factors. Two drip irrigation levels (I) where considered: 150% of reference ET0 (I150), while in IKc, the single‐crop coefficient approach was used to estimate crop water requirement. Three fertigation treatments were evaluated: N, nitrogen with the same dose as for conventional flooding system (190 kg N ha ‐1); NK, 190 kg N ha‐1 and 200 kg K2O ha‐1; N75, nitrogen dose reduced respect to N treatment by the 25%. A paddy field, close to the trial, were use for the control thesis (C), under flooded condition. The water used for the irrigation was taken by the Ombrone river both for the drip and for the flooding system. The Karnak variety was sowed in June and harvested in late Autumn. Measurements of panicle density, number of fertile spikelets per panicle, straw, panicles, grain and husk dry weight, 1000 kernels weight and HI were collected at harvesting and compared among the diffe rent thesis by orthogonal contrasts analyses. Three samples of root, straw, grain and husk from the drip irrigation and the C thesis respectively were collected and the Ar concentration was investigated with the EPA method 3051. Results and Conclusions The grain yield in I150 and IKc was respectively 35 and 47% lower than in C (4.8 Mg ha ‐1), mostly due to the reduced panicle density and to the reduced weight of kernels reached at maturity. The late sowing may have affected the production under drip irrigation, since the grain ripening has delayed much more than in C. It was also showed that the production under drip irrigation increased at increasing the water supply (I 150 was significantly higher than IKc) and the fertilization levels. In fact in N and NK the grain yield was 3.3 and 3.2 Mg ha ‐1, while in N75 it was 1.8 Mg ha‐1. Drip irrigation system allowed to save water from 1.5 to 1.8 m 3 kg‐1 of grain (‐45 and ‐52% in I150 and IKc respectively). The As content in the two soil was similar, nearly 5.7 mg kg‐1. No trace of As was detected in the aboveground biomass produced with the drip irrigation, while, in flooded rice 0.06 (0.012 s.e.), 0.11 (0.01 s.e.) and 1.53 (0.47 s.e.) mg kg‐1 of As were found in the brown rice, in the unpolished grain and in the straw respectively. Drip irrigation can significantly reduce water consumption and drastically decrease the risk of As accumulation in grain, but further investigation and major improvements are needed to make this system economically sustainable in rice cultivation. _________________________________________________________________________________________________________
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È giusto dare un sostegno economico alle aziende agricole che optano per l’Agricoltura Conservativa? Valutazione dell’impatto economico e ambientale. M. Rinaldi, C. Maddaluno, M. Mucci, M. Russo, A. Troccoli Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Centro di Ricerca per la Cerealicoltura, Foggia Introduzione Le tecniche di Agricoltura Conservativa (AC), in particolare la semina dei cereali su terreno non lavorato e ricoperto da residui colturali, sono diffuse da decenni specie in Sud America e Australia. Nel nostro Paese, invece, la loro adozione si scontra spesso con le scelte degli agricoltori sulle modalità operative di produzione agricola in un ambito di breve periodo, mentre l'adozione dell'AC rappresenta una tipica decisione con effetti a medio e lungo termine. La ridotta propensione al rischio, la limitata conoscenza delle tecniche di AC e lo scarso sostegno finanziario sono spesso i principali ostacoli alla diffusione di questa tecnica. Questa nota vuole evidenzare le motivazioni in base alle quali risulterebbe necessario un sostegno economico per favorire l’espansione delle tecniche conservative. Metodologia Partendo da risultati della letteratura scientifica, nazionale e internazionale e da esperienze sperimentali condotte presso il CRA‐CER in Capitanata (Foggia), sono stati valutati i principali aspetti agronomici, economici ed ambientali, che lo stakeholder deve prendere in considerazione nel decidere di sostenere, e in quale misura, l'adozione dell'AC. Risultati e Conclusioni I risultati salienti sono riassunti in Tab. 1, con l'indicazione degli effetti che possono giustificare un contributo della collettività per l'adozione dell'AC. La complessità dei processi coinvolti (suolo, clima, sistemi coltura li, dimensione aziendale, dinamica di prezzi e dei costi, valutazione economica degli aspetti ambientali) non permette una quantificazione economica semplice e univoca. Sono però stati dimostrati, e in molti casi quantificati, i benefici di natura agronomica sulla qualità del suolo e ambientale, sulla riduzione dei rischi erosivi e di minore emissione di gas serra. In conclusione, per favorire l’espansione dell’AC nel nostro Paese si ritiene necessario e prioritario, incentivare, da una parte l'acquisto di specifiche attrezzature, dall’altra sostenere con misure ad hoc (una sorta di bonus re‐natura) le aziende che decidono di adottare la gestione conservativa per migliorare le caratteristiche agro‐ecologiche del territorio e la sostenibilità ambientale. Tab. 1 ‐ Effetti dell'adozione dell'AC e loro giustificazione di un supporto economico. Aspetti Effetti Riduzione dei livelli produttivi (dipende In linea generale sarebbe consigliabile un dalle condizioni e dalla qualità del terreno contributo decrescente pari a 100‐75‐50 €/ha nei primi 3 anni di transizione. Agronomici arativo nella fase di transizione all’AC). Miglioramento della fertilità del suolo (s.o., struttura, attività microbica) Minori costi di produzione (niente aratura e né ripassi) Economici Supporto economico non necessario o a discrezione dello stakeholder Necessità di un supporto economico Vantaggio consequenziale all’adozione delle tecniche di AC. Il risparmio è quantificabile in 120‐150 €/ha in pianura, 200‐250 €/ha in collina e 300‐ 400 €/ha in montagna. Per incentivare l’AC è essenziale l’acquisto Nuovi investimenti per il parco macchine della seminatrice da sodo e delle macchine (aziende singole e/o associate con almeno per la gestione dei residui colturali. Il costo 50 ha).Contributo per il noleggio ad di noleggio della seminatrice può variare da aziende piccole (< 50 ha) 80 a 120 €/ha. Il rischio erosivo cresce con la pendenza (da Minore erosione del suolo (più efficace 1 a 10 t/ha/anno). Il contributo per con terreno coperto dai residui colturali compensare i maggiori costi dovrebbe e/o dalle colture cover crop; costi essere tra 50 e 100 €/ha a seconda aggiuntivi). dell’orografia. Maggiore infiltrazione dell'acqua (grazie Ambientali ai residui e alle cover crop,ai canalicoli nel suolo e alla pedofauna) Ridotte emissioni di GHG (meno passaggi e minore ossidazione s.o.) Sequestro di CO2 Riduzione del rischio di smottamenti e frane e, quindi, un risparmio per la salvaguardia del territorio dai rischi idrogeologici. In funzione della qualità del terreno e dell’orografia da 35 a 65 kg di C/ha/anno. Maggiore attività microbica nello strato superficiale del terreno (5‐10 cm). _________________________________________________________________________________________________________
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Il ruolo dell'agronomia territoriale e dell'ecologia del paesaggio a supporto della gestione integrata delle aree rurali Davide Rizzo1, Elisa Marraccini2, Emilio Padoa‐Schioppa3 1 INRA e AgroParistech, UMR 1273 Métafort (Aubière, Francia), [email protected] 2 Scuola Superiore Sant’Anna, Istituto di Scienze della Vita (Pisa) 3 Università degli Studi di Milano Bicocca, Dipartimento di scienze dell'ambiente e del territorio e di scienze della terra (Milano) Introduzione La comprensione e il miglioramento delle interazioni tra agricoltura e risorse naturali richiedono l'analisi della configurazione dei diversi patterns che compongono un territorio. Analogamente all'ecologia del paesaggio, che studia le relazioni tra mosaici ambientali e processi ecologici su larga scala, l'agronomia territoriale propone un ampliamento dello studio delle pratiche agricole con l'obiettivo di mettere in relazione le scelte che l'agricoltore effettua a scala di campo o dell'azienda con il sistema territoriale di cui fa parte. In tal modo l'agricoltura viene contestualizzata tra le differenti dinamiche antropiche che competono o convergono nell'uso di risorse quali suolo, acqua e biodiversità. Obiettivo di questo lavoro è proporre uno stato dell’arte delle sinergie tra agronomia e ecologia a supporto della gestione integrata delle aree rurali. Casi di studio L’approccio territoriale, complementare alle competenze dell’agronomia aziendale (Cavazza, 1996), ha mostrato nuove potenziali applicazioni con la collocazione nel campo della landscape research (Benoît, Rizzo et al. 2013). La nostra proposta è partire da alcuni esempi emblematici – superando in tal modo l’eterogeneità delle parole chiave di una ricerca bibliografica – per definire un quadro concettuale di riferimento per successive analisi (Fig. 1). Da un punto di vista agronomico, importanti spunti sono forniti anzitutto dal rapporto FAO per lo sviluppo di sistemi agricoli climate‐ smart basati sull’approccio paesaggistico (FAO 2013) e dall’applicazione di tale approccio nella gestione di rischi produttivi, ecologici e sociali dei bacini di approvvigionamento di alcune grandi industrie agroalimentari internazionali (Kissinger et al. 2013). Da un punto di vista dell’ecologia, l’esempio più rilevante è costituito dalla valutazione dei servizi agro‐ecosistemici richiesta dalle recenti evoluzioni delle politiche agricole europee (García‐Feced et al. 2014). Una convergenza tra i vari approcci settoriali potrebbe essere fornita dal paradigma dei corridoi diffusi, che propongono di coniugare attività agricole e conservazione della biodiversità (Padoa‐Schioppa et al. 2009). Conclusioni e prospettive Le sfide che una più ampia interfaccia tra agronomia ed ecologia del paesaggio pone riguardano la riformulazione degli obiettivi di ricerca e l'integrazione di dati e informazioni eterogenee. Per l’agronomia l’identificazione di un quadro interdisciplinare condiviso può facilitare: (1) la valutazione della componente territoriale delle problematiche agro‐ambientali (es., dinamiche spaziali, interazioni con altri settori produttivi); (2) lo sviluppo di competenze professionali a supporto delle politiche territoriali. Bibliografia Benoît M, Rizzo D, Marraccini E, Moonen AC, Galli M, Lardon S, Rapey H, Thenail C, Bonari E (2012) Landscape agronomy: a new field for addressing agricultural landscape dynamics. Landscape Ecology 10:1385–1394. doi: 10.1007/s10980‐012‐9802‐8 Cavazza L (1996) Agronomia aziendale e agronomia del territorio. Riv Agron 30:310–319. FAO 2013. Climate‐smart agriculture sourcebook. http:/www.fao.org/climatechange/climatesmart/en/ García‐Feced C, Weissteiner CJ, Baraldi A, Paracchini ML, Maes J, Zulian G, Kempen M, Elbersen B, Pérez ‐Soba M (2014) Semi‐ natural vegetation in agricultural land: European map and links to ecosystem service supply. Agronomy for Sustainable Develop ment, in stampa. doi: 10.1007/s13593‐014‐0238‐1 Kissinger G, Brasser A, Gross L (2013) Reducing Risk: Landscape Approaches to Sustainable Sourcing. EcoAgriculture Partners, on behalf of the Landscapes for People, Food and Nature Initiative, Washington DC, USA Padoa‐Schioppa E, Digiovinazzo P, Ficetola GF, Ripanti F, Baietto M, Bottoni L (2009) Beyond ecological networks: diffuse corridors in agricultural and urban fringe landscapes. In: Catchpole R, Smithers R, Baarda P, Eycott A (eds) Ecological Netwo rks: Science and Practice. IALE (UK), pp 175–182 _________________________________________________________________________________________________________
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Valutazione agronomica della fertilizzazione azotata del frumento duro (Triticum durum Desf.) nella fase di transizione all’Agricoltura Conservativa F. Stagnari1, G. Visioli2, N. Marmiroli2, A. Galieni1, S. Speca1, M. Pisante1 1 Centro di ricerca e formazione in agronomia e produzioni vegetali, Univ. Teramo, IT, [email protected] 2 Dipartimento di Bioscienze, Univ. Parma, IT Introduzione La gestione della fertilizzazione azotata del frumento duro rappresenta uno dei fattori chiave per ottenere rese quanti‐qualitative sostenibili sotto il profilo agronomico, ambientale ed economico, soprattutto durante la fase di transizione al sistema conservativo. In ambiente Mediterraneo, in particolare, caratterizzato da una limitata fertilità del suolo e da erratiche distribuzioni delle precipitazioni, la gestione dell’azoto (forma/dose/epoca di applicazione) risulta incidere notevolmente sulle rese, qualità e sulla loro stabilità. L’obiettivo principale del presente lavoro è stato quello di valutare la risposta fisiologico‐produttiva e qualitativa del frumento duro, durante la fase di transizione da convenzionali sistemi di gestione a quelli propriamente identificati di Agricoltura Conservativa (AC) in ambiente Mediterraneo, a diverse combinazioni forma/dose di fertilizzante azotato, al fine di individuare quella ottimale. Metodologia La ricerca è stata condotta presso il campo sperimentale del Centro di ricerca e formazione di agronomia e produzioni vegetali dell’Università degli Studi di Teramo, nel triennio 2010/2011‐2012/2013. Secondo uno schema sperimentale a split‐plot con 3 ripetizioni, sono state poste a confronto differenti combinazioni di fertilizzazione azotata: due diversi formulati (Urea e Nitrato di Calcio, fattore principale) e 4 dosi crescenti di azoto (50‐100‐150‐ 200 kg ha‐1, fattore secondario) più un Controllo non fertilizzato. A partire dalla fioritura è stato monitorato lo stato fisiologico della coltura (NDVI, SPAD); alla raccolta sono state misurate la produzione, il contenuto di azoto totale (metodo Kjeldahl), di glutine totale e delle singole frazioni del glutine nelle cariossidi. L’efficienza d’uso dell’azoto è stata espressa in termini di N uptake, Physiological efficiency (PE) ed Agronomic efficiency (AE). Risultati e Conclusioni Le combinazioni forma/dose di fertilizzante azotato sono state significativamente condizionate dalla distribuzione delle precipitazioni durante le fasi di sviluppo riproduttivo. Il modello quadratico (Y=β0+β0X+β2X2) ha stimato, come media del triennio, produzioni maggiori per l’applicazione di Nitrato di Calcio (4,4 vs. 4,2 t ha‐1 per Nitrato ed Urea, rispettivamente) a dosi inferiori (144 vs. 196 kg N ha‐1, rispettivamente). Tale modello è stato utilizzato anche per descrivere il contenuto di N totale nelle cariossidi alla raccolta: nonostante gli elevati valori dei coefficienti di determinazione ottenuti nei tre anni, una stima razionale delle dosi di applicazione per la massimizzazione del contenuto in N, è limitata solo al 2011 (variabile da 170 a 175 kg N ha‐1). Differenze significative tra gli indici di efficienza d’uso dell’azoto sono state riscontrate solo nei primi due anni di adozione dell’AC; l’N uptake aumenta progressivamente fino alle dosi di 150 and 200 kg N ha‐1 per Urea e Nitrato, rispettivamente. Il PE tende a diminuire all’aumentare della dose di applicazione (valori massimi a 50 kg N ha‐1: 31,7 e 46,8 kg granella kg‐1 di azoto nel 2011 e 2012, rispettivamente); l’AE mostra lo stesso trend, ma con valori più elevati calcolati per il Nitrato di Calcio. In generale, la fertilizzazione azotata tende ad aumentare il contenuto totale in glutine nelle cariossidi (mg g ‐1 sfarinato), ma non oltre la dose di 150 kg N ha ‐1; nel 2012 e 2013, l’Urea sembra favorire un maggior accumulo di glutine rispetto al Nitrato. Gli effetti sono riscontrabili in tutte le singole frazioni che costituiscono le proteine del glutine (gliadine e glutenine ad alto e basso peso molecolare); tuttavia, almeno nei primi du e anni di studio, l’effetto della dose è stato più evidente sulla frazione gluteninica, con conseguente aumento del rapporto glutenine/gliadine. Indipendentemente dalla forma azotata, l’indice NDVI tende a crescere con l’aumento della dose di fertilizzante applicato (0,871 e 0,862 per le dosi 150 e 200 kg N ha ‐1, rispettivamente). Per quanto riguarda il contenuto in clorofilla, stimato tramite SPAD, differenze significative tra le tesi sono state molto più evidenti nel 2012 e nel 2013 rispetto al primo anno di studio: 200 kg N ha‐1 rappresenta la dose caratterizzata dai valori di SPAD più elevati indipendentemente dalla forma del fertilizzante azotato applicato alla coltura (48,4 come media del triennio). Per rese stabili e di qualità in frumento duro, durante la fase di transizione ad AC, sono necessarie 150 kg N ha ‐1 sotto forma di Nitrato di Calcio; tale dose sarà gradualmente modulata nel tempo sulla base delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche del terreno che si registrano nei sistemi di AC a regime. _________________________________________________________________________________________________________
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Innovative strategies for weed control in organic spinach and cauliflower F. Bigongiali1, S. Carlesi1, D. Antichi2, M. Fontanelli2, C. Frasconi2, A. Peruzzi2, P. Bàrberi1 1 2 Institute of Life Sciences, Scuola Superiore Sant’Anna, Piazza Martiri della Libertà 33, 56127 Pisa, Italy Department of Agricultural, Food and Environmental Sciences, University of Pisa, Via San Michele degli Scalzi, 2, 56124 Pisa, Italy Introduction Weed control is a major obstacle in organic vegetable systems due to the often poor competitive ability of vegetable crops. To improve weed control and increase crop performance it is important to diversify wee d management strategies (WMS) with use of green manures, mechanical weeding and crop diversification. The aim of this study was to test WMS at different level of innovation on crop performance and weed dynamics. Methodology An on‐farm research was carried out in 2006‐2008 at the Colombini vegetable organic farm, located in Crespina (Pisa), central Italy. The soil was a sandy‐loam, with an organic matter content of 1% and a pH of 6.8. We tested two innovative crop and weed management systems and a standard system on a spinach‐potato‐ cauliflower‐tomato sequence. The trial was arranged according to a randomised complete block (RCB) design with three replicates (each block corresponding to one field). The standard (farmer’s) system consisted in manual transplanting on biodegradable maize starch mulch (MaterBi®). No direct weed control measures were applied. This was compared with two innovative crop and weed management systems based on different levels of technical innovation: the ‘intermediate’ and ‘advanced’ systems. The ntermediate system was based on a sequence of diverse direct physical weed control (PWC) operations. The advanced system included the same PWC treatments of the intermediate system plus two living mulches: subterranean clover (Trifolium subterraneum L.) in spinach (Spinacia oleracea L.) and hairy vetch (Vicia villosa Roth.) in cauliflower (Brassica oleracea L.). Spinach was sown on 5 October 2006 by means of a pneumatic driller while cauliflower was transplanted on 13 September 2007. Subterranean clover (cv. Clare) and hairy vetch (cv. Villana) were broadcast interseeded respectively in spinach (20 November 2006, seeding rate of 30 kg ha ‐1 )and cauliflower (5 October 2007, seeding rate of 90 kg ha ‐1 ). All data collected were subjected to ANOVA. Results and Conclusions Here we present the results obtained on spinach and cauliflower in terms of crop yield component, weed suppression and crop/living mulch competition. In both crops we observed a higher fresh yield in the innovative systems compared to the standard one, despite a significantly higher total weed biomass which, however, was low in absolute values. Overall, the two innovative systems had a higher fresh production compared to the standard system: +26% in spinach) and +63% in cauliflower. In both crops, presence of the living mulch had no appreciable effect on fresh yield and weed biomass during the growing cycle of spinach and cauliflower, meaning that no negative effects of crop/living mulch competition was detected. The presence of living mulch increased the amount of crop residues incorporated into the soil of about 75 and 33% with respect to the intermediate system in case of subterranean clover and hairy vetch respectively. Moreover, the living mulch, which continued to grow after the end of the crop cycle, suppressed weed growth in the period between crop harvest and seedbed preparation for the next crop (+33% with subclover and +55 % with vetch, as compared with the intermediate system). This effects was more pronounced in vetch than in subterranean clover probably due to the delay and the sowing methods that caused a sub‐optimal growth of clover. This results suggest that coupling physical weed control with use of a living mulch can further increase the weed suppression potential of an organic vegetable cropping system. This also ensures that the increment of organic matter incorporated into the soil maintaining yields comparable to those of the intermediate system. _________________________________________________________________________________________________________
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L’integrazione del sovescio di veccia vellutata con compost arricchiti in fosforo aumenta la sostenibilità di un sistema colturale biologico senza produzione animale? Effetti sul mais e sulla vegetazione infestante S. Carlesi1, F. Bigongiali1, D. Antichi2, P. Bàrberi1 1 Istituto Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant'Anna, Piazza Martiri della Libertà 33, Pisa, Italy 2 Centro di Ricerche Agroambientali “Enrico Avanzi” (CIRAA), San Piero a Grado, Pisa, Italy Introduzione In un sistema colturale biologico senza produzione animale non irriguo, per poter incrementare la fertilità chimica, fisica e biologica dei terreni è opportuno poter disporre di strategie agronomiche integrate di gestione del suolo. Nel sistema colturale biologico oggetto di una ricerca di lungo periodo di confronto biologico‐convenzionale (MASCOT) è stata rilevato un bilancio negativo del fosforo. Pertanto, al fine di preservare la fertilità del suolo nel lungo periodo, sono state individuate delle soluzioni tecniche per reintegrare le quantità di fosforo asportate e contemporaneamente incrementare la dotazione di azoto disponibile e di sostanza organica nel suolo. Lo scopo del presente lavoro è quello di valutare le possibili interazioni tra le tecniche agronomiche usualmente impiegate per migliorare la fertilità chimica, fisica e biologica dei sistemi colturali biologici, come il sovescio di leguminose, e soluzioni innovative come l’uso di compost arricchiti in fosforo. Metodologia Una prova parcellare biennale in pieno campo è stata allestita presso il CIRAA “E. Avanzi” seguendo uno schema sperimentale a blocchi completamente randomizzati a due vie. Come fattore principale sono state confrontate cinque tesi di compost, quattro ad uguale contenuto in fosforo, 24 kg ha ‐1 di P2O5, (compost arricchito in fosforo durante il processo di compostaggio, compost arricchito in fosforite alla distribuzione, fosforite senza compost, solo compost senza fosforite) ed un controllo. Come fattore secondario è stato considerato il sovescio di veccia (Vicia villosa Roth) (si/no). Sono state monitorate le fasi fenologiche, l’altezza, il numero, l’area e la larghezza delle foglie della successiva coltura di mais (Zea mays L.) e la composizione floristica, la densità, la copertura e la biomassa delle specie infestanti. Al fine di approfondire i meccanismi di risposta della coltura del mais e della flora infestante, è stato poi impostato a posteriori un modello statistico lineare in cui le tesi relative al fattore principale sono state scomposte in due fattori quantitativi: apporto di compost e apporto di fosforo. Risultati e Conclusioni Il sovescio è risultato il fattore più significativo per i parametri colturali e per la composizione floristica delle infestanti. Le tesi sovesciate hanno mostrato più elevate biomassa della coltura, larghezza delle foglie ed altezza delle piante e un tasso di emissione delle foglie più rapido. Per quanto concerne la composizione floristica, il sovescio di veccia ha esercitato un effetto soppressivo nei confronti delle specie geofite più difficili da controllare come Cyperus sp. (Carlesi et al. 2013). Le tipologie di compost hanno influenzato significativamente i parametri colturali ma in maniera discontinua nei due anni. La densità della flora infestante non è risultata essere inf luenzata dai due fattori sperimentali. Non sono state osservate interazioni significative tra compost e sovescio. Nel solo 2011, la quantità di compost distribuita ha rivelato alcune potenzialità nell’aumentare i parametri relativi alla dimensione fogliare della coltura e la diversità della flora spontanea, modificandone la composizione. Il sovescio di veccia non solo offre miglior performance produttive, ma considerando i parametri colturali legati alla potenzialità di competizione con la flora infestante (anticipo dello sviluppo fenologico e maggiore capacità di intercettare la radiazione solare) sembra essere la soluzione più interessante per raggiungere questo obiettivo. L’apporto di fosforo nelle diverse forme non mostra risultati interessanti; in particolare, l’integrazione della dose di fosforo con fosforite non appare un fattore rilevante nell’anno immediatamente successivi alla distribuzione. La reintegrazione del fosforo asportato attraverso la distribuzione di compost non arricchito appare invece come una alternativa da tenere in considerazione poiché è una risorsa rinnovabile e poiché non ha determinato effetti negativi (ad es. l’immobilizzazione di azoto) in ragione dell’apporto di carbonio fornito. Bibliografia Carlesi S., Bigongiali F., Antichi D. & Bàrberi P. (2013) Effect of P‐enriched compost and green manure on maize weed density and composition. Proceedings 16th European Weed Research Society Symposium, 24 ‐27 June, Samsun, Turkey. _________________________________________________________________________________________________________
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Metodo e dispositivo di semina per il contrasto delle erbe infestanti nei sistemi cerealicoli P. De Vita, I. Pecorella, S.A. Colecchia Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, Centro di Ricerca per la Cerealicoltura S.S. 673 km 25,200 ‐ 71122 Foggia [email protected] Introduzione La competizione esercitata dalle infestanti rappresenta una delle problematiche più importanti da affrontare nei sistemi agricoli sia di tipo biologico che convenzionale per il danno produttivo e qualitativo che esse determinano. L’attuale modalità di semina dei cereali prevede l’impiego di seminatrici a righe oppure a spaglio. A parità di investimento la semina a righe garantisce una minore copertura del terreno ed espone la coltura all’azione competitiva esercitata dalle erbe infestanti. Per contro, con la modalità a spaglio, nella forma in cui viene eseguita attualmente, sebbene la distribuzione delle piante sia più uniforme, l’interramento dei semi risulta irregolare. Per queste ragioni la semina a spaglio è attualmente utilizzata solo in situazioni estreme legate all’impraticabilità del campo. In questo lavoro si riportano i risultati di una sperimentazione condotta sul frumento duro (Triticum durum Desf.) e riferita all'utilizzo di un prototipo di seminatrice, dotato di organi lavoranti “assolcatori” mobili (regolabili) in grado di: i) ottimizzare la disposizione spaziale dei semi, oltre che la profondità di semina ii) garantire una migliore copertura del suolo da parte delle piante ed iii) assicurare alla coltura una maggiore abilità competitiva nei confronti delle erbe infestanti. Metodologia Le prove sono state condotte presso l’azienda sperimentale del CRA‐CER di Foggia, nel biennio 2012‐2013, su una superficie di circa 5000 m2 utilizzando uno schema sperimentale fattoriale a parcella suddivisa con tre repliche. I fattori sperimentali studiati sono stati: 1. Larghezza dell'interfila: a) ridotta (0 cm), normale (15 cm), ampia (25 cm); 2. Dose di semina: a) 100 kg ha‐1, b) 200 kg ha‐1, c) 300 kg ha‐1; 3. Varietà: a) Cappelli, b) PR22D89; 4. Diserbo: a) diserbato, b) non diserbato. Il dispositivo sperimentale è stato allestito utilizzando, per tutti i trattamenti un prototipo di seminatrice sviluppato presso il CRA‐CER di Foggia. Durante la stagione colturale sono stati rilevati i principali caratteri feno‐morfologici della coltura principale e delle erbe infestanti. Alla raccolta sono stati determinati i principali parametri quanti‐qualitativi della granella (resa, umidità, peso ettolitrico, peso dei mille semi e contenuto proteico). Risultati e Conclusioni La larghezza dell'interfila è stato il fattore che ha inciso maggiormente sulla resa, grazie all'azione di contrasto esercitato sulle erbe infestanti, mentre il contenuto proteico della granella è stato influenzato soprattutto dall'annata agraria (13,9 vs. 13,0 %, rispettivamente il primo ed il secondo anno) ed in misura minore dalla varietà (13,7 % per Cappelli e 13,2 % per PR22D89). In tutte le condizioni di semina, la resa media della varietà antic a Cappelli è stata più bassa (2,94 t ha‐1) rispetto a quella della varietà moderna PR22D89 (3,35 t ha ‐1). Tuttavia, nelle condizioni di semina ad interfila ampia e/o in mancanza di un'efficace controllo delle infestanti, mediante l'applicazione del diserbo, le differenze sono state annullate confermando la grande abilità competitiva che caratterizza le varietà del passato. L'effetto della dose di semina sulla resa media è stato inferiore, rispetto agli altri fattori, con valori compresi tra 2,97 e 3,25 t ha‐1 (rispettivamente con 100 e 300 kg ha‐1 di seme). Particolarmente interessante appare anche il comportamento produttivo registrato nella tesi ad interfila ridotta. In questo caso, infatti, la stessa resa media è paragonabile a quella ottenuta con la semina tradizionale con interfila a 15 cm ed applicazione di diserbo (rispettivamente 3,48 vs 3,37 t ha ‐1). In generale, i risultati ottenuti confermano la validità dell'ipotesi di lavoro e le indicazioni di alcune esperienze riportate in letteratura (Weiner et al., 2001). Il metodo di semina proposto modifica la disposizione geometrica delle piante in campo, ottimizzando lo spazio circostante in termini di disponibilità di luce, acqua e sostanze nutritive ed esercitando una maggiore azione competitiva nei confronti delle erbe infestati. In questo modo il metodo di semina potrebbe contribuire a limitare il consumo di prodotti fitosanitari per il controllo delle infestanti secondo quanto previsto dalla direttiva 2009/128/CE del 21 ottobre 2009 e dal decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150 (art. 3 comma 8). Bibliografia Weiner J, Griepentrog H‐W and Kristensen L. 2001. Suppression of weeds by spring wheat Triticum aestivum increases with crop density and spatial uniformity. Journal of Applied Ecology38,784–790. _________________________________________________________________________________________________________
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Produzioni e bilancio apparente dell’azoto del melone in un confronto di lungo periodo tra un sistema biologico e uno convenzionale a basso input M. Farneselli1, P. Benincasa1, U. Bonciarelli1, G. Tosti1, F. Tei1, M. Guiducci1 1 Dip. Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali, Univ. degli Studi di Perugia, [email protected] Introduzione Gli effetti e le implicazioni dei sistemi di coltivazione biologici e convenzionali sulle colture agrarie e sull’ambiente possono essere valutati accuratamente solo interpretando risultati di prove di lungo periodo opportunamente concepite. Lo scopo del presente lavoro è quello di esaminare i risultati poliennali della coltivazione del melone in una prova di confronto di lungo periodo tra un sistema biologico ed uno convenzionale a basso input, con riferimento a quantità e qualità della produzione commerciabile e a bilanci di azoto e sostanza organica del sistema. Metodologia Il melone (Cucumis melo var reticulatus) è stato coltivato nel poliennio 2005‐2013 in un sistema biologico (BIO) e in uno convenzionale low input (LOW), realizzati su due appezzamenti contigui e uniformi per caratteristiche pedologiche, caratterizzati dalla stessa rotazione sessennale (mais‐pomodoro‐frumento‐favino‐melone‐frumento) con tutte le colture dell’avvicendamento presenti in ogni annata. La differenziazione tra i due sistemi ha riguardato: a) la fertilizzazione azotata, effettuata in BIO mediante sovescio intercalare di v eccia (sostituita dal pisello da foraggio dal 2011) consociata con orzo, con eventuale integrazione di fertilizzanti organici in fertirrigazione; in LOW, mediante fertirrigazione minerale; b) il controllo delle erbe infestanti (solo meccanico in BIO, integrato chimico‐meccanico in LOW); c) la difesa dai parassiti (prodotti ammessi in BIO, prodotti convenzionali in LOW). La coltura è stata irrigata a pieno soddisfacimento con due adacquate a settimana per complessivi 300 mm/anno, come media del poliennio. Ad ogni raccolta sono stati determinati numero, peso e °brix dei frutti. Ad ogni annata mediante il campionamento di piante (sovesci, colture e erbe infestanti), sono stati determinati la sostanza secca e l'azoto apportati con i sovesci e i concimi, quelli asportati con i prodotti commerciali e quelli restituiti con l'interramento dei residui colturali e delle infestanti. Risultati e Conclusioni La produzione commerciabile cumulata del melone è risultata più variabile con l’annata e mediamente inferiore in BIO che in LOW (38.4 vs 46.3 Mg ha ‐1). Inoltre, in BIO si è avuta un’entrata in produzione più tardiva e una scalarità di maturazione maggiore che in LOW. Il sistema di coltivazione ha inoltre influenzato le componenti della resa poiché in BIO si è raccolto un minor numero di peponidi per pianta che in LOW (5.0 vs 6.1) e di dimensioni leggermente superiori. Il grado zuccherino dei frutti raccolti invece non è stato influenzato dal sistema di coltivazione ed in media è risultato pari a 13.4 °brix. Le differenze produttive tra i due sistemi sono in gran parte dovute al minore apporto di N nel sistema BIO (‐8% come media poliennio) soprattutto nelle annate in cui lo sviluppo dei sovesci è stato limitato dal freddo invernale, e al non preventivabile ritmo di rilascio di N in forma assimilabile. Nel poliennio, l’azoto da azotofissazione è variato da 25 a 101 kg ha‐1. L’integrazione con concimi organici non sempre è risultata sufficiente per quantità e tempistica di rilascio dell’azoto. L’efficienza d’uso dell’azoto (kg ss commerciabile prodotta / kg di N apportato con sovesci e/o concimi) in BIO è stata più bassa che in LOW (61 vs 71). L’azoto residuo a fine ciclo (N apportato –N asportato) è risultato molto variabile in funzione dell’andamento stagionale ma mediamente più alto in BIO che in LOW (19.8 kg vs ‐6.3 kg). Queste evidenze sono in contrasto con quelle ottenute in questa stessa prova di lungo periodo e nello stesso arco temporale per il pomodoro da industria, per il quale il sistema biologico aveva determinato una maggior efficienza d’uso dell’azoto ed un minor azoto residuo a fine ciclo rispetto al sistema convenzionale. L’interramento della biomassa dei sovesci e dei concimi organici in BIO ha determinato nel tempo un arricchimento del contenuto di sostanza organica del terreno. Infatti, in BIO il rapporto tra la biomassa interrata e quella asportata è stato molto più alto che in LOW (0.66 vs 0.39, come media del poliennio). I risultati ottenuti sul melone confermano che la gestione della fertilità del terreno mediante colture da sovescio è cruciale per la produttività delle colture e la sostenibilità ambientale del sistema biologico. _________________________________________________________________________________________________________
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La gestione integrata delle piante infestanti riduce la densità della banca semi aumentando la sostenibilità ecologica e salvaguardando quella produttiva A.C. Moonen, S. Carlesi, P. Bàrberi Istituto Scienze della Vita, Suola Superiore Sant’Anna, Pisa Introduzione Le politiche agricole comunitarie prestano sempre più attenzione all’uso sostenibile di prodotti fitosanitari (Direttiva 2009/128/CE). La competizione da parte delle piante infestanti è tra i principali fattori responsabili della riduzione delle rese colturali. Allo stesso tempo, l’impiego di erbicidi con un ridotto numero di meccanismi di azione e dosaggi sub‐letali generalmente aumenta il rischio dello sviluppo di resistenze agli erbicidi nelle popolazioni di infestanti. Nell’ambito del Network of Excellence ENDURE sono stati sviluppati e testati sistemi colturali caratterizzati da una progressiva riduzione dell’uso di erbicidi e da un progressivo aumento dell’uso di mezzi non chimici per il controllo delle infestanti (Integrated Weed Management, IWM). Metodologia Dal 2007 al 2011, presso il CIRAA E. Avanzi dell’Università di Pisa, sono stati confrontati un controllo convenzionale (A) e due livelli di IWM in un avvicendamento mais da insilato–frumento duro. I due sistemi IWM differivano per il numero di trattamenti erbicidi e quello di vari interventi di controllo meccanico non‐chimico (B, IWM intermedio; C, IWM avanzato). La prova è stata eseguita per due cicli colturali successivi. Il disegno sperimentale era un blocco randomizzato con 4 repliche. Questo lavoro presenta il cambiamento nella banca semi come indicatore dell’efficacia dei tre sistemi di controllo delle piante infestanti. Sono state confrontate la densità e la composizione della vegetazione infestante nella banca semi subito prima dell’impianto della prova nell’aprile 2007 e dopo la conclusione della prova nel aprile 2011. I campionamenti della banca semi sono avvenuti nella zona centrale dei dodici campi di 25 x 160 m, prelevando 3 carote di diametro 3,5 cm e profondità 15 cm in 8 quadrati da 10x10 m posizionati in 2 file di 4 quadrati. La banca semi è stata rilevata attraverso il metodo di germinazione in ambiente protetto. A questo scopo, da ciascun campione un volume di 300 cm3 è stato trasferito in vaschette forate di 10 x 15 x 5 cm, sopra uno stato di ghiaia. Le vaschette a loro volta erano posizionate all’interno di vasche più grandi con 2 cm d’acqua per garantire l’assorbimento di acqua a richiesta. L’impianto di vasche posizionate sopra tavoli all’interno di una serra semi ‐ aperta erano protette da una tenda di nilon per evitare contaminazione con semi provenienti dall’ambiente circostante. Una volta al mese le piante emerse erano identificate, contate e rimosse. Dopo 1 anno l’irrigazione è stato sospeso per far seccare il terreno. Dopo 6 settimane di riposo il terreno è stato rimescolato e nuovamente annaffiato. Nell’inverno successivo la prova è stata terminata. In relazione alla distribuzione disomogenea, tipica della flora infestante, per ridurre il carattere rumoroso dei dati acquisiti si è deciso di sottoporre i dati delle 8 repliche a ‘smoothing’ mediando ponderatamente la parcella precedente e quella successiva. In seguito a questa elaborazione i dati così ottenuti sono stati sottoposto ad analisi della varianza a una via 1) sulla densità nel 2007 per determinare differenze iniziali tra le 12 unità sperimentali, 2) sulla densità del 2011 per determinare differenze tra le unità sperimentali a fine prova e, 3) sulla differenza tra 2007 e 2011 per determinare il metodo di controllo che più riduce la densità della banca semi. Inoltre, sono state individuate le specie infestanti più sensibile ai tre sistemi di controllo. In fine è stato determinato l’effetto dei sistemi di controllo sulla resa delle colture. Risultati e Conclusioni I risultati evidenziano che la riduzione della banca semi è più elevata nel sistema IWM caratterizzato da un maggiore impiego di mezzi non chimici (C). I dati relativi alle differenze di densità a m 2 2007‐2011 sono A ‐715 (±3005), B ‐2770 (±3450), C ‐4435 (±5375) che corrisponde rispettivamente ad una diminuzione di 13.7, 45.3% e 59.5%. Nel 2007 le specie dominanti (densità relativa) erano Poa spp (63%), Cerastium fontanum (7,6%), Cardamine hirsuta (6,4%) e Veronica persica (5,6%) mentre nel 2011 Poa spp (37%), V. persica (7,7%), Anagallis arvensis (7.3%), Heliotropium europaeum (5,9%) e Portulaca oleracea (6,0%). Le rese colturali sono simili tra i tre sistemi, con grande differenze tra gli anni (1664 ± 339 g/m2 e 840 ± 297 g/m2 nel 2007 e 2009 per l’insilato di mais e 531 ± 94 g/m2 nel 2008 e 364 ± 39 g/m2 nel 2010 per la granella del frumento duro). _________________________________________________________________________________________________________
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Sistemi colturali per colture di IV gamma: osservazioni annuali sull’effetto delle dosi di diversi ammendanti organici verso produzione commerciabile, concentrazione di nitrati nelle foglie, contenuto di C organico nel suolo L. Morra, M. Bilotto, S. Baiano, G. Saviello, D. Cerrato CRA–Unità di ricerca per le Colture Alternative al Tabacco Introduzione I sistemi colturali dedicati alla produzione di specie ortive da foglia per IV gamma si sono progressivamente estesi nella Piana del Sele (Salerno) dal 2000 in poi. Sotto tunnel‐serra sono effettuati più cicli colturali all’anno con un’intensificazione colturale che sta ponendo crescenti problemi per la salvaguardia della fertilità dei suoli, il controllo di malerbe e patogeni, la qualità delle acque di falda. Obiettivo del contributo è di valutare l’effetto di diversi ammendanti organici, impiegati in due dosi, sulla possibilità di ottenere un bilancio positivo della sostanza organica nel suolo, sulle capacità produttive di rucola e basilico, sulla concentrazione di nitrati nelle foglie di rucola coltivata in ciclo primaverile‐estivo o in ciclo autunno‐primaverile. Metodologia In un’azienda di Eboli (SA), nel maggio 2013, sono stati distribuiti i seguenti ammendanti al suolo: letame bufalino, compost da frazione organica differenziata dei rifiuti solidi urbani (Forsu) prodotto nell’impianto del Comune di Salerno, compost da sanse olearie a rapporto C/N basso (11) e alto (30) prodotto nell’impianto di Laurino (SA) del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano. Gli ammendanti sono stati distribuiti in dosi di 15 e 30 t ha ‐1 di tal quale. Il trattamento Controllo era rappresentato da un’area sottoposta a minima concimazione minerale. I trattamenti sono stati distribuiti in accordo ad un disegno a strip‐block con tre repliche. Dopo l’ammendamento sono state coltivate: rucola in ciclo da maggio a giugno 2013 con tre sfalci, rucola in luglio‐agosto (non monitorata), basilico da agosto a ottobre con due sfalci, rucola da novembre 2013 a maggio 2014 con sette sfalci. Ogni ciclo colturale era preceduto da vangatura del terreno a 30 cm, fresatura e baulatura/livellamento. Risultati e Conclusioni In media, nel primo ciclo di rucola, gli ammendanti applicati alla dose di 15 t ha‐1 hanno favorito una produzione commerciabile più elevata rispetto alla dose 30. In particolare, il letame, con entrambe le dosi applicate ha favorito produzioni significativamente superiori a quelle dei diversi compost. Per tutti i compost il passaggio dalla dose 15 alla dose 30, ha determinato una riduzione delle rese che è stata più accentuata con i compost di sansa rispetto a quello da Forsu. Una risposta produttiva più favorevole, in media, alla dose 15 rispetto a quella 30 è stata registrata anche nel ciclo di basilico ove però le differenze tra letame e compost e, all’interno di questo gruppo, tra compost da Forsu e da sansa, non sono state più significative. Nel ciclo di rucola allevata nel secondo semestre dell’annualità monitorata, le maggiori produzioni sono state ottenute con le dosi più alte di compost o letame senza differenze tra i due tipi di ammendante compostato e il letame. La produzione di biomassa fresca cumulata nei tre cicli monitorati è oscillata dalle 108 t ha ‐1 del compost di sansa misto dose 30 alle 144 t ha‐1 del letame dose 30. La biomassa secca prodotta nell’annualità è variata dalle 6,8 t ha ‐1 del compost di sansa misto dose 30 alle 9,6 t ha‐1 del letame dose 15. La concentrazione di nitrati nelle foglie di rucola raccolte nel ciclo di maggio‐giugno è stata in media al di sotto dei limiti di legge (6000 mg kg ‐1 s.f.). In particolare, il letame con entrambe le dosi ha incrementato il contenuto in nitrati mentre i compost di sansa, in special modo quello verde, hanno ridotto l’assorbimento di nitrati in modo crescente al passare dalla dose 15 alla 30. Nel ciclo di rucola da novembre a maggio, la concentrazione di nitrati è risultata, in media, prossima ai limiti di legge (7000 mg kg ‐1 s.f.) che sono stati superati con la dose 15 di letame. Le concentrazioni relativamente più basse sono state registrate con i compost di sansa. Dopo un anno di coltivazione, con quattro colture e altrettanti cantieri di lavorazione del terreno, lo scarso contenuto iniziale (5,8 g kg‐1 p.s. suolo) in C organico totale del suolo non è stato modificato in modo significativo da nessuno degli ammendamenti effettuati, né sono state evidenziate differenze tra le parcelle ammendate e quelle controllo nel rilievo dell’aprile 2014. Le condizioni microclimatiche sotto serra e la frequenza delle lavorazioni del suolo hanno favorito la mineralizzazione quasi completa del C apportato con gli ammendanti. Queste prime indicazioni confermano che negli ambienti protetti dedicati alle colture per la IV gamma, appare difficile conciliare i protocolli produttivi applicati attualmente con gli apporti di sostanza organica volti al recupero di suoli con forte degrado della fertilità. _________________________________________________________________________________________________________
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Effetto della fertilizzazione e della gestione del suolo sull’emissione di gas ad effetto serra in una azienda zootecnica della pianura padana S. Amaducci1, A. Perego1, M. Chiazzese1, C. Chimento1, A. Finco2, G. Gerosa2 1 Istituto di Agronomia, Genetica e Colture Erbacee, UCSC, Piacenza, Italia, [email protected] 2 Dipartimento di Matematica e fisica, UCSC, Brescia, Italia Introduzione Il suolo agrario è interessato da flussi di gas serra, principalmente anidride carbonica (CO 2) e protossido di azoto (N2O), così come recentemente riportato dal rapporto IPPC (2013). Risulta quindi utile stimare i quantitativi di gas effettivamente emessi dai sistemi agricoli nelle diverse gestioni della fertilizzazione azotata, al fine di definire le migliori opzioni per una riduzione di tale fenomeno. Nell’ambito del progetto LIFE GASOFF realizzato in Pianura Padana, sono stati misurati i flussi di CO2 e N2O da suolo agrario al fine di stimare l’impatto in termini di “Global Warming Potential” relativo alla distribuzione di diversi fertilizzanti e alla lavorazione del terreno. Metodologia La sperimentazione, realizzata presso l’Azienda Tadini (Gariga di Podenzano, PC), ha avuto durata triennale (2011 ‐ 2013) ed ha interessato una successione colturale basata su specie da foraggio utilizzabili anche per la produzione di biogas: sorgo da fibra, loiessa, mais da foraggio, orzo e sorgo zuccherino. Sono stati misurati i flussi di CO2 e N2O emessi da parcelle sperimentali gestite secondo tecniche di lavorazione del suolo convenzionali (CVL) e conservative (CON) e sottoposte a diverse tipologie di concimazione. La sperimentazione è stata condotta secondo uno schema split‐plot con quattro repliche, in cui le due modalità di lavorazione (35 cm in CVL e 15 cm in CON) occupavano le parcelle principali e i quattro fertilizzanti (compost, digestato, liquame bovino, nitrato ammonico) le sub‐parcelle. I flussi sono stati misurati dal sistema SASSFlux, utilizzando un infrared gas analyzer e un rotative gas‐filter photometer per la misura rispettivamente di CO2 e N2O. È stato inoltre utilizzato il modello di simulazione SPACSYS (Wu et al., 2007) per la simulazione dei flussi di CO2 e N2O durante l’intero periodo di sperimentazione. L’affidabilità del modello è stata valutata sulla base del fitting tra dati simulati e quelli misurati in tre intervalli di tempo. Figura 1 ‐ Dati misurati (discontinui) e simulati (linea continua) di N‐N2O nella subparcella fertilizzata con nitrato ammonico in CVL. Le frecce indicano le epoche di concimazione (40 kg N ha ‐1). Risultati e Conclusioni In Tabella 1 sono riportati i valori stimati dei flussi cumulati nelle diverse combinazioni. I diversi fertilizzanti in CVL e CON hanno determinato emissioni significativamente differenti (p<0.05). La performance del modello SPACSYS è risultata maggiormente soddisfacente per le tesi CVL, di cui si riporta un esempio in Figura 1. l’indice di efficienza della modellizzazione (EF) indica che il modello non è stato in grado di simulare correttamente le emissioni di C‐ CO2 da compost, sovrastimando la velocità di decomposiione della matrice organica. Tabella 1. Stima dei flussi cumulati di CO2 e N2O nelle diverse combinazioni di gestione agronomica e relativo indice di efficienza (EF) tra i dati simulati e i dati misurati in tre intervalli di tempo durante la sperimentazione. kg C‐CO2 ha‐1 anno‐1 kg N‐N2O ha‐1 anno‐1 Fertilizzante CVL EF Compost 566 ‐8.12 Liquame Bovino 265 0.17 Digestato 242 0.05 Nitrato Ammonico 186 0.01 CON EF 611 ‐8.83 291 ‐0.55 267 ‐0.29 206 ‐0.04 CVL EF 15.4 ‐0.2 14.7 0.26 15.4 0.4 19.1 0.27 CON EF 15 0.36 14.8 ‐0.14 14.6 ‐1.31 19.5 ‐0.27 Bibliografia Wu L., McGechan M.B., McRoberts N., Baddeley J.A., Watson C.A., 2007. SPACSYS: integration of a 3D root architecture componen t to carbon, nitrogen and water cycling—model description . Ecological Modelling 200:343‐359. _________________________________________________________________________________________________________
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Exploration of Conditions for the Adoption Of No‐Tillage Agriculture Via Bayesian Network Modeling. A Case Study From The Chaouia‐Ouardigha Region, Morocco. L. Bonzanigo1,2 , C. Giuppon1,2 1 Centro Euro‐Mediterraneo Sui Cambiamenti Climatici, Isola di San Giorgio Maggiore 8, 30140 Venezia, Italia 2 Dipartimento di Economia, Universita’ Ca’ Foscari di Venezia, Cannaregio 873, 30121 Venezia, Italia Introduction Research in the Chaouia‐Ouardigha Region, Morocco, proves that under optimal conditions no‐tillage agricolture increases yields, reduces labour requirements and erosion, and improves soil fertility. However, after nearly two decades of demonstration and advocacy, adoption in the areas and globally is still limited [?]. The main constraints seem to be the unavailability of no‐tillage seeding machine, lack of knowledge, availability of inputs and appropriate incentives for the rotation necessary for no‐tillage (cereal‐legumes, to control weeds), and residue management. However, a comprehensive and quantitative assessment of the pre‐conditions for adoption for different typologies of local farms does not yet exist. We measure the possible pathways of adoption and the sustainability of no‐tillage in the area via a Bayesian Decision Networks (BDNs) . We use BDN for the probabilistic assessment of the influence of different elements on the decision to adopt no‐tillage practices. Methodology No tillage agriculture rests on three principles. These are: (1) minimum or no mechanical soil disturbance; (2) permanent organic soil cover (consisting of a growing crop or a dead mulch of crop residues); and (3) diversified crop rotations [?]. We measured the possible pathways of adoption via a BDN. BDNs allow the inclusion of stakeholders knowledge whilst at the same time they are supported by a robust mathematical background [?]. We first developed a conceptual map of the elements affecting the decision about tillage, which we refined in a local workshop with farmers and researchers. We then translated the conceptual map into a BDN. The BDN contains physical (i.e., soil and climate), technical (i.e. availability of inputs), and macro‐drivers (i.e. subsidies and market conditions). Moreover, it differentiates between different typologies of farmers and farm management. Finally, we involved experts in the elicitation of conditional probabilities tables, to quantify the cascade of causal links that determine (or not) the adoption. Via BDNs, we could categorize under which specific technical and socio‐ economic conditions no‐tillage agriculture is best suited to which farmers. Results and Conclusions Our BDN model is an innovative approach to measure the sustainability and suitability of local agriculture to no‐ tillage. It simulates the strategic decision of the farmer to change his/her farm management. Overall, the main output of our simulations is that the socio‐economic signals cover the physical ones and climate change. Given the availability of the required inputs, no‐tillage agriculture is an effective way to buffer the adverse impacts of climate change. Under current policy and access to inputs, small farmers (less than 5ha) may not be able to adopt no‐tillage. However, with sub‐optimal access to machinery and availability of fertiliser and pesticides, they may begin to adopt it even under unfavourable market conditions ‐ which imply no or little rent from legumes and high wheat prices. Instead, a minority of large farmers (more than 20ha) is already adopting no‐tillage. However, for the vast majority, the technical conditions remain unsuitable for the adoption. The model suggests that even for this group, policy‐makers should improve access to the seeder, which would per se already double the rates of adoption of large farmers. However, for them, only an optimal level of access to it may incentivise adoption. The above are preliminary results. Yet we, by identifying the main constraints and running sensitivity analysis, were able to convey clear messages on how policy‐makers may facilitate the conversion. As new evidences are collected, the BDN will be updated to obtain evidences more targeted and fine tuned to adoption contexts. Bibliografia [1] Mohamed Boughala and Rachid Dahan. An economic comparison between conventional and no‐tillage farming systems in morocco.Technical report, INRA Settat, 2011. [2] Marta Carpani and Carlo Giupponi. Construction of a bayesian network for the assessment of agri ‐environmental measures the case study of the venice lagoon watershed. Italian Journal of Agronomy, 5(3):265–274, 2010. [3] Ken E. Giller, Ernst Witter, Marc Corbeels, and Pablo Tittonell. Conservation agriculture and smallholder farming in africa: The heretics’ view. Field Crops Research, 114(1):23–34, October 2009. _________________________________________________________________________________________________________
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La valutazione della sostenibilità delle filiere agroalimentari: dall'analisi LCA alla comunicazione al consumatore S. Bosco1, R. Villani1, G. Ragaglini1, G. Olivieri2, F. Falcone2, L. Rocchi3, F. Rossi3, T. De Filippis3, G. Garcea4, F. Piva4, A. Luisi5, G. Legnani5, R. De Natale5 1 Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant'Anna LCA‐Lab, Laboratorio di Ricerca e Consulenza Ambientale 3 Istituto di Biometeorologia, CNR 4 CCPB srl 5 Direzione Comunicazione e Sviluppo Sostenibile Auchan 2 Introduzione Negli ultimi anni, numerose iniziative sono state promosse da enti di ricerca e da aziende della grande distribuzione, sia a livello europeo che italiano, per fornire al consumatore le informazioni sulle prestazioni ambientali dei prodotti alimentari. La qualità dei dati utilizzati, la correttezza scientifica delle metodologie adottate e la trasparenza nella comunicazione dei risultati sono requisiti fondamentali per questa tipologia di indagine al fine di raggiungere il consumatore. A tal fine, un progetto iniziato nel 2012 ha permesso di studiare nel dettaglio alcune filiere agroalimentari, secondo un approccio già utilizzato per la tracciabilità agroalimentare, dalla fase di coltivazione fino alla vendita, adottando un approccio specifico per le filiere agro‐alimentari. La filiera sulla quale è stata testata la metodologia è quella delle carote confezionate per la commercializzazione fresca. Metodologia Lo studio ha previsto una fase di raccolta dei dati costituita da questionari modulari sulla diverse fasi della filiera e la scelta di tre indicatori, ritenuti i più idonei per definire l'impatto ambientale di un prodotto agroalimentare: il consumo idrico (m3), le emissioni di gas serra (kg CO2 eq.) e l'uso di suolo (m2/anno). Gli indicatori di performance ambientale della filiera sono stati calcolati applicando la metodologia LCA (Life Cycle Assessment) o analisi del ciclo di vita dei processi produttivi. Il Life Cycle Assessment è un procedimento oggettivo di valutazione di carichi energetici ed ambientali relativi ad un processo o un'attività, effettuato attraverso l'identificazione dell'energia e dei materiali usati e dei rifiuti rilasciati nell'ambiente. L’analisi include l'intero ciclo di vita della vaschetta contenente 1 kg di carote (unità funzionale, UF), dalla coltivazione, alla selezione e confezionamento, fino al trasporto alla piattaforma di distribuzione e al trasporto al punto vendita. Per migliorare la comunicazione della performance ambientale del prodotto al consumatore è stata sviluppata una apposita applicazione per smartphone. Risultati e Conclusioni L'impatto totale riscontrato è di 0.34 kg CO2eq/UF, 588 L/UF, 0.16 m2/UF. I risultati dell'analisi LCA della filiera delle carote confezionate ha evidenziato un concentramento degli impatti nelle fasi di selezione e confezionamento per quanto riguarda le emissioni di CO2 e i consumi idrici dovuti al consumo di energia elettrica, mentre la fase agricola risulta la più rilevante nel caso dell'uso del suolo. Nel corso del 2013 la sperimentazione tramite app è stata avviata in fase di test per la filiera della carota, con un’apposita comunicazione all’interno di un ipermercato per valutare la sensibilità del consumatore alla tematica. La maggiore richiesta da parte dei consumatori di informazioni riguardanti la sostenibilità ambientale dei prodotti potrebbe contribuire alla riduzione degli impatti legati al consumo di risorse e alle emissioni nell'ambiente delle filiere agroalimentari. _________________________________________________________________________________________________________
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Monitoring and mitigation of N2O emissions from Tuscany agriculture: the LIFE+IPNOA project S. Bosco1, I. Volpi1, F. Triana1, N. Roncucci1, N. Nassi o Di Nasso1, C. Tozzini1, R. Villani1, S. Neri2, F. Mattei2, G. Virgili2, P. Laville3, S. Nuvoli4, L. Fabbrini4, E. Bonari1 1 Istituto di scienze della Vita, Scuola Superiore Sant'Anna 2 West Systems s.r.l. 3 INRA UMR "Environnement et Grandes Cultures" 4 D.G."Competitività del Sistema Regionale e Sviluppo delle Competenze", Regione Toscana Introduction Agricultural activities are co‐responsible for the three most important greenhouse gases: carbon dioxide (CO2), methane (CH4) and nitrous oxide (N2O). Besides, the agricultural sector accounts for around 70% of N 2O emissions at national level. N2O emissions have been shown to respond to agricultural management practices such as application of N fertilizer, tillage, irrigation and their relative importance varies in space and time due to influences of site‐specific factors such as crop type, soil organic carbon (SOC) content and soil texture. However, the monitoring of N2O emissions presents some difficulties due both to the wide temporal and spatial variability and to the different methodology of chamber measurement. Until recently, soil N 2O fluxes have been measured based on static chambers and analyzing air samples on a gas chromatograph (CG). Detecting small changes of N2O concentration is difficult with a CG, and thus in many cases, the analysis of gas concentrations has been the largest source of error in soil N2O flux estimations. Recently N2O LASER instrumentation has become available practically eliminating this problem of random error when estimating the flux for a single chamber. The LIFE+IPNOA (LIFE/11 ENV/IT/302, www.ipnoa.eu) project aims to improve the monitoring of emissions of this gas from agricultural soils and to identify the agricultural practices that can help in reducing N2O production. Methodology A mobile and a fixed instrument have been realized and validated in order to improve the GHG flux monitoring from cropland. The mobile prototype is equipped with a LGR N2O/CO detector for N2O, and a LGR CO2/CH4 Ultraportable detctor, a probe for soil moisture and temperature linked by Bluetooth connection. The fix station is equipped with a Thermo 46i for N2O emissions. The chamber is a flow‐through non‐steady state of 10 cm height and a diameter of 30 cm. Experimental field trials have been set up in two sites on the most representative crops of Tuscany (Central Italy): durum wheat, clover and faba bean for the winter crops and maize , sunflower, tomato for the summer crops. The two sites are: CIRAA,Centre for Agro‐Environmental Research ”E. Avanzi” located in San Piero a Grado (Pisa) and CATES, Centre for Agricultural Technologies and Extension Services located in Cesa, (Arezzo). The field trials have been realized in order to test the effect on N 2O emissions of different tillage options, nitrogen fertilizer levels and irrigation. The monitoring started in November 2013 on durum wheat in both sites and will last until October 2015. A monitoring protocol has been elaborated, flux samples have been taken every 15 days, and intensified up to two samplings per week for two/three consecutive weeks depending on meteorological conditions after nitrogen fertilization events. Results and Conclusions For the growing season 2013‐2014, we present preliminary results on N2O fluxes of durum wheat cultivated at CIRAA under different soils, tillage practices and nitrogen fertilization intensities. Daily flux from November 2013 to July 2014 and the cumulated emissions are showed. In order to have the cumulative annual budget for each GHG, the whole year will be monitored, thus including both the cropped and the fallow periods. _________________________________________________________________________________________________________
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Emissione di CO2 dal terreno in condizioni ambientali ed agronomiche diversificate P. Guarnaccia, V. Copani, G. Testa, P. Caruso DISPA, Università degli Studi di Catania, via Valdisavoia, 5, 95123 Catania Introduzione La respirazione del terreno varia in funzione di diversi parametri quali la presenza di radici vitali, il contenuto di sostanza organica, il contenuto idrico e la temperatura del terreno. In letteratura, le stime sul rilascio di CO 2 dal terreno presentano un’ampia variabilità ed inoltre sono spesso riferite ad ambienti differenti dal nostro. Al fine di conoscere i tassi di respirazione del terreno e le relazioni esistenti con i sopracitati fattori ambientali e tecnici, è stata condotta un’indagine territoriale in aree individuate in base alla loro rappresentatività rispetto ai sistemi colturali tipici dell’agricoltura siciliana. Metodologia Il tasso di respirazione del terreno è stato misurato in 9 località della Sicilia orientale con un altitudine compresa tra i 10 e i 1280 m slm in condizioni ambientali differenti per latitudine, altitudine e caratteristiche del terreno e situazioni agronomiche diversificate in funzione del tipo di coltura, della precessione colturale, delle lavorazioni effettuate, del contenuto idrico e di sostanza organica del terreno. I rilievi sulla respira zione del terreno sono stati eseguiti utilizzando una camera in alluminio con una lunghezza di 63,5 cm, una larghezza di 52 cm ed un altezza di 20,5 cm, collegata ad un analizzatore portatile di gas all'infrarosso (LI‐6200, LI‐COR, Lincoln, Nebraska, USA) predisposto per effettuare una lettura ogni 3 secondi durante un periodo di tempo fissato pari a 20 secondi. Il rilievo veniva ripetuto per 5 volte. Il tasso di scambio di CO2 dal terreno è stato calcolato in accordo con Guarnaccia et al. (1993). In corrispondenza di ogni rilievo del tasso di emissione di CO 2, oltre alle misurazioni effettuate in campo riguardanti la temperatura, il contenuto di umidità e la densità apparente, sono stati prelevati alcuni campioni di terreno per realizzare una serie di analisi di laboratorio su alcune caratteristiche chimiche e fisiche del terreno. Risultati e Conclusioni Un totale di 53 rilievi è stato effettuato in un periodo di tempo compreso tra i mesi di giugno e settembre. Per assicurare condizioni di temperatura del terreno relativamente costanti, i rilievi sono stati condotti nelle ore centrali della giornata. Essi hanno riguardato diverse situazioni colturali comprendenti terreni nudi interessati o meno dalle lavorazioni, o colture in atto quali cereali (frumento, orzo), leguminose (cece, fava), ortive (melanzana, pomodoro, peperone), foraggere (erba medica, trifoglio, festuca, Phalaris, Lotus c.), colture da biomassa per energia (sorgo, kenaf) ed industriali (colza, girasole). La respirazione del terreno ha avuto, nella media di tutti i rilievi, un valore pari a 4,39 µmoli di CO 2 m‐2 s‐1, oscillando da un valore minimo di 0,16 µmoli di CO2 m‐2 s‐1 ad un valore massimo di 25,80 µmoli di CO2 m‐2 s‐1. Dall'osservazione dei dati appare evidente come il tasso di respirazione sia fortemente influenzato dalle caratteristiche fisico‐ chimiche del terreno e dallo stato colturale. Dalla suddivisione in quattro gruppi dei diversi rilievi effettuati, è emerso che, in media, i valori più elevati sono stati registrati nel caso di terreni nudi ed irrigati dove la respirazione era pari a circa 8 µmoli di CO2 m‐2 s‐1. Valori lievemente inferiori (circa 6 µmoli di CO2 m‐2 s‐1) sono stati registrati nel caso di terreni coperti, mentre i valori minimi sono stati osservati nel caso di terre ni nudi e asciutti, con valori influenzati dall'effetto delle lavorazioni (2,7 ed 1,6 µmoli di CO2 m‐2 s‐1, rispettivamente nei terreni sodi e lavorati). Al fine di analizzare l'effetto del tipo di copertura vegetale sul tasso di respirazione del terreno, si è proceduto ad una suddivisione dei dati rilevati in presenza di colture in tre gruppi distinti. I valori più alti sono stati rilevati nel caso di colture a ciclo primaverile‐estivo (8 µmoli di CO2 m‐2 s‐1), seguite dalle colture foraggere (6,24 µmoli di CO2 m‐2 s‐1) e dalle colture autunno‐vernine (4,3µmoli di CO2 m‐2 s‐1). Le differenze riscontrate, peraltro significative, sembrano però dipendere più che da un effetto diretto delle colture stesse, dalle condizioni di tipo agronomico correlate alle diverse classi di colture, ed in particolare, dalle differenze di contenuto idrico del terreno tra le colture irrigate ed asciutte e da un maggiore contenuto di sostanza organica nel terreno in presenza di colture foraggere. Bibliografia Guarnaccia P., Hsiao T.C. and Matista A., 1993. Measuring photosynthesis and respiration of reproductive organs of field grown maize (Zea mays L.). Riv. di Agron. 27, 4, 382‐391. _________________________________________________________________________________________________________
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Valutazione delle emissioni di CO2 da suolo agrario a seguito dello spandimento della frazione fluida di digestato C. Maucieri, M. Borin Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse Naturali e Ambiente – Università di Padova – Viale dell’Università, 16 – 3520 Legnaro (PD), [email protected] Introduzione Negli ultimi anni si è assistito ad un rapido incremento del numero di impianti di biogas in Italia passando dai 157 attivi nel 2007 ai 994 attivi nel 2012. Sebbene questi impianti siano una fonte di e nergia rinnovabile, determinano un’elevata produzione di digestato fluido in uscita dal sistema. Lo spandimento di digestato sul suolo agrario, considerato il suo elevato contenuto organico e di nutrienti, oltre a fornire un effetto fertilizzante per le piante fornisce substrato per le popolazioni microbiche del suolo che con la loro respirazione contribuiscono alle emissioni in atmosfera di CO2. Al fine di determinare le migliori condizioni per la riduzione delle perdite di CO 2 dal suolo dopo lo spandimento il presente studio ha valutato l’effetto dello spandimento a getto in superficie di digestato durante il periodo primaverile (pre‐semina) su: 1) suoli con differente tessitura; 2) suolo franco‐argilloso gestito con differenti lavorazioni preparatorie. Metodologia La sperimentazione, in pieno campo, è stata condotta in due aziende agricole site nei comuni di Bovolenta e Terrassa Padovana (PD). In entrambe le aziende il digestato fluido è stato distribuito in quantità pari ad un apporto di 170 kg ha‐1 di azoto. Presso la prima azienda in 4 parcelle di circa 800 m‐2 replicate due volte è stato posto allo studio l’effetto della tessitura confrontando le emissioni CO 2 da suolo franco‐sabbioso e franco‐argilloso con o senza distribuzione di digestato. Presso la seconda azienda con lo stesso schema sperimentale è stato posto allo studio invece l’effetto di differenti lavorazioni preparatorie, aratura o rippatura, in un suolo franco‐argilloso sulle emissioni di CO2. La distribuzione del digestato è stata effettuata in entrambe le aziende con tre interventi in due ore. Le emissioni di CO2, determinate in due punti per ogni parcella per 15 giorni dallo spandimento, sono state monitorate impiegando una camera statica non stazionaria in acciaio del volume di 5 L collegata a un analizzatore portatile ad infrarosso. In ogni punto di misura sono state inoltre rilevate la temperatura e l’umidità del suolo. Risultati e Conclusioni I risultati mostrano, in tutte le tesi allo studio, un picco di emissione subito dopo lo spandimento, con flussi significativamente superiori al testimone anche nelle 24 ore successive. Dal secondo giorno dopo lo spandimento non sono state monitorate invece emissioni significativamente differenti confermando, in accordo con altri autori, che l’effetto sull’emissione di gas serra si esplica solo nelle prime ore successive alla distribuzione. Presso la prima azienda, nelle prime 24 ore dallo spandimento: 1) il suolo franco‐sabbioso oggetto di spandimento ha emesso 14,80 ± 9,46 g m‐2 h‐1 mentre senza distribuzione sono state monitorate emissioni di 2,66 ± 0,88 g m‐2 h‐1; 2) il suolo franco‐argilloso ha invece emesso rispettivamente con o senza distribuzione 3,88 ± 2,89 e 0,53 ± 0,30 g m ‐2 h‐1. Seppur con valori assoluti differenti gli incrementi di respirazione a seguito della distribuzione di digestato sono confrontabili tra le due tessiture. Per il restante periodo di monitoraggio le emissioni sono state invece per il suolo franco‐sabbioso rispettivamente di 1,45 ± 1,09 e 0,74 ± 0,44 g m ‐2 h‐1 con o senza digestato mentre nello stesso ordine di 0,31 ± 0,28 e 0,16 ± 0,10 g m‐2 h‐1 per il suolo franco‐argilloso. Le lavorazioni preparatorie del suolo non hanno mostrato un effetto significativo sul tasso di respirazione del suolo con emissioni medie a seguito dello spandimento di 1,03 ± 1,98 e 1,12 ± 2,36 g m ‐2 h‐1 rispettivamente per il suolo lavorato con rippatura o aratura. In assenza di digestato invece le emissioni medie per il suolo gestito con rippatura o aratura erano rispettivamente di 0,11 ± 0,10 e 0,09 ± 0,11 g m‐2 h‐1. In entrambe le aziende le emissioni sono risultate positivamente correlate all’umidità del suolo mentre nessuna correlazione è stata trovata con la temperatura. I dati ottenuti, seppur preliminari e quindi necessari di ulteriori approfondimenti, indicano come suoli da preferire per lo spandimento di digestato al fine di ridurre le emissione di CO 2 quelli con tessitura franco‐argillosa mentre le lavorazioni preparatorie non possono essere usate come variabile per ridurre le emissioni. Ringraziamenti La ricerca è stata realizzata all’interno del Progetto “Valorizzazione del digestato per la riduzione delle perdite di CO 2” DGR n°1604 del 31/07/2012 finanziato dal PSR della Regione Veneto (2007‐2014) misura 124. _________________________________________________________________________________________________________
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Simulazione di flussi di carbonio da ecosistemi pratensi: applicazione del modello colturale ARMOSA al sito di Laqueuille (Francia) A. Perego1, M. Sanna2, G. Bellocchi3, M. Acutis2 1 Istituto di Agronomia, Genetica e Colture Erbacee, UCSC, Piacenza, Italia, [email protected] 2 Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, UNIMI, Milano, Italia 3 INRA, Grassland Ecosystems Research Unit, Clermont‐Ferrand, Francia Introduzione Nelle aree di montagna i prati e i pascoli rappresentano gli unici sistemi produttivi che assicurino la continuità nella produzione di foraggio, nella fornitura di servizi ecosistemici e nella gestione del paesaggio. Nell’ipotesi di un considerevole aumento della concentrazione atmosferica di CO2, i prati e i pascoli permanenti potranno svolgere un ruolo ancor più rilevante nella carbon sequestration. In quest’ottica è stato realizzato il progetto europeo MACSUR FACCE. In particolare, nell’ambito della tematica LIVEM, è stata condotta un’analisi con il modello di simulazione di sistemi colturali ARMOSA (Perego et al., 2013), utilizzando l’ampio set di dati giornalieri misurati dal 2004 al 2007 in un pascolo permanente, fertilizzato con bassi carichi di concimi azotati (30‐60 kg N ha‐1anno‐1), presso la località di Laqueuille (1040 m s.l.m), nel Massiccio Centrale francese. L’obiettivo è stato la valutazione della performance del modello nel simulare i flussi di carbonio e quindi la sua attendibilità nella stima della carbon sequestration nel sistema suolo‐pianta. Metodologia È stata eseguita la calibrazione sui dati giornalieri delle variabili relative ai processi a carico del carbonio, sulla base delle seguenti variabili: net ecosystem exchange (NEE, g C m‐2), inteso come flusso netto di C‐CO2 dal sistema suolo‐ pianta‐animale (valori negativi indicano carbon sequestration da parte del sistema); quantitativo lordo di carbonio organicato dalla pianta attraverso il processo fotosintetico (GPP, g C m ‐2); flusso di carbonio emesso dal sistema suolo‐pianta‐animale (R, g C m‐2); evapotraspirazione reale (ET, mm); contenuto idrico (SWC, m3 m‐3) e temperatura del suolo (Tsoil, °C) del primo strato di 10 cm. Le specie presenti nella composizione appartengono prevalentemente alla famiglia delle Poaceae e sono Alopecurus pratensis L., Dactylis glomerata L. e Phleum pratense. A tal proposito, si è scelto di calibrare un’unica coltura che riproducesse al meglio l’ensamble di queste tre specie. Il modello ARMOSA simula i processi di mineralizzazione delle diverse componenti della sostanza organica, considerando le singole deposizioni di residui vegetali come pool indipendenti. Risultati e Conclusioni Pur avendo agito su un numero ridotto di parametri (8, di cui 2 parametri della curva di ritenzione idrica del suolo, il coefficiente colturale massimo per il calcolo di ET, le 2 temperature cardinali per la crescita vegeta tiva, il tasso di assorbimento massimo potenziale di C, 2 tassi di mineralizzazione di radici e foglie), è stato possibile ottenere un buon fitting tra i dati osservati e ei dati simulati, così come indicato dagli indici riportati in Tabella 1. Ciò indica che i processi legati al C implementati nel modello sono in grado di rappresentare il sistema correttamente e quindi dare una stima coerente delle emissioni di CO2 e della carbon sequestration operata dai prati. Il flusso netto è l’unica variabile per cui si è ottenuto un indice di efficienza non soddisfacente (EF=‐0.79); ciò è dovuto ad una lieve sottostima del C mineralizzato a partire dai residui radicali. Il modello ARMOSA è quindi apparso applicabile ai pascoli permanenti per stimare la quantità di C potenzialmente immagazzinabile nel sistema suolo‐pianta‐animale. Altre analisi sono in corso su una varietà di siti europei. Tabella 1 ‐ Indici di fitting tra i dati osservati e simulati dal modello ARMOSA. Variabile Min Max Best NEE GPP R ET SWC T soil EF ‐inf. 1.00 1.00 ‐0.79 0.42 0.50 0.54 0.92 0.87 CRM ‐inf. +inf. 0.00 0.22 0.05 0.05 ‐0.07 0.02 0.08 CD 0.00 +inf. 1.00 0.52 0.76 1.21 1.33 1.15 1.51 2
b R ‐inf. ‐inf. +inf. +inf. 1.00 1.00 0.56 0.16 0.87 0.58 0.67 0.54 0.64 0.56 0.90 0.92 0.77 0.90 Sig. Media Osservati Media Simulati 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 0.00 ‐0.83 4.26 3.51 1.60 0.28 7.69 ‐0.65 4.03 3.32 1.71 0.28 7.09 Bibliografia Perego A., Giussani A., Sanna M., Fumagalli M., Carozzi M., Alfieri L., Brenna S., Acutis., 2013. The A RMOSA simulation crop model: overall features, calibration and validation results. Italian Journal of Agrometeorology 3:23 ‐38 _________________________________________________________________________________________________________
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Perennial forage cover as soil conservation measure: a case study in southern Tuscany C. Vallebona, E. Pellegrino, A. Mantino, E. Bonari Land Lab, Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’ Anna Introduction Signals of increasing storm frequency and/or intensity are recently being detected in Mediterranean areas [1]. This is potentially associated to an increased rainfall erosivity and a soil degradation risk through water erosion. Preserving soils has been identified as a major challenge in ensuring sustainable agriculture for years to come. Soil erosion usually occurs when high‐erosive precipitation coincides with poor vegetation cover and density. Therefore, spatial and temporal distributions of precipitation erosivity in relation to vegetation cover dynamics play an important role as determinant of soil erosion risk. The aim of this study was to assess the patterns of soil erosion risk in the arable lands of the Grosseto Province and to explore the potential response of the erosion risk to changes in land‐use. Materials and methods Winter cereal, industrial crops and maize‐based cropping systems mainly characterize the coastal part of the study area, whereas extensive grazing systems, mainly based on cold season annual grasses and legumes, are found in the inland areas [2]. Perennial forage species only cover the minor part of the area. We defined two land‐use change scenarios of enhanced perennial forage cultivation (20% and 35% of the total arable land, S20 and S35 respectively) in replacement of annual cultivation, starting from the current cropping systems. The current cultivation data were obtained from the ISTAT “6° Censimento agricoltura 2010” at a municipal spatial resolution [3]. Regarding the scenarios design, we hypothesized that the changes to perennial forage species will be covered at first from annual forage crop areas (till half of their actual surface), and then for the remaining part, from the area devoted to annual crops. The soil erosion risk under those scenarios was evaluated making use of geo‐processing applications, according to the USLE model [4,5,6]. In particular, USLE C‐factor was estimated for the arable land at a municipal spatial resolution, on the basis of the local cropping management systems and the rainfall regime, calculated as the mean annual cumulative of single‐storm erosion index values [7,8,5]. This index was calculated using 1989‐2010 60‐min rainfall intensities from 23 rainfall gauges located on the Grosseto belonging to the network of the Tuscany Region. Results and Conclusions The analysis highlighted the patterns of potential erosion risk reduction due to the increased protection against erosion processes provided by perennial species. The application of the model pointed out that the risk of soil loss by water erosion is reduced on average by 19% and 38% in the transition from the current situation to the scenario S20 and from the current situation to the scenario S35, respectively. Indeed, the perennial crops provide greate r coverage, compared to typical annual crops of the study area, in correspondence of the period of maximum erosivity of rain. Moreover, the introduction of perennial crops also determines a significant reduction of the risk of organic matter loss [2]. Bibliografia 1. Vallebona C., Pellegrino E., Frumento P., Bonari E.. Temporal trends in extreme rainfall intensity and erosivity in the Mediterranean region: a case study in southern Tuscany, Italy. Accpeted by Climatic Change. 2. Marraccini E., Debolini M., Di Bene C., Rapey H., Bonari E. (2012). Factors affecting soil organic matter conservation in Mediterranean hillside winter cereals‐legumes cropping systems. Italian Journal of Agronomy 7, 283 ‐292. 3. http://www.istat.it/it/censimento‐agricoltura/agricoltura‐2010. 4. Renard K. G., Foster G. R., Weesies G. A., McCool D. K.,Yoder, D. C. (1997) Predicting soil erosion by water: a guide to conservation planning with the Revised Universal Soil Loss Equation (RUSLE). Agriculture Handbook 703. United States Department of Agriculture (USDA), Washington D.C., United States of America. 5. Wischmeier, W.H., Smith, D.D. (1978). Predicting rainfall erosion losses, a guide to conservation planning. United States Department of Agriculture (USDA) Agriculture Handbook 537. 6. Bonari E. and Debolini M. (2010). Agricoltura ed erosione del suolo in Toscana. Felici Editore, Pisa. 7. Bazzoffi P. (2007). Erosione del suolo e sviluppo rurale. Fondamenti e manualistica per la valutazione agro‐ambientale. Bologna: Edagricole. 8. Giordani C. and Zanchi C. (1995). Elementi di conservazione del suolo. Scienza e tecniche delle produzioni vegetali (Volume 10). Pàtron Editore, Bologna. _________________________________________________________________________________________________________
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Analisi della filiera per l’impiego ad uso energetico in impianti di digestione anaerobica del tutolo, un sottoprodotto del mais da granella M. Blandino1, C. Fabbri2, C. Ferrero3, A. Reyneri1 1 Università di Torino DISAFA, 2 CRPA spa, 3 CAPAC Soc. Coop. Agr. Introduzione Nella tradizionale trebbiatura del mais, il tutolo della spiga viene lasciato in campo con gli stocchi. Nell’ambito del progetto ENERCOB è stata valutata la possibilità di recupero del tutolo nel mais granella, per l’impiego nella filiera energetica in impianti di digestione anaerobica Ciò si è reso possibile con la realizzazione di un’attrezzatura idonea alla separazione e allo sminuzzamento dei tutoli simultaneamente alla trebbiatura de lla granella. L’obiettivo del lavoro è quello di valutare la sostenibilità tecnica, ambientale ed economica dell’impiego energetico del tutolo di mais. . Metodologia Nel corso della campagna agraria 2012 sono stati raccolti 1044 campioni di spighe di mais , in campi sperimentali in differenti condizioni ambientali e agronomiche in Piemont e verificata l’operatività della separazione meccanica . Sono state realizzate prove di conservazione del tutolo, tramite insilamento in purezza e in miscela con silomais, in trincee, silobags e rotoballe fasciate. I campioni di tutolo fresco e conservato sono stati analizzati per la composizione e per il potenziale metanigeno (test BMP). Infine è stato condotto uno studio su scala reale utilizzandoo il tutolo fresco e conservato (8 t d‐1 t.q.) in 2 impianti di digestione anaerobica da 1 MWe confrontando contemporaneamente una miscela di alimentazione con o senza tutolo. Risultati e Conclusioni La produzione di tutolo trinciato è risultata in media di 1.6±0.4 t/ha con un contenuto di solidi totali di circa il 60%. La densità del prodotto è prossima a 0.23 t/m3; ciò impone di mettere a punto un cantiere per minimizzare i trasporti. La sperimentazione ha messo in evidenza un’elevata capacità di conservazione dei tutoli sia in miscela sia in purezza, conseguente al contenuto elevato in fibre e basso in proteine tale da mantenere inalterate le caratteristiche nutritive. L’analisi di tutoli prelevati in diversi contesti ambientali ed agronomici ha evidenziato una ridotta influen za dalle condizioni di coltivazione sia in termini produttivi, sia di composizione Le pratiche colturali che possono modificare maggiormente la resa in tutoli sono state l’investimento colturale e l’eventuale manifestarsi di stress nutrizionali. Il tutolo, costituito essenzialmente da emicellulose e cellulosa (la fibra nel complesso è oltre il 85% della s.s.), con basse percentuali di lignina (<16%) e ceneri (< 2%), si dimostra un materiale dotato di un ottimo potenziale energetico, con vantaggi nel caso di impiego in impianti di digestione anaerobica connessi al modesto tenore in azoto (< 0.5%) e alla riduzione dei volumi del digestato grazie all’elevato tenore in sostanza secca. La produzione di metano è risultata compresa fra 250±20 Nm3metano/tSV, nel caso del tutolo fresco, e 284±24 Nm3metano/tSV con il tutolo insilato. Pertanto dal confronto tra i 2 impianti si è evidenziato un grado di sostituzione del silomais con un rapporto di 1:1.3‐1.5 senza problematiche di rilievo, sia con l’impiego del tutolo fresco, sia insilato. Sotto il profilo dei benefici ambientali, l’analisi del bilancio della CO 2 ed energetica ha evidenziato che la filiera a tutolo fresco è risultata la più virtuosa consentendo di ridurre il bilancio energetico del 44,1% e il bilancio della CO2 del 64,5% rispetto al tradizionale impiego del solo rispetto alla filiera a solo mais trinciato. Anche la filiera a tutolo co‐insilato o insilato in purezza permette di raggiungere benefici positivi (‐30.4% per il bilancio energetico e ‐60.2% per il bilancio della CO2). Solo l’insilato del tutolo in rotoballe fasciate ha un bilancio energetico negativo a causa del dispendio legato alla produzione del film di polietilene.Dall’analisi dei costi di produzione del tutolo di mais, infine, è emerso che lo sfruttamento del tutolo di mais ha un costo di produzione, tutto compreso e rapportato al metano ricavabile dalla conversione biologica, pari o leggermente superiore a quello del silomais (+1,6%). Progetto di ricerca “Sviluppo di una nuova filiera di recupero di sottoprodotti della produzione cerealicola a fini energetici – ENERCOB”, Iniziativa svolta e finanziata nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale F.E.A.S.R. 2007/2013 Sfide “Health Check” della Regione Piemonte. _________________________________________________________________________________________________________
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Produttività della barbabietola da zucchero per energia irrigato con acque reflue P. Campi1, A. Navarro1, A.D. Palumbo1, M. Solimando2, C. Vitti1, M. Mastrorilli1 1 Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura – Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo‐aridi, Bari, IT 2 Consorzio per la bonifica in Capitanata, Foggia, IT Introduzione La produzione di biogas con la digestione anaerobica è considerata una tecnologia matura. Le aziende agricole, orientate verso la multifunzionalità, possono diversificare le loro produzioni fino a comprendere il biogas. La barbabietola da zucchero (Beta vulgaris var. saccarifera) sta assumendo in Italia un rinnovato interesse proprio perché è una possibile biomassa da destinare ai digestori anaerobici. La ripresa dell a coltivazione della bietola, seppure come coltura da energia, potrebbe ridare ai sistemi colturali degli ambienti meridionali il ritmo che era andato perduto con la crisi della bieticoltura e che preveda la successione di cereali e colture da rinnovo. In questi ambienti la barbabietola è coltivata in irriguo, per cui sorgono dubbi sulla sua economicità. Se si sostituissero le risorse idriche di buona qualità con le acque reflue, la coltivazione della barbabietola per energia potrebbe essere sostenibile. La valutazione di questa ipotesi è l’obiettivo di questo lavoro di ricerca. Metodologia Le prove sperimentali sono state eseguite durante il 2013 presso una azienda privata localizzata a Trinitapoli (lat: 41°21’, long: 16° 03’, alt: 0 m s.l.m), nei pressi di un impianto di depurazione che ha fornito le acque reflue durante la campagna sperimentale. E’ stata considerata la cultivar ‘Autave’, coltivata con ridotti input energetici (100 kg ha ‐1 di N e sarchiatura superficiale). Un dispositivo sperimentale ‘strip‐plot’, ripetuto tre volte, è stato utilizzato per confrontare quattro trattamenti irrigui:  acqua convenzionale ‐ restituzione del 100% (AC100) e del 50% (AC50) dell’acqua persa per evapotraspirazione;  acqua reflua ‐ derivata da affinamento (AF) e da trattamento secondario (AS), entrambi con restituzione del 100% dell’acqua persa per evapotraspirazione. Durante la stagione di crescita della coltura è stato monitorato l’andamento dello s viluppo della coltura (biomassa) e il contenuto idrico del terreno. Risultati e Conclusioni I rilevati condotti durante la stagione di crescita hanno mostrato che i diversi trattamenti irrigui hanno avuto effetti significativi sui sullo sviluppo della coltura. Un maggiore accrescimento è stato osservato in barbabietola irrigata con acque reflue a partire dal mese di giugno, in corrispondenza della fase di maggiore ingrossamento del fittone. L’irrigazione con acque reflue affinate (AF) e secondarie (AS) determina produzioni di 26,5 e 28,9 t ha ‐1, rispettivamente. Le rese areiche risultano significativamente più elevate rispetto alla irrigazione con l’acqua convenzionale (23,1 t ha‐1). Il trattamento che prevedeva la restituzione del 50% dei fabbisogni irrigui (AC50) è stato caratterizzato da produzioni inferiori (11,6 t ha‐1). La migliore risposta in termini di accrescimento e produzione osservata nelle tesi AF e AS deve essere attribuita al maggiore apporto di elementi nutritivi attraverso le acque reflue. Tuttavia, anche se la strategia produttiva si è dimostrata efficace, considerazioni di ordine sanitario (diffusione di parassiti) sono necessarie per la valutazione della sostenibilità della irrigazione con le acque reflue depurate. _________________________________________________________________________________________________________
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Le colture da energia possono contenere il livello di nitrati nel suolo anche se fertilizzate con liquami bovini e concimi minerali E. Ceotto1, R. Marchetti2, F. Castelli3 1 Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, Via di Corticella 133, 40128 Bologna 2 Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, Via Beccastecca, 345 41018 San Cesario sul Panaro (MO) 3 Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, Via Canton 14, 37051 Bovolone (VR) Introduzione Nella Pianura Padana, l’elevata intensità di allevamenti zootecnici richiede colture capaci di sfruttare le proprietà fertilizzanti dei reflui e di attenuare i problemi relativi all’inquinamento da nitrati. L’obiettivo di questo studio è valutare la capacità di tre colture da energia di ridurre il contenuto dei nitrati del suolo potenzialmente lisciviabili. Metodologia Tre esperimenti di fertilizzazione sono stati condotti dal 2008 al 2012 ad Anzola dell’Emilia (Bologna), nella bassa Pianura Padana. Le colture studiate sono: canna comune (Arundo donax L.), sorgo zuccherino (Sorghum bicolor L. Moench) e pioppo (Populus sp,), quest’ultima a raccolta biennale. I trattamenti applicati annualmente sono: i) un testimone non fertilizzato (Controllo); ii) 120 kg N ha‐1 + 120 kg P2O5 ha‐1 come fertilizzanti industriali (IF); iii) due dosi di liquami bovini, corrispondenti a 10 e 20 mm (CS10 e CS20). Le quantità di N e P applicate sono variate negli anni come conseguenza della variabilità di composizione dei reflui. Il suolo è stato campionato ad inizio inverno, negli strati 0‐0.2 m, 0.2‐0.4 m, 0.4‐0.6 m e 0.6‐0.8 m. Il campionamento è stato effettuato anche su una coltura aziendale di frumento, considerata come riferimento. I nitrati sono stati determinati a seguito di estrazione con KCl 2M. Risultati e Conclusioni 100
80
a
a
a
c
Controllo
20
a
CS20
40
CS10
60
b
b
a
a
a
CS20
120
108.6
CS10
140
a
IF
N-NO3 (kg ha-1)
160
IF
180
CS10
200
IF
a
Arundo
Pioppo
Sorgo
Controllo
Controllo
CS20
Controllo
0
Frum.
Nella figura sono riportati i contenuti cumulati di azoto nitrico (N‐NO3) nel profilo del suolo 0.‐0.8 m. A confronto con il frumento, il contenuto di N‐NO3 è stato ridotto dal trattamento non fertilizzato (Controllo) del 78% con canna comune, del 69% con il sorgo e del 65% con il pioppo. Rispetto al Controllo, i trattamenti fertilizzanti hanno determinato un incremento significativo di N‐NO3 nel terreno sotto pioppo con la dose di liquami più elevata, ma non sotto canna comune e sorgo. Tuttavia, il contenuto di N‐NO3 misurato sotto sorgo è molto più elevato rispetto alla canna comune. Questo studio indica che la canna comune è la coltura più efficace nel ridurre il contenuto dei nitrati nel suolo, anche a seguito di applicazioni elevate di liquami bovini. _________________________________________________________________________________________________________
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Resa e qualità della biomassa di canna comune (Arundo donax L.) in un'area marginale del sud Italia L. D'Andrea, C. Vitti, M. Mastrangelo, N. Martinelli, G. Rana, M. Mastrorilli Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) ‐ Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambiente Caldo‐Aridi (SCA), via Celso Ulpiani, 5 – Bari, [email protected] Introduzione Le colture da biomassa risultano importanti per la produzione di energia rinnovabile e per la riduzione di CO 2 in atmosfera. Esse potrebbero essere coltivate su suoli non idonei alle colture alimentari, come i suoli inquinati e i suoli delle aree marginali. Le colture energetiche nelle aree marginali rallentano e bloccano l'erosione del suolo, in particolare quelle erbacee pluriennali. Tra le colture energetiche "dedicate", la più produttiva oltre che rustica e "multipurpose", è considerata l' Arundo donax. Questo lavoro riporta i risultati ottenuti da una sperimentazione condotta in un tipico ambiente marginale della Puglia tradizionalmente destinato a pascolo, per valutare la potenzialità della canna comune (Progetto di Ricerca "SOBIMA"). Metodologia La sperimentazione è stata condotta ad Alberobello (BA), in un'area riconosciuta tra le "aree agricole svantaggiate", ai sensi della Direttiva 75/268/ CEE (art. 3 par. 4). La zona è tipica della "Murgia barese", caratterizzata da altopiani calcarei interessati da fenomeni carsici. Dal punto di vista geologico è classificato come “Alfisol‐Palexeralf”. I principali processi pedo‐genetici hanno portato alla formazione delle "terre rosse", originatesi dai calcari cretacei o dalle calcareniti plio‐pleistoceniche. Il suolo in pendenza (10%), era caratterizzato da modesto franco di coltivazione e abbondante scheletro. La tessitura era: argilla (52.5%), limo (42.0%) e sabbia (5.5). I trattamenti a confronto erano: testimone non concimato, concimazione minerale (100 Kg ha ‐1 di azoto) e consociazione con trifoglio sotterraneo (Trifolium brachycalycinum Katzn e Morley). Il dispositivo sperimentale era stato realizzato tre anni prima con rizomi di un ecotipo locale di Arundo (provincia di Lecce), trapiantati ad una densità di 20,000 piante ad ettaro. I tre trattamenti sono stati ripetuti tre volte. Ogni parcella elementare era di 75 m2. Nel terzo anno dal trapianto (2013), durante l'accrescimento (sette prelievi con cadenza mensile) e alla raccolta sono stati determinati i parametri morfologici, produttivi e qualitativi. Risultati e Conclusioni L'andamento meteorologico è risultato asciutto d'estate e umido d'inverno, con una piovosità ridotta (250 mm in meno) e temperature minime maggiori (2.4°C in più) rispetto alla norma. I risultati mostrano un ritmo di accrescimento costante (in altezza del culmo, numero di nodi, e numero di foglie, diametro del culmo ecc.) dalla ripresa vegetativa alla raccolta. La percentuale di fibra grezza e dei suoi costituenti (cellulosa, emicellulosa e lignina), risulta statisticamente maggiore nei fusti rispetto alle foglie. L'effetto della concimazione azotata non è risultato statisticamente significativo. Le rese in biomassa ottenute alla raccolta non sono soddisfacenti in termini di quantità (1117 g m ‐2) e uniformità spaziale (35%). I risultati ottenuti contraddicono l'ipotesi dell'introduzione della canna comune per la filiera energetica in un ambiente, seppure marginale, ma vocato da sempre alla foraggicoltura per la filiera zootecnica. _________________________________________________________________________________________________________
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Nitrogen use efficiency and land use saving of giant reed (Arundo donax L.) for biomethane production compared to arable crops F. Dragoni1, G. Ragaglini1, E. Corneli1, N. Nassi o di Nasso1, C. Tozzini1, S. Cattani1, E. Bonari1,2 1 2 Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’Anna, Piazza Martiri Della Liberta’ 33, 56127 Pisa Centro di Ricerca Interuniversitario per le Biomasse da Energia, Via Vecchia Livornese 784, 56122 San Piero a Grado (PI) Introduction Anaerobic digestion (AD) is one of the most mature conversion technologies for bioenergy production and biomass from arable crops is the reference feedstock for AD in Italy and Europe. However, relevant agronomic inputs are needed for these crops, that are less suited to marginal soils and low input levels than perennial crops, typically more efficient in nutrient use. Increasing Nitrogen Efficiency Use (NUE) of energy crops will be fundamental, given the N‐related GHG emissions and energy consumption. Moreover, land use saving will also be crucial, considering the expected increase in demand of food, bioproducts and energy from agriculture. For these reasons, this study is aimed to assess the efficacy of different crops in land and nitrogen use for AD. Two sorghum varieties (Biomass 133, fiber sorghum, Syngenta; Jumbo, forage sorghum, Padana Sementi) and one maize variety (DKC6666, FAO 600, Dekalb) were compared with giant reed cut at different times from June to September. Crop regrowth from earlier harvests of giant reed was also considered. Materials and methods A giant reed field trial was established in autumn 2006 on a loam soil using rhizomes at a population density of 20.000 plants ha‐1. During 2011, giant reed was harvested at 5 different times from June to September. A second cut was performed in early fall (Oct 2011) from plots harvested in June and July. Meanwhile, sorghum and maize were sowed on a loam soil (May 2011) and harvested at wax ripeness (Sep 2011). At harvest time, fr esh weight of each crop was determined. Total solids (TS) were assessed by oven drying at 65 °C until constant weight and the ash content was determined by incineration at 550°C. Where double harvests were performed, biomass dry yields of giant reed from first and second cuts were summed to get the total aboveground dry yield. Silage of each crop was prepared at laboratory scale from chopped fresh biomass, treated with a microbial inoculum (11CH4, Pioneer Hi‐Bred) and kept into vacuum‐sealed plastic bags for 60 days. Biomethane potential (BMP) of the substrates was determined by batch assay, carried out in triplicates on silage samples of giant reed (5 first cuts, AI1‐AI5, and 2 second cuts, ARI11‐ARI2), maize (M) and sorghum (S1‐S2, fiber and forage sorghum, respectively). Biomethane yields per hectare (Nm3CH4 ha‐1) were determined by multiplying the BMPs by the crop yields (Mg ha ‐1). Losses due to silage making were not considered. Kjeldahl nitrogen was determined on dry samples, then N uptakes (kgN ha ‐ 1
) were determined by multiplying by crop yield. Potential land use of each crop was estimated from biomethane yields per hectare. NUE was expressed as the ratio between estimated biomethane yields and nitrogen uptakes per hectare (Nm3CH4 kgN). Results and Conclusions On average, double harvesting of giant reed allowed a significant decrease in land consumption respect to arable crops (about ‐60%). In particular, double harvest systems allowed to obtain about 12.000 Nm 3CH4 ha‐1, +35% and +70% than maize and sorghum, respectively. Maize yields were about 8.800 Nm3CH4 ha‐1, while sorghum varieties yielded on average 7.800 Nm3CH4 ha‐1 (‐20%). When harvested in September (AI5), giant reed yielded about 9.900 Nm3CH4 ha‐1, +13% than M and +40% than S1‐S2. AI3‐AI4 yielded significantly less than M and similarly to S1, while methane yield of S2 was about 16% lower. When an AD plant equipped with a 250 kWe CHP unit is supplied with 50% energy crops, the estimated methane yields would imply a land use of about 25 ha of giant reed under double harvest management, 30‐40 ha of the same crop under single harvest management, 35 ha of maize or 40‐45 ha of sorghum. NUE was the highest in AI5 (63 Nm3 CH4 kgN‐1), while in arable crops it ranged from 28 Nm3 CH4 kgN‐1 (M) to 35‐40 Nm3 CH4 kgN‐1 (S1‐S2). When double harvests were performed, giant reed showed remarkably lower NUEs, averaging 48 Nm3 CH4 kgN‐1. Therefore, according to biomethane potentials, giant reed could allow relevant land use savings compared to arable crops, especially when harvested twice a year. However, intensification due to double harvest led to reduced nitrogen use efficiency, that was more similar to that of annual crops. _________________________________________________________________________________________________________
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Caratterizzazione degli apparati radicali di piante idonee alla fitodepurazione e alla produzione di biomassa per bioenergie G. Florio, M. Borin, C. Maucieri DAFNAE ‐Università degli Studi di Padova, Viale dell'Università, 16 35020 Legnaro (PD) Introduzione Negli ultimi anni la gestione delle acque reflue provenienti dagli allevamenti zootecnici è divenuto un tema importante nel sistema agricolo ed ambientale, in particolare nei paesi europei, soggetti alle forti restrizioni date dalla Direttiva Nitrati. Tra le varie possibilità per ottemperare tale Direttiva, interessanti pot enzialità derivano dalla coltivazione di piante erbacee plurienni idonee alla fitodepurazione e alla produzione di biomassa. In questo modo si possono utilizzare le acque in questione per fertilizzare specie vegetali atte alle produzione di bioenergia. A t al scopo dal 2010 al 2013 il Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse naturali e Ambiente dell'Università di Padova ha svolto una sperimentazione per valutare le capacità di depurazione e di produttività di alcune specie erbacee perenni. Metodologia Presso l’azienda agraria sperimentale “L. Toniolo” dell’Università di Padova sono state coltivate le seguenti specie: Arctium lappa L., Arundo donax L., Carex acutiformis Ehrh., Carex riparia Curtis, Helianthus tuberosus L., Iris pseudocorus L., Lythrum salicaria L., Mischantus x giganteus Greef et Deu. e Symphytum x uplandicum L.. Le piante, coltivate in parcelle di 4 m2 con densità di 4 piante/m2, sono state fertilizzate annualmente con ingenti quantità di azoto (400 kg N/ha nel 2010, 2011 e 2012 e 250 kg N/ha nel 2013) proveniente da reflui zootecnici nonché abbondantemente irrigate durante il periodo primaverile‐estivo (1700 mm/anno circa). Ogni anno alla fine del periodo vegetativo, tra fine Ottobre ed inizio Novembre, la biomassa aerea veniva asportata. A Gennaio 2014, infine, gli apparati radicali sono stati estratti in aree campione centrali delle dimensioni di 0.5 x 0.5 x 0.5 m. Dopo opportuno lavaggio, sono state essiccate e macinate per poter poi analizzarne la concentrazione di azoto (N) e fosforo (P). Risultati e Conclusioni Tabella 1 ‐ Azoto e fosforo presente negli apparati radicali delle specie in esame Azoto (kg/ha) Fosforo (kg/ha) Strato Rizomi Radici Rizomi Radici Specie (cm) media d.s. media d.s. media d.s. media d.s. 0‐20 309.3 51.3 20‐50 ‐ ‐ 0‐20 9.0 11.0 A. lappa 20‐50 79.9 117.4 0‐20 37.2 20.4 C. acutiformis 20‐50 2.2 2.4 0‐20 68.0 21.7 C. riparia 20‐50 2.6 4.4 0‐20 3.5 3.8 G. maxima 20‐50 ‐ ‐ 0‐20 91.2 74.0 H. tuberosus 20‐50 1.0 0.9 0‐20 181.7 122.4 I. pseudacorus 20‐50 ‐ ‐ 0‐20 30.1 5.4 L. salicaria 20‐50 0.2 0.5 0‐20 171.8 57.6 M. x giganteus 20‐50 0.5 0.6 0‐20 20.0 30.8 S. x uplandicum 20‐50 0.6 1.2 A. donax 25.6 6.4 56.01 9.29 5.42 1.34 9.8 3.3 ‐ ‐ 2.26 0.77 0.4 0.3 1.72 2.10 0.07 0.05 0.2 0.1 12.03 17.67 0.03 0.02 62.4 20.9 9.56 5.24 18.30 6.14 9.5 6.4 0.62 0.67 3.38 2.28 18.3 11.0 23.83 7.61 5.74 3.45 2.8 1.5 0.53 0.91 0.76 0.41 6.2 4.7 0.64 0.69 1.29 0.98 3.6 6.0 ‐ ‐ 0.49 0.81 4.5 1.6 23.42 18.99 0.95 0.33 ‐ ‐ 0.32 0.28 ‐ ‐ 14.6 9.2 30.97 20.87 4.43 2.77 1.2 1.9 ‐ ‐ 0.38 0.58 5.7 2.3 4.80 0.86 0.99 0.40 1.9 2.4 0.03 0.07 0.24 0.31 76.3 39.6 47.26 15.85 33.16 17.23 32.7 25.9 0.16 0.18 10.23 8.09 1.2 1.0 2.58 3.98 0.19 0.15 5.9 10.4 0.08 0.15 0.90 Le specie hanno riportato una produzione di rizomi superiore nello strato 0‐20 cm, con valori da 281 a 42549 kg/ha di sostanza secca, di G. maxima e A. donax rispettivamente. Anche per le radici è stata osservata una resa maggiore nello strato superficiale che è variata da 77 (S. x uplandicum) a 23161 kg/ha (M. x giganteus). Le concentrazioni di N e P ottenute sono simili in rizomi e radici con un range 0.4‐2.5% e 0.09‐0.49%, rispettivamente. Le specie che immobilizzano i contenuti più elevati sono dunque A. donax per l’N e M. x giganteus per il P (Tabella 1). 1.59 _________________________________________________________________________________________________________
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Gestione delle paglie cerealicole: destino energetico o valorizzazione agronomica? La proposta di un connubio virtuoso e lungimirante M. Monteleone, A.R. Bernadette Cammerino, P. Garofalo, A. Libutti STAR*AgroEnergy Group, Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente, Università degli Studi di Foggia Introduzione La mitigazione dei cambiamenti climatici dovrebbe costituire il “driver” più importante nella promozione delle agroenergie. Ne consegue che il criterio fondamentale per la valutazione ambientale delle filiere agroenergetiche deve incentrarsi sulla misura dell’energia primaria effettivamente risparmiata (“fossil displacement”) e sulla limitazione delle emissioni clima‐alteranti (“greenhouse gases”). La Direttiva Europea sulle fonti Rinnovabili (RED: 2009/28/EC) assume che l’impiego dei residui colturali sia da considerarsi “neutrale” ai fini del computo dei gas serra, ovvero nessun impatto emissivo sia da addebitarsi all’impiego energetico di tali residui. Recenti sviluppi della politica UE (COM 2012/595) proporrebbero d’incrementare da due (così come già previsto nella RED) a quattro volte il contributo energetico di scarti agroindustriali e residui di coltivazione ai fini del conteggio utile a conseguire gli obiettivi della strategia europea 20‐20‐20 (“burden sharing”). Tale indirizzo tenderebbe, inevitabilmente, ad accrescere l’interesse nei riguardi dell’impiego energetico delle paglie cerealicole rischiando, al contempo, di disincentivare la pratica dell’interramento (almeno parziale) delle paglie o del loro rilascio superficiale al suolo, a mo’ di strato pacciamante, ai fini di bilanciare le perdite di sostanza organica del terreno agrario e di proteggerlo da fenomeni erosivi. Ciò evidenzia un netto contrasto con alcune specifiche misure dei PSR (Piani di Sviluppo Rurale) attivate nel quadro della PAC (Politica Agricola Comune) proprio a salvaguardia dei suoli agrari. Sorge dunque la necessità di predisporre una pratica agronomica che identifichi sistemi cerealicoli in grado di conciliare virtuosamente le esigenze protettive nei riguardi del suolo con quelle, altrettanto cogenti, di disporre di energia da fonti rinnovabili. Il presente contributo deve considerarsi concretamente innestato in questo quadro problematico ed orientato a definirne alcune possibili soluzioni. Metodologia Lo studio confronta, secondo i crismi della metodologia LCA (Life Cycle Analysis), i consumi energetici e le emissioni di gas serra di tre differenti sistemi colturali, tutti incentrati sulla coltivazione del frumento duro in ambienti seccagni dell’Italia meridionale. In particolare, il sistema convenzionale di coltivazione è assunto come riferimento; esso si caratterizza per la monosuccessione cerealicola basata sull’aratura con interramento integrale delle paglie, seguita da due interventi di affinamento del suolo con frangizolle. Il secondo sistema è del tutto simile al precedente con la sostanziale differenza che le paglie vengono, in parte, sistematicamente asportate per rifornire un impianto per la produzione di energia. In ultimo, il terzo sistema (quello alternativo) prevede l’inserimento di una coltura di copertura (triticale), un anno su tre, e l’adozione di pratiche conservative incentrate sulla semina diretta. Circa la metà della biomassa della cover crop è lasciata in campo, essendo la metà complementare invece destinata ad impiego energetico. L’adozione del modello di simulazione CropSyst ha consentito di quantificare alcuni fattori normalmente ignorati nell’inventario LCA, in particolare la dinamica di lungo periodo della sostanza organica ed i rilasci gassosi di N2O dal suolo. Risultati e Conclusioni Il confronto dettagliato dei costi energetici ed emissivi addebitabili a ciascuno dei tre sistemi cerealicoli e la valutazione dei crediti energetici ed emissivi consentiti dalla destinazione energetica delle paglie ha reso possi bile identificare il netto vantaggio offerto dal sistema colturale “innovativo”, ovvero quello basato sul “no‐tillage” e l’avvicendamento col triticale. Tale sistema, rispetto agli altri, consente non solo di conseguire un chiaro vantaggio in termini di disponibilità di energia da fonte rinnovabile ma, al contempo, non riduce le risorse di fertilità del suolo ed il suo contenuto in sostanza organica, dimostrandosi così sostenibile nel lungo periodo. Mentre il sistematico interramento delle paglie consente di ottenere, come atteso, gli incrementi maggiori di sostanza organica nel suolo, il tasso emissivo di N2O è direttamente proporzionale all’ammontare dei residui restituiti al suolo. Ciò costituisce un fattore critico di valutazione, in grado di controbilanciare (in termini emissivi) il sequestro (pur temporaneo) del Carbonio sotto forma di sostanza organica. L’avvicendamento con una cover‐crop, unitamente all’adozione di tecniche conservative di lavorazione del suolo si dimostrano, pertanto, fattori chiave per ottimizzare le scelte di gestione in chiave agroenergetica, senza rinunciare al pieno conseguimento di oggettivi criteri di sostenibilità. _________________________________________________________________________________________________________
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Efficiency of nitrogen in miscanthus and switchgrass under Mediterranean conditions N. Nassi o Di Nasso1, N. Roncucci1, G. Ragaglini1, F. Triana1, C. Tozzini1, F. Taccini1, M. V. Lasorella1, E. Bonari1,2 1 Institute of Life Sciences, Scuola Superiore Sant’Anna, P.zza Martiri della Libertà, 33 ‐ 56127 Pisa, Italy, [email protected] 2 CRIBE ‐Centro di Ricerche Interuniversitario Biomasse da Energia‐, via Vecchia Livornese, 784 ‐ 56122 San Piero a Grado (Pisa), Italy Introduction The sustainability of cropping systems is strongly affected by the nitrogen management. In particular, the environmental performances of energy crops appear to be more sensitive to some indicators, such as maximizing yield per unit of input (e.g. nutrients). Among different energy crops, field trials on perennial rhizomatous grasses, such as miscanthus (Miscanthus × giganteus Greef et Deu.) and switchgrass (Panicum virgatum L.), have highlighted the importance of determining yield responses to applied nitrogen on a site‐by‐site basis. In 2010, two field trials involving miscanthus and switchgrass were established in order to investigate the effect of different soil textures and N fertilization rates on crop yields. Beyond resuming crop yields during the first 4 years after the establishment, this paper reports a set of indicators on the nitrogen efficiency, in order to assess the overall agronomic, environmental and economic performances of the two species when cultivated, under rainfed conditions, in a Mediterranean environment. Materials and Methods The research was carried out at the Interdepartmental Centre for Agro‐Ecological Research (Pisa, Italy) from 2010 to 2013. Two adjacent fields characterized by two contrasting soil textures, i.e. silty‐clay‐loam (SiC) and sandy‐loam (SL) were used. For each crop, three main plots were arranged in each soil type. Within each main plot, three nitrogen fertilization levels (0 (N0), 50 (N50), 100 (N100) kg N ha‐1 year‐1) were randomly assigned as subplots. The aboveground biomass was collected in winter (Jan/Feb) and crop dry biomass yield was then derived. The ‐1
following indicators were determined: (i) the agronomic efficiency of the nitrogen fertilization (A E, Δkg kg N ) as ‐1
the increase of crop yield per unit of N applied; (ii) the nutrient use efficiency (NUE, kg kg N ) as the ratio between ‐1
crop yield and nutrient uptake; (iii) the energy use efficiency (EUE, GJ GJ ) as the ratio between the primary ‐1
energy yield and the energy consumption; (iv) the nitrogen economic efficiency (NEE, Δ€ € N ) as the ratio between the increase in profit (Δ crop yield * selling price) and the increase in the cost of N fertiliser. Results and Conclusions Our results showed that generally switchgrass (cultivar Alamo) performed better than miscanthus in terms of crop dry yield. In fact, particularly dried summer conditions negatively affected miscanthus yields, especially in SL soil. Higher crop dry yields were observed in SiC soil, +30% in switchgrass and more than twofold in miscanthus, than in SL soil. In addition, a response of crop yield to nitrogen fertilization level was recorded for both crops, with yields increases varying, on average, from 1.3 to 4.2 Mg ha ‐1 every 50 kg N ha‐1 in miscanthus and switchgrass respectively. In addition, the AE of miscanthus reflected mostly differences between soils, rather than among nitrogen fertilization rates. On the contrary, when increasing the N fertilization rate, the A E of switchgrass kept constant values around 75 Δkg kg N‐1. Both crops were characterised by high NUE and EUE values. In miscanthus NUE resulted to vary from 390 to 730 kg kgN ‐1 in SiC and SL soils, while stable values were observed for switchgrass (~310 kg kg N‐1). Concerning EUE, high and stable values (33‐45 GJ GJ‐1) were recorded for switchgrass. On the other hand, miscanthus EUE differed between the two soil types, as this index was negatively influenced by the low crop yields on miscanthus growing on the SL soil. Finally, assuming a biomass sale price of around 60 € per ton, the NEE showed the most efficient N fertilization rate to be N50 for miscanthus (4.2 Δ€ €N ‐1), while N100 for switchgrass (14.7 Δ€ €N ‐1). In conclusion, switchgrass appears to be more suitable than miscanthus to Mediterranean environmental conditions, where summer periods are usually dry. Moreover, switchgrass appeared able to maintain a high agronomic, environmental and economic efficiency even under relatively high nitrogen fertilization rates (N100). On the other hand, despite miscanthus emerged as a crop being less suited to soils characterized by a low water holding capacity, it showed a great NUE owing to its marked remobilization of nutrients from the aboveground to the belowground biomass. _________________________________________________________________________________________________________
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Potenzialità dell’impiego della biomassa di Cardo per la produzione di metano mediante digestione anaerobica S.A. Raccuia, P. Calderaro, C. Leonardi, L. Sollima, C. Genovese, M.G. Melilli Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo UOS di Catania, Via Empedocle, 58 95128 Catania, tel. 095 6139917, [email protected] Introduzione Il cardo (Cynara cardunculus L.) è una specie erbacea perenne, appartenente alla famiglia delle Composite, con apparato radicale fittonante a ciclo autunno primaverile. È una coltura che si adatta alle condizioni pedoclimatiche delle regioni caldo aride del bacino del Mediterraneo. L’interesse per questa coltura nasce dalla possibilità di avere buone di produzione di biomassa anche su terreni marginali senza l’ausilio di irrigazione. Su questa specie sono state condotte diverse ricerche concernenti l’uso della biomassa lignocellulosica, dei semi e delle radici sia per scopi energetici che come fonte di composti quali cellulosa, emicellulosa, olio e inulina da destinare alla chimica verde. (Raccuia e Melilli 2007, Raccuia e Melilli 2010). In questo quadro si inserisce la presente nota in cui vengono riportati i dati preliminari relativi a prove d’impiego della biomassa di cardo per la produzione di biogas e metano mediante digestione anaerobica previa trinciatura e insilamento, condotte presso l’UOS di Catania dell’ISAFOM CNR. Metodologia I campi per la produzione di biomassa sono stati predisposti in agro di Enna su di un appezzamento di terreno posto a 575 m s.l.m. (collina interna Siciliana) nell’annata agraria 2011‐2012 impiegando una linea di cardo da biomassa selezionata presso l’UOS di Catania dell’ISAFOM CNR, coltivata in condizioni di basso input energetico e senza l’ausilio di irrigazione. L’impianto è stato effettuato nell’autunno del 2010 su un terreno che nei due anni precedenti era stato destinato a frumento, con una densità di 8 piante m‐2. La raccolta della biomassa impiegata nella presente prova è stata effettuata al secondo anno dall’impianto, nel mese di Maggio quando il capolino principale del 50% delle piante iniziava a fiorire. È stata sfalciata tutta la pianta, su un campione delle diverse componenti (fusti, foglie e capolini) è stato determinato il contenuto di sostanza secca, mentre sul resto della biomassa dopo trinciatura e insilamento, è stata effettuata la caratterizzazione chimica e sono state condotte le prove di produzione di biogas e metano, impiegando un impianto pilota da laboratorio. Risultati e Conclusioni La produzione di biomassa è stata pari a 19,4 t ha‐1 di s.s.. La biomassa è risultata costituita per circa il 52% dai fusti mentre per la rimanente parte da capolini e foglie. L’insilato di cardo sottoposto alle prove di produzione di biogas e metano, presentava un contenuto del 15% di s.s. e ha mostrato rese potenziali pari a 450 l kg‐1 di s.s. in biogas di cui 245 l kg‐1 di s.s. metano, corrispondenti a 67,8 e 36,9 l kg‐1 di s. f. in biogas e metano. I dati teorici di produzione di metano sono risultati pari 4.753 m3 di metano ad ettaro. I dati produttivi relativi alle prove in campo e le rese in metano ricavate nell’ambito di queste prove, hanno fatto emergere l’ottima potenzialità della biomassa di cardo per l’insilamento ai fini della produzione di biogas e metano mediante fermentazione anaerobica. L’interesse per l’impiego di questa coltura scaturisce sia dal fatto che la coltivazione può essere condotta con bassi input energetici e senza ausilio di irrigazioni che dalla possibilità di mettere a coltura terreni marginali attualmente non utilizzati per colture food. Bibliografia Raccuia, S.A., Melilli, M.G.. Biomass and grain oil yields in Cynara cardunculus L. genotypes grown in a Mediterranean environment. Field Crops Res. 101:187‐197 Raccuia, S. A.; Melilli, M. G. Seasonal dynamics of biomass, inulin, and water‐soluble sugars in roots of Cynara cardunculus L.. Field Crops Res. 116: 147‐153 _________________________________________________________________________________________________________
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Growing giant reed (Arundo donax L.) in a marginal soil: short‐term effect on soil organic carbon N. Roncucci1, N. Nassi o di Nasso1, G. Ragaglini1, F. Triana1, S. Bosco1, C. Tozzini1, E. Bonari1,2 1 Institute of Life Sciences, Scuola Superiore Sant’Anna, P.zza Martiri della Libertà, 33 ‐ 56127 Pisa, Italy, [email protected] 2 CRIBE ‐Centro di Ricerche Interuniversitario Biomasse da Energia‐, via Vecchia Livornese, 784 ‐ 56122 San Piero a Grado (Pisa), Italy Introduction A potential benefit of perennial crop cultivation is the storage of soil organic carbon (SOC) [1]. In particular, converting arable land to perennial plant cultivation (i.e. trees, grass or shrubs) generally results in positive contribution to climate change through sequestration of C, at least until a new equilibrium content of C in soil is reached [2]. In this study we investigated the short‐term effect of giant reed cultivation on SOC in a marginal soil. We also attempted to test the possible contribution of giant reed’s aboveground litter on SOC accumulation over time. Methodology A field trial for giant reed was established in 2009 at the Enrico Avanzi Interdepartmental Centre for Agro‐ Environmental Research (CIRAA) of the University of Pisa, San Piero a Grado (Pisa) [3]. Soil samples were collected, at 0‐30 cm dept, in March 2009 and July 2013, and analyzed for C concentration (Walkley‐Black). Soil bulk density was determined in July 2013 through a separate undisturbed soil core a metal cylinder (22.3 cm 3). Soil bulk density in 2009 was estimated according to Saxton & Rawls (2006) [4]. The amount of stored carbon (Mg C ha‐1) within the top 30 cm of soil was obtained as the product of the measured SOC concentration and bulk density. In 2011 leaf litter was analyzed for C concentration. The amount of litter losses to soil was estimated according to data provided by Nassi o Di Nasso et al. (2013) [3]. Results and Conclusions Results showed how land use change from Table 1 ‐ SOC concentration, soil bulk density and SOC content in March arable to giant reed plantation led to an 2009 (before giant reed establishment) and after 52 months (July increase in SOC content of about 6.8 Mg C 2013). Values refer to the 0‐30 cm soil layer. Standard errors are given in brackets (n=5). ha‐1 in the top 30 cm of soil, after 52 months. Assuming a linear accumulation SOC concentration Soil bulk density SOC content ‐1
‐3
‐1
over time, this corresponds to 1.57 Mg C ha‐ (g kg ) (Mg C ha ) (Mg m ) 1 ‐1 year (Table 1). Following the assumption 2009 (March) 7.2 (±0.8) 1.70 * 36.83 (±3.86) that litterfall was negligible in the 2013 (July) 8.7 (±0.4) 1.67 (±0.04) 43.62 (±2.90) establishment year, it resulted that, on Δ (Mg C ha‐1) +6.79 average, an equivalent of about 1.0 Mg C ‐1 ‐1 § year Δ (Mg C ha year ) +1.57
ha‐1 year‐1 was returned to soil. Given that *soil bulk density in 2009 was estimated according to Saxton & Rawls (2006) [4]. § only a fraction of crop residues is considering 52 months, i.e. ((6.79/52)*12). converted into more stabilized soil organic material (i.e. humification coefficient, k 1) we tested k1 equal to 18% [5] and to 35% [6]. Following these two scenarios it resulted that the annual contribution of senescent leaves to soil C accumulation would have been approximately ranging from 0.18 to 0.35 Mg C ha ‐1 year‐1. This in turn implies that leaf litter could have contributed to SOC increase for a share of 11% (=0.18/1.57) to 22% (=0.35/1.57), after 52 months of giant reed cropping. In conclusions, (i) we observed a net gain in SOC under giant reed cropping, though a longer time series will be necessary in order to confirm this; (ii) we suggested the aboveground litter (i.e. senesced leaves) to have contributed for no more than ¼ to SOC accumulation; (iii) we therefore postulated a predominant role played by the belowground biomass turnover (including that of possible root‐associated microorganisms) and/or altered belowground C‐dynamics [7] on SOC accumulation under giant reed cropping. Bibliografia [1] Anderson‐Teixeira KJ et al. (2009) Global Change Biology Bioenergy 1, 75‐96 [2] Powlson DS et al. (2011) European Journal of Soil Science 62, 42‐55 [3] Nassi o Di Nasso N et al. (2013) Bioenergy Research 6, 725‐736 [4] Saxton KE & Rawls WJ (2006) Soil Science Society of America Journal 70, 1569–1578 [5] Matthews RB & Grogan P (2001) Aspects of Applied Biology 65, 303‐312 [6] Amougou N et al. (2012) Global Change Biology Bioenergy 4, 698‐707 [7] Anderson‐Teixeira KJ et al. (2013) Ecosystems 16, 508‐520 _________________________________________________________________________________________________________
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Geotropismo radicale e assorbimento idrico in porzioni distinte del profilo radicale di Arundo donax L. R. Sartoni, W. Zegada‐Lizarazu, A. Monti Dipartimento di Scienze Agrarie, Università di Bologna, IT, [email protected] Introduzione Arundo donax L., o canna comune, è una specie poliennale da biomassa adatta a terreni marginali. Uno dei principali punti di forza della coltura è l’efficiente ed espanso apparato radicale che consente di sfruttare riserve idriche profonde in condizioni di prolungata siccità. Il presente studio aveva l’obiettivo di analizzare l’attività dell’apparato radicale in due porzioni isolate del profilo del suolo in condizioni idriche differenziate. Metodologia Cloni micropropagati di un ecotipo locale di Arundo donax L. sono stati trapiantati in 12 rizotroni cilindrici di plexiglass trasparente (diametro 30 cm x altezza 100 cm), all’interno dei quali è stato posizionato a 45 cm di profondità un setto trasversale idrofobico a base di vaselina, permeabile alle sole radici. Le due sezioni di suolo (0 ‐ 45 e 45‐90 cm) sono state dotate di sonde per il controllo dell’umidità (FDR) e di un impianto di irrigazione autonomo al fine di mantenere il contenuto idrico alle condizioni desiderate. L’esperimento è stato condotto in serra climatizzata impostando la temperatura giornaliera a 30 °C e quella notturna a notte 25 °C (UR% 30 ‐40). In fase di pre‐trapianto è stata effettuata una potatura radicale delle plantule al fine di standardizzarne le condizioni iniziali di sviluppo. Il trattamento irriguo differenziato ha avuto inizio nel momento in cui le radici hanno oltrepassato il setto di vaselina colonizzando la porzione inferiore del suolo. In sei rizotroni è stata sospesa l’irrigazioni nelle porzioni superiori (0‐45 cm) fino al raggiungimento del 6% (v/v) di umidità del suolo. Nelle 6 porzioni inferiori, e nei sei restanti rizotroni, sono state invece mantenute condizioni idriche ottimali (23% v/v). In ogni rizotrone, sono stati effettuati periodicamente rilievi sia sulla porzione epigea che sulla parte ipogea della pianta. Sulla parte aerea sono stati misurati settimanalmente il numero, dimetro e altezza di tutti i culmi di accestimento nonché il relativo numero di foglie. Inoltre, sono stati determinati i valori di fotosintesi, fluorescenza, contenuto in clorofilla e stato di idratazione fogliare con cadenza bisettimanale. La densità radicale (RLD) è stata determinata tracciando periodicamente le radici visibili direttamente su un’area definita della superficie di ogni rizotrone e successivamente determinata mediante appositi strumenti di analisi d’immagine. La durata del trattamento è stata protratta per di circa 3 mesi, coprendo metà del ciclo convenzionale di crescita di A. donax. Risultati e Conclusioni In confronto alle piante condotte a regime idrico ottimale, la prolungata riduzione della disponibilità idrica nel setto superiore dei rizotroni non ha determinato particolari ripercussioni sulla parte epigea della pianta sia livello biometrico, ove il tasso medio di accrescimento è risultato 1.3 cm d ‐1, sia a livello fisiologico, con valori medi di fotosintesi netta pari a 13.8 µmol CO2 m2 s‐1 e photosynthetic performance index (fluorescenza della clorofilla a) medio di 7.3. A livello ipogeo, non sono stati rilevati incrementi nella densità radicale nel setto profondo a seguito della condizione di stress della porzione superficiale. La pianta ha quindi reagito alla diminuzione del contenuto idrico nella porzione superficiale di suolo potenziando l’efficienza di assorbimento delle radici profonde (45‐90 cm) non stressate, senza aumentarne la superficie assorbente. In condizioni di umidità ottimale lungo l’intero profilo, l’assorbimento idrico è risultato prevalentemente superficiale (80 litri complessivi contro i circa 35 assorbiti nella porzione inferiore di suolo). La mancanza di segnali di stress nella parte aerea della biomassa e l’invariato R LD nella parte inferiore dell’apparato radicale denotano una spiccata capacità di controllo dell’attività radicale che si traduce in un’elevata tolleranza dell’arundo allo stress idrico. _________________________________________________________________________________________________________
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Risposta al contenuto idrico del suolo di Saccharum spontaneum spp. aegyptiacum, potenziale coltura da biomassa per energia in ambiente semi‐arido mediterraneo D. Scordia1, G. Testa1, V. Copani1, C. Patanè2, S.L. Cosentino1 1 DISPA, Università degli Studi di Catania, via Valdisavoia, 5, 95123 Catania 2 CNR‐ IVALSA, UOS di Catania, Via P. Gaifami 18, 95126 Catania Introduzione Le specie endemiche sono in grado di massimizzare le risorse disponibili in un determinato ambiente. La flora spontanea del mediterraneo del sud è ricca di graminacee perenni. Tra queste, Saccharum spontaneum L. ssp. aegyptiacum (Willd.) Hackel, mostra quei tipici tratti dell’ideotipo di coltura energetica. Lo scopo del presente lavoro è quello di investigare le potenzialità produttive, l’efficienza d’uso dell’acqua (WUE), la fotosintesi netta e la qualità della biomassa di S. spontaneum ssp. aegyptiacum in condizioni idriche differenziate. Metodologia La ricerca triennale è stata condotta tra il 2011 ed il 2014 presso l’Azienda Sperimentale dell’Università di Catania (10 m s.l.m., 37°25’ N, 15° 03’ E). Rizomi di Saccharum spontaneum L. ssp. aegyptiacum (Willd.) Hackel sono stati prelevati dalle zone ripariali costiere della Sicilia sud‐orientale e trapiantate nella primavera del 2005 ad una densità di 1 rizoma al m2. Il disegno sperimentale prevedeva blocchi randomizzati, replicati tre volte, con parcella elementare di 15 m2 (5 x 3m). Al trapianto sono stati distribuiti 100 kg N ha ‐1 e 100 kg P2O5 ha‐1, rispettivamente sotto forma di solfato ammonico e perfosfato minerale ed un controllo meccanico delle infestanti. Nessuna fertilizzazione e controllo delle infestanti è stato eseguito negli anni a seguire. Tre livelli idrici del suolo sono stati studiati: I100= restituzione del 100% dell’ETm, I 50= restituzione del 50% dell’ETm e I 0= irrigazione solo al trapianto. Il volume di adacquamento è stato determinato sulla base del massima disponibilità idrica del suolo nei primi 60 cm di profondità (V), e quindi eseguita quando la sommatoria dell’ETc giornaliera corrispondeva a V, in accordo con Cosentino et al. (2007). Ogni anno, a febbraio, la biomassa fresca è stata raccolta e sub‐campioni di foglie e fusti sono stati posti in una stufa ventilata a 65±5°C per la determinazione della sostanza secca. Rilievi di scambi gassosi sono stati condotti mediante un LI‐COR 6400 (LI‐CORBiosciences, Lincoln, Nebraska, USA). Su campioni di biomassa sono stati determinati i polisaccaridi strutturali e la lignina tramite il metodo van Soest (1991) e le ceneri tramite il metodo AOAC (1990). Risultati e Conclusioni S. spontaneum ssp. aegyptiacum ha mostrato elevate produzioni in condizioni idriche naturali, anche se significativamente inferiori rispetto alle tesi irrigue (nella media dei tre anni 24,2±2,4, 29,6±1,8, 34,5±1,9 t ha ‐1 s.s. per I0, I50 e I100, rispettivamente). La fotosintesi netta è stata sempre più elevata nella I 100 seguita da I50 e I0. Nei rilievi di maggio‐giugno la fotosintesi netta è stata maggiore che ad agosto‐settembre in tutte le tesi a causa dell’avvicinarsi della fase di senescenza (osservata in autunno). La relazione tra biomassa secca ed acqua utilizzata dalla coltura (CWU=I + P ± ΔC) mostra che la biomassa aumenta all’aumentare dell’acqua utilizzata (R2 =0,89). Tuttavia, la WUE è incrementata al decrescere del contenuto idrico del suolo. Infatti, la WUE è stata sempre inferiore nella tesi I100 e maggiore nella I0 (nella media dei tre anni 5,1±1,0, 4,3±0,7, 3,6±0,5 g L ‐1 per I0, I50 e I100, rispettivamente, con un CWU di 507, 704 e 972 mm). Il contenuto idrico del suolo non ha influenzato significativamente la composizione in emicellulosa, cellulosa, lignina e ceneri. Alla luce dei presenti risultati S. spontaneum ssp. aegyptiacum mostra i tratti di ideotipo di coltura da biomassa, con produzioni, efficienza fotosintetica, WUE e composizione della biomassa simile a specie C4 come miscanto o panico. _________________________________________________________________________________________________________
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In‐field harvest and storage of sweet sorghum W. Zegada‐Lizarazu, A. Vecchi, A. Monti Dipartimento di Scienze Agrarie, Università di Bologna, [email protected] Introduction Even though sweet sorghum is considered a crop with a high potential as first and second generation biofuel feedstock thanks to its high biomass productivity and the large quantity of soluble sugars present in the stalks, one of the main bottleneck for its development is the lack of effective harvesting and storage techniques. The appropriate definition of such techniques has the potential to ensure economic benefits to sweet sorghum farmers and optimize ethanol production, especially in European temperate climates where sweet sorghum is a relatively new crop. In tropical and subtropical climates for example the sugar concentration and oBrix increase from flowering to ripening and therefore the harvest window is restricted to a relatively short period. In temperate climates, however, the optimal harvest time could be even shorter due to the limited effective growing season. Besides that, the harvest of un‐defoliated stems may decrease the amount and quality of the extracted juice. Therefore, stripping the leaves in the field may not only improve the juice fermentation characteristics, but also contribute to the maintenance or increase of the soil fertility. Then, harvest time and method are important aspects that need to be considered for defining adequate sweet sorghum management an d logistics in new environments such as those of temperate climates. On‐farm processing and yeast fermentation technologies for initial distillation with low‐cost equipment and without any pretreatment or temperature control have been proposed as a promising storage technique to overcome the above mentioned concerns. The objective of this study was to evaluate different harvest and storage techniques of sweet sorghum under farmers conditions. Methodology Initially the best harvest time (at anthesis, milk stage, and hard dough stage) for maximizing ethanol production as well as maximizing the accumulation of structural carbons was determined in combination with the evaluation of the fermentation capacity of two types of yeast cultures (beer and wine type) at two concentrations. Afterwards, two harvest methods (defoliated and non‐defoliated stalks) in combination with a mixture of different proportions of other two types of yeast (glucophilic and fructophilic) were tested. In each case the stalks were cut using a mounted mower, chipped and then pressed to extract the sweet sorghum juice which was inoculated with the respective yeast. In addition the un‐distilled ethanol obtained from the fermentation process was bottled and stored for six months. Finally, the glucophilic and fructophilic yeast types used before were evaluated, but in this case 100% concentration of each yeast type were inoculated. Besides that the storage period of the un‐distilled ethanol was prolonged up to one year. In all trials the changes in soluble sugars and alcohols through the fermentation periods were determined by high‐performance liquid chromatography (HPLC). Results and Conclusions It was demonstrated that the best harvest time for maximizing structural and non‐structural carbohydrates production, as well as ethanol yields, was between the milk stage and hard dough stage. Moreover the highest ethanol yields were obtained with the beer type of yeast at a concentration of 0.5 g l ‐1. In addition it was found that leaf stripping at harvest and prior to juice extraction results in significantly higher ethanol yields than from un‐ stripped plants. The ethanol yields from the stripped stalks' juice, inoculated either with a glucophilic yeast or the mixture of a glucophilic and a frutophilic yeast, produced in average about 2.5 times more ethanol than the un‐ stripped stalks at the end of the fermentation process. Afterwards during the storage period the differences between the stripped and un‐stripped samples remained. Complementary test carried to compare the individual fermentation performance of the frutophilic and the glucophilic yeast types showed that the later one reached maximum ethanol yields faster and that these yields were maintained throughout the storage period (about one year). On the other hand, with the fructophilic yeast the ethanol yields increased significantly during the storage period (an increase of about 37% was registered). In conclusion, harvesting around the hard dough stage and defoliating the plants before juice extraction results in higher ethanol yields. Moreover, the use of fructophilic yeast types allows to maximize un‐distilled ethanol yields and store it for about one year without spoilage damages. _________________________________________________________________________________________________________
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Elenco dei poster Codice identificativo Sessione 1 & 2 ‐ Pianificazione territoriale, intensificazione colturale e modelli di simulazione Irrigation scenarios for herbaceous crops as a function of soil variability on the basis of resistivity mapping in south west Italy. Alromeed A.A., G. Bitella, R. Bochicchio, R. Rossi, A.D’Antonio, M. Amato A – 1 Valutazione di graminacee macroterme per la costituzione di tappeti erbosi in un’area dell’Italia Centrale. Argenti G., I. Seppoloni, N. Staglianò, S. Cecchi A – 2 Allevamento della microalga Scenedesmus quadricauda in acque reflue fitodepurate in presenza di acido naftalenacetico. Barbera A.C., S. Pantò, S. Zangara, C. Maucieri A – 3 Valutazione di varietà di trifoglio bianco (Trifolium repens L.) nella pianura irrigua lombarda. Borrelli L., G. Cabassi, F. Savi, D. Cavalli A – 4 Land use changes in a Mediterranean restored peatland: effects on arbuscular mycorrhizal fungal biodiversity. Ciccolini V., E. Pellegrino, M. Öpik, E. Bonari A – 5 Qualità del pascolo e indice di tracciabilità per la produzione del formaggio ‘Ragusano’ DOP. Copani V., L. Biondi, P. Guarnaccia, S. L. Cosentino, G. Testa A – 6 Uno studio dell’intensità dei sistemi olivicoli collinari terrazzati: il caso del Monte Pisano. Gennai‐Schott S.C., D. Rizzo, T. Sabbatini, E. Marraccini A – 7 Agronomia territoriale: una prospettiva di studio comparato dei sistemi produttivi. Marraccini E., D. Rizzo, M. Benoît, S. Lardon, E. Bonari A – 8 IC‐FAR: Valutazione dell'incertezza associata alle previsioni di impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi colturali erbacei italiani, attraverso osservazioni di lunga durata e modelli matematici di sistema colturale, a supporto di strategie di adattamento. Roggero P.P., A. Pulina, G. Baldoni, B. Basso, A. Berti, F. Danuso, C. Grignani, M Mazzoncini, S. Orlandini, M. Pasqui, F. Tei, M. Toderi, D. Ventrella A – 9 Risposta produttiva e qualitativa del mais trinciato e da granella all’incremento della densità colturale e dei trattamenti fungicidi. Testa G., M. Blandino, A. Reyneri A – 10 Effetti di lungo termine delle BMP sulla produzione e sul bilancio dell’azoto. Zavattaro L., C. Costamagna, C. Grignani, L. Bechini, A. Spiegel, T. Lehtinen, G. Guzmán, J. Krüger, T. D’Hoose, A. Pecio, F. van Evert, H. Ten Berge A – 11  •   •   • 
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Sessione 3 ‐ Tecniche colturali e qualità dei cereali e di altre colture Produttività e qualità funzionale di cereali diversi. Anastasi U., E. Mattiolo, G.M. Lombardo, R. Tuttobene, G. Santagati, S. Virgillito B – 1 Influenza dello stress salino e osmotico sulla germinazione di due cultivar di Triticum durum Desf. Barbera A.C., C. Caruso, N. Finocchiaro, C. Maucieri, V. Cavallaro, M. Borin B – 2 Mais da granella: intensificazione, gestione stocchi e sostenibilità delle produzioni. Borrelli L., G. Cabassi, F. Savi, D. Cavalli B – 3 Un modello gestionale di supporto alle decisioni per la produzione sostenibile di grano duro di qualità. 3. valutazioni tecnico‐economiche per la raccolta selettiva. Bozzolan I., F. Gasparini, E. Defrancesco, L. Sartori, F. Morari, R. Ferrise, M. Bindi, G. Mosca Simulazione della produzione risicola limitata da brusone nel distretto Lombardo‐
Piemontese. Bregaglio S., P. Titone, G. Cappelli, L. Paleari, L. Tamborini, M. Donatelli, R. Confalonieri B – 4 B – 5 Applicazione di Biopromotori al tabacco Burley: risultati di un biennio di prove. Cozzolino E., I. Sifola, P. Lombardi B – 6 Strategie di concimazione per il grano tenero nell’area casertana. Cozzolino E., P. Lombardi, V. Leone, C. Fares B – 7 Confronto di linee di tabacco Burley per l’area casertana. Cozzolino E., I. Sifola, V. Leone, P. Lombardi B – 8 Densità di impianto per cultivar semideterminate di tabacco Burley. Cozzolino E., I. Sifola, A. Lucibelli, P. Lombardi B – 9 Impiego di fanghi compostati di qualità come ammendante. Effetti sul frumento duro. Cucci G., G. Lacolla, G. Caranfa B – 10 Caratterizzazione morfologica e qualitativa di accessioni di Nicotiana tabacum L. per la produzione di olio da seme. Del Piano L., M. Abet, F. Raimo, F. Modestia, M. Sicignano, T. Enotrio, D. Civitella, G. Fecondo, S. Bucciarelli, G. Ghianni B – 11 Determinanti genetici ed ambientali della produzione del frumento duro. Ercoli L., A. Masoni, E. Pellegrino, I. Arduini Un modello gestionale di supporto alle decisioni per la produzione sostenibile di grano duro di qualità. 1. uso di previsioni stagionali per la stima di rese e qualità. Ferrise R., M. Moriondo, M. Pasqui, M. Bindi B – 12 B – 13 Effetto dell’irrigazione con acque reflue agro‐industriali depurate sulla qualità del pomodoro da industria. Gatta G., A. Libutti, A. Gagliardi, G. Disciglio, L. Beneduce, M. d’Antuono, M. Rendina, E. Tarantino B – 14 Influenze agronomiche sul contenuto in folati dei cereali e loro distribuzione all’interno della cariosside. Giordano D., M. Blandino, A. De Bernardi, A. Reyneri B – 15 _________________________________________________________________________________________________________
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Primi risultati sulla coltivazione del guado (Isatis tinctoria L.) in Sicilia. Guarnaccia P., F. Branca, P. Caruso, F. Pappalardo, M. Pinio Effetto di un concime con inibitore della nitrificazione su farro e frumento. Leoni B., C. Troccoli B – 16 B – 17 Effetto dell’interazione genotipo per trattamento con ozono sul contenuto di sostanze antiossidanti in capolini di carciofo. Lombardo S., G. Pandino, C. Restuccia, G. Muratore, F. Licciardello, A. Litrico, G. Mauromicale B – 18 Strategie agronomiche per incrementare lo stay‐green dell’orzo invernale e il suo effetto su produzione e qualità. Marinaccio F., M. Blandino, A. Reyneri B – 19 Studio del profilo aromatico della granella di varietà antiche di frumento duro. Mattiolo E., G.M. Lombardo, U. Anastasi, R. Tuttobene, F: Licciardello, A. Litrico Un modello gestionale di supporto alle decisioni per la produzione sostenibile di grano duro di qualità. 2. integrazione di proximal sensing e previsioni stagionali per l’ottimizzazione della concimazione a dose variabile. Morari F., R. Ferrise, V. Zanella, L. Sartori, F. Gasparini, D. Piragnolo, A. Berti, P. Berzaghi, M. Bindi, G. Mosca B – 20 B – 21 Profilo qualitativo dei polifenoli in Cynara cardunculus L. Pandino G., S. Lombardo, R.P. Mauro, G. Williamson, C. Reinhold, G. Mauromicale Valutazione qualitativa di pasta ottenuta da grano duro coltivato nel Nord Italia con tecniche agronomiche sito specifiche. Pasini G., S. Trevisan Sostenibilità produttivo‐ambientale, qualitativa ed economica della filiera “frumento duro”. Pisante M., F. Stagnari, A. Galieni, S. Speca, G. Cafiero, S.C. Corsi B – 22 B – 23 B – 24 Regolazione dell’assimilazione del nitrato in rucola e lattuga. Podetta N., A. Ferrante B – 25 Il ficodindia in IV gamma: strumenti per ampliarne le prospettive commerciali. Raccuia S., C. Platania, S. Tringali, V. Toscano, R. Bognanni, M.G. Melilli B – 26 Produttività e qualità di nuove accessioni di tabacco Burley. Raimo F., L. del Piano, M. Abet, M. Sicignano, T. Enotrio B – 27 Riduzione della contaminazione da micotossine emergenti nel frumento tenero attraverso il trattamento fungicida all’antesi. Scarpino V., M. Blandino, F. Vanara, A. Reyneri B – 28 Contaminazione da micotossine emergenti nel mais: il ruolo della piralide (Ostrinia nubilalis). Scarpino V., M. Blandino, F. Vanara, A. Reyneri B – 29 Phenological development and yield response of durum wheat to conservation agricultural practices in a Mediterranean cambisol. Serrani L., V. Merli, M Franceschetti, R. Orsini, G. Seddaiu, P.P. Roggero B – 30 Influenza delle micorrize sulla risposta quanti‐qualitativa di specie aromatiche. Tarraf W., C. Ruta, F. De Cillis, A. Tagarelli, G. De Mastro B – 31 _________________________________________________________________________________________________________
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Valutazione dell’attività azotofissatrice del favino in una rotazione con frumento duro condotta in sistemi diversi di gestione del suolo. Tedone L., S. Alhajj Ali, L. Verdini, G. De Mastro B – 32 Valutazione delle componenti qualitative e tecnologiche del frumento duro sottoposto a sistemi di coltivazione conservative. Tedone L., S. Alhajj Ali, L. Verdini, G. De Mastro Contributo dell’analisi della componente proteica della granella alla definizione di sostenibilità e qualità della filiera del grano duro. Visioli G., U. Bonas, A. Comastri, D. Campioli, D. Imperiale, N. Marmiroli B – 33 B – 34 Effetto di diversi fungicidi concianti sullo sviluppo radicale precoce di frumento tenero in differenti tipi di suolo. Zanella V., T. Vamerali, G. Mosca B – 35  •   •   • 
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Sessione 4 ‐ Agricoltura biologica e ricerche sulla flora infestante Confronto tra piante di pomodoro innestate con tecniche e portinnesti diversi coltivate in serra. Argento S., M.G. Melilli, P. Calderaro, M. Pulvirenti, S. Scandurra, S.A. Raccuia, F. Branca C – 1 Risposta agronomica della Chia (Salvia hispanica L.) in ambiente mediterraneo. Bochicchio R., R. Labella, M. Saraceno, M. Amato C – 2 Il living mulch quale strategia agronomica per la coltivazione in biologico di cavolfiore (Brassica olaracea L.) nel centro e sud Italia. Canali S., G. Campanelli, C. Ciaccia, M. Diacono, F. Leteo, A. Fiore, F. Montemurro C – 3 Film plastici innovativi per la pacciamatura della melanzana. Cozzolino E., P. Lombardi C – 4 Effetti di fertilità residua su broccoletto in successione dopo tobacco. Cozzolino E., A. Napolitano, A. Carella, R. Contillo C – 5 La disponibilità a pagare dei consumatori per le caratteristiche ‘concimazione azotata sostenibile’ e ‘digeribilità degli amidi’ della pasta. Defrancesco E., I. Bozzolan, M.A. Perito Film biodegradabili in MATER‐BI® nella pacciamatura della lattuga: primi risultati nell'agro acerrano. Di Mola I., E. Cozzolino, M. Mori, M. Fagnano Integrazione di tecniche di agricoltura biologica e conservativa in sistemi colturali con crescente intensità ecologica: il progetto F.I.R.B. SMOCA. Frasconi C., D. Antichi, M. Fontanelli, G. Tosti, L. Manfrini, A. Pristeri, S. Bosco, N. Nassi o Di Nasso C – 6 C – 7 C – 8 Valutazione di colture da copertura per la gestione della flora infestante e dello stato nutrizionale degli agrumeti siciliani. Mauro P., U. Anastasi, S. Lombardo, G. Pandino, G. Roberto Pesce, A. Restuccia, G. Mauromicale C – 9 Valutazione agronomica e qualitativa di nuove accessioni di cece (Cicer arietinum L.) reperite nel Salento. Raimo F., A. Albano, R. Accogli C – 10 Studio di parametri fisiologici nel pomodoro da industria in coltivazione biologica. Ronga D., S. Lovelli, M. Zaccardelli, E. Francia, J. Milc, N. Pecchioni C – 11 Caratterizzazione della biodiversità di Cucurbita pepo L. per la produzione di specialità alimentari mediterranee. Ronga D., A. Caffagni, E. Francia, J. Milc, N. Pecchioni  •   •   • 
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Sessione 5 ‐ Emissione di gas ad effetto serra e gestione agronomica del suolo Realizzazione di una piattaforma open hardware per il monitoraggio delle condizioni termoigrometriche del suolo e dell’aria. Bitella G., R. Rossi, M. Amato, M. Perniola D – 1 Efficienza di rimozione di metolacloro e terbutilazina di un sistema di fitodepurazione in agricoltura. Borin M., G. Florio, S. E. Pappalardo, V. Gasparini, S. Otto, G. Zanin D – 2 Valutazione dell’efficienza di utilizzo del fosforo organico ed inorganico da parte di due differenti ecotipi di erba medica. Cabassi G., M. Carelli, G. Cabassi, M. Aggiato, F. Savi, L. Borrelli, E. Biazzi, I. Losini, P. Abbruscato, C. Scotti D – 3 Simulazione della mineralizzazione del carbonio e dell’azoto di un liquame suino e stocchi di mais. Cavalli D., P. Marino, L. Bechini D – 4 Effetti dell’impiego di compost misto sulle caratteristiche produttive e qualitative di colture erbacee e sulla fertilità del terreno. Fecondo G., S. Bucciarelli, D. Civitella, G. Rizzo, F. ventura, M. D’Ercole, L. De Francesco, A. Mammarella, G. Ghianni D – 5 Influenza dello scheletro sugli scambi di CO2 tra suolo e atmosfera in una coltura di favino in ambiente Mediterraneo. Ferrara R.M., R. Rossi, M. Introna, N. Martinelli, F. Fornaro, A. Maria Stellacci, G. Rana D – 6 Use of a pedotransfer function to simulate soil hydrological properties dynamics. Ginaldi F., F. Candoni, F. Danuso Impact on soil quality of a land‐use gradient in a Mediterranean area. Mantino A., V. Ciccolini, E. Pellegrino, E. Bonari D – 7 D – 8 Confronto tra produttività dell’acqua totale e di irrigazione e Ky (Yield Response Factor) di pomodoro da industria e kenaf in risposta al regime irriguo deficitario in ambiente caldo‐
arido. Patanè C., A. Saita, S. La Rosa, S. L. Cosentino D – 9 Soil bulk electrical resistivity and forage ground cover: nonlinear models in an alfalfa (Medicago sativa L.) case‐study. Rossi R., A. Pollice, G. Bitella, R. Bochicchio, A.S. Stellacci, M. Perniola, M. Amato D – 10 La variabilità spaziale dei suoli pietrosi: effetti sulla corretta quantificazione dell’acqua disponibile e della densità radicale. Rossi R., R. M. Ferrara, M. Amato, S. Lovelli, M. Introna, G. Rana D – 11 Saline water and municipal solid organic waste compost: use efficiency on yield of maize crops and soil fertility. Ventrella D., R. Leogrande, O. Lopedota, C. Vitti, M. Mastrangelo, F. Montemurro D – 12 Effetto di diverse tecniche di lavorazione sulla conservazione della sostanza organica e della struttura del terreno. Verdini L., L. Tedone, S. Alhajj Ali, G. De Mastro  •   •   • 
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Atti del XLIII Convegno della Società Italiana di Agronomia - Pisa, 17-19 Settembre 2014
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Sessione 6 ‐ Colture da biomassa per energia The suitability of Giant reed and Miscanthus silages for biogas production: a preliminary comparison. Candoni F., F. Danuso, M. Baldini, F. Ginaldi E – 1 Destinazione d’uso dell’olio e della biomassa di Cruciferae diverse coltivate in ambiente mediterraneo. Copani V., C. Patanè, S. L. Cosentino, L. Chiarenza E – 2 Influenza dell’epoca di trapianto, della dimensione del nodo e del trattamento ormonale sull’attecchimento di talee mononodali di canna comune (Arundo donax L.). Copani V., V. Cavallaro, L. Chiarenza, S. Cosentino, G. Patanè E – 3 Effetto della densità sulla produzione del panico (Panicum virgatum L.). D'Andrea L., F. Fornaro, S. Moscelli, M. Mastrorilli E – 4 Giant reed (Arundo donax L.) silage as an alternative feedstock for biogas production. Dragoni F., G. Ragaglini, E. Corneli, S. Cattani, C. Tozzini, N. Nassi o di Nasso, E. Bonari Primi studi europei su fenotipizzazione di Panicum virgatum in risposta a stress salino. Lazzari F., F. Zanetti, R. Sartoni, W: Zegada‐Lizarazu, A. Monti E – 5 E – 6 Riutilizzo di biomasse agricole residuali per la produzione di energia e l’incremento della fertilità del suolo: una soluzione win‐win per le aziende olivicole del Mediterraneo. Libutti A., M. Monteleone, D. Rovas, A. Zabaniotou E – 7 Adattabilità di Cynara cardunculus l. alla produzione di biomassa ed energia in terreni marginali dell’italia meridionale. Mauro P., O. Sortino, G. R. Pesce, M. Agnello, S. Lombardo, G. Pandino, G. Mauromicale E – 8 Caratterizzazione e miglioramento genetico di Jatropha curcas l. finalizzato alla sua coltivazione in Madagascar. Palchetti E., V. Vecchio, C.G. Zubieta, E. Valenzi, S. Benedettelli E – 9 Impatto dell’epoca di semina e dell’investimento unitario sulla produttività dell’acqua e sulla RUE in una coltura di kenaf in ambiente caldo‐arido. Patanè C., V. Copani, S. L. Cosentino E – 10 Definizione di un bacino energetico potenziale per impianti di biogas con approccio GIS. Porro A., M. Negri, J. Bacenetti, S. Bocchi E – 11 Phytoremediation di cloni di Arundo donax L. in terreni contaminati con piombo. Sidella S., A.L. Fernando, S.L. Cosentino, B. Barbosa, J. Costa E – 12 Comparazione di specie graminacee poliennali della flora del sud del mediterraneo per la produzione di biomassa. Testa G., D. Scordia, V. Copani, G. Patané, S.L. Cosentino E – 13 Below‐ground development in perennial rhizomatous grasses. Triana F., N. Roncucci, N. Nassi o di Nasso, G. Ragaglini, C. Tozzini, E. Bonari E – 14 _________________________________________________________________________________________________________
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A-1
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia ‐ PISA 17‐19 Settembre 2014
Irrigation scenarios for herbaceous crops as a function of soil variability
on the basis of resistivity mapping in south west Italy
Ricerca realizzata con cofinanziato dal progetto “IRRISOL sistema integrato di gestione irrigua differenziata tramite mappatura geoelettrica ad alta risoluzione”. Psr Regione Campania 2007-2013 mis. 124.
DRD n. 215 del 07/06/2013. Codice CUP B55C11003040007
Alromeed A1. , Rossi R.2, Bitella G.1, Bochicchio, R.1, D’Antonio A. 3, Perniola M.1, Amato M.1
1
Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali, Università della Basilicata, Potenza. Autore corrispondente: [email protected]
2
Centro per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura Unità di ricerca per i sistemi colturali degli ambienti caldo‐aridi ‐ Bari)(CRA‐SCA). Autore
Regione Campania. Assessorato Agricoltura. Napoli. 3
Table 1.Summary of
irrigation scheduling
scenarios. θp= soil
water content for no
stress, θMAD = soil
water
content
of
management allowed
depletion.
Introduction
Symbol
Irrigation strategies
MAD
FI
Full irrigation
θMAD = θp
LD
Light deficit irrigation
θMAD = 90%θp
Precision irrigation is a potentially important water MD
Moderate deficit irrigation
θMAD = 80%θp
saving strategy, based on the variability in space of soil SD
Severe deficit irrigation
θMAD = 65% θp
properties and crop responses. This work aims at comparing irrigation strategies on the basis of soil spatial variability assessed through electrical resistivity Results
mapping (ERM), within the framework of Regione TAW was different among the 6 profiles identified along a gradient of ER and
Campania psr Irrisol project. ranged from 121 to 216 mm over 200 cm depth. Simulation of irrigation
strategies showed that remarkable water saving for wheat can be achieved by
Materials and methods
applying SD strategy compared to full irrigation, producing relatively low yield
Soil spatial variability was assessed through electrical losses: up to 14% in wet year with 40% water saving, and RYD 16% in dry year
resistivity mapping (ERM), conducted in a farm field at with 30% water saving.
field at Palomonte (SA) by an Automatic Resistivity
Profiler (ARP © Geocarta ‐ Paris) on‐the‐go sensor with SD strategy saves about 15‐21 % water in Drybean with RYD of about 5% in
an on‐board GPS system up to 200 cm of depth. Six dry year and 10‐17% wet year with RYD 6% compared to FI strategy; this is due
different areas were chosen based on ER and soil to some significant rain events during summer months.
texture was determined in each area on soil samples About tomato, SD strategy saves 20‐25% water with RYD 13% in wet years and
taken along profiles up to 200 cm. TAW (total available 13%‐18% water saving with RYD 14%, compared to FI strategy.
water) was calculated according to Saxton and Rawls
(2006), then the average TAW and the weighted area The occurrence of rainfall during the summer period, which was recorded in
average TAW was calculated based on surface area of many years of the weather series, provides a useful framework for adopting
SD strategy for high demand crops like tomato. Also, the annual precipitation
each of the six zones of ER maps.
of dry year arrives to 657 mm in this zone, which is a relatively high average in
Figure
1.
Spatial
distribution of electrical Mediterranean zones. In addition, minimum relative humidity (RH) was
resistivity (ER) map in the moderately high in some dry years, and this can improve KC values.
0- 200 cm depth. On the
left is the color frequency
distribution of ER with the
indication of the 6 values
ranges of ER . chosen for
soil sampling.
The ISAREG irrigation scheduling model (Teixeira and
Pereira, 1992) was then applied to each soil area to
compute water and irrigation requirements as well as
relative yield decrease (RYD) of deficit irrigation for
different crops. Weather inputs were daily data series
for 15 years (1999‐2013). Crop data include dates of
crop development stages, the corresponding crop
coefficients (Kc); root depths, crop height h, soil water
depletion fraction for non stress (p), and yield response
factor (Ky) were collected from local data sources and
FAO 56 irrigation paper.
Different irrigation strategies were simulated: one full
irrigation and 3 deficit strategies as shown in table 1, for
seven crops (Alfalfa, Artichoke, wheat, Sorghum, Maize,
Tomato and drybean).
Rainfed strategy was adopted only for wheat, alfalfa and artichoke.
Fixed net irrigation depths of D = 40 mm for sprinkler and D = 20 mm for drip irrigation were adopted. Results also indicate that SD strategy is an advantage also for maize, sorghum,
artichoke and alfalfa. Nevertheless, MD and LD strategies show less RYD than
SD strategy. Wheat rainfed strategy shows 20‐50% RYD, while artichoke
rainfed strategy applied to up to flowering stage has a significant yield loss up
to 40% in dry year, whereas alfalfa shows high RYD (up to 60%) in average
years.
Differential irrigation of each area according to its own TAW up to 100 cm of
depth allowed to save at least 10% of water without yield losses compared to
uniform irrigation using average TAW in our study case, whereas there were
no significant differences between differential irrigation and uniform irrigation
based on TAW weighted area average. Therefore ERM proved a useful tool for
uniform zone delineation depending on irrigation strategy and definition of
areas.
Conclusions
Modelling suggests that SD may be recomended in this zone with almost all
local herbaceous crops more than MD and LD, although it cannot be applied at
vital stages of plant growth like flowering and yield formation. Also, rainfed
strategy is recomended for artichcoke heads production and wheat, but not
for alfalfa, depending on water pricing.
ERM is a promising tool to determine soil variability, and from our study
useful for delineating areas with different characteristics related to TAW, and
consequently to efficient irrigation management.
References
Saxton and Rawls. 2006. Soil Water Characteristic Estimates by Texture and Organic Matter for Hydrologic Solutions. Soil Sci. Soc. Am. J. 70:1569–1578.
Teixeira J.L. and Pereira L.S. 1992. ISAREG, an irrigation scheduling model. ICID Bulletin, 41(2): 29‐48.
A-2
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Valutazione di graminacee macroterme per la costituzione
di tappeti erbosi in un’area dell’Italia Centrale
Ricerca realizzata con il finanziamento MiPAF- Bando OIGA 2009
Giovanni Argenti, Irene Seppoloni, Nicolina Staglianò, Stefano Cecchi
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente (DISPAA), Firenze - Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Negli ultimi anni si è registrato un incremento dell’uso di specie graminacee macroterme per la
costituzione di tappeti erbosi in ambienti ad influenza mediterranea, grazie alla loro capacità di
vegetare in ambienti con ridotta piovosità estiva e alle caratteristiche che tali specie conferiscono al
tappeto erboso. Per la valutazione delle performance di alcune graminacee appartenenti a questa
tipologia, è stata impiantata una prova sperimentale in un’area dell’Italia Centrale.
Materiali e metodi
Risultati
La prova si è svolta a Marciano della Chiana (AR) su terreno La specie che ha ottenuto punteggi migliori (tabella 2) per quanto riguarda
naturale secondo un disegno sperimentale a blocchi l’AEG è stata Cynodon dactylon. Tutte e tre le varietà di questa specie
mostrano un buon risultato di AEG, con valori molto costanti registrati a
randomizzati (3 repliche) su parcelle di 2x3 m.
partire dall’estate del primo anno fino all’autunno del secondo. Lolium
Le prove sono state realizzate utilizzando 7 varietà da seme
perenne ha mostrato un andamento in linea con la letteratura, con
di graminacee macroterme (Cynodon dactylon, Paspalum
insediamento molto rapido e migliori performances nel corso delle stagioni
vaginatum e Zoysia japonica) e una specie microterma
intermedie, e questo comportamento ha influenzato il valore di AEG medio. I
(Lolium perenne) come confronto (tabella 1). La semina è
bassi valori registrati per P. vaginatum e Z. japonica sono da ascrivere alla
avvenuta nel maggio del 2011 e per la valutazione
ridotta capacità di adattamento alle temperature invernali per la prima (con
qualitativa del materiale vegetale impiegato sono stati presi
scarse prestazioni al secondo anno) e al lento insediamento della seconda.
in esame alcuni parametri, monitorati periodicamente per
Per il colore le migliori performance si sono registrate per loglio e gramigna,
due stagioni vegetative consecutive:
con quest’ultima che ha presentato valori medi non significativamente
• AEG e colore, con una scala da 1 (min.) a 9 (MAX.)
diversi dalla microterma in tutte e tre le varietà. Migliore per questo
parametro il comportamento di P. vaginatum che in alcuni casi si colloca a
• Copertura e infestazione (in percentuale)
livelli non significativamente diversi da C. dactylon.
Tab. 1. Materiale vegetale a confronto
Specie
L. perenne
C. dactylon
C. dactylon
C. dactylon
P vaginatum
P. vaginatum
Z. japonica
Z. japonica
Varietà
Kokomo
Black Jack
Casino Royale
La Paloma
Marina
Sea Spray
Compadre
Zenith
I risultati relativi alla copertura delle parcelle e alla presenza di infestanti
sono molto simili a quanto visto per l’aspetto estetico. Cynodon si colloca per
tutte le varietà ai livelli migliori per questi parametri, seguito da Lolium. I
risultati peggiori sono stati fatti registrare da Zoysia, sia per quanto riguarda
la copertura che il livello di infestazione, anche se con forti differenze fra le
varietà utilizzate.
Tab. 2. Media biennale dei parametri analizzati
Specie/varietà
L. perenne Kokomo
C. dactylon Black Jack
C. dactylon Casino Royale
C. dactylon La Paloma
P. vaginatum Marina
P. vaginatum Sea Spray
Z. japonica Compadre
Z. japonica Zenith
AEG
(1-9)
4,4b
5,9ab
5,4ab
6,7a
2,2c
2,8c
1,3c
2,8c
Colore
(1-9)
6,5a
5,4ab
5,1ab
5,9a
3,8bc
4,8bc
3,3c
3,4c
Copertura
(%)
71bc
85ab
82ab
90ad
55c
52d
35e
58cd
Infestanti
(%)
11de
12cde
16bcd
7e
22b
21bc
22b
34a
In ogni colonna valori con le stesse lettere non sono significativamente diversi al test di Tukey (P<0,05)
Conclusioni
La sperimentazione ha permesso di valutare la possibilità di impiego delle specie macroterme prese in esame e di effettuarne una
caratterizzazione in una zona al limite dell’areale di possibile coltivazione. Fra quelle saggiate Cynodon dactylon si è dimostrata la migliore
sotto diversi aspetti, sia per le performance ottenute che per la costanza dei risultati raggiunti nei diversi parametri analizzati da tutte le
varietà utilizzate. Alcune criticità sono state riscontrate per Paspalum e Zoysia, anche se queste specie in altre sperimentazioni condotte in
zone climaticamente simili e su periodi di osservazione più lunghi hanno prodotto performance migliori. Ulteriori ricerche devono essere
pertanto condotte per arrivare ad una definizione più certa delle possibilità applicative di tali specie in questi contesti ambientali.
Ringraziamenti: gli autori ringraziano il partner di progetto Green Grass di Arezzo per la collaborazione
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XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Allevamento della microalga Scenedesmus quadricauda in acque reflue
fitodepurate in presenza di acido naftalenacetico
Antonio C. Barbera1, Simone Zangara1, Samuele Pantò2, Carmelo Maucieri2
1
2
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari – Università degli Studi di Catania – [email protected]
Economisti Research srl
Introduzione
L’allevamento di microalghe su scala commerciale per la produzione di biomassa sta mostrando negli ultimi anni un crescente interesse per
un mercato destinato a crescere con le nuove norme europee, che hanno fissato l'obiettivo al 2020 una quota minima del 2,5% per i
biocarburanti di seconda generazione (alghe) . Uno dei principali limiti, specialmente per la loro conversione in biocarburanti, è l'elevato
costo del substrato di allevamento. Il presente studio allo scopo di ridurre i costi di produzione, ha valutato gli effetti di acque reflue
fitodepurate e del fitormone acido naftalenacetico (NAA) come substrato di allevamento.
Materiali e metodi
Risultati
Per allevamento di Scenedesmus quadricauda si è valutato come
substrato l’impiego di acque reflue urbane fitodepurate,
addizionate con quattro concentrazioni di acido alfanaftalenacetico (NAA), fitoregolatore-fitostimolante (0, 3, 6 e 9
ppm). Come controllo è stato impiegato un substrato standard di
allevamento (BG11).
L'allevamento della microalga in acque reflue depurate ha determinato,
rispetto al substrato standard, un significativo incremento della
concentrazione di clorofilla 'a' nelle alghe con i valori più elevati in
assenza di NAA (Fig.1). Tra le tesi con acque reflue la massima
concentrazione del fitormone (9 ppm) ha stimolato un significativo
aumento del numero di alghe per ml (Fig.2). Anche la biomassa secca,
che non ha mostrato differenze significative tra le dosi di NAA allo
L’alga S. quadricauda è stata fornita dalla società AlgEn
studio, è stata significativamente inferiore per la tesi controllo (BG11)
(Slovenia).
(Fig.3).
La sperimentazione è stata condotta in contenitori plastici
trasparenti del volume di 1.5L riempiti con substrato di
allevamento per l’87% del volume. Le unità di allevamento,
inoculate con 10 ml di soluzione algale in attivo accrescimento,
sono state poste in ambiente controllato con temperatura di
28㼼2 㼻C, con cicli luce:buio di 12 ore e areate.
A cadenza settimanale sono stati rilevati contenuto di clorofilla
‘a’ e numero di cellule algali. A fine prova è stata determinata la
prodotta
biomassa totale prodotta.
Fig. 1. Contenuto medio di clorofilla a durante il ciclo di
allevamento
Fig. 3. Produzione finale di biomassa
Fig. 2. Numero medio di cellule durante il ciclo di allevamento
Conclusioni
I risultati del presente studio mostrano come l䇻impiego di acque reflue urbane fitodepurate siano un valido substrato di allevamento per la
produzione di Scenedesmus quadricauda. L䇻aggiunta di NAA alle dosi indagate non ha mostrato alcun effetto sulla biomassa prodotta
sebbene abbia determinato una risposta dose-dipendente all䇻NAA per il contenuto di clorofilla 䇺a䇻 e numero di cellule algali. In relazione a
ciò sono auspicabili ulteriori approfondimenti per indagare l䇻effetto delle dosi di NAA sulla composizione chimica della biomassa algale per
determinare la sua migliore destinazione d䇻uso.
Ringraziamenti: Gli autori ringraziano la società AlgEn e il Dr. Borut Lazar per aver fornito le colture algali pure.
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XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
VALUTAZIONE DI VARIETÀ DI TRIFOGLIO BIANCO (Trifolium
repens L.) NELLA PIANURA IRRIGUA LOMBARDA
Ricerca realizzata con il finanziamento CONVAR - MiPAAF
Lamberto
Borrelli1,
Giovanni
Cabassi1,
Francesco
Savi1,
Daniele
Cavalli2
1 Centro
di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero-Casearie, CRA – FLC, Lodi, IT, [email protected]
2 Dipartimento DISAT, Università degli Studi di Milano, IT
Introduzione
IL trifoglio bianco (Trifolium repens L.) è un elemento essenziale dei sistemi zootecnici sostenibili nei climi
temperati per la sua adattabilità a condizioni diverse sia di gestione che di fertilità del suolo (Oliveira et
al.,2013). Come per tutte le colture, la scelta varietale riveste una fondamentale importanza e per
l’impianto di un trifoglieto e gli elementi indispensabili per poterla esercitare dipendono dal tipo di
utilizzazione e dall’adattabilità delle varietà nei diversi ambienti pedo-climatici. Le esperienze di
confronto varietale sono un importante elemento conoscitivo per cui è stata impiantata presso il CRA-FLC
una prova per valutare l’adattamento ed il valore agronomico di nuove varietà di trifoglio bianco .
Materiali e metodi
Risultati
La prova è stata condotta a Lodi (45°19’ N, 9°30’E – 81,5 m
slm) e finalizzata alla valutazione varietale di trifoglio bianco di
recente costituzione, assieme ad altre già collaudate, a semina
primaverile. La zona nella quale è stata effettuata la prova è
caratterizzata da un suolo franco-sabbioso, sub-acido con
scarso contenuto di azoto, sostanza organica e potassio
scambiabile e buona dotazione fosfatica; il clima, invece, è sub
continentale con temperatura media annua di 12,2 °C ed una
precipitazione di 802 mm ben distribuita durante l’arco
dell’anno (Borrelli e Tomasoni, 2005). Per quanto riguarda
l’agrotecnica seguita per la conduzione del confronto varietale
è quella normalmente seguita nella zona. Lo schema
sperimentale adottato è stato a blocchi randomizzati con
quattro ripetizioni e parcelle di 7,5 m2. Le varietà di trifoglio in
prova sono state otto sia di tipo “ladino” (L) che “hollandicum”
(H). Nella tabella 1 sono elencate le varietà, l’anno di
iscrizione al Registro Varietale Nazionale, la prova ha avuto
durata triennale (2007-2009) ed è stata valutata la resa e la
persistenza come copertura, in %, della coltura a fine triennio.
Nella tabella 2 è riportata la resa delle varietà in prova nei tre anni di
coltivazione del prato a trifoglio bianco che mediamente ha prodotto 7,1 –
8,0 – 3,9 t ha-1 di sostanza secca rispettivamente per il 1°, 2° e 3° anno di
coltura. In termini assoluti la varietà che ha prodotto di più è stata Fantastico
con oltre il 22% in più rispetto alla media di campo ma non significativamente
diversa da Regal, Regal Graze, GC140, RD85 e RD86. Il tipo ladino ha prodotto
significativamente più di quello hollandicum di oltre 8% ed è stato anche il
tipo più persistente con il 68% di copertura finale. Anche per la persistenza il
valore assoluto più alto è stato di Fantastico (76%) e non statisticamente di
verso da Regal, Regal Graze, GC140 e RD85.
Tab. 1. Varietà in prova, anno d'iscrizione al Registro
Varietale e Costitutore/Distributore in Italia
Tipo Anno
Varietà
Costitutore/Distributore
L
Fantastico
1996 ZANADREA S.
L
Regal
1972 ALABAMA ST.
Regal Graze L
2008 CAL/WEST SEEDS
H
GC140
2008 SEED TECHNOLOGY
H
RD84
2008 DAVID PENGELLY
H
RD85
2009 DAVID PENGELLY
L
RD86
2009 DAVID PENGELLY
H
Nanouk
_
DLF-TRIFOLIUM
Tab. 2. Resa delle varietà in prova (t ha-1 di s.s.) e
copertura finale (COP) in %
Anno
Varietà
1°
2°
3°
Totale
COP %
Fantastico
10,1
8,8
4,3
23,2
76
Regal
10,3
7,9
4,1
22,3
71
Regal Graze 9,2
8,3
4,1
21,6
75
GC140
9,2
7,3
4,9
21,4
67
RD85
9,3
8,1
3,5
20,9
66
RD86
9,7
8,0
2,9
20,6
49
RD84
8,4
7,7
3,8
19,9
62
Nanouk
7,1
8,0
3,3
18,4
53
Lsd(0.05)
1,1
1,1
1,8
2,8
12
Ladino
9,8a
8,3a
3,9a
21,9a
68a
Hollandicum 8,5b
7,8a
3,8a
20,2b
62b
a, b= a lettere uguali corrispondono medie uguali a P=0.05
Conclusioni
I risultati confermano ancora una volta l'importanza di
eseguire tali prove di confronto per aiutare l’operatore nella
scelta varietale e consentire ad ogni varietà di manifestare il
proprio potenziale produttivo nell'ambiente più idoneo.
Bibliografia
Borrelli, L. e Tomasoni, C., 2005. Nota sulle caratteristiche pedo-climatiche dell’azienda dell’Istituto Sperimentale per le Colture Foraggere di Lodi. Annali
ISCF, vol. IX, 43-49.
Oliveira, J. A., 2013. Agromorphological Characterization, Cyanogenesis and Productivity of Accessions of White Clover (Trifolium repens L.) Collected in
Northern Spain. Czech J. Genet. Plant Breed., 49, 2013 (1): 24–35.
A-5
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XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Land use changes in Mediterranean restored peaty soils:
effects on arbuscular mycorrhizal fungal biodiversity
Valentina Ciccolini1, Elisa Pellegrino 1, Maarja Öpik 2, Enrico Bonari1
1
2
Istituto di Scienze della Vita - Scuola Superiore Sant䇻Anna, Pisa, Italia. Corresponding author: [email protected]
Department of Botany, University of Tartu, Tartu, Estonia
Introduction
Arbuscular mychorrhyzal (AM) fungi (Glomeromycota) colonize the roots of most terrestrial plants and have beneficial
effects on plant growth, mineral nutrition, soil fertility and structure, but all these benefits are declining upon agricultural intensification [1].
So far several studies have assessed the AM fungal diversity in different ecosystems, but there is still a lack of information regarding the effect
of land use change on these key microbes in peaty soils and especially in the Mediterranean areas. The study aimed to evaluate the effect of
land use changes on AM fungi. For this aim, AM fungal richness and community structure were assessed within the roots of two common and
co-occurring plant species across three different land use types.
Materials and methods
The experimental site was located in the southern part of the
Massaciuccoli Lake basin (Pisa, Italy) in a reclaimed peatland
drained for agricultural purposes. The soil of the study area is
classified as a peaty soil by FAO [2]. The climate of the area is
Mediterranean (Csa) according to the Köppen-Geiger climate
classification map with hot and dry summers.
The experiment was a completely randomized design with land
use as treatment and three replicates for each land use type (n =
3; field replicates of 0.7 ha). Land use type were: I. an intensively
cultivated peaty soil represented by continuous sunflower
(Heliantus annuus L.) (CULT); II. a one-year-old energy crop
plantation (Arundo donax L., Miscanthus x giganteus Greef et
Deuter) (BIOM); III. an agricultural peaty soil left abandoned for
15 years (Aband) (UNCULT). In order to assess AM fungal diversity
and community structure we sampled the roots of two common
and co-occurring plant species across three different land use
types: Poa sp. (P) and Calystegia sepium L. (Cs). Roots samples
were collected in spring 2013 from the three replicate plots of
each land use type. At least two individuals for each plant species
were sampled in each plot. AM fungi within roots were identified
using 454-sequencing [3]. Sequences were amplified from root
DNA extracts using the SSU rRNA gene primers NS31/AML2 [4;5].
Bioinformatics analyses approach used in this study is described
by Davison et al. [3]. Sequences were assigned to virtual taxa (VT)
after a BLAST search against the MaarjAM database [6]. Sampling
efficacy was evaluated by rarefaction analyses of each sample,
using the rarefy function from the R package Vegan (www.rproject.org). To test the response of the AM fungal community
within the roots of each plant species against land use,
permutational analyses of variance (PERMANOVAs) were
performed by the package PRIMER-e v. 6 (www.primer-e.com).
The principal coordinates analysis (PCO) allowed the observation
of the most relevant AM fungal patterns. AM fungal richness and
the Shannon and Simpson’s indexes of diversity were also
calculated.
Results
Fig. 1 AM fungal
community shown as
relative abundances
of AM fungal families
within the roots of
Poa sp. (left) and C.
sepium L. (right) in
the three different
land uses.
Biom
Cult
Uncult
Fig. 2 Average number of AM
fungal VT within the roots of C.
sepium in the three different
land uses types
Biom
Cult
Uncult
Fig. 3 Diversity
indexes based of
the abundances
of AM fungal VT
within the roots
of C. sepium in
the three
different land use
types. Diversity
indexes were
significantly
lower in the
CULT.
Fig. 4 PCO analyses representing the AM fungal patterns within the roots of Poa sp. (left) and
C. sepium (right) occuring in the three different land use types (symbols represent the three
replicate plots for each land use). The percentage of the total variance accounting for each
axis is reported.
Table 1. One-way PERMANOVA testing the
impact of land use on the AM fungal
community within the roots of both the
plant species. In bold statistically
significant relationships (P ≤ 0.05).
Conclusions The average number of AM fungal VT ranged from 1 to 13 within the roots of P and from 3 to 16 within the roots of Cs.
Rarefaction analysis suggested that the sampling effort was sufficient to describe richness and structure of the analyzed communities (data
not shown). Clustering the AM fungal taxa by families (Fig.1) we highlighted a higher number of family in the BIOM within the roots of both
the plant species, but only in the case of Cs this difference was significant. Glomereaceae, along with Claroideoglomeraceae, were the most
widespread families across the land use types. In the BIOM we observed a relevant presence of Acaulosporaceae (> 30%). As regard to the
richness of AM fungal VT, significant differences were evidenced only in the roots of Cs. Actually, the richness was significantly lower in the
CULT compared to BIOM and UNCULT (Fig.2). Similarly, Shannon and Simpson indexes highlighted a significant lower diversity in the CULT than
in the other land use types (Fig.3). In addition, PERMANOVAs showed that the AM fungal community structure was significantly different
among the three land-use types both within P and CS (Table 1; Fig. 4). These findings suggest that land use strongly affects the AM fungal
diversity, composition and structure within the roots of Cs. Different management practices (e.g. tillage, mowing) might have been responsible
for the shift of the structure of this key microbes. More natural environments (e.g UNCULT) showed an higher richness in term of VT (but not
in terms of families) and a different community structure if compared to the more disturbed environments.
References: [1] Smith, S.E., Read, D.J., (2008) Mycorrhizal Symbiosis, Third ed. Academic Press, Amsterdam, NL; [2] USS Working Group WRB, (2006) World
reference base for soil resources. World. Soil Resources Reports No. 103. FAO, Rome; [3] Davison J. et al. (2012) PloS one, 7, e41938; [4] Simon L., et al. (1992) Appl.
Environ. Microb. 58, 291-295; [5] Lee, J. et al. (2008) FEMS Microb. Ecol., 65, 339-349; [6] Öpik, M. et al., (2010) New Phytol. 188, 223-241.
A-6
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Qualità del pascolo e indice di rintracciabilità per la
produzione del formaggio ‘Ragusano’ DOP
5LFHUFDUHDOL]]DWDFRQLOILQDQ]LDPHQWRGHOSURJHWWR321µ352)22'¶
Venera
1
Copani1,
Luisa
Biondi1,
Paolo
Guarnaccia1,
Salvatore L. Cosentino1, Giorgio Testa1
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari, Università degli Studi di Catania. Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Nei sistemi colturali estensivi ad indirizzo cerealicolo-zootecnico dell’Altopiano ibleo, nella Sicilia sudorientale, durante la stagione primaverile, il pascolamento degli inerbimenti spontanei (‘riposi
pascolativi’) costituisce l’alimentazione prevalente dei bovini della razza autoctona 'Modicana' per la
produzione del formaggio 'Ragusano' DOP. Durante il pascolamento, le variazioni della qualità
dell’erba determinate dal rapido disseccamento del cotico erboso, si riflettono sul contenuto di
carotenoidi nel formaggio, un parametro utile per la rintracciabilità del sistema di alimentazione.
Materiali e metodi
Risultati
Nel periodo marzo-maggio 2013, coincidente
con la fase di alimentazione esclusiva al pascolo
degli animali, in due allevamenti di bovini di
razza ‘Modicana’ (‘G’ e ‘M’) rappresentativi del
territorio, sono stati prelevati contestualmente
campioni di erba e di formaggio.
La vegetazione pastorale è stata caratterizzata
secondo il metodo dell’analisi lineare (Daget
and Poissonet, 1969), determinando la facies
pastorale. Il valore pastorale (PV; Daget and
Poissonet, 1972) di ciascun pascolo è stato
ottenuto in accordo con la seguente formula:
La facies pastorale si caratterizza per la predominanza di una specie leguminosa (Lotus
ornithopodioides L.) nell’azienda ‘M’ e di due Poaceae (Hordeum murinum L. ssp.
Leporinum e Bromus madritensis L.) nell’azienda ‘G’. Il Valore pastorale dei due pascoli è
risultato simile (46 azienda ‘M’ e 41 azienda ‘G’) (Tab. 1). Nell’arco di tempo
considerato sono state registrate variazioni significative nel contenuto di umidità
dell’erba e nella composizione floristica (Tab. 2). L’indice di rintracciabilità è stato
influenzato dalla fase fenologica e dalla composizione dell’erba, mostrando un trend
decrescente da 1082 a 861 unità nell’azienda 'M' e da 976 a 865 unità nell’azienda 'G‘;
simile andamento è stato osservato per l‘indice del giallo.
Azienda ‘G’
Azienda ‘M’
dove ‘SCi’ è il contributo percentuale delle
singole specie rilevate e ‘SI’ l’indice specifico,
variabile tra 0 e 5, che riassume il valore
foraggero di ciascuna specie (Roggero et al.,
2002). Sui campioni di formaggio ‘Ragusano,
dopo 30 giorni di stagionatura, è stato
determinato lo spettro della riflettanza (tra 700
e 400 nm) e sono state rilevate le coordinate
colorimetriche CIE L‫ כ‬a‫ כ‬b‫ כ‬utilizzando uno
spettrocolorimetro
(MINOLTA
CM2022).
L’indice di rintracciabilità è stato calcolato in
accordo con Prache e Theriez (1999),
modificato da Priolo et al. (2003).
Facies pastorale
Lotus ornithopodioides L.
Bromus madritensis L.
Asphodelus fistulosus L.
Lolium rigidum L.
Valore pastorale (PV)
45,8
Facies pastorale
Hordeum murinum L. ssp. leporinum
Bromus madritensis L.
Urospermum dalechampii (L.) F.W. Schmidt
Valore pastorale (PV)
SCi (%)
27,5
18,8
10,1
41,3
Tab. 1. Contributo specifico (SCi) delle specie che determinano la facies pastorale e valore
pastorale del pascolo (PV).
Data di prelievo
21/03/2013
04/04/2013
18/04/2013
02/05/2013
Azienda
G
M
G
M
G
M
G
M
Umidità (%)
84,8
77,8
80,8
67,6
65,7
60,2
31,4
39,4
Poaceae
29,6a 24,7b 20,9b
33,4a
26,8b
33,2a
30,7b 29,9b
Fabaceae
32,0a 34,0a
29,9b 25,2b
27,2a
25,4a
20,6c
18,0c
Altre famiglie
38,4a 41,4a
49,2a
41,3b
46,0a
41,4b
48,7a
52,1a
Tab. 2. Umidità dell’erba (%) e composizione floristica del pascolo(%) alle date di prelievo.
Lettere diverse nella stessa data e per fam. botanica indicano differenze significative (P ≤
0,05, SNK test).
b
a
b
a
05/04
19/04
Scala arbitraria
a
Fig. 1. Riposo pascolativo azienda ‘G’ (a sinistra)
e ‘M’ (a destra).
SCi (%)
23,3
11,1
8,9
8,9
22/03
a
Data di prelievo
a a
03/05
Fig. 2. Indice di
rintracciabilità sui
campioni di formaggio
ragusano delle due
aziende allo studio. Per
data di prelievo, lettere
diverse indicano
differenze significative
(P ≤ 0,05, SNK test).
Conclusioni
I riposi pascolativi dell’Altopiano ibleo sono caratterizzati dalla tipica impennata produttiva (‘fiammata’) primaverile e da un altrettanto
rapido peggioramento della qualità dell’erba in termini di riduzione del contenuto di acqua della pianta e di composizione floristica.
Contestualmente, il colore del formaggio e l’indice di rintracciabilità manifestano una riduzione dei valori a causa della diminuzione del
contenuto di carotenoidi (indice di rintracciabilità) nell’erba consumata dalle vacche. Tali indici si prestano, pertanto, alla caratterizzazione
qualitativa del formaggio.
A-7
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Uno studio dell’intensità dei sistemi olivicoli
collinari terrazzati: il caso del Monte Pisano
Ricerca realizzata con il finanziamento dell’Agence Nationale de la Recherche francese per il progetto DAUME n° ANR-2010-STRA-007-01
Sabine C. Gennai-Schott1, Davide Rizzo2, Tiziana Sabbatini1, Elisa Marraccini1
1
2
Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa. Autore corrispondente: [email protected]
INRA, UMR 1273 Métafort, Saint-Genes-Champanelle (France)
Introduzione
I sistemi olivicoli collinari forniscono importanti servizi ecosistemici, oltre che valenze paesaggistiche e culturali quando sono associati a
terrazzamenti. Le dinamiche di urbanizzazione dell’area mediterranea hanno spesso indotto una periurbanizzazione di tali sistemi, da cui
deriva una crescente coesistenza, finora poco studiata, tra diversi gestori: gli olivicoltori professionali e i vari profili di olivicoltori non
professionali (Kizos et al., 2010). Questo studio ha l’obiettivo di proporre un’analisi degli olivicoltori amatoriali, nel sistema olivicolo
terrazzato del Monte Pisano, con un approccio agronomico-territoriale (Benoît, Rizzo et al., 2012).
Materiali e metodi
Risultati
Nel Comune di Calci, sito nell’area periurbana di Pisa (Fig. 1),
sono state condotte 35 interviste semi-strutturate,
rappresentative del 12% dei gestori amatoriali individuati
incrociando diverse fonti (catasto, frantoio sociale, Comune,
fonti informali). Tali interviste erano volte a dettagliare le
pratiche di conduzione degli oliveti.
Il censimento degli olivicoltori ha messo in evidenza l’importanza che
assumono localmente i gestori amatoriali (Fig. 1). Il sistema olivicolo studiato
è sicuramente estensivo: viene investito il minimo in termini di lavoro e
risorse economiche, la produzione di olio non è il motivo principale di
gestione (Fig. 2). Tutti gli oliveti sono inerbiti e vengono sfalciati da 1 a 10
volte l’anno; il diserbo non risulta praticato. Anche la lotta alla mosca viene
eeffettuata con metodi alternativi, evitando l’uso di fitofarmaci.
Fig. 2. Litri di olio prodotti
per numero di piante gestite
dagli olivicoltori amatoriali
intervistati.
Fig. 1. Dati demografici
grafici degli olivicoltori
olivicolttori amatoriali
a
Le principali caratteristiche geomorfologiche (esposizione,
densità di muretti a secco, etc.) e gestionali (frequenza di
potature e sfalci, etc.) dei singoli appezzamenti sono state
analizzate in funzione del numero di olivi gestiti. Considerata
l’elevata intensità di manodopera richiesta anche per ridotte
superfici, tale criterio è risultato più pertinente di altri
utilizzati in letteratura (piante/ettaro, pendenza, etc.) per
discriminare tra tipologie di gestori.
L’alto costo di lavoro e la gestione amatoriale che tende a limitare i costi
determinano una produzione finalizzata all’autoconsumo; l’efficienza
maggiore nella produzione di olio si raggiunge fino a 200 piante per
olivicoltore, poi decresce sotto il litro per pianta (Fig. 2) .
La gestione dei muretti a secco e del sistema scolante (19 su 35 eseguono
lavori di manutenzione) non sembra essere correlata né alla dimensione
dell’oliveto (in numero di piante) né a caratteristiche geomorfologiche o
intensità di gestione (Fig. 3): si può quindi ipotizzare che sia legata a fattori
individuali.
Fig. 3. Numero di piante per olivicoltore (sopra) e frequenza sfalci e
potature (sotto).
Conclusioni – Questo lavoro esplora il ruolo e l’influenza di nuovi profili
di attori nella gestione dei paesaggi agrari. Nel caso di studio del Monte
Pisano – emblematico degli oliveti terrazzati mediterranei – sono state
evidenziate alcune caratteristiche emergenti di un sistema produttivo
periurbano. In particolare, l’approccio agronomico territoriale ha permesso di
rendere esplicita la configurazione spaziale delle pratiche agricole come
supporto per ulteriori analisi di impatto sulle risorse naturali. Questo studio
apre dunque una nuova prospettiva sul ruolo della ricerca agronomica nella
valutazione della sostenibilità dei sistemi agrari contemporanei.
Bibliografia: Benoît, Rizzo et al. (2012) Landscape Ecology 10: 1385-1394 ; Kizos, T., A. Dalaka, e T. Petanidou (2010) Agriculture and Human Values 27: 199–212.
A-8
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
AGRONOMIA TERRITORIALE: UNA PROSPETTIVA
DI STUDIO COMPARATO DEI SISTEMI PRODUTTIVI
Elisa Marraccini1 Davide Rizzo2 Benoît Marc3 Lardon Sylvie2 Enrico Bonari1
1
Istituto di Scienze della Vita- Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Autore corrispondente: [email protected]
INRA, UMR 1273 Métafort, Saint-Genes-Champanelle (France)
3 INRA, UMR Aster, Mirecourt (France)
2
Introduzione
Da oltre vent'anni gli agronomi italiani stanno elaborando basi teoriche e metodologiche atte
a rispondere a scala territoriale alle sfide poste si sistemi agricoli (Cavazza, 1996; Benoît, Rizzo
et al., 2012). Obiettivi quali l'incremento delle produzioni per la crescente popolazione
mondiale, lo sviluppo di sistemi produttivi adattati alle nuove condizioni climatiche, o la
necessità di ampliare i servizi agroecosistemici non sono raggiunibili attraverso meri
incrementi dell’intensificazione colturale. L'agronomia territoriale propone una rinnovata
Materiali
e metodi
sintesi
degli aspetti
tecnico-agronomici con nozioni di altre discipline oltre che di questioni
sociali,
economiche
di tutela
degli in……..
elementi culturali e paesaggistici. Tale interesse
Sei campi
sperimentaliesono
stati allestiti
interdisciplinare si riflette anche nelle pubblicazioni che negli ultimi trent’anni si sono
occupate di tematiche territoriali (Fig. 1). Obiettivo di questo lavoro è proporre un quadro per
una valutazione comparata di alcuni casi di studio italiani e francesi di agronomia territoriale.
Fig. 1. Orientamento disciplinare degli
articoli contenenti la parola-chiave
“landscape” secondo il database
Scopus tra il 1990 e il 2012.
Risultati
Materiali e Metodi
Sistemi
cerealicolozootecnici e
industriali di
pianura
Rizzo et al.,
2014a
Sistemi di
colture
industriali,
vitivinicoli e
cerealicolozootecnici
Rizzo et al.,
2014b
Sistemi
collinari misti,
cerealicoli e
cerealicolozootecnici
Marraccini
et al., 2010
L’obiettivo di fornire alla locale autorità di bacino una cartografia di sintesi
delle dinamiche agricole ha richiesto un approccio temporo-spaziale: (1) i
bacini elementari sono stati caratterizzati in funzione delle principali
sequenze di uso del suolo su un periodo di 30 anni, (2) i bacini con
dinamiche simili sono stati in seguito raggruppati, (3) per ogni gruppo è
stata stimata il rischio potenziale di inquinamento da nitrati associato alle
specifiche sequenze colturali.
L’obiettivo di modellizzare la potenziale localizzazione del miscanto ha
richiesto un approccio su tre scale: (1) il campo, per le sue caratteristiche
specifiche (forma, suolo, etc.), (2) l’azienda, per fattori gestionali
(accessibilità, distanza dal centro aziendale, etc.), (3) il territorio, che
mette in relazione la logistica aziendale con le caratteristiche spaziali del
bacino di approvvigionamento.
La valutazione dei fattori che influenzano la diversità di performance agroambientali ha richiesto un approccio su tre scale: (1) l’agroecoregione per
la zonizzazione agro-ambientale, (2) L’azienda agricola per la valutazione
delle performance agro-ambientali e (3) il territorio per la correlazione tra
le performances e i fattori tra cui I più significativi sono risultati l’uso del
suolo, la dimensione degli appezzamenti e la lunghezza delle rotazioni.
Conclusioni
Il cambiamento di scala appare importante per coniugare dati e informazioni che vanno
dall’azienda ad aree di gestione più ampie (bacini idrologici, bacini di approvvigionamento,
aree omogenee per le caratteristiche agro-ecologiche). In termini di supporto alle decisioni, è
importante raggiungere una sintesi cartografica semplice di dati eterogenei e complessi. Un
passaggio metodologico comune è stato coniugare i dati sulla configurazione spaziale delle
pratiche agricole con le variabili ambientali (Fig. 2) che ha permesso di superare la
discontinuità spaziale del dato agronomico. In sintesi, la chiave dell'approccio agronomico
territoriale è considerare gli aspetti spaziali delle pratiche agricole in relazione alle variabili
ambientali. Questo permette di captare la dimensione socio-tecnica del decision-making, Fig. 2. Modello teorico dell’agronomia
territoriale (Benoit, Rizzo et al., 2012)
generalmente assente negli approcci multiscalari.
Bibliografia: Benoît M, Rizzo D et al. (2012) Landscape Ecol 10:1385-ϭϯϵϰͻCavazza L (1996) Riv Agron 30:310-ϯϭϵͻDĂƌƌĂĐĐŝŶŝet al. (2010) XI ESA
Congress, 556-ϱϱϳͻRizzo D et al. (2014a) XIII ESA Congress͕ŝŶƉƌĞƐƐͻRizzo D et al. (2014b) Biomass & Bioenergy 66:348-363.
A-9
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Valutazione dell'incertezza
rttezza associ
associata
iatta al
alle
lle previsioni di impatto
dei cambiamenti climatici sui sistemi colturali erbacei italiani,
attraverso osservazioni di lunga durata e modelli matematici
di sistema colturale, a supporto di strategie di adattamento
Ricerca realizzata con il finanziamento MIUR PRIN 2010-2011
Pier Paolo Roggero1, Antonio Pulina1, Guido Baldoni2, Bruno Basso3, Antonio Berti4, Francesco Danuso5, Carlo Grignani6,
Marco Mazzoncini7, Simone Orlandini8, Massimiliano Pasqui9, Francesco Tei10, Marco Toderi11, Domenico Ventrella12
1
Dip. Agraria, Univ. Sassari. Autore corrispondente: [email protected], 2 Dip. Scienze Agrarie, Univ. Bologna; 3 Dip. Scienze dei Sistemi Colturali,
Forestali e dell'ambiente, Univ. Basilicata; 4 Dip. Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Univ. Padova; 5 Dip. Scienze Agrarie e Ambientali, Univ.
Udine; 6 Dip. di Scienze Agrarie Forestali e Alimentari, Univ. Torino; 7 Dip. di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali, Univ. Pisa; 8 Dip.di Scienze
delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente, Univ. Firenze; 9 Istituto di Biometeorologia, CNR; 10 Dip. di Scienze Agrarie e Ambientali, Univ. Perugia;
11 Dip. di Scienze Agrarie e Amientali, Univ. Politecnica delle Marche; 12 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Bari
Introduzione
Il progetto IC-FAR è stato ideato per contribuire all'avanzamento
delle conoscenze scientifiche agronomiche sull'impatto dei
cambiamenti climatici sugli agroecosistemi, a supporto di strategie di
adattamento. IC-FAR analizza in dettaglio le componenti
dell'incertezza associate alle procedure di valutazione degli impatti
attesi, impiegando modelli calibrati con robusti dataset derivanti da
sperimentazioni di lunga durata (Long Term Experiments, LTE),
opportunamente omogeneizzati e aggiornati.
Obiettivo generale è produrre un significativo avanzamento delle
conoscenze sull'impatto atteso dai cambiamenti climatici sulle
colture erbacee, con particolare riferimento alla quantificazione
dell'incertezza delle stime operate attraverso i modelli e alle opzioni
di adattamento in diversi contesti ambientali, con una particolare
attenzione alla valorizzazione di dati ottenuti dagli LTE italiani.
Materiali e metodi
Risultati
I dataset riguardano 16 LTE ubicati in 7 siti nazionali: Torino,
Padova, Bologna, Ancona, Pisa, Perugia, Foggia. Le LTE si
caratterizzano per l’ampia gamma di colture (15) e di opzioni
di gestione (rotazioni, lavorazioni, irrigazione). IC-FAR è
strutturato in cinque WP.
È stato strutturato e implementato in un NAS un database informatizzato
condiviso fra le unità di ricerca con i dati provenienti dalle LTE, secondo
schemi compatibili con gli input per diversi modelli di simulazione.
WP1 identificazione dei modelli, sviluppo di protocolli per la
costruzione e la condivisione di database delle LTE.
WP2 calibrazione, validazione
performance dei modelli.
e
valutazione
delle
WP3 analisi di incertezza associata al modello, ai sistemi
colturali e agli scenari climatici futuri.
WP4 formazione, sviluppo di network internazionali con le
piattaforme sperimentali di lungo termine europee
WP5 coordinamento.
I modelli colturali utilizzati sono i seguenti: CSS, SALUS, DSSAT, CropSyst,
EPIC, DNDC, ROTH-C. I modelli sono fra loro differenti per caratteristiche
intrinseche e tipologia di dati richiesti per la calibrazione.
Il gruppo di ricerca UNIUD ha sviluppato il software Molinex per convertire
automaticamente i database in file di input specifici per i modelli colturale.
Per la prima fase, si è scelto di calibrare i modelli su sistemi colturali a base di
frumento (presente in quasi tutte le LTE) e mais, scegliendo i trattamenti
sperimentali che prevedessero condizioni meno minimo stress idrico e/o
nutrizionale o minime lavorazioni.
Lo step immediatamente successivo prevede l’estensione delle simulazioni a
situazioni nelle quali sono presenti degli stress per le colture.
Successivamente alla validazione, le simulazioni ottenute con clima presente
saranno realizzate impiegando gli scenari di clima futuro (2020-2040) RAMS
sviluppate dal CNR-IBIMET.
Conclusioni
IC-FAR permetterà di sviluppare una rete nazionale di prove agronomiche di
lunga durata (LTO) con l'obiettivo di creare serie storiche omogenee di dati
agroecologici. A oggi non è disponibile un database nazionale strutturato
delle informazioni raccolte nelle sperimentazioni di lungo periodo e solo
alcune delle LTE sono catalogate in database europei, che considerano
comunque i soli metadati. IC-FAR produrrà quindi un primo sistema di
archiviazione dei dati delle prove di lunga durata che potrà in futuro essere
reso disponibile anche al di fuori del progetto con modalità che consentano
di valorizzarne a pieno le potenzialità, al servizio della comunità scientifica
internazionale.
A-10
y>///Σ
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Ricerca realizzata con il finanziamento di BASF Crop Protection Italia
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Fig. 1. Trattamento fungicida per mezzo del trampolo.
Fig. 2. Elmintosporiosi
Fig. 3. Schema dei diversi investimenti.
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Fig. 4. Effetto dell’investimento colturale e
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Tab. 1. Effetto dell’investimento colturale e del trattamento
fungicida sulla produzione in granella e la qualità del trinciato.
ŝŶĐƌĞŵĞŶƚĂŶĚŽ ů͛ŝŶǀĞƐƚŝŵĞŶƚŽ ĐŽůƚƵƌĂůĞ ĚĂ ϳ͕ϱ ƉŝĂŶƚĞ Ăů ŵĞƚƌŽ
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(*) I valori contrassegnati con asterisco differiscono in modo significativo con P(F)<0.05. L’analisi statistica
è stata compiuta esclusivamente sui valori di produzione in granella e biomassa.
ƋƵĂĚƌŽ Ă ϭϬ͘ dĂůĞ ƉƌĂƚŝĐĂ ŝŶĨĂƚƚŝ ŽůƚƌĞ Ă ĐŽŶƐĞŶƚŝƌĞ ŝů
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A-11
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Effetti di lungo termine delle BMP sulla produzione
e sul bilancio dell’azoto
Ricerca realizzata con il finanziamento europeo del 7°PQ
Laura Zavattaro1, Chiara Costamagna1, Carlo Grignani1, Luca Bechini2, Adelheid Spiegel3, Taru
Guzmán4, Janine Krüger5, Tommy D’Hose6, Alicja Pecio7, Frits van Evert8, Hein Ten Berge8
Lehtinen3, Gema
1DISAFA,
2DISAA,
Univ. Torino, Autore corrispondente: [email protected]
Univ. Milano; 3AGES, Vienna, A; 4UCO, Cordoba, SP; 5IGZ, Grossbeeren, D ; 6ILVO, Merelbeke, B; 7IUNG, Pulawy, PL; 8DLO, Wageningen, NL
Introduzione
Insito nel concetto di buona pratica agricola (BMP) è che questa consenta un miglioramento nell’efficienza
d’uso delle risorse, nella mitigazione dell’impatto ambientale o nell’economia aziendale. Tuttavia, in genere è
impossibile conseguire tutti gli obiettivi, anzi, è necessario accettare compromessi, come ad es. una riduzione
di produttività a fronte di una riduzione nei costi o un aumento di S.O. Un progetto europeo FP7, Catch-C
(www.catch.eu) analizza gli effetti che diverse pratiche di gestione hanno sulla produttività, la mitigazione del
cambiamento climatico e la qualità chimica, fisica e biologica del suolo, utilizzando dati da prove di lungo
periodo europee (Long Term Experiments, LTE), in parte gestite dai partner, in parte dedotte dalla letteratura
internazionale, nazionale e tecnica. I dati da più di 350 LTE sono stati raccolti e analizzati. Vengono qui
presentati i risultati preliminari degli effetti di una serie di BMP sulla produttività, gli asporti e il surplus di N.
Materiali e metodi
Sono considerate le medie poliennali di produzioni,
asporti di N e surplus di N a scala di campo (apportiasporti) da più di 100 LTE europee.
Rapporto relativo (RR): produzioni e asporti adottando
ciascuna BMP diviso quelli in assenza della pratica, a parità
di altre condizioni. Differenza (DIFF): differenza di surplus
di N tra adozione e non adozione della pratica.
Modello lineare multiplo usando Clima, Suolo e Durata
della pratica (4 livelli ciascuno) e Coltura (12 tipi) come
fattori nominali, per valutare quali condizioni influenzino
maggiormente la performance di una BMP.
Risultati
In più dell’80% dei casi una coltura in rotazione ha prodotto più che in
omosuccessione, con un incremento medio del 5%. Migliori risultati sono
stati osservati in Europa occidentale, suoli sabbiosi o franchi, frumento o
mais e lunga durata (10-20 anni). Anche gli asporti di N sono aumentati e il
surplus si è ridotto.
Nel 60% dei casi, una coltura di copertura sfalciata (sia leguminose che
non) ha determinato un incremento di produzione. Migliori risultati in
Europa occidentale, suoli diversi dal limoso e prove di lunga durata. Anche
gli asporti sono aumentati e il surplus si è ridotto nell’80% dei casi.
Scarso l’effetto del sovescio sulla produzione e l’asporto, in tutte le
condizioni pedoclimatiche. In altre parole, la performance del sovescio non
è risultata prevedibile sulla base dei fattori considerati.
Una riduzione di produzioni e asporti è attesa nella semina su sodo, ma in
media solo del 4%. I suoli limosi hanno dato i risultati migliori.
Risultati produttivi meno incoraggianti con la minima lavorazione,
anch’essa non influenzata dai fattori considerati. Gli asporti sono aumentati
e il surplus si è ridotto in climi dell’Europa occidentale.
Fattori
RR
RR
influenti
Produz.
Asporti N
Rotazione
27
C, C, S, D 1.05+
1.03
Colture di copertura
41
C, C, S, D 1.05+
1.19
Sovescio
8
1.00
0.99
Semina su sodo
36
S
0.96
0.95
Minima lavoraz.
97
0.97+
0.91+
Letame
60
C, S
0.94+
1.00
Liquame
37
S
0.98
0.92+
Compost
21
C, C, D
0.95
1.04
Incorp. residui colt.
35
S, D
0.93+
0.95
Bruciatura residui
9
1.03+
1.05
“+” indica medie significativamente diverse da 1 (t-test, p<0.05)
Buona pratica
n.
A parità di dose fertilizzanti organici e minerali determinano produzioni e
asporti analoghi. La performance dei fertilizzanti organici dipende dal suolo
(meglio in suoli sciolti), clima (meglio se freddo) e durata
DIFF
anni).
(almeno 5-10).
Surplus N
-43.9
-3.9
1.5
-4.2
12.6+
23.9
28.2
18.7
-16.6
-6.2
L’incorporazione dei residui ha causato una riduzione della
produzione (forse per immobilizzazione di N) soprattutto in
suoli mal strutturati, in tutte le colture.
La bruciatura delle paglie dei cereali ha determinato un
aumento di produzione e asporti, riducendo il surplus di N,
anche se le osservazioni erano quasi esclusivamente in
Europa occidentale e su suoli sabbiosi.
Conclusioni
Promuovere allo stesso tempo produttività, mitigazione dei cambiamenti climatici e qualità del suolo può essere difficile.
Le LTE contengono moltissime informazioni che raramente vengono aggregate, confrontate e sfruttate.
La presentazione finale del progetto avrà luogo a Bruxelles il 19 novembre 2014 (maggiori informazioni su www.catch-c.eu)
Ringraziamenti: progetto finanziato dall’Unione Europea (G.A. 289782)
B-1
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
PRODUTTIVITA’ E QUALITA’ FUNZIONALE DI
CEREALI DIVERSI
Ricerca realizzata con il finanziamento PON DIMESA
Umberto Anastasi, Emanuela Mattiolo, Grazia M. Lombardo, Rosalena Tuttobene, Guido Santagati, Santo Virgillito
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari (DISPA), UNICT, Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Gli effetti benefici dell’inserimento di fibra solubile nella dieta ha stimolato, negli ultimi anni, l’interesse
verso l’uso di sfarinati integrali di cereali per la preparazione di prodotti funzionali utili alla prevenzione e
al controllo di diverse patologie legate a disfunzioni del profilo lipidico, alla risposta glicemica e alla
ĨƵŶnjŝŽŶĂůŝƚăŝŶƚĞƐƚŝŶĂůĞĞĐŽƌŽŶĂƌŝĐĂ͘hŶƌƵŽůŽƉĂƌƚŝĐŽůĂƌĞŝŶƚĂůƐĞŶƐŽğĂƚƚƌŝďƵŝƚŽĂŝɴ-glucani, costituenti
di natura glucidica della granella dei cereali, la cui quantità è strettamente dipendente dalla specie e
dalla varietà. Lo scopo del lavoro è stato la valutazione della risposta bioagronomica e della qualità
funzionale degli sfarinati di genotipi di diverse specie cerealicole.
Materiali e metodi
Risultati
La prova è stata condotta a Enna nell’annata 2012-2013,
adottando una gestione agronomica che ha previsto:
preparazione del terreno per la semina (27 dicembre)
mediante aratura ed erpicatura; densità di semina pari a
350 cariossidi germinabili m-2; concimazione minerale con
80 Kg ha-1 di N (totale pre-semina + copertura) e 138 Kg ha-1
di P2O5 (pre-semina); controllo chimico post-emergenza
delle infestanti (monocotiledoni + dicotiledoni). In parcelle
di 13 m2 replicate 3 volte sono stati confrontati 12 genotipi
di cereali: 3 di avena (Nave, Genziana, Primula), 4 di orzo
(Rondo, Mona, Fibar, Alamo), 2 di segale (Schlagler, Locale di
Nicolosi), 2 di frumento duro (Saragolla, Mongibello), 1 di
frumento turgido (Kamut). Sono stati effettuati rilievi
bioagronomici sulle piante (principali stadi biologici e resa in
granella) e analisi qualitative sugli sfarinati integrali ottenuti
dalla granella (contenuto proteico e di ɴ-glucani). La
determinazione delle proteine (N x 5,7) è stata effettuata
con metodo Kjeldahl, quella dei ɴ-glucani per via enzimatica
con il metodo AACC 32-23 (kit MEGAZYME K-BGLU).
La spigatura delle piante e la maturazione della granella sono avvenuti con
apprezzabili differenze, sia tra le specie che tra le varietà entro le specie (Tab.
1.). Tra i genotipi distintisi per la precocità di spigatura sono da segnalare
‘locale di Nicolosi’ di segale e ‘Rondo’ e Fibar’ di orzo. Di contro, è da rilevare
la tardività di maturazione delle varietà, ‘Schlagler’ di segale e ‘Nave’ di
avena. La resa in granella dei genotipi in prova è oscillata sensibilmente,
anche a causa del danneggiamento provocato da passeracei su alcuni
genotipi (‘Nave’ e ‘Rondo, rispettivamente di avena e orzo) durante la
granigione. Le varietà ‘Mona’ di orzo, ‘Schlagler’ di segale e ‘Mongibello’ di
frumento duro, si sono particolarmente distinte per produttività. Per il peso
specifico e quello unitario delle cariossidi, sono emerse, com’era atteso,
differenze pronunciate in rapporto alle specie: il primo è stato maggiore per
l’avena ‘Nave’, per l’orzo ‘Rondo’ per la segale ‘locale di Nicolosi’ e per il
frumento duro ‘Saragolla’, anche se entrambe le varietà di grano duro hanno
fatto osservare un peso specifico superiore a quello del kamut; il secondo è
risultato il più alto per il kamut, e superiore in ‘Genziana’, ‘Alamo’, ‘locale di
Nicolosi’ e ‘Mongibello’, nell’ordine per avena, orzo segale e frumento duro.
Tab. 1. Caratteri bioagronomici dei genotipi in prova
Specie
Avena
Orzo
Segale
Frumento
duro
Frumento
turgido
Spigatura
Maturazione Resa granella
Cultivar
d dalla semina d dalla semina
t ha-1
Nave
130
170
0,4
Genziana
128
160
3,2
Primula
134
160
3,2
Media
131
163
2,3
Dev. St.
3
6
1,6
Rondo
112
160
0,4
Mona
155
160
4,5
Fibar
119
160
3,9
Alamo
155
160
4
Media
135
160
3,2
Dev. St.
21
0
1,9
Schlagler
130
175
4,2
Nicolosi
112
160
0,8
Media
121
168
2,5
Dev. St.
13
11
2,4
Saragolla
120
160
3,9
Mongibello
127
160
4,9
Media
124
160
4,4
Dev. St.
5
0
0,7
Kamut
MEDIA
DEV.ST.
Peso Hl
kg hl-1
66,7
51,6
52,2
56,8
8,6
75,7
66,1
67,4
66,8
69,0
4,5
66,3
72,2
69,2
4,1
83,5
82,7
83,1
0,6
Peso cariosside
mg
21,8
32,5
32,0
28,8
6,0
33,0
32,8
33,9
37,5
34,3
2,2
26,0
31,8
28,9
4,1
45,1
52,5
48,8
5,2
134
161
2,7
76,8
57,1
130
14
162
5
3,0
1,6
69,0
10,1
36,3
10,3
Il tenore proteico dello sfarinato è variato anch’esso in rapporto alla specie e
alla varietà (Graf.1 a). Per ’Nave’ (avena), ‘Rondo’ e ‘Fibar’ (orzo), ‘locale di
Nicolosi’ e ‘Schlagler’ (segale), ‘Mongibello’ (frumento duro) e per il Kamut,
il contenuto proteico è stato superiore alla media, sfiorando per alcuni di
questi il 14%. Gli sfarinati di orzo e di avena sono risultati, com’era lecito
attendersi, più ricchi di ɴ–glucani (Graf. 1b). In particolare, per l’orzo si è
distinto ‘Fibar’, e per l’avena ‘Genziana’. L’effetto genotipo ha probabilmente
influito sul maggiore contenuto di questi costituenti nella varietà ‘Schlagler’
rispetto al genotipo locale di segale. Da segnalare, inoltre, il contenuto di ɴ–
glucani del kamut più elevato rispetto a quello delle due varietà di frumento
duro.
Graf. 1. Proteina grezza (a) e ȕ-glucani (b) negli sfarinati dei genotipi
in prova (linea rossa, media generale; linee nere medie spp.±Dev.St.)
(a)
(b)
Conclusioni
I risultati di questa ricerca, oltre a confermare quanto
riportato in letteratura circa la maggiore ricchezza in ɴ–
glucani degli sfarinati di avena e orzo, hanno consentito di
individuare, nell’ambito di queste specie, varietà più produttive (avena ‘Genziana’) e/o più ricche in proteine (orzo ‘Fibar’), con le quali
mettere a punto protocolli di lavorazione per la formulazione di prodotti dotati di qualità funzionali.
B-2
XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Influenza dello stress osmotico e salino sulla
germinazione di due cultivar di Triticum durum Desf.
Antonio C. Barbera1, Caterina Caruso1-2, Noemi Finocchiaro1, Carmelo Maucieri2, Valeria Cavallaro3, Maurizio Borin2
1
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari – Università degli Studi di Catania – [email protected]
Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse Naturali e Ambiente - Università degli Studi di Padova
3 Consiglio Nazionale delle Ricerche-Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree, UOS di Catania
2
Introduzione
La produzione agraria nel Bacino del Mediterraneo è condizionata da vari stress abiotici tra i quali in particolare la carenza idrica. In questo
contesto, l’impiego irriguo di acque di scarsa qualità, alcune volte caratterizzate da livelli di salinità medio-alti, può offrire una significativo
contributo al superamento degli effetti di tale stress.
La scelta di specie o varietà resistenti a questi livelli di salinità risulta essere di rilevante importanza per massimizzare le rese. Sebbene non
sia ancora chiaro se la resistenza in fase di germinazione abbia una correlazione con le performance agronomiche e produttive della pianta
durante il ciclo colturale, una ridotta germinazione influenza comunque negativamente la resa. L’obiettivo del presente studio è stato quello
di valutare gli effetti dello stress osmotico e salino sul processo di germinazione di due cultivar di Triticum durum Desf. (Timilia e
Mongibello).
Materiali e metodi
Risultati
Le cariossidi di due cultivar di Triticum durum Desf.
(Timilia e Mongibello) sono state poste a germinare in
scatole Petri a cinque diversi livelli di salinità (0; 0,125;
0,250; 0,500; 0,750 MPa), indotti con NaCl, o di
pressione osmotica indotti con mannitolo. I semi sono
stati posti a germinare in una camera di crescita a
25㼻C, al buio. Le due cultivar di frumento differivano
per le caratteristiche biologiche e produttive essendo la
cv. Mongibello di recente costituzione di bassa taglia ed
elevata produttività. La cv. Timilia ha invece taglia alta,
è stata in passato oggetto di coltivazione negli areali
Siciliani ed è oggetto di particolare attenzione per
l䇻elevata rusticità da parte degli agricoltori in biologico.
Le cariossidi sono state considerate germinate
all䇻emissione della radichetta.
Al terzo giorno dalla germinazione in un sub-campione
rappresentativo di 5 semi per scatola è stata misurata la
lunghezza della radichetta.
In assenza di stress osmotico, la germinazione delle cariossidi di Timilia e
Mongibello è stata rispettivamente del 96,7% e 90,0%. I risultati ottenuti hanno
mostrato una risposta specifica per le due varietà (Fig.1 e Fig.2) con una
significativa diminuzione della germinazione al crescere della pressione
osmotica della soluzione solo per la cv Mongibello.
Alla concentrazione massima di NaCl, la germinazione non ha mostrato
significative riduzioni rispetto al testimone in Timilia (88,3%) e si è ridotta al
50,0% per Mongibello. Nelle soluzioni con mannitolo, la germinazione di Timilia,
non si è discostata da quella rilevata in presenza di NaCl a parità di pressione,
mentre la cv. Mongibello ha fatto registrare sia a 0,50 che a 0,75 MPa una
germinazione del 50% e del 116,6% superiore a quella ottenuta in presenza di
NaCl.
L䇻allungamento della radichetta nel testimone è stato di 7,8 㼼 2,3 cm per la cv.
Mongibello e di 5,1 㼼 1,1 cm per la cv. Timilia. Alla massima pressione osmotica
(0.75 Mpa) entrambe le cvs hanno evidenziato una lunghezza della radichetta
significativamente inferiore al testimone con una riduzione pari al 47,1% e
37,3 % nella cv Timilia rispettivamente con NaCl e mannitolo e del 73,1 % e
61,5 %, nello stesso ordine, nella cv Mongibello.
Fig. 1. Germinazione percentuale della cv. Mongibello
Fig. 2. Germinazione percentuale della cv. Timilia
Conclusioni
I primi risultati ottenuti hanno evidenziato significative differenze nelle caratteristiche di germinazione delle due cultivar allo studio in
relazione allo stress osmotico. Nella cv. Timilia infatti l’aumento della pressione osmotica fino a 0,75 MPa non ha prodotto alcuna
significativa riduzione nella percentuale di semi germinati, nella cv. Mongibello gli effetti negativi sulla germinazione dell’aumento della
pressione osmotica sono apparsi più rilevanti per effetto dell’aggiunta del NaCl rispetto al mannitolo, evidenziando già a -0,50 MPa una
specifica sensibilità a questo sale. Anche le riduzioni indotte sull’allungamento della radichetta all’aumentare del potenziale osmotico sono
apparse più rilevanti nella cv. Mongibello. La cultivar più antica (Timilia), ha mostrato pertanto durante la germinazione le migliori
caratteristiche di adattamento agli stress abiotici osmotico e salino tipici dell’ambiente mediterraneo.
Ringraziamenti: Gli autori ringraziano la prof.ssa G.M. Lombardo del DISPA per aver fornito il seme di Mongibello necessario per la prova
B-3
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
MAIS DA GRANELLA: INTENSIFICAZIONE, GESTIONE
STOCCHI E SOSTENIBILITÀ DELLE PRODUZIONI
Ricerca realizzata con il finanziamento MiPAAF prog BIODATI
Lamberto Borrelli1, Giovanni Cabassi1, Francesco Savi1, Daniele Cavalli2
1 Centro
di Ricerca per le Produzioni Foraggere e Lattiero-Casearie, CRA – FLC, Lodi, IT, [email protected]
DISAT, Università degli Studi di Milano, IT
2 Dipartimento
Introduzione
La sostenibilità delle produzioni agricole ha da sempre comportato lo svolgimento di un’attività
economicamente redditizia ma rispettosa dell’ambiente. I sistemi colturali sono essenziali per il
mantenimento e il miglioramento della fertilità, svolgendo funzioni importanti nei confronti
dell’habitat, della biodiversità e del potenziale produttivo delle colture. La sostanza organica (SO) del
suolo è un importante indice della sua fertilità perché strettamente correlata con la produttività
(Vinther et al., 2004; Pan et al., 2009); infatti, a valori decrescenti di sostanza organica corrispondono
riduzioni della produttività del suolo agricolo (Lal, 2006).
Materiali e metodi
Risultati
L’obiettivo del presente lavoro è di indagare gli effetti che
l’ordinamento colturale (monocoltura vs avvicendamento) e la
gestione dei residui colturali (asportazione vs rinterro) hanno
sul contenuto della sostanza organica del suolo e la produzione
di granella di mais.
La prova, è condotta a Lodi dal 2006 (45°19’ N, 9°30’E – 81,5 m
slm) in un ambiente rappresentativo della Pianura Padana
pedemontana alluvionale e si confrontano quattro tesi
destinate alla produzione della granella di mais: i) mais in
monosuccessione (MM); ii) mais in avvicendamento triennale
(R3=mais granella - orzo trinciato + mais trinciato - loglio italico
+ mais trinciato); iii) mais in monosuccessione con asportazione
dei residui colturali (Asp); iiii) mais in monosuccessione con
rinterro dei residui colturali (Rest).
La zona nella quale è stata effettuata la prova è caratterizzata
da un suolo franco-sabbioso, sub-acido con scarso contenuto di
azoto, sostanza organica e potassio scambiabile e buona
dotazione fosfatica; il clima è sub continentale con temperatura
media annua di 12,2 °C e una precipitazione di 802 mm
(Borrelli e Tomasoni, 2005). Per quanto riguarda l’agrotecnica
seguita per la conduzione della prova è quella normalmente
adottata nella zona, la concimazione minerale distribuita è
stata pari a 250-100-100 unità di N-P-K. Lo schema
sperimentale adottato è a strip-plot con parcelle di 60 m2
ciascuna e tre repliche per tesi. La prova è in irriguo e il sistema
adottato è quello a scorrimento. La prova ha avuto durata
triennale, 2011- 2013, durante tale periodo è stata rilevata la
resa del mais. A settembre del 2010 (T0) e del 2013 sono stati
prelevati i campioni di terreno a 0-30 cm di profondità per le
analisi di laboratorio per la determinazione della SO nel suolo.
Nella figura 1 sono riportati i valori, in %, di sostanza organica (SO) del terreno
per le tesi esaminate. Per MM si è verificato un calo di SO, al contrario R3 ha
evidenziato un incremento, con un saldo positivo pari a 17% a favore
dell’avvicendamento in tre anni. Per quanto riguarda la gestione dei residui
vegetali (stocchi) del mais si è avuto lo stesso comportamento sopra descritto
rispettivamente per la tesi con asportazione e quella con la restituzione
(rinterro) degli stocchi; anche in questo caso il vantaggio della restituzione dei
residui vegetali comporta un incremento della SO pari al 16%.
Nella figura 2 viene riportata la resa media del triennio della granella di mais
nelle diverse tesi e ne risulta che il mais avvicendato produce il 22 % in più
mentre nella tesi con la restituzione degli stocchi si è avuto un aumento di resa
del 17% rispetto a quella con l’asportazione dei residui vegetali.
Fig.1. Sostanza organica (%) del terreno nelle tesi
osservate negli anni 2010 e 2013
MM
R3
Rest
2.2
2.2
2.0
2.0
1.8
1.8
1.6
1.6
1.4
1.4
1.2
1.2
1.0
Asp
1.0
2010
2013
2010
2013
Fig.2. Resa della granella di mais (t ha-1 s.s.)
12
10
8
6
Conclusioni
I risultati ottenuti in questa prova evidenziano come
l’avvicendamento e la restituzione dei residui vegetali siano le
pratiche agricole più sostenibili che meglio coniugano la
produzione e il mantenimento di fertilità del suolo .
4
2
0
CM
R3
Asp
Rest
Bibliografia
Borrelli, L. e Tomasoni, C., 2005. Nota sulle caratteristiche pedo-climatiche dell’azienda dell’Istituto Sperimentale per le Colture Foraggere di Lodi.
Annali ISCF, vol. IX, 43-49.
Lal, R., 2006. Enhancing crop yields in the developing countries through restoration of the soil organic carbon pool in agricultural lands. Land Degrad.
Dev., 17: 197–209.
Pan, G. et al. 2009. The role of soil organic matter in maintaining the productivity and yield stability of cereals in China. Agr. Ecosyst. Environ., 129:
344–348.
B-4
XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
4
UN
NM
MODELLO GESTIONALE DI SU
S
UPPOR
ORTO ALLE
SUPPORTO
DECISIONI PER LA PRODUZIONE DI GRANO
DURO DI QUALITÁ. 3. Valutazioni tecnicoeconomiche per la raccolta selettiva
Ricerca realizzata con il finanziamento AGER grant 2010-0278
1
Irene Bozzolan, Franco
Bindi3, Giuliano Mosca2
Gasparini1 ,
Edi
Defrancesco1,
Luigi
Sartori1,
Francesco Morari2, Roberto Ferrise3, Marco
1
Dipartimento Territorio e Sistemi Agro-Forestali, Università di Padova , Autore corrispondente: [email protected]
Dipartimento Agronomia Animali Alimenti Risorse Naturali e Ambiente, Università di Padova
3 Dipartimento delle Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell’Ambiente, Università di Firenze
2
Introduzione
Il lavoro presenta uno strumento di supporto alle decisioni che integrando in un unico modello di ottimizzazione dati di natura economica,
agronomica e relativi alla raccolta selettiva del prodotto, permettono all’imprenditore agricolo di attuare le proprie decisioni gestionali
finalizzate alla massimizzazione della redditività della coltivazione del grano duro di qualità.
Materiali e metodi
Risultati
Il modello si compone (Fig.1) di tre moduli fondamentali che Il modello, sviluppato in ambiente Excel con tecniche di programmazione
vanno ad alimentare il sistema di ottimizzazione: a) gestione lineare, ha come funzione obbiettivo la massimizzazione del reddito
della meccanizzazione; b) gestione agronomica; e c) operativo conseguibile in ogni strisciata di raccolta della mietitrebbia (Fig.2).
gestione economica.
Fig. 2. Processo di ottimizzazione
•Modulo della meccanizzazione: gestisce la concimazione
azotata a dose variabile attraverso la raccolta degli indici di
vegetazione puntuali della coltura e mappe di prescrizione
fornite dal modello. Provvede alla raccolta selettiva del
prodotto.
In output, fornisce all䇻imprenditore indicazione sulle scelte gestionali che
•Modulo agronomico: stima curve di produzione e proteina assicurano la massimizzazione del reddito, in particolare:
in risposta ai dati meteo previsionali, al livello di •la migliore tipologia di contratto tra quelle disponibili sul mercato (Fig.3)
concimazioni
azotate
e
alle
caratteristiche
dell䇻appezzamento.
•Modulo economico: previsioni di prezzo della granella
basate sull䇻analisi delle serie storiche dei prezzi del grano
duro fino quotato sulla piazza di Bologna e diverse forme
contrattuali con pagamenti per la qualità, nonché la •la mappa di prescrizione della concimazione variabile primaverile (Fig.4)
struttura dei costi operativi.
Fig. 1. Modello di ottimizzazione
•la mappa di guida alla raccolta selettiva del prodotto in base al contenuto
proteico (Fig.5).
Conclusioni
Il modello costituisce uno strumento di supporto alle decisioni che l䇻imprenditore agricolo deve assumere nel corso del processo di
produzione. Il modello propone delle scelte che consentono sia di perseguire un obiettivo economico privato, la massimizzazione del
reddito operativo, sia un obiettivo ambientale, attraverso una razionalizzazione delle concimazioni azotate.
B-5
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Simulazione della produzione risicola limitata da
brusone nel distretto Lombardo-Piemontese
Simone Bregaglio1, Patrizia Titone2, Giovanni Cappelli1, Livia Paleari1, Luigi Tamborini2, Marcello Donatelli3, Roberto
Confalonieri1
1
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università degli Studi di Milano. Autore corrispondente: [email protected]
Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, Centro per la sperimentazione e la certificazione delle sementi, Vercelli
3 Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura, Centro di ricerca per le colture industriali, Bologna
2
Introduzione
Le perdite di resa dovute a brusone (Magnaporthe oryzae, B. Couch) sono una delle determinanti
principali dei livelli produttivi risicoli nel mondo. In Italia, nonostante l’utilizzo di varietà resistenti e
l’impiego di trattamenti fitosanitari, l’impatto del brusone negli anni è variabile e fortemente
dipendente dalle condizioni agro-meteorologiche. Gli obiettivi di questo studio sono (i) lo sviluppo di
una soluzione di modellazione per la simulazione delle interazioni tra riso e brusone e (ii) la sua
valutazione nel distretto risicolo Lombardo-Piemontese, considerando diversi anni, località e varietà
Fig. 1. Brusone fogliare e mal
con resistenza variabile.
del collo su cv. Vialone Nano
Risultati
Materiali e metodi
oLa soluzione di modellazione ha previsto l’accoppiamento o La soluzione di modellazione sviluppata si è dimostrata efficace nel
g
p
g
q
distinguere
l’impatto
del brusone fogliare
da quello
del mal del collo.
dei componenti Diseases (Bregaglio et al., 2014) con il
modello colturale WARM (Confalonieri et al., 2009).
Fig. 3. Simulazione
oIl danno da brusone fogliare è stato simulato mediante la
la
riduzione dell’indice di area fogliare in funzione della
severità della malattia.
oIl danno da mal del collo è stato riprodotto diminuendo la
do
traslocazione degli assimilati alle pannocchie, considerando
l’evoluzione del brusone dopo la fase di fioritura.
al
oI dati di impatto di brusone sono stati raccolti a partire dal
a,
1996 in cinque località poste nelle province di Novara,
Vercelli e Pavia (272 combinazioni di anno × località ×
varietà).
ia
oLe prove sperimentali sono state condotte in risaia
on
sommersa secondo uno schema a blocchi randomizzati con
tre repliche per varietà, in parcelle di 8m × 6m.
del danno da
brusone fogliare e
mal del collo in due
stagioni colturali
contrastanti. Le
figure a sinistra (a,
c, e) mostrano un
forte impatto di
brusone fogliare,
mentre quelle a
destra (b, d, f) si
riferiscono a un
forte impatto di mal
del collo, che
determina un
impatto diretto
sulla resa.
o Il confronto tra dati misurati
simulati
una buona
mis rati e sim
lati ha eevidenziato
ide
capacità predittiva della soluzione di modellazione.
Fig. 2. Campo
sperimentale di
Garbagna Novarese.
Sono visibili le
parcelle sperimentali.
Fig. 4. Confronto tra l’impatto medio di
brusone osservato (istogrammi, scala 0-5) e
riduzione di resa simulata (linea tratteggiata,
% sul potenziale) nei diversi anni nelle località
considerate. I diversi colori indicano gli anni
utilizzati per la calibrazione (azzurro) e per la
valutazione indipendente (arancione).
oL’impatto del brusone è stato rilevato prima della raccolta
utilizzando la scala stabilita nei Criteri per l’iscrizione al
Registro Nazionale di varietà di riso, che prevede sei livelli
progressivi di severità (i.e., 0=assenza della malattia,
5=perdita totale della produzione), in funzione della
percentuale di area fogliare colpita e dell’incidenza del mal
del collo.
Conclusioni
Questo studio presenta l’accoppiamento di un modello colturale e di un modello epidemiologico al fine di simulare dinamicamente le
interazioni riso-brusone per quantificare le perdite di resa. I risultati ottenuti nel distretto risicolo Lombardo-Piemontese sono
incoraggianti. Ulteriori sviluppi prevedono l’applicazione della soluzione di modellazione in condizioni agro-ambientali differenti da quelle
esplorate.
Bibliografia:
Bregaglio, S., Donatelli, M., Confalonieri, R., 2014. A library of software components for large area plant airborne diseases simulation. Env. Model. Softw., submitted.
Confalonieri, R., Rosenmund, A.S., Baruth, B., 2009. An improved model to simulate rice yield. Agron. Sustain. Dev. 29, 463–474.
B-6
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
APPLICAZIONE DI BIOPROMOTORI AL TABACCO
BURLEY:RISULTATI DI UN BIENNIO DI PROVE
Eugenio Cozzolino1, Pasquale Lombardi1, Maria Isabella Sifola2
P
1
2
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco
Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Agraria, Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
L'apporto di microelementi nella fertilizzazione delle colture è stato tradizionalmente considerato utile solo in casi di evidenti carenze.
L'offerta sul mercato di formulati a costi non eccessivi induce a un impiego più frequente, come parte della concimazione ordinaria,
specialmente dove questa è associata all'irrigazione. Per verificare la convenienza di impiegare anche microelementi nella concimazione del
tabacco Burley sono stati confrontati quattro prodotti commerciali di varia composizione in saggi ripetuti negli anni 2012 e 2013.
Materiali e metodi
Risultati
I saggi sono stati condotti nell'azienda del CRA-CAT a
Scafati. I formulati confrontati, venduti come
biopromotori di crescita, erano: GrandFertì (FERTENIA),
contenente un complesso aminoacidico, acidi umici,
polisaccaridi, acidi organici, vitamine del gruppo B e
chelati EDTA di ferro, zinco e manganese (conc. totale
20.6%); Nov@ (BIOLCHIM), contenente estratti
vegetali, acidi organici, vitamine e microelementi
chelati in proporzione non specificata, ma ammontante
all'1% di N totale, 10% di carbonio e 30% di sostanza
organica; Maral (AGRIGES), contenente zinco (5%),
manganese (5%) e RiZea, un prodotto della Agriges
probabilmente analogo agli altri due formulati;
Geoactyve (AGRITEC), organico azotato contenente
microelementi, amminoacidi, carboidrati, enzimi, zinco
e manganese (conc. totale 28%), quest'ultimo saggiato
solo nel 2013. I trattamenti, corripondenti all'impiego
di ciascun formulato e a un testimone non trattato,
sono stati applicati a parcelle di 30 piante (densità
37,000 p ha-1) con due repliche. Il tabacco è stato
trapiantato il 18/6 nel 2012 e il 13/6 nel 2013,
concimato in copertura con 150 U/ di N, in due
passaggi, e gli integratori sono stati somministrati per
fertirrigazione alle dosi di 5 L ha-1 (Maral) e 30 L ha-1
(Nov@, GrandFertì e Geoactyve) a 10 e 25 giorni dal
trapianto. Rilievi sulla biomassa sono stati eseguiti a 30
e 45 giorni dal trapianto su due piante per parcella e
rilievi sulle dimensioni di pianta e organi dopo la
fioritura e durante la raccolta. Il prodotto curato è stato
valutato per la qualità visuale da esperti secondo una
scala decimale e analisi di nicotina, azoto totale e
nitrati sono state eseguite con autoanalyzer Technicon.
La combustibilità è stata determinata con pirografo
Sodim. Distribuzioni predittive delle risposte sono state
ottenute adattando un modello normale con prior poco
informativi con il programma jags (Plummer, 2003) e
funzioni dei pacchetti R2jags (Yu-Sung e Masanao,
2012) e ggplot2 (Wickham, 2009) nell'ambiente R (R
Core Team, 2014).
Tutti e quattro i biopromotori hanno stimolato lo sviluppo vegetativo e in
particolare l'espansione fogliare (figura 1). Nov@ è quello che ha fatto rilevare il
maggior incremento di altezza della pianta, diametro del fusto, superficie fogliare
(+0.64 m2 per pianta) e livello di biomassa secca a 45 giorni (+0.46 t ha-1),
Geoactyve è risultato secondo per lo stimolo all'espansione fogliare, mentre
GrandFertì ha mostrato l'effetto più marcato sul numero di foglie per pianta. La
differenza degli effetti sul numero di foglie e sulla superficie fogliare indica che
gran parte dell'aumento della superficie fogliare per pianta è dovuto a maggior
dimensione delle foglie. Con Maral si è avuto il più alto tasso di accrescimento
nella fase iniziale di levata (30-45 giorni dal trapianto), con +18 kg ha-1 g-1 rispetto
al testimone. Al maggior sviluppo vegetativo ha corrisposto un apprezzabile,
anche se non proporzionale, incremento di resa in prodotto curato, prevedibile
con buona probabilità superiore al 5% e variato in media tra +0.31 t ha-1 per
GrandFertì e +0.41 t ha-1 per Geoactyve, che però è stato saggiato soltanto nel
2013. L'effetto dei biopromotori è stato nettamente positivo sulle caratteristiche
fisiche della foglia curata, con incremento medio prossimo a un punto su dieci
(+15%) per l'indice della qualità di aspetto e di 1.5-2 sec (+16%) della
combustibilità. L'effetto sugli indici chimici è risultato modesto per Maral e
GrandFertì, mentre si è rilevato un moderato aumento di nicotina e azoto totale
con Nov@ e Geoactyve e un aumento di nitrato con Nov@.
Fig. 1. Previsioni degli indici di sviluppo e di resa del tabacco Burley in funzione dei
biopromotori, su dati biennali. Le bande rappresentano mediana e percentili 2.5, 16, 84 e 97.5
delle distribuzioni predittive (intervalli al 68% e 95%). I numeri sono RGGV di un incremento
superiore al 5% rispetto al testimone.
Conclusioni
Nelle condizioni dell'ambiente di saggio il tabacco Burley ha mostrato di beneficiare di una moderata somministrazione di sostanze quali i
biopromotori saggiati, con miglioramenti di produzione e qualità che possono far prevedere con buona probabilità un utile netto positivo
per la pratica.
Ringraziamenti: Un vivo ringraziamento al Sig. Ciro Chierchia per la fattiva collaborazione nella conduzione del saggio
B-7
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
STRATEGIE DI CONCIMAZIONE PER IL GRANO
TENERO NELL’AREA CASERTANA
Eugenio Cozzolino1, Pasquale Lombardi1, Vincenzo Leone1, Clara Fares2
1Consiglio
per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco (CRA-CAT), Autore corrispondente:
[email protected]
2Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Centro di ricerca per la cerealicoltura (CRA-CER)
Introduzione
La coltura del grano tenero nei suoli della piana interna casertana poveri di sostanza organica e di modesta capacità idrica può avere
maggior successo se orientata verso la produzione di farine da biscotti, per la difficoltà in tali condizioni di raggiungere i requisiti delle
farine da pane. A tal fine abbiamo iniziato un esperimento per saggiare la possibilità di migliorare la qualità della granella di produzione
locale mediante la concimazione e presentiamo qui i risultati del primo anno.
Materiali e metodi
Risultati
Il saggio, condotto con la cv Sy Alteo su
suolo sabbioso nel comune di Vitulazio
(CE) nel 2013, in successione a tabacco
Burley,
ha
compreso
cinque
trattamenti di concimazione azotata:
N.0k, testimone non concimato;
Nm.120k, testimone concimato con
120 U ha-1 di N minerale ordinario,
frazionati in 2 applicazioni; Nmlr.120k,
120 U ha-1 di N minerale a lento
rilascio; Nom.120k, 120 U ha-1 di N da
fertilizzante organo-minerale, frazionati
in due applicazioni; CoNm.10t50k, 10 t
ha-1 di compost da frazione organica di
residui urbani + 50 U ha-1 di N
minerale. Per tutti 50 U ha-1 di P2O5
presemina. I trattamenti sono stati
assegnati a parcelle di 50 m2 e replicati
due volte in un disegno a blocchi. Su
campioni parcellari di prodotto sono
stati misurati: peso di 1000 semi, peso
ettolitrico, percentuale di proteine,
durezza, indice di forza della farina (W),
indice di tenacità (P) e di estensibilità
dell’impasto (L), dai quali il rapporto
tenacità/estensibilità
(P/L),
come
misura del grado di equilibrio della
farina. La distribuzione predittiva degli
indici di risposta in funzione dei
trattamenti è stata ottenuta adattando
un modello a distribuzione T con il
programma jags (Plummer, 2003) e
funzioni dei pacchetti R2jags (Yu-Sung
e Masanao, 2013) e ggplot2 (Wickham,
2009) nell’ambiente R (R Core Team,
2013).
Tutti i trattamenti di concimazione con azoto hanno fatto aumentare in modo consistente la
produzione di granella, con incrementi medi del 24% per il compost, del 30% per l’organominerale, del 36% per il fertilizzante a lento rilascio e del 41% per il testimone concimato (figure
1 e 2). Un notevole effetto positivo sul peso di 1000 semi è stato rilevato solo per il testimone
concimato e l’organo-minerale, mentre quest’ultimo e il compost hanno fatto diminuire
leggermente il peso ettolitrico (in media dell’1-2%). La concimazione ha fatto aumentare il
tenore di proteine, ma in modo più marcato con l’organo-minerale e con il compost (in media
del 14-15%, contro un 5-7% del minerale). Le caratteristiche attitudinali della farina, durezza,
forza (W) e indice di equilibrio (P/L), sono migliorate marginalmente o per niente con la
concimazione puramente minerale, ma in misura apprezzabile con l’organo-minerale e il
compost (in media del 22% la durezza, del 36 e 29% rispettivamente la forza (W) e del 30% e
70% l’indice di equilibrio). L’eventualità di migliorare le caratteristiche attitudinali con la
concimazione è decisamente maggiore se è presente anche una componente organica (figura 3).
Fig. 2. Diagramma a coordinate parallele dei valori medi delle
risposte per trattamento (nomi come simboli).
Fig. 1. Previsioni delle differenze percentuali rispetto al testimone
non concimato per gli indici di risposta, con intervalli credibili al
68% e 95%.
Fig. 3. Odds di effetto
della concimazione
maggiore per organominerale rispetto a
minerale.
I risultati di questo primo anno di saggio indicano che nell’ambiente considerato la
concimazione azotata è un fattore importante di resa e che la presenza di una componente
organica nel fertilizzante ha un effetto positivo sulla qualità della farina.
Conclusioni
L’apporto di azoto con la concimazione ha mostrato di incrementare considerevolmente la produzione unitaria della varietà di frumento
tenero da biscotti Sy Alteo nell’ambiente considerato, mentre la probabilità di migliorare l’attitudine della farina appare nettamente più alta
con l’uso di fertilizzante organo-minerale o di compost rispetto al solo minerale; i valori degli indici ottenibili in tal caso sono compatibili
con un’attitudine alla panificazione.
Ringraziamenti: Un vivo ringraziamento va ad Alessia Società Agricola a r.l. per aver ospitato a titolo gratuito la sperimentazione
B-8
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
CONFRONTO DI LINEE DI TABACCO BURLEY PER
L’AREA CASERTANA
P
Eugenio Cozzolino1, Pasquale Lombardi1, Vincenzo Leone1, Maria Isabella Sifola2
1
2
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco
Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Agraria, Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Il tabacco Burley casertano è un prodotto apprezzato per la produzione di sigarette di stile americano per la gentilezza del tessuto, il gusto
neutro e il basso contenuto in alcaloidi. La carenza di adeguata informazione sull'adattamento di nuove cultivar all’area di produzione
rende difficile per l'industria del tabacco giovarsi di possibili miglioramenti consentiti da varietà più adatte. Contribuire a colmare tale
carenza è lo scopo del confronto varietale oggetto di questa nota, includente recenti cultivar americane.
Materiali e metodi
Risultati
Il confronto ha interessato 18 cultivar
ed è stato condotto in due saggi negli
anni 2011-2012 nel comune di
Vitulazio (CE, Società Agricola ALESSIA),
con 14 cultivar nel primo anno e 13 nel
secondo, di cui nove presenti in
entrambi gli anni, utilizzando come
controllo la cv FB9, prevalente nell’area
casertana del Burley, in un disegno a
blocchi completi con 2 repliche e
parcelle di 40 mq, con pratiche colturali
consuete per il Burley casertano:
raccolta a foglie in almeno 3 passaggi,
concimazione idonea per zone
vulnerabili all’inquinamento da nitrati,
irrigazione con ala gocciolante,
allestimento in filze e cura in capanne
con copertura in plastica. Al termine
della cura le foglie sono state pesate a
umidità del 19% per il calcolo della
resa. Il prodotto curato è stato gradato
per la qualità visuale su una scala
decimale da un esperto. Un indice
complessivo del valore prodotto
(prodotto equivalente di massima
qualità) è stato calcolato moltiplicando
il prodotto curato per il punto di
qualità di aspetto normalizzato
(dividendo per il valore massimo).
Distribuzioni predittive delle rese in
funzione di cultivar e densità sono
state ottenute adattando un modello a
distribuzione normale con il software
jags (Plummer, 2003) e funzioni dei
pacchetti contribuiti R2jags (Yu-Sung e
Masanao, 2013) e ggplot2 (Wickham,
2009) nell’ambiente R (R Core Team,
2013).
Le linee tardive STARTAR, PM34 e PM35 hanno fornito produzioni mediamente più alte del 1213% rispetto a quella del testimone FB9, la produzione del quale è risultata in linea con quella
delle altre linee tardive, mentre le linee più precoci (FB3117 e FB39119) hanno fatto rilevare le
produzioni più basse (23-24% in meno rispetto alla cultivar testimone ) (figura 1).
Fig. 1. Sintesi delle distribuzioni predittive degli indici di risposta di 18 cultivar di
tabacco Burley, in uno (barre grigie) o due saggi (barre nere). Le barre rappresentano
mediane e intervalli tra i percentili 5 e 95 (tratto sottile) e 15 e 85 (tratto spesso.
Le linee tardive, eccettuata la FB82, hanno mostrato anche buoni livelli di qualità e sono
pertanto risultate le migliori per produzione equivalente di massima qualità.
Le linee di media precocità hanno mostrato produzioni generalmente inferiori rispetto alla
testimone, ma, eccettuata la ELITE DDF, livelli di qualità comparabili (F40, DLS) o superiori
(KT204LC, KT206LC, KT200LC, HB4488P), con produzioni equivalenti di massima qualità
generalmente comparabili tra loro e con la testimone.
Le linee FB3119, FB3117, HB4488P, KT204LC e KT206LC non sono state saggiate nel 2012, le
prime due per bassa resa, le altre per indisponibilità di seme. Delle quattro linee aggiunte in
sostituzione nel secondo anno (F49, DLS, ELITE DFF e PM35), due hanno fornito rese agli estremi
della graduatoria, la F49 in basso e la PM35 in alto, e due nel gruppo intermedio.
Conclusioni
Tra le cultivar saggiate per due anni, STARTAR e PM34, e tra quelle saggiate per un solo anno PM35, hanno mostrato considerevoli
incrementi di resa in prodotto curato e qualità della foglia rispetto alla cultivar testimone. Delle restanti, una decina hanno fornito rese
comparabili e quattro rese decisamente inferiori.
Ringraziamenti:Un sentito ringraziamento va a Federico Milito e Francesco Nacca di Alessia Società Agricola a r.l.
B-9
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Densità di impianto per cultivar semideterminate di
tabacco Burley
Ricerca realizzata con il finanziamento PSR 2007-2013 Reg.Campania mis.124 Prog. Tab.It
P
Eugenio Cozzolino1, Renato Contillo1, Andrea Lucibelli2, Maria Isabella Sifola2
1
2
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco
Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Agraria, Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
La coltura del tabacco Burley in Campania si è basata a lungo su cultivar con alto numero di foglie per la tendenza dei produttori a
massimizzare le rese unitarie, contando su manodopera migrante per contenere i costi di raccolta. Il progressivo ridursi del livello di
protezione politica della coltura impone di riconsiderare le scelte di contenimento dei costi. La meccanizzazione della raccolta è
possibilmente una delle vie, ma richiede cultivar differenti da quelle di maggior diffusione. Con tale finalità stiamo valutando delle cultivar
a sviluppo semideterminato in un intervallo di densità di impianto, per vedere in che misura è possibile mantenere con esse i livelli di resa
consueti con quelle a sviluppo indeterminato, e qui presentiamo i risultati del secondo anno di saggio.
Materiali e metodi
Risultati
L'esperimento è in corso a Vitulazio (CE) con
trattamenti costituiti dalle combinazioni di
quattro
cultivar - PM34 testimone
indeterminato, (costitutore Massaro Paolo),
F24, F40 e F49, semi-determinate, (costitutore
Bartolucci Danilo) - per tre densità d'impianto
(33,700; 37,000; 41,200 piante per ettaro)
ottenute variando la spaziatura sulla fila con
interfila fissa di 0.9 m, in un disegno a blocchi
con tre repliche e parcelle di 40 m2. Il tabacco
è stato trapiantato nella prima decade di
maggio, concimato in copertura con 150 kg
ha-1 di N e allevato con pratiche in uso
nell'area. Indici di sviluppo vegetativo sono
stati rilevati sulle piante a maturità; il
prodotto curato è stato determinato a umidità
del 19% e gradato per l'aspetto su una scala
decimale da un esperto; determinazioni di
nicotina, azoto totale, nitrati, combustibilità,
scostolato e colore sono state eseguite presso
il CRA-CAT. Un indice complessivo di qualità è
stato ottenuto come media dei punteggi
normalizzati (in scala 0:100) di grado e
parametri chimici e fisici della foglia curata. Il
prodotto equivalente di massima qualità è
stato calcolato moltiplicando il prodotto
curato per l'indice di qualità (normalizzato in
scala 0:1). Distribuzioni predittive delle rese in
funzione di cultivar e densità sono state
ottenute
adattando
modelli
statistici
appropriati (distribuzioni T e beta) con il
software jags (Plummer, 2003) e funzioni dei
pacchetti contribuiti R2jags (Yu-Sung e
Masanao, 2013) e ggplot2 (Wickham, 2009)
nell’ambiente R (R Core Team, 2013).
Le nuove cultivar hanno fornito livelli di resa e di qualità comparabili in certa misura a
quelli della testimone soltanto agli estremi dell'intervallo di densità saggiato (figura 1).
Fig. 1. Sintesi delle distribuzioni predittive per prodotto curato, indice complessivo di qualità e
prodotto equivalente di massima qualità. Valori osservati (linee sottili e simboli) e interpolazione (linea
spessa). Le bande rappresentano intervalli tra i percentili 5 e 95 (esterna) e 15 e 85 (interna).
Il prodotto curato è aumentato aumentando la densità fino a circa 37,000 piante ha-1,
diminuendo poi in misura simile o anche maggiore con un pari ulteriore aumento. La F40
ha superato leggermente la F24 e questa la F49, ma tutte e tre hanno prodotto meno
della testimone, con riduzioni medie rispettivamente intorno al 10%, 13% e 19%. L'indice
di qualità in funzione della densità ha mostrato la stessa tendenza del prodotto curato per
la cultivar testimone, con miglioramento a una densità intermedia nell'intervallo, ma una
tendenza a diminuire in tutto l'intervallo per le nuove cultivar, più accentuata per la F24, e
queste sono risultate decisamente inferiori alla testimone, soprattutto a densità
intermedia in corrispondenza del massimo livello di resa in prodotto curato, con riduzioni
medie dell'indice tra il 36% della F24 e il 44% della F49. L'indice sintetico di resa, il
prodotto equivalente di massima qualità, in relazione con la densità ha mostrato un
massimo a densità intermedia per la testimone PM34, nessun effetto fino a densità
intermedia e una moderata tendenza negativa a densità maggiore con le nuove cultivar, in
particolare con la F24. La risposta vegetativa all'aumento della densità nell'intervallo
considerato è stata notevole, con aumento dell'altezza della pianta e del numero di foglie,
riduzione del diametro del fusto e, oltre un certo livello, delle dimensioni fogliari. Per
tutte le cultivar combustibilità e qualità di aspetto hanno mostrato tendenza la
peggioramento con l'aumento della densità, mentre per resa in scostolato e colore le
tendenze sono state divergenti. Il rapporto nicotina/(N totale + nitrati), indice di qualità
chimica è migliorato leggermente con la densità per PM34 e F24, peggiorato per le altre
due cultivar.
Conclusioni
Le cultivar F24, F40 e F49 hanno mostrato rese in tabacco curato e indici di qualità poco differenti, con risposta alla densità fino a circa
37,000 piante ha-1 positiva per il prodotto e scarsa per la qualità e risposta negativa per prodotto e qualità per un ulteriore incremento di
densità, risultando non competitive per entrambi gli indici con la testimone PM34. Ma i ridotti livelli di resa potrebbero essere compensati
da una riduzione dei costi di raccolta e cura.
Ringraziamenti: Un vivo ringraziamento alla Società Agricola “Alessia a r.l.”
B-10
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Impiego di fanghi compostati di qualità come
ammendante. Effetti sul frumento duro
Ricerca realizzata con il finanziamento ex 60% Ateneo
Giovanna Cucci, Giovanni Lacolla, Gianraffaele Caranfa, M.A.Mastro
Dipartimento di Scienze Agro-ambientali e Territoriali, Università degli Studi di Bari “A.Moro”. Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
L’uso agronomico dei reflui dipende dalle loro caratteristiche chimiche e fisiche e dalla natura
pedologica del terreno interessato, in funzione della sua vulnerabilità e delle esigenze della coltura su
cui si intende distribuirli.
Obiettivo della ricerca è stato quello di confrontare l’effetto cumulato nel tempo dell’interramento di
diverse dosi di fanghi compostati di acque reflue urbane e della concimazione minerale su colture in
successione (patata-frumento-orzo) allevate in contenitori da 244 dm3, riempiti con terreno limosoargilloso, dislocati in pien’aria. In questa nota si riportano i risultati ottenuti su coltura di frumento
duro (cv Iride).
Materiali e metodi
Con schema sperimentale a blocchi randomizzati ripetuti 6
volte, sono stati messi a confronto il controllo non trattato
(0), la concimazione minerale (Min), l’ammendamento con
fanghi compostati di acque reflue alle dosi di 3-6-9-12 Mg
ha-1 di sostanza secca (3, 6, 9 e 12) e l’integrazione della
dose 6 con 60 kg ha-1 di N impiegata per la tesi Min. Le dosi
di concimi minerali sono state 120, 100 e 100 kg ha-1,
rispettivamente di N, P2O5 e K2O. Il compost utilizzato è
stato prodotto dalla ditta ASECO di Ginosa Marina (TA) Italy
e interrato circa 2 mesi prima della semina del frumento
effettuata il 5 dicembre 2012.
Durante la fase di fioritura (14-05-2013) è stato rilevato
l’indice di clorofilla misurato con Chlorophyll Meter (SPAD502, Minolta) per verificare lo stato di nutrizione azotata.
Alla raccolta, effettuata a maturazione piena della granella il
28 giugno 2013, sono stati rilevati i principali parametri
morfologici, produttivi e tecnologici: altezza piante, numero
culmi e spighe, biomassa secca epigea, produzione
cariossidi, peso 1000 semi, peso ettolitrico e bianconatura.
6+60 N
3
Foto 2. Dose 6 Mg di refluo+60 kg-1 N
ha-1 e dose 3 Mg ha-1 di refluo
Risultati
I risultati sperimentali ottenuti da coltura di frumento duro, cultivar Iride,
allevata dopo interramento di dosi crescenti di fanghi compostati di acque
reflue urbane, indicano che i parametri biologici, morfologici, produttivi e
tecnologici rilevati sono significativamente influenzati dall’impiego
dell’ammendante come fertilizzante. In particolare il contenuto di clorofilla
misurato è aumentato significativamente con l’incremento della dose di
compost fino a quasi raddoppiarsi (indice 48,6) con l’apporto della più alta
dose (12 Mg ha-1) rispetto al controllo (indice 26,9). Anche la massima
altezza delle piante si è raggiunta con lo spargimento della più alta dose di
compost, senza discostarsi da quelle delle tesi dove era prevista la
concimazione minerale (Tab. 1). Con lo spargimento sul terreno di dosi
crescenti di fanghi compostati, rispetto al controllo, sono aumentati anche il
numero di culmi e spighe per vaso e la biomassa secca, raggiungendo con
l’apporto di 12 Mg ha-1 di compost, rispettivamente un aumento del + 45%, +
48% e del + 118%. Di conseguenza, così come le sue componenti, la
produzione di cariossidi è stata influenzata positivamente dall’interramento
di dosi crescenti di fanghi compostati di acque reflue raggiungendo un
massimo di 4,5 Mg ha-1 con l’apporto della massima dose di refluo, senza
discostarsi statisticamente dalla tesi che prevedeva l’apporto di 6 Mg ha-1 più
60 kg ha-1 di N. Gli effetti della concimazione minerale sui parametri
tecnologici (peso 1000 semi, peso ettolitrico) non sono stati diversi
dall’apporto della massima dose di compost. La bianconatura è diminuita del
41% passando dal controllo non fertilizzato alla tesi con l’apporto della più
alta dose di compost senza discostarsi per la coltura trattata con
concimazione minerale (Tab. 1).
Tab. 1. Effetti di dosi crescenti di fanghi compostati di acque reflue urbane e concimazione minerale
su parametri biologici, morfologici, produttivi e tecnologici di frumento duro (cv Iride).
Foto 1. panoramica della prova
Trattamenti
Fanghi compostati Indice
(Mg ha-1)
SPAD
0
26,9E
3
29,8E
6
33,6D
9
36,9C
12
48,6B
6+1/2 N
52,5A
Conc. Min.
54,7A
Altezza
pianta
(cm)
62,5 D
69,8 C
71,2 C
74,0 B
76,7 A
76,8 A
77,7 A
Parametri morfologici e produttivi
Biom. Produzione Peso 1000 Peso
epigea cariossidi
semi
ettolit.
-1
(n vaso )
(g vaso-1 )
(g)
(kg hl-1)
144F 134E
249F
133,2E
42,3E
79,9D
164E 151D
291E
153,8D
43,5E
81,1C
175D 162C
263D
163,4DC
45,3D
82,2B
180D 170C
417C
174,8C
46,8C
82,5B
209C 198B
544B
198,0B
49,7B
83,7A
218B 205B
554B
211,5AB
50,5AB
83,9A
239A 228A
637A
218,5B
51,8A
84,0A
Culmi Spighe
Carios.
Bianconate
(%)
34,3A
31,6B
30,0B
24,2C
20,2D
19,3D
18,6D
Lettere diverse corrispondono a valori significativamente differenti tra loro per 3” 0,01 secondo il test SNK.
Conclusioni
In conclusione, dal confronto dell’impiego come fertilizzante di ammendanti organici e concimazione minerale, i risultati ottenuti hanno
indicato che la coltura del frumento duro, cultivar Iride, può trarre beneficio dallo spargimento sul terreno di fanghi compostati di acque
reflue depurate in relazione alla dose. La fertilizzazione del suolo con 12 Mg ha-1 di compost di fanghi di acque reflue può benissimo
sostituire sia la concimazione minerale che l’integrazione della fertilizzazione organica con concimazione minerale. Ciò è particolarmente
interessante negli ambienti dell’Italia meridionale che sono al tempo stesso vocati per la produzione di grano duro e produttori di reflui.
B-11
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
CARATTERIZZAZIONE MORFOLOGICA E
QUALITATIVA DI ACCESSIONI DI NICOTIANA
TABACUM L. PER LA PRODUZIONE DI OLIO DA SEME
Ricerca realizzata con il finanziamento MiPAF “BIODATI”
1Luisa del Piano, 1Massimo Abet, 1Francesco Raimo, 1Francesco Modestia, 1Ciro Sorrentino, 2Donato Civitella,
2Giovanni Fecondo, 2Sabina Bucciarelli, 2Giovanni Ghianni, 1Mariarosaria Sicignano, 1Tommaso Enotrio,
1Consiglio
per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura – Unità di ricerca Colture Alternative al Tabacco
per la Divulgazione e la Sperimentazione delle Tecniche Irrigue.
Autore corrispondente: [email protected]
2Consorzio
Introduzione
Negli ultimi anni, nell’ambito della ricerca di nuove fonti di energia rinnovabile, è stata rivalutata la
possibilità di impiego del tabacco, coltura non alimentare, come fonte di olio vegetale per diversi usi
industriali. A tal fine l’Unità di ricerca delle Colture Alternative al Tabacco (CRA-CAT) sta lavorando, da
diversi anni, alla selezione di nuove accessioni di tabacco destinate ad un uso alternativo della coltura.
In questo lavoro sono presentati i risultati ottenuti dalla valutazione di 3 nuove accessioni selezionate Infruttescenza
di SL 12
per elevata produzione di seme.
Infruttescenza
di SL 13
Materiali e metodi
Risultati
Nell’anno 2013, sono state messe a confronto tre linee di
Nicotiana tabacum L., M 11, SL 12 e SL 13, in due località
della regione Campania (BN e CE) e una della regione
Abruzzo (CH), utilizzando un disegno sperimentale a blocchi
randomizzati, con tre ripetizioni e una densità di
investimento di 60.000 piante ha-1. E’ stata valutata la
produzione in seme e la produzione di biomassa. Sui semi è
stato determinato il contenuto in olio, la relativa
composizione acidica, e il contenuto in azoto.
In figura 1 vengono riportati l’altezza media ed i diametri basali, mediali e
all’ultima foglia del fusto, registrati sulle tre linee. L’accessione M11 è
risultata essere significativamente meno sviluppata rispetto a SL 12 e SL 13.
Nella tabella 1 sono riportate le produzioni in seme e in biomassa ottenuti. La
varietà più produttiva è risultata essere SL 13 con 2,47 t ha-1, mentre la
maggior produttività è stata ottenuta a Caserta con 2,56 t ha-1 (Tab.1). La
produzione in seme ha presentato una notevole variabilità sia tra le linee, sia
tra le località (Fig. 2). Non è stata riscontrata differenza significativa tra le
varietà per la produzione di biomassa secca, intesa come produzione in foglie
e fusti, mentre sono state registrate differenze tra le località, più produttive
sono risultate CE e BN (Tab. 1). Per quanto riguarda il contenuto in olio, valori
medi maggiori sono stati ottenuti con le varietà SL 12 e SL 13. Non sono
state osservate differenze nelle tre località (Fig. 3). Per quanto riguarda la
composizione acidica dell’olio, non sono state osservate variazioni di rilievo
né tra le varietà nè tra le località (Tab. 2). Non sono state evidenziate
variazioni del contenuto di azoto nei semi tra le diverse tesi.
Fig. 1. Altezza media
e diametri del fusto
delle accessioni in
prova.
Fig. 3. Contenuto medio in olio dei semi per accessione e per
accessione in ciascuna località.
Tab. 1. Produzione in seme e biomassa delle
accessioni provate in tre località italiane.
Tab. 2. Composizioni in acidi grassi
dell’olio dei semi prodotto dalle tre
accessioni nelle tre località.
COMPOSIZIONE IN ACIDI GRASSI DELL'OLIO
LOCALITA' ACCESSIONE
Fig. 2. Produzione
in seme (t/ha) delle
accessioni nelle tre
località.
SL12
CE
SL13
M11
SL12
BN
SL13
M11
SL12
CH
SL13
M11
Acido
Acido
Acido
Acido
Palmitico
Stearico
Oleico (%)
Linoleico
(%)
(%)
(%)
8,9 + 0,1 2,7 + 0,1 12,4 + 0,1 75,1 + 0,1
8,8 + 0,1 2,8 + 0,1 13,1 + 0,2 74,7 + 0,3
8,3 + 0,1 2,9 + 0,1 12,9 + 0,1 75,2 + 0,1
7,8
8,2
7,8
8,1
8,3
8,2
+ 0,3 2,5 + 0,2 11,7 + 0,3 77,2 + 0,7
+ 0,3 2,8 + 0,2 11,8 + 0,5 76,7 + 0,4
+ 0,1 2,5 + 0,2 11,3 + 0,5 77,7 + 0,1
+ 0,1 2,4 + 0,3 10,7 + 0,5 78,2 + 0,3
+ 0,1 2,7 + 0,1 11,8 + 0,3 76,8 + 0,4
+ 0,2 2,9 + 0,3 12,3 + 0,3 76,2 + 0,5
I valori rappresentano la media + la DEV.ST.
Acido
Linolenico
(%)
0,8 + 0,1
0,6
0,6
0,8
0,6
0,8
0,6
0,4
0,4
+ 0,1
Tab. 3. Contenuto in azoto
proteico del seme delle
accessioni nelle tre località
LOCALITA'
CE
+ 0,1
+ 0,1
+ 0,1
+ 0,1
+ 0,1
+ 0,3
+ 0,4
BN
CH
VARIETA'
AZOTO PROTEICO
(% s.s.)
SL12
25,7
+ 1,0
SL13
26,2
+ 0,7
M11
26,9
+ 1,2
SL12
24,9
SL13
26,2
+ 0,2
M11
25,3
+ 0,3
+ 0,7
SL12
25,3
+ 0,8
SL13
25,1
+ 0,1
M11
26,2
+ 1,0
I valori rappresentano la media + la DEV.ST.
Conclusioni
È stata ottenuta una produzione in seme compresa tra 1 e 3 t ha-1 in dipendenza dalla località e dalla varietà. Nei campioni di seme analizzati
sono stati registrati valori di contenuto in olio, compresi tra il 40% e 45 % di s.s, e di azoto proteico compresi tra il 25 % a 27 % di sostanza
secca. Relativamente alla composizione dell’olio ottenuto, i principali acidi grassi riscontrati sono stati il il palmitico (8-9%), lo stearico (2.53%), l’oleico (11-13%),il linoleico (75-78%), e il linolenico (0,4-0,8%).
B-12
XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
4
DETERMINANTI GENETICI ED AMBIENTALI DELLA
PRODUZIONE DEL FRUMENTO DURO
Laura Ercoli1, Alessandro Masoni2, Elisa Pellegrino1, Iduna Arduini2
1
2
Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa, Autore corrispondente: [email protected]
Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Agro-Ambientali, Università di Pisa
Introduzione
Le caratteristiche quanti-qualitative della produzione del frumento duro sono fortemente influenzate da fattori genetici, ambientali,
colturali e dalle loro interazioni. Una migliore comprensione della fisiologia della produzione della coltura potrebbe consentire di
aumentare le rese unitarie, mantenendo elevati anche gli standard qualitativi della granella. Gli obiettivi di questo studio consistono
nell’analizzare la variabilità della produzione di alcune varietà di frumento duro molto diffuse sul territorio italiano e nella definizione dei
principali fattori che ne determinano la risposta.
Materiali e metodi
Risultati
Sono stati utilizzati i risultati di ricerche condotte negli anni 2001-2009 che sono
state oggetto di specifiche pubblicazioni (1-8). L’analisi ha riguardato i caratteri
misurati in tutte le sperimentazioni: produzione di granella (G), paglia (P) e pula
(Pl) e loro concentrazione ([N]) e contenuto di azoto (N), numero di spighe per
unità di superficie (nS), numero di cariossidi per spiga (nC), peso medio della
cariosside (MC), harvest index (HI), nitrogen harvest index (NHI) e spike fertility
index (SFI). Come determinanti sono stati utilizzati: varietà, data di semina,
lunghezza del ciclo, pioggia totale durante il ciclo, sommatoria dei gradi utili
giornalieri, tessitura e contenuto di sostanza organica del terreno, precessione
colturale, investimento e dose di azoto distribuita. La relazione tra parametri di
risposta misurati e determinanti è stata studiata mediante la tecnica di analisi
multivariata Permutational Analysis of Variance (PERMANOVA). Sui dati
trasformati (radice quadrata), la matrice di similarità Bray Curtis è stata calcolata e
visualizzata mediante la tecnica “non metric multidimensional scaling” (NMDS).
La maggiore variabilità tra i risultati produttivi e
qualitativi è determinata dall’epoca di semina e dalla
pioggia (oltre il 55%) (Tab. 1). La precessione colturale
è il fattore che spiega la minore quota. Tutti gli altri
fattori occupano una posizione intermedia, con una
varianza spiegata tra il 21 ed il 33%.
Alle semine di novembre e
dicembre corrispondono le
produzioni
più
elevate,
mentre a quelle di maggio,
aprile ed ottobre quelle più
ridotte (Fig. 2).
Fig. 2. Diagramma NMDS per il fattore epoca
di semina.
Fig. 3. Diagramma NMDS per il fattore varietà.
Il fattore genetico è stato
analizzato più in dettaglio,
utilizzando una sottomatrice
di dati costruita con i risultati
delle semine di novembre e
dicembre e delle dosi di
azoto comprese tra 150 e
180 kg ha-1. La varianza
spiegata dalla PERMANOVA è
salita al 38%. All’80% di
similarità sono individuabili
quattro gruppi di dati (Fig.
3). Simeto, Svevo, Claudio e
Creso hanno una maggiore
variabilità
di
risposta,
mentre Latinur ha una
risposta più stabile.
Tab. 1. Risultati dell’analisi PERMANOVA.
L’analisi NMDS evidenzia che le resa di granella ed il
suo contenuto di azoto sono più elevate con piogge
comprese tra 300 e 500 mm. Con piogge inferiori a
300 mm la produzione è inferiore ed estremamente
variabile. La concentrazione di azoto della granella
non è determinata dalla pioggia (Fig. 1).
Fig. 1. Diagramma NMDS per il fattore pioggia.
Conclusioni
I determinanti della produzione del frumento duro più importanti sono risultati, oltre alla varietà, la pioggia tra i fattori ambientali e l’epoca
di semina tra i fattori colturali.
Bibliografia 1.Arduini et al. 2006, Eur. J. Agron., 25:309; 2.Arduini et al. 2009, Cereal Res. Commun., 37:469; 3.Masoni et al. 2007, Eur. J. Agron., 26:179; 4.Ercoli
et al. 2008, Eur. J. Agron., 28:138; 5.Ercoli et al. 2011, Eur. J. Agron., 35:163; 6.Ercoli et al. 2012, Eur. J. Agron., 38:74; 7.Ercoli et al. 2013, Eur. J. Agron., 44:38;
8.Pampana et al. 2007, Ital. J. Agron., 3:2013.
B-13
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Un modello gestionale di supporto alle decisioni per la produzione sostenibile di
grano duro di qualità. 1. uso di previsioni stagionali per la stima di rese e qualità
Ricerca realizzata con il finanziamento di AGER
Roberto
1
2
Ferrise1;
Marco
Moriondo2;
Massimiliano
Pasqui2;
Marco
Bindi1
Dip. di Scienze delle Produzioni Agroalimentari e dell'Ambiente, Univ. Firenze, IT, Autore corrispondente: [email protected]
CNR-IBIMET
Introduzione
L’opportunità di prevedere le caratteristiche quanti-qualitative della produzione, nella stagione in corso, potrebbe favorire una migliore
gestione della coltura, ad esempio consentendo di pianificare opportunamente gli interventi colturali per trarre vantaggio da condizioni
favorevoli o limitare i danni in caso contrario, oppure permettendo una migliore organizzazione delle operazioni di raccolta e stoccaggio.
Nell’ambito del progetto “AGER – Grano duro” è stata sviluppata una metodologia basata sull’uso di modelli di simulazione
meccanicistici delle colture, di previsioni climatiche stagionali e di generatori stocastici di dati meteorologici, allo scopo di monitorare e
prevedere lo sviluppo e le rese quanti-qualitative della coltura di frumento duro.
Materiali e metodi
La metodologia (Fig. 1) si basa sull’uso di un modello colturale
meccanicistico per stimare, ad una certa data (D), lo sviluppo fenologico e le
rese quanti-qualitative della coltura. Il modello viene alimentato con i dati
meteorologici realmente osservati, dalla semina fino al momento della
previsione (D) e, successivamente, con dati meteorologici prodotti grazie ad
apposite tecniche di previsione stagionale sviluppate dal CNR-IBIMET.
La capacità previsionale è stata testata su un caso reale. Un campo di 13
ha, localizzato nel bacino scolante della laguna di Venezia, è stato suddiviso in
3 aree omogenee per tipologia e fertilità di suolo. Per ognuna delle aree è
stata adottata un specifica gestione della fertilizzazione azotata: sono stati
distribuiti un quantitativo totale di 130 Kg N ha-1 nell’area ad alta fertilità, 160
Kg ha-1 in quella a media fertilità e 200 Kg N ha-1 nell’area a bassa fertilità.
A partire dal mese di marzo (4 mesi prima della raccolta) e a cadenza
mensile, sono state stimate le rese e il contenuto proteico delle 3 aree
omogenee.
a
Obs
Apr
10000
Mar
Mag
9000
Resa (Kg ha-1)
8000
7000
6000
5000
4000
3000
2000
1000
0
Alta fert.
b
Media fert.
Bassa fert.
Obs
Apr
18
Mar
Mag
16
Proteine (%)
14
Fig. 1. Schema metodologico per la previsione di
resa durante la stagione in corso.
Risultati
Per valutare la capacità della metodologia nello stimare la resa
granellare e quella proteica realmente osservate, i risultati delle
previsioni sono stati confrontati con i dati registrati alla raccolta.
L’uso delle previsioni stagionali permette di stimare con notevole
anticipo tanto la fenologia quanto le rese (Fig. 2a) e la proteina (Fig.
2b). Nel mese di arzo le date di antesi e maturazione sono state
stimate con una differenza inferiore ad una settimana, mentre le rese
non si sono discostate per più del 18% rispetto all’osservato. Le stime
prodotte all’inizio di maggio (circa 2 mesi dalla raccolta) presentano
una corrispondenza quasi perfetta tanto nella fenologia che nelle
rese.
12
10
8
6
4
2
0
Alta fert.
Media fert.
Bassa fert.
Fig. 2. Confronto tra le rese in granella (a) e proteica (b) osservate (blu)
e stimate. Le stime sono state fatte a 4 (rosso), 3 (verde) e 2 (arancio)
mesi dalla maturazione, nelle tre aree considerate
Risultati promettenti sono stati ottenuti anche in riferimento alla
previsione di resa proteica. Nelle aree a media e alta fertilità la
percentuale di proteine è stata stimata con notevole precisione già a
3-4 mesi dalla raccolta. Nell’area a bassa fertilità la previsione del
contenuto proteico è risultata meno precisa, con uno scostamento da
quanto realmente osservato di circa il 10% in più. Tale scostamento è
da attribuirsi alla tendenza del modello a sovrastimare il contenuto
proteico in presenza di bassi livelli di resa in granella.
Conclusioni
La metodologia sviluppata può rappresentare un utile strumento per il supporto decisionale e per la pianificazione della gestione colturale.
La sensibilità della risposta, mostrata a scala locale, suggerisce un possibile uso della metodologia in un ambito di agricoltura di precisione.
L’accoppiamento tra il sistema previsionale e tecnologie GIS permetterebbe la produzione di bollettini particolareggiati con risoluzioni che
possono variare dalla scala locale a quella regionale, permettendo la produzione di un servizio informativo adeguato alle diverse esigenze
di una filiera complessa come quella del frumento duro.
B-14
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Effetto dell’Irrigazione con Acque Reflue Agro-Industriali
Depurate sulla Qualità del Pomodoro da Industria
Ricerca realizzata nell’ambito del progetto INTERRA, PON/Ricerca e Competitività 2007-2013
Giuseppe Gatta, Angela Libutti, Anna Gagliardi, Grazia Disciglio, Luciano Beneduce, Mariangela d’Antuono, Michele Rendina,
Antonio De Caro, Emanuele Tarantino
Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente, Univ. Foggia, IT. Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Il ricorso alle acque reflue depurate per l’irrigazione delle colture agrarie, soprattutto nelle regioni a clima arido o semi-arido, rappresenta una possibile
alternativa all’impiego delle risorse idriche tradizionali.
L’impiego di acque reflue depurate in agricoltura richiede, tuttavia, un’attenta valutazione dei rischi potenziali per l’uomo (aspetti igienico-sanitari) e
per l’ambiente. Gli indicatori microbiologici hanno un ruolo fondamentale nella conoscenza dello stato igienico-sanitario e di allerta su eventuali
fenomeni di contaminazione delle acque.
Obiettivo principale di questa ricerca è stato quello di valutare i parametri qualitativi e microbiologici delle bacche di pomodoro, inseguito all’utilizzo
irriguo delle acque reflue agro-industriali depurate con trattamento secondario, confrontate con acqua convenzionale di falda.
Materiali e metodi
La sperimentazione è stata effettuata nel 2013 presso l’azienda
Fiordelisi s.r.l., sita in agro a Stornarella (FG) ed ha riguardato la
valutazione dell’effetto di acque reflue agro-industriali depurate
con trattamento secondario (SW), a confronto con acqua di falda
(FW), sulla qualità delle bacche di pomodoro (cv. Manyla).
I diversi trattamenti sperimentali (le due tipologie di acqua
irrigua, IT) sono stati disposti in campo secondo uno schema
sperimentale a blocchi randomizzati con tre repliche.
Il trapianto della coltura è avvenuto nella terza decade di aprile
con un impianto a file binate, realizzando una densità di 2.7
piante/m2 (Fig. 1.)
Durante il ciclo colturale sono state effettuate le normali pratiche
agronomiche in uso nella zona per la coltura di pomodoro.
Al fine di valutare i principali parametri qualitativi delle acque si è
proceduto alla valutazione periodica (mensile) dei principali
parametri chimico-fisici
prescritti
dalla normativa (D.M.
185/2003).
Inoltre, si è proceduto alla valutazione, in ciascuna delle quattro
raccolte scalari (HD1-4), della sostanza secca (SS), del peso medio
(Pm), del diametro medio (Dm), del pH, dell’acidità titolabile (At),
dell’indice rifrattometrico (IR) e dell’indice di colore (Ic) delle
bacche. Il monitoraggio microbiologico è stato condotto ad ogni
raccolta sui campioni di bacche valutando due indicatori: E. Coli e
Salmonella spp, attraverso il conteggio delle colonie batteriche.
I dati rilevati sono stati sottoposti ad analisi statistica secondo la
metodologia ANOVA (Analisi della Varianza) utilizzando il
programma JMP (AS Institute, Cary, NC, USA).
Tabella 1 – Parametri qualitativi acque
PARAMETRI
FW
SW
Risultati
NH4-N (mg l-1)
NO3-N (mg l-1)
Fosforo (PO4-P; mg l-1)
COD
BOD5 (mg l-1)
ECw (ʅ^/cm)
pH
Solidi Sospesi (mg l-1)
E. Coli
Salmonella spp
Ad eccezione dei valori di azoto
nitrico, i parametri chimico-fisici delle
acque sono risultati più elevati in SW;
il valore elevato di NO3-N mostrato
da FW ha evidenziato il problema
dell’eccesso di nitrati nella falda,
dovuto ad un’agricoltura intensiva
tipica dell’area del Basso Tavoliere. Il
carico microbiologico dovuto a E. Coli
è risultato in media pari a 1,8E+04,
tipico di un refluo agro-industriale. In
entrambe le tipologie di acqua non è
stata riscontrata Salmonella (Tab. 1).
0,0b
23,2a
0,1b
5,4b
5,0b
865,0b
7,9a
3,2b
0b
as
2,0a
0,6b
0,4a
30,8a
18,2a
2877,9a
7,7a
17,6a
1,8E+04a
as
Lettere diverse, per ciscuna
riga, corrispondono a valori
significativamente differenti per pd0,05 (t test). as=assenza
patogeno; FW=acqua irrigua di falda; SW=acqua reflua proveniente
da trattamento secondario.
Risultati
La tabella 2 riporta i risultati dell’ANOVA da cui si evince solo la significatività
statistica dell’effetto esplicato da HD, ma non da IT e dall’interazione HD x IT. I
valori medi di SS e pH, riscontrati nelle bacche di pomodoro irrigate con le due
tipologie di acqua, sono stati rispettivamente di 7,35% e 4,45. In merito agli altri
parametri, il valore più elevato di Ic è stato riscontrato nella prima data di raccolta
(HD1) differenziandosi in maniera statisticamente significativa dal resto delle
raccolte. I valori maggiori dei due parametri morfometrici (Pm e Dm) si sono avuti
nelle prime due date di raccolta (75,5 g vs 78 g e 5,0 cm vs 4,9 cm, rispettivamente
per HD1 e HD2), mentre il livello dell’acidità titolabile è diminuito con il procedere
delle raccolte (da 0,4 a 0,2 g di ac.cit./100ml di succo). Sulle bacche di pomodoro
irrigato con acque reflue (SW) non è stata riscontrata contaminazione da E. Coli e
da Salmonella spp.
Tabella 2 – Principali parametri qualitativi delle bacche di pomodoro
SS
Pm
Dm
Ic
pH
IR
At
Trattamento
[% pf]
[g]
[cm]
[-]
[-]
[°Brix] [g ac.cit./100 ml di succo]
Conclusioni
I risultati sperimentali hanno mostrato che l’impiego irriguo di
acque reflue agro-industriali non ha influito negativamente sui
principali parametri qualitativi delle bacche, consentendo così di
ipotizzare, un loro uso nell’irrigazione del pomodoro in aree,
come la Capitanata, in cui la risorsa idrica risulta essere sempre
più limitata.
Data di raccolta (HD)
6,8a
75,5a
HD1
a
7,3
78,0a
HD2
a
6,9
62,1b
HD3
a
8,3
50,9b
HD4
Tipologia di acqua irrigua (IT)
7,4a
68,6a
FW
a
7,3
64,7a
SW
Significatività
HD
ns
***
IT
ns
ns
HD x IT
ns
ns
5,0a
4,9a
3,5b
3,2c
1,3a
1,1bc
1,0c
1,2ab
4,5a
4,4a
4,5a
4,4a
6,3a
6,3a
5,6b
5,3b
0,4a
0,3b
0,3b
0,2c
4,1
4,2
1,1a
1,1a
4,5a
4,4a
5,9a
5,8a
0,3a
0,3a
***
ns
ns
***
ns
ns
ns
ns
ns
***
ns
ns
***
ns
ns
Lettere diverse corrispondono a valori significativamente differenti per pd0,05 (Tukey test); HD= data di raccolta; IT= tipologia di
acqua irrigua: FW=acqua di falda; SW=acqua reflua depurata con trattamento secondario; SS=sostanza secca; Pm=Peso medio
bacche; Dm=Diametro medio bacche; Ic=Indice di colore (a/b); IR=Indice rifrattometrico;At=Acidità titolabile; pf=peso fresco bacche
B-15
y>///Σ ŽŶǀĞŐŶŽĚĞůůĂ^ŽĐŝĞƚă/ƚĂůŝĂŶĂĚŝŐƌŽŶŽŵŝĂʹ W/^ϭϳͲϭϵ^ĞƚƚĞŵďƌĞϮϬϭϰ
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Tab. 1. Trattamenti agronomici messi a confronto
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͘ WƌŽĚŽƚƚŝ ĚĞů ƉƌŽĐĞƐƐŽ Ěŝ ĚĞĐŽƌƚŝĐĂnjŝŽŶĞ͗ ĐĂƌŝŽƐƐŝĚŝ ĚĞĐŽƌƚŝĐĂƚĞ Ăů
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ϱϬϬϬ
ϰϬϬϬ
ϯϬϬϬ
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B-16
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Primi risultati sulla coltivazione del guado (Isatis tinctoria L.) in Sicilia
Ricerca realizzata con il finanziamento della Regione Siciliana, Assessorato Regionale dell’Agricoltura, dello Sviluppo Rurale e della Pesca Mediterranea Dipartimento Interventi Infrastrutturali, nell’ambito del progetto “Riscoperta ed Utilizzazione dei Coloranti Naturali”, PSR 2007-2013, Misura 124
1Paolo
Guarnaccia, 1Ferdinando Branca, 1Paolo Caruso, 2Francesco Pappalardo, 2Marco Pinio
1
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari (DISPA), Università di Catania
Parco Scientifico e Tecnologico della Sicilia (PSTS), Z. I. Blocco Palma I, Stradale V. Lancia, 57, 95121 Catania
Autore corrispondente: [email protected]
2
Introduzione
Il crescente interesse per le sostanze naturali provenienti da fonti rinnovabili sta incoraggiando i produttori agricoli europei a reintrodurre
colture ormai dimenticate. Il guado (Isatis tinctoria L.), diffusamente coltivato a partire dal Medio Evo per le attitudini tintorie dell’indaco,
pigmento estratto dalle foglie di questa pianta, ha subito un forte declino nel XX secolo a causa dell’entrata in commercio dei coloranti
sintetici. Recentemente, il guado è stato rivalutato perché il pigmento naturale, ottenuto attraverso metodologie di coltivazione e di
estrazione a basso impatto ambientale, risponde alla crescente domanda di prodotti ecosostenibili nel settore tessile.
Materiali e metodi
Risultati
Coltivazione del guado
La prove è stata condotta nell’annata agraria 2012/13 presso
3 aziende agricole site nei comuni di Catania, Ramacca (CT) e
Chiaramonte Gulfi (RG).
La semina è stata effettuata la prima settimana del mese di
ottobre 2012 con un investimento unitario programmato di
20 piante m-2 con file distanti tra loro 70 cm.
La raccolta è stata effettuata sfalciando la parte aerea delle
piante a circa 5 cm dal suolo, ripetendo tale intervento ogni
volta che l’altezza della pianta raggiungeva circa circa 25 cm.
Sono stati rilevati i principali parametri bioagronomici e la
resa in pigmento grezzo (kg ha-1).
Estrazione del pigmento dalle foglie di guado
Il pigmento è stato estratto dalle foglie fresche del guado
utilizzando il seguente procedimento:
• lavaggio delle foglie ed eliminazione dei corpi estranei;
• macerazione in acqua acida per 48 ore a pH 2 con HCl al
10%;
• filtraggio della soluzione formatasi;
• aumento del pH a 9-10 con Ca(OH)2 e ossigenazione;
• viraggio del colore dal verde al blu indaco;
• precipitazione del soluto per 48 ore;
• separazione per decantazione ed essiccazione del
pigmento.
Prove di tintura su tessuti
Le prove di tintura sono state effettuate utilizzando il
pigmento estratto attraverso i processi sopra descritti.
I tessuti utilizzati per i test di fissaggio del colore sono stati la
tela di cotone 100 % e la tela di lino bellora 100 %.
Nella media dei tre ambienti di coltivazione la data di emergenza ha fatto
registrare un valore medio pari a 11,1 giorni dalla semina e l’investimento
unitario è risultato pari a 17,5 piante m-2. Sono state effettuate 4 raccolte a
171, 190, 202 e 221 giorni dalla semina nella media dei 3 ambienti (con un
valore medio generale pari a 195,8), quando le piante, al momento dello
sfalcio, presentavano un’altezza media pari a 22,8 cm, un numero di foglie pari
a 20,8 ed una lunghezza della radice pari a 11,3 cm.
La resa in biomassa fresca totale è risultata pari, nella media dei tre ambienti a
52,4 t ha-1 facendo registrare nelle 4 raccolte un andamento decrescente con
valori pari, rispettivamente, a 19,1, 15,5, 11,6 e 6,2 t ha-1.
La resa in indaco grezzo ha raggiunto un valore totale nelle 4 raccolte pari a
59,0 kg ha-1 facendo registrare in corrispondenza della seconda raccolta un
valore più alto (24,5 kg ha-1) rispetto alla prima (17,1 kg ha-1) per poi
decrescere successivamente con valori pari a 13,0 e 4,5 kg ha-1 registrati
rispettivamente alla terza e quarta raccolta.
La percentuale di pigmento estratto dalla biomassa fresca è risultata nella
media pari a 0,11% con valori unitari registrati nelle 4 singole raccolte
rispettivamente pari a 0,10, 0,17, 0,11 e 0,07%.
Caratteri bioagronomici e qualitativi
Carattere
Emergenza (giorni dalla semina)
Investimento unitario (piante m-2)
Data media di raccolta (gg dalla semina)
Altezza della pianta al momento dello sfalcio (cm)
Numero di foglie al momento dello sfalcio (n)
Lunghezza della radice al momento dello sfalcio (cm)
Biomassa fresca totale (t ha-1)
Biomassa secca totale (t ha-1)
Indaco grezzo totale (kg ha-1)
Indaco grezzo (%)
Valore (± dev. st.)
11 (± 1,1)
17,5 (± 5,1)
195,8 (± 33,8)
22,8 (± 11,0)
20,8 (± 7,4)
11,3 (± 4,7)
52,4 (± 8,5)
11,3 (± 3,3)
59,0 (± 8,6)
0,11
Conclusioni
La ricerca ha messo in evidenza l’adattabilità del guado alle condizioni pedoclimatiche degli ambienti in cui sono state realizzate le prove ed alla
tecnica colturale adottata. La resa in pigmento grezzo estratto dalla biomassa fresca conferma, inoltre, la validità della procedura di estrazione
che è stata messa a punto. Ulteriori studi sono necessari per affinare maggiormente la tecnica colturale con particolare riferimento
all’investimento unitario ottimale, all’epoca di raccolta, all’intervallo tra gli sfalci ed alla completa meccanizzazione degli interventi agronomici.
Occorre, inoltre, trasferire su scala aziendale le metodologie di estrazione e di purificazione del pigmento al fine di permettere una ampia
diffusione di questa coltura per la produzione su larga scala di indaco naturale in grado di soddisfare la crescente richiesta da parte
dell'industria tessile.
B-17
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
EFFETTO DI UN CONCIME CON INIBITORE DELLA
NITRIFICAZIONE SU FARRO E FRUMENTO
Beniamino Leoni, Carlo Troccoli
Dipartimento di Scienze Agro Ambientali e Territoriali, Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari. [email protected]
Introduzione
Con la presente nota si è voluto saggiare l’efficacia di un concime «stabilizzato» cioè con inibitore della nitrificazione ( in questo caso
l’Entec® 26 con inibitore 3,4-dimetilpirazolo-fosfato (DMPP) che agisce solo sui batteri Nitrosomonas, rallentandone l’attività ) raffrontato
con un concime tradizionale, sulla produttività di una varietà di farro (Padre Pio) e di due varietà di frumento duro (Simeto e Anco Marzio).
Materiali e metodi
Risultati
La prova è stata condotta presso il Campus “E. Quagliarello”
dell’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari, su un terreno
argilloso, ben strutturato; ben fornito di fosforo totale
(2,76%) e potassio totale (6,60%), scarsamente dotato in
azoto (1,33‰) , precedentemente coltivato a frumento.
In presemina è stata effettuata una concimazione fosfatica
(100 kg ha-1 P2O5). Quattro le tesi per la concimazione
azotata: con concime tradizionale (T), come testimone (80
kg N ha-1), distribuito per un terzo in presemina e due terzi
in fase di copertura; con concime stabilizzato (80 kg N ha-1 )
(Entec® 26) le altre 3 tesi e cioè: i) 100% somministrato alla
semina (S); ii)100% in accestimento (A); iii) 50% alla semina
e 50% all’accestimento (SA).
La semina, a file continue distanti 17 cm, è stata eseguita il
30 novembre 2012 con una densità di 300 e 500 semi per
m2, rispettivamente per il farro e per il frumento.
Lo schema sperimentale adottato è stato lo split-plot con
tre ripetizioni, con le dosi della concimazione azotata nei
parcelloni ed i genotipi nelle parcelle, di dimensioni di 30 m2
(6 x 5 m). La raccolta è stata effettuata il 21 giugno 2013.
Per la produzione di granella (Tab. 1), prendendo in considerazione i valori
delle due varietà di frumento, si ha che Simeto risulta essere più produttivo
di Anco Marzio di circa 12-15% con le concimazioni T, A ed SA, mentre con S
non si osserva alcuna variazione; per le concimazioni, in media, si ha
maggiore produzione con SA (+25%) rispetto alla concimazione S, dove è
stata registrata la produzione più bassa. Per il farro si ha una lieve maggiore
produzione (9%) con la concimazione S (la più produttiva) rispetto alla
concimazione T (la meno produttiva).
Tra le caratteristiche qualitative (Tab. 2), per la resa delle proteine della
granella del frumento si può osservare, in media, una maggiore produzione
con la concimazione SA (Simeto +10% su Anco Marzio); ed anche per il farro,
la concimazione SA (produzione maggiore) ha dato un incremento produttivo
di circa il 30% rispetto la concimazione A (produzione più bassa). Infine per
l’indice del giallo dei frumenti, in media, la concimazione S ha fatto rilevare
un aumento di circa il 20% rispetto al valore più basso ottenuto con la
concimazione SA. Per l’effetto delle concimazioni, per la resa delle proteine,
come media dei genotipi, si ha un incremento produttivo del 20% circa con la
concimazione SA rispetto alla concimazione A, la meno produttiva. Per il
contenuto in ceneri il valore più alto è stato ottenuto con la concimazione T,
+ 20%, rispetto alla concimazione SA mostratasi la meno produttiva. Per
l’indice del giallo si osserva un incremento del 10% con la concimazione S
rispetto alla SA, che mostra il valore più basso.
Tabella 2 - Caratteristiche qualitative dei genotipi.
Tabella 1 - Caratteristiche produttive dei genotipi.
Genotipi
Simeto
Anco Marzio
media
Padre Pio
Media
Simeto
Anco Marzio
media
Padre Pio
Media
Genotipi
T
S
Entec 26
A
SA
5,12a
4,45b
4,78
2,67
4,08
Resa granella (t ha-1)
4,95a
4,99a
4,97
2,38
4,10
5,08a
4,36b
4,72
2,47
3,97
5,40a
4,79b
5,09
3,18
4,45
55,2
48,8
52,0
52,0
52,0
Peso 1000 semi (g)
49,3
47,6
48,4
59,0
51,9
52,0
43,8
47,9
54,7
50,2
54,2
48,2
51,2
57,9
53,4
74,82a
74,97a
74,89
69,82
73,20
73,68a
76,33a
75,00
68,22
72,74
-1
Simeto
Anco Marzio
media
Padre Pio
Media
75,45a
75,27a
75,36
65,27
71,99
T
S
®
Peso specifico (kg hl )
73,81a
75,65a
74,73
71,39
73,61
/HWWHUHGLYHUVHQHOODVWHVVDFRORQQDLQGLFDQRVLJQLILFDWLYLWjSHU3”
Entec® 26
A
SA
Simeto
Anco Marzio
media
Padre Pio
Media
14,9a
15,4b
15,1
15,4
15,2
Proteine granella (% s.s)
14,0b
15,3a
14,6
16,3
15,2
Simeto
Anco Marzio
media
Padre Pio
Media
762,9
684,4
723,6
410,9
619,4
Resa (kg ha-1)
693,0
765,5
729,2
388,7
615,7
660,4
594,7
627,5
326,5
527,2
785,7
708,9
747,3
478,0
657,5
Simeto
Anco Marzio
media
Padre Pio
Media
1,78
1,62
1,70
1,90
1,76
Contenuto in ceneri (% s.s.)
1,44
1,58
1,51
1,82
1,61
1,56
1,71
1,63
1,70
1,65
1,54
1,61
1,57
1,52
1,55
Simeto
Anco Marzio
media
Padre Pio
Media
20,63a
19,38a
20,00
16,81
18,94
Indice giallo (b)
23,59a
19,59b
21,59
17,19
20,12
21,66a
21,05a
21,35
16,56
19,75
18,21a
19,63a
17,42
15,69
17,84
13,0b
13,6a
13,3
13,2
13,3
14,6a
14,8b
14,7
15,0
14,8
/HWWHUHGLYHUVHQHOODVWHVVDFRORQQDLQGLFDQRVLJQLILFDWLYLWjSHU3”
Conclusioni
Anche se un solo anno di prova non permette di trarre delle conclusioni attendibili, tuttavia, per quanto riguarda l’Entec, la sua
somministrazione al 50% alla semina e 50% all’accestimento sul frumento ha dato, in media, i migliori risultati per la resa in granella, il
peso specifico, la resa delle proteine.
B-18
XLIII Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Effetto dell’interazione genotipo per trattamento con ozono
sul contenuto di sostanze antiossidanti in capolini di carciofo
Ricerca realizzata con il finanziamento del P.S.R. Sicilia 2007–2013, Misura 124
Sara Lombardo1, Gaetano Pandino1, Cristina Restuccia2,
Mauro1, Angelo Litrico1, Giovanni Mauromicale1
1
2
Giuseppe Muratore1, Fabio Licciardello1, Rosario Paolo
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari, Università degli Studi di Catania, Autore corrispondente: [email protected]
Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agroalimentari e Ambientali, Università degli Studi di Catania
Introduzione
In fase post-raccolta i capolini di carciofo subiscono un naturale deterioramento dovuto allo sviluppo di marciumi. In tal senso, di recente,
l’ozono (applicato in forma gassosa o disciolto in acqua) si è rivelato un efficace agente antimicrobico per la gestione post-raccolta dei
capolini di carciofo (Restuccia et al., 2013). Tuttavia, a causa della sua elevata attività ossidante, esso può provocare alterazioni di natura
fisiologica e determinare la perdita di sostanze antiossidanti nel prodotto. Sulla base dei risultati di un nostro precedente contributo
(Restuccia et al., 2013), lo scopo del presente lavoro è stato quello di valutare gli effetti dell’interazione ‘genotipo x trattamento postraccolta’ sul tenore in sostanze antiossidanti del capolino di carciofo, che risulta essere particolarmente elevato (Lombardo et al., 2012).
Materiali e metodi
Risultati
La prova di campo è stata realizzata nel 2012/13 presso
un’azienda agricola sita in agro di Ramacca (CT), mettendo a
confronto, in uno schema sperimentale a blocchi randomizzati
con 3 ripetizioni, due genotipi di carciofo (‘Violetto di Provenza’
ed ‘Apollo’). Alla raccolta (stadio di maturazione commerciale),
un congruo numero di capolini dei due genotipi è stato
sottoposto al lavaggio in acqua ozonizzata (Fig. 1), mediante
immersione per 5’, ed alla successiva conservazione in cella
climatica (T. 4 °C; U.R. 90%):
ͻin atmosfera normale (testimone);
ͻin atmosfera arricchita in ozono (O3), mediante insufflazione di
2 g O3 m-3 per 11 h al giorno e per la durata di 3 o 7 giorni.
Per ciascuna tesi, un campione (5 capolini per replica) è stato
prelevato al momento della raccolta, nonché subito dopo il
trattamento di lavaggio, dopo 3 e 7 giorni di conservazione ed,
in laboratorio, è stato sottoposto alla determinazione del
contenuto in polifenoli totali (CPT), mediante il saggio di FolinCiocalteu, ed in acido ascorbico (CAA) (Giannakourou e Taoukis,
2003). I dati ottenuti sono stati sottoposti ad analisi della
varianza (ANOVA) e le medie confrontate con il multiple range
test di Duncan.
I risultati hanno messo in evidenza come CPT e CAA del capolino di
carciofo siano fortemente influenzati dall’interazione ‘genotipo x
trattamento post-raccolta’ (Tab. 1). In tal senso, dopo 3 giorni di
conservazione in atmosfera ozonizzata i capolini di ‘Apollo’,
contrariamente a quelli di ‘Violetto di Provenza’, non hanno mostrato
variazioni significative di CAA rispetto a quelli stoccati in atmosfera
normale (Tab. 1). Dopo 7 giorni di conservazione, invece, l’ulteriore
insufflazione di O3 in cella climatica ha determinato in ‘Apollo’ e ‘Violetto
di Provenza’ una riduzione significativa (pari a -32 e -46%,
rispettivamente; Tab. 1) del CAA iniziale (pari a 267 e 252 mg kg-1 di s.s.,
rispettivamente) (dati non mostrati).
Il CPT è apparso al momento della raccolta pari, rispettivamente, a 26,5 e
32,5 g kg-1 di s.s. per ‘Apollo’ e ‘Violetto di Provenza’ (dati non mostrati).
Dopo 3 giorni di conservazione, contrariamente a quanto osservato per
CAA, i capolini di ‘Violetto di Provenza’ stoccati in atmosfera ozonizzata
hanno mostrato un CPT statisticamente non differenziato rispetto al
valore riportato dai capolini conservati in atmosfera normale (37,7 vs. 35,7
g kg-1 di s.s.) (Tab. 1). L’interruzione dell’insufflazione di O3 in cella
climatica è stata, infine, in grado di preservare il CPT rispetto
all’erogazione di tale antimicrobico fino al 7° giorno di conservazione (32,9
vs. 27,8 g kg-1 di s.s., nella media dei genotipi).
(A)
(B)
Tab. 1. Contenuto in acido ascorbico (CAA) e polifenoli totali (CPT) del capolino di
carciofo in risposta all’interazione ‘genotipo x trattamento post-raccolta’.
Conservazione dei capolini (d dal trattamento post-raccolta)
3
7
CAA
-1
(mg kg s.s.)
Fig. 1. (A) Impianto di ozonizzazione dell’acqua
per il lavaggio dei capolini di carciofo (Saim
Service s.r.l., Latina); (B) capolini di ‘Apollo’.
Apollo
*
Atmosfera normale
**
Atmosfera ozonizzata per 3 d
Atmosfera ozonizzata per 7 d
Violetto di Provenza
Atmosfera normale
Atmosfera ozonizzata per 3 d
Atmosfera ozonizzata per 7 d
CPT
-1
(g kg s.s.)
CAA
-1
(mg kg s.s.)
CPT
-1
(g kg s.s.)
240 a
238 a
242 a
28.4 b
30.1 b
30.0 b
192 a
188 a
172 c
28.0 c
31.7 b
26.7 d
229 a
199 b
197 b
37.7 a
35.7 a
35.7 a
189 a
191 a
182 b
35.3 a
34.1 a
28.9 c
***
*
Per atmosfera normale od ozonizzata si intende quella all’interno della cella climatica; **A partire dal 4° giorno di
conservazione, i capolini sono stati trasferiti in cella climatica in atmosfera normale. ***Lettere diverse nell’ambito di ciascuna
colonna indicano differenze statisticamente significative (P<0.05).
Conclusioni
I risultati hanno messo in evidenza come l’entità della variazione del contenuto in polifenoli totali ed acido ascorbico sia strettamente
dipendente dal genotipo e dal trattamento post-raccolta. In generale, appare evidente come la conservazione in atmosfera ozonizzata
possa, da una parte, agire sul contenimento della carica batterica e fungina (dati non mostrati) e, dall’altra, preservare il tenore in sostanze
antiossidanti dei capolini di carciofo. Appare, tuttavia, auspicabile interrompere l’esposizione dei capolini ad un’atmosfera ozonizzata a
partire dal 4° giorno di conservazione nella prospettiva di mantenerne il tenore in sostanze antiossidanti.
Riferimenti bibliografici:
Giannakourou M.C., Taoukis P.S. (2003). Food Chem., 83, 33-41.
Lombardo S., Pandino G., Ierna A., Mauromicale G. (2012). Food Res. Int., 46, 544-551,
Restuccia C., Lombardo S., Pandino G.,Licciardello F., Muratore G., Mauromicale G. (2013). Innov. Food Sci. Emerg., 21, 82-89.
Ringraziamenti:
Si ringrazia la “Violetto Ramacchese Coop. Agr.” a r.l. per la conduzione delle prove di condizionamento post-raccolta dei capolini di carciofo.
B-19
XLIII° ConvegnodellaSocietàItalianadiAgronomia– PISA17Ͳ19Settembre2014
STRATEGIE AGRONOMICHE PER INCREMENTARE LO
STAY-GREEN DELL’ORZO INVERNALE E IL SUO
EFFETTO SU PRODUZIONE E QUALITÀ
Ricerca realizzata nell’ambito del Progetto Nutratec – cofinanziato dalla Regione Piemonte
FedericoMarinaccio,MassimoBlandino,AmedeoReyneri
DipartimentodiScienzeAgrarie,ForestalieAlimentari– UniversitàdiTorino
Autorecorrispondente:[email protected]
Introduzione
Lacoltivazionedell’orzoèattualmenteinprogressivacontrazionepoichécaratterizzatadabassiprofittiefiliere
mal organizzate; pertanto, nuove strategie colturali potrebbero rappresentare un’opportunità per valorizzare
questacoltura.Nelcasodelfrumento,l‘attuazionedistrategiecheproteggonolasalutedelleultimefoglieene
ritardano la senescenza, rappresentano da tempo un fondamentale mezzo per migliorare produzione e qualità
tecnologicaesanitaria,nelcasodell’orzoquestastrategiaèstatafinoadorararamenteesplorata.
L’obiettivodellostudioèstatoquellodivalutaredifferentistrategieagronomichevolteaprolungarelostayͲgreen
dell’orzoinfasedimaturazioneeilloroeffettosuproduzioneequalità.
Materiali e metodi
Risultati
La sperimentazione è stata condotta per 3 anni (2011 ї
2013), in 2 località del Piemonte (Cigliano – VC, San Pietro
del Gallo – CN), nelle quali sono state confrontate 3 varietà
di orzo invernale: KETOS (Polistico) COMETA e SFERA
(Distici).
Sono stati confrontati i seguenti trattamenti:
Tra i trattamenti fogliari a confronto, l’applicazione del fungicida (T4) è
risultata essere la pratica più efficace nel ritardare il processo di senescenza,
comportando maggiori valori di NDVI (Fig. 2) alla maturazione cerosa (GS
85), maggiore resa (+ 25%) (Fig. 4), un aumento del peso ettolitrico (+1.3 kg
hlͲ1) e del peso 1000 semi (+3.4 g) e minore concentrazione di DON (Fig. 3). I
vantaggi di questa pratica sono aumentati progressivamente con la durata
del periodo di maturazione della coltura. L’effetto dell’applicazione di
concimi fogliari (T2 e T3) hanno mostrato significativi vantaggi produttivi,
rispetto al testimone T1, solamente in condizioni ambientali fresche.
Nessuno dei trattamenti fogliari ha mostrato significativi vantaggi sul
contenuto proteico.
Fig. 1. Trattamenti a confronto
Fig. 2. Effetto dei trattamenti sull’intensità di verde della coltura
Fig. 3. Effetto dei trattamenti su
elmintosporiosi e DON
In ogni campo è stato adottato uno schema sperimentale a
parcelle completamente randomizzate di 10,5 m2, con 4
ripetizioni per ciascun trattamento. Sono stati analizzati i
seguenti parametri: intensità del verde della coltura (NDVI),
produzione, peso ettolitrico, peso dei 1000 semi, proteina,
severità dell’elmintosporiosi dell’orzo (Drechslera teres
(Sacc.) Shoem.) e contaminazione da DON.
Valorimedidi4esperimentie4ripetizioni.
Letteredifferentiindicanodifferenzestatisticamentesignificative(testRͲEͲGͲWͲQ,P<0.05).
ThaͲ1
Fig. 4. Effetto dei trattamenti fogliari sulla produzione di granella
12
10
8
6
4
2
0
a
a
T1
T2
a
a
T3
T4
Cigliano,2010Ͳ2011
GDD(GS58Ͳ90): 1357°CdͲ1
Dataraccolta:22giugno
b
bc
T1
T2
a
b
b
T4
T1
T2
c
T3
Cigliano,2011Ͳ2012
GDD(GS58Ͳ90): 1211°CdͲ1
Dataraccolta:27giugno
b
a
c
T3
T4
T1
Cigliano,2012Ͳ2013
GDD(GS58Ͳ90): 1256°CdͲ1
Dataraccolta:2luglio
b
b
T2
T3
a
T4
SanPietrodelGallo,2012Ͳ2013
GDD(GS58Ͳ90): 1073°CdͲ1
Dataraccolta:15luglio
Valorimedidi4ripetizioni.Letteredifferentiindicanodifferenzestatisticamentesignificative(testRͲEͲGͲWͲQ,P<0.05).
Conclusioni
Questa ricerca conferma come, anche per l’orzo, il mantenimento dello stayͲgreen in fase di maturazione aumenta la resa in granella e ne
migliora la qualità. L’applicazione di fungicida alla fioritura è risultata essere la pratica più efficace in tutte le condizioni, inoltre determina
un significativo miglioramento della sanità del prodotto. L’applicazione di concimi fogliari ha favorito un prolungamento dello stayͲgreen e
vantaggi produttivi solo nelle condizioni pedoclimatiche in cui la maturazione della coltura è risultata essere più progressiva.
B-20
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
STUDIO DEL PROFILO AROMATICO DELLA GRANELLA
DI VARIETA’ ANTICHE DI FRUMENTO DURO
Ricerca realizzata con il finanziamento PON ISCOCEM
Emanuela Mattiolo, Grazia M. Lombardo, Umberto Anastasi, Rosalena Tuttobene, Fabio Licciardello, Angelo Litrico
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari (DISPA), UNICT, Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Biodiversità e sostenibilità sono tra gli obiettivi che negli anni recenti hanno sollecitano la ricerca
agronomica a riconsiderare alcune vecchie varietà siciliane di frumento duro tradizionalmente
impiegate in produzioni tipiche del territorio. In quest’ottica, è stata studiata la composizione volatile
della granella delle varietà ‘Russello’ e ‘Timilia’ i cui sfarinati entrano, rispettivamente, nei disciplinari
di produzione del pane di pasta dura ragusano e di quello nero di Castelvetrano, in confronto con una
varietà di più recente costituzione ‘Mongibello’.
Risultati
Materiali e metodi
La valutazione ha riguardato campioni rappresentativi di granella
delle tre varietà prelevati da prove sperimentali condotte, nell’anno
2012-13, presso l’azienda sperimentale dell’Università di Catania sita
in località Primosole (37°24’ N., 15°03’ E., 10 m s.l.m.), seguendo
una gestione agronomica convenzionale
Per l’estrazione delle sostanze volatili è stata utilizzata la tecnica di
microestrazione in fase solida dello spazio di testa (HS-SPME) previa
selezione della fibra CAR/PDMS. I campioni di cariossidi (20 grammi),
contenuti in vials di vetro da 25 ml provviste di tappo “a semaforo”,
sono stati previamente sottoposti a condizionamento a bagnomaria
a 60°C per 15 minuti. La fibra di estrazione è stata esposta all’interno
di ciascuna vial per 90 minuti e quindi desorbita nell’iniettore del GC
(Agilent; Palo Alto, CA, USA) per 3 minuti a 250°C in modalità
splitless. La separazione è avvenuta utilizzando elio come gas carrier
e il seguente programma termico: 40 °C per 5 min., incremento di
5°C/min. fino a 220° C e mantenimento della temperatura per 10
min. L’identificazione degli analiti è stata effettuata attraverso
confronto degli spettri di frammentazione con quelli di standard
contenuti in librerie certificate.
Sia per l’area cromatografica totale che per il numero totale di picchi non sono
emerse differenze apprezzabili tra le varietà saggiate. Dall’analisi qualitativa, 2methyl-butanal, 3-methyl-butanal, 2-ethyl-ĨƵƌĂŶ͕ ɲ-pinene, heptanol, hexanal
isoamyl alcohol, benzaldehyde e 1-hexanol sono risultati comuni nelle tre varietà
saggiate (fig. 1). La confrontabilità dell’area sottesa da ogni picco nelle tre varietà,
fa ritenere che questi composti costituiscano la base volatile del frumento duro.
Nonanal, sebbene presente in tutte le varietà saggiate, è stato rilevato a un livello
più alto in ‘Mongibello’. In accordo con la letteratura consultata, è stato possibile
individuare una corrispondenza tra componenti volatili estratti per ogni varietà e
odori caratteristici (tab. 1). Tra gli alcoli, 1-hexanol è risultato presente sia in
‘Russello’ che in ‘Mongibello’, mentre 2-pentanol è stato riscontrato soltanto nella
varietà ‘Timilia’. In ‘Russello’ è stato riscontrato 2-methyl-propanol, assente nelle
altre varietà. Tra i chetoni, 4-ketoisophorone e 2-butanone sono stati rilevati in
‘Russello’, mentre 6-methyl-3,5-heptadien-2-one era presente in ‘Timilia’ e
‘Mongibello’. Caratterizzante per ‘Timilia’ è da ritenere anche la presenza di 2tridecanone e 6-methyl-5-hepten-2-one. Infine, sia ‘Timilia’ che ‘Mongibello’ sono
risultate caratterizzate anche dalla presenza di limonene, che conferisce la tipica
nota di agrumi. Per gli alcani e gli alcheni, completamente assenti in ‘Russello’,
non è stata riscontrata in letteratura corrispondenza con alcun odore.
Fig. 1. Cromatogrammi del profilo aromatico delle varietà di frumento duro allo studio: (a) Timilia, (b) Russello, (c) Mongibello.
1: 2methyl-butanal; 2: 3-methyl-butanal; 3: 2-ethyl-furan; 4: ɲ-pinene; 5: Hexanal; 6: 2-pentanol; 7: Limonene; 8: Isoamyl alcohol; 9: 1-hexanol; 10: Nonanal; 11: Acetic acid; 12: Benzaldehyde; 13: 6-methyl-5-hepten-2-one; 14: 2-tridecanone; 15:
Hexanoic acid; 16: Heptanal; 17: 2-methyl-propanol, 18: 4-ketoisophorone.
a
b
c
Tab. 1. Composti comuni (a destra) e caratterizzanti (a sinistra) delle
varietà di frumento duro allo studio (si: presenza; no: assenza)
Conclusioni
I risultati dello studio, benché ancora preliminari, hanno
messo in evidenza differenze qualitative nella frazione
volatile delle varietà di frumento studiate. A tali
differenze possono essere associate specifiche
caratteristiche aromatiche che potrebbero risultare
determinanti ai fini del riconoscimento di peculiari
caratteristiche organolettiche ai prodotti derivati e
tradizionalmente legati al territorio siciliano.
B-21
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Un modello gestionale di supporto alle decisioni per la
produzione sostenibile di grano duro di qualità. 2.
integrazione di proximal sensing e previsioni stagionali per
l’ottimizzazione della concimazione a dose variabile
Ricerca supportata da Progetto AGER, grant n. 2010-C21J10000660002
Morari1,
Ferrise2,
Zanella1,
Francesco
Roberto
Valentina
Luigi Sartori3, Franco Gasparini3, Davide Piragnolo1, Antonio
1
4
2
1
Berti , Paolo Berzaghi , Marco Bindi , Giuliano Mosca
1
Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse Naturali e Ambiente, Università degli Studi di Padova; 2 Dipartimento di Scienze delle Produzioni
Agroalimentari e dell’ Ambiente, Università degli Studi di Firenze; 3 Dipartimento Territorio Sistemi Agro-forestali, Università degli studi di Padova; 4
Dipartimento di Medicina Animale, Produzioni e Salute, Università degli Studi di Padova.
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
- La concimazione a dose variabile (VRA) basata sul proximal sensing può migliorare l’efficienza della concimazione azotata (Raun et al., 2002)
- La tecnologia non ha valore predittivo: andamenti stagionali anomali possono ridurre l’efficienza della VRA (Heege, 2013)
- L’obiettivo di questo lavoro è la messa a punto di un metodo in grado di integrare proximal sensing e previsioni stagionali al fine di ottimizzare la VRA
Materiali e metodi
- Appezzamento di 13 ha a Mira (VE), suolo medio-sabbioso, coltivato a
grano duro (var. Biensur), semina su sodo (18/10/12);
- Mappatura delle produzioni e della proteina con spettrometro
NIRs(5/7/13)
Concimazione VRA
- Indifferenziata in accestimento (52 kg/ha N il 20/2/13)
- Sito-specifica in levata (13/4/13) con integrazione di proximal sensing &
previsioni stagionali:
1. Previsione di resa e contenuto proteico in aree omogenee tramite
accoppiamento di previsioni meteo e modellistica (modello
SiriusQuality)
2. Definizione della dose economica ottimale di N (costo unità di N =
ricavo marginale) sulla base delle curve di risposta del modello
3. Proximal sensing e conversione del valore di NDVI in fabbisogno di N
Fig.1 Mappa di prescrizione
Fig.2 Mappa di produzione
4. Mappa di prescrizione e applicazione dell’N-VRA (Fig. 1)
Risultati
• Previsioni stagionali: OK trend di temperatura e precipitazioni;
meno accurata la stima degli scostamenti assoluti (rispetto
all’osservato: piovosità +20mm, Tmin +0.79°C, Tmax 0.1°C)
• Dose ottimale: media di 196 kg N/ha: min 170 kg N/ha nelle aree
ad elevata fertilità; max 200 kg N/ha in quelle a fertilità più
bassa
• Input medio: 183 kg N/ha, con un incremento nelle zone più
sabbiose (area sud-orientale) e una riduzione in quelle più
fertili, centrali
• Indicatori produttivi: riduzione variabilità di resa (media di 3.84 t
ss/ha) (Fig. 2) e di contenuto proteico (media 14.8%) (Fig.3)
• Indicatori della concimazione: surplus medio 67.5 kg N/ha;
rapporto % medio N granella/N input 61% (Fig. 4)
Fig.3 Contenuto proteico
Fig.4 Rapporto N granella/N input
Conclusioni
Il metodo ha consentito di correggere le dosi apportate considerando l’interazione tra caratteristiche del suolo e previsioni climatiche, ottenendo al
contempo la riduzione delle variabilità spaziale di resa e contenuto proteico. Come testimonia la buona efficienza della concimazione, anche
l’inquinamento ambientale è stato mitigato.
Bibliografia: Raun W.R. et al. 2002. Improving nitrogen use efficiency in cereal grain production with optical sensing and variable rate application. Agron. J., 94,
815-820. Heege H.J., 2013. Precision in crop farming. Site specific concepts and sensing methods: application and results. Springer, 356.
B-22
XLIII Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Profilo qualitativo dei polifenoli in Cynara
cardunculus L.
Gaetano Pandino1,2, Sara Lombardo1,3, Rosario Paolo Mauro1, Gary Williamson2, Reinhold Carle3, Giovanni Mauromicale1
1
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari, Autore corrispondente: [email protected]
School of Food Science and Nutrition, University of Leeds, UK
3 Institute of Food Science and Biotechnology, Hohenheim University, Germany
2
Introduzione
Cynara cardunculus L. è una specie polienne, includente tre varietà botaniche (carciofo, cardo domestico e cardo selvatico). Studi citogenetici e
isoenzimatici hanno confermato che il cardo selvatico è il progenitore di entrambe le forme coltivate. Oltre che a fini alimentari, C. cardunculus potrebbe
essere utilizzato per il recupero di composti biologicamente attivi, come gli acidi fenolici ed i flavonoidi. Anche se molti studi hanno dimostrato gli effetti
protettivi di queste sostanze contro le malattie degenerative, pochi dati in letteratura sono disponibili sulla composizione fenolica del cardo selvatico e
coltivato, particolarmente ricchi di acidi caffeilchinici e, soprattutto, flavoni (luteoline ed apigenine). Con il presente contributo è stato analizzato il profilo
qualitativo, mediante HPLC, dei composti polifenolici nelle diverse parti della pianta (capolino, foglie e stelo fiorale) ed in genotipi afferenti alle tre varietà
botaniche (presenza o assenza di 17 composti) di C. cardunculus.
Materiali e metodi
Risultati
La prova di campo è stata condotta nell’annata agraria 2007/2008
presso l’Azienda agraria didattico-sperimentale dell’Università degli
Studi di Catania, sita in un’area rappresentativa della cinaricoltura
della Sicilia orientale. In uno schema sperimentale a blocchi
randomizzati con tre ripetizioni sono stati studiati 5 genotipi di C.
cardunculus, di cui 2 cultivar di carciofo (‘Tondo di Paestum’ e
‘Violetto di Sicilia’), 2 accessioni di cardo selvatico (‘Sylvestris Creta’
e ‘Sylvestris Kamarina’) ed 1 cardo coltivato (‘Altilis 41’) selezionato
dalla Università di Catania. Il materiale, rappresentato da foglie,
steli fiorali e capolini, è stato sempre raccolto da piante sane ed in
corrispondenza dello stadio di maturazione D (bocci fiorali ” 2
mm). In laboratorio, sono stati pesati 0,1 grammi di campione
liofilizzato, omogeneizzati ed estratti in metanolo al 70% (v/v),
contenente butilato idrossitoluene per preservare i composti
durante l’estrazione ed esperetina come standard interno, agitando
per 1 ora a temperatura ambiente. In seguito, i campioni sono stati
sottoposti alla valutazione del profilo quali-quantitativo dei
polifenoli come riportato da Pandino et al. (2010).
I risultati hanno messo in evidenza come il profilo qualitativo in polifenoli sia
fortemente influenzato dalla varietà botanica e dalla frazione di pianta considerata.
In relazione alla varietà botanica, il cardo coltivato ha mostrato il più alto numero di
composti rispetto sia al cardo selvatico che al carciofo, specialmente nelle foglie.
Quest’ultime hanno fatto registrare un più elevato numero di composti polifenolici
rispetto allo stelo fiorale ed al capolino (16, 14 e 9, rispettivamente) (tabb. 1-3). Esse,
in particolare, hanno presentato un maggior numero di flavoni (luteolina, apigenina
e loro derivati) (tab. 2). Lo stelo fiorale ha evidenziato una maggior numero di acidi
caffeilchinici, mentre il capolino ha mostrato uno scarso contenuto sia in flavoni che
in acidi caffeilchinici. Per contro, il capolino è apparso essere la frazione di pianta che
meglio permette di discriminare le varietà di carciofo da quelle di cardo (coltivato e
selvatico). A tal proposito, ben 5 composti (2 acidi caffeilchinici e 3 flavoni) sono
risultati presenti in carciofo ed assenti in entrambe le varietà di cardi, così come
l’apigenina rutinoside è stata rinvenuta nel cardo e non in carciofo (tab. 1). Per
quanto concerne lo stelo fiorale, i composti che hanno permesso di distinguere il
carciofo dal cardo sono stati gli acidi caffeilchinici (tab. 3). In particolare, l’acido 3,5
di-caffeilchinico è stato rinvenuto esclusivamente in carciofo, così come gli acidi
monosuccinil di-caffeilchinici sono apparsi presenti solamente in entrambe le varietà
di cardo (tab. 3). Nelle foglie, la luteolina glucuronide e l’apigenina glucuronide sono
state trovate solamente in entrambi i cardi (tab. 2).
Tab. 1. Profilo qualitativo dei composti polifenolici del capolino di &FDUGXQFXOXV in relazione alla
varietà botanica.
Tab. 2. Profilo qualitativo dei composti polifenolic di foglie di &FDUGXQFXOXV in relazione alla
varietà botanica.
Varietà botanica
Cardo
coltivato
Tab. 3. Profilo qualitativo dei composti polifenolic dello stelo fiorale di &
FDUGXQFXOXV in relazione alla varietà botanica.
Varietà botanica
Varietà botanica
Cardo selvatico
Cardo
coltivato
Carciofo
Composto
Altilis41
Sylvestris
Creta
Sylvestris
Kamarina
Tondo di
Paestum
Violetto di
Sicilia
acido 1-caffeilchinico
-(1)
-
-
-
+(2)
acido 3-caffeilchinico
-
-
-
-
acido 5-caffeilchinico
-
-
-
+
Cardo selvatico
Cardo
coltivato
Carciofo
Cardo selvatico
Carciofo
Composto
Composto
Altilis41
Sylvestris
Creta
Sylvestris
Kamarina
Tondo di
Paestum
Violetto di
Sicilia
acido 1-caffeilchinico
-(1)
-
-
-
-
+
acido 3-caffeilchinico
+(2)
-
-
+
-
+
acido 5-caffeilchinico
+
+
+
+
+
Altilis41
Sylvestris
Creta
Sylvestris
Kamarina
Tondo di
Paestum
Violetto
di Sicilia
acido 1-caffeilchinico
-(1)
-
-
+(2)
-
-
acido 3-caffeilchinico
+
-
-
-
+
acido 5-caffeilchinico
+
+
-
+
acido 3,5 di-caffeilchinico
-
-
-
-
-
acido 3,5 di-caffeilchinico
-
-
-
-
-
acido 3,5 di-caffeilchinico
-
-
-
+
+
acido 1,5 di-caffeilchinico
-
+
+
+
+
acido 1,5 di-caffeilchinico
-
-
+
-
+
acido 1,5 di-caffeilchinico
+
+
+
+
+
acido monosuccinil di-caffeilchinico
-
-
-
-
-
acido monosuccinil di-caffeilchinico
+
-
-
-
-
acido monosuccinil di-caffeilchinico
+
+
-
-
-
acido monosuccinil di-caffeilchinico
-
-
-
-
-
acido monosuccinil di-caffeilchinico
-
-
-
+
+
acido monosuccinil di-caffeilchinico
+
+
+
-
-
luteolina ruta
-
-
-
+
+
luteolina ruta
-
+
+
+
+
luteolina ruta
-
-
+
+
+
luteolina glcb
-
-
-
+
-
luteolina glcb
+
+
+
+
+
luteolina glcb
+
+
+
+
+
luteolina glrc
-
-
-
-
+
luteolina glrc
+
-
+
-
-
luteolina glrc
+
-
-
-
-
luteolina malonilglcb
-
-
-
-
-
luteolina malonilglcb
-
-
-
+
+
luteolina malonilglcb
-
-
+
-
+
+
luteolina
-
+
+
+
+
luteolina
+
+
+
+
+
luteolina
+
+
+
+
apigenina ruta
+
+
+
-
-
apigenina ruta
+
+
+
+
-
apigenina ruta
-
-
-
-
-
apigenina glcb
-
-
-
-
-
apigenina glcb
+
+
+
+
+
apigenina glcb
-
-
-
-
-
apigenina glrc
+
+
+
+
+
apigenina glrc
+
+
+
-
-
apigenina glrc
-
+
-
+
-
apigenina malonilglcb
+
-
-
+
+
apigenina malonilglcb
+
+
+
+
+
apigenina malonilglcb
+
-
+
-
-
+
+
+
+
+
+
+
+
+
-
+
-
+
+
-
apigenina
(1) -
= assente; (2) + = presente;
a
= rutinoside; b = glucoside; c = glucuronide
apigenina
(1) -
= assente; (2) + = presente;
a
= rutinoside; b = glucoside; c = glucuronide
apigenina
(1) -
= assente; (2) + = presente;
a
= rutinoside; b = glucoside; c = glucuronide
Conclusioni
Il profilo qualitativo dei polifenoli ha evidenziato principalmente la presenza di acidi caffeilchinici e flavoni, i quali sono stati influenzati sia
dalla varietà botanica che dalla frazione di pianta considerata. In particolare, questa ricerca dimostra chiaramente che il profilo polifenico
può essere utilizzato come ‘impronta digitale’ per identificare le tre varietà botaniche di C. cardunculus. .
Bibliografia:
Pandino G. et al. (2010). J. Agric. Food Chem., 58:1026-1031.
B-23
XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
4
Valutazione qualitativa di pasta ottenuta da
grano duro coltivato nel Nord Italia con tecniche
agronomiche sito specifiche
Ricerca realizzata con il finanziamento AGER
Sara Trevisan, Gabriella Pasini
1
Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse Naturali e Ambiente (DAFNAE), Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
La 䇾pasta䇿, conosciuta come un prodotto 䇾made in Italy䇿, è ottenuta dalla trasformazione del grano duro, tipicamente coltivato nel Sud Italia.
Allo scopo di potenziare la coltivazione di grano (da destinare alla pastificazione) anche nelle zone settentrionali, sono state studiate diverse
varietà al fine di identificare quelle più idonee alle condizioni climatiche tipiche del Nord Italia. Nello specifico, la varietà Biensur è stata utilizzata
in questa ricerca allo scopo di valutare la sua attitudine alla pastificazione. In generale la qualità tecnologica della pasta dipende da diversi fattori
riconducibili sia alla materia prima (varietà, composizione della granella, macinazione) sia ai trattamenti tecnologici utilizzati nel processo
produttivo (impastamento, estrusione, essiccazione).
Obiettivo generale della ricerca è stato quello di valutare l䇻effetto dei trattamenti agronomici, della macinatura e delle temperature di
essiccazione sulle proprietà reologiche e sensoriali della pasta ottenuta da grano duro var. Biensur.
Materiali e metodi
Risultati
L䇻attività di ricerca, ha preso in considerazione:
- 6 campioni di grano duro var. Biensur coltivato in zone omogenee
con differenti regimi di fertilizzazione (130+0, 130+15, 160+0,
160+15, 200+0 e 200+15), (raccolta 2011 e 2012, forniti dall䇻unità
di Agronomia dell䇻Università di PD);
- 1 campione di grano duro di uso commerciale come riferimento.
Ogni campione è stato macinato a pietra e a cilindri ottenendo
semole integrali e semole raffinate che sono state caratterizzate
dal punto di vista compositivo (proteina, amido, lipidi, ceneri,
fibra, umidità).
Le semole sono state poi utilizzate per produrre una tipologia di
pasta (tubetti lisci) essiccata sia bassa (pasta LT: 50㼻C, 80%
Umidità, Tempo: 10 ore) sia ad alta temperatura (pasta HT: 5 step
a 78㼻C–95㼻C; Umidità variabile; Tempo: 2 ore e 10 min), per un
totale di 36 campioni (18 pasta integrale e 18 pasta raffinata),
utilizzando un impianto pilota messo a disposizione da PAVAN
MAP IMPIANTI di Galliera Veneta (PD). Sulla pasta è stata quindi
effettuata una valutazione qualitativa verificando:
- comportamento alla cottura (tempo di cottura, incremento
ponderale e residuo secco in acqua di cottura),
- analisi sensoriale (allestendo un panel di semiesperti),
- proprietà reologiche (analisi al dinamometro per valutare
consistenza/nerbo e analisi al farinografo per valutare il
comportamento dell䇻impasto).
Dalla elaborazione statistica dei dati relativi alla proteina totale, risultano
differenze significative tra tutti i campioni in relazione alla diversa gestione
in campo (tabella 1). In particolare il maggior contenuto proteico è stato
rilevato per i campioni 200+0 e 200+15.
Dall 䇻 analisi farinografica, che permette di valutare le proprietà
d䇻impastamento sulla base dei cambiamenti di consistenza dell䇻impasto
indotti dalle sollecitazioni meccaniche dell䇻impastatrice, si ricavano dei
parametri tecnologici (stabilità, grado di rammollimento dell䇻impasto e
assorbimento di acqua) significativamente diversi nei vari campioni,
risultando migliori i 200+0 e 200+15 sia per la semola integrale che per
quella raffinata.
L䇻analisi strumentale al dinamometro ha evidenziato per i campioni di
pasta ottenuti da semola macinata a pietra, la consistenza tipica di una
pasta integrale distinguendo le paste 200+0 e 200+15 da tutte le altre. Lo
stesso risultato è stato ottenuto anche per la pasta raffinata, che ha
evidenziato maggiore resistenza al taglio nei campioni 200+0 e 200+15.
Nessuna differenza invece è imputabile alle temperature di essiccazione.
Col dinamometro si è valutata anche la tenuta in cottura dei diversi
campioni, risultando migliore nella pasta raffinata rispetto alla pasta
integrale.
L䇻analisi sensoriale effettuata da un panel di semi-esperti ha espresso un
elevato gradimento per tutti i prodotti nei quali non sono stati riscontrati
sapori e odori intensi o sgradevoli nemmeno per la pasta integrale. In
particolare i campioni 200+0 e 200+15 hanno avuto un miglior riscontro
per quanto riguarda gli indicatori di sapore, odore e gusto. Per quanto
riguarda il nerbo, la tenuta in cottura e l䇻assenza di collosità, nelle paste
integrali è evidente un effetto della temperatura di essicazione e del
contenuto iniziale di proteina, risultando migliori le paste 200+0 e 200+15
HT. Nelle paste a cilindri l䇻effetto della temperature di essicazione non
viene evidenziato fermo restando che la percezione sensoriale è migliore
per le paste ad elevato contenuto proteico.
Tabella 1. Valori espressi su 100 parti di
sostanza secca. I dati riportati in ogni singola
colonna della tabella che presentano la
stessa lettera non hanno differenze
significative (p>0.05).
Conclusioni
I campioni analizzati sono stati confrontati tra di loro e con un prodotto commerciale analogo. Solo alcuni campioni presentano un contenuto in
proteina elevato o commercialmente accettabile secondo il D.P.R. n.187 del 9/02/2001 (per semola min. 10,50% s.s.; per semola integrale min.
11,50% s.s.) la cui componente glutinica, nello specifico valutata dai colleghi dell䇻Università di Parma, è rappresentata da proteine che,
qualitativamente e quantitativamente, garantiscono una buona qualità pastificatoria. Il confronto tra pasta integrale e pasta raffinata ottenuta dagli
stessi campioni di frumento, indica che è possibile avviare una filiera corta allo scopo di promuovere sia un prodotto raffinato che integrale di buona
qualità tecnologia.
Ringraziamenti: PAVAN MAP IMPIANTI, Galliera Veneta, PD.
B-24
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Sostenibilità produttivo-ambientale, qualitativa ed
economica della filiera “frumento duro”
Ricerca realizzata con il finanziamento AGER grant n.2010-C21J10000660002
Michele Pisante, Fabio Stagnari, Angelica Galieni, Stefano Speca, Giovanni Cafiero, Sandra C. Corsi
Centro di ricerca e formazione in agronomia e produzioni vegetali, Univ. Teramo, Autore corrispondente: [email protected]
Fertilizzazione azotata
Introduzione
Copertura del suolo
Consociazione frumento
duro/favino
Tra i sistemi di gestione agronomica sostenibile, l’Agricoltura
Conservativa (AC) si va progressivamente diffondendo, nel rispetto dei
seguenti principi agronomici: minimo disturbo meccanico del suolo,
copertura permanente e avvicendamenti colturali. Questa
integrazione di carattere agronomico determina le condizioni ottimali
per il regolare approvvigionamento di acqua e nutrienti. Tuttavia, la
fase di transizione ad AC è problematica ed i dati a disposizione sono Foto relative ai tre dispositivi sperimentali allestiti nei tre anni di ricerche.
limitati, rendendo necessaria la verifica delle condizioni di adattabilità
Risultati
e il monitoraggio della qualità del suolo, quale ulteriore output sotto
forma di servizio ecosistemico. Il presente lavoro riporta i risultati Fertilizzazione azotata: la combinazione ottimale forma-dose di
produttivi ottenuti durante il primo triennio della fase di transizione in fertilizzante azotato è stata significativamente condizionata
dall'andamento meteorologico registrato nei tre anni di studio
frumento duro (Triticum durum Desf.).
(precipitazioni durante la granigione). La produzione aumenta con
l'aumentare della dose di fertilizzante azotato applicato fino a 150 kg
Materiali e metodi
N ha-1 (Fig.1).
Figura 1: Produzione t ha vs dosi crescenti di azoto (0,
L’impianto sperimentale allestito nei tre anni di ricerche, è stato
50, 100, 150, 200 kg N ha ) in frumento duro durante i
primi
tre anni di coltivazione in AC. I dati rappresentano la
realizzato durante la fase di transizione del sistema di gestione della
media ± errore standard, per n=3 ripetizioni indipendenti.
Grigio: Controllo non fertilizzato
produzione da tradizionale (AT) a conservativo (AC) su tre distinte
Giallo: Urea
prove:
Rosa: Nitrato di Calcio
- Fertilizzazione Azotata con due diversi formulati (Urea e Nitrato di
Calcio, fattore principale) e 4 dosi crescenti di azoto (50-100-150-200 Copertura del suolo: durante i primi tre anni della fase di transizione
ad AC, l’apporto addizionale di paglia come residuo vegetale ha
kg ha-1, fattore secondario) più un -concimato.
- Copertura del suolo con residui vegetali a 3 differenti livelli di favorito un aumento significativo del contenuto idrico del terreno e
applicazione: 5,0 t ha-1 di paglia (indicato come 100%MC), 2,5 t ha-1 di una significativa riduzione nella lisciviazione degli elementi nutritivi
(dati non mostrati) garantendo delle ottime performance produttive
paglia (50%MC) e 1,5 t ha-1 di paglia (30%MC).
- Consociazione frumento duro/favino a 3 differenti livelli di densità: (Fig.2).
Figura 2: Produzione t ha vs dosi crescenti di copertura
1:1 frumento duro/favino, 2:1 frumento duro/favino, 3:1 frumento
del terreno con paglia (%) in frumento duro durante i
duro/favino e frumento duro in coltura pura.
primi tre anni di coltivazione in AC: 5,0 t ha di paglia
-1
*
*
*
*
-1
*
*
*
*
*
-1
*
-1
(100%), 2,5 t ha-1 di paglia (50%), 1,5 t ha-1 di paglia (30%)
e Controllo non pacciamato (0%). I dati rappresentano la
media ± errore standard, per n=3 ripetizioni indipendenti.
- Sulla coltura: alla raccolta sono stati valutati gli effetti dei fattori
sperimentali allo studio sulle performance produttive della coltura.
- Sul suolo: per la prova «Copertura del suolo» sono stati monitorati
il contenuto idrico del terreno ed il contenuto di elementi minerali
nella soluzione circolante; per le prove «Copertura del suolo» e
«Consociazione frumento duro/favino» sono state monitorate le
emissioni di CO2 del terreno.
Consociazione frumento duro/favino: Nonostante la densità di
semina più elevata ed ottimale del frumento in purezza, la
produzione ha evidenziato valori significativamente superiori
rispetto alla produzione del cereale in consociazione solo nel 2013
(Fig.3).
*
LICOR 8100A per la
misura degli
scambi gassosi del
terreno.
Lisimetro posizionato in campo e
campioni di soluzione circolante
prelevata.
Sonda per il monitoraggio del
contenuto idrico del terreno e data
logger per l'acquisizione dei dati.
Conclusioni
In ambiente Mediterraneo durante la fase di transizione ad AC
(periodo stimato tra 5 e 7 anni), è possibile modulare la fertilizzazione
azotata (minerale e biologica) e gestire la copertura del terreno con
residui vegetali addizionali al fine di ottenere, per il frumento duro,
soddisfacenti rese produttive, stabili e di qualità. Gli effetti sulle
caratteristiche fisiche del terreno sono già evidenti dal terzo anno di
studio. Con il proseguimento delle ricerche le tecniche agronomiche
dovranno essere adeguate alle caratteristiche fisiche, chimiche e
biologiche del terreno che si registrano nei sistemi di AC stabilizzati.
Figura 3: Produzione t ha-1 vs livelli di densità frumento
duro/favino in frumento duro durante i primi tre anni di
coltivazione in AC: 1:1 frumento duro/favino, 2:1
frumento duro/favino, 3:1 frumento duro/favino e
frumento duro in coltura pura. I dati rappresentano la
media ± errore standard, per n=3 ripetizioni indipendenti.
Misura degli scambi gassosi: Le figure 4 e 5 riportano gli andamenti
registrati delle emissioni di CO2 dal terreno per le prove Copertura
del suolo e Consociazione frumento duro/favino, monitorate a
partire dalla fase fenologica della maturazione lattea fino alla
raccolta (2013).
Figura 4: Andamento degli scambi gassosi del terreno (CO2 μmol mol-1) in
frumento duro durante il terzo anno di coltivazione in AC (2013). I
trattamenti sono rappresentati da dosi crescenti di copertura del terreno
con paglia.
Giallo: 5,0 t ha-1 di paglia (100%); Verde: 2,5 t ha-1 di paglia (50%); Rosso:
1,5 t ha-1 di paglia (30%); Nero: Controllo (0%)
Figura 5: Andamento degli scambi gassosi del terreno (CO2 μmol mol-1) in
frumento duro durante il terzo anno di coltivazione in AC (2013). I
trattamenti sono rappresentati da differenti livelli di densità frumento
duro/favino.
Giallo: 1:1 frumento duro/favino; Verde: 2:1 frumento duro/favino;
Rosso: 3:1 frumento duro/favino; Nero: frumento duro in coltura pura.
B-25
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
REGOLAZIONE DELL’ASSIMILAZIONE DEL NITRATO
IN RUCOLA E LATTUGA
Ricerca realizzata con il finanziamento PRIN 2008
Nadia Podetta, Antonio Ferrante
1
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali – Produzione, Territorio, Agroenergia. Università degli Studi di Milano.
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
La concentrazione dei nitrati nelle foglie è un parametro qualitativo molto importante dal punto di
vista commerciale. La libera commercializzazione degli ortaggi da foglia in Italia e in Europa avviene
solo se il contenuto in nitrati nelle foglie è inferiore ai limiti imposti dal regolamento EU n. 1258/2011.
La nitrato riduttasi (NR, E.C. 1.6.6.1) è l’enzima chiave dell’assimilazione del nitrato ed è altamente
regolata dai fattori ambientali durante la fase di coltivazione degli ortaggi. I fattori più importanti sono
la radiazione solare e la disponibilità di nitrati nel suolo o nella soluzione nutritiva in idroponica. Gli
ortaggi da foglia hanno una diversa capacità di accumulo dei nitrati, tra gli iperaccumulatori troviamo
la rucola e tra quelli a basso accumulo si annovera la lattuga. L’obiettivo di questo lavoro è quello di
studiare l’accumulo del nitrato nelle foglie in due ortaggi con capacità di accumulo opposte, rucola e
lattuga, in funzione della disponibilità di luce e del nitrato nella soluzione nutritiva.
Materiali e metodi
Risultati
La rucola (Diplotaxis tenuifolia L.) e lattuga (Lactuca sativa
L.) sono state coltivate idroponicamente in un sistema
floating in camera di crescita con le seguenti condizioni
ambientali: 13 h di fotoperiodo; 60% umidità relativa; 23-26
°C temperatura; 500 W/m2 intensità di luce) con una
soluzione nutritiva contenente (mM) 2 P, 10 K, 5 Ca, 2,4 Mg,
2.7 S, 0.04 Fe e formulati commerciali contenenti
micronutrienti (le concentrazioni saranno quelle previste
per la soluzione di Hoagland). Le concentrazioni di nitrati
nella soluzione nutritive sono state 0,25; 0,5; 1; 2 mM.
Siccome la nitrato riduttasi (NR) è dipendente dalla luce I
campionamenti sono stati effettuati al buio e dopo 2, 4 e 6
ore dall’esposizione alla luce. I nitrati sono stati determinati
con il metodo dell’acido acetilsalicilico (Cataldo et al., 1975.
Commun Soil Sci. Plant. Anal. 6:71-80.) e l’attività della
nitrato riduttasi in vivo come descritto da Podetta et al.,
(2011. Minerva Biotecnologica 23 Suppl. 1 (2): 40-41).
La concentrazione di nitrato è stata più alta nelle foglie delle piante coltivate con la
soluzione nutritiva contenente la concentrazione di nitrato più elevata (2 mM) in
entrambe le specie (Tab. 1). L’attività della NR nella lattuga è variata da 25 a 150 μg
NO2- g-1 h-1, mentre nella rucola da 100 a 900 μg NO2- g-1 h-1 considerando i
diversi tempi di campionamento e le diverse concentrazioni. La NR nella lattuga a
basse concentrazioni di nitrato è rimasta pressoché costante, mentre nelle
concentrazioni con 1 e 2 mM di nitrato i valori sono aumentati all’aumentare della
disponibilità di luce, soprattutto a partire dalle 2 ore in poi. Le differenze sono
molto evidenti tra i trattamenti dopo 6 ore di esposizione alla luce. Nella rucola,
invece, in tutti i trattamenti l’attività della NR è fortemente aumentata
all’aumentare dell’esposizione alla luce. Differenze tra le concentrazioni sono visibili
al primo campionamento (buio) e dopo 4 ore di esposizione alla luce.
Tab. 1. Contenuto in nitrati e attività della nitrato riduttasi in lattuga e
rucola coltivate in floating system con 0,25, 0,5, 1 e 2 mM di nitrato.
Esposizione
alla luce (ore)
0
2
4
6
Concentrazione
nitrati (mM)
0,25
0,5
1
2
0,25
0,5
1
2
0,25
0,5
1
2
0,25
0,5
1
2
Lattuga
Rucola
Nitrati
(mg/kg PF)
Nitrato riduttasi
(μg NO2- g-1 h-1 PF)
Nitrati
(mg/kg PF)
Nitrato riduttasi
(μg NO2- g-1 h-1 PF)
1575,0±101,69
1624,6±258,45
1399,4±368,45
1911,5±387,62
2383,1±249,17
1989,2±370,60
1876,6±478,05
1224,4±89,18
1382,2±65,70
2993,7±1586,21
1941,8±384,15
1989,5±486,52
1630,7±161,81
1118,8±0,00
1169,6±284,97
1707,9±317,77
25,1±4,48
23,9±2,81
48,0±12,15
26,4±3,79
36,6±8,29
40,9±8,70
25,5±7,87
69,3±20,37
66,7±11,00
34,6±9,84
57,0±14,54
86,2±18,44
51,5±11,25
61,6±7,03
111,5±24,41
146,1±51,74
4788,0±63,40
4948,7±408,65
5180,5±327,96
5547,8±160,2
4827,2±426,00
4194,4±408,65
5210,1±410,36
6118,9±539,80
4245,8±32,20
4500,9±180,25
5259,7±151,28
6151,9±394,35
5181,9±544,20
4567,7±186,24
6138,0±936,56
5361,9±294,68
180,1±70,16
105,3±25,87
114,3±81,24
279,0±148,94
302,7±80,61
512,8±68,23
404,9±70,68
393,5±113,18
524,1±39,55
895,1±49,59
529,3±32,46
665,5±99,32
827,2±34,63
953,4±65,40
894,7±33,73
950,3±130,94
Conclusioni
L’accumulo del nitrato nelle foglie è influenzato principalmente dalla disponibilità di nitrato, la quantità di luce invece genera delle variazioni di
nitrato transienti e oscillatorie difficilmente prevedibili. La rucola presenta una più alta attività enzimatica della nitrato riduttasi ma non si traduce
in una effettiva organicazione del nitrato, pertanto le differenze di assimilazione nella due specie non sono ascrivibili all’attività dell’enzima.
Ulteriori studi sono necessari per identificare il fattore limitante nella via di assimilazione e poter comprendere il diverso comportamento delle
due specie.
Ringraziamenti: progetto finanziato dal MIUR-PRIN 2008. Qualità degli ortaggi da foglia baby leaf coltivati in floating system.
B-26
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
IL FICODINDIA IN IV GAMMA: STRUMENTI PER
AMPLIARNE LE PROSPETTIVE COMMERCIALI
Salvatore Antonino Raccuia , Claudia Platania, Simona Tringali, Valeria Toscano, Rosaria Bognanni, Maria Grazia Melilli
CNR - Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo (ISAFOM) - U.O.S. Catania
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Il ficodindia (Opuntia ficus-indica (L.) Mill.) è una pianta succulenta originaria del Messico. In Italia il
90% della superficie coltivata è localizzata in Sicilia, dove un’espansione degli impianti specializzati ha
determinato l’ottenimento di ragguardevoli livelli di produzione e di redditi. Il frutto, che ha un
notevole valore nutraceutico legato alla presenza di minerali ed elevati contenuti in acido ascorbico,
possiede dei limiti di commerciabilità rappresentati dalla riduzione della qualità a causa di processi
biologici e fisiologici nella fase post-raccolta e dalla difficoltà di manipolazione e sbucciatura del
frutto. La disponibilità dei prodotti ready to eat che è aumentata in questi ultimi anni sia nei mercati
che nei supermercati può assumere particolare interesse per questo prodotto. Nel presente lavoro
sono stati studiati gli effetti di differenti trattamenti di conservazione in IV gamma, mediante l’utilizzo
di film edibili (sottili strati di materiale edibile applicati direttamente sulla superficie degli alimenti) e
di sostanze naturali acidificanti, sul contenuto in vitamina C in una varietà di ficodindia siciliana.
Materiali e metodi
Risultati
I frutti raccolti a settembre 2013 sono stati spazzolati, lavati,
privati della buccia esterna e sottoposti a tre differenti
trattamenti di conservazione in IV gamma:
¾ I trattamenti hanno ridotto il pH per effetto dell’impiego dell’acido citrico
fino a 5,5 per CHI e AC e fino a 5 nel trattamento CHI. Più bassi rispetto
testimone che ha mostrato valori di pH superiori a 6 (Tab. 1).
1. Chitosano (1% p/v) + Acido Citrico (1% p/v)
2. Alginato (5% p/v) + Acido Citrico (1% p/v) + CaCl2 (8% p/v)
3. Acqua + Acido Citrico (1% p/v)
CHI (1% p/v) + AC (1% p/v)
Tab. 1 Determinazione delle modifiche di pH a seguito dei trattamenti
¾ Il contenuto in vitamina C, espresso in mg 100 ml-1 di succo, è stato pari a
19,2 al t 0 ha mostrato un andamento sufficientemente costante nel
tempo, con lievi aumenti nei trattamenti H2O+AC e ALG (Fig. 1).
H2O + AC (1% p/v)
I trattamenti sono stati posti a confronto con un testimone
non trattato. I frutti sono stati confezionati in vaschette in
polipropilene e conservati a 4°±1°C.
A cadenza di 3 gg per un totale di 18 gg, su 3 repliche per
tesi sono stati determinati il pH e il contenuto in vitamina C.
vit C (mg 100ml -1)
ALG (5% p/v) + AC (1% p/v) + CaCl2 (8% p/v)
Fig. 1 Andamento del contenuto di vitamina C (mg 100 ml-1 ) in frutti di
ficodindia nei diversi trattamenti.
Conclusioni
I risultati ottenuti hanno messo in luce che il lavaggio con acido citrico e i diversi trattamenti hanno preservato il contenuto in vitamina C
mantenendolo costante nel tempo, dimostrando una buona risposta dei frutti ai trattamenti con film edibili.
La shelf life per il ficodindia in IV gamma attualmente non supera i 7 gg a 4°C. I trattamenti posti allo studio hanno permesso di mantenere le
caratteristiche sensoriali e del contenuto in vitamina C fino a 12 giorni. Inoltre, si sono registrate diminuzioni di pH che si traducono in una
minore suscettibilità dei frutti all’attacco microbico.
B-27
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Produttività e qualità di nuove accessioni di
tabacco Burley
Francesco Raimo, Luisa del Piano, Massimo Abet, Francesco Modestia, Sicignano Mariarosaria, Tommaso Enotrio
Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura – Unità di ricerca Colture Alternative al Tabacco
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Da alcuni anni la crisi del tabacco in Italia ha spinto sempre più gli agricoltori a privilegiare la
produzione del tabacco di qualità. Nell’ambito delle attività sul miglioramento qualitativo del tabacco
Burley, il CRA-CAT ha costituito nuove linee maschiosterili di tabacco Burley. Al fine di verificare le
caratteristiche produttive e qualitative di queste linee è stata realizzata una prova sperimentale
confrontando tre nuove accessioni con una varietà di tabacco commerciale.
Campo di Benevento
Materiali e metodi
Risultati
Nell’anno 2013 è stato effettuato un confronto fra tre nuove
accessioni di tabacco Burley, costituite dal CRA-CAT,
denominate BMS 90, BMS 91 e BMS 92 ed una linea
commerciale di tabacco (FB9), in tre località campane,
Francolise (CE), Fragneto l’Abate (BN) e Scafati (SA). Inoltre
le tre nuove accessioni sono state provate nel biennio 20122013, presso il campo sperimentale del CRA-CAT a Scafati
(SA). La concimazione pre trapianto è stata effettuata
interrando 70 kg ha-1 di N, 80 kg ha-1 di P2O5 e 100 kg ha-1 di
K2O. Il trapianto è avvenuto in tutte e tre le località nella
terza decade di maggio, utilizzando una densità d’impianto
di 27.777 piante ha-1, secondo uno schema sperimentale a
blocchi randomizzati con tre ripetizioni. In copertura sono
state somministrate, al momento della rincalzatura, 70 kg
ha-1 di N. Le foglie mature sono state raccolte in quattro
epoche e curate in locali ombreggiati. Quando le parcelle
presentavano il 50% delle piante fiorite, sono stati effettuati
rilievi morfobiometrici su 10 piante per ripetizione. Sul
materiale raccolto è stata determinata la produzione e sulle
foglie della II e III raccolta sono stati effettuati rilievi
qualitativi (resa in scostolato, contenuto in N ed in alcaloidi).
I dati raccolti sono stati sottoposti ad ANOVA e quando le
differenze risultavano significative è stata effettuata la
separazione delle medie con il metodo Tukey (HSD).
I rilievi biometrici hanno evidenziato che FB 9 ha presentato uno sviluppo
maggiore, rispetto alle tre accessioni sperimentate, diametri fogliari più
elevati, maggiore altezza delle piante e del numero di foglie (Tab. 1).
Fig. 1. Produzioni ottenute
nel 2013 (media tre località)
Tab. 1. Dati biometrici rilevati sulle accessioni di tabacco nell’anno
2013 (media delle tre località)
Per quanto riguarda i dati produttivi, la produzione in foglie è stata sempre
inferiore a SA rispetto alle altre due località, infatti è stata registrata una
produzione in foglie verdi di 37 t ha-1 a SA vs 40 t ha-1 a CE e BN, e di foglie
curate di 3,6 t ha-1 a SA vs 4,5 t ha-1 a CE e 4,8 t ha-1 a BN (Fig. 1). Il
confronto effettuato nel biennio 2012-2013, fra le tre accessioni BMS, a SA,
non ha mostrato differenze significative sia nel prodotto verde (37 t ha-1), sia
nel prodotto curato (3,5 t ha-1) (Fig. 2).
Tab. 2. Principali dati qualitativi
ottenuti nell’anno 2013, espressi in
percentuale (media tre località)
Fig. 2. Produzioni ottenute a
Salerno nel biennio 2012-13
La resa in scostolato è stata
significativamente
maggiore
per le tre accessioni in prova,
sia in provincia di Caserta e
Salerno (Tab. 2). Il contenuto in
N non ha mostrato differenze
significative tra le varietà,
mentre è risultato più elevato a
Caserta e nella III raccolta (Tab.
2). La percentuale di alcaloidi è
risultata essere più bassa in
BMS 91 ed in provincia di
Salerno, mentre non ha
mostrato differenze fra le due
raccolte (Tab. 2).
I valori che riportano la stessa lettera non sono statisticamente differenti a
P<0,05. Significatività: * P<0,05; **P<0,01; ***P<0,001; ns= non
significativo.
Conclusioni
Dal punto di vista produttivo FB9 ha fornito una produzione totale di foglie curate superiore alle nuove linee (4,9 t ha-1 vs 4,1 t ha-1), in
quanto ha prodotto un maggior un numero di foglie per piante ed un maggiore peso medio delle foglie curate. Al contrario la resa in
scostolato è stata significativamente maggiore nelle tre nuove costituzioni rispetto alla varietà commerciale (69,1% vs 65,2%). Per quanto
riguarda il contenuto di N non sono state osservate differenze tra le varietà, mentre sono state evidenziate differenze significative tra
ciascuna località con valori maggiori a CE e nella terza raccolta. Per quanto riguarda il contenuto di alcaloidi sono stati rilevati valori inferiori
per la varietà BMS 91; relativamente alle località valori minori sono stati osservati in provincia di Salerno.
B-28
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Ricerca realizzata con il finanziamento MICOPRINCEM-MIPAAF
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B-29
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Ricerca realizzata con il finanziamento MICOPRINCEM-MIPAAF
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(b)
(a)
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ZŽƐĞƵŵ ;&ŝŐ͘ ϮͿ͘ ĐŽŶĨĞƌŵĂ Ěŝ ƚĂůŝ ƌŝƐƵůƚĂƚŝ ůĂ ƐĞĐŽŶĚĂ ƐƉĞƌŝŵĞŶƚĂnjŝŽŶĞ ŚĂ
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ƐƉƉ͘ ĚĞůůĂ ƐĞnjŝŽŶĞ >ŝƐĞŽůĂ ;&ŝŐ͘ ϯͿ͘
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ŵƵůƚŝͲŵŝĐŽƚŽƐƐŝŶĂ͘ >Ă ƌŝůĞǀĂnjŝŽŶĞ Ğ ůĂ ƋƵĂŶƚŝĨŝĐĂnjŝŽŶĞ ƐŽŶŽ
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&ŝŐ͘ Ϯ͘ ĨĨĞƚƚŽ ĚĞů ĐŽŶƚƌŽůůŽ ĚĞůů͛ŝŶĨĞƐƚĂnjŝŽŶĞ ĚĂ ƉŝƌĂůŝĚĞ ƐƵůůĂ ĐŽŶƚĂŵŝŶĂnjŝŽŶĞ ĚĂ
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B-30
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA
17-19 Settembre 2014
Phenological development and yield response of durum wheat to
conservation agricultural practices in a Mediterranean cambisol
7KLVUHVHDUFKZDVIXQGHGE\8QLYHUVLWj3ROLWHFQLFDGHOOH0DUFKH±'LS$
Leonardo
Serrani 1,
Vittorio
Merli 1,
Mirco
Franceschetti 1,
Roberto Orsini 1*, Giovanna Seddaiu2, Pier Paolo Roggero 2
1
Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali (Dip. 3A) - Università Politecnica delle Marche - via Brecce Bianche - 60131 ANCONA - Italy
di Agraria e Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione - Università di Sassari - Viale Italia 39 - 07100 Sassari - Italy
*Corresponding author: [email protected]
2 Dipartimento
Introduction
Plow-based soil cultivation has become more and more common in European
agriculture, where the term “tillage” is commonly used as a synonym for “agriculture”.
This factor has caused a large variety of environmental impacts such as: nitrogen
leaching; greenhouse gas emissions; soil organic matter losses and soil erosion that in
many European member states determined huge annual social costs. The aim of this
work is to evaluate the effect of conservation agricultural practices (CA) (as minimum
and no tillage) combined to different N fertilization on durum wheat productivity in
order to identify a strategy for the identification of adaptive responses and mitigation
strategies to climate change in Mediterranean cereal-based cropping systems.
Photo 1: Experimental site
Material and Methods
Results and Discussion
The cultivation trials were performed from November 2010
to July 2013 on eighteen plots of 500 m2 each with 10 %
average slope and North-south exposure located at
“Pasquale Rosati” experimental farm in Agugliano, Italy (43°
32’ N, 13° 22’ E, and altitude of approximately 100 m a.s.l.)
(Foto 1). The soil was classified as calcaric gleyic cambisol.
Regarding grain yield no significant tillage x N interaction was observed.
Wheat yields were significantly influenced by N fertilization with decreasing
effects with increasing doses.
The crop rotation was replicated in two adjacent fields and
provides durum wheat (Triticum durum Desf. cv. Grazia,
ISEA) and maize for which, no data is reported. Within each
field, treatments were arranged according to a split plot
experimental design with two randomized blocks and
repeated in the same plots every year; there are three
tillage that are the main plots of 1500 m2 each
(conventional tillage (CT), minimum tillage (MT) and sod
sowing (NT)), and three N fertilizer inputs (0, 90 and 180 kg
N ha−1) that represent the sub-plot of 500 m2 each, for a
total of 18 treatments.
The occurrence of phenophase was set when it was reached
by the 75% of the monitored plants according to Zadoks
scale (photo 2) and expressed in thermal time as growing
degree days (GDD).
At maturity was determine grain yield (GY) (t ha-1), 1000
kernel weight (g), test weight (kg hl-1), kernel per spikes and
number of spikes m-2 (data not shown).
Photo 2: Different durum
wheat phen. stage
Figure 1: Cumulated growing degree days (GDD) and Zadoks growing stage
(ZGS) correlation in no tillage (NT), minimum tillage (MT) and conventional
tillage (CT) treatments. (DAS = days after sowing)
In the experimental period (nov. 2010 – Jul. 2013), we observed a close
correlation between GDD and Zadoks growing stage (Figure 1).
NT anticipated the growing stage 10 (1st leaf through coleoptile), 15 (5th leaf
unfolded) and 31 (1st node detectable) with respect to the compared
treatments. This dynamic was favored by the greater water availability in the
NT plots. The benefit is then thinned after the fertilization occurred in the
spring.
Conclusions
There are numerous reports on the success of CA under a wide range of climatic conditions for a recent review and many possible
combinations of CA-based practices to choose from and adapt, according to local production, conditions and constraints. Nevertheless until
today there is a lack of studies that clarifies possible interactions between nitrogen, durum wheat phenological course, CA practices (as no
and minimum tillage) and the effect of these factors on yield components. The duration of single key phenophases is a crucial factor in
definition of grain yield and determine the adaptation of durum wheat in a given environment.
B-31
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
INFLUENZA DELLE MICORRIZE SULLA RISPOSTA
QUANTI-QUALITATIVA DI SPECIE AROMATICHE
Waed Tarraf, Claudia Ruta, Francesca De Cillis, Anna Tagarelli, Giuseppe De Mastro
Dipartimento di Scienze Agro-Ambientali e Territoriali. Università degli Studi di Bari “A. Moro”. Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
La simbiosi micorrizica tra funghi e radici delle piante consente a queste ultime di ottimizzare
l’assorbimento dei nutrienti dal terreno e resistere meglio agli stress ambientali. Diversi studi hanno
dimostrato l’influenza dei funghi micorrizico-arbuscolari (AM) sulla crescita e la produzione dei
metaboliti secondari delle piante aromatiche.
Obiettivo di questo lavoro è valutare l'effetto di due funghi AM (Glomus mosseae Nicol. & Gerd o
Glomus viscosum HT Nicolson) su produzione di biomassa, densità di peli ghiandolari e sintesi qualiquantitativa degli oli essenziali di salvia, timo e origano.
Materiali e metodi
Risultati
L’attività di ricerca è stata effettuata in una serra
climatizzata (T=23-25°C, UR=50%) del Dipartimento di
Scienze Agro-Ambientali e Territoriali dell’Università
degli Studi di Bari “A. Moro”, adottando uno schema
sperimentale a randomizzazione completa con due
trattamenti micorrizici e un controllo non trattato (fig.
1). Semi di Salvia officinalis L. cv Regula, Thymus vulgaris
L. cv Varico e Origanum vulgare L. cv Carva (mediSeeds
sàrl) sono stati piantati in vaso utilizzando un substrato
sterile di sabbia, suolo e perlite (1:1:1 v/v/v).
Al momento della semina, le piante trattate erano state
inoculate con spore di Glomus mosseae Nicol. & Gerd o
Glomus viscosum HT Nicolson.
Alla raccolta, per ciascun trattamento, campioni
rappresentativi di foglie coetanee sono stati esaminati
allo stereomicroscopio per calcolare la densità
ghiandolare. E’ stata determinata, inoltre, la biomassa
secca epigea mentre le foglie secche sono state
sottoposte a distillazione in corrente di vapore per
l’estrazione degli oli essenziali. Le analisi chimiche degli
oli sono state effettuate utilizzando GC-MS.
La simbiosi micorrizica
ha mostrato effetti differenti a seconda del
fungo e della specie oggetto di studio. Generale
è risultato l’effetto benefico sull’accrescimento, che si estrinseca nella
massima produzione in
biomassa a seguito della
simbiosi tra il G. viscosum e l’origano (fig. 2).
L’aumento della densità dei peli ghiandolari sulle foglie, riscontrato in tutte le
specie, risulta influenzato dalla simbiosi, in particolare con il G. viscosum, mentre
la quantità di olio prodotta è confrontabile, se non inferiore, al controllo (fig. 3).
)LJ7UDWWDPHQWLDFRQIURQWR
Salvia officinalis /5HJXOD
Controllo G. mosseae
G. viscosum
Origanum vulgare /Carva
Controllo
G. mosseae
G. viscosum
Thymus vulgaris /YDULFR
Controllo G. mosseae
G.viscosum
Conclusioni
L’incremento di biomassa rilevato sulle tre specie
saggiate in presenza della simbiosi conferma il ruolo
positivo dei funghi AM sulla crescita delle piante
aromatiche, come già riportato da diversi studi in
bibliografia. Tuttavia, il confronto tra le risposte
ottenute dalle due differenti specie di funghi AM
utilizzati suggerisce la necessità di individuare gli inoculi
più affini per ottenere le migliori risposte in termini di
rendimento e composizione degli oli essenziali.
Andando a valutare gli effetti dei
funghi micorrizici sulla composizione degli oli essenziali, mentre
non vi sono differenze significative sui principi attivi principali di
timo (timolo) e origano (carvacrolo), particolarmente interessanti appaiono le variazioni
percentuali riguardanti l’α-tujone
e il manoolo nella salvia, dove si
riscontra un aumento rilevante
del secondo a fronte della
riduzione del primo, soprattutto a
seguito del trattamento con G.
mosseae.
7DE &RPSRQHQWL SULQFLSDOL GHOO
ROLR
HVVHQ]LDOHLQULVSRVWDDLWUDWWDPHQWL
7LPR
ȡ&\PHQH
Ȗ7HUSLQHQH
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7K\PRO
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9LULGLIORURO
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WUDQV&DU\RSK\OOHQH
2ULJDQR
&DUYDFURO
7K\PRO
ȖWHUSLQHQH
WUDQV&DU\RSK\OOHQH
ȡ&\PHQH
&RQWUROOR
*PRVVHDH
*YLVFRVXP
&RQWUROOR
*PRVVHDH
*YLVFRVXP
&RQWUROOR
*PRVVHDH
*YLVFRVXP
B-32
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Valutazione dell’attività azotofissatrice del favino
in una rotazione con frumento duro condotta in
sistemi diversi di gestione del suolo
Luigi Tedone, Salem Alhajj Ali, Leonardo Verdini, Giuseppe De Mastro
1
Dipartimento di Scienze Agroambientali e Territoriali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
L’attività azotofissatrice è un fenomeno biologico di fondamentale importanza per una gestione
sostenibile delle colture e per il mantenimento della fertilità dei terreni nel tempo. Le colture
leguminose sono quelle principalmente implicate in tale attività. Fra queste, il favino risulta essere la
leguminosa che meglio si adatta agli ambienti mediterranei, con maggiori capacità azotofissatrici, e
valori compresi tra 50 e 200 kg/ha. Tale variabilità viene influenzata sia dalle condizioni
pedoclimatiche, sia dalla tecnica agronomica utilizzata per la gestione del terreno. In tale ambito,
diversi autori riportano un incremento nella capacita azotofissatrice in terreni condotti con tecniche
conservative.
Si riporta, a riguardo, una ricerca effettuata sull’effetto dell’azotofissazione adottando tecniche di
lavorazione differenti.
Risultati
Le determinazioni effettuate hanno evidenziato differenze fra le tesi a
confronto, utilizzando entrambe le formule applicate, e con valori
leggermente superiori applicando la tecnica dell’abbondanza naturale. La
percentuale di azoto derivante dall’atmosfera (Ndfa) è risultata in media
del 70,6%, e l’N2 fissato di 45,9 kg ha-1 secondo il metodo della diluizione
isotopica, mentre, per la seconda metodica i valori sono risultati
rispettivamente del 74,7% e del 52,7 kg ha-1 .
La tecnica di lavorazione adottata è risultata una variabile determinante
nell’influenzare l’attività azotofissatrice. La tecnica conservativa, con
applicazione della semina su sodo, appare quella più favorevole all’attività
azotofissatrice, con valori significativamente più alti. Infatti, i valori medi
di Ndfa e di azoto fissato sono risultai rispettivamente dell’86,3% e 62,1
kg ha-1 , rispetto a 65,9% e 38,3 kg ha-1 della tecnica RT e 65,8% e 47,4 kg
ha-1 della tecnica IT (fig.2).
N2 fissato
Ndfa
70,0
100,0
60,0
80,0
Metodo della diluizione
isotopica
50,0
60,0
%
Nell'ambito di una prova di lunga durata, avviata nell’annata
2008/2009, impostata sulla base di una rotazione favinofrumento duro, in corso presso il Centro Didattico
Sperimentale E. Pantanelli, è stata avviata nel 2013 una
prova di azotofissazione per determinare gli effetti della
diversa modalità di gestione del suolo, convenzionale (IT),
ridotto (RT), e semina su sodo (CT) sull’attività azotofissatrice
del favino (var. Prothabat). L’attività azotofissatrice è stata
calcolata utilizzando i sistemi della diluizione dell’N15 e il
sistema dell’abbondanza naturale N15, usando come coltura
di riferimento il frumento duro (Bellido et al. 2006).
La percentuale di azoto fissato (Ndfa) è stato valutato sulla
base delle formule della diluizione (La Rue e Patterson
(1981)) e dell’abbondanza naturale (Ledgard e Peoples
(1988)). La quantità di azoto fissato è stato calcolato secondo
la seguente formula (Unkovich et al (1994):
N2 fissato: (%Ndfa/100) x produzione di azoto della
coltura di favino
kg/ha
Materiali e metodi
40,0
40,0
30,0
20,0
20,0
10,0
0,0
0,0
RT
IT
CT
RT
Ndfa
IT
CT
N2 fissato
100,0
70,0
80,0
60,0
Metodo dell’abbondanza
naturale
50,0
%
Kg/ha
60,0
40,0
10,0
0,0
0,0
RT
Favino IT
Favino RT
30,0
20,0
20,0
Favino CT
40,0
IT
CT
RT
IT
CT
Fig. 2 - Valori di Ndfa e azoto fissato secondo le due metodiche
applicate
Fig. 1. Trattamenti a confronto
Conclusioni
I preliminari risultati avuti nella valutazione dell’influenza della tecnica colturale sull’azotofissazione ha fornito indicazioni interessanti.
Il favino, come noto, risulta essere una coltura che gioca un ruolo importante negli avvicendamenti colturali dei climi mediterranei.
Infatti i valori di azotofissazione, considerando la sola parte aerea, è risultata essere pari a circa 60 kg ha-1 e una Ndfa in media del 75%.
L’applicazione delle due metodiche differenti (diluizione isotopica e abbondanza naturale) ha evidenziato leggere differenze, sebbene non
significative, ed andamenti simili fra le tesi.
Il sistema di lavorazione ha influenzato la quantità di azoto fissato, a conferma di altri studi condotti (Kessel and Hartley, 2000), Reiter et al.
(2002), Souza et al. (2003), con valori più elevati nella tecnica conservativa, a conferma dell’influenza di tale tecnica nel migliorare le
condizioni di abitabilità dei rizobi.
Ringraziamenti:…..
B-33
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Valutazione delle componenti qualitative e
tecnologiche del frumento duro sottoposto a
sistemi di coltivazione conservativi
Luigi Tedone, Salem Alhajj Ali, Leonardo Verdini, Giuseppe De Mastro
1 Dipartimento di Scienze Agroambientali e Territoriali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
2
Istituto per la Ricerca……...
I nuovi orientamenti della politica agricola comune, favoriscono sistemi di coltivazione sostenibili dal punto di
vista ambientale, volti alla riduzione delle emissioni, ottimizzazione degli input agronomici, utilizzo di
avvicendamenti colturali.
Il frumento duro (Triticum durum Desf) rappresenta la principale coltura inserita nei sistemi colturali estensivi
degli ambienti mediterranei in generale ed in Italia in particolare. Su di essa si basa una filiera agro-industriale
fra le meglio articolate al mondo. Fra i fattori di maggior influenza della coltura del frumento duro, la
concimazione azotata gioca un ruolo chiave per l’ottenimento di una buona risposta produttiva e per il
conseguimento di caratteristiche qualitative e tecnologiche ottimali, parametri richiesti dal settore molitorio e
pastario. Si riportano nel presente lavoro i risultati relativi ad un esperimento in corso dal 2009 su un
avvicendamento frumento-duro favino, gestito con tre sistemi colturali differenti di cui uno conservativo. La
risposta del cereale è stata studiata dal punto di vista fisiologico, produttivo e qualitativo.
Materiali e metodi
Risultati
Dall’annata 2009/10 è in corso, presso il Centro didattico
Sperimentale “E.Pantanelli” dell’Università “A. Moro” di
Bari, una prova “on farm”, ove sono poste a confronto tre
diverse modalità di gestione del suolo, lavorazione
convenzionale (IT), minima lavorazione (RT), semina su sodo
(CT), su una rotazione frumento duro (var. Iride)/favino (var.
Prothabat). Sulla granella raccolta, oltre i parametri
fisiologici e produttivi, sono stati determinati i parametri
merceologici (peso ettolitrico, spezzati e striminziti, peso
1000 semi, %, bianconatura), qualitativi (proteine, glutine ,
indice di glutine), mentre sullo sfarinato estratto, macinato
ad una granulometria di semola rimacinata, sono state
effettuate valutazioni sull’indice di giallo (minolta), glutine e
le misure alveografiche (W, P/L) e farinografiche
(assorbimento, tempo di sviluppo, stabilità).
Nel quadriennio di prove i risultati evidenziano rese più elevate nelle tesi CT
rispetto alle tesi IT e RT, a conferma dell’efficacia della tecnica conservativa
negli ambienti mediterranei, esaltata dalle condizioni di stress idrico (tab.1).
Intensive Tillage IT
RIP 2
Conservative Tillage CT
peso
spezzati e
peso 1000
Indice di
proteine
Glutine
ettolitrico striminziti bianconati semi
giallo
(%)
(s.ss.)
(kg/hl)
(%)
(%)
(g)
(Minolta
Anche
la
valutazione
merceologica e qualitativa
5,3
77,6
6,6
3,6
39,0
14,9
20,6
13,0
della granella ha permesso
5,2
77,6
7,6
4,6
38,1
14,7
20,6
12,7
6,1
80,7
4,0
17,6
45,5
13,5
19,9
11,7
di evidenziare differenze
MEDIA TOT
5,5
78,4
6,1
8,6
40,9
14,4
20,3
12,5
significative tra le tesi.
La granella derivante dalla tesi CT ha evidenziato cariossidi aventi un peso
ettolitrico più elevato (80,7 kg/hl), indice di un miglior stato di
riempimento, ma con una maggiore incidenza della bianconatura (17,6%),
meno proteica (13,5%), e indice di giallo più basso (19,9). Invece la
granella derivante dalle tesi IT ed RT hanno presentato valori proteici più
elevati (14,7-14,9%), valori di bianconatura più bassi (4-5%), indice di
giallo più alto (20,6), ma cariossidi con un peso ettolitrico più basso
(77,6%) .
TESI
resa
(t/ha)
LAVORAZIONE
IT
RT
CT
STRADA
Reduced Tillage RT
Tab. 1. Effetto delle a tecnica colturale e dell’apporto
azotato sulle componenti qualitative del frumento duro
Fig. 1. Trattamenti a confronto
a) Aratura convenzionale (IT)
a) Aratura convenzionale (IT)
b) Lavorazione ridotta
c) Semina su sodo
b) Lavorazione ridotta
c) Semina su sodo
Prendendo in considerazione le componenti tecnologiche, l’esame dei
risultati ha evidenziato una sensibile influenza delle tecniche colturali
sulle componenti alveografiche e farinografiche.
Il grano derivante dalle tecniche di lavorazione più «impattanti»
evidenziano valori alveografici maggiori, W 270 sia nella modalità IT che in
quella RT, rispetto a 134 nelle tesi SS. L’alveogramma ottenuto dalle tesi
RT evidenziano inoltre un comportamento più equilibrato, come
evidenziato dai valori di P/L.
Conclusioni
I risultati conseguiti durante questo primo quadriennio di prova, ancora in corso, hanno consentito di evidenziare come la gestione
agronomica de terreni svolge un ruolo fondamentale nell’influenzare non solo la risposta produttiva della coltura del frumento duro, ma
anche le componenti qualitative.
A conferma di quanto riscontrato in altri studi (Pisante), le tecniche di lavorazione comportanti minor disturbo del suolo hanno consentito
di ottenere un miglioramento nell’efficienza d’uso dell’acqua. Gli effetti della riduzione dello stress idrico si sono riflessi non solo nel
Ringraziamenti:…..
miglioramento
della produttività, ma anche nella qualità della granella, evidenziato dal miglior riempimento della granella, anche se sono
risultati abbassati i valori alveografici per l’abbassamento del contenuto proteico. A riguardo, ulteriori approfondimenti sono in corso per
quanto riguarda l’apporto di elementi nutritivi, in particolare l’apporto di azoto, nell’influenzare la componente azotata della granella.
B-34
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
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Ricerca realizzata con il finanziamento AGER 2010-0278
Giovanna Visioli, Urbana Bonas, Alessia Comastri, Daniel Campioli, Davide Imperiale, Nelson Marmiroli
Dipartimento di Bioscienze, Università degli Studi di Parma, Parco Area delle Scienze 11/A, 43121 Parma.
Corr. Author: [email protected]
Introduzione
Il contenuto in proteine di riserva e il rapporto tra le diverse classi (Gliadine, HMW e LMW-glutenine (GS)) sono parametri essenziali per la
determinazione della qualità dei frumenti duri ed è noto che specifiche subunità proteiche delle suddette classi sono determinanti per una
miglior qualità degli impasti poiché conferiscono migliori proprietà visco-elastiche nel processo tecnologico di produzione della pasta.
Nell’ambito del progetto AGER grant n. 2010-0278 “Sostenibilità produttivo-ambientale, qualitativa ed economica della filiera frumento duro”
l’Unità di Ricerca di Parma ha operato per identificare indici di qualità proteica in diverse varietà di frumento duro Ariosto, Aureo, Biensur e
Liberdur coltivate in Nord Italia raccogliendo i dati nei tre anni di sperimentazione.
Materiali e metodi
Risultati
Le quattro varietà di grano duro sono state
sottoposte a diversi tipi di concimazione
applicati in spigatura: controllo (No
concimazione in spigatura), urea al suolo (35
kg ha-1 N), trattamento fogliare (15 kg ha-1 N; 3
kg ha-1 S; 6 g ha-1 Zn), nei tre anni di
sperimentazione in campo.
La quantificazione delle differenti frazioni di proteine di riserva (Tab.1) ha evidenziato che
Biensur ed Ariosto risultano le varietà con differenze significative nelle HMW-GS tra i
trattamenti di concimazione mentre differenze significative si riscontrano in Ariosto e
Liberdur per le LMW-GS. I trattamenti utilizzati non hanno effetto sul livello di gliadine in
nessuna delle cultivars. Considerando che la qualità molitoria e pastificatoria del frumento è
determinata anche dai rapporti tra le diverse classi di proteine del glutine, è stato valutato
anche questo parametro. Biensur risulta la varietà con un miglior rapporto HMW/LMW-GS
per quanto riguarda in particolare i trattamenti di fertilizzazione azotata.
Partendo da 30mg di farina ottenuta da
cariossidi mature di ogni varietà è stata
effettuata un’estrazione proteica selettiva e
sequenziale basata su isopropanolo e agenti
riducenti (Singh et al. 1991) che ha consentito
di separare le diverse frazioni di proteine di
riserva: gliadine, subunità di glutenine ad alto
peso molecolare (HMW-GS) e a basso peso
molecolare (LMW-GS). Le differenti frazioni
ottenute sono state quantificate.
Le diverse frazioni proteiche sono state
separate con le seguenti tecniche molecolari:
separazione elettroforetica (1D e 2D- SDS
PAGE) e cromatografia liquida bidimensionale
(HPRP-LC, Fig.1), spettrometria di massa
(MALDI-TOF/MS) al fine di individuare il tipo di
subunità GS proteiche presenti nelle diverse
cultivars e la loro quantità.
7DE 5DSSRUWL WUD GHOOH VLQJROH IUD]LRQL SURWHLFKH GL ULVHUYD QHOOH
TXDWWUR FXOWLYDUV VRWWRSRVWH D GLYHUVL WUDWWDPHQWL GL IHUWLOL]]D]LRQH &
FRQWUROOR)IRJOLDUH6DOVXROR
Utilizzando la tecniche separazione monodimensionale SDS-PAGE e HPRP-LC seguite
dall’identificazione mediante spettrometria di massa MALDI-TOF sono state identificate le
subunità proteiche GS e gliadine nelle diverse cultivar (Tab.2) e sfruttando la separazione
bidimensionale 2D-PAGE è stato possibile valutare la variazione delle singole subunità
proteiche LMW-GS rispetto ai diversi trattamenti di fertilizzazione applicata (Fig.2).
7DE &DUDWWHUL]]D]LRQHYDULHWDOHGHOOHFXOWLYDUGLIUXPHQWRGXURSHUOD
FRPSRVL]LRQHGHOOHGLYHUVHVXEXQLWjGHOOHSURWHLQHGLULVHUYD
)LJ $SSDUDWR SHU '6'6 3$*(
L3URWHDQ
%LRUDG
H
DSSDUDWR
3URWHRPH/DEΠ3)' %HFNPDQ &RXOWHU
XVDWRSHUODVHSDUD]LRQH+353/&
)LJ '3$*( GHOOH IUD]LRQL
/0:*6 HVWUDWWH GD FDPSLRQL
GLIDULQHGL$XUHRFUHVFLXWRLQ
FRQGL]LRQH GL FRQWUROOR H GL
WUDWWDPHQWR GL IHUWLOL]]D]LRQH
IRJOLDUH , QXPHUL LQGLFDQR OH
*6 FKH KDQQR PRVWUDWR XQD
YDULD]LRQH GL DEERQGDQ]D
VLJQLILFDWLYD
ULVSHWWR
DO
WUDWWDPHQWRGLIHUWLOL]]D]LRQH
Conclusioni
Le analisi molecolari condotte nei tre anni di sperimentazione hanno permesso di caratterizzare le varietà analizzate dal punto di vista della loro
componente proteica e determinare l’effetto di alcune pratiche agronomiche sul contenuto delle diverse subunità di proteine di riserva.
Ringraziamenti: Progetto AGER “Sostenibilità produttivo-ambientale, qualitativa ed economica della filiera frumento duro” grant n° 2010-0278.
Gli autori ringraziano il SITEIA.PARMA ed il Dr. Gianluca Paredi per l’assistenza tecnica nelle analisi in spettrometria di massa.
B-35
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
EFFETTO DELL’APPLICAZIONE DI CONCIANTI
SULLO SVILUPPO RADICALE PRECOCE DI
FRUMENTO TENERO IN DIVERSI TIPI DI TERRENO
Valentina Zanella1, Teofilo Vamerali1, Giuliano Mosca1
1 Dipartimento di Agronomia Animali Alimenti Risorse Naturali e Ambiente, Università degli Studi di Padova.
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
E’ noto che alcuni fungicidi, come quelli appartenenti alla classe dello strobilurine, hanno effetti secondati sull’ accrescimento vegetale. A
seguito di trattamenti con tali principi attivi sono stati riscontrati un aumento della biomassa, un ritardo della senescenza, una maggiore
resistenza a virus e patagoni (Köehle et al., 2003; Venancio et al., 2003)
Poche sperimentazioni sino ad ora si sono concentrate sullo studio degli effetti secondari dei fungicidi sull’apparato ipogeo della pianta.
L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di esaminare gli effetti esercitati da fungicidi di nuova generazione sulle radici di frumento tenero,
accresciutosi in diversi tipi di terreno.
Materiali e metodi
Risultati
Sono state organizzate due prove sperimentali :
A- Terreno non sterilizzato (stagione 2012-2013; quattro repliche,
con due piante ciascuna)
B- Terreno sterilizzato e non sterilizzato (stagione 2013-2014; tre
repliche con tre piante ciascuna)
A- Terreni non sterilizzati
Durata: fino al raggiungimento dello stadio di inizio accestimento
(circa 60 giorni; GDD)
Irrigazione: ad libitum fino al raggiungimento della capacità di
campo poi settimanale
Concimazione: presemina, corrispondente a 4 q/ha di 8-24-24
I TERRENI
-torboso;
-medio impasto-limoso;
9Lunghezza radicale, superficie, numero di apici e ramificazioni sono
stati generalmente incrementati sia da Celest che da Vibrance Gold.
9Il parametro più frequentemente influenzato è stato la superficie
radicale. La profondità massima non ha subito alcuna variazione.
9Il terreno che più ha beneficiato degli effetti del trattamento è stato
quello sabbioso (Tab.1)
q
(
)
TIPI DI TERRENO
- sabbioso;
- argilloso.
I TRATTAMENTI AL SEME DI FRUMENTO (var. Illico)
-Vibrance Gold (p.a.: sedaxane + fludioxonil + difenoconazolo)
(Syngenta);
oconazolo) (Syngenta);
-Celest Extra (p.a.: fludioxinil + difenoconazolo)
-Controllo non conciato.
Tab. 1. Risultati su suoli non sterilizzati: variazioni rispetto al
controllo non trattato (P<0.05)
B- Terreni sterilizzati e non sterilizzati
I RHIZOBOX
-Dimensioni 45 x 30 x 2cm;
-Dotati di pareti trasparenti per
l’osservazione delle radici;
-Posti in serra, inclinati di 60° (Fig.1)..
LE OSSERVAZIONI
-Profondità massima raggiunta;
-Parametri radicali:
- Lunghezza;
- Superficie;
- Diametro;
- Volume;
- Numero di apici;
- Numero di ramificazioni
I concianti hanno avuto effetto solamente sul numero di apici, e
solamente in terreno sabbioso (Fig.2).
Terreno sabbioso
Fig. 1. Rhizobox
Fig. 2. N. apici per pianta. Le sbarre esprimono l’errore standard; lettere
diverse indicano valori statisticamene differenti (P<0.05)
Conclusioni
• La sperimentazione con terreno sterilizzato, volta a separare l’effetto primario di protezione del fungicida da quello
secondario di enhancement radicale, non ha fornito risultati omogenei rispetto alla prima sperimentazione.
• L’unico effetto confermabile è l’incremento del numero di apici radicali in terreno sciolto. Questo importante parametro è
indicativo delle capacità della radice di esplorazione del terreno e del conseguente assorbimento di nutrienti.
• Non è stato possibile differenziare gli effetti dei concianti testati poiché questi hanno in comune due principi attivi.
Bibliografia: Venancio W. et al., 2003. Physiological effects of strobilurin fungicides on plants. Universidade Estadual de Ponta Grossa, Brazil.
Köehle H. et al., 2003. Physiological effects of the strobilurin fungicide F 500 on plants.
C-1
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
CONFRONTO TRA PIANTE DI POMODORO INNESTATE CON
TECNICHE E PORTINNESTI DIVERSI COLTIVATE IN SERRA
Sergio Argento1, Maria Grazia Melilli1, Pietro Calderaro1, Mauro Pulvirenti1, Salvatore Scandurra1, Salvatore Antonino
Raccuia1, Ferdinando Branca2
1
2
CNR- Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, U.O.S. Catania, Autore corrispondente: [email protected]
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari, Università di Catania
Introduzione
La diffusione dell'innesto pone come condizione indispensabile la soluzione di alcuni problemi, fra i quali la
corretta scelta del portainnesto, che costituisce condizione indispensabile affinché la pianta possa
estrinsecare pienamente la sua capacità produttiva, sia in termini quantitativi che qualitativi.
Nel caso del pomodoro, l'ampio patrimonio genetico su cui si può contare per quanto riguarda i
portinnesti, lascia presupporre influenze di entità diverse sul profilo quanti-qualitativo dei frutti. Inoltre, la
modalità d'innesto potrebbe esercitare un ruolo apprezzabile con riferimento al comportamento bioagronomico della pianta innestata. Tale problematica appare ad oggi poco indagata con informazioni
disponibili modeste.
La presente nota ha avuto l'obiettivo di analizzare gli eventuali effetti di portinnesti e modalità diversi sulle
principali caratteristiche biologiche e produttive di piante di pomodoro coltivate in serra.
Materiali e metodi
Risultati
La prova è stata realizzata in serra fredda ubicata nella zona
costiera della provincia di Ragusa. La cultivar adottata è stata la
Felicia F1 (FE), tipologia "a grappolo" raccolto a maturazione
definitiva. Rispetto al controllo non innestato sono stati posti a
confronto tre portinnesti di seguito riportati:
Beaufort F1 (BE), Energy F1 (EN), ES 00-004 F1(ES) inoltre per
isolare l'influenza dell'innesto di per sé sono state prese in
considerazione piante autoinnestate (FE / FE). Le tre modalità
di innesto, sono state: taglio obliquo; spacco in testa e
approssimazione. Il trapianto è stato effettuato il 25 gennaio
2012, su terreno, pacciamato e non sterilizzato. Ciascuna
parcella elementare comprendeva 12 piante, è stato adottato
uno schema sperimentale a parcelle suddivise e ogni tesi era
ripetuta quattro volte. Le piante sono state allevate ad un solo
stelo e cimate al di sopra del sesto palco fiorale. L'investimento
unitario adottato è stato pari a 3,3 p m-2.
I rilievi alle raccolte, effettuate in numero di sei a partire da
maggio e fino alla prima decade di luglio, hanno riguardato:
numero di frutti commerciabili (di peso cioè superiore a g 40)
presenti su ciascun grappolo, peso dei singoli frutti, per
determinare la resa e le sue componenti.
La resa e le sue componenti hanno fatto registrare differenze per effetto
del portainnesto utilizzato (Tab. 1), mentre per la modalità d'innesto, i
valori sono stati sostanzialmente sovrapponibili (Tabb. 2-3-4).
Il peso dei frutti è risultato, più elevato nelle piante FE / BE, i valori più
modesti sono stati riscontrati per le piante FE / FE. Le piante non
innestate, infine, hanno portato a maturazione una quantità di frutti di
poco inferiore rispetto a quella delle piante innestate su EN ed ES.
Il numero di frutti presenti in ciascun grappolo è stato, più elevato nelle
piante FE / BE mentre più modesto è apparso in quelle FE / FE.
Infine il peso unitario dei frutti, e stato maggiore nelle piante FE / BE e
minore nelle piante FE / FE.
Nel complesso il più elevato vigore del portainnesto BE si è tradotto in
un aumento del numero di frutti presenti in ciascun grappolo del 3 %,
nonché un incremento del peso unitario dei stessi dell’11% circa.
Tab. 1. - Pomodoro: variazioni di alcuni parametri della fruttificazione in funzione del portinnesto
PARAMETRI
TEST
AUTOINNESTO(1)
PORTINNESTO(1)
BE
EN
ES
(valore assoluto)
produzione (g/pianta)
3834,1
91,6 *
114,9*
104,0
106,9*
numero di frutti/pianta
39,8
96,2
102,8
101,0
98,7
peso unitario frutti (g)
(1)
96,4
95,0 *
111,8 *
103,0 *
108,3 *
MEDIE
104,0
100,8
107,7
test= 100; * indica D. m. s. (P=0,05) tra i valori assoluti di ciascun parametro rispetto al testimone
Tab. 2 – Pomodoro: produzione (g/pianta)
MODALITA' D'INNESTO
TEST
AUTOINNESTO
Spacco
Taglio obliquo
Approssimazione
MEDIE
3736
3830
3937
3834
3477
3454
3604
3511
BE
4359
4376
4485
4406
P O R T I N N E S T I
EN
ES
4083
4125
3972
4068
3906
4101
3987
4098
MEDIE
4189
4139
4164
4164
MEDIA
GENERALE
3956
3940
4007
3968
BE
40,3
40,5
41,7
40,9
P O R T I N N E S T I
EN
ES
40,9
39,5
40,0
39,0
39,3
39,1
40,1
39,2
MEDIE
40,2
39,8
40,0
40,1
MEDIA
GENERALE
39,4
39,5
40,1
39,7
BE
107,9
108,1
107,2
107,8 e
P O R T I N N E S T I
EN
ES
99,4
104,3
99,5
104,0
99,4
104,9
99,3 c
104,4 d
MEDIE
103,9
103,9
103,8
103,9
MEDIA
GENERALE
100,3 a
99,7 a
100,0 a
100,0
D. m. s. (P=0,05): modalità n.s.; portainnesto 178; interaz. n.s.
Tab. 3 – Pomodoro: numero di frutti per pianta
MODALITA' D'INNESTO
TEST
AUTOINNESTO
Spacco in testa
Taglio obliquo
Approssimazione
Media
38,7
39,7
40,9
39,8
37,7
38,2
39,4
38,4
D. m. s. (P=0,05): modalità n.s.; portainnesto n.s.; interaz. n.s.
Conclusioni
L'innesto erbaceo appare una interessante tecnica cui, sotto il
profilo applicativo, si può fare riferimento per ragioni molteplici
e anche diverse da quelle più direttamente legate alla
possibilità di ottenere individui bimembri più resistenti ai
parassiti e ai fìtofagi dell'apparato ipogeo.
Le maggiori conoscenze circa i processi bio-fisiologici che
s’instaurano tra i due bionti a seguito dell'innesto, i
miglioramenti già realizzati sul piano operativo, la presenza nel
nostro Paese di aziende vivaistiche che dispongono di strutture,
Tab. 4 – Pomodoro: peso unitario (g) dei frutti
MODALITA' D'INNESTO
TEST
AUTOINNESTO
Spacco in testa
Taglio obliquo
Approssimazione
Media
96,6
96,3
96,1
96,4 b
92,4
90,3
91,4
91,6 a
Lettere diverse tra le colonne e nell’ambito della stessa colonna indicano differenze significative per P≤ 0.05
competenze ed organizzazione necessarie per lo svolgimento di questa
complessa attività produttiva e non ultima la disponibilità di sempre
nuovi materiali genetici idonei ad essere impiegati quali portinnesti,
rendono l'impiego delle piante innestate sempre più conveniente e
meritevole di attenzione da parte della ricerca.
C-2
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Risposta agronomica della Chia (Salvia hispanica L.)
in ambiente mediterraneo. Primi risultati.
Bochicchio R.1, Labella R.1, Saraceno M. 2, Amato M.1 Galgano F.1, Caruso M.C.1, Favati F.3
1
Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali, Università della Basilicata, Potenza, Autore corrispondente:[email protected]
Fattoria Donna Giulia srl Z. I. Valle di Vitalba 85020 Atella (PZ)
3 Dipartimento di Biotecnologie, Università degli Studi di Verona. Verona
2
Introduzione
La chia (Salvia hispanica L.) è una erbacea annuale appartenente alla famiglia delle Labiate, originaria del Messico e Guatemala adattabile
agli ambienti semi-ĂƌŝĚŝ͘ / ƐĞŵŝ ƉƌŽĚŽƚƚŝ ĚĂ ƋƵĞƐƚĂ ƉŝĂŶƚĂ ƐŽŶŽ ŵŽůƚŽ ƌŝĐĐŚŝ ŝŶ ĂĐŝĚŝ ŐƌĂƐƐŝ ƉŽůŝŶƐĂƚƵƌŝ ʘϯ͕ ǀŝƚĂŵŝŶĞ͕ ŵŝŶĞƌĂůŝ e sostanze
antiossidanti (Taga et al., 1984). La chia è considerata un alimento funzionale e si sta espandendo a nuove aree ma necessita di messa a
punto delle tecniche agronomiche. E’ ritenuta adattabile agli ambienti semi-aridi e spunta prezzi che la renderebbero una interessante
opzione in ambiente mediterraneo, ma la produzione di seme di chia non è ancora stata riportata in Europa neanche a livello sperimentale.
Materiali e metodi
Risultati
Una prima prova in pieno campo
è stata iniziata nel 2013 in
Basilicata, Lat. N 40°51'37,59"
Lon. E 15°38'49,43" presso
l’azienda
Masserie
Saraceno
(Atella - PZ) su un suolo francoargilloso
utilizzando
una
accessione di Salvia hispanica L.
originaria del Perù (raccolto
2012). Sono state messe a
confronto 4 densità di semina
(D1=125, D2=25, D3=8 e D4=4
piante m-2) e due livelli di
concimazione azotata (NC= 0 e
C=20 Kg ha-1) con uno schema
sperimentale di tipo split-plot con
3 repliche. La coltura è stata
irrigata con metodo a goccia e
volume irriguo stagionale di 109
mm. Le misure effettuate sono
state: altezza, n. foglie e
ramificazioni principali,
area
fogliare, biomassa divisa per
organi nel corso della coltura; n.
di infiorescenze, numero e peso
dei semi, resa. Il contenuto in olio
ottenuto per estrazione con
metodo
Soxhlet
è
stato
determinato sui semi ottenuti
dalla coltura a confronto con semi
commercialmente
disponibili
provenienti
da
aree
di
coltivazione tradizionali (Perù
raccolto 2013).
I primi risultati mostrano valori elevati sia per l’indice di area fogliare (figura 1a) che per la produzione
di biomassa (figura 1b) senza differenze significative fra trattamenti di concimazione e con incrementi in
funzione della densità di semina che sono statisticamente significativi (P <0.01) nella prima epoca di
rilievo per entrambi i parametri.
8
D3
D2
Biomassa fresca q ha-1
LAI m2 m-2
6
600
D1
D4
4
2
0
44
a
73
8
D1
D2
D3
D4
450
103
b
resa semi pieni (q ha-1)
peso semi pieni/vuoti *10
300
4
150
2
0
Giorni dalla semina
peso mille semi (g)
6
44
73
Giorni dalla semina
103
0
c
D1
D2
D3
D4
Densità di semina
Fii 1
Fig.
1. Caratteristiche biometriche
h e produttive di una coltura dii 6
6DOYLDKLVSDQLFDL. coltivata
in Basilicata in funzione della densità di semina e dell’epoca di prelievo.
Il notevole sviluppo vegetativo della coltura è illustrato in figura 2 ed è legato anche alla ritardata
induzione a fiore dovuta alla sensibilità al fotoperiodo della accessione utilizzata. La fioritura si è
verificata nella seconda settimana di ottobre, ed il sopraggiungere di gelate autunnali ha impedito la
maturazione di una notevole percentuale di semi: è stato infatti registrato circa 1/3 di semi pieni sul
totale dei semi (fig. 1 c). Ciononostante la produzione di semi maturi è stata non trascurabile (fig. 1c), in
linea con le rese in alcuni siti degli areali di origine per il trattamento D1, e significativamente superiore
(P <0.01) nel trattamento D1 seguito dal D2 rispetto alle densità inferiori D3 e D4 che non sono state
significativamente differenti fra loro. Il peso di mille semi è risultato di 1,4 g in media senza differenze
fra trattamenti ma superiore (P < 0.01) a quello dei semi prodotti in Perù ed a quanto riportato in
letteratura (Made la Paz Saldago-Cruz et al., 2013). Il contenuto in olio dei semi maturi è risultato del
30,18% in media senza differenze statisticamente significative all’ ANOVA rispetto a semi prodotti
nell’areale di origine disponibili commercialmente, né fra trattamenti.
Fig 2. Coltura di
6DOYLD KLVSDQLFD L.
coltivata in Basilicata
a. in fase crescita;
b. semi.
a
b
Conclusioni
In base ai primi risultati la chia potrebbe rappresentare un’alternativa colturale come intercalare nei sistemi erbacei dell’Italia meridionale
per la produzione di seme ed attraverso l’adozione di densità di semina elevate, in particolare curando la ricerca di genotipi adatti alle nostre
latitudini per anticipare la fioritura. L’uso di genotipi brevidiurni provenienti dalle aree di origine invece sembra consentire un notevole
sviluppo di area fogliare e biomassa con interessanti prospettive per il consumo diretto o l’uso foraggero.
Bibliografia
Taga M S, E E Miller, D E Pratt (1984) Chia seeds as a source of natural lipid antioxidants. J. Am. Oil Chem. Soc. 61:928-931.
Ma. de la Paz Salgado-Cruza, Georgina Calderón-Domíngueza, Jorge Chanona-Péreza, Reynold R. Farrera-Rebolloa, Juan V. Méndez-Méndezb, Mayra Díaz-Ramírez.
Chia (Salvia hispanica L.) seed mucilage release characterisation. A microstructural and image analysis study. Ind. Crops Prod. 2013, 51, 453–462.
C-3
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
IL LIVING MULCH QUALE STRATEGIA
AGRONOMICA PER LA COLTIVAZIONE IN
BIOLOGICO DI CAVOLFIORE (BRASSICA
OLERACEA L.) NEL CENTRO E SUD ITALIA
Stefano Canali1, Gabriele Campanelli2, Corrado Ciaccia1, Mariangela Diacono3, Fabrizio Leteo2, Angelo Fiore3,
Francesco Montemurro3
1 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura – Centro per lo studio delle relazione tra pianta e suolo (CRA RPS) , Autore corrispondente:
[email protected]
2 CRA-Unità di Ricerca per l'Orticoltura (CRA ORA)
3 CRA-Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi , Azienda Sperimentale Metaponto (CRA-SCA, ASM)
Introduzione
La consociazione di colture di copertura (living mulch - LM) con
una coltura da reddito mira a migliorare le prestazioni agroecologiche dei sistemi colturali, fornendo importanti servizi
ecologici quali la riduzione di perdita di nutrienti per lisciviazione,
la conservazione della biodiversità, il controllo di erbe infestanti e
malattie, l’apporto di sostanza organica. La gestione di queste
consociazioni deve puntare a minimizzare la competizione per le
risorse tra la coltura principale e quella di copertura.
Risultati
Tab. 1. Effetti di LM e genotipi di cavolfiore a Monsampolo
2011
2012
Living mulch (LM)
AS
CONT
POST
Genotipo
EM
cv 1
cv 2
Materiali e metodi
La ricerca è stata svolta nell’ambito del progetto ORWEEDS, in due
siti diversi, rispettivamente nel centro (Monsampolo del Tronto-AP)
e nel sud (Metaponto-MT) Italia. In disegni sperimentali fattoriali,
sono stati valutati su due anni (2011, 2012) gli effetti di epoche
diverse di semina (anticipata a 20 giorni prima del trapianto - ANT,
posticipata a 20 giorni dopo il trapianto - POST, e contemporanea
al trapianto - CONT) del LM (Medicago polymorpha L.), rispetto
all’assenza di consociazione (AS) per la coltivazione in biologico di
cavolfiore (Brassica oleracea L.).
Nel centro Italia sono inoltre stati valutati gli effetti in rapporto a
tre diversi genotipi di cavolfiore (Emeraude, ibrido commerciale EM, e due cultivar locali - cv 1 e cv 2), mentre, nel sud Italia, il LM è
stato studiato in relazione all’uso di tre diversi fertilizzanti organici
(letame - Org, digestato - DG e compost da rifiuti solidi urbani Comp) e un controllo non fertilizzato - CT. Oltre alla produzione di
corimbi e residui, sono stati valutati gli effetti di competizione tra
coltura da reddito, LM e infestanti, tramite determinazione della
biomassa di tutte le componenti del sistema (coltura, LM e
infestanti).
corimbi t ha-1
residui t ha-1
infestanti t ha-1
medica t ha-1
1.42 a
1.02 a
***
7.14 a
5.01 b
***
0.25 b
0.97 a
**
1.11 a
0.53 b
***
1.25 b
0.88 c
1.53 a
***
7.44 a
3.35 b
7.44 a
***
0.20 b
1.18 a
0.45 b
**
0.99 a
0.62 b
**
1.52 a
1.04 b
1.09 b
***
***
n.s.
***
***
6.69 a
5.70 b
5.84 b
n.s.
*
***
n.s.
n.s.
0.28
0.75
0.80
n.s.
**
n.s.
n.s.
n.s.
0.24 b
1.06 a
1.14 a
***
***
**
n.s.
**
Anno
Anno x LM
Anno x genotipo
LM x genotipo
Anno x LM x genotipo
Tab. 2. Effetti di LM e fertilizzanti a Metaponto
corimbi t ha-1
residui t ha-1
infestanti t ha-1
medica t ha-1
0.34 a
0.17 b
**
0.59
0.46
n.s.
1.29 a
0.50 b
***
1.67 a
0.75 b
*
0.13 b
0.32 a
0.33 a
***
0.45
0.53
0.59
n.s.
1.53 a
0.67 b
0.49 b
***
1.31
1.11
n.s.
0.23
0.26
0.21
0.33
n.s.
**
n.s.
n.s.
n.s.
0.55
0.55
0.45
0.54
n.s.
**
*
n.s.
n.s.
0.83
0.89
1.04
0.81
n.s.
***
n.s.
n.s.
n.s.
1.22
1.18
1.23
1.22
n.s.
**
n.s.
n.s.
n.s.
Anno
2011
2012
Living mulch (LM)
AS
ANT
CONT
Fertilizzante
CT
Comp
DG
Org
Anno x LM
Anno x fertilizzante
LM x fertilizzante
Anno x LM x fertilizzante
a)
b)
I risultati sono stati analizzati con l’ANOVA e il confronto tra medie
è stato effettuato con il test di Tuckey (P ч 0.05). L’elaborazione è
stata fatta con StatSoft Statistica 7.
Fig. 1. Effetti delle interazioni tra trattamenti sulla produzione di corimbi
a Monsampolo (a), e del LM a Metaponto (b), separati per anno
Conclusioni
Il living mulch è risultato una pratica agronomica promettente per la coltivazione in biologico di cavolfiore.
La medica polimorfa si è dimostrata capace di fornire i servizi ecologici attesi.
Scegliendo opportunamente l'epoca di semina della medica in funzione del trapianto del cavolfiore è possibile gestire efficacemente la competizione tra
le specie consociate.
C-4
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
FILM PLASTICI INNOVATIVI PER LA
PACCIAMATURA DELLA MELANZANA
Cozzolino Eugenio, Lombardi Pasquale
Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco (CRA-CAT), Autore corrispondente:
[email protected]
Introduzione
La pacciamatura delle ortive è utile per vari motivi e può essere resa ancora più conveniente dall’impiego di nuovi tipi di teli pacciamanti,
come i biodegradabili e i fotoselettivi. Con i primi è possibile evitare operazioni e oneri di smaltimento dell’usato, con i secondi modificare il
microclima della rizosfera in modo più favorevole allo sviluppo della coltura. Qui presentiamo i risultati del confronto di tre nuovi tipi, un
biodegradabile e due fotoselettivi, con il telo comune per la coltura della melanzana.
Materiali e metodi
Risultati
Il confronto, condotto a S. Agata dei
Goti (BN) nel 2013, ha interessato i tipi
comune LDPE nero da 50 μm
(testimone), biodegradabile MaterBi®
nero da 15 μm, fotoselettivi Yellow e
Silver MulchMore da 25 μm, applicati a
tre cultivar di melanzana, l’ecotipo
Napoletana (ARCA 2010) e le selezioni
L263 e P968 del CRA-ORL, con due
repliche per cultivar. Il trapianto è stato
eseguito l’11/6 a densità di 20,000
piante ha-1 su un terreno argillososabbioso ricco in potassio, mediamente
dotato di fosforo, azoto e sostanza
organica e concimato con 160 U ha-1 di
N e 50 U ha-1 di P2O5. La raccolta è
stata eseguita in quattordici passaggi,
iniziando il 02/08 e terminando il
15/10. La resa è stata determinata su
10 piante per parcella. Su due raccolte
intermedie sono stati determinati:
peso del frutto, consistenza della polpa
con penetrometro BCE, parametri
colorimetrici CIELab con colorimetro a
riflettanza Minolta (Chromameter CR200), sostanza secca per essiccazione a
105 °C. Date le notevoli differenze
varietali, i teli sono stati confrontati in
termini di differenze percentuali
rispetto al testimone entro cultivar.
Distribuzioni predittive delle differenze
sono state ottenute adattando un
modello a distribuzione normale con il
software jags (Plummer, 2003) e
funzioni dei pacchetti contribuiti
R2jags (Yu-Sung e Masanao, 2013) e
ggplot2
(Wickham,
2009)
nell’ambiente R (R Core Team, 2013).
Nella figura 1 le medie dei trattamenti sono
rappresentate nel piano delle due prime
componenti
principali
delle
risposte,
rappresentate a loro volta da assi quotati, e i
valori rispettivi si possono individuare per
proiezione ortogonale su questi ultimi. Le cultivar
sono ben differenti per gli indici considerati e
determinano la maggior parte della variazione.
L263 e P968 hanno frutti tondeggianti, di colore
blu-viola e rosso-viola rispettivamente, mentre la
Napoletana ha frutto lungo di colore viola. L263
ha prodotto più di P968 (41 contro 36 t ha-1) ed
entrambe nettamente più della Napoletana (27 t Fig. 1. Biplot delle risposte con posizione
ha-1); L263 supera le altre per sostanza secca e delle medie dei trattamenti. i simboli N, L
consistenza, ma anche per scarto, mentre P968 e P indicano rispettivamente le cv
ha il più basso tenore di sostanza secca e il Napoletana, L263 e P968.
minimo livello di scarto.
Nonostante la diversità, le tre cultivar hanno risposto in modo comparabile alla pacciamatura,
con differenze sostanzialmente simili tra i teli. Per quantificare l’effetto dei teli al netto della
variazione dovuta alle cultivar, nella figura 2 sono rappresentate distribuzioni predittive delle
differenze percentuali per il telo MaterBi e i due fotoselettivi rispetto al telo Ldpe (testimone).
Fig. 2. Percentili 5, 15, 50, 85 e 95 delle distribuzioni predittive degli effetti medi del telo
pacciamante (come differenze percentuali rispetto al testimone Ldpe).
Effetti del telo pacciamante di maggior rilievo riguardano la produzione commerciabile, lo
scarto, il tenore di sostanza secca e la luminosità del colore. Con il Silver è previsto un
incremento medio di produzione commerciabile del 7%, ma una diminuzione del 6% del tenore
di sostanza secca. Lo scarto tende ad aumentare con i due fotoselettivi. Sia il MaterBi che i
fotoselettivi hanno mostrato un’influenza positiva sulla luminosità del colore e una tendenza a
incrementare il diametro dei frutti.
Conclusioni
I teli MaterBi e Yellow sono risultati sostanzialmente comparabili con il telo comune Ldpe in termini di produzione commerciabile e qualità
della melanzana, mentre il Silver ha mostrato un apprezzabile incremento di produzione commerciabile, dovuto in parte a una maggiore
idratazione del prodotto.
Ringraziamenti: Un vivo ringraziamento a Viscusi Bruno per la fattiva collaborazione nella conduzione del saggio
C-5
XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
4
EFFETTI DI FERTILITA’ RESIDUA SU BROCCOLETTO
IN SUCCESSIONE DOPO TABACCO
Ricerca realizzata con il finanziamento ……….
Cozzolino1,2 Eugenio,
P
1
2
Napolitano1
Antonietta,
Carella1
Angela,
Contillo1
Renato
Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
La possibile transizione, nella coltivazione del tabacco Burley campano, verso varietà adatte alla raccolta meccanizzata, comporterebbe una
riduzione della durata del ciclo colturale, lasciando libero il terreno già verso la metà di settembre. Negli areali campani, il broccoletto cima
di rapa (friariello), una coltura poco esigente per l’azoto, potrebbe costituire una successione colturale interessante, potendo beneficiare
della fertilità residua dopo tabacco come unica fonte di azoto.
L’esperimento ha messo in evidenza significative relazioni lineari fra la dose di
fertilizzazione azotata applicata alla coltura di tabacco precedente e i parametri
morfologici e produttivi di quella successiva del broccoletto. L’altezza delle piante
di broccoletto e la biomassa epigea sono aumentate con le dosi di azoto al
tabacco. Il tenore di sostanza secca è invece diminuito con le dosi. Combinando
insieme i due ultimi parametri nella biomassa epigea espressa come sostanza
secca, questa aumenta in media di 1,13 g m-2 per ogni kg di azoto dato alla
coltura precedente, a partire da 212 g m-2 (r2 = 0,50 p=0,01).
Anche il contenuto di clorofilla del broccoletto è risultato dipendere dalla dose
data al tabacco. I valori SPAD, misurati sulle 12 parcelle, hanno mostrato
andamenti accomunati da una variabilità temporale simile, con una netta
separazione di valori fra le locazioni corrispondenti alle parcelle con la dose N
minore (media generale SPAD di tutte le locazioni a 104 kg ha-1: 31,5) rispetto
alle altre locazioni (media SPAD locazioni con 148 kg ha-1: 36,3; locazioni con 192
kg ha-1: 37,0). Il contenuto di nitrati liberi nelle foglie mostra una distribuzione di
valori analoga a quelli della clorofilla: 60 ppm per le piante cresciute nelle
locazioni a bassa dose di azoto, 270 e 230 ppm rispettivamente per dose media
ed alta. Il contenuto di nitrati nel terreno è caratterizzato da moderata variabilità
(max 100 mg di NO3 per kg suolo) fino agli inizi di novembre, per poi calare sotto
10 mg. Le locazioni a 192 kg ha-1 mostrano contenuti di NO3 di poco più elevati
(41 mg per kg suolo) rispetto alle altre (24㾂25 mg).
Tab 1. Parametri di crescita e morfologici di broccoletto cima di rapa in successione a tabacco, a varie dosi
di azoto al tabacco. La tesi “148 a 44 gg” si riferisce ad una variante sperimentale in cui la seconda metà della dose è stata
somministrata a 44 giorni dal trapianto, invece che a 40.
biomassa
epigea verde sost. secca
rapa
dose N su tabacco altezza pianta
rapa
%
kg ha-1
rapa, cm
g m-2
104
148
192
148 a 44 gg
57,0
59,3
61,0
58,5
4.430
4.767
5.125
4.530
6,70
6,72
6,57
6,65
Andamento nitrati nel suolo sotto broccoletto
cima di rapa in successione a tabacco, per varie
dosi N su tabacco
biomassa
epigea rapa indice SPAD
p. secco
rapa media
g m-2
temporale
297
320
337
301
31,5
36,4
37,0
36,1
Nitrati in
foglie rapa
mg kg-1
60
270
230
102
Andamento indice SPAD su foglie apicali di
broccoletto in successione a tabacco, per varie dosi
N su tabacco
120
41
100
NO3, mg kg-1
Il saggio è stato eseguito a Scafati, nell'azienda del
CRA-CAT, nell’appezzamento in cui era stato condotto
il secondo anno (2012) di saggio di concimazione
azotata su tabacco Burley, che aveva previsto tre livelli
di azoto (104, 148 e 192 kg ha-1), somministrato in due
tranches, a 15 e 40 giorni dal trapianto; la seconda
tranche della dose intermedia era stata somministrata,
in una parcella aggiuntiva, a 44 giorni. L’esperimento
era stato eseguito con tre repliche, per un totale di 12
parcelle. Il 18 settembre 2012, al termine della
coltivazione del tabacco, dopo asportazione degli
stocchi residui ed una lavorazione superficiale del
terreno, sull’appezzamento è stato uniformemente
seminato a spaglio un broccoletto cima di rapa
sessantino, senza nessuna aggiunta di fertilizzante. Sul
terreno, sono state marcate le posizioni delle 12
parcelle del saggio di fertilizzazione azotata. Fra il 19
ottobre ed il 12 novembre (fine coltura), sono state
eseguite 5 sessioni di misure di clorofilla, tramite
colorimetro SPAD, sulla foglia apicale espansa di 8
piante all’interno di un quadrato di 1 metro di lato,
localizzato nella zona centrale di ogni parcella. A
partire dal 28 settembre e fino a fine coltura, nel
quadrato centrale sono stati effettuati 12 prelievi
puntuali di terreno, fino alla profondità di 30 cm, su
cui è stato determinato il tenore di nitrati, mediante
estrazione in acqua acidulata e lettura UV. Altri tre
rilievi di terreno sono stati eseguiti, nelle stesse
postazioni, nel mese di aprile dell’anno successivo. A
fine coltura, tutte le piante contenute nel quadrato
sono state raccolte, per determinare l’altezza della
pianta e la biomassa epigea, al verde e come peso
secco. Sui campioni parcellari è stato misurato il
contenuto di nitrati liberi nelle foglie, tramite HPLC.
Risultati
39
192 Kg per ha
148 Kg per ha
80
104 Kg per ha
60
148 Kg a 44 gg
40
20
Valori SPAD medi per tesi
Materiali e metodi
104 Kg per ha
37
148 Kg per ha
35
148 Kg a 44 gg
33
192 Kg per ha
31
29
27
0
20-set
30-set
10-ott
20-ott
30-ott
durata ciclo colturale broccoletto
9-nov
19-nov
25
18-ott
23-ott
28-ott
02-nov
07-nov
12-nov
durata del ciclo colturale
Conclusioni
Nelle condizioni dell'ambiente di saggio, il broccoletto cima di rapa coltivato in successione al tabacco, e senza apporti azotati, appare
beneficiare, per sviluppo della pianta, quantità di biomassa prodotta e tenore di clorofilla, della disponibilità azotata residua dopo tabacco,
già alle dosi di azoto ottimali per la coltura precedente.
Ringraziamenti:…..
C-6
XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
La disponibilità a pagare dei consumatori per le
caratteristiche ‘concimazione azotata sostenibile’ e
‘digeribilità degli amidi’ della pasta
Ricerca realizzata con il finanziamento AGER grant 2010-0278
Edi
1
2
Defrancesco1, Irene
Bozzolan1 ,
Maria Angela
Perito2
Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali Università di Padova, Autore corrispondente: [email protected]
Facoltà BiSTAA, Università di Teramo
Introduzione
Per valutare la sostenibilità economica potenziale di una filiera della pasta di semola di grano duro ottenuta con tecniche di concimazione
azotata sostenibile (nel seguito, low-nitrogen) e, nella sua versione integrale, con la componente amidacea digeribile più lentamente (nel
seguito, per semplicità, digeribilità) si è stimata la disponibilità a pagare un premio di prezzo (WTP) da parte dei consumatori finali –
geograficamente più prossimi agli areali in cui si è effettuata la sperimentazione Ager, Veneto ed Abruzzo – per queste caratteristiche
qualitative della pasta.
Risultati
Materiali e metodi
Quesiti specifici di ricerca
• Quale è il premio di prezzo (WTP) che i consumatori
sono disposti a pagare per le caratteristiche:
- concimazione azotata sostenibile, low-nitrogen
- nella versione integrale, componente amidacea
digeribile più lentamente digeribilità
• In quali tipologie di famiglie (segmento di mercato)?
Approccio metodologico
• Campione casuale stratificato di famiglie del Veneto,
Friuli VG, Abruzzo e Lazio (1509 questionari utili)
• Intervista telefonica
• Mercato simulato
• Valutazione contingente: metodo referendario ad una
banda
• Scenario ipotetico:
i) pasta con tecniche più rispettose dell’ambiente: lownitrogen
ii) nella variante integrale, amidi meglio digeribili
I risultati emersi sono coerenti con la letteratura per quanto riguarda
l’influenza sulla WTP dei fattori socioeconomici ed attitudinali che
caratterizzano le famiglie. I coefficienti stimati dei modelli Probit sono
significavi (almeno per ɲс5%) e permettono di classificare correttamente
oltre il 70% dei casi.
I premi di prezzo stimati su tutto il campione, per la componente low
nitrogen, sono esposti in Tab. 1.
Tab. 1. WTP per la componente ORZQLWURJHQ(€/500 gr)
Quelli per le componenti low nitrogen + digeribilità e relativi al solo subcampione che consuma pasta integrale (30,9%) sono esposti in Tab. 2.
Baseline pasta a 0,80 euro confezione da 500 gr
Premio di prezzo casuale 0,10-1,30 euro
Tab. 2. WTP per la componente ORZQLWURJHQ+ GLJHULELOLWj (€/500 gr)
ͻAnalisi fattoriale
atteggiamenti:
su
comportamenti
espressi
ed
- 3 atteggiamenti per tematiche ambientali : i) coinvolto
anche per acquisti alimentari; ii) documentato e iii) attivo.
- 4 fattori rilevanti per acquisti alimentari : i) ‘naturalità’; ii)
convenience; iii) caratteristiche di qualità a valore aggiunto;
iv) prezzo; v) aspetti sensoriali.
Conclusioni
Le stime effettuate, coerenti con quanto riportato dalla letteratura internazionale, evidenziano, in generale, una limitata disponibilità a
pagare un premio di prezzo per la pasta con caratteristiche esclusivamente low nitrogen, anche se la WTP media appare correlata
positivamente alla situazione finanziaria della famiglia, a comportamenti già espressi di tipo environmentally friendly ed al livello di
istruzione del responsabile degli acquisti.
Decisamente più apprezzabile la WTP media quando alla componente ambientale, che ha natura di tipo pubblico, è associata quella di tipo
privato, digeribilità. Questo accade tuttavia esclusivamente nelle famiglie consumatrici abituali di pasta integrale, data la forte barriera al
consumo determinata dal fattore gusto. In questo sub-campione, inoltre, la WTP è meno influenzata dal reddito. In generale, si può
concludere che sia identificabile una nicchia di mercato con buone potenzialità per la pasta low nitrogen + digeribilità e che un ruolo
rilevante potrebbe essere svolto da una adeguata informazione dei consumatori sulle proprietà salutistiche del prodotto.
C-7
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
FILM BIODEGRADABILI IN MATER-BI® NELLA
PACCIAMATURA DELLA LATTUGA: PRIMI
RISULTATI NELL‘AGRO ACERRANO
Ida Di Mola1, Eugenio Cozzolino2, Mauro Mori1, Massimo Fagnano1
1
2
Università degli Studi ‘Federico II’, Dipartimento di Agraria, Autore corrispondente: [email protected]
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura, Unità di ricerca per le colture alternative al tabacco (CRA-CAT)
Introduzione
La pacciamatura delle colture è un mezzo importante per un’agricoltura a basso impatto, poiché consente di ridurre le lavorazioni, le perdite
di nutrienti per dilavamento, le perdite di acqua per evaporazione, le malattie, gli attacchi di parassiti terricoli e l’impiego di diserbanti di
sintesi. In alternativa al film polietilenico comune sono in commercio, con costi operativi comparabili, teli Mater-Bi®(ottenuti da amidi
complessati con poliesteri, certificati biodegradabili e compostabili), idonei per colture ortive a medio-breve ciclo e incorporabili nel terreno
a fine coltura. Per verificarne gli effetti sulla lattuga è stato condotto un saggio nell’area orticola Acerrana.
Materiali e metodi
Risultati
Il saggio, condotto ad Acerra (cooperativa
ARCA 2010), su un suolo limoso-sabbioso
di origine vulcanica, comprendeva quattro
trattamenti in un disegno a blocchi con tre
repliche :
1) Telo biodegradabile di 12 μ di
spessore(MB12);
2) Telo biodegradabile di 15 μ di
spessore(MB15);
3) Telo polietilenico a bassa densità dello
spessore di 50 μ(LDPE);
4) Controllo non pacciamato (NP).
I tre teli pacciamanti hanno abbreviato notevolmente (8-12%) il ciclo colturale della lattuga e
aumentato considerevolmente la produzione, con incrementi medi del peso del cespo del
30% per MB12, del 38% per MB15 e del 41% per LDPE (figura 1).
I teli sono stati sistemanti nella prima
decade di dicembre 2013 e dopo circa una
settimana è stato eseguito il trapianto
della lattuga (cv “Bacolese”, resistente al
freddo) a una densità di 11 piante per m2
(2 bine lunghe 10 m per parcella). Le
pratiche colturali hanno seguito il
disciplinare regionale di produzione
integrata e il controllo delle infestanti nel
non pacciamato è stato ottenuto con 2
sarchiature. La raccolta è stata eseguita in
maniera scalare nel mese di aprile e il peso
del cespo e gli altri indici di produzione
sono stati rilevati su un’area di saggio di 1
m2 per parcella.
Distribuzioni predittive delle differenze
sono state ottenute adattando un modello
a distribuzione normale con il software
jags (Plummer, 2003) e funzioni dei
pacchetti contribuiti R2jags (Yu-Sung e
Masanao, 2013) e ggplot2 (Wickham,
2009) nell’ambiente R (R Core Team,
2013).
Tab. 1. Sintesi delle distribuzioni predittive degli indici di resa in relazione ai
trattamenti di pacciamatura ed effetti dei teli pacciamanti (come differenze
percentuali rispetto al non pacciamato: valore medio per una nuova osservazione
con intervalli credibili al 70% e 96%.
Al maggior peso ha corrisposto un maggior volume dei cespi, con incrementi medi di altezza
tra l’11% per MB15 e il 17% per LDPE e incrementi medi di diametro tra il 10% per MB15 e il
20% per LDPE.
Con questi effetti positivi della pacciamatura contrastano gli incrementi del diametro del
colletto (7-9% in media) e della lunghezza dell’asse caulinare (tra il 26% per LDPE e il 40% per
MB15).
Entrambi i teli in MaterBi hanno mostrato effetti complessivamente comparabili a quelli del
telo LDPE e solo per le dimensioni del cespo, diametro in particolare, sensibilmente inferiori,
quindi un cespo più compatto. Le differenze tra i due sono state di scarso rilievo.
Conclusioni
I teli biodegradabili in MaterBi® nella pacciamatura della lattuga hanno mostrato un’abbreviazione del ciclo e un consistente aumento del
peso del cespo, sostanzialmente comparabili a quelli ottenuti con il telo comune LDPE , ma con una maggiore compattezza del cespo.
C-8
XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
4
Integrazione di tecniche di agricoltura biologica e
conservativa in sistemi colturali con crescente intensità
ecologica: il progetto F.I.R.B. SMOCA
Ricerca realizzata con il finanziamento MIUR – Futuro in Ricerca
Christian5Frasconi1, Daniele Antichi1, Marco Fontanelli1, Giacomo Tosti2, Luigi Manfrini3, Aurelio Pristeri4, Simona Bosco5, Nicoletta Nassi O
Di Nasso
1 Dipartimento Di Scienze Agrarie, Alimentari ed Agro-ambientali, Università di Pisa, [email protected]
2 Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari ed Ambientali, Università degli Studi di Perugia, [email protected]
3 Dipartimento di Scienze Agrarie, Università di Bologna, [email protected]
4 Dipartimento AGRARIA, Università 0HGLWHUUDQHD di Reggio Calabria, [email protected]
5 Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’Anna, [email protected]
Introduzione
Il progetto SMOCA (Smart Management of Organic Conservative Agriculture) (20142017) mira ad incrementare la sostenibilità dei sistemi colturali integrati/biologici
mediante l’introduzione di tecniche di agricoltura conservativa, finalizzate alla riduzione
dei consumi energetici e al miglioramento della fertilità del terreno. In SMOCA saranno
sviluppate macchine e strategie agronomiche innovative che permettano di applicare le
tecniche di lavorazione ridotta anche in assenza di mezzi chimici di sintesi.
Fig. 1. Strip-tiller usato per l’interramento a
bande delle cover crops (sx) e trapianto di
pomodoro sul sistema ORG+ (dx) a Perugia
Materiali e metodi
Saranno presi in esame tre diversi sistemi colturali: i seminativi di pieno campo (UNIPG, UNIRC); le ortive di pieno campo (UNIPI, UNIRC,
UNIPG); i fruttiferi (UNIBO). Per ciascun ordinamento, saranno realizzati prototipi di macchine innovative ritenute indispensabili per
l'implementazione di sistemi conservativi ad alta efficienza energetica, quindi saranno implementati tre diversi itinerari tecnici (INT, ORG,
ORG+), posti a confronto per 2 annate agrarie.
Controllo (INT): basato sui
disciplinari dell'agricoltura
integrata, senza ricorso alle
tecniche di agricoltura
conservativa. L'uso di
prodotti chimici di sintesi è
consentito, seppur in
conformità con i disciplinari
di produzione integrata;
Sistema conservativo di
base (ORG): basato sul
metodo biologico, prevede
l'impiego di colture di
copertura (gestite con la
tecnica del sovescio) e della
lavorazione minima del
terreno. Il controllo della
flora infestante avviene con
metodi preventivi e diretti
(di tipo meccanico e
termico);
Sistema conservativo
avanzato (ORG+): basato
sulla profonda integrazione
tra i principi dell'agricoltura
conservativa e di quella
biologica. Il sistema mira a
realizzare una copertura
pressoché continua del suolo
mediante impiego della nonlavorazione e delle colture di
copertura gestite senza
interramento.
Fig. 3. Breve descrizione delle peculiarità dei tre trattamenti a
confronto
Fig. 2. Strumento per misurare le emissioni GHG dal
suolo (sx) e sensore per il monitoraggio
dell䇻accrescimento dei frutti (dx).
Lo studio della sostenibilità complessiva dei sistemi
interessati dalla sperimentazione avverrà mediante
un'analisi dettagliata di parametri:
agronomici (resa, dinamica accrescimento frutti,
fissazione azoto, conservazione risorsa idrica, analisi
proprietà nutraceutiche)
ambientali (conservazione qualità del suolo, bilancio C e
N, emissioni gas serra (GHG), analisi LCA)
economici (bilancio economico)
Risultati Attesi
Nello specifico l'impatto del progetto a livello scientifico, tecnologico e socio/economico riguarderà i seguenti punti:
- lo sviluppo di macchine in grado di risolvere le principali criticità conseguenti l'applicazione dell'agricoltura conservativa in sistemi agricoli
biologici ed integrati;
- la progettazione, lo studio e la sperimentazione di strategie agronomiche ad elevata intensificazione ecologica porteranno alla messa a
punto di linee guida focalizzate al raggiungimento di tecniche caratterizzate dalla lavorazione ridotta del terreno, dal ridotto impiego di
agrofarmaci e di fertilizzanti e da ridotte emissioni di GHG riuscendo a garantire rese soddisfacenti.
Conclusioni
I risultati del progetto SMOCA consentiranno di fornire le basi per la realizzazione di sistemi colturali altamente complessi, basati sulla
profonda integrazione tra la conoscenza agronomica, l’innovazione meccanica ed i principi dell’agroecologia, che consentiranno di ridurre la
dipendenza dai mezzi chimici e dalle lavorazioni intensive del terreno dei sistemi integrati e biologici, nel rispetto delle nuove politiche
comunitarie in materia agro-ambientale ed energetica.
C-9
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
VALUTAZIONE DI COLTURE DA COPERTURA PER LA GESTIONE
DELLA FLORA INFESTANTE E DELLO STATO NUTRIZIONALE
DEGLI AGRUMETI SICILIANI
Rosario P. Mauro, Umberto Anastasi, Sara Lombardo, Gaetano Pandino, Gaetano R. Pesce, Alessia Restuccia,
Giovanni Mauromicale
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari (DISPA), UNICT, Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Le cover crop possono offrire significativi vantaggi nella gestione agronomica dei frutteti mediterranei, considerati gli effetti positivi sulla
fertilità del terreno, sulla dinamica della flora infestante e sullo stato nutrizionale della coltura principale (Lu et al., 2000). Tali aspetti, di
particolare rilevanza negli agrumeti condotti in regime biologico, richiedono l’acquisizione di informazioni sull’adattabilità delle specie da
copertura alle differenti condizioni agroecologiche e sui loro effetti sulla flora spontanea e sulla fisiologia delle piante da frutto. Per tali
ragioni è stata condotta una ricerca di durata triennale, volta a studiare gli effetti di diverse tipologie di inerbimento sulla diffusione della
flora nativa e sullo stato nutrizionale di un aranceto condotto con metodo biologico.
Materiali e metodi
Risultati
La ricerca è stata condotta nel triennio 2011/12-2013/14 in un
aranceto (Tarocco comune) in agro di Paternò (CT). In uno
schema a blocchi randomizzati con 4 ripetizioni (100 m2), sono
state confrontate 4 tipologie di avvicendamento di cover crop:
senape selvatica-trigonella-trigonella, medica scudata-avenaloietto perenne, favino-avena-avena, avena-favino-loietto
perenne. In ciascun anno la semina delle cover crop è stata
eseguita entro il mese di ottobre, ad una densità di 500 semi
germinabili m-2 (45 per il favino). Durante la seconda metà di
maggio, nell’ambito di ciascuna parcella sono state individuate 8
aree di saggio di 0,25 m2 ciascuna, entro le quali è stato
effettuato lo sfalcio della fitomassa e la separazione delle diverse
componenti del campione. Sono stati determinati: il grado di
copertura della cover crop, il contributo ponderale di
quest’ultima e delle piante spontanee ed il rapporto ponderale
tra queste due componenti, quale indice della capacità
competitiva dell’avvicendamento considerato. Al terzo anno,
nell’ambito di ciascuna tesi sono stati prelevati campioni
rappresentativi di foglie da rametti terminali non fruttiferi di 5
piante di arancio, sui quali sono stati determinati il contenuto di
clorofilla (spettrofotometro) e di alcuni elementi minerali
(spettrometro ad assorbimento atomico).
Tra gli inerbimenti saggiati, l’avvicendamento favino-avena-avena ha
evidenziato il più elevato grado di copertura del terreno così come la
maggiore produzione di fitomassa epigea (Tabella 1). I valori ponderali
più elevati di biomassa di specie spontanee sono stati osservati
nell’avvicendamento senape-trigonella-trigonella e
medica-avenaloietto, mentre quelli più ridotti sono stati riscontrati
nell’avvicendamento favino-avena-avena. Il rapporto tra la biomassa
della cover crop e la biomassa delle infestanti è stato significativamente
più elevato per l’avvicendamento favino-avena-avena, seguito a distanza
dagli avvicendamenti di avena-favino-loietto e medica-avena-loietto
(Tabella 1).
Nelle foglie di arancio, il più elevato tenore in clorofilla è stato ottenuto
con l’avvicendamento medica scudata-avena-loietto perenne, seguito
dall’avvicendamento senape selvatica-fieno greco-fieno greco; per
contro, gli altri due inerbimenti hanno fatto accertare valori di clorofilla
più contenuti (Tabella 2). Riguardo gli elementi minerali, l’inerbimento
medica scudata-avena-loietto perenne ha fatto osservare anche il
maggior contenuto in Ca e Mg, mentre gli inerbimenti favino-avenaavena ed avena-favino-loietto perenne hanno fatto rilevare un più
elevato tenore in K . La tesi senape selvatica-fieno greco-fieno greco ha
determinato un maggior contenuto in Fe e Mn (Tabella 2). Non sono
state riscontrate differenze significative in seno al contenuto di Cu.
Tab. 1. Caratteristiche degli inerbimenti (Senape selvatica,
Ss; Trigonella, T; Medica scudata, Ms; Avena, A; Favino, F;
Loietto perenne, Lp). Lettere diverse a fianco delle medie
LQGLFDQRGLIIHUHQ]HVLJQLILFDWLYH$129$'063”
Tab. 2. Clorofilla e minerali nelle foglie di arancio in rapporto agli
inerbimenti (Senape selvatica, Ss; Trigonella, T; Medica scudata, Ms;
Avena, A; Favino, F; Loietto perenne, Lp). Lettere diverse a fianco delle
PHGLHLQGLFDQRGLIIHUHQ]HVLJQLILFDWLYH$129$'063”
Biomassa infestanti
(%)
Biomassa C.
crop
(g m-2 s.s.)
Ss-T-T
53 c
383 c
231 a
1,7 c
M-A-Lp
65 c
326 d
191 b
1,7 c
C. crop
Tesi
F-A-A
A-F-Lp
92 a
77 b
Conclusioni
586 a
533 b
(g
m-2
s.s.)
89 d
155 c
Rapporto biomasse
Tesi
Ss-T-T
M-A-Lp
F-A-A
A-F-Lp
Clorofilla (mg g-1 s.f.)
3,0 b
3,4 a
2,6 c
2,9 bc
Ca (mg g-1 s.s.)
408 c
658 a
486 b
503 b
g-1
302 b
311 b
335 a
326 a
88 b
114 a
95 b
83 c
(C. crop/infestanti)
6,6 a
3,4 b
K (mg
s.s.)
Mg (mg
g-1
s.s.)
Na (mg
g-1
s.s.)
20 b
23 a
17 c
16 c
Fe (mg g-1 s.s.)
3,6 a
2,1 c
2,1 c
2,2 c
-1
0,23 a
0,17 c
0,24 a
0,19 b
Alla luce dei risultati ottenuti è possibile affermare che tra le Mn (mg g s.s.)
diverse tipologie studiate, l’inerbimento di favino–avena-avena è Cu (mg g-1 s.s.)
0,23 a
0,24 a
0,17 a
0,23 a
risultato più idoneo al contenimento della flora infestante,
mentre quello di medica scudata–avena-loietto perenne è apparso il più appropriato ad assicurare un buono stato nutrizionale delle piante
di arancio in termini di contenuto in clorofilla ed elementi minerali. Ulteriori indagini, tuttavia, si rendono necessarie al fine di mettere a
punto i più idonei avvicendamenti di cover crop, acquisendo informazioni anche sugli effetti sulla fertilità del terreno sottoposto a copertura
e sulla produzione quantitativa e qualitativa degli agrumi.
Bibliografia
LU Y.C., BRADLEY WATKINS K., TEASDALE J.R., ABDUL-BAKI A.A., 2000. Cover crops in sustainable food production. Food Review International, 16 (2), 121-157.
C-10
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
VALUTAZIONE AGRONOMICA E QUALITATIVA DI NUOVE
ACCESSIONI DI CECE (Cicer arietinum L.) REPERITE NEL
SALENTO
Francesco Raimo1, Giuseppe Raimo2, Antonella Albano3, Rita Accogli3
1
Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura – Unità di ricerca Colture Alternative al Tabacco, Autore corrispondente:
[email protected]; 2 Agrotecnico; 3 Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche ed Ambientali – Università del Salento
Introduzione
Negli ultimi anni nell’ambito della valorizzazione delle leguminose da granella, notevole importanza è
stata attribuita al recupero di varietà locali di cece, perché rappresentano una fonte importante di
proteine vegetali, richiedono bassi input e sono in grado di valorizzare aree marginali. Nel presente
lavoro sono riportati i risultati di un confronto varietale, effettuato nel biennio 2010-2011, tra sette
nuove accessioni di cece reperite in diverse località del Salento, una varietà locale con colorazione
nera della granella e una varietà diffusa a livello nazionale. Obiettivo della prova: descrivere le
caratteristiche biometriche, valutare la produttività e gli aspetti qualitativi delle accessioni recuperate.
Materiali e metodi
Risultati
Sono state poste a confronto sette nuove accessioni
di cece (Martano (17), Taviano (18), Otranto (19),
Uggiano (20), Andrano (21), Tricase (22), Galatina
(23), Muro Leccese (seme nero) e Kairo (varietà
commerciale). La prova si è svolta presso aziende
ubicate in provincia di Lecce, nell’anno 2010 a
Monteroni di Lecce, nel 2011 a Maglie. Lo schema
sperimentale utilizzato è stato il blocco randomizzato
con due ripetizioni. Prima della semina è stata
effettuata una concimazione di fondo interrando
mediante fresatura, 30 kg ha-1 di N, 80 kg ha-1 di P2O5
e 100 kg ha-1 di K2O. La semina a file semplici distanti
65 cm tra le file e 5 cm tra i semi è avvenuta in
entrambi gli anni nella II decade di febbraio. Durante
il ciclo colturale sono state effettuate solo irrigazioni
di soccorso. La raccolta è avvenuta quando le piante
presentavano i baccelli completamente maturi. Sulle
piante raccolte sono stati effettuati rilievi biometrici e
ponderali. Sulla granella è stato determinato il calibro,
la percentuale di idratazione in diversi tempi ed il
contenuto di proteine, carboidrati e grassi.
I risultati ottenuti hanno mostrato che la varietà locale ‘Andrano’ è risultata essere
la più sviluppata e più produttiva nel biennio (Tab.1), mentre la meno sviluppata e
meno produttiva è risultata essere ‘Uggiano’ (Tab. 1). La maggiore produttività è
stata ottenuta nell’anno 2010, con 10 g di seme per pianta contro gli 8,3 g dell’anno
2011. La varietà locale ‘Andrano’ è risultata la più produttiva con 11,2 g di granella
per pianta, mentre la meno produttiva è risultata essere ‘Uggiano’ con 7,8 g di
granella per pianta. L’accessione ‘Taviano’ ha presentato il più elevato peso dei 100
semi (55,7 g), mentre il più basso peso è stato riscontrato in ‘Uggiano’ (17,7 g).
Fig. 1. Distribuzione percentuale
dei diversi calibri
riscontrati
nella
granella
delle
accessioni
in
prova
Fig. 2. Grado di
idratazione rilevato in diversi
momenti
nella
granella
delle
accessioni
di
cece
Tab. 1. Principali caratteristiche biometriche e ponderali rilevate
sulle accessioni di cece provate nel biennio 2010-2011.
Lettere uguali nella stessa colonna indicano differenze non significative per P<0.05 (Test Tukey) -
(1)
3”**P ”0,01; *** P ”0,001; ns =non significativo
La varietà locale ‘Taviano’ ha mostrato una elevata variabilità nella distribuzione
percentuale delle dimensioni della granella (Fig. 1). La percentuale di idratazione è
risultata più bassa in ‘Taviano’ e più elevata in ‘Uggiano’ (Fig. 2). Per quanto
riguarda il contenuto in proteine, carboidrati e lipidi, non vi sono state sostanziali
differenze tranne per il contenuto in carboidrati risultato essere più basso in ‘Muro
Leccese‘ (Fig. 3).
Fig.
3.
Contenuto
percentuale di proteine,
carboidrati
e
lipidi
riscontrati nelle diverse
accessioni di cece
Conclusioni
Nelle accessioni indagate è stata rilevata una discreta variabilità per ciò che attiene a: fenotipo delle piante (caratteri
biometrici e habitus), della granella (peso 100 semi, distribuzione percentuale calibri) e rese produttive. Tali dati fanno
supporre una probabile diversità intra-varietale.
Ringraziamenti: si ringraziano il Sig. Massimo Mascolo, per le analisi effettuate e il Dott. Marra Antonio per la collaborazione prestata nel’effettuazione dei
rilievi in laboratorio.
C-11
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Studio di parametri fisiologici nel pomodoro da
industria in coltivazione biologica
Ricerca realizzata con il finanziamento: Azione Nazionale
per l’Agricoltura Biologica ed i Prodotti Biologici (MiPAAF)
Domenico Ronga1, Stella Lovelli2, Massimo Zaccardelli3, Enrico Francia1, Justyna Milc1, Nicola Pecchioni1
1
Department of Life Sciences, UniMore, Reggio Emilia, Autore corrispondente: [email protected]
School of Agricultural, Forestry, Food and Environmental Sciences, UniBas, Potenza
3 CRA-ORT, Research Center for Horticulture, Pontecagnano (SA)
2
Introduzione
Il pomodoro da industria (fig. 1 e 4) è un importante coltura a livello mondiale. La coltivazione viene
generalmente effettuata in sistemi di coltivazione convenzionale, per questo motivo scarse sono le
conoscenze fisiologiche della coltura in coltivazione biologica. Quindi l’obiettivo del lavoro è stato valutare
l’effetto della coltivazione biologica sulla fisiologia del pomodoro da industria investigando la produzione di
sostanza secca di tre cultivar a bacca tonda e tre a bacca allungata, coltivate in un’areale del Sud Italia a
confronto con un sistema convenzionale.
Fig. 1. Pomodoro da industria
Materiali e metodi
Risultati
Tre cultivar commerciali a bacca allungata (Auspicio, Regent, Sibari) e
tre cultivar a bacca tonda (Augurio, Wally Red, Alican), sono state
selezionate e consigliate dalle ditte sementiere. La prova è stata
svolta nel 2010 e nel 2011 in due aziende una bio e l’altra
convenzionale distanti meno di 6 Km l’una dall’altra (fig. 2). Le due
aziende presentavano suoli simili ad eccezione del contenuto di
sostanza organica e di azoto totale superiori nel sistema bio. Le
condizioni meteorologiche sono state praticamente le stesse, con
inverni miti e piovosi ed estati calde ed asciutte. L’agrotecnica ove
possibile è stata la stessa per i due sistemi. Il trapianto è stato
effettuato utilizzando 3 piante a m-2 (30.000 piante ha-1) impiegando
la fila binata. Le parcelle avevano una dimensione di 4x5 m, replicate
tre volte e contenevano 60 piante in totale. La precessione
prevedeva un ritorno del pomodoro superiore ai tre anni. L’irgazione
è stata effettuata con manichette da 4l/h. La concimazione è stata
fatta in fertirrigazione utilizzando 150 unità di N. La difesa
fitosanitaria è stata condotta osservando i rispettivi disciplinari di
produzione. Nel campo bio sono stati impiegati solo prodotti
biologici, mentre nel campo convenzionale è stata condotta
seguendo un disciplinare di agricoltura integrata. Dopo un mese dal
trapianto ogni due settimane sono state effettuete le seguenti
misurazioni: attività fotosintetica (A), traspirazione (E), conduttanza
stomatica (gs), concentrazione della CO2 nella camera sottostomatica
(Ci), leaf area index (LAI), sostanza secca totale (TDW) e dei frutti
(FDW). Tutti i dati sono stati analizzati mediante il software GenStat
per l’ANOVA. I dati sono stati analizzati per tipologia di bacca nei
singoli anni (primi due cluster da sinistra nella Figura 3) e per annata
di coltivazione (ultimo cluster sempre in Figura 3).
Il sistema biologico nel 2010, per entrambe le tipologie di bacca, non ha evidenziato differenze rispetto
al sistema convenzionale per il peso secco totale della pianta (TDW; Fig. 3a). Per quanto riguarda il
peso secco dei frutti (FDW) il sistema bio ha prodotto meno sostanza secca del sistema convenzionale
per entrambe le tipologie di bacca (Fig. 3b). I parametri fisologici che maggiormente influenzano le due
tipologie coltivate in bio evidenziano valori più bassi di LAI (Fig. 3c) e A (Fig. 3d) contrastati da valori
più alti di Ci (Fig. 3e), E (Fig. 3f) e gs (Fig. 3g) rispetto al sistema convenzionale.
Nel 2011 il peso secco dei frutti e il peso secco totale, di entrambe le tipologie, è stato più basso in
biologico rispetto al convenzionale (Fig. 3a e 3b). Per quanto riguarda i parametri fisiologici il sistema
biologico nel 2011 ha evidenziato un LAI (Fig. 3c) più basso rispetto al convenzionale mantenedo però
una buona attività fotosintetica paragonabile al convenzionale (Fig. 3d). Gli altre tre parametri
investigati Ci, E e gs come nel 2010 hanno registrato valori più alti nel sistema biologico (Fig. 3e, 3f e
3g) per entrambe le tipologie di bacca.
Tutti i parametri investigati, tranne il LAI, hanno risentito dell’effetto dell’anno. In entrambe le annate il
sistema bio evidenzia valori più bassi di FDW e di LAI, mentre Ci, E e gs risultano sempre più elevati.
a
b
c
d
e
f
g
Fig. 2. Campo bio a sinistra e campo convenzionale a destra.
Fig. 3. a, b, c, d, e, f e g.
Differenze
statisticamente significative (P< 0.05) sono
indicate con *.
Fig. 4. Lavorazione pomodoro da industria
Conclusioni
Entrambe le tipologie testate (bacca allungata e bacca tonda) evidenziano una minore produttività, in termini di peso secco dei frutti, nel sistema biologico
rispetto al sistema convenzionale. Il LAI unico parametro non influenzato dall’annata evidenzia sempre valori più bassi in bio. Le piante di pomodoro coltivate in
biologico mostrano una conduttanza stomatica più eleavata e di conseguenza come prevedibile una maggiore traspirazione e una maggiore concentrazione di
CO2 nella camera sottostomatica. L’attività fotosintetica risulta superiore in convenzionale solo nel 2010.
Gli autori ringraziano tutto lo staff e gli studenti del CRA-ORT, dell’UniMoRe e dell’UniBas i quali hanno generosamente collaborato alla raccolta
dei dati. Inoltre si ringraziano le ditte sementiere che hanno fornito la semente.
C-12
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Caratterizzazione della biodiversità di Cucurbita
pepo L. per la produzione di specialità alimentari
Ricerca realizzata con il finanziamento dei progetti
mediterranee
MEDFLOWER del MiPAAF ed
ER-FLOWER della Regione Emilia Romagna
Domenico Ronga1, Alessandra Caffagni1, Enrico Francia1, Justyna Milc1, Valentina Mazzamurro1, Nicola Pecchioni1
1
Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Modena e Reggio Emilia. Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Tra le Cucurbitaceae lo zucchino rappresenta la specie orticola più coltivata. Generalmente se ne
utilizza il frutto, tuttavia in alcune regioni Italiane anche il fiore maschile trova impiego ed interesse.
Recentemente il fiore di zucchina pastellato e fritto trova grande impiego in cucina, nella ristorazione
e nei catering soprattutto come finger food. Tuttavia, i materiali attualmente coltivati presentano una
bassa produzione di fiori maschili. Pertanto obiettivo della ricerca è stato quello di valutare e
caratterizzare una collezione di Cucurbita pepo L. col fine di individuare materiali maggiormente
adatti alla produzione di fiori maschili.
Materiali e metodi
93 accessioni di Cucurbita pepo L.
(tab. 1 e fig. 2) sono state valutate e
caratterizzate per diversità
molecolare e morfologica nel 2013.
Le migliori 4 (in grassetto in tab. 1)
sono state valutate nuovamente
nel 2014. La prova è stata eseguita
In un’azienda di Sant’Agata
Bolognese su suolo tendezialmente
argilloso.
La precessione in entrambi gli anni
è stata porro. La coltivazione è
condotta in pieno campo utilizzando
pacciamatura e fertirrigazione.
In campo sono stati
valutati i caratteri ritenuti più
importanti per la produzione del
fiore maschile come: numero
di fiori, lunghezza della corolla,
presenza di spine e produttività.
Per quanto riguarda la
caratterizzazione della diversità tra
lenaccessioni, il DNA è stato
prelevato da tre piante ed è stata
fatta un’analisi molecolare con
9 marcatori microsatelliti (SSR).
I polimorfismi microsatelliti
sono stati analizzati mediante PCO
con PAST, mentre i dati agronomici
sono stati analizzati mediante
ANOVA con GenStat12.
Tab. 1. Materiali in prova (materiali in grassetto in prova anche nel 2014).
Le accessioni sono raggruppate in otto morfotipi: Pumpkin (1), Vegetable
Marrow (2), Cocozelle (3), Zucchini (4), Scallop (5), Acorn (6),
Crookneck (7) and Straightneck (8).
Accessione Nome accessione
1
RE1
TF386
3
Italy
SEMIORTO
2
RE2
Renata
Morfotipo
4
France
CLAUSE
3
RE3
ISI 76136
2
Italy
4
RE4
ISI 76132
3
Italy
ISI SEMENTI
5
RE5
Greyzini extra
2
Italy/Francia
SEMINIS
6
RE6
Boccaccio
2
Italy
SEMINIS
7
RE7
President extra
Italy/Spain
SEMINIS
8
RE8
Panter
4
Italy
9
RE9
Romanesco
3
Italy
SEMENCOOP
10
RE10
Dunja
4
Holland
ENZA ZADEN
11
RE11
Striato Pugliese
3
12
RE12
Da Fiori
4
Italy
EUROSELECT
13
RE13
Alberello di Sarzana sel. Corda 3
Italy
EUROSELECT
14
RE14
Tondo di Nizza
1
France
EUROSELECT
15
RE15
Diamant
4
Spain
EUROSELECT
16
RE16
Z000205
2
Italy
SATIVA
17
PI 615119
Spaghetti squash
2
USA
GRIN
18
PI 615149
Chappankaddu
India
GRIN
19
NSL 98075
Table King
6
USA
GRIN
20
NSL 98131
Rutgers Golden Acorn
6
USA
GRIN
21
PI 599994
Black Magic
4
USA
22
PI 600771
Royal Knight
7
USA
GRIN
23
PI 136448
Summer Squash
2
China
GRIN
24
PI 137896
Kadu
2
Iran
GRIN
25
PI 164957
Sakiz Kabak
2
Turkey
GRIN
26
PI 167036
Dolmalik Kabak
2
Turkey
GRIN
27
PI 167053
Kabak
2
Turkey
GRIN
28
PI 169414
3387
1
Turkey
GRIN
29
PI 169422
AK Kabak
2
Turkey
GRIN
30
PI 169425
Ufak Kabak
2
Turkey
GRIN
31
PI 169435
Bal Kabak
1
Turkey
GRIN
32
PI 169437
Pestel Kabak
1
Turkey
GRIN
33
PI 169452
Kara Kabak
1
Turkey
GRIN
34
NSL 180768 Confederate Gold
7
USA
GRIN
35
PI 601144
Bushkin
1
USA
GRIN
36
PI 601193
Swan White Table Queen
6
USA
GRIN
37
PI 216032
13764
7
India
GRIN
38
PI 222246
Kadoo
2
Iran
GRIN
39
PI 223773
Shir Kadoo
2
Afghanistan
GRIN
40
PI 234617
Skorsie
6
South Africa
GRIN
41
PI 288241
Eskandarany
2
Egypt
GRIN
42
PI 292014
White Bush Squash
2
Israel
GRIN
43
PI 344356
Kolu Kara Kabak
2
Turkey
GRIN
44
PI 379317
Tikvica
2
Macedonia
GRIN
45
PI 506441
PI 506441
1
Moldova
46
PI 506443
PI 506443
2
Ukraine
47
PI 506466
Gribovskie 37
2
Russia
GRIN
48
PI 506468
Beloplodnye
2
Russia
GRIN
49
PI 512662
A CU 9
2
Spain
GRIN
50
PI 512664
A CU 13
4
Spain
GRIN
51
PI 512693
V CU 106
2
Spain
GRIN
52
PI 518687
Acorn Squash
6
USA
GRIN
53
PI 595364
HSR 1878
1
USA
GRIN
54
PI 595838
Saffron Prolific Straightneck
8
USA
GRIN
55
PI 597784
Allie, Long White Squash
2
USA
GRIN
56
PEP 316
Eat-All
8
USA
IPK
57
PEP 417
Bush Lady Godiva
1
USA
IPK
58
PEP 317
Black Beauty
4
Germany
IPK
59
PEP 10
White Bush Scallop
5
USA
IPK
60
PEP 16
Patty Pan Scallop
5
NA
IPK
61
PEP 215
Cocozelle von Tripolis
3
Germany
62
PEP 261
Harris Improved Cocozelle
3
Canada
IPK
63
PEP 266
Caserta
2
USA
IPK
64
PEP 274
White Bush Squash
2
Israel
IPK
65
PEP 513
New England Pie Pumpkin
1
USA
IPK
66
PEP 560
Connecticut Field Pumpkin
1
USA
IPK
67
PEP 4
Weißer Patisson
5
Germany
IPK
68
PEP 11
Early Summer Crockneck
69
PEP 14
Patisson Belyj 13
5
Russia
IPK
70
PEP 15
Yellow Crookneck
7
Australia
IPK
71
PEP 224
Cocozelle
3
USA
IPK
72
PEP 294
Cungur Napolitano
73
PEP 624
Cococcia
3
Italy
IPK
74
PEP 625
Vegetable Spaghetti
2
Great Britain
IPK
75
PEP 307
Black Zuccini
4
NA
IPK
76
PEP 288
Cucuzzedda
3
Italy
IPK
77
PEP 1731
Tichy
1
Austria
IPK
78
PEP 1752
Mammoth Field
1
USA
IPK
79
PEP 1688
Long White Bush
3
NA
80
PEP 1673
PEP 1673
3
Turkey
81
PEP 1683
Crockneck Yellow Summer
7
NA
IPK
82
PEP 1646
Green Bush
3
Great Britain
IPK
83
PEP 1638
Sote 38
2
84
PEP 1652
Kisszekeres
1
NA
IPK
85
PEP 1664
Habarovskaja Belaja
1
Russia
IPK
5
7
2
Risultati
Originine
Numero
4
Fig. 1. Fiore di zucchino impastellato e fritto
Italy
USA
Italy
Russia
ISI SEMENTI
SEMINIS
EUROSELECT
GRIN
Nell’annata 2013, le 93 accessioni di Cucurbita pepo L. sono state (fig. 3) valutate sia per la loro
diversità molecolare che morfologica.
Dall’analisi PCO, come mostrato in figura 4, è emerso che i materiali impiegati si dividono
principalmente in due gruppi distinti riferibili alle due tipologie pepo e ovifera varietà talvolta indicate
come sottospecie. In figura 5 invece i materiali sono stati raggruppati secondo tre caratteristiche
produttive principali sia per le aziende che per l’industria di trasformazione. Tra i 93 materiali coltivati
circa il 6% presentano una produzione giornaliera di fiori (parametro chiave per la redditività agricola)
maggiore di 20, circa il 25% dei materiali presenta una lunghezza del fiore tra i 9-11 cm (ritenuta ideale
dall’industria di trasformazione) e pochi materiali, meno del 25%, evidenziano una bassa presenza di
spinescenza (carattere ideale per facilitare la raccolta).
Sulla base dei risultati ottenuti nella sperimentazione del 2013 4 cultivar sono state selezionate e
valutate nuovamente nel 2014 (figura 6 e 7). In questo secondo anno di prova le quattro cultivar non si
sono distinte significativamente sia per produzione (t/ha) che per numero medio giornaliero di fiori
prodotti. Va sottolineato che, nonostante il particolare andamento climatico del periodo primaveraestate 2014 (con temperature min. e max. inferiori e piovosità superiore alla media trentennale), le
rese del secondo anno di prova sono stati in media rispetto a quelli ottenuti nel 2013 (figura 7).
GRIN
GRIN
Fig. 2. Biodiversità di zucchino
Fig. 5. Numero fiori maschili, lunghezza della corolla
e presenza delle spine (valori crescenti =
spinescenza maggiore)
IPK
ns
ns
ns
ns
IPK
IPK
Fig. 3. Zucchino in pieno campo
Fig. 6. Numero fiori maschili 2014 (media
giornaliera)
IPK
IPK
ns
IPK
86
PEP 1655
PEP 1655
1
NA
IPK
87
PEP 1685
Small Sugar New England Pie 1
NA
IPK
88
PEP 1679
Altaiskaja 47
1
Russia
89
PEP 1672
Early Sugar
1
NA
IPK
90
PEP 1686
PEP 1686
3
Turkey
IPK
91
PEP 1637
PEP 1637
3
NA
92
PEP 1684
Cocozelle Green Bush
3
NA
IPK
93
PEP 1681
Zucchini Black
3
Germany
IPK
ns
ns
ns
IPK
IPK
Fig. 7. Produzione fiori maschili 2014 (totale
ciclo produtivo)
Fig. 4. Risultati PCO collezione
Conclusioni
Nei limiti della variabilità genetica esplorata dalla collezione in oggetto di studio, questa ricerca ha messo in evidenza l’attuale assenza nella specie Cucurbita pepo L. di una tipologia di
pianta di zucchino atta alla produzione prevalente di fiori che integri le caratteristiche desiderate sia dall’industria di trasformazione che dalle aziende agricole. Pertanto le informazioni
raccolte, seppur preliminari, potranno essere utilizzate per fornire prime indicazioni (1) sia alle aziende agrarie su quali varietà utilizzare e come gestire la coltura, (2) sia alle ditte
sementiere per sviluppare piani di miglioramento genetico e selezione di nuovi materiali ad elevata produzione di fiori maschili.
Gli autori ringraziano tutto lo staff di UniMoRe, l’Azienda Luca Ziosi, l’Azienda Verdelab e l’Azienda Di Tria che hanno collaborato alla prova e alla
raccolta dei dati. Inoltre si ringraziano le ditte sementiere che hanno fornito varietà per la collezione.
D-1
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Realizzazione di una piattaforma open hardware per il
monitoraggio delle condizioni termoigrometriche del suolo e
dell’aria.
Ricerca realizzata con cofinanziato dal progetto “IRRISOL sistema integrato di gestione irrigua differenziata tramite mappatura geoelettrica ad alta risoluzione”. Psr Regione Campania 2007-2013 mis. 124.
DRD n. 215 del 07/06/2013. Codice CUP B55C11003040007
Giovanni Bitella1 Roberta Rossi2, Mariana Amato1,Bochicchio Rocco1, Michele Perniola 1
1
2
Scuola di scienze agrarie , forestali ed ambientali. Università di Basilicata, 85100 Potenza. Autore corrispondente: [email protected]
CRA SCA - Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura - Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo aridi, Bari
Introduzione
La necessità di aumentare la sostenibilità dell’uso delle risorse idriche in
agricoltura ha determinato un crescente interesse verso tecniche di irrigazione di
precisione ed orientato la selezione varietale verso la ricerca di tratti ipogei
connessi alla resilienza allo stress idrico. Il monitoraggio ad alta risoluzione
spazio-temporale del contenuto idrico lungo il profilo è fondamentale sia per
gestione di impianti irrigui a rateo variabile che per lo studio dei tratti radicali, il
costo delle strumentazioni tuttavia limita il numero di sensori e la frequenza di
misurazione. L’obiettivo di questo lavoro è stato quello di realizzare un sistema di
acquisizione di paramentri ambientali basato su di una scheda di acquisizione a
basso costo (Fischer D.K.2012) ad hardware libero e software a codice sorgente
aperto ,quindi facilmente implementabile e replicabile.
Fig. 1. C
Componenti del sistema di acquisizione
Materiali e metodi
Risultati
Il prototipo sviluppato , visibile in figura 1, si compone di 4 unità sovrapposte :
• Una scheda a microcontrollore denominata Arduino Mega 2560 R3
programmabile attraverso un’ambiente di sviluppo (IDE) multipiattaforma.,
Inc).
• Una scheda di espansione per la registrazione dei dati acquisiti su memoria
flash di tipo secure digital.
• Una scheda di trasmissione dati Gprs per l’invio dei dati su server.
• Un display lcd per la visualizzazione dei dati acquisiti nell’ultima registrazione
La relazione fra il contenuto idrico e i valori rilevati dal sensore
è stata modellizzata ricorrendo ad una funzione logistica (Fig.2).
Il modello è stato testato su ogni singola tipologia di suolo e
raggruppando i dati in un unico dataset. Ogni modello è stato
validato ricorrendo ad una procedura di cross-validazione di
tipo leave-one-out. l test condotti hanno mostrato una elevata
stabiilità delle sonde alle variazioni di temperatura (Fig.2), è
stato infatti riscontrato una debole e non significativa tendenza
lineare di 0.2 mV°C-1. Il sensore si è rivelato sensibile anche a
piccole variazioni del contenuto idrico con NRMSE di 0.09 per il
modello globale, 0.08 per la sabbia 0.07 per il suolo francoargilloso e 0.04 per il franco-sabbioso.
Il monitoraggio dei parametri ambientali è stato realizzato realizzato connettendo
rispettivamente ai 16 ingressi analogici e 54 digitali della scheda Arduino Mega
2560 R3 :
1. sonde analogiche di tipo capacitivo (VH400 rev.6 Vegetronix , Inc.) funzionanti
alla frequenza di 80 Mhz fino ad un numero massimo di 16, sensibili al
contenuto idrico del suolo
2. Sensori digitali waterproof Ds18b20 (Maxim Integrated Products, Inc.)
sensibili alla temperatura del suolo
3. Sensori Dth 22 (MaxDetect Technology Co., Ltd.) sensibili alla temperatura e
umidità dell’aria.
La calibrazione delle sonde di umidità è stata effettuata in condizioni di
laboratorio su tre tipologie di suolo non salino (ECe1:2.5 < 0.1mS/cm) : un suolo
sabbioso (sabbia 76.48%, limo 16.82 %, argilla 6.7%), un suolo limoso argilloso
(sabbia 30.66 %, limo 45.06%, argilla 24.28 %), e una sabbia pura aumentando
progressivamente il contenuto idrico . E’ stata inoltre verificata la stabilità delle
sonde al variare della temperatura (Mcmichael et Lascano 2003)
Fig. 2. sin: variazione della temperatura e della lettura del
sensore durante il test di stabilità; dx: relazione fra il
contenuto idrico di campioni di terreno e letture del
sensore Vegetronix.
Conclusioni
Questo lavoro fornisce un quadro per la replica e l'aggiornamento di una piattaforma a basso costo su misura, coerente con
l'approccio open source in cui la condivisione delle informazioni sulla progettazione attrezzature e software facilita l'adozione e il
continuo miglioramento delle tecnologie esistenti. Il basso costo di tutti i componenti permette di prevedere applicazioni dove è
richiesto un elevato numero di sensori e / o sensori devono essere collocati in posizioni in cui non possono essere facilmente
recuperati.
Bibliografia
Fisher, D. K. 2012. Open-Source Hardware Is a Low-Cost Alternative for Scientific Instrumentation and Research. Modern Instrumentation, 01(02), 8–20.
Mcmichael, B., & Lascano, R. J. 2003- Laboratory Evaluation of a Commercial Dielectric Soil Water Sensor, 650–654.
D-2
>"!.!""''!%"!" ;AF:AG* %B@AD
Efficienza di rimozione di metolacloro e
terbutilazina di un sistema di fitodepurazione in
agricoltura
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%?$'%-+8$('; %?,(+$&'-( % "+8$(' #$&$ $%$-'( % +$38$(' Fig. 1. Constructed Wetland a flusso
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superficiale (Az. Toniolo, Università di Padova)
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Fig. 3 Microtopografia e piano quotato
Fig. 2. Agrosistema e zona umida per la fitodepurazione (Azienda
Sperimentale Toniolo) . Le frecce indicano il flusso delle acque di
drenaggio agricolo
Fig. 4 Modello Digitale del Terreno
Fig. 5. Caso simulato: inoculo di erbicida
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D-3
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Valutazione dell’efficienza di utilizzo del fosforo
organico ed inorganico da parte di due differenti
ecotipi di erba medica
Ricerca realizzata con il finanziamento BIOGESTECA Regione Lombardia
Giovanni Cabassi1,Maria Carelli1,Michele
Pamela Abbruscato1, Carla Scotti1
Aggiato1,
Francesco Savi1, Lamberto Borrelli1, Elisa Biazzi1, Ilaria Losini1,
1
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura CRA-FLC viale Piacenza 29 26900 Lodi.
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Nei reflui zootecnici la presenza di fosforo (P) in forma inorganica e organica costituisce, insieme
all’azoto (N), un input che si aggiunge alla dotazione naturale del suolo e alla eventuale concimazione
minerale. La frazione di P organico dei reflui, come del suolo, è costituita prevalentemente da fitati,
derivati dell’inositolo-6-fosfato; questi composti possono presentare mobilità nel terreno ed essere
dunque soggetti a fenomeni di lisciviazione con potenziale impatto sulla falda freatica. L’obiettivo del
lavoro è stato quello di indagare la capacità di utilizzo del P, organico e inorganico, presente in un
liquame bovino da parte di due ecotipi di erba medica (Medicago sativa), con diverso adattamento ai
rispettivi ambienti, uno di allevamento zootecnico intensivo, l’altro no.
Materiali e metodi
Fig. 1. Suddivisione delle 162 piante
in tre blocchi.
Risultati
-Esperimento condotto a Lodi, 9°30’ E, 45°19’ N, 81 m - Le produzioni di sostanza secca sono risultate simili per i diversi ecotipi non
slm., clima temperato sub-continentale, precipitazioni 800
mostrando differenze significative (342,75 e 339,46 g/parcella) (p 0,05);
mm/anno, media annuale temperatura 12,9°C, (medie
- sono risultate significative le differenze di asportazione di P (Cremonese
mese più freddo 1,5°C e mese più caldo 23,7°C); terreno
0,991 e Senese 0,727 g/parcella) nelle tesi trattate con acido fitico e
sabbio-limoso (sabbia 59%, limo 27%, argilla 13%) a pH
liquame;
7,9.
-162 piante di un anno di età, allevate in contenitore (9
piante/parcella), secondo un disegno
a blocchi
randomizzati disposti in tre repliche (fig 1);
-due ecotipi di erba medica (Cremonese e Senese, fig. 2) e
tre trattamenti: liquame bovino (al 30,58% di P organico),
acido fitico (C6H18O24P6, 100% P organico) e fosfato di
potassio bibasico (K2HPO4, 100% P inorganico);
-valutazione della produzione di SS e del P asportato da
piante e radici (P tot) e di quello lisciviato nei percolati (P
tot, P organico, P inorganico).
Equivalente per ha apportato alla coltura
P tot.
605
P inorg.
420
P org.
185
120
Tab. 1. dosi di N e P apportate nei tre trattamenti
(a: solo il 50% dell’N organico del liquame è
stato considerato disponibile per le piante.
N tot
3,42
469
Senese
Media
Liq. 345,26 ± 24,58 326,70 ± 15,79 335,98 ± 20,19
P inor 317,81 ± 26,46 345,44 ± 18,90 331,62 ± 22,68
Media 342,75 ± 23,12 339,46 ± 17,5
-5 tagli effettuati tra maggio e settembre 2013;
Analisi chimica del liquame
Cremonese
Fitato 365,19 ± 18,32 346,25 ± 17,81 355,72 ± 18,07
NH4 N org.
1,31
2,11
260
Tab. 2. Valori medi e relative deviazioni standard
di sostanza secca prodotta (g/parcella) cumulate
per parcella.
Cremonese
Senese
Media
Fitato
0,991 ± 4,44
0,727 ± 3,94
0,859 ± 4,19
Liq
0,867 ± 7,81
0,775 ± 3,51
0,821 ± 5,66
P inor
0,727 ± 5,92
0,688 ± 3,89
0,708 ± 4,90
Media
0,862 ± 6,06
0,730 ± 3,78
209a
Tab. 3. Valori medi e relative deviazioni standard di
asportazioni di P cumulate per parcella
(g/parcella).
Fig. 2. Ecotipi a confronto (a sin. Cremonese, a
dx. Senese)
Conclusioni
Questa ricerca conferma l’adattamento dei due ecotipi al loro ambiente di maggiore diffusione, mostrando differenze significative per la
capacità di utilizzo del delle forme di P organico. L’ecotipo cremonese ha rivelato un adattamento a suoli ad alto carico zootecnico
evidenziando anche ridotte perdite di P per lisciviazione rispetto a senese. La distribuzione allelica e i livelli di trascrizione del gene relativo a
una fitasi radicale, ortologo a MtPHY1 in M truncatula, potrebbero giustificare i risultati osservati. La variabilità riscontrata potrà essere
sfruttata in un programma di miglioramento genetico relativo allo sviluppo di varietà da destinare rispettivamente ad aree con
problematiche di eccessiva disponibilità di liquami per aumentarne l’efficienza di utilizzo e per ridurne le perdite per lisciviazione e ad aree
dove è previsto un basso input fosfatico minerale o organico. Le forme organiche di P costituiscono una fonte economicamente conveniente
di P per le colture in grado di utilizzarle e possono rappresentare una parte non trascurabile della soluzione circolante. Nei distretti
zootecnici altamente intensivi l’avvio di un monitoraggio del fosforo insieme a quello dell’azoto sembra dunque opportuno per ridurre il loro
Ringraziamenti:…..
impatto
ambientale. L’erba medica appare una coltura di forte interesse per la valorizzazione degli apporti fosfatici da liquame, in particolare
quando si utilizzi germoplasma con una lunga storia di adattamento in distretti a zootecnia intensiva.
D-4
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
SIMULAZIONE DELLA MINERALIZZAZIONE DEL CARBONIO E
DELL’AZOTO DI UN LIQUAME SUINO E STOCCHI DI MAIS
Ricerca finanziata da: Progetto MI.ST.RE, Regione Lombardia (D.M n° 2215, 9/3/2010); Progetto CN-MIP, FACCEJPI (Multi-partner Call on Agricultural Greenhouse Gas Research), 2013.
Daniele Cavalli1, Luca Bechini1, Pietro Marino1
1
Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università degli Studi di Milano, [email protected]
Introduzione
I modelli che simulano il turnover della sostanza organica del terreno sono spesso incorporati in modelli più complessi; essi forniscono una
stima dell’N mineralizzato, della concentrazione di N minerale e della CO2 emessa dal suolo. Al fine di ottenere un buon accordo tra variabili
misurate e simulate è necessario calibrare i modelli e testarne poi le performance con data-set di validazione. L’obiettivo del seguente
lavoro è stato quello di calibrare tre modelli per la simulazione delle dinamiche di mineralizzazione del C e dell’N veicolati al terreno con un
liquame suino (LIQ) e con stocchi di mais (ST), entrambi con aggiunta di solfato di ammonio (SA). Per discriminare l’N applicato con i diversi
materiali sono stati impiegati materiali marcati (15N) secondo i trattamenti: 1) ST15 + SA + LIQ; 2) ST + SA15 + LIQ e 3) ST + SA + LIQ15.
Risultati
Incubazione di laboratorio (25°C e contenuto idrico del
suolo costante):
ͻmateriali (Tab. 1), applicazione di: 19 mg N kg-1 come ST,
35 mg N kg-1 come SA e 48 mg N kg-1 come LIQ
ͻ4 repliche, misure distruttive di CO2-C, NO3-N e
NO3-15N
100
CO2-C
90
CO2-C netta (% C applicato)
ͻsuolo: sabbia 34%, limo 49%, pH 7.9, C/N 11.6
ST15 – SA - LIQ
100
MOD-1
MOD-2
CN-SIM
80
RRMSE = 16%
RRMSE = 15%
RRMSE = 7%
70
60
50
40
30
20
10
Tab. 1. Caratteristiche dei materiali utilizzati
NO3-N netto e NO3-15N (% N o 15N app.)
Materiali e metodi
0
CO2-C netta (% C applicato)
80
MOD-2
CN-SIM
70
60
50
40
30
20
10
0
ͻcalibrazione dei parametri e calcolo degli errori di
simulazione sulle variabili al netto del controllo non
concimato, espresse come % del C o dell’N applicato
ST
LIQ
fCAOM1_ST
AOMST
AOMLIQ
fCAOM1_LIQ
AOM1
AOM2ST
AOM1LIQ
AOM2LIQ
(SUOLO+ST
)
kAOM_ST
eff
SMB
kAOM_LIQ
eff
kAOM2_ST
kAOM1
eff
kAOM1_LIQ
eff
kSMB
kAOM2_LIQ
eff
eff
eff
SMB
Norg
NOM
NH4-N
eff
Norg
kSMB
NOM
LIQ
AOM2LIQ
AOM1ST
AOM2
kAOM1, kAOM1_ST, kAOM1_LIQ
fSMB1
mSMB1
eff
eff
eff
eff
mSMB2
kSMR
SMR
NOM
1
Petersen et al., 2005. Soil Biol. Biochem. 37,
375–393
20
10
90
80
NO3-N = 27%MOD-1 RRMSE
MOD-2
= 47%
RRMSE
= 34%
RRMSE
= 21%MOD-1 RRMSE
NO3-15N
MOD-2
RRMSE = 32%
RRMSE = 15%
CN-SIM
NO3-N
MOD-1
MOD-2
RRMSE = 30%
RRMSE = 27%
NO3-15N
MOD-1
MOD-2
RRMSE = 25%
RRMSE = 23%
RRMSE = 21%
RRMSE = 23%
CN-SIM
CN-SIM
70
60
50
40
30
20
10
MOD-2
CN-SIM
70
60
50
40
30
20
0
90
80
CN-SIM
70
60
50
40
30
20
10
0
0
20
40
60
80
100 120 140 160 180 200
Tempo (giorni)
0
20
40
60
80
100 120 140 160 180 200
Tempo (giorni)
• tutti i modelli non sono stati in grado di riprodurre la dinamica dell’NO315N misurata nel trattamento con stocchi marcati
eff
SMB2
kSMB1
kNOM
30
• il modello MOD-1 ha sovrastimato l’immobilizzazione di NO3-N dal giorno
7 al giorno 121
kAOM2, kAOM2_ST, kAOM2_LIQ
fSMB1
SMB1
40
AOM2ST
AOM1
eff
50
• i tre modelli hanno simulato in modo accurato la respirazione del C, con
tassi elevati nelle prime settimane e inferiori a partire dal giorno 40
fCAOM1_LIQ
AOM1LIQ
60
Simulazione delle emissioni di CO2 e della concentrazione di NO3-:
CN-SIM 1
ST
fCAOM1_ST
80
NO3-N
NO3-N
70
100
CO2-C
MOD-1
RRMSE = 11%
RRMSE = 25%
RRMSE = 8%
90
NH4-N
kNIT
kNOM
kNIT
100
10
kNOM
CN-SIM
RRMSE = 104%
RRMSE = 69%
RRMSE = 64%
0
NO3-N netto e NO3-15N (% N o 15N app.)
MOD-2
LIQ
CN-SIM
MOD-2
ST – SA - LIQ15
CO2-C netta (% C applicato)
MOD-1
ST
MOD-2
MOD-1
RRMSE = 23%
RRMSE = 23%
RRMSE = 23%
100
CO2-C= 12% MOD-1
RRMSE
RRMSE = 15%
RRMSE = 10%
90
ͻtre modelli di crescente complessità (Fig. 1)
MOD-1
NO3-15N
0
100
Simulazione delle emissioni di CO2 e della concentrazione
di NO3-N:
NO3-N
80
ST – SA15 - LIQ
NO3-N netto e NO3-15N (% N o 15N app.)
ss
N tot NH4-N C/N
%AT 15N
(%) (g kg-1) (g kg-1)
SA (SA15)
100.0 210
210
-- 0.37 (11.24)
ST (ST15)
94.0
8 (7)
-- 50 (42) 0.37 (4.74)
LIQ (LIQ15) 2.9 (4.3) 2 (3) 1 (2) 6 (7) 0.40 (2.48)
Materiale
90
kSMB2
Norg
NH4-N
kNIT
IOM
NO3-N
Fig. 1. Diagrammi relazionali dei tre modelli utilizzati. I
rettangoli rappresentano le variabili di stato relative all’N, le
valvole i tassi. I flussi di C non sono mostrati.
Conclusioni
Questo lavoro preliminare mostra l’importanza di testare i modelli
utilizzando sia misure di C che di N ( e possibilmente di 15N), al fine di stimare
in modo accurato il contributo dei diversi pool organici alla mineralizzazione
dell’N applicato con i diversi materiali.
D-5
EFFETTI DELL’IMPIEGO DI COMPOST MISTO SULLE COLTURE ERBACEE E SULLA FERTILITA’ DEL TERRENO
Ricerca realizzata con il finanziamento CRR della Regione Abruzzo
Giovanni Fecondo, Sabina Bucciarelli, Donato Civitella, Giovanni Rizzo, Francesco Ventura,
Mario D’Ercole, Laura De Francesco, Armando Mammarella, Giovanni Ghianni
Centro per la Sperimentazione e Divulgazione delle Tecniche Irrigue, Vasto (CH), IT, fecondo@co r.it
Introduzione
La Dire va 2008/98/CE sos ene che entro il 2020 almeno il 50% dei riĮu urbani dovrà essere recuperato a raverso la
raccolta differenziata dello scarto umido; la strategia dei suoli ECCP evidenzia il ruolo della sostanza organica per prevenire fenomeni di deser Įcazione e contribuire alla lo a al cambiamento clima co. In questo lavoro sono riporta i risulta
di una sperimentazione triennale Įnalizzata a veriĮcare l’effe o di compost misto sulla produzione qualiquan ta va di
alcune colture agrarie (Fecondo et al., 2012) e sulla fer lità del suolo.
Materiali e metodi
La prova si è svolta su un terreno limosoargilloso, ricco in potassio,
mediamente dotato di sostanza organica, ubicato in agro di Vasto.
Le colture prese in esame sono state il frumento duro (cv. Ignazio)
seminato in tu e e tre le annate in rotazione con le colture da rinDosi di concime tesi Cmin (kg ha1) novo, il pomodoro da industria (cv.
Coltura
N
P2O5
K20 Pavia), il girasole (Rumbasol) e il peFrumento
135
67
perone dolce di Al no. Come disegno
Pomodoro
103
45
40
sperimentale è stato u lizzato il blocGirasole
114
92
co randomizzato con tre repliche e la
Peperone
81
212
36
dimensione delle parcelle è stata di
40 m2. Sono state poste a confronto il controllo non tra ato (C0), il
controllo con concime minerale (Cmin) e due dosi di compost misto
di qualità (20 e 40 t ha1) (C20 e C40). La distribuzione del compost è
stata effe uata nel 1° e 2° anno di prova (frumento, pomodoro da
industria e girasole). Sulle
C min C
tesi tra ate con compost
non è stata effe uata la
C C concimazione di fondo, la
C
concimazione di copertura
C è stata eseguita solo nei
C primi due anni di prova con
104 kg ha1 di azoto per il
frumento e 78 kg ha1 per
pomodoro e girasole. I da
Grano duro
Pomodoro
colturali e del terreno, una volta valida , sono sta so opos all’analisi della varianza e le medie discriminate con il test di Duncan.
min
40
20
0
40
min
RisultaƟ
Sul frumento duro l’impiego di 40 t ha1 di compost ha determinato
nel biennio 201112, rispe o alla tesi Cmin, un aumento della produzione di granella del 19%, un aumento del n. di spighe m2 del 17%
e un minore a acco di Fusarium (67%); nel 2013, invece, la produzione più contenuta delle tesi tra ate (C20 e C40) è stata dovuta
all’alle amento delle piante (53 e 67%). Nella tesi C40, inoltre, è stato riscontrato un accumulo medio di proteine del 16,3% verso il
14,3% del tes mone concimato (Cmin) e valori più eleva dei parametri della resa in semola (da in fase di pubblicazione). Nel pomodoro da industria la tesi C40 ha conseguito una produzione di bacche pari a 81,4 t ha1 rispe o a 76,5 t ha1 della tesi Cmin. C40
C20
Cmin
C0
Nella tesi C40 del peperone la produzione media di bacche rosse dei primi due raccol è stata di 3,3 t ha1 verso 2,3 t ha1 della tesi Cmin, mentre nel terzo raccolto
(bacche rosse e verdi) non sono state riscontrate differenze signiĮca ve. I parametri
qualita vi pH, acidità e residuo o co non hanno evidenziato differenze signiĮca ve. Nel giraTab. 1. Risultati produttivi (t ha1).
sole i valori
Frumento Pomodoro Girasole Frumento Frumento Peperone Peperone Peperone
del
peso
Tesi
2011
2011
2012
2012
2013
1° raccolto 2° raccolto 3° raccolto
e olitrico e
C0
3,5 b
73,2
1,3
5,3 b
3,8 b
2 b
1,4 c
9 b
Cmin
4,2 b
76,5
1,3
6,3 ab
5,5 a
2,5 ab
2,3 b
11,9 a del peso di
semi
C20
4,7 b
77,9
1,3
6,5 a
5,1 a
2,7 ab
2,4 b
11,1 a mille
tesi
C40
5,9 a
81,4
1,2
7 a
4,7 ab
3,3 a
3,2 a
11,2 a delle
Valore di F
*
n.s.
n.s.
*
*
*
*
*
tra ate sono
CV (%)
14,1
15,1
38,5
8,7
12,5
15,9
20,1
8,9
sta più ele* e n.s. = significativo al livello di P<0,05 e non significativo. va del controllo concimato (Cmin)(rispe vamente 47,6 kg hl1 vs 45,2 kg hl1 e 47,2 g vs 46,8 g),
mentre per la produzione di granella non ci sono da a endibili a causa dell’elevato
errore sperimentale dovuto all’a acco di animali da macchia. Nel terreno, il contenuto di sostanza orgaTab. 2. Parametri chimici del terreno.
Sostanza Fosforo Potassio nica, che rappresenta
ECw
Azoto totale
organica assimilabile assimilabile l’indicatore più imporTesi
pH
(mS cm1)
(g kg1)
(%)
(mg kg1)
(mg kg1)
tante della fer lità del
C0
7,8
0,26 d
2,2 c
1,2 c
10,1 c
355,6 c
suolo, è aumentato
Cmin
7,9
0,36 c
2,4 bc
1,3 bc
12,2 bc
405,9 bc
C20
7,9
0,43 b
2,7 b
1,4 ab
15,6 b
477,9 b del 23% nella tesi C40
C40
8,0
0,54 a
3,1 a
1,6 a
22,3 a
578,7 a rispe o al tes mone
concimato (Cmin). InolValore di F
n.s.
**
*
**
**
*
C.V. (%)
0,36
6,2
8
2,6
13,4
12,1
tre, è stato rilevato un
*, ** e n.s. = significativo al livello di P<0,05, P<0,01 e non significativo. accumulo dei principali elemen nutri vi nella misura del 19% per l’azoto totale, del 48% per il fosforo
assimilabile e del 30% per il potassio assimilabile. Il pH non ha subito sostanziali variazioni, la conducibilità ele rica della tesi C40, pur essendo aumentata del 33% rispe o al controllo, non ha inŇuenzato nega vamente la produ vità delle colture,
anche per specie sensibili alla salinità come il peperone.
Conclusioni
L’impiego di compost misto ha determinato un aumento delle produzioni delle colture in esame (anche se in cer casi l’aumento non è stato signiĮca vo), il miglioramento delle cara eris che qualita ve della granella del frumento e del girasole
(proteine, peso e olitrico e peso di 1000 semi) ed un recupero della fer lità del terreno agrario in termini di sostanza organica e dei principali elemen nutri vi
(azoto, fosforo e potassio assimilabile). L’impiego di compost non ha inŇuito sulla
qualità delle bacche di pomodoro e peperone.
BibliograĮa
Dire va 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, rela va ai riĮu e che abroga alcune dire ve. Fecondo G., Bucciarelli S., Civitella D., Ventura F., 2012. Gli eīeƫ del compost su frumento duro e pomodoro. L’Informatore Agrario, 43, 25.
Strategia dei Suoli EU Climate Change Programme (ECCP). Miglioramento della qualità dei suoli.
D-6
XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
4
Influenza dello scheletro sugli scambi di CO2 tra suolo e atmosfera in fase di
emergenza di una coltura di favino in ambiente Mediterraneo
Rossana Monica Ferrara1, Roberta Rossi1, Michele Introna1, Nicola Martinelli1, Francesco Fornaro1, Anna Maria Stellacci1,
Gianfranco Rana1
1
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA)- Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi (SCA)
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Risultati
La quantificazione delle emissioni di gas ad effetto serra in agricoltura è affetta da
grandi incertezze dovute all’effetto della variabilità spaziale del suolo sulle
dinamiche di emissione. La presenza di scheletro influisce sulle caratteristiche
idrologiche, termiche e biologiche del suolo, fattori fondamentali nei processi di
scambio gassoso all’interfaccia suolo-atmosfera. L’obiettivo dello studio è stato
valutare l’influenza dello scheletro sulle emissioni di anidride carbonica (CO2) in
una coltura di favino (Vicia faba minor. L.) dalla semina all’emergenza.
I flussi orari di CO2 registrati dalle camere dinamiche sono risultati
coerenti con la media dei valori misurati con le statiche (Fig. 3).
L’andamento giornaliero (Fig. 4) è stato caratterizzato da un
incremento nel tempo attribuibile all’effetto dell’aumento della
temperatura media giornaliera e delle strutture ipogee. Nel periodo
esaminato l’effetto della pietrosità sui flussi giornalieri della CO2 è
risultato significativo (Tab. 1) (p-value<0.001). Le emissioni giornaliere
sono state significativamente più alte nella zona non-pietrosa (Fig. 5),
presumibilmente a causa di maggiori quantitativi di substrato per la
respirazione e condizioni idriche non limitanti.
Materiali e metodi
La sperimentazione è stata svolta presso l’azienda sperimentale del CRA-SCA, sita a
Rutigliano (BA) e soggetta a clima Mediterraneo semi-arido. In un campo di circa 2
ha sono state individuate 2 aree caratterizzate da diverso contenuto di scheletro
(5% e 42% in peso) (vedi Rossi et al., 2014). Nella zona pietrosa (P) e in quella non
pietrosa (NP) sono stati misurati flussi di CO2 dal suolo. Mediante due camere
dinamiche (ACE Automated Soil CO2 Exchange system station, ADC Bioscientific
Ltd, UK) si sono monitorati a livello orario gli scambi di CO2 (Fig. 1), inoltre, 8
camere statiche (LCPro+, ADC Bioscientific Ltd, UK) sono state posizionate nelle
vicinanze delle dinamiche per validare i dati continui (Fig. 2).
NP
P
Fig. 1: Camere dinamiche nella zona
non pietrosa (NP) e pietrosa (P).
NP
NP
P
P
Fig. 2: Camere statiche nella zona
non pietrosa (NP) e pietrosa (P).
L’analisi dei dati ha riguardato il solo periodo inziale del ciclo colturale dal 5㼻 al
30㼻 giorno dopo la semina che è coinciso con lo stadio fenologico 1.3 (leaf
development) della scala fenologica BBCH (Lanchashire et al. 1991). I flussi di CO2
misurati a scala oraria sono stati sommati nelle 24 ore per ottenere i cumulati
giornalieri. I dati giornalieri sono stati analizzati attraverso un modello additivo
generalizzato (GAM). Il flusso di CO2 è stato modellizzato come funzione di uno
stimatore non-parametrico (smoothing function) dei DAS (days after sowing) e
dell’antecedente nominale 䇾zona䇿 con due livelli (P = pietrosa, NP = non pietrosa),
creata per testare l’effetto della variabilità spaziale del contenuto di scheletro sulle
dinamiche di emissione. I GAM rappresentano una flessibile estensione dei modelli
di regressione parametrica nei quali la relazione ipotizzata tra la variabile risposta e
le variabili esplicative può essere di tipo lineare o non lineare, stimabile per mezzo
di funzioni parametriche e/o non-parametriche. Il modello è stato stimato con il
metodo della massima verosimiglianza penalizzata (Wood, 2011). Le analisi sono
state effettuate in ambiente statistico R (R Core Team, 2013).
Fig. 3 Flussi orari di CO2 nella zona
NP e P, misurati con camere
statiche e dinamiche.
Fig. 4 Emissioni giornaliere di
CO2 nelle due zone (P, NP) e
rispettive funzioni di
smoothing non parametriche.
Tab. 1 GAM: statistiche riassuntive.
Family: gaussian
Link function: identity
Formula:
co2 ~ s(DAS) + zona
Parametric coefficients:
Estimate Std. Error t value
(Intercept) 13.7034
0.8604 15.927
zonaP
-5.1343
1.1936 -4.302
--Signif. codes: 0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01
‘’1
Pr(>|t|)
< 2e-16 ***
8.88e-05 ***
‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1
Approximate significance of smooth terms:
edf Ref.df
F p-value
s(DAS) 2.504 3.115 4.771 0.00514 **
--Signif. codes: 0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1
‘’1
R-sq.(adj) = 0.392 Deviance explained = 43.6%
GCV score = 19.511 Scale est. = 17.754
n = 50
Fig. 5 Grafico 3D dei flussi
giornalieri di CO2 nelle due
zone (P, NP), stimati
attraverso il GAM.
Conclusioni
Lo studio ha mostrato l’effetto significativo del contenuto di scheletro sulle dinamiche di emissione della CO2, indicando la necessità di
tenere conto della variabilità spaziale dello scheletro nei protocolli di misura delle variabili biofisiche in agricoltura.
Bibliografia
Lancashire, P.D.; H. Bleiholder; P. Langeluddecke; R. Stauss; T. van den Boom; E. Weber; A. Witzen-Berger (1991). An uniform decimal code for growth stages of crops and weeds.
Ann. Appl. Biol. 119 (3): 561–601.
Rossi, R, Ferrara, RM, Amato M., Lovelli S., Labella S., Introna M., Rana G. (2014) . La variabilità spaziale dei suoli pietrosi: effetti sulla corretta quantificazione dell䇻acqua disponibile
e della densità radicale. In Atti XLIII Convegno SIA Pisa 17-19 Settembre 2014.
Wood S. (2011). Fast Stable Restricted Maximum Likelihood and Marginal Likelihood Estimation of Semiparametric Generalized Linear Models. Journal of the Royal Statistical
Society: Series B (Statistical Methodology), 73, 3–36.
D-7
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – Pisa, 17-19 settembre 2014
Use of a pedotransfer function to simulate
soil hydrological properties dynamics
Research supported by IC-FAR project founded by MIUR
Fabrizio
Ginaldi*, Francesco
Candoni, Francesco Danuso
Department of Agricultural and Environmental Sciences, University of Udine, Via delle Scienze 208, 33100 Udine (Italy)
*Corresponding author: [email protected]
Introduction
Results
Influencing crop water availability, soil hydrological
properties also crucially affect yields. Moreover, soil
organic matter content is known to change over time as
a consequence of agricultural practices, so determining
modifications in soil structure and properties in the long
term (Joseph et al., 2008). This work has three goals: i)
development and calibration of the pedotransfer
function (PTF) proposed in Danuso (1996); ii) definition
of its error function; iii) presenting a methodology for
applying PTFs in crop simulation models in order to
represent soil hydrological traits dynamics as function of
carbon content change.
i) PTF:
‫=ݑ‬
ܽ0 + ܽ1 ή ܵ + ܽ2 ή ‫ ܥ‬+ ܽ3 ή ܱܵ‫ܯ‬
߰ ܾ0 ή(‫ܥ‬+ܱܵ‫)ܯ‬
ܾ1
Calibration results: a0=14.86; a1=-0.148; a2=0.259; a3=1.22; b0=0.452; b1=-0.288;
with R2= 0.915
ii) Applying the local linearization method (Box and Hunter, 1978) on the PTF,
assuming there is no error in water tension measurements and not considering
correlations, standard error (SE) of u estimated value becomes (see also Fig. 1):
ܵ‫ݑܧ‬2 = ൬
2
2
2
2
2
2
߲‫ݑ‬
߲‫ݑ‬
߲‫ݑ‬
߲‫ݑ‬
߲‫ݑ‬
߲‫ݑ‬
ή ܵ‫ ܽܧ‬0 ൰ + ൬
ή ܵ‫ ܽܧ‬1 ൰ + ൬
ή ܵ‫ ܽܧ‬2 ൰ + ൬
ή ܵ‫ ܽܧ‬3 ൰ + ൬
ή ܵ‫ܾܧ‬0 ൰ + ൬
ή ܵ‫ܾܧ‬1 ൰
߲ܽ0
߲ܽ1
߲ܽ2
߲ܽ3
߲ܾ0
߲ܾ1
SOM=2%
SOM=3%
ȥ=15 bar
SOM=1%
Data and Methods
ȥ=0.1 bar
ȥ=0.3 bar
The PTF has been implemented using a soil dataset
containing data of 82 samples representative of
homogenous pedological zones in hilly areas and plain of
Friuli Venezia Giulia region (NE Italy, Tab. 1). Soil samples
were obtained as average of the 0-30 cm layer. Texture,
soil organic matter and gravimetric soil water content at
different matric potentials (Richard’s pressure plate
apparatus for ɗ = 0.1, 0.2, 0.3, 0.7, 1.5, 3 and 15 bar)
have been determined.
The whole soil dataset has been used to calibrate the PTF
g
p
by a nonlinear regression
procedure.
AUSTRIA
Fig. 1. SEu calculated for three ȥ (0.1, 0.3, 15 bar) and three SOM content
(1, 2, 3%).
SLOVENIA
VENETO
ADRIATIC
SEA
Tab. 1. Statistics for soil samples dataset (% w/w).
w
Sand content
Clay content
Soil organic matter
Moisture 0.1 bar
Moisture 0.2 bar
Moisture 0.3 bar
Moisture 0.7 bar
Moisture 1.5 bar
Moisture 3 bar
Moisture 15 bar
Symbol
S
C
SOM
u0.1
u0.2
u0.3
u0.7
u1.5
u3
u15
Mean
24.96
20.34
3.18
31.36
27.40
25.19
21.46
18.51
16.46
12.98
Std.Dev.
15.04
9.68
1.52
6.29
5.97
5.45
4.89
4.55
4.36
4.03
Min
1
4
0.8
13.1
10.2
8.3
7
4.8
3.7
2.1
Max
75
48
8.9
47.8
42
38.7
33.6
29.5
26.6
22.1
PTF was inserted in a daily-step short rotation coppice
(SRC) model (Facciotto et al., 2012). In this way field
capacity (FC) and wilting point (WP) have been
computed in runtime as function of C, S (constant over
time) and SOM (variable). The effects of changes in soil
hydraulic properties arising from SOM dynamics have
been evaluated through changes in cumulated actual
evapotranspiration (cETa) and crop yield.
iii) Seven SRC poplar stands have been simulated for a period of 8 years
assuming different SOM initial values (Tab. 2). It has been supposed to establish
plantations on January, 1th (t=1) of the first simulation year and to carry out two
cutting events (t=1430 and t=2922).
Tab. 2. Simulation of SRC poplar stands considering different initial SOM
and related variations in WP, FC and cETa.
SOM SOM ȴSOM (%) ȴFC (%) ȴWP (%)
t=1
t=2922
1
1.4
1.8
2.2
2.6
3
3.4
1.13
1.51
1.9
2.29
2.68
3.07
3.45
13.12
7.78
5.71
4.16
3.24
2.22
1.44
2.16
1.67
1.48
1.24
1.08
0.81
0.56
2.58
2.00
1.77
1.48
1.29
0.96
0.67
ȴFC
cETa
ȴAW (%)
/ȴSOM
(mm)
0.029
0.029
0.029
0.028
0.028
0.028
0.028
1.90
1.47
1.30
1.08
0.94
0.70
0.49
2769
2840
2901
2960
3019
3071
3114
1° cut 2° cut
(t/ha) (t/ha)
28.2
29.6
31.1
32.4
33.3
34.1
34.8
22.8
24.2
29.2
33.2
38.4
41.1
43.8
Notes:
ȴ^KD;%)=SOMt=2922-SOMt=1)×100/SOMt=1,
ȴ&;%)=FCt=2922-FCt=1)×100/FCt=1,
ȴ&;%)=FCt=2922-FCt=1)×100/FCt=1,
ȴ&ͬȴ^KDс;FCt=2922-FCt=1)/(SOMt=2922-SOMt=1), available water (AW)=FC-WP, ȴAW(%)=(AWt=2922-AWt=1)×100/AWt=1.
Conclusions
SOM dynamics affect soil hydraulic properties and yields. In the proposed
simulation experiments SOM evolution has provoked changes up to 2 % in
available water content in eight years. Due to multiple effects of SOM changes
on cropping system, single effects (f.e. in terms of crop yield or
evapotranspiration) are difficult to be distinguished.
REFERENCES:
Box and Hunter, 1978. Statistics for experimenters. Wiley, NY.
Danuso, 1996. Uncertainty analysis in agricultural applications of dynamic and regression models. Statistica Applicata, 1:103-125.
Facciotto et al., 2012. Development of a SRC simulation model and calibration for poplar. Paper IPC/11 FAO, Italy. 143 -144.
Joseph et al., 2008. Organic carbon effects on soil physical and hydraulic properties in semiarid climate. SSSAJ, 357-62.
ACKNOWLEDGEMENTS:
Giuseppe Michelutti and Stefano Barbieri (ERSA - Friuli Venezia Giulia region) for soil samples and physicochemical traits. Romano Giovanardi for hydrological parameters.
D-8
Impact on soil quality of a land-use gradient in a
Mediterranean area
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K
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D-9
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
CONFRONTO TRA PRODUTTIVITÀ DELL’ACQUA
TOTALE E DI IRRIGAZIONE E KY (YIELD RESPONSE FACTOR)
DI POMODORO DA INDUSTRIA E KENAF IN RISPOSTA AL
REGIME IRRIGUO DEFICITARIO IN AMBIENTE CALDO-ARIDO
Ricerca realizzata nell’ambito del progetto europeo QLK5-CT2002-01729
BIOKENAF: ‘Biomass production chain and growth simulation model for kenaf’
Cristina Patanè1, Alessandra Pellegrino1, Alessandro Saita2, Salvatore L. Cosentino2
1
2
CNR-Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA), UOS di Catania, Autore corrispondente: [email protected]
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari (DISPA), Università degli Studi di Catania
Introduzione
Negli ambienti caldo-aridi, l’adozione di strategie irrigue deficitarie può garantire un risparmio idrico e
il mantenimento di livelli produttivi soddisfacenti di una data coltura, consentendo un miglioramento
dell’efficienza d’uso della risorsa idrica. In un ambiente a clima tipicamente caldo-arido della Sicilia, in
due colture macroterme (kenaf e pomodoro da industria) è stata valutata la produttività in termini di
biomassa secca e l’efficienza di utilizzazione dell’acqua totale e di quella irrigua, al fine di confrontare il
comportamento delle due colture in risposta ad una riduzione della disponibilità di acqua del terreno.
Materiali e metodi
Risultati
Le prove su pomodoro e kenaf sono state realizzate in pieno
campo in un ambiente caldo-arido della Piana di Catania (10
m s.l.m., 37°25’ Lat N, 15°30’ Long E), nel corso dell’estate
del 2005. Sono stati adottati l’ibrido ‘Brigade’ di pomodoro
da industria (trapianto: 9/6/2005) e la cv. ‘Tainung 2’ di
kenaf (semina: 26/5/2005). Per entrambe le colture sono
stati posti a confronto i seguenti regimi irrigui: I0, I50 e I100,
rispettivamente 0, 50 e 100% di restituzione della
evapotraspirazione-ETc per l’intero ciclo colturale.
Complessivamente sono stati erogati 200, 1822 e 3444,
m3/ha in pomodoro e 926, 3279 e 5633 m3/ha in kenaf,
rispettivamente in I0, I50 e I100. A fine ciclo (Agosto per
pomodoro, Ottobre per kenaf), è stata determinata la
biomassa secca prodotta (fusti + foglie) e sono state
calcolate la Irrigation Water Use Efficiency-IWUE e la Water
Use Efficiency-WUE, come rapporto tra biomassa secca e
acqua di irrigazione (per la IWUE) o acqua totale (irrigazione
+ pioggia) (per la WUE). E’ stato infine calcolato il Ky (yield
response factor) attraverso la formula:
Le due specie, sebbene siano entrambe originarie della fascia equatoriale,
hanno mostrato una diversa capacità di adattamento a condizioni di deficit
idrico moderato o spinto. In particolare, il pomodoro ha subito una
decurtazione di biomassa secca accumulata, in condizioni di irrigazione
deficitaria (I0 e I50), meno marcata rispetto al kenaf. Il valore di Ky calcolato
per il pomodoro (0,39) indica, infatti, come in questa coltura, a differenza del
kenaf (Ky= 1,04), la riduzione produttiva sia meno che proporzionale alla
riduzione di ET. Questa maggiore tolleranza al deficit idrico si è tradotta in
una elevata WUE e ancor più elevata IWUE della coltura di pomodoro in
condizioni di spinto deficit idrico del terreno (I0), che tuttavia non si sono
mantenute altrettanto elevate nelle tesi irrigate, sia in regime deficitario
(I50) che di pieno soddisfacimento idrico (I100). Per contro il kenaf ha
modulato la sua produttività in rapporto alla disponibilità idrica,
mantenendo pressoché inalterata la propria WUE.
§ Ya ·
1 ¨
¸
© Ym ¹
Tab. 1. Effetto del regime irriguo deficitario sulla biomassa totale e
sulla produttività dell’acqua in pomodoro e kenaf.
ª
§ ETa ·º
.y «1 ¨
¸»
© ETm ¹¼
¬
dove Ym e Ya sono rispettivamente la resa in biomassa
massima e la resa in biomassa effettiva, ETm e ETa sono
rispettivamente la ET massima (acqua totale utilizzata in
I100) e la ET effettiva, e Ky esprime la riduzione di resa per
unità di riduzione di ET.
1- ETa/ETm
1.0
0.8
0.6
0.4
0.2
0.0
0.0
0.4
0.6
1- Ya/Ym
0.2
0.8
Ky kenaf = 1.04
Ky pomodoro = 0.39
1.0
Fig. 1. Ky calcolato in kenaf e
pomodoro da industria.
Conclusioni
Dai risultati della ricerca emerge la maggiore capacità di adattamento del pomodoro da industria, rispetto al kenaf, a condizioni di spinto
deficit idrico del terreno. Per contro, il kenaf sembra valorizzare maggiormente la risorsa idrica rispetto al pomodoro, producendo biomassa
proporzionalmente alla quantità di acqua disponibile.
Si ringraziano i sigg.ri S. Scandurra e S. La Rosa per l’assistenza
tecnica in campo
D-10
XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
4
Soil bulk electrical resistivity and forage ground
cover: nonlinear models in an alfalfa (Medicago
Sativa L.) case-study
Ricerca realizzata con cofinanziato dal progetto “IRRISOL sistema integrato di gestione irrigua differenziata tramite mappatura geoelettrica ad alta risoluzione”. Psr Regione Campania 2007-2013 mis. 124.
DRD n. 215 del 07/06/2013. Codice CUP B55C11003040007
Rossi R.1, Pollice A.2, Bitella G.3, Bochicchio, R.3, D’antonio A. 4, Alromeed A.3, A.M. Stellacci1, Perniola M.3, Amato
M.3
1 Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura-Unità di ricerca per i sistemi colturali degli ambienti caldo-aridi - Bari)(CRA-SCA). Autore
corrispondente: [email protected]
Dipartimento di Scienze Economiche e Studi Matematici. Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Bari.
2
3 Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali, Università della Basilicata. Potenza.
4
Regione Campania. Assessorato Agricoltura. Napoli.
Introduction
Results
Alfalfa is a highly productive and fertility-building crop;
its performance, though depends on soil variability.
Characterizing the relations between soil and plant
variation is therefore important for yield prediction and
optimal management in the framework of precision
agriculture and irrigation. Also, appropriate quantitative
relations can provide a basis for sampling design of
ground-truth calibration schemes in proximal soil
sensing. The aim of this work was to test non
parametric models for the relationship between soil
electrical resistivity (ER), soil type and plant productivity
in an alfalfa stand.
Both ER and NDVI show a large structured variability across the field. All ER
layers are linearly correlated between themselves (P< 0.01) and the spatial
pattern at the three depths is consistent but average and mode values increase
with depth (fig1).
Materials and methods
High resolution continuous ER mapping was
accomplished in an alfalfa (Medicago Sativa L.) field at
Palomonte (SA) by an Automatic Resistivity Profiler (ARP
© Geocarta - Paris) on-the-go sensor with an on-board
GPS system; rolling electrodes enabled ER to be
measured for a depth of investigation of to 50, 100 and
200 cm. Soil profiles were studied at six locations
selected along a gradient of ER. Plant cover was
assessed through NDVI (Normalized Difference
Vegetation Index) at 2 dates (July and November 2013).
A non-linear relationship between ER and NDVI was
modelled with a Generalized Additive Model (GAM).
NDVI was modelled as function of both non-linear and
linear additive terms, respectively: electrical resistivity
and terrain slope. The residual spatial correlation
(verified by variography) was modelled by a non-linear
spatial trend of the geographical coordinates.
Figure 1. Spatial distribution of electrical
resistivity (ER) maps of an alfalfa field in
southern Italy at different depth of
investigation. Top: 50 cm; middle: 100 cm;
bottom 200 cm. Top left insert in each map:
frequency distribution of ER.
Family: gaussian
Link function: identity
Formula:
NDVI ~ s(east, nort) + s(V3) + SL
Parametric coefficients:
Estimate Std. Error t value Pr(>|t|)
(Intercept) 0.619359
0.002058 301.009 < 2e-16 ***
SL
-0.001818
0.000387 -4.698 2.77e-06 ***
Approximate significance of smooth terms:
edf Ref.df
F p-value
s(east,nort) 28.635 28.991 124.46 <2e-16 ***
s(V3)
7.629 8.545 65.33 <2e-16 ***
Signif. codes: 0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 ‘ ’ 1
R-sq.(adj) = 0.698
Deviance explained = 70.3%
REML score = -5079.8 Scale est. = 0.0010397 n = 2574
Table 1. GAM Model summary: SL=slope , V3
=ER 0-2 m layer
NDVI at the first date ranged between 0.33 and 0.89 while in November it
approached saturation, and the range narrowed with values comprised
between 0.71 and 0.90. The two readings, though, are linearly correlated (r=
0.55) showing a persistent spatial pattern. Exploratory analysis showed that
NDVI is correlated with resistivity measured in all of the three layers but mostly
with the deepest layer (r=-0.49). The lowest NDVI values match the areas of
high resistivity. The best model (table 1) explained NDVI as a function of
resistivity in the deepest layer, slope and a non-linear trend of the geographic
coordinates. The model explains 70% of variability and all terms are significant
(p-value< 0.005). This suggests that plants were relying on resources in deep
soil, as corroborated by the persistent NDVI pattern during the growing season.
Furthermore a threshold ER value (12 Ohm m) was identified below which NDVI
declines (Fig 2). Defyining threshold values where plant-soil relationship
changes is crucial to identify yield-limiting factors
Conclusions
Multidepth information conveyed by the ARP system
was correlated with alfalfa NDVI. The strongest
correlation was found with the deepest resistivity layer
suggesting that this is the soil depth that must be
investigated or monitored for plant-soil relationship.
The recurrence to non-parametric modelling techniques
allowed to pick up trends in the data and non-linear
effects that give more insight on local yield-soil
relationship providing indications to improve sampling
efficiency. These findings also indicate that deep soil
layers may be important for understanding and
managing crop behavior as well as for uniform zones
delineation.
Figure 2. Estimated smoothing
curve and 95% confidence
bands of NDVI versus 0-2m ER
Figure 3. Soil profiles
corresponding to different ER
values on the 0-2 m layer map.
Soil profiles at six locations selected along a gradient of ER (fig.3) showed
differences related to texture (ranging from clay to sandy-clay loam), gravel
content (0 to 67%) and carbonatic layers and confirmed the relevance of
differences in deep layers in this site.
D-11
XLIII㼻 Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
La variabilità spaziale dei suoli pietrosi: effetti sulla corretta quantificazione
dell’acqua disponibile e della densità radicale
Roberta Rossi1, Rossana Monica Ferrara1, Mariana Amato2, Stella Lovelli2, Rosanna Labella2, Michele Introna1, Gianfranco
Rana1
1
2
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) Autore corrispondente: [email protected]
Scuola di Scienze Agrarie, Forestali, Alimentari ed Ambientali, Università della Basilicata. Potenza.
Introduzione
I suoli ricchi di scheletro occupano superfici rilevanti della regione mediterranea. In alcune zone negli ultimi 20 anni si è verificata una
loro espansione a seguito della rottura del substrato roccioso per estendere il franco di coltivazione. La presenza dello scheletro
influenza molti parametri di interesse agronomico come la capacità di ritenzione idrica, il regime termico e la densità apparente della
terra fina (Poesen et al., 1994), proprietà che si riflettono sulle dinamiche di crescita e sviluppo degli apparati radicali. La presenza dello
scheletro riduce il volume occupato sia dalla terra fina che dalla fase liquida e aeriforme; la sua quantificazione è dunque necessaria
per la determinazione di diverse proprietà. In questo lavoro è stato studiato il contributo della variabilità spaziale dello scheletro alla
determinazione dell’acqua disponibile e della densità radicale in una coltivazione di favino (Vicia faba minor L.).
Materiali e metodi
Risultati
Lo studio è stato condotto presso l’azienda sperimentale dell’Unità di Ricerca
per i Sistemi Colturali degli Ambienti caldo-aridi (CRA-SCA), sita a Rutigliano
(BA) su una coltivazione di favino (Vicia faba minor L.) di 2 ha. Il suolo in
precedenza classificato come fine, mixed, superactive, thermic Typic
Haploxeralfs (Soil Survey Staff, 2010), a tessitura prevalentemente argillosa,
sovrasta una formazione carbonatica cretacica (Calcare di Bari) il cui
affioramento e macinatura determinano un contenuto di scheletro variabile
e moderatamente alto (De Benedetto et al., 2012). Immagini dell’area di
studio, disponibili attraverso il software Google Earth (Fig. 1 a), sono state
usate per individuare due zone a pietrosità contrastanti (NP= Non Pietrosa e
P= Pietrosa). In ogni zona lo scheletro è stato determinato su 4 repliche per
setacciamento a 2 mm dopo deflocculazione in acqua su campioni di circa 5
kg a due profondità (0-0.20 – 0.20-0.40 m).
Lo scheletro è risultato significativamente diverso in percentuale (P<0,01)
nelle due zone e caratterizzato da densità apparente di 2,61 gcm-3, una
porosità inferiore al 4%, ed una relazione peso-volume lineare (R2 = 0,998).
Fig. 1: a) Immagine satellitare dell䇻area di
studio convertita in scala di grigio, le frecce
indicano le due aree a pietrosità contrastante,
b) immagine del campo alla semina
La densità apparente dello scheletro è stata misurata (previa
impermeabilizzazione) secondo il principio di Archimede per doppia pesata
in aria e in acqua. L’acqua disponibile (AD) è stata quantificata tramite
apparato di Richards per differenza fra i contenuti idrici gravimetrici a -0,033
e -1.5 MPa. Le radici sono state campionate nei primi 5 cm di suolo
prelevando sulla pianta (allo stadio fenologico di 6 paia di foglie) un cilindro
di volume noto. Dopo eluizione sono stati quantificati lo scheletro, la
biomassa (pesata) e la lunghezza (analisi di immagine) delle radici. Gli indici
di densità radicale (RD) sono stati calcolati per unità di peso e di volume: la
root mass density RMDp (g g-1 ) e RMDv (g cm-3) e la root length density
RLDp (cm g-1 ) e RLDv (cm cm-3). I valori di RD e AD sono stati calcolati sulla
sola terra fina e corretti per le percentuali di scheletro in peso e in volume
misurate nelle due aree e per la porosità dello scheletro.
Fig. 2 Acqua disponibile in
funzione della zona e della
profondità. TF = terra fina.
TF + S = terra fina + scheletro
L䇻AD è risultata inferiore nella parte pietrosa anche solo sulla terra fina,
come mostra la Fig. 2 assieme alla riduzione, dovuta allo scheletro, del 4,8%
e del 40,6% nelle zone NP e P, rispettivamente. La RMDv è risultata
inferiore nella zona pietrosa ma non significativamente diversa (Tab. 1)
mentre la RLDv è risultata superiore (P<0,01) a causa di una maggiore
ramificazione. La tabella illustra una riduzione della RDv del 15,5% e del
1,8%, rispettivamente per la zona P ed NP a causa della sottrazione di
volume legata alle pietre, anche se si considera il contributo della porosità
dello scheletro che è effettivamente colonizzata dalle radici nel campo allo
studio (v. foto in introduzione), ma che ammonta solo al 4% massimo.
L䇻effetto della correzione sarebbe ancora più marcato (42,3% e 5,0%,
rispettivamente in P ed NP) se si considerassero i valori di RD in peso (RLDp
ed RMDp).
zone
RLDv (cm cm-3)RMDv (g cm-3)
NP
P
2.0903
4.6974
0.000926
0.000979
valori calcolati sulla terra fina
NP
P
2.0527
3.9693
0.000909
0.000827
valori corretti per la % di scheletro
nelle 2 zone
correzione
Tab. 1 Valori di densità radicale in volume (RDv) calcolati sulla terra
fina o corretti per il contenuto di scheletro nella zona P ed NP.
Conclusioni
Lo studio ha mostrato come la variabilità spaziale del contenuto di scheletro se non considerata possa comportare sostanziali distorsioni
nella stima delle proprietà del suolo e della coltura. L’effetto della pietrosità è risultato rilevante nel calcolo dell’acqua disponibile. La
proliferazione radicale in lunghezza è stata più elevata nella zona pietrosa, verosimilmente a causa dell’effetto sinergico della minore
disponibilità idrica e del possibile aumento della resistenza a penetrazione che cresce in maniera non lineare al diminuire del potenziale
idrico.
Bibliografia
De Benedetto, D. De, Castrignano, A., Sollitto, D., Modugno, F., & Buttafuoco, G. (2012). Integrating geophysical and geostatistical techniques to map
the spatial variation of clay, Geoderma , 172, 53–63.
Poesen, J.& Lavee, H. (1994 ) Rock fragments in top soils, significance and processes Catena, vol. 23, p.1-28; 29
D-12
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Saline water and municipal solid organic waste compost: use
efficiency on yield of maize crops and soil fertility
Research founded by MiPAAF, MEF and MATTM
Ventrella Domenico, Leogrande Rita, Lopedota Ornella, Vitti Carolina, Mastrangelo Marcello, Montemurro Francesco
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) - Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambiente Caldo-Aridi (SCA)
Via Celso Ulpiani, 5 – Bari. Autore corrispondente: [email protected]
Introduction
In arid and semiarid regions (e.g. Mediterranean environments), mainly in those area characterized by poorly drained soils and limited fresh water
resources, soil salinization and sodification can arise because of continual addition of salts due to irrigation practices mainly utilizing low-quality
water. The maintenance of good soil physical-chemical properties in potentially-saline soils may be achieved by using various organic amendments
(mulch, manures, and compost). The research considered a two-year rotation based on tomato and maize. Such last crop cultivated in two years
(2008 and 2010) is considered in this communication in order to study the combined effects of compost application and irrigation with brackish
water on maize yield and on soil chemical and physical characteristics (soil fertility).
Results
Material and methods
Crop: Maize - Years: 2008 and 2010 Site: Metaponto
(Southern Italy)
Soil: Clayey (Typic Epiaquerts).
Climate: Thermomediterranean accentuated
Experimental design: randomized block with three
replications
Six treatments:
FWF: Fresh water irrigation with mineral N fertilizer
SWF: Saline water irrigation with mineral N fertilizer
FWC: Fresh water irrigation with MSW compost
SWC: Saline water irrigation with MSW compost
FW0: Unfertilized control under fresh water irrigation
SW0: Unfertilized control under saline water irrigation
Salinity: using commercial salt (97% of NaCl) for obtaining
-1
a saline water of 6 dS m
Irrigation: localized method re-establishing the 100% of
ETc
-1
Mineral N fertilizer: 230 kg ha applied at sowing time (74
-1
-1
kg of N ha ) and 20 day after emergence (156 kg of N ha )
as Urea
Municipal Solid Waste compost: applied about one month
-1
before sowing as amendment (about 50 t ha )
Main characteristics of COMPOST from Municipal Solid
Wastes
pH
Moisture (%)
EC (dS m-1)
TOC (g kg-1)
TEC (g kg-1)
HA+FA (g kg-1)
N (%)
P (g kg-1)
K (%)
8.87
18.39
2.88
214.41
148.00
109.54
2.15
6.03
1.92
The yield
Grain
yield (t ha-1)
HI (%)
9.7 a
9.1 a
9.1 a
7.8 b
7.3 b
7.5 b
***
39.4 ab
45.1 a
41.8 ab
47.1 a
32.8 b
37.9 ab
*
10.6
6.2
**
*
43.3
38.1
**
*
Treatm. (T)
FWC
SWC +24%
FWF
SWF
FW0
SW0
Significant effect of year for yield and Hi.
Identified the most productive treatment
group: irrigation with fresh water and
irrigation with saline water but just with the
compost application: + 24 % compared with
SWF, FW0 and SW0.
Among the treatments irrigated with saline
water, the SWC ( ) showed an increase of
the 19% respect to average grain yield of
SWF and SW0 ( ).
Years (Y)
2008
2010
TxY
*, **, *** = Significant at the Pd0.05, 0.01 and
0.001 levels respectively n.s.= not significant.
The soil
The compost increased TOC, TEC,
HA + FA and N content by 91, 100,
156 and 25% compared to T0
values.
The
compost
application
determined an average increase of
TOC, TEC, HA + FA and N content of
25, 35, 29 and 14%, compared to
treatments with mineral fertilizer.
Efficiency of treatments to increase
the soil carbon
TOC
T0
FWC
SWC
FWF
SWF
FW0
SW0
TEC
HA + FA
g kg-1
3.85
2.17
8.3 a
6.3 a
7.1 ab
4.8 b
5.6 bc
4.1 bc
5.8 bc
4.5 bc
4.7 c
2.9 c
5.5 bc
3.5 bc
***
***
7.03
14.5 a
12.4 ab
11.3 b
10.2 b
9.5 b
10.1 b
**
6
N
1.0
1.4 a
1.1 ab
1.1 ab
1.1 ab
0.8 b
1.0 b
**
5.7
5
The highest values of efficiency
were obtained when the compost
was applied.
Positive values of soil carbon were
recorded also with fertilizer
application but the efficiency values
were lower.
4
3
3.0
2.6
2
1.7
2.0
TOC
HA+FA
1.8
1.7
1.0
1
0
FWC
SWC
FWF
SWF
Conclusions
Under saline conditions the application of compost improved maize yield performance: using compost with fresh and saline water gave the same
marketable yield of mineral fertilizer with fresh water; the lowest grain yield was in the treatment with mineral fertilizer and saline water.
At the end of experiment, significant effects of MSW compost application, under saline irrigation, were to increase the soil organic matter content in
a more efficient way and to control the Na accumulation compared to mineral fertilizer
Therefore, the application of organic fertilizers and amendments as municipal solid waste compost can be considered as useful solution for
sustainable agriculture due to their importance in the conservation of organic matter in soil.
Acknowledge: the research was carried out within the Project CLIMESCO (Evolution of cropping systems as affected by climate change).
D-13
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Effetto di Diverse Tecniche di Lavorazione sulla
Conservazione della Sostanza Organica e della Struttura del
Terreno
Leonardo Verdini, Luigi Tedone, Salem Alhajj Ali, Giuseppe De Mastro
Dipartimento di Scienze Agroambientali e Territoriali, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
La salvaguardia della fertilità suolo, abbinata alla necessità di ridurre l’impatto ambientale, è una problematica di crescente interesse per il
settore agronomico. La tendenza all’utilizzo di sistemi colturali semplificati negli areali mediterranei, con adozione di rotazioni strette con
cereali autunno-vernini, ha portato nel lungo termine alla degradazione della fertilità del suolo, con incremento delle erbe infestante e delle
fitopatie.
La sostanza organica (SO) e la struttura del suolo sono due componenti che giocano un ruolo fondamentale per il mantenimento delle
principali caratteristiche di fertilità del suolo. Per quanto riguarda la prima componente, la sua stabilizzazione è fortemente condizionata
dall’azione simultanea dei meccanismi chimici, biochimici e fisici (Liang et al, 2000; Peterson et al, 2002; Loveland e Webb, 2003). Inoltre
l’accumulo di sostanza organica nel terreno ha valenza ambientale, funzionando da sistema di stoccaggio della CO2. La struttura invece
determina una maggiore penetrazione delle radici ed una riserva idrica superiore (Pagliai et al, 2004).
Si riporta, nella presente nota, una attività di studio, finalizzata alla valutazione degli effetti di diverse tecniche di lavorazione del suolo, in
un avvicendamento colturale frumento duro-favino, sull’evoluzione della SO nel suolo e sulla stabilità della struttura del terreno.
Fig. 1. Visione del
CDS Pantanelli. In
giallo e verde le aree
oggetto di prova di 9
ha ciascuna
Materiali e metodi
La prova, in corso dal 2009 presso il Centro Didattico Sperimentale “E. Pantanelli” dell’Università di Bari
in agro di Policoro (MT), è impostata secondo un criterio “on farm” (Salem, 2013). Sono state messe a
confronto tre diverse tecniche di lavorazione del suolo, applicando un avvicendamento biennale
frumento duro (var. Iride)-favino (var. Prothabat):
9 intensivo (IT): aratura (35 cm) e lavorazioni complementari per la preparazione del letto di semina;
9 ridotto (RT) discissura (35 cm) e lavorazioni complementari;
9 conservativo (CT) con semina diretta su terreno non lavorato.
Sono stati misurati tutti i parametri morfologici, fisiologici, produttivi e qualitativi su entrambe le
colture, e le raccolte sono state effettuate individuando aree di saggio di 14 m2 per ciascuna replica. I
prelievi di terreno sono stati eseguiti a fine ciclo colturale lungo un profilo di 0-30, 30-60 e 60-90 cm.
Per la determinazione della sostanza organica del terreno è stato utilizzato il metodo Walkey-Black,
mentre per la determinazione della stabilità degli aggregati strutturali è stata effettuata utilizzato il
metodo Tiulin-Meyer modificato da Cavazza e Linsalata (1969).
Favino
Fig. 4 - Profilo di
prelevamento
del
terreno per le analisi.
Risultati
3,0
Sostanza organica (%)
Fig. 3 - Raccolta
meccanica
con
mietitrebbia parcellare
Frumento
3,5
2,5
2,0
1,5
1,0
0,5
0,0
0-30
30-60
60-90
0-30
IT
30-60
60-90
0-30
RT
30-60
60-90
CT
Fig. 5 – Andamento della SO nei diversi sistemi colturali.
Favino
25
Stabilità degli aggregati(%)
Fig. 2 - Raccolta
meccanica
con
mietitrebbia parcellare
Frumento
20
15
10
5
0
0-30
30-60
LD
0-30
30-60
HD
0-30
30-60
SS
Fig. 6 - Variazione della stabilità degli aggregati strutturali.
L’andamento del contenuto in SO è variato in rapporto alla diversa tipologia di lavorazione
del suolo. Come prevedibile, le concentrazioni di SO più elevate sono state riscontrate
negli strati superficiali, mediamente 3.03% nello strato 0-30 cm, e le più basse nello strato
60-90 con valori dell’1.84% (fig. 5), in tutte e tre le diverse tecniche di lavorazione ed in
entrambe le colture in rotazione. I valori più elevati sono stati riscontrati nella tesi
conservativa (CT), rispetto alle tesi IT e RT.
Altrettanto interessanti risultano le analisi riferite alla stabilità degli aggregati sia rispetto
alla profondità di rilevamento che ai sistemi di lavorazione. Sebbene i valori di stabilità
degli aggregati risultino in generale abbastanza contenuti, aspetto da imputare
fondamentalmente alle caratteristiche del terreno, che presenta una elevata percentuale
di limo, si rilevano differenze legate allo strato di terreno, con valori più bassi negli strati
più superficiali (10.2%), e tendenza a riscontrare valori di stabilità degli aggregati nei profili
a profondità maggiore (15.1%) (fig.6). In ogni caso, nel confronto fra tecniche colturali,
quello che presenta una maggiore stabilità strutturale si conferma quello conservativo
(CT), rispetto agli altri due sistemi.
Conclusioni
I risultati di questi primi quattro anni di sperimentazione ci portano ad affermare che la tecnica della non lavorazione, abbinata ad una
rotazione con una leguminosa da granella, non solo ci permette la conservazione della fertilità del suolo, ma allo stesso tempo ci garantisce
una più elevata produttività ed una stabilità strutturale maggiore rispetto sia al sistema colturale intensivo che ridotto.
Una gestione conservativa delle colture, sebbene richieda una più attenta gestione del terreno e della flora infestante, negli ambienti
mediterranei consente un miglioramento delle caratteristiche strutturali del terreno e del contenuto in sostanza organica, aspetto che
consente vantaggi sia in termini produttivi, che in termini ambientali.
Ringraziamenti: si ringrazia il personale del Centro Didattico Sperimentale di Policoro per la collaborazione
E-1
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – Pisa, 17-19 settembre 2014
The suitability of Giant reed and Miscanthus silages for biogas
production: a preliminary comparison
Francesco Candoni*, Francesco Danuso, Mario Baldini, Fabrizio Ginaldi
*Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali, Università degli Studi di Udine,
corresponding author: [email protected]
research founded by University of Udine
Introduction
The recent policies enacted by EU foresee an increased interest for cultivation of energy crops, mainly in marginal areas. Giant reed (Arundo
donax L.) and Miscanthus (Miscanthus sinensis x giganteus) are two of the most promising energy crops (Ragaglini et al., 2014). Perennial grasses
have already been recognized as high-yielding crops that can minimize environmental impacts, because of the reduced input requirements.
Biochemical Methane Potential (BMP) has been widely used to assess methane yields of organic matter when degraded in anaerobic conditions,
including plant biomass (Raposo et al., 2012). The aim of this study was to start a comparison of silage biomass of Giant reed and Miscanthus,
with the purpose to evaluate their suitability for biogas production, in a northeast area of Italy.
Material and methods
Results
Experimental trial has been conducted using the winter cut
of Giant Reed and Miscanthus crops, harvested on the 9th of
December, fine-cut and put in mini-silos of 1.5 l of volume
for a silage phase of 44 days. In this preliminary experiment,
It has been decided to evaluate a biomass with a reduced
moisture content. Methane production has been analyzed
by the AMPTS II gasometer. Three replicates in batches of
400 ml were performed for each treatment. The trial had a
control treatment performed with 400 g of inoculum,
degased pigs slurry from a biogas plant. Giant Reed and
Miscanthus treatments were performed with an
inoculum/crop volatile solid ratio equal to 2.
BMP has been expressed in ml per g of solid volatile by
subtracting the intrinsic biogas potential of the inoculum.
Experiments were conducted for a total of 39 days, till the
methane production was considered not relevant.
The methane production for this winter cut was, as expected, not particularly
high, with cumulative values of 132.2 ml CH4 VSg-1 for Giant reed and of 128.6 ml
CH4 VSg-1 for Miscanthus, which are lower than the average maize yield (345 ml
CH4 VSg-1; Ragaglini et al., 2014). Thus, Giant reed and Miscanthus can be
considered having the same BMP. It could be observed a second peak of Giant
reed, which could be related with fermentative processes during digestion.
Fig. 1. BMP of Giant Reed and Miscanthus (3 replicates)
Tab 1. Experimental treatments
Treatments
Material
Control
Inoculum
0
400
0
0
4.5
0
A
Giant reed
21
376
9
39.9
4.5
2
M
Miscanthus
Crop Inoculum Water
(g)
(g)
(g)
19
381
0
VS crop VS inoculum
(%)
(%)
46.1
4.5
Ratio
2
Tab 2. Fisico-Chemical features of Giant reed and Miscanthus
at time 0 and after ensilage
Crop
pH start
pH 44days
TS start
TS 44days
Giant Reed
5.49
4.53
44.6 %
43.1%
Miscanthus
6.51
5.91
53%
49.2%
Conclusion
The low values of BMP could be explained by the delayed harvest in December, suitable for burning but usually not suggested
for biogas production. Considering that in field conditions, Giant reed mean yields are around 30 t ha-1, while for Miscanthus
only 20 t ha-1 (Ragaglini et al., 2014), the spread of yields between two crops with a similar BMP reduces the suitability of
Miscanthus for biogas production. Only in the end of the research plan it will be possible provide a more detailed assessment,
involving summer cuts with higher moisture and digestibility of VS content.
AMPTS II
Miscanthus
Giant reed
References: Ragaglini et al., (2014). Suitability of giant reed (Arundo donax L.) for anaerobic digestion: Effect of harvest time and frequency on the biomethane
yield potential. Bioresour. Technol., 152, 107-115
Raposo et al., (2012). Anaerobic digestion of solid organic substrates in batch mode Renew Sust Energ Rev, 16(1), 861-877.
Acknowledgments: Daniele Goi for the use of AMPTS II, Francesco da Borso for scientific advices , Fabio Zuliani and Valentina Cabbai for technical support
E-2
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Destinazione d’uso dell’olio e della biomassa di
Cruciferae diverse coltivate in ambiente
mediterraneo
Venera Copani1, Cristina Patanè2, Salvatore L. Cosentino1, Laura Chiarenza1, Laura Siracusa2
1
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari, Università degli Studi di Catania, Autore corrispondente: [email protected]
per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA), UOS di Catania
3 CNR-ICB, UOS di Catania.
2 CNR-Istituto
Introduzione
La coltivazione di specie brassicacee in ambiente mediterraneo richiede un’attenta scelta del
genotipo (specie e/o cultivar) dal momento che la loro capacità di adattamento è stretta relazione
al soddisfacimento delle esigenze idriche e, almeno per alcune specie, a quelle termiche
(vernalizzazione) (Cosentino et al., 2008). Sono state valutate specie brassicacee diverse per le
caratteristiche agronomiche, la qualità dell’olio e della biomassa residua e individuate, per
ciascuna di esse, la migliore destinazione d’uso.
Materiali e metodi
Diciotto cultivar (varietà ed ibridi) di specie
brassicacee [Brassica napus L. var. oleifera
D.C., B. carinata A. Braun, B. juncea (L.) Czern,
Sinapis alba L. e Raphanus sativus L. var.
oleiformis Pers.] (tab.1) sono state studiate per
le caratteristiche biologiche, produttive (seme
e biomassa residua) e qualitative (contenuto
di acidi grassi e proteine nei semi, fibra e
glucosinolati nella biomassa residua). La prova
è stata realizzata in Sicilia (Scordia, Siracusa,
37° 18’N, 14° 51’E; 150 m s.l.m.) su regosuolo
(Typic xerorthents, USDA, 1999), in ciclo
vernino-primaverile. La semina è stata
effettuata il 22 dicembre 2010 su suolo arato
(30 cm di profondità) e concimato con 80 kg
ha-1 di N (Solfato ammonico, 21%) e 100 kg ha1 di P O (Superfosfato, 19-21%). E’ stato
2 5
adottato uno schema sperimentale a blocchi
randomizzati con tre ripetizioni. La parcella
elementare misurava 17,5 m2 (10 file lunghe 5
m e distanti tra loro 0, 35 m). Il controllo delle
erbe infestanti è stato effettuato con
Metazachlor (2,5 l ha-1). I dati meteorologici
sono stati forniti dal Servizio Informativo
Agrometeorologico Siciliano (SIAS). La raccolta
del seme è avvenuta tra il 6 e il 22 luglio 2011
.
Risultati
Resa seme
Genotipis
B. carinata ‘CT 180’
B.carinata ‘CT 207’
B. carinata ‘ISCI 7’
B. carinata ‘ISCI 20’
B. napus ‘Avenir’
B. napus ‘Henry’
B. napus ‘Hybrilord’
B. napus ‘Hybristar’
B, napus ‘Licolly’
B. napus ‘Liprima’
B. napus ‘Orlando’
B. napus ‘Pulsar’
B. juncea ‘Scala’
R. sativus ‘Adios’
R. sativus ‘Karakter’
R. sativus ‘Radical’
S. alba ‘Architect’
S. alba ‘Emergo’
Media
-1
(t ha s.s.)
2,0
a
1,5
bc
1,6
b
1,3
cd
0,8
gh
0,7
h
1,1
d-f
0,9
f-h
0,7
h
0,8
gh
0,9
gh
1,2
d-f
0,7
h
1,1
e-g
1,3
c-e
0,9
f-h
0,7
h
0,6
h
1,0
Olio
(%)
39,7
33,1
37,2
36,4
34,4
42,2
36,9
38,4
38,7
39,5
44,1
39,1
20,4
33,6
30,7
28,1
23,4
20,4
34,2
Proteine
c
k
g
h
i
b
gh
f
ef
cd
a
de
o
j
l
m
n
o
(%)
30,1
26,6
25,6
32,7
17,3
28,4
28,6
33,2
26,9
24,2
30,3
30,5
23,2
22,1
18,9
26,9
21,6
29,6
26,5
c
f
g
b
m
e
e
a
f
h
c
c
i
j
l
f
k
d
Glucosinola
ti tot.
μmol g-1 s.s.
9,1
i
16,2
f
16,9
ef
14,2
g
4,1
J
8,5
I
14,9
g
14,7
g
15,2
g
15,0
g
8,5
i
17,5
e
27,7
c
21,0
d
11,8
h
12,2
h
29,7
b
38,2
a
Tab. 1. Resa in seme,
contenuto di olio e
proteine. glucosinolati
nei residui colturali dei
genotipi allo studio.
Nella stessa colonna,
valori con lettere
uguali non
differiscono
significativamente (P<
0,05).
16,4
Il ciclo biologico ha avuto una
durata compresa tra 142 giorni
(S. alba ‘Emergo’) e 180 giorni
(B
napus
‘Hybrilord’).
Significative differenze nella
resa in seme, inversamente
correlata
alla
durata
dell’intervallo semina-fioritura
(r= 0,523*), contenuto in olio
dei semi (tra il 17% e il 45%) e
di proteine (tra il 17% e il 33%).
Il
contenuto
medio
di
glucosinolati totali nei residui
colturali è stato pari al 16%
(38% in S. alba cv ‘Emergo’)
Fig. 1. Idoneità dell’olio delle specie allo studio alla (Tab. 1). I genotipi studiatii,
produzione di biodiesel (area verde) sulla base dei sulla base del grado di
parametri europei UNE_EN 14214 (Adattato da Ramos et insaturazione degli ac. grassi
al., 2009).
sono risultati idonei alla
produzione di biodiesel.
Conclusioni
I genotipi di B. carinata hanno fatto rilevare produzioni quasi sempre superiori rispetto agli altri e rese in olio e proteine più elevate. Ai fini
dell’utilizzazione della biomassa residua per trattamenti di biofumigazione, il contenuto di glucosinolati è risultato significativamente più
elevato nelle cv di S. alba rispetto alle altre specie. La qualità dell’olio di tutti I genotipi è compatibile con la produzione di biodiesel.
Bibliografia
Copani, V., Cosentino S.L. 1992. Influenza dell'epoca di semina sul comportamento biologico e produttivo di due varietà di colza (Brassica napus L.). Workshop su"Prospettive della
coltivazione del colza e risultati della sperimentazione". Foggia, 28 gennaio 1992.
Ramos M.J., Fernández C.M., Casas A., Rodríguez L., Pérezá., 2009. Influence of fatty acid composition of raw materials on biodiesel properties. Bioresource Technology, 100: 261-268.
E-3
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Influenza dell’epoca di trapianto, della dimensione
del nodo e del trattamento ormonale
sull’attecchimento di talee mononodali di canna
comune (Arundo donax L.)
5LFHUFDUHDOL]]DWDFRQLOILQDQ]LDPHQWRGHOSURJHWWRHXURSHRµ237,0$¶)3
Venera
1
2
Copani1,
Cavallaro
Valeria2,
Chiarenza
Laura1,
Salvatore L. Cosentino1, Patanè Giancarlo1
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari, Università degli Studi di Catania, Autore corrispondente: [email protected]
CNR-Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA), UOS di Catania.
Introduzione
La propagazione mediante talea di culmo della canna comune (Arundo donax L.) potrebbe contribuire
in misura significativa a rendere più efficiente il processo di moltiplicazione di questa promettente
specie da biomassa per energia, nella prospettiva di un sensibile incremento delle superfici coltivate.
Ricerche preliminari in ambiente controllato (Cavallaro et al., 2013) hanno dimostrato che fattori
intrinseci (dimensione del culmo d’origine e posizione delle gemme sullo stesso) ed estrinseci
(applicazione di fitoregolatori) possono influenzare in maniera significativa il tasso di radicazione delle
talee stesse. Sulla base dei risultati ottenuti, ai fini della messa a punto di un’efficace tecnica
vivaistica, è stata verificata l’efficacia di fattori diversi sull’attecchimento in pien’aria delle talee
mononodali della canna comune.
Materiali e metodi
Risultati
La prova è stata realizzata nel 2013 in vaso in pien’aria. Il
materiale di propagazione proveniva da canneti del clone
‘Fondachello’ della collezione del DISPA dell’Università di
Catania.
Fattori allo studio:
• epoca di prelievo delle talee: 2013, 22/01; 25/02; 14/05;
02/07;
• diametro della talea (‘grossa’, diametro medio 22,5 mm;
‘piccola’, diametro medio 15 mm);
• fitoregolatori rizogeni (nessun ormone-test, NAA, IBA).
Il trattamento con fitoregolatori è stato eseguito
mantenendo le talee per 48 ore in una soluzione
contenente 100 mg l-1 dell’ormone), il testimone è stato
mantenuto in acqua per lo stesso tempo.
Rilievi:
•emergenza dei germogli
•all’ottava settimana dal trapianto (rilievi distruttivi):
– peso fresco e secco dei germogli e delle radici;
– numero e lunghezza massima delle radici;
– lunghezza e numero di foglie dei germogli
I risultati ottenuti indicano nel testimone un generale miglioramento
dell’attecchimento nel trapianto estivo rispetto ai precedenti (90% contro
72% nella canna ‘grossa’ e 70% contro 35% nella canna ‘piccola') (Fig. 1). Si
confermano le migliori capacità di radicazione della canna ‘grossa’ rispetto
alla ‘piccola’ soprattutto nel periodo invernale (circa 71% contro il 40% delle
canne ‘piccole’). L’effetto dei fitoregolatori sulla radicazione è apparso più
evidente nel trapianto primaverile. Nella canna piccola, tuttavia, sono stati
osservati gli effetti più rilevanti. Lo sviluppo del germoglio è stato influenzato
significativamente da tutti i fattori studiati.
Fig. 1 Tasso di radicazione delle talee di culmo in relazione alla dimensione
della canna, all’epoca di trapianto e ai trattamenti ormonali.
Test.
NAA
IBA
Media
Canna grossa
22/01 25/02 14-03
15,2 20,24 52,04
18,4 22,19 27,5
22,0 25,36 46
18,5d 22,6c 41,8b
02-07
71,31
54,59
61,02
62,3a
Media
39,7a
30,7b
38,6a
36,3
22-01
10,3
13,7
19,1
14,4d
Canna piccola
25-02 14-03 02-07
12,2 50,5 57,9
21,1 25,4 39,6
23,5 31,5 50,3
18,9c 35,8b 49,3a
Media
32,7a
24,9b
31,1a
29,6
Tab. 2. Sviluppo dei germogli (cm) in relazione ai fattori studiati (lettere diverse
indicano differenze significative (P< 0,05).
Conclusioni
I risultati ottenuto indicano che i fattori che influenzano maggiormente la radicazione delle talee di culmo della canna comune e lo sviluppo
dei germogli, sono la dimensione della talea (diametro) e l’epoca di prelievo. Nel periodo estivo la radicazione ha raggiunto i valori massimi,
indipendentemente dalla dimensione della canna. Nelle epoche precedenti la canna grossa ha determinato tassi di radicazione
notevolmente più elevati della canna piccola. Gli effetti dei fitoregolatori sono apparsi più evidenti nel periodo primaverile.
Bibliografia
Cavallaro V., Copani V., Patane’ C., Chiarenza G.L.., 2013. Influenza della dimensione del culmo e del trattamento ormonale sullo sviluppo delle radici avventizie in talee mononodali di Canna Comune (Arundo donax L.). Poster
XXXXII Convegno nazionale della SIA. Reggio Calabria, 18-20 settembre 2013.
E-4
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Effetto della densità sulla produzione del panico
(Panicum virgatum L.)
Ricerca realizzata con il finanziamento del MiPAAF
D'Andrea Laura, Fornaro Francesco, Moscelli Sabrina, Mastrorilli Marcello
Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA) - Unità di Ricerca per i Sistemi Colturali degli Ambiente Caldo-Aridi (SCA)
Via Celso Ulpiani, 5 - Bari
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Il panico (Panicum virgatum L.), appartenente alla famiglia delle Poaceae, è stato ampiamente studiato nel
nord America, dove sono state messe a punto le agrotecniche e la selezione genetica offre un'ampia scelta
varietale. Esso ha una buona produzione di biomassa e, per il suo apparato radicale molto sviluppato, è efficace
nel controllo dell'erosione. Negli ambienti meridionali è stata ipotizzata la sua coltivazione come coltura
energetica. Per verificare questa ipotesi è stata avviata una prova sperimentale nel sud Italia.
Materiali e metodi
Risultati
I parametri morfologici
La prova sperimentale è stata
condotta a Rutigliano (BA)
(latitudine 40° 50’ 48.25’’ N;
longitudine 17° 02’ 02.06’’ E;
alt. 147 m s.l.m.) presso
l’azienda sperimentale del
CRA-SCA di Bari.
Altezza
totale
pianta
Il suolo è classificato come
“Typic Haploxeralfs”
secondo la Soil Taxonomy dell’USDA.
È un terreno marginale
in cui è presente la roccia affiorante,
che consiste di una sequenza di
calcare e calcare dolomitico,
caratterizzato da profonde fessurazioni.
Il clima, durante il ciclo colturale 2013, rispetto ai dati
pluriennali (34 anni), è risultato:
pioggia -40mm
(in novembre +50mm);
temperatura massima
-1,4°C in giugno e luglio;
temperatura minima
+0.6°C in novembre.
La varietà Alamo è stata
trapiantata nella terza decade
di maggio del 2013 a due
densità:
D-15 = distanza tra le file 0,5m
e sulla fila 0,15m;
D-45 = distanza tra le file 0,5m
e sulla fila 0,45m.
Alla raccolta, eseguita nella
seconda decade di dicembre
2013, sono stati determinati
• I parametri morfologici
• I parametri produttivi
• I parametri qualitativi
Lunghezza
pannocchia
Altezza
fusto
I parametri produttivi
L’umidità varia con la densità
(ad eccezione della pannocchia).
La biomassa di D-15
è correlata all’altezza.
I parametri qualitativi
D-15
La densità non ha mostrato alcun effetto significativo nei parametri
qualitativi. Il contenuto di fibra grezza risulta statisticamente maggiore nei
fusti rispetto alle foglie. Le foglie sono costituite principalmente di
emicellulosa, i fusti sono più ricchi di cellulosa e lignina.
D-45
Conclusioni
La coltura del panico, appartenente alle “piante C4”, si adatta agli ambienti caldo aridi. I parametri produttivi sono più promettenti ad alta
densità. I dati di qualità confermano l’utilizzo del panico in più filiere energetiche, sia nella ligno-cellulosica (per la combustione) e sia nella
produzione di bioetanolo di seconda generazione.
Ringraziamenti: la prova sperimentale è stata svolta nell’ambito del Progetto di Ricerca: “SOstenibilità di filiere BIoenergetiche per valorizzare le aree semimarginali e MArginali del comprensorio meridionale”(SOBIMA).
E-5
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Giant reed (Arundo donax L.) silage as an
alternative feedstock for biogas production
Ricerca realizzata con il finanziamento ……….
Federico Dragoni1,
Enrico Bonari1,2
1
2
Giorgio
Ragaglini1,
Elisa
Corneli1,
Sergio
Cattani1,
Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’Anna
CRIBE, Centro di Ricerca Interuniversitario per le Biomasse da Energia
Cristiano Tozzini1, Nicoletta Nassi o di Nasso1,
Corresponding author: [email protected]
Introduction
Methane potential of ensiled giant reed (Arundo donax L.) was assessed, in order to improve the
sustainability of biogas production. Giant reed is a perennial grass that represents a promising biogas
feedstock, because of its high yields and low environmental impact (Angelini et al., 2009). Giant reedbased supply chains should rely on a convenient storage strategy, such as ensiling. Therefore, silage
obtained from giant reed at different harvest times was evaluated for biomethane production.
Materials and methods
Results
In 2011, a 5-year-old giant reed plantation was harvested at
5 different times from June to September (AI1-AI5). A 2nd
cut was performed in October from plots harvested in June
and July (ARI1-ARI2). Silage was prepared at laboratory
scale at each harvest time from chopped biomass, treated
with an inoculum (11CH4, Pioneer Hi-Bred) and kept into
vacuum-sealed plastic bags for 60 days. pH, non-structural
carbohydrates (NSC), N concentration and C/N ratio were
determined.
• Along the season, BMP ranged
from 270 mL gVS-1 to 330 mL
gVS-1
Biogas (BBP) and methane potential (BMP) of the
substrates were determined by batch assay, carried out in
triplicates. Each reactor received an equal amount of
mesophilic inoculum, suspended in a basal test medium
according to ISO 11734:2004. The inoculum:substrate ratio
(I:S) based on volatile solids content (VS) was equal to 2:1.
Blank experiments were also performed (Angelidaki et al.,
2009).
Pressure variations were continuously recorded and
methane concentrations (MC) were measured weekly. BBP
and BMP were calculated from the volumes produced in
each reactor. The kinetics of anaerobic digestion was
examined by regressing on time the daily cumulated
methane. Kinetic parameters were calculated according to
a five parameters Modified Gompertz model (Grieder et al.,
2012)(e.g. T50, the time when 50% of methane production
was reached). Correlations between biomass characteristics
and AD parameters were analyzed.
Conclusions:
Giant reed silages are promising
feedstock for biogas production. In particular, second cuts
showed higher BMP values and better digestion kinetics.
Considering crop biomass yields, methane outputs of about
7.500-12.000 Nm3 ha-1 can be expected.
• Second cuts showed an
average BMP of about 390 mL
gVS-1 (+28% than first cuts)
• MC increased along the
season from 56% (AI1) to 60%
(AI5); second cuts were
comparable to AI5
Fig. 1. Kinetics of fermentation of
giant reed silages.
Fig. 2. BBP, BMP, MC and T50 of giant reed silages.
• Digestion was slower in AI4
(T50> 10 d), while it was
faster in ARI1-ARI2 (T50= 5-6
d)
• BMP
was
positively
correlated with N and
negatively with C/N, while
MC was positively correlated
with NSC (p<0.001)
• pH was positively related to
N and negatively to C/N, NSC
and MC (p<0.05)
N
C/N
NSC
BMP
MC
C/N -0.98 ***
NSC 0.03 ns
0.02 ns
BMP 0.78 *** -0.77 *** 0.37 ns
MC 0.02 ns
pH
0.43 *
0.10 ns
0.75 *** 0.38 ns
-0.45 *
-0.53 *
-0.09 ns -0.53 *
Tab. 1. Correlations between
biomass characteristics and
digestion parameters
Acknoledgements: The authors wish to thank Fabio Taccini and CIRAA (San Piero a Grado-PI) for their technical support; CNR IVALSA (Sesto Fiorentino-FI) for NSC analyses.
References: - Angelidaki et al. (2009) Defining the biomethane potential (BMP) of solid organic wastes and energy crops: a proposed protocol for batch assays. Water Sci. Technol. 59, 927–934.
- Angelini et al. (2009) Comparison of Arundo donax L. and Miscanthus x giganteus in a long-term field experiment in Central Italy: analysis of productive characteristics and energy balance. Biomass
Bioenergy, 33, 635-643.
- Grieder et al. (2012) Kinetics of methane fermentation yield in biogas reactors: Genetic variation and association with chemical composition in maize. Biomass Bioenergy, 37, 132-141.
E-6
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
PRIMI STUDI EUROPEI SU FENOTIPIZZAZIONE DI
PANICUM VIRGATUM IN RISPOSTA A STRESS SALINO
Ricerca realizzata nell’ambito del progetto OPTIMA (OPTImisation of perennial grasses for biomass production in the Mediterranean Area)
Filippo Lazzari, Federica Zanetti, Riccardo Sartoni, Walter Zegada-Lizarazu, Andrea Monti
Dipartimento di Scienze Agrarie, Alma Mater Studiorum, Università degli Studi di Bologna.
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
In ambiente mediterraneo, i suoli marginali sono spesso caratterizzati da elevata salinità, per questo motivo è stato allestito un esperimento per valutare
la risposta dello switchgrass allo stress salino.
Materiali e metodi
Risultati
9 Camera di crescita dotata di controllo di T, RH e
fotoperiodo;
9 2 Ecotipi di switchgrass a confronto (Alamo “lowland” e
Shawnee “upland”)
9 3 trattamenti irrigui con soluzioni saline a base di NaCl (vedi
Tabella) a partire dalla 3° foglia vera
TRATTAMENTI
T1
T2
T3
T4
CONTROLLO
6 dS/m
8 dS/m
14 dS/m
0 (g/l)
3,5 (g/l)
4,6 (g/l)
7,9 (g/l)
Parametri misurati:
9 Biomassa epigea ed ipogea
9 Specific leaf area (SLA)
9 Fotosintesi netta
9 Fluorescenza diretta
9 Clorofilla
9 Contenuto di Na sulla biomassa aerea (shoot)
PERCENTUALE DI FOGLIE VERDI E SECCHE
ALAMO
Fotosintesi:
- Alamo è più sensibile di Shawnee
- Shawnee riduce sensibilmente Pn solo nella fase finale.
Biomassa:
riduzione accentuata in Alamo e modesta
in Shawnee.
Alamo
Shawnee
PERCENTUALE DI FOGLIE VERDI E SECCHE
SHAWNEE
SLA:
- Aumenta in Alamo;
- Nessun effetto significativo in Shawnee.
Contenuto di Na:
- In Shawnee significativo incremento solo in T4
- Asportazioni di Na di Alamo sono doppie rispetto a Shawnee, dovute alla > biomassa.
- In Alamo la biomassa radicale è risultata inversamente correlata a [Na] biomassa aerea.
Conclusioni
9 Alamo è molto più sensibile alla salinità di Shawnee, che ha evidenziato sintomi di stress solo nel T4 (aumento SLA, riduzione Pn, senescenza)
9 La concentrazione di Na è risultata sensibilmente maggiore in Shawnee nel T4, ma le asportazioni sono il 50% rispetto a Alamo in virtù della minore
biomassa accumulata.
E-7
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
RIUTILIZZO DI BIOMASSE AGRICOLE RESIDUALI
PER LA PRODUZIONE DI ENERGIA E L’INCREMENTO DELLA
FERTILITA’ DEL SUOLO: UNA SOLUZIONE WIN-WIN PER LE
AZIENDE OLIVICOLE DEL MEDITERRANEO
Ricerca realizzata nell’ambito del progetto MIPAAF-OIGA “AGRI-CHAR” e del progetto europeo “STAR*AgroEnergy”
Angela
Libutti1 ,
Massimo Monteleone1, Dimitris Rovas2, Anastasia Zabanoiotou1,2
1
STAR*AgroEnergy Group - Dipartimento di Scienze Agrarie, degli Alimenti e dell’Ambiente, Univ. Foggia, IT
Autore corrispondente: [email protected]
2 Department of Chemical Engineering, University of Thessaloniki, GR
Introduzione
I sottoprodotti delle coltivazioni agricole e delle lavorazioni agro-industriali rivestono un notevole interesse in virtù della possibilità di essere
convertite in energia. Tale opportunità è particolarmente rilevante nell‘ambito dei sistemi energetici decentrati, soprattutto di quelli delle
aree rurali, generalmente costituiti da impianti di cogenerazione a calore ed energia combinati. D’altra parte, le biomasse agricole residuali,
se interrate, contribuiscono al mantenimento della fertilità del suolo e alla cattura del carbonio. Il raggiungimento di un trade-off tra le due
alternative di riutilizzo delle biomasse costituisce un importante obiettivo nell’ambito della ricerca applicata ai sistemi energetici rurali.
Il lavoro riporta il caso studio di un’azienda olivicola, dotata di un frantoio per la molitura delle olive. È stato ipotizzato il reimpiego dei
residui di potatura e di molitura attraverso un impianto di pirolisi di piccola scala. La pirolisi è un processo di conversione energetica delle
biomasse mediante l’applicazione di calore, in parziale o completa assenza di ossigeno, da cui si ottengono sottoprodotti quali: syngas, bioolio ed un prodotto carbonioso, stabile e recalcitrante, il bio-char. Il syngas e il bio-olio possono essere impiegati in successivi trasduttori
energetici per ricavarne energia, il bio-char può essere applicato al suolo quale ammendante agricolo, in grado di incrementare la fertilità del
terreno e la produttività delle colture, nonché di riequilibrare il ciclo del carbonio, intrappolandolo nel terreno (tecnologia “C-Lock”) e
riducendo la quantità di CO2 atmosferica (tecnologia “CO2 negative”).
Materiali e metodi
Risultati
L’azienda considerata, ubicata in agro di Lucera (provincia di Foggia), è
caratterizzata da una filiera olivicolo-olearia che, a partire dalle olive
prodotte dai secolari oliveti di “Coratina”, “Leccino” e “Peranzana” estesi su
una superficie di circa 10 ha, attraverso la loro molitura in un moderno
frantoio a ciclo continuo, porta all’ottenimento di “olio extravergine d’oliva”.
La molitura delle olive dà origine a sottoprodotti quali le acque di
vegetazione e la sansa, quest’ultima utilizzabile ai fini della produzione di
energia. Dalla coltivazione degli oliveti provengono i residui di potatura
(legno e frasche) che costituiscono un’altra rilevante fonte energetica.
È stato, pertanto, proposto un innovativo modello operativo, basato
sull’implementazione in azienda di un impianto di pirolisi di piccola scala,
funzionale alle attività del frantoio.
Ai fini dell’analisi, è stato considerato l’utilizzo di un reattore pirolitico
tubolare, di tipo fisso, circondato da un forno elettrico che fornisce l’energia
termica necessaria allo start-up. Velocità di riscaldamento e temperatura di
pirolisi sono state impostate sulla base alle caratteristiche delle biomasse
residuali. Per il legno e le frasche, la velocità di riscaldamento è stata di 200
°C min-1 e la temperatura di pirolisi di 600 °C; per la sansa, la velocità di
riscaldamento è stata di di 7 °C min-1 e la temperatura di pirolisi di 500 °C.
La rappresentazione dei risultati ottenuti è riportata in Fig. 1.
Annualmente, 1 ettaro di oliveto produce 4,0 t di olive da cui
si ottengono 0,6 t di olio e 3,4 t di sansa umida
(umidità=60%). Le operazioni di potatura di 1 ettaro di oliveto
originano 3,5 t di residui di cui 1,0 t di legno e 2,5 t di frasche
(umidità=40%). Prima dell’impiego nel pirolizzatore, sansa e
potature devono essere essiccate (umidità=15%). Il processo
richiede una quantità di energia pari a 1.813 e 1.066 kWh,
rispettivamente per sansa e potature. L’essiccazione genera,
inoltre, vapore che, ricircolando nel sistema, fornisce l’energia
termica necessaria nel frantoio per la gramolatura della pasta
d’olio e nell’essiccatore per ridurre l’umidità della sansa e
delle potature stesse (rispettivamente 144 e 1.238 kWh, al
netto delle perdite per trasferimento e scambio di calore, pari
al 20%). Dopo l’essiccazione, il peso della sansa si riduce a
1,67 t; quello dei residui di potatura a 2,48 t.
Sottoposte a pirolisi, tali biomasse producono: 1,29 t di bioolio (di cui 0,64 t dalla sansa e 0,55 t dalle potature); 1,10 t di
bio-char (di cui 0,62 t dalla sansa e 0,48 t dalle potature); 1,22
t di syngas (di cui 0,35 t dalla sansa e 0,87 t dalle potature).
Il syngas ottenuto dalla pirolisi delle potature, costituito
principalmente da CO (99%) e da una frazione molto minore
di CO2 e CH4, risulta essere una miscela di gas a bassa
entalpia, non utilizzabile per la produzione di energia e,
quindi, considerato un prodotto di scarto del processo
pirolitico. Allo stesso modo, il syngas ottenuto dalla sansa,
anche se ricco in CH4, è caratterizzato da un basso potere
calorifico (1.000 kJ/kg). Il bio-olio complessivamente prodotto
durante il processo presenta, invece, un elevato potere
calorifico inferiore (LHV = 31 MJ/kg). Utilizzato in un motore a
olio, fornisce l’energia elettrica necessaria al funzionamento
dell’essiccatore e del frantoio, generando anche un surplus
(1.335 kWh) da poter immettere in rete. Il sistema, infine,
permette il recupero del bio-char riutilizzabile come
ammendante del suolo negli oliveti aziendali.
Figura 1 – Bilancio annuale di massa ed energia nel sistema proposto
Conclusioni
Il sistema proposto ha evidenziato la possibilità di riutilizzo dei residui dell’attività olivicolo-olearia dell’azienda considerata per l’ottenimento
di energia in quantità tale da poter non solo soddisfare le esigenze del frantoio ma anche essere immessa in rete (originando un ulteriore
reddito per l’agricoltore). Al contempo, la produzione del bio-char rende disponibile un prodotto ammendante capace di incrementare la
fertilità del suolo, preservando così i vantaggi agronomici ed ambientali derivanti dal diretto interramento delle biomasse agricole residuali.
E-8
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
ADATTABILITÀ DI CYNARA CARDUNCULUS L. ALLA
PRODUZIONE DI BIOMASSA ED ENERGIA IN TERRENI
MARGINALI DELL’ITALIA MERIDIONALE
Rosario P. Mauro, Orazio Sortino, Gaetano R. Pesce, Michele Agnello, Sara Lombardo, Gaetano Pandino, Giovanni
Mauromicale
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari, Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
La piena sostenibilità economica ed ambientale delle filiere agri-energetiche, necessita di colture da biomassa adatte alla coltivazione in
terreni marginali ed in condizioni di bassi input (Knoll et al., 2012). Date queste premesse, in un esperimento di lungo termine (7 anni), è
stata studiata la capacità produttiva di biomassa, acheni ed energia, ed il possibile ruolo nella conservazione della fertilità del terreno, di due
varietà botaniche di Cynara cardunculus L. (cardo domestico e cardo selvatico), coltivate in un terreno marginale della Sicilia Sud-orientale, e
senza alcun input colturale dal secondo anno in avanti.
Materiali e metodi
Risultati
La prova è stata realizzata nel settennio 2005/06 – 2011/12 su di
un terreno sabbioso della Sicilia Sud-orientale (36ම47N, 14ම54E,
42 m s.l.m.). In uno schema a blocchi randomizzati con 4
ripetizioni, sono stati messi a confronto 2 genotipi di C.
cardunculus L., di cui un cardo domestico (‘Bianco avorio’) ed un
cardo selvatico (landrace locale), per la produzione di biomassa,
acheni ed energia. L’impianto della coltura è stato effettuato il 5
novembre 2005, a mezzo plantule di 50 giorni di età (2 piante m2), su terreno previamente arato e concimato con 60, 100 ed 80
kg ha-1 di N, P2O5 e K2O, rispettivamente. Dopo il trapianto, è
stata effettuata un’irrigazione di soccorso (30 m3 ha-1), mentre a
fine febbraio 2006 sono stati apportati ulteriori 60 kg ha-1 di N. A
partire dal secondo anno, nessun intervento agronomico è stato
effettuato ed il risveglio della coltura dopo la stasi estiva è
avvenuto in seguito alle piogge autunnali. A fine ciclo (agosto),
in ciascuna parcella ed annata è stata valutata la percentuale di
piante sopravvissute, quindi un congruo numero di queste è
stato raccolto, e pesato previo completo disseccamento in stufa.
In Figura 1 vengono riportate le principali variabili bioagronomiche oggetto di rilevamento, mentre in Tabella 1
vengono riportate le variabili del terreno oggetto di analisi ad
inizio e fine dei sette anni di prova.
Nella media del settennio di prova, rispetto all’ecotipo locale di cardo
selvatico, il cardo domestico ‘Bianco avorio’ ha fatto registrare una
minore sopravvivenza delle piante (93% contro 98%), a fronte di una
maggiore produzione areica in biomassa (14,6 contro 7,4 t ha-1), acheni
(0,55 contro 0,24 t ha-1) ed energia (275 contro 138 GJ ha-1) (Fig. 1).
Tuttavia, i due genotipi hanno mostrato differenze rilevanti in rapporto
all’andamento delle predette variabili nel tempo. Il cardo domestico,
infatti, tra il primo ed il settimo anno di coltivazione ha mostrato una più
accentuata riduzione nella sopravvivenza delle piante (da 99,0 a 85.5%),
così come una maggiore variabilità nella produzione areica di biomassa
(compresa tra 9,7 e 22,0 t ha-1, CV: 28,8%), acheni (tra 0,32 e 0,65 t ha1, CV: 20,5%), ed energia (tra 186 e 403 GJ ha-1, CV: 29,0%) (Fig. 1). Per
contro, il cardo selvatico nel corso dei sette anni ha mostrato una
maggiore stabilità produttiva, dovuta in parte alla maggiore
sopravivenza delle piante (da 99,7 a 97,0%), ed in parte alle minori
oscillazioni registrate in seno alla produzione areica di biomassa
(compresa tra 5,5 e 8,8 t ha-1, CV: 16,4%), di seme (tra 0,20 e 0,26 t ha-1,
CV: 10,2%), e di energia (tra 103 e 161 GJ ha-1, CV: 13,7%) (Fig. 1).
Dall’analisi chimica del terreno, effettuata entro i primi 30 cm del profilo
alla fine dei sette anni di sperimentazione, emerge un incremento
significativo nel contenuto di sostanza organica (+6,5%), N totale
(+15,5%), P2O5 assimilabile (+15,8%) e K scambiabile (+3,3%) (Tab. 1).
Tab. 1. Caratteristiche del terreno all’inizio ed alla dei sette
anni di coltivazione di &FDUGXQFXOXV L.
Variabile
pH
ECe (dSm-1)
C org. (g kg-1)
S.O. (g kg-1)
N totale (g kg-1)
P2O5 assim. (g kg-1)
Ca totale (g kg-1)
Ca attivo (g kg-1)
CSC (meq 100 g-1)
Cationi scambiabili
Na (meq 100 g-1)
K (meq 100 g-1)
Ca (meq 100 g-1)
Mg (meq 100 g-1)
Inizio sperimentazione
Cardo dom. Cardo selv.
7.70 a
7.70 a
Fine sperimentazione
Cardo dom.
Cardo selv.
7.70 a
7.70 a
0.32 a
7.0 b
0.32 a
6.9 b
0.32 a
7.6 a
0.33 a
7.5 a
12.3 b
0.85 b
57 b
12.2 b
0.83 b
57 b
13.2 a
0.98 a
67 a
12.9 a
0.96 a
65 a
354 a
148 a
19.20 b
354 a
149 a
19.18 b
348 a
138 b
19.76 a
348 a
141 b
19.72 a
55.6 a
352 b
55.6 a
352 b
53.9 a
364 a
53.9 a
363 a
3588 a
99.5 a
3595 a
99.4 a
3574 a
99.5 a
3569 a
99.5 a
Fig. 1. Effetto dell’interazione ‘genotipo x anno’ su: sopravvivenza
delle piante, produzione di biomassa, produzione di acheni e
produzione energetica in due genotipi di &FDUGXQFXOXVL.
Conclusioni
La ricerca indica l’idoneità di C. cardunculus L. ad essere utilizzato nelle filiere agri-energetiche dell’Italia meridionale, che si avvalgano
della coltivazione su terreni marginali ed in condizioni di input agronomici ridotti. La lunga durata dell’esperimento ha permesso di
accertare una buona produzione di biomassa lignocellulosica ( fino a 14,6 t ha-1 anno-1, equivalenti a 275 GJ ha-1 anno-1), a fronte di
significativi benefici d’ordine agronomico ed ambientale. Questi ultimi si sono tradotti, nel terreno, in un significativo aumento del
contenuto in sostanza organica, N totale, P2O5 assimilabile e K scambiabile. Il cardo selvatico, in virtù della minore variabilità produttiva,
potrebbe trovare un valido utilizzo nei programmi di miglioramento genetico, finalizzati alla messa a punto di specifici genotipi
caratterizzati da maggiore rusticità e stabilità produttiva.
Bibliografia
Knoll, J.E., Anderson, W.F., Strickland, T.C., Hubbard, R.K., Malik, R., 2012. Low-inputproduction of biomass from perennial grasses in the Coastal Plain of Georgia,USA. Bioenerg. Res. 5, 206–214.
E-9
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CARATTERIZZAZIONE E MIGLIORAMENTO
GENETICO DI JATROPHA CURCAS L. FINALIZZATO
ALLA SUA COLTIVAZIONE IN MADAGASCAR
Ricerca realizzata con il contributo di TRE Srl [Tozzi Renewable Energy]
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Suriname
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CLONI DELLE PIANTE MADRI
Codice pianta
' N° semi
COLLEZIONE WORLDWIDE
Codice Pianta
Provenienza
Peso semi (g)
N° semi
ARF15
Arusha
16,3
26
BRB19
Brasile
11,3
24
46,8
55
PM_JC5B
22,1
22
BRB20
Brasile
5,7
10
67
BRC17
Brasile
3,2
10
BRC19
Brasile
28,1
54
BRC20
Brasile
25,1
44
45
PM_JC15
56,4
89
PM_JC18
132,3
184
BRI13
Brasile
1,9
3
PM_JC20
31,5
59
BRR17
Brasile
1,4
2
PM_JC21A
12,9
19
MGD17
Mato Grosso
8,5
15
MGD19
Mato Grosso
1,8
6
PM_JC21B
67,6
88
MZE20
Mozambico
3,4
7
6
MZE21
Mozambico
16
22
MZG21
Mozambico
23,7
46
MZL21
Mozambico
2,1
6
PM_JC21C
Foto 1. 2. 3. Coltivazione di Jatropha curcas presso Satrokala
Peso semi (g)
PM_JC5A
PM_JC14
Fig.
F
ig. 1
1.. A
Aree
ree d
dii proveni
provenienza
iienza
enz d
del
ell germopl
germoplasma
lasma iimpiegato
mpiiegatto [[PM
PM e H
HSIB]
SIB] e [[CLZ]
CLZ]
Fig. 3. PCA su Collezione worldwide
3,2
PM_JC23
1
2
PM_JC32
4,6
9
PAG14
Paraguay
10,3
15
PM_JC35
0,4
1
PAG15
Paraguay
2,3
6
PM_JC39
3,6
6
TOT
427,4
607
4,9
11
SUD20
Suriname
7,5
17
SUN19
SUA17
Suriname
Suriname
1,9
3
T
ab
b. 1
rod
dutttiviità al
al 1
LZ e P
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Tab.
1.. P
Produttività
1°° anno d
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#$#/
#$#/
#&%/
(*(/
$+% $+&& $%*'/
$+$ &+$$/
$)# $+# $)$ %## '$*%/
$*$ $*# #$+/
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Fig. 4. Qualità dell’olio estratto (PMJC18)
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E-10
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
IMPATTO DELL’EPOCA DI SEMINA E
DELL’INVESTIMENTO UNITARIO SULLA
PRODUTTIVITÀ DELL’ACQUA E SULLA RUE IN UNA
COLTURA DI KENAF IN AMBIENTE CALDO-ARIDO
Ricerca realizzata nell’ambito del progetto europeo QLK5-CT2002-01729
BIOKENAF: ‘Biomass production chain and growth simulation model for kenaf’
Cristina Patanè1, Venera Copani2, Salvatore L. Cosentino2
1
2
CNR-Istituto per la Valorizzazione del Legno e delle Specie Arboree (IVALSA), UOS di Catania, Autore corrispondente: [email protected]
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari (DISPA), Università degli Studi di Catania
Introduzione
La resa di una coltura è associata alla sua capacità di utilizzare le risorse naturali, tra queste la
radiazione solare e l’acqua, per accumulare biomassa. La Radiation Use Efficiency (RUE) misura
l’efficienza di uso della energia radiante da parte della pianta, la cui variabilità dipende da quei
processi, biologici e fisiologici, che determinano lo sviluppo della copertura fogliare della coltura. Tali
processi influenzano fortemente anche la produttività dell’acqua da parte della coltura (Water Use
efficiency-WUE). Sia l’epoca di semina che l’investimento unitario influiscono sia sulla RUE che sulla
WUE di una coltura. In questo studio è stata valutata l’influenza della densità di semina e della semina
tardiva in una coltura di kenaf in un ambiente a clima tipicamente mediterraneo.
Materiali e metodi
Risultati
La prova è stata realizzata nell’anno 2005 presso la Piana di
Catania (10 m s.l.m., 37°25’ Lat N, 15°30’ Long E), su un
terreno prevalentemente argilloso. E’ stata adottata la
cultivar Tainung 2 di kenaf. In un disegno sperimentale a
split-plot con 3 repliche, sono stati posti a confronto 2
epoche di semina: una ordinaria (26 Maggio), l’altra tardiva
(30 Giugno), e due investimenti unitari (D1= 20 piante/m2 e
D2= 40 piante/m2). La coltura è stata irrigata restituendo il
100% della ETc. Complessivamente sono stati erogati 558 e
421 mm, rispettivamente per la I e II epoca di semina. La
raccolta è stata eseguita il 26 Ottobre. Nel corso del ciclo
colturale sono stati eseguiti campionamenti di piante per la
misura della superficie fogliare e della biomassa secca totale
e ripartita in fusti e foglie. A fine ciclo è stata calcolata la
Water Use Efficiency (WUE, kg/m3) considerando l’acqua
utilizzata complessivamente dalla coltura (pioggia +
irrigazione) e la biomassa totale prodotta a fine ciclo. E’
stata infine calcolata la Radiation Use Efficiency (RUE, g
s.s./MJ) adottando la formula y= 1-e(-0.84 LAI) per il calcolo
della quota di radiazione solare fotosinteticamente attiva
(PAR) intercettata dalla coltura in funzione del LAI (Patanè e
Cosentino, 2013) e i dati della PAR sono stati correlati con la
biomassa secca cumulata nel corso del ciclo. Il valore del
coefficiente b di ciascuna regressione lineare rappresenta
una stima della RUE.
La biomassa secca totale non è variata in rapporto all’epoca di semina,
attestandosi in media su 24 t/ha (Fig. 1). Essa, per contro, si è differenziata in
rapporto alla densità di semina ;Ɖч0.01), incrementandosi di circa il 17% al
raddoppiarsi dell’investimento unitario da 20 a 40 piante/m2. Nessuna
interazione è emersa tra i due fattori allo studio.
Il procrastinare della semina da
Maggio a Giugno ha migliorato
l’efficienza di trasformazione
della radiazione solare in
biomassa secca, per contro non
variata
all’aumentare
della
densità di semina (Fig. 2).
Allo stesso modo, la WUE è
migliorata con la semina tardiva.
A differenza della RUE, anche
l’investimento
unitario
ha
influenzato la WUE, poiché
l’aumento del numero di piante
sull’unità di superficie ha
incrementato significativamente
Tab. 1. WUE in relazione ai fattori allo la produttività dell’acqua (Tab.
studio.
1).
3000
20 p/m2
40 p/m2
D1 I epoca RUE 2.46
D2 I epoca RUE 2.44
-2
30
Biomassa secca (g m )
Biomassa secca (t/ha)
35
25
20
15
10
2500
D1 II epoca RUE 3.61
D2 II epoca RUE 3.70
2000
1500
1000
500
5
0
0
I epoca
(26/05)
II epoca
(30/06)
Fig. 1. Biomassa secca totale.
0
200
400
600
800
1000
-2
Radiazione intercettata (MJ m )
Fig. 2. Biomassa secca totale YV.
PAR intercettata.
Conclusioni
I risultati più interessanti sia in termini produttivi che di efficienza d’uso sia della radiazione solare che dell’acqua sono stati conseguiti con la
densità di piante maggiore in epoca di semina tardiva. Quest’ultima ha garantito, peraltro, un risparmio idrico del 24% rispetto alla semina
convenzionale, con interessanti implicazioni sia di ordine economico che ambientale, che concorrono nel rendere più sostenibile la coltura
del kenaf in ambiente caldo-arido.
Patanè C., Cosentino S.L., 2013. Yield, water use and radiation use efficiencies of
kenaf (Hibiscus cannabinus L.) under reduced water and nitrogen soil availability
in a semi-arid Mediterranean area. Eur. J. Agron., 46, 53-62.
Si ringraziano i sigg.ri S. Scandurra e A. Russo per la
loro assistenza tecnica in campo.
E-11
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
DEFINIZIONE DI UN BACINO ENERGETICO
POTENZIALE PER IMPIANTI DI BIOGAS CON
APPROCCIO GIS
Andrea Porro1, Marco Negri1, Jacopo Bacenetti1 e Stefano Bocchi1
1 Dipartimento di Scienze Agrarie e Ambientali - Produzione, Territorio, Agroenergia, Univ. di Milano
Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Gli impianti di biogas in Italia (circa 1000), l'introduzione di incentivi per una maggiore utilizzazione delle risorse rinnovabili ha portato alla
proliferazione di impianti su scala industriale. La definizione dei bacini di approvvigionamento gioca quindi un ruolo fondamentale nella
definizione della sua sostenibilità. L'uso di Sistemi Informativi Geografici(GIS), appare uno strumento molto utile e interessante. Tali indagini
sono state condotte sia su scala nazionale e regionale, ma devono essere adattate localmente. Il presente lavoro si è posto l’obiettivo di
studiare il bacino di approvvigionamento di biomasse da colture dedicate input (mais e triticale) e output (digestato).
Risultati
Materiali e metodi
Due impianti di digestione anaerobica, situati in Piemonte, La tabella seguente riporta le distanze massime percorse per il recupero
sono stati monitorati in termini di approvvigionamento di delle biomasse vegetali, le quantità e il numero di aziende conferenti. Per i
biomasse dai conferenti, misurando le quantità di mais e due digestori oggetto del lavoro di indagine.
triticale, la distanza massima percorsa e il numero di
Mais Km
Triticale km
N° aziende N° aziende
aziende conferenti. In egual modo è stata valutata la
max
max
Mais
(t)
Triticale
t
mais
trit
restituzione di digestato alle aziende stesse. I dati raccolti
14
12
18 306
1 401
22
5
sono stati utilizzati per la definizione di un bacino potenziale
12
8
24 842
1 708
36
8
di approvvigionamento e restituzione.
L’analisi cartografica (fig 3), di cui qui sono presentati solo i risultati per UN
Basi dati: DUSAF (Destinazione d'Uso dei Suoli Agricoli e
digestore e solo per gli input ha permesso di valutare gli usi del suolo e le
forestali) CORINE LAND COVER regione Piemonte 2006,
relative superfici (tab 1), in un ipotetico bacino di approvvigionamento
posizionamento dei biodigestori con coordinate LAT/LON
basato sull’assunto di indifferenza tra le fonti di approvvigionamento per la
wgs84 32N messe a disposizione dalla DG Agricoltura
stessa biomassa. Identificando la tipologia di SAU attorno al digestore.
Regione Piemonte.
Tab. 1. ripartizione per classi SAU
Per lo studio del bacino di alimentazione (Fig. 2) è stato
realizzato un buffer circolare con raggio uguale alla massima
distanza di recupero delle biomasse (mais, triticale) e con la
sua successiva intersezione con il DUSAF, si è provveduto al
calcolo della SAU inclusa nel buffer.
Fig. 3. bacino ipotetico
Fig. 1 e 2. relazioni tra
territorio e impianto di
biogas
Uso del suolo
Urbanizzato
Seminativi
Riso
Vite
Legno
Prati stabili
Altre superfici agricole
miste
Superfici agricole
con zone naturali
Territori boscati
e ambienti seminaturali
Area Ha
5 808.6
11 630.0
13 534.2
178.0
31.6
7.7
6 428.2
6 662.1
10 506.7
Nella mappa in figura 3, sono stati identificati i bacini potenziali per mais
(raggio 14 km) e per il triticale (raggio 10 km). Nell’area massima è stata
valutata la ripartizione della superficie totale, mettendo in evidenza le classi
SAU che possono essere indifferenti per il gestore dell’impianto (Tab 1).
Conclusioni
L’indagine cartografica ha permesso di valutare il peso territoriale di un digestore anaerobico in termini del suo bacino LQSXW potenziale, lo
sviluppo di un GIS dedicato concorrerà alla valutazione della sostenibilità economica, ambientale e sociale di nuovi digestori o della
competizione tra i digestori esistenti. Le valutazioni più interessanti sono emerse confrontando le distanze percorse per il recupero della
biomassa vegetale e il territorio potenzialmente interessato al conferimento della biomassa stessa, infatti dimensioni e forma del bacino di
approvvigionamento dipendono dalla SAU disponibile, così come le distanze di approvvigionamento. Infine le distanze di
approvvigionamento che nel caso del mais sono sempre risultate maggiori, sono sostenibili dalla sua più alta densità energetica. Mentre per
il triticale, il minor raggio si potrebbe spiegare sia con le più bassa densità energetica sia con le minori quantità utilizzate nell’impianto.
Ringraziamenti: per i dati si ringrazia il dr agr Piercarlo Cantarella e dr.ssa Margherita Moretti
XLIII° Convegno della Società ItalianaE-12
di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Phytoremediation di cloni di Arundo donax L. in
terreni contaminati con piombo
Sarah Sidella1, Ana Luisa Fernando2, Salvatore Luciano Cosentino1, Bruno Barbosa2, Jorge Costa2
1
2
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari (DISPA) – Università di Catania, Autore corrispondente: [email protected]
Departamento de Ciências e Tecnologia da Biomassa, FCT/UNL
Introduzione
La contaminazione con piombo è uno degli inquinamenti più diffusi, soprattutto in aree contraddistinte da
un elevato livello di industrializzazione.
Alcune colture da biomassa per energia, tra le quali la Canna comune (Arundo donax L.), ben si adattano
alla coltivazione e decontaminazione di aree contaminate. Ciò è dovuto alla capacità di accumulo del
metallo pesante negli organi vegetativi, parte dei quali vengono asportati per la successiva trasformazione
energetica, mentre la restante rimane nel terreno all’interno dei rizomi limitandone la lisciviazione e
quindi la possibile contaminazione delle falde acquifere.
Materiali e metodi
Risultati
Anno: 2013
Località: Departamento di Ciências e Tecnologia da Biomassa,
FCT/UNL, Lisbona (Portogallo).
Obiettivo: valutazione del potenziale di cloni di Canna comune
(Arundo donax L.) nella phytoremediation di suoli contaminati
con diverse concentrazioni di piombo.
Prova: vaso (12 L)
Fattori allo studio: 2
Contaminazione con piombo (ottenuta mediante l’aggiunta di
fango residuale con un contenuto in piombo pari a 106 g kg-1):
-Pb0 (piombo residuale del suolo, 21±4 mg kg-1);
-PbI (450 mg kg-1) (quantitativo di piombo max consentito
dall’Unione Europea per suoli con pH > 7);
-PbII (900 mg kg-1) (quantitativo di piombo doppio rispetto al
max consentito) – Dlg. 276/09 (2009)
Genotipo: 4 cloni di Arundo donax L., prelevati in diverse
località della Sicilia:
La presenza di piombo nel suolo, nella media dei genotipi posti allo studio,
ha ridotto seppur in modo non significativo la produzione di biomassa
epigea di Arundo donax L. e ha determinato un incremento nella biomassa
di rizomi e radici (PbI e PbII) (Fig.1). Tra i genotipi, il 27 e il 30 sono risultati i
più produttivi in tutti i livelli di contaminazione testati.
Clone
Località
Coordinate geografiche
Altitudine
Lat. N
Long. E
m s.l.m.
19
Tortorici
38°01’
14°49’
450
22
Cefalù
38°01’
14°00’
16
27
Agrigento
37°19’
13°35’
230
30
Licata
37°06’
13°56’
8
Rilievi ed analisi:
•Biomassa epigea ed ipogea (g m-2);
•Contenuto in piombo (mg kg-1) mediante spettrofotometro ad
assorbimento atomico, analizzato nelle diverse frazioni di
biomassa raccolta: culmi, foglie, rizomi e radici.
Conclusioni
L’adattabilità e le minime differenze riscontrate nella biomassa
prodotta in relazione ai diversi livelli di contaminazione,
indicano l’Arundo donax L. quale potenziale colture energetica
da utilizzare nella phytoremediation di terreni contaminati con
piombo.
Nonostante la maggior parte del metallo venga accumulato
della parte ipogea della pianta e non venga traslocato negli
organi epigei, l’utilizzo di Arundo donax L. in terreni contaminati
con piombo assicura una copertura a lungo termine della
superficie contaminata e riduce il rischio di lisciviazione del
metallo limitando fortemente il potenziale inquinamento delle
falde acquifere.
Ricerca realizzata con il finanziamento: Unione Europea (FP7), Progetto
OPTIMA (Optimization of Perennial Grasses for Biomass Production in
Mediterranean Area).
)LJ %LRPDVVD VHFFD HSLJHD HG LSRJHD J P GHL GLIIHUHQWL
JHQRWLSLVWXGLDWLLQUHOD]LRQH DLGLIIHUHQWLOLYHOOLGLFRQWDPLQD]LRQH
GHOVXRORFRQSLRPER3E3E,DQG3E,,
L’accumulo maggiore di piombo è stato osservato nella parte ipogea della
pianta (radici e rizomi) in corrispondenza del più elevato livello di
contaminazione (PbII).
Osservando la biomassa prodotta nel suo complesso, i genotipi 27 e 30
sono stati quelli caratterizzati da un maggior quantitativo di piombo
accumulato nelle diverse frazioni; tuttavia i genotipi più interessanti in
termini di phytoremediation sono stati il 22 e il 27 che hanno accumulato
maggiormente il metallo negli organi epigei della pianta (culmi e foglie)
che verranno asportati per la trasformazione energetica (Tab.1).
7DE&RQWHQXWRLQSLRPERPJNJ66QHLGLYHUVLFORQLHQHOOH
GLYHUVH IUD]LRQL GL ELRPDVVD DQDOL]]DWH LQ UHOD]LRQH DL GLYHUVL
OLYHOOLGLFRQWDPLQD]LRQH3E3E,DQG3E,,
[Pb] (mg kg-1)
CULMI
Genotipo 19
Genotipo 22
Genotipo 27
Genotipo 30
Media
FOGLIE
Genotipo 19
Genotipo 22
Genotipo 27
Genotipo 30
Media
RIZOMI
Genotipo19
Genotipo 22
Genotipo 27
Genotipo 30
Media
RADICI
Genotipo 19
Genotipo 22
Genotipo 27
Genotipo 30
Media
Pb0
PbI
PbII
Media
0,22 ± 0,2
0,08 ± 0,0
0,44 ± 0,2
1,34 ± 0,4
0,52 ± 0,2
0,68 ± 0,2
0,04 ± 0,02
3,76 ± 0,5
5,50 ± 0,4
2,50 ± 0,3
8,20 ± 5,5
4,48 ± 1,4
5,22 ± 0,7
4,77 ± 0,4
5,67 ± 2,0
3,03 ± 2,0
1,53 ± 0,5
3,14 ± 0,5
3,87 ± 0,4
2,89 ± 0,8
0,26 ± 0,1
1,13 ± 0,2
0,29 ± 0,1
0,45 ± 0,0
0,53 ± 0,1
0,38 ± 0,1
5,62 ± 1,2
0,58 ± 0,1
0,55 ± 0,0
1,78 ± 0,4
1,52 ± 0,4
8,26 ± 0,1
6,41 ± 0,9
2,61 ± 0,7
4,70 ± 0,5
0,72 ± 0,2
5,00 ± 1,5
2,43 ± 0,4
1,20 ± 0,2
2,34 ± 0,3
0,39 ± 0,3
2,84 ± 1,3
3,08 ± 0,1
1,64 ± 0,6
1,99 ± 0,6
8,49 ± 0,2
4,20 ± 0,7
9,50 ± 3,2
8,53 ± 2,5
7,68 ± 1,7
14,86 ± 2,9
17,49 ± 1,9
13,10 ± 0,6
19,16 ± 2,0
16,15 ± 1,8
7,92 ± 1,1
8,18 ± 1,3
8,56 ± 1,3
9,78 ± 1,7
8,61 ± 1,4
5,32 ± 0,7
5,36 ± 0,7
3,93 ± 0,7
4,20 ± 0,7
4,70 ± 0,7
113,29 ± 16,1
20,64 ± 9,0
145,48 ± 16,1
38,68 ± 9,0
79,52 ± 12,6
116,69 ± 1,7
47,55 ± 11,5
218,27 ± 6,4
99,33 ± 8,7
120,46 ± 14,6
78,43 ± 6,1
24,52 ± 7,1
122,56 ± 7,7
47,40 ± 6,1
68,23 ± 9,3
E-13
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Comparazione di specie graminacee poliennali della flora del
sud del mediterraneo per la produzione di biomassa
Ricerca realizzata con il finanziamento del progetto europeo OPTIMA.
www.optima.fp7.eu
Giorgio Testa, Danilo Scordia, Venera Copani, Giancarlo Patané, Salvatore Luciano Cosentino
1
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Agrarie e Alimentari (DISPA), Autore corrispondente: [email protected]
Introduzione
Il territorio siciliano è ricco di specie spontanee ad elevata persistenza e di potenziale interesse per la produzione di biomassa per energia.
Tra queste sono state individuate Poaceae poliennali lignocellulosiche (Saccharum spontaneum L. ssp. aegyptiacum (Willd.) Hackel,
Sorghum halepense L., Cymbopogon hirtus L. e Oryzopsis miliacea L.) che potrebbero essere coltivate in condizioni di input colturali ridotti e
in ambienti dove non è sostenibile la pratica irrigua.
In relazione ai criteri di sostenibilità energetico/ambientale, queste specie potrebbero essere introdotte in coltura perché adatte a questi
ambienti ed in grado di massimizzare le ridotte disponibilità idriche naturali pur presentando alcune limitazioni, tra cui la propagazione.
Materiali e metodi
Risultati
Sito sperimentale: Catania (10 m s.l.m, 37°25‘ Lat. N, 15°30'
Long E)
Specie allo studio: 4 specie spontanee lignocellulosiche
(Oryzopsis miliacea, Cymbopogon hirtus, Sorghum
halepense e Saccharum spontaneum)
Andamento termopluviometrico nei 4 anni di prova
Trapianto: 2 dicembre 2009
Tab. 1. Specie e tecnica di trapianto adottata
Specie
Tecnica di trapianto
Oryzopsis miliacea
divisione del cespo
Cymbopogon hirtus
divisione del cespo
Sorghum halepense
tratto di rizoma
Saccharum spontaneum
tratto di rizoma
Biomassa secca in relazione alle specie allo studio nei 4 anni di prova
Fig. 1. Parcelle sperimentali
Sostanze solubili, emicellulosa, cellulosa e lignina, nelle diverse
frazioni delle 4 specie allo studio nella raccolta del 2012
6RUJKXPKDOHSHQVH/Pers.
6DFFKDUXP VSRQWDQHXP L.
DHJ\SWLDFXP (Willd.) Hackel
ssp.
Ceneri nelle diverse frazioni
delle 4 specie allo studio
nella raccolta del 2012
2U\]RSVLV PLOLDFHD
Asch. et Schweinf
(L.)
&\PERSRJRQKLUWXV (L.) Janchen
Conclusioni
La ricerca pluriennale condotta a Catania, in assenza di input agronomici (irrigazione e concimazione), ha messo in evidenza che tra le specie
endemiche perenni presenti in Sicilia esistono significative differenze sia in termini produttivi che qualitativi ed alcune di esse ben si
adattano alla coltivazione in assenza di input agronomici e ad una successiva trasformazione energetica (produzione di calore e/o elettricità,
bioetanolo di II generazione).
Questi ricerca ha messo in evidenza una elevata produzione di biomassa da parte di Saccharum spontaneum, presentandolo come una
possibile coltura da biomassa per energia alternativa alle più conosciute Arundo e Miscanthus.
E-14
XLIII° Convegno della Società Italiana di Agronomia – PISA 17-19 Settembre 2014
Below-ground development in perennial rhizomatous grasses
Federico Triana 1, Neri Roncucci 1, Nicoletta Nassi o di Nasso 1, Giorgio Ragaglini 1, Cristiano Tozzini 1, Fabio Taccini 1,
Enrico Bonari 1
1
Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’Anna, Corresponding author : [email protected]
Introduction
Perennial rhizomatous grasses (PRGs) are considered promising sources of lignocellulosic biomass. PRGs develop a significant amount of
belowground biomass, specifically by allocating it to rhizomes and roots over their multiannual growth cycle. In particular, reserves
mobilization from rhizomes represents a key feature in the growth strategy of PRGs. In fact the rhizomes have a large capacity to store both
nutrients and carbohydrates. It is therefore important to increase the knowledge available on the development of the below-ground organs,
which is also fundamental in order to assess correctly the crop carbon balance and the impact of PRGs cultivation on soil quality. In the
present study we present data collected in long term field trials conducted at Pisa relative to the development of rhizome biomass giant reed
(Arundo donax L.) and miscanthus (Miscanthus x giganteus Greef et Deu.).
Materials and methods
Results
Five field trials dedicated to the study of giant reed
(GR) and miscanthus (MG)(Tab. 1) were conducted
between 2003-2013 at the Enrico Avanzi
Interdepartmental Centre for Agro-Environmental
Research of the University of Pisa (CIRAA), located in
the Pisa coastal plain, central Italy.
- Differences in below-ground accumulation trends were observed (Fig 1). In MG
rhizome biomass reached a plateau around the fifth-sixth growth cycle, while in
GR accumulation slow down at the ninth growth cycle.
Tab. 1. Experimental trials conducted at CIRAA.
The growth cycles sampled and the crops
involved are indicated.
Trial
1
2
3
4
5
Crop Growth cycles sampled
GR
1-3
MG
2-4
GR
6
GR/MG
3
GR/MG
9-10
-Average yearly rhizome increase was estimated in 410 g m-2 and 505 g m-2 in GR
and MG respectively (considering the values before the plateau was reached).
Fig. 1. Rhizome biomass trends over time in giant reed and
miscanthus. Points indicate measured data, dashed lines indicate
fitting equations.
Rhizome dry biomass (g m-2)
During the course of the trials rhizome biomass was
sampled occasionally at the end of winter after
harvest and rhizome fresh and dry biomass was
determined.
- Maximum observed rhizome dry biomass were respectively 3200 g m-2 (GR) and
2300 g m-2 (MG).
3500
GR
MG
3000
2500
2000
1500
1000
500
0
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
Growth cycle
For a better interpretation of the trends in rhizome
growth dynamics data was fitted with a third order
polynomial equation.
- The estimated carbon content in rhizome was 45.7% and 47.4% in GR and MG
respectively.
- The estimated carbon pool stocked in
the rhizome biomass after ten years
was about 1400 g m-2 and 1000 g m-2
in GR and MG respectively (Fig 2).
Conclusions
This study evidenced the trend of the rhizome growth
in two important biomass crops and also highlighted
the relevant amount of carbon stored below-ground
after a ten-year period of growth. Further investigation
is needed to quantify also the root system as it plays
also a relevant role in the growth of PRGs and recent
studies have evidenced that it also represents an
important pool of carbon.
Fig. 2. Carbon content of rhizome
biomass estimated at the 10th growth
cycle in giant reed and miscanthus.
1600
Rhizome carbon content (g m-2)
In 2012 rhizome samples of both species were
analyzed for carbon content by the combustion
furnace method.
1400
1200
1000
800
600
400
200
0
GR 1 MG