A muso duro - Edizioni Cosmopolis
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A muso duro - Edizioni Cosmopolis
ANIMALI&ANIMALI di Licia Colò 2003 “A muso duro” Il 2003 è stato un anno molto positivo per quanto riguarda la pubblicazione di libri utili alla causa degli animali. A dicembre ne è uscito però uno veramente da non perdere: “A muso duro” di Chris DeRose, edito dalle Edizioni Cosmopolis. L’Autore è un vero personaggio, non tanto perché è stato un noto attore di Hollywood, ma soprattutto per la sua storia. È una persona che nella vita ha toccato con mano la sofferenza, fin da bambino. Ha svolto innumerevoli lavori: il poliziotto, l’investigatore privato, il pilota, il giornalista e infine l’attore. La sua sensibilità verso i più deboli l’ha però dimostrata, inizialmente, diventando il “fratello maggiore” di una ventina di ragazzini di strada. Poi è venuto a contatto con la sofferenza degli animali e ha deciso di dare una svolta coraggiosa alla sua vita: ha rinunciato alla carriera, ai soldi e alla notorietà per battersi contro la vivisezione, la caccia, il furto degli animali e ogni forma di loro sfruttamento. Per questo non ha esitato a partecipare ad azioni di protesta e di denuncia non violente, finalizzate a dare risalto attraverso i mass media alle tematiche animaliste. È stato così arrestato molte volte e ferito in due occasioni. Alcuni anni fa, Chris DeRose ha deciso di scrivere un libro autobiografico, intitolato “In your face”, con l’intento di ripercorrere tutta la sua vita, dagli anni dell’orfanotrofio, passando per i molti lavori, l’ingresso nel mondo dello spettacolo, la scelta di dedicarsi alla causa degli animali, per finire alla cronaca delle sue innumerevoli iniziative non violente. Quest’anno le Edizioni Cosmopolis, tra le tante interessanti e importanti proposte, hanno deciso di pubblicare la traduzione aggiornata di “In your face”. “A muso duro” è un libro di emozioni forti, non è una cronaca distaccata, ma l’appassionata storia di un profondo coinvolgimento personale. Chris DeRose ti invita a condividere la sua rabbia, il suo dolore e le sue vittorie, ti conduce in un viaggio per mostrarti le ragioni della sua totale dedizione alla causa della giustizia, perciò è indispensabile che “A muso duro” sia presente nella libreria di ogni animalista. L’impostazione autobiografica e il ritmo, spesso incalzante e avvincente, però, lo possono rendere una piacevolissima lettura per chiunque. L’Autore ha anche trascorso, alla fine del 2003, alcuni giorni in Italia durante i quali ha presentato “A muso duro” in diverse città. Chi ha avuto la fortuna di andarlo a sentire, ha potuto verificare la sua estrema determinazione e la sua grande umanità. Chris DeRose è persona a cui non si può non volere bene per quello che ha fatto e sta facendo, ma soprattutto per come lo fa e “A muso duro” è un’occasione straordinaria per conoscerlo, in attesa di rivederlo in Italia. A Chris si può dire una sola cosa: grazie di esistere! ANNA 18 dicembre 2003 - “Diario di un’animalista mai pentita” di Monica Virgili Gente che brucia le pellicce, imbratta le vetrine, mangia radici, si veste “da cani” e vive in una cascina senza luce nel bosco. Diciamo la verità: quando si parla di animalisti spesso la gente immagina tipi un po’ bizzarri. E sbaglia. Perché chi ha a cuore i diritti degli animali (umani e non) è gente che più normale non si può, magari vive in una metropoli e non ha mai visto una gallina da vicino, mangia alla mensa aziendale, è allergica al pelo del gatto, non si sognerebbe mai di tirare uova marce ai cortei e per vivere fa l’impiegato, il medico, la commessa o il giornalista. Come me, appunto. Che per una volta passo “dall’altra parte” per farvi vedere (letteralmente: sono proprio io nelle foto di questo servizio) com’è la vita vera dell’animalista della porta accanto. E già che ci siamo risolviamo un altro piccolo equivoco: l’animalismo non è una religione, non ci sono regole da seguire né tessere da prendere. Infatti non si sa neanche quanti sono (più facile contare i vegetariani: 3 milioni in Italia). È solo uno stile di vita basato sul rispetto degli animali. Tutto qui. Poi ognuno si organizza secondo la propria sensibilità, e infatti c’è chi è vegetariano (quasi tutti), chi non mette le scarpe di pelle (molti) e chi evita i prodotti testati su animali (pochi). Una scelta difficile? Ma no, perché con un po’ di pratica (e qualche dritta) si riesce a mettere d’accordo etica e shopping. Senza rinunciare (quasi) a nulla, come si può vedere in una ordinaria giornata da animalista. Ore 8: via libera al trucco con i cosmetici “buoni”. Non si fa in tempo a mettere i piedi giù dal letto, che c’è il primo tormentone. Ma il mio bagnoschiuma preferito lo hanno testato nei laboratori di vivisezione? Qualche anno fa la risposta era: ahimè sì. Oggi le cose sono cambiate. Molte sostanze si testano in provetta o sono sulla “positive list”, in pratica l’uso ha dimostrato che sono innocue e non servono altre prove. Risultato? Anche gli animalisti sì truccano in pace. Perché è facile trovare prodotti che non sono costati sofferenza agli animali nella grande distribuzione (all’Esselunga c’è un’intera linea), tra i marchi top della profumeria (spesso lo scrivono sulle confezioni) o nei negozi “cruelty free” (L’Erbolario, Body Shop, Lush). Per chi vuole scegliere con la sicurezza che nessun coniglietto ci abbia rimesso (alla lettera) la pelle c’è un manuale: “Guida ai prodotti non testati su animali”, di Antonella De Paola (Edizioni Cosmopolis). Ore 10: per la spesa “verde” occhio all’etichetta. Sapete come si riconosce un animalista al supermercato? È quello che passa mezz’ora a leggere le etichette. Perché è inutile evitare carne e pesce se ci si ritrova lo strutto nella brioche. L’unica è controllare gli ingredienti (anche dei cracker), a meno che si faccia la spesa nei negozi vegetariani, tra latte di riso, hamburger di sola e formaggio “vegetale”. Roba buona anche per i vegani, che poi sarebbero i vegetariani “integralisti” che escludono anche latte e uova (ma per saperne di più sui vegani chiedete a loro: www.veganitalia.com o www.viverevegan.org). Dove sono? A Milano c’è “La scelta” (tel. 02.3701 1615), che dà anche un servizio di consulenza-consumatori; altri indirizzi sulla rivista “L’idea vegetariana”, ré[email protected]. Ore 13: uno spuntino veloce? C’è I’hamburgerai cereali. Per un vegetariano “normale” il problema più grosso è... restare in linea. Siamo sinceri: in Italia tra pastasciutte, pizze e verdure varie ce la caviamo alla grande in trattoria e (un po’ peggio) nelle mense aziendali. Per i vegani invece sono dolori. Meno male che ci sono i ristoranti vegetariani (indirizzi su “Mangiarbene vegetariano” 2002, ed. Lineaavi) e per uno spuntino anche i fast food con le polpette di cereali e i naturalissimi macrobiotici (il Club macrobiotico milanese, tel. 02.58307416, è aperto da trent’anni). Sfizi metropolitani? Ma se a Rimini ha appena aperto un bar (Bio’s café) che fa i cappuccini alla soia! Ore 16: oddio, sono animalista e non ho niente da mettermi! Pellicce, piumini d’oca e “chiodi” in pelle neanche a parlarne. Sì alla lana, ma solo se il produttore giura che la pecora è stata tosata senza violenza. È un filino impegnativo, lo shopping animalista. Per fortuna da qualche anno gli stilisti ci vengono incontro con tessuti tecnici e fibre sintetiche. Ma sì, lo sappiamo che il pile è pura plastica. E non ci piace inquinare mari e fiumi ma - che ci volete fare - la pelle di un vitello ci piace di più “indossata” dal legittimo proprietario (e si evitano anche i veleni delle concene...). Quindi niente sensi di colpa per borse e scarpe in “pelle ecologica” che si trovano ovunque, dalle vetrine cult ai mercati (occhio al marchio: se c’è una losanga è Ok), ai siti inglesi (www.vegetarian-shoes.co.uk) che spediscono di tutto: persino la tuta da motociclista. Ore 18: voglio un cucciolo, anche virtuale. Chi pensa a Brigitte Bardot è fuori strada. Non sta scritto da nessuna parte che se uno è animalista deve trasformare la casa in uno zoo, trovare simpatici gli scarafaggi (orrore) o vestire il barboncino come una Barbie (quelli si chiamano animalofili, ed è tutto un altro film), Certo, un cane o un gatto piace a tutti. Ma siccome non sono giocattoli, se non c’è tempo da dedicargli pazienza, meglio rinunciare. Alla peggio si fanno le coccole al primo quattrozampe che si incontra, o si adotta a distanza un trovatello. C’è chi l’ha fatto anche con le cavie “riscattate” dai laboratori e si è trovato bene (cliccare per credere sul sito www.vitadatopi.net). Sì, avete capito bene: topi. Perché tutela e rispetto “valgono” anche per e bestie “antipatiche”, non solo per il micio di casa. Piuttosto, un consiglio: avete un amico animalista? Non regalategli mai criceti, uccellini in gabbia o pesci da acquario. E non dite che non vi avevamo avvertiti. Ore 20: la cena (vegetariana) è servita. Alla fine, ci si abitua. Ma per i “principianti” un invito a cena è sempre imbarazzante. Perché è meglio dirlo prima (fidatevi, far sparire l’arrosto dal piatto è peggio), anche se fare la figura della scombina-menu non piace a nessuno. Sarà per questo che, di solito, i vegetariani cucinano bene e hanno sempre ospiti? Certo aiutano i tanti libri e siti di ricette filovegetariane, e anche le lezioni di cucina specifiche, come quelle di La sana gola (tel. 02.29419332), che a Milano organizza corsi di vari livelli, dalla “sopravvivenza” al diploma di chef. Ore 24: tutti a nanna, sotto li piumino sintetico. Che non siano temi rilassanti (anzi, c’è da perdere il sonno) è vero. Ma il tempo per leggere è quello che è, quindi c’è poco da fare i difficili. Così capita che, per tenersi aggiornati e saper rispondere alle critiche (non mancano mai), si finisca la serata sul divano con gli ultimi libri usciti. I titoli? “Un’eterna Treblinka” di Charles Patterson (Editori Riuniti), sulle sofferenze degli animali da macello, e il saggio di Stefano Cagno sulla vivisezione: “Sperimentazione animale e psiche: un’analisi critica” (Edizioni Cosmopolis). O magari con il più rassicurante “Una bestia per amico” di Luca Goldoni (Rizzoli). E poi tutti a nanna. Sotto il piumino. Sintetico. C’è bisogno di dirlo? AGENZIA OMNIA Difesa animali: presentato a Montecitorio “A muso duro” (OMNIROMA) Roma, 11 dic 2003 “A muso duro”: Questo il titolo del libro autobiografico dell’attore americano Chris DeRose, presentato oggi a Montecitorio dagli Animalisti italiani e da vari parlamentari di diverse forze politiche: Luana Zanella (Verdi), Italico Perlini (Fi), Carla Rocchi (Margherita), Maria Chiara Acciarini e Franco Grillini (Ds), Salvatore Bonadonna (Prc), Mauro Mercuri (Alleanza Federalista). Chris DeRose è il fondatore di “Last Chance for Animals”, l’associazione che negli Stati Uniti si batte contro l’ingiustizia della sperimentazione animale. “Ho incontrato Chris DeRose” - ha dichiarato Walter Caporale, presidente degli Animalisti italiani - “per la prima volta nel 1990 negli Stati Uniti, a Washington, a una manifestazione che aveva organizzato per i diritti degli animali e alla quale parteciparono decine di migliaia di persone: un successo impossibile e insperabile in Italia, che però mi aveva segnato e galvanizzato. Rappresenta sicuramente una delle figure più attive e importanti del movimento animalista americano. La sua vita, come quella di molti di noi, è dedicata a combattere sia le ingiustizie verso gli animali che quelle verso le persone, perché l’ingiustizia è un male in sé, indipendentemente da chi la subisce. Oltre ad alcune affinità di intenti, abbiamo in comune l’idea di agire anche mediante azioni dirette nonviolente, e proprio con queste finalità e con questi obiettivi comuni cinque anni fa ho scelto di fondare in Italia gli Animalisti Italiani: un’associazione che sapesse coniugare la teoria alla pratica e che si battesse contro tutte le ingiustizie, le violenze, i soprusi, le sopraffazioni. ‘A muso duro’ è un libro forte, uno stimolo per le coscienze addormentate di persone che non sanno o non vogliono sapere e che tutti dovrebbero leggere”. Il libro, edito da Cosmopolis, che può essere richiesto agli Animalisti Italiani (06.23.23.25.69), ribadisce “l’importanza del dovere morale di ogni uomo di difendere i diritti degli esseri più indifesi”. IL GIORNO 9 dicembre 2003 - “Una vita in difesa degli animali” di Chiara Bottoni Monza. Dalle colline di Hollywood alla aprigione federale. La storia di Chris DeRose, nato a Brooklyn nel 1948, ha dell’incredibile. Attore di alcune famose serie televisive del passato, come “General Hospital”, e interprete di vari films, DeRose ha abbracciato la causa animalista. “A muso duro”, come recita il titolo della sua autobiografia, uscita in questi giorni nella traduzione italiana a cura dell’associazione “Oltre la specie” per le Edizioni Cosmopolis e presentata alla casa della Cultura di Monza. Molti personaggi del mondo dello spettacolo, infatti, hanno prestato il loro volto per campagne in difesa degli animali, ma nessuno oltre a lui e alla sua “cara amica Brigitte Bardot” ha mai avuto il coraggio di esporsi tanto da finire in carcere quattro volte e da essere colpito alle spalle da un agente del FBI. Una determinazione che gli ha permesso di conquistare il premio “Courage of Conscience” dato anche a Gandhi e a Martin Luther King. De Rose ha lasciato a bocca aperta una platea interessata e incuriosita, raccontando il motivo di scelte così radicali. “Tutto è incominciato 26 anni fa - spiega DeRose, - quando un cane randagio entrò in un’aula della scuola di recitazione che frequentavo. Mi sembrò tanto simpatico che decisi di tenerlo con me ma solo per qualche giorno visti i miei impegni di lavoro. In quelle poche ore, però, capii che gli animali avevano dei sentimenti e delle emozioni quasi umane. Da allora iniziai a sostenere un’associazione protezionista - continua DeRose - attraverso la quale venni a conoscenza delle terribili torture a cui erano sottoposti gli animali usati come cavie nei labortatori”. DeRose comincia proprio in quegli anni a visitare i laboratori a cui aveva accesso grazie a degli infiltrati. “Ho assistito a spettacoli terribili, come quello di un cane con il ventre percorso da un profondo taglio infetto morirmi tra le braccia. Questo mi spinse a fondare l’associazione animalista ‘Last Change for animals’ e a investigare sul commercio di animali domestici per i laboratori”. In questo momento l’azione di DeRose segue due binari: quello della disobbedienza civile, con azioni e dimostrazioni finalizzate ad ottenere un forte impatto mediatico, e quello della sensibilizzazione nelle scuole. “Entrambi gli strumenti sono a loro efficaci - precisa DeRose. - Una volta ci siamo chiusi in otto in un laboratorio finché 22 agenti non hanno abbattuto la porta e ci hanno arrestati. Ma avevamo con noi dei filmati che hanno portato alla cattura di un commerciante di animali”. “La presenza nelle scuole, invece, è fondamentale - continua DeRose - perché ai bambini americani spesso viene negato il sentimento. Ci sono ragazzi che conoscono la violenza, la solitudine e il dolore quando sono ancora molto piccoli. Amare gli animali aiuta loro ad apprezzare di più la vita”. Anche la decisione di scrivere un libro è stata dettata da DeRose dal desiderio di sensibilizzare l’opinione pubblica verso un tema così scottante, oltreché dall’insistenza del suo amico Sean Penn che presto ricaverà presto un film. “In questi giorni sono stato a Torino e a Trieste e l’11 dicembre andrò a Roma. Questo piccolo giro per l’Italia mi ha mostrato una realtà più umana e tollerante, non solo verso gli animali. Questo, però non mi esime dal lanciare un messaggio: vorrei che tutti facessero qualcosa per questa causa, perché ignorarla sarebbe come commettere un’iulteriore crudeltà”. “A Muso duro” è già da qualche giorno in libreria. Il ricavato delle vendite sarà utilizzato per finanziare “Last Change for Animals”. La presenza di DeRose in Italia è stata possibile grazie all’intervento dell’associazione animalista monzese “Oltre la specie” che ha sede alla Casa della Cultura di via Correggio. Il gruppo, nato circa un anno fa, si occupa della diffusione di infomazioni relative alle problematiche degli animali attraverso mostre, banchetti e lezioni nelle scuole della Brianza. Chi volesse contattare gli attivisti per avere maggiori informazioni o organizzare incontri negli istituti scolastici o nell’associazione può trovare maggiori infomazioni sul sito www.oltrelaspecie.org. D LA REPUBBLICA DELLE DONNE (allegato a Repubblica del 6 dicembre 2003) “Le facciamo un regalo?” di Paola Segurini Natale alternativo. Menu vegetariani, cosmetici non testati sugli animali, abili in cotone o pile. Niente cuccioli sotto l’albero (sola eccezione, quelli abbandonati). Per una festa cruelty free. L’ultima voce in favore degli animali ha un padre illustre: J.M. Coetzee, premio Nobel di quest’anno, nel recentissimo Elizabeth Costello (verrà pubblicato a gennaio da Einaudi), fa dire alla protagonista che la strage degli animali da macello è paragonabile allo sterminio degli ebrei durante l’Olocausto. Se lo scrittore sudafricano sceglie l’estrema provocazione, ognuno di noi può modificare piccoli gesti quotidiani per abbracciare la filosofia del cruelty free. Ovvero: evitiamo di far soffrire gli animali, almeno per quel che si può. Negli Stati Uniti un numero sempre maggiore di persone sostituisce il tacchino, principe dei pranzi del Ringraziamento ma anche di Natale, con il Tofurky, a base di ingredienti vegetali, reperibile in negozi specializzati e via web, dal gusto e dalla consistenza del tutto simili al tradizionale manicaretto (www.tofurky.com). Un’iniziativa lodevole se si pensa che ogni anno in Usa, secondo il Dipartimento dell’agricoltura, vengono allevati quasi trecento milioni di tacchini: animali che non hanno mai visto la luce del giorno, mai respirato un po’ d’aria fresca, vissuti con il becco tagliato, zoppi e impediti in qualsiasi movimento dalle abnormi dimensioni di petto e cosce. La sostituzione di un alimento di origine animale con uno vegetale è solo un esempio del lifestyle che evita, per motivi etici ed ecologici, ogni forma di sfruttamento degli animali e promuove l’utilizzo di alternative senza crudeltà. Un’aspirazione che sta prendendo piede anche in Italia. “Le nostre iniziative, organizzate in occasione di eventi culturali e di concerti, attirano molta gente”, ci dice Helena Deza Linares, giovane attivista fiorentina di Progetto Vivere Vegan, associazione italiana no profit che promuove la cultura totalmente non violenta (www.viverevegan.com). Helen è orgogliosa della foto scattata in compagnia di Moby, la pop star che, nel suo sito, ribadisce spesso di aver optato per il cruelty free. “Sono più di cinquecentomila le visite al nostro portale negli ultimi due anni”, aggiunge Stefano Momenté di Veganitalia (vwwveganita1ia.com), altra realtà senza scopo di lucro creata per dare informazioni a chi decide di assumere un comportamento più consapevole verso gli altri esseri e verso il pianeta. Per vivere almeno il Natale senza crudeltà si parte, ovvio, dal cibo. Non solo dicendo un no deciso a carne e pesce (secondo le stime Eurispes del 2002, ci sono già 2.900.000 vegetariani in Italia), ma anche a uova e a latticini. I motivi? “Le galline ovaiole, rinchiuse in gabbie strettissime o stipate in capannoni sempre illuminati, sono trattate come apparecchi produciuova. I pulcinì maschi vengono scartati e spesso macinati vivi, gettati nelle discariche o trasformati in mangimi. Le mucche da latte, geneticamente selezionate per produrne enormi quantità e perciò inseminate di continuo, non possono nutrire i vitellini che, strappati subito alle madri, vivono in box isolati, dove sono sottoposti a una dieta priva di ferro per renderli anemici, quindi dalla carne più bianca”, spiega Enrico Moriconi, medico veterinario, autore di “Le fabbriche degli animali” (Edizioni Cosmopolis). “Gli allevamenti intensivi, da cui proviene quasi la totalità dei cibi di derivazione animale, sono nascosti alla vista dei consumatori da pareti ben solide. Le condizioni di vita comportano dolore e fortissimo stress nei capi, tanto da richiedere la somministrazione continua di farmaci”. Niente scuse: l’alimentazione senza ingredienti animali non è meno varia e appetitosa. A giudicare dal tutto esaurito agli stand del primo Vegfestival italiano, tenutosi in settembre a Torino, è tutto il contrario. Il variopinto universo del cibo cruelty tree comprende ricette stuzzicanti come il paté di melanzane; la fonduta di frutta immersa nel cioccolato nero sciolto; la soia in stile giapponese o nei più classici piatti mediterranei; i cereali antichi, come il farro, serviti in ricette moderne; morbidi falafel o variazioni sul tema curry di verdure e riso basmati. Il versatile tofu e il più deciso seitan sono ormai reperibili, nelle tante forme più o meno elaborate, presso la grande distribuzione e i piccoli negozi di generi naturali e bio. “Abbiamo scelto di seguire la nostra filosofia di vita non violenta proponendo alimenti di qualità, sfiziosi e sani, a base solo vegetale”, spiegano Elena Storai e Fabio Baracani, giovani proprietari del nuovissimo ristorante “Balla coi lupi” di Firenze (tel. 055.211.364). Per organizzare i menù e sperimentare ingredienti inconsueti, basta curiosare tra gli scaffali delle librerie, oppure mettersi a navigare sui numerosi siti web, in inglese e in italiano (vedi box). Cruelty free, però, non è solo cibo. Anche per l’abbigliamento, si possono scegliere materiali che non comportano sofferenza per gli animali. Per cominciare, niente seta: i bachi vengono bolliti o passati al microonde, per impedire che uscendo dal bozzolo tornpano i preziosi fili. Meglio evitare, se si vuole essere davvero coerenti, anche la lana, visto che viene prodotta in prevalenza in Australia, in Nuova Zelanda e in Sud America, luoghi dalle elevate escursioni termiche stagionali, dove ogni anno oltre un milione di ovini muore per il freddo e le ferite. Intatti, la tosatura viene effettuata in ambienti riscaldati a quaranta gradi per rendere gli animali più docili, il più velocemente possibile, con mezzi meccanici o da personale retribuito seconda della quantità di vello tagliato. Non presenta no problemi di coscienza, invece, cotone, velluto, ciniglia e tessuti hi-tech come la microfibra e il pile. “Ci stiamo orientando sempre più verso indumenti e complementi in canapa, perché si tratta di una fibra equa e sostenibile, che cresce senza l’ausilio di pesticidi fertilizzanti. Tra i materiali sintetici privilegiamo invece il pile, ottenuto dalla plastica riciclata”, precisa Manlio Massi di Progetto Gaia, l’associazione milanese impegnata, anche on line, nella promozione di un consumo più rispettoso (www.progettogaia.org). E gli accessori? Spesso la pelle è un sottoprodotto della macellazione, ma accade anche il contrario. E poi, chi vuole indossare pezzi di animale? La scelta spazia dai modelli classici a quelli tendenza, dall’ecopelle al goretex, dalla tela alla rafia; insomma, tutto ciò che non è mai stato un essere vivo. Portafogli e cinture, borse e borsoni, “chiodi” e mocassini, sneaker, anfibi e sandali, tacchi a spillo o ciabattone: i fabbricanti e gli stilisti di oggetti “senza crudeltà” crescono, e annoverano tra le loro file celebrità come Stella McCartney. Su Internet spuntano negozi e boutique. Il “Crueltyfree Shop” è un vero e proprio emporio virtuale, che propone articoli di tutti i generi: abiti ma anche pasticcini (wvw.crueftyfreeshop.com). Le linee e gli assortimenti si moltiplicano ma, per quanto riguarda le calzature, il fornitore cult rimane Vegetarian Shoes, fondato nel 1990 a Brighton, in Gran Bretagna, e decollato quando Robin Webb decise di utilizzare come materiale un tessuto da vela, morbido e traspirante come la pelle, “Spediamo scarpe in tutto il mondo e i punti vendita che trattano i nostri articoli aumentano”, scrive Webb nell’introduzione al sito. “Cerchiamo costantemente dì migliorare ciò che realizziamo. Il nostro scopo è avere prodotti il più possibile rispettosi, oltre che degli animali, delle persone e dell’ambiente” (www vegetarian-shoes. co. uk). Uno più antico e più deciso, che trova d’accordo anche chi non è particolarmente animalista, è quello alle pellicce. Sostituite dal peluche di cotone o sintetico. Gianluca Felicetti della Lav (Lega AntiVivisezione) precisa: “Sono circa 24 le volpi, anche 54 i visoni, fino a 200 gli ermellini utilizzati per un solo capo d’abbigliamento, e milioni gli animali uccisi ogni anno negli allevamenti o nei loro habitat naturali”. Anche piuma e piumino d’oca, frutto di operazioni dolorosissime per volatili, possono essere sostituiti con dignità da imbottiture in fibrefil o in altri materiali. E i gioielli? In metalli più o meno preziosi, plastica, gomma, legno, ovviamente senza perle. No ad avorio e tartaruga, piumette e ossicini; via libera a pietre e monili colorati. Per l’arredamento, stessi principi di non crudeltà: 4 divani e poltrone in tessuto, aboliti gli status-symbol in pelle, niente vacchettone nere su cui stendersi romantica e natalizia garantita grazie alle candele a base vegetale. Profumi? Tra gli elementi base dell’arte profumiera ci sono il musk animale e lo zibetto, sostanze estratte dalle ghiandole di mammiferi. Meglio quindi orientarsi su bouquet di sicura provenienza verde, con fragranze floreali e speziate. Sempre per il capitolo bellezza: i prodotti per il make up, i saponi, i bagnoschiuma, i cosmetici e i detersivi vanno scelti tra quelli non testati su animali e con componenti solo vegetali, per sapere quali sono, si può consultare le liste di produttori positivi come quelli che, sottolinea Felicetti, “hanno aderito a uno Standard internazionale, rappresentato in Italia dalla Lav. Garantiscono non solo di non effettuare direttamente o commissionare test su animali, ma anche di non ri-testarli e di mantenere la stessa linea di comportamento nei confronti degli ingredienti già in uso”. Utilissima la “Guida ai prodotti non testati su animali” di Antonella De Paola (Edizioni Cosmopolis), compilata dopo una meticolosa analisi degli studi dì consumo critico. E se, a Natale, si vuole fare un regalo “benefico”, oppure un investimento, è doveroso scegliere gli organismi giusti, strutture che non finanzino né utilizzino la ricerca su animali. Per averne la certezza, basta rivolgersi a compagnie come “Ethical Investors Group”, che dal 1989 garantisce il servizio Cruelty Free Money; in altre parole, evita di proporre investimenti in aziende legate alla produzione, alla lavorazione o alla vendita di prodotti testati su animali o all’industria zootecnica (http://www.ethica/investors.co.uk/cfm.htrn). Ottima idea l’aiuto monetario immediato per rifugi e canili. Devono essere però di comprovata serietà e trasparenza; le adozioni a distanza vanno verificate. Niente cuccioli sotto l’albero (che sarà artificiale, anche le piante hanno un’anima), perché non sono giocattoli e per non incentivare il commercio di cani, gatti, furetti e altri piccoli animali. Se davvero i vostri amici apprezzerebbero una bestiola - e, ovvio, hanno tempo, capacità e voglia di occuparsene - sceglietela al canile (molti hanno anche i gatti). Anche per quanto riguarda gli intrattenimenti classici delle festività invernali, il comportamento deve essere coerente con la scelta cruelty free: no al circo e allo zoo. Un buon libro? E. Barbero, A. Cattelan, A. Sagramora, “La cucina etica”, Edizioni Sonda, www.sonda.it.; M. Correggia, “Manuale pratico di ecologia quotidiana”, Oscar Mondadori, www.mondadori.it.; A. De Paola, “Guida ai prodotti non testati su animali”, Edizioni Cosmopolis, www.edizionicosmopolis.it; Centro Nuovo Modello di Sviluppo, “Guida al consumo critico 2003”, Edizioni Emi, www.emi.it.; S. Momenté, “Il vegan in cucina”, Macro Edizioni, www.macrolibrarsi.it.; E. Moriconi, “Le fabbriche degli animali”, Edizioni Cosmopolis, www.edizionicosmopolis.it; C. Patterson, “Un’eterna Treblinka”, Editori Riuniti, www.editori riuniti.it. IL CITTADINO 4 dicembre 2003 - “A muso duro” contro chi fa violenza agli animali. Chris DeRose in conferenza di Rosella Redaelli È stato un’importante attore hollywoodiano, ma ora la vita di Chris DeRose è tutta dedicata alla salvaguardia degli animali. Sabato sera alle 21 presso la “Casa del Volontariato” di Via Correggio, ci sarà anche lui, ospite dell’associazione animalista Oltre la specie, per presentare la traduzione italiana del suo libro “A muso duro”. Un libro che è il resoconto in diretta di come Chris DeRose ha investigato e di come alla fine, ha incastrato alcuni tra i più corrotti e spietati ladri di animali da compagnia operanti negli Stati Uniti. Non una cronaca distaccata, ma l’appassionata storia di un profondo coinvolgimento personale. Per la sua attività Chri DeRose è il rappresentante più importante del movimento animalista americano e fondatore della più nota associazione “Last Change for Animals”. Per la sua attività raccoglie consensi anche tra i colleghi dello spettacolo. Di lui, Kim Basinger ha detto “Sa dove colpire, parla senza peli sulla lingua, e non teme alcun avversario. Chris è un vero amico degli animali e molte volte, per loro, ha messo a repentaglio la sua stessa vita. Vorrei che ci fossero più persone come lui”. “Attualmente la sua intera vita è dedicata a smascherare e combattere il giro di furti di animali domestici e altre forme di sfruttamento degli animali” spiegano i responsabili di Oltre la Specie “ha incastrato parecchi ladri di animali domestici e ha lottato contro la follia e l’ingiustizia della sperimentazione animale”. La serata è ad ingresso libero. GALILEO 22 novembre 2003 - “Torturati per una scatoletta, esperimenti per il pet food” di Daniela De Vecchis Completi e bilanciati, ricchi di omega 6 per un pelo lucido e sano, di fibre speciali per una buona digestione, di vitamine per rafforzare le difese immunitarie o, se il caso, in versione “light” per dimagrire. Chi possiede un cane o un gatto ha letto molte volte descrizioni di questo tipo sulle scatolette, sulle buste dei croccantini e sulle relative pagine pubblicitarie. Senza immaginare che le industrie del pet food possano compiere nei loro laboratori esperimenti cruenti proprio sugli animali. Motivi che lo scorso 17 novembre hanno spinto l’Organizzazione internazionale per la protezione degli animali a chiedere ai responsabili legali di alcune aziende produttrici di pet food di sottoscrivere una dichiarazione sull’utilizzo o meno di animali nei propri laboratori o in altri in “outsourcing”. L’iniziativa parte, in realtà, dal 1998. “Quell’anno”, racconta Antonella De Paola autrice di una “Guida ai prodotti non testati su animali” (Ed. Cosmopolis 2001), “la Lega antivivisezione, ottenuto dal Ministero della Salute l’elenco delle società italiane autorizzate a effettuare esperimenti su animali, rese noto che Friskies Italia era in possesso di un’autorizzazione ministeriale alla vivisezione su animali ‘minori’: uccelli, roditori, pesci e tartarughe. L’azienda si difese sostenendo che presso il suo stabilimento di Bertiolo, vicino Udine, gli animali venivano trattati benissimo e tenuti in cattività al solo scopo di osservare le loro preferenze alimentari”. Rimaneva però il mistero del perché la Friskies avesse bisogno di un’autorizzazione ministeriale alla vivisezione per “osservare” gli animali. “I dubbi si rinforzarono”, continua De Paola, “quando si scoprì che il mangime per pesci, uccelli e roditori commercializzato in Italia viene prodotto da Friskies France: perché studiare le preferenze alimentari degli uccelli se poi si produce solo mangime per cani e gatti?”. A partire anche dall’esperienza di People for Ethical Treatment of Animals (Peta), British Union for Abolition of Vivisection (Buav) e Uncaged Company, le maggiori associazioni animaliste nel mondo, che documentavano gli esperimenti cruenti su animali, cani e gatti inclusi, condotti dalle multinazionali del settore, “nel febbraio di quest’anno”, continua De Paola, “abbiamo stimolato una protesta anche in Italia contattando, via e-mail, un gran numero di associazioni, siti, gruppi, mailing list chiedendo loro di aderire a una sorta di “coordinamento scatoletta no-cruelty”. Il primo obiettivo era quello di convincere Friskies a rinunciare alla sua autorizzazione alla vivisezione, il secondo di indagare sul comportamento delle altre aziende, scrivendo loro delle lettere e, sulla base dei risultati, stilare un elenco di mangimi da sconsigliare ai consumatori. Con l’esclusione di Affinità petcare (proprietaria, tra gli altri, dei marchi Advance, Cat/Dog Chow), che si è dichiarata estranea alla pratica della vivisezione, le altre multinazionali (Nestlè, proprietaria di Friskies e Purina; Procter & Gamble, proprietaria dei marchi Iams ed Eukanuba; Mars, proprietaria dei marchi Pedigree e Royal Canin; Colgate Palmolive, proprietaria del marchio Hill’s) non hanno risposto”. Il silenzio della Iams è tuttavia molto eloquente, visto che nei suoi confronti pesano le immagini shock realizzate dalla Peta, rese note lo scorso aprile. “Gli animali vivono in gabbie strette, sporche e scomode”, dice Peter Wood, membro della Peta, che ha investigato per nove mesi uno degli stabilimenti della compagnia, “così piccole da impedire loro un movimento adeguato fino a farli impazzire. Così sporche da trasformarsi in veicoli di infezioni. Così scomode a causa delle sbarre di metallo di cui si compone il pavimento, tanto che le loro zampe riportano continue ferite”. Il pretesto è quello dei “taste test”, semplicissime prove di appetibilità: “in base alla quantità di scatoletta o di croccantini mangiati”, continua Wood, “si può capire quale è il gusto dell’animale. Lo stesso obiettivo, tuttavia, può essere raggiunto dando il cibo agli animali nei rifugi, nei canili o tramite gli “home test”, le prove di gusto effettuate su cani e gatti domestici dagli stessi proprietari”. Gli esperimenti sui prodotti dietetici e curativi, poi, potrebbero essere condotti nelle cliniche veterinarie, sui soggetti affetti dalle patologie di interesse, senza doverle indurre negli animali sani. “Noi invitiamo i consumatori a non comprare quelle marche che testano i prodotti sugli animali (sul sito dell’Oipa si trovano le liste delle marche “buone” e “cattive” continuamente aggiornate)”, afferma De Paola, “e, magari, chiedere al proprio negozio di fiducia o scrivere ai supermercati di non importarli, dopo averli ovviamente informati”. Inoltre, è possibile nutrire gli animali domestici con una dieta bilanciata, senza che, per questo, alcun animale abbia sofferto. “Con un po’ più di pazienza”, conclude De Paola, “possiamo cucinare prodotti freschi e naturali utilizzando magari particolari accorgimenti (per esempio niente sale, riso molto cotto e così via) che il veterinario può senz’altro consigliarci”. D LA REPUBBLICA DELLE DONNE (allegato a Repubblica del 11 ottobre 2003) “Spontaneo come un movimento” di Rosella Denicolò Terapie alternative. Si chiama “Autentic Movement” la tecnica che insegna fidarsi degli impulsi che guidano il corpo. E una danza libera capace di metterci in contatto con le nostre segrete emozioni. Il movimento è un lievito per le sensazioni: con queste parole Jacques van Eijden, direttore dell’Institute for Somatic Movement Studies di Amsterdam, introduce la sessione di Movimento Autentico. Sono a Roncegno alla Casa Salute Raphael, un centro termale e di medicina antroposofica, dove anche le cose nuove sanno di tempo passato. Qui, il silenzio è considerato una cura. Camminiamo nella stanza e improvvisamente Jacques ci chiede di scegliere un partner. Siamo in ventiquattro a partecipare a questo gruppo e il mio sguardo si rivolge immediatamente verso Silvio, un uomo di quarant’anni che insegna shiatsu a Brescia. I nostri corpi di dispongono uno verso l’altro. Rimango sorpresa perché è come scegliere senza aver scelto. Come se la mente, con tutte le sue facoltà di valutazione, di giudizio, il suo eterno desiderio di soppesare i pro e i contro, si fosse messa un po’ da parte e a scegliere fosse stato il corpo stesso. Ed è proprio questa la chiave - mi accorgo dopo un pò - per entrare nel Movimento Autentico. Jacques ci dà poche istruzioni: “Fidatevi del flusso degli impulsi”, dice, “e prima di muovervi aspettate che ci sia un impulso al movimento. Come se, invece di muovervi, foste mossi. O vi lasciaste muovere”. Non c’è nessuna tecnica da imparare, nessun risultato da raggiungere. Guardo Jacques un po’ confusa. Cosa significa lasciarsi muovere? Lasciare da parte la volontà? Lasciare che il movimento accada? Sono domande a cui non posso rispondere. È come se la mia stessa mente rimanesse sospesa, in stand by. Dev’essere così che succede anche con i Koan dello Zen. Il maestro offre una domanda al discepolo tipo “Qual è il suono del battito di una sola mano?”. Il discepolo tiene con sé la domanda e lascia che la risposta arrivi. Chissà da dove. Ma forse non è un problema di luogo. La struttura di questa sessione di movimento autentico è abbastanza semplice: per venti minuti un partner sta all’interno del cerchio costituito dalla metà del gruppo, e si muove. Diventa il movers, come si dice in gergo tecnico. L’altra metà dei partecipanti costituisce il cerchio: sono i testimoni. Segue e protegge il movimento. C’è bisogno di questa protezione perché il movers tiene gli occhi chiusi per tutto il tempo. Si muove senza vedere e potrebbe andare addosso a qualcun altro, oppure uscire dal cerchio, sbattere contro un mobile, inciampare. Seguono dieci minuti di condivisione, durante i quali i due partner raccontano ciò che hanno vissuto, poi si cambia di ruolo. Silvio inizia per primo e si stende sul pavimento. Lo osservo in silenzio. Le persone all’interno del cerchio a poco a poco cominciano a muoversi. Solo Silvio rimane fermo. Sono perplessa: è l’unico del gruppo a stare disteso, senza fare nulla. Ma Jacques ci aveva chiesto di seguire un flusso autentico di movimento e di muoverci solo se l’impulso a muoversi si innestava. Guardo il gruppo: qualcuno si muove più lentamente, sposta solo un braccio o solo la testa, altri gattonano, altri ancora sono in piedi. C’è molta armonia in questi gesti e non mi stupisce che il Movimento Autentico venga utilizzato dai coreografi come fonte di ispirazione per nuove forme di danza. Solo Silvio rimane disteso. Mi sembra immobile, poi guardando con più attenzione noto piccoli fremiti delle gambe. Il vivente non è mai immobile, penso. I minuti passano e la mia attenzione è sempre più concentrata sul corpo di Silvio. Continuo a seguire il suo movimento, che è così sottile da non avere quasi apparenza. Forse sto mettendo a fuoco l’invisibile. Oppure, come diceva Moshe Feldenkrais, uno dei grandi geni del nostro secolo nello studio del movimento, mi è possibile cogliere differenze di stato così minuscole perché lo stimolo è ridotto al minimo, perché è tutto così rallentato. “Ho sentito che l’autenticità era nello stare e non nel fare”, mi dice Silvio, alla fine dei venti minuti. “Sentivo il bisogno di prendermi spazio, senza dover corrispondere a nessun modello. In quello stato di quiete un movimento più sottile ha preso forma. Appena percettibile, interno”. E il mio turno, mi distendo sul pavimento di legno di questa bella stanza antica, con gli affreschi e le vetrate che danno su un parco verdissimo. Chiudo gli occhi e mi sento protetta da questo involucro di bellezza. Mi chiedo se rimarrò anch’io ferma come Silvio, oppure se il mio movimento autentico sarà più manifesto. Sto in attesa, con curiosità. Passa qualche minuto, o forse qualche secondo. Non lo so. Quando si chiudono gli occhi e si porta l’attenzione alle sensazioni interne del corpo, il tempo segue linee che non sono rette. Diventa, per così dire, einsteniano. Relativo, insomma. Poi sento un impulso che parte dal collo. Mi trovo a pancia in giù, come portata da un movimento che non dirigo. Prima è lento, come esplorativo, poi più veloce. Mi muovo come una lucertola. Mi sento piena di vitalità, forte. Improvvisamente il movimento si ferma. Continuo a osservare quello che mi accade, come fosse attivo un testimone interno. Sento l’impulso di sollevarmi da terra. Ci provo una, due volte, forse tre, ma la testa ricade come fosse troppo pesante. Ricade e batte sul pavimento. Il suono è proprio quello di quando i bambini fanno i loro tentativi di mettersi in piedi. Non mi faccio male. Mi sento piccola: forse ho un anno, o poco più. Ho anche l’impressione che non ci sia nessuno a proteggermi. Allora il mio corpo si arrotola su se stesso e una mano si avvicina alla bocca. Riapro gli occhi e con sorpresa trovo Silvio davanti a me. Ci metto un po’ a orizzontarmi e a ritornare nei miei panni di donna adulta. Un salto di 40 anni non si fa tutti i giorni. Un mondo flessibile Il Movimento Autentico è utilizzato anche in ambito terapeutico ed è l’unico lavoro corporeo riconosciuto dalla scuola psicanalitica junghiana. “L’unico e con riserva”, dice Anna Piccioli, danzaterapeuta insegnante di Movimento Autentico di Roma. “Gli psicanalisti amano molto le parole e troppo poco il movimento. Eppure grazie a questo lavoro è possibile creare un ponte conscio e inconscio. Quando chiudiamo gli occhi e ci lasciamo muovere, entriamo nel nostro mondo interno. Possiamo vivere momenti dì regressione, come è successo nella sua esperienza. Possono emergere memorie antiche ed episodi traumatici. La cosa interessante è che impariamo ad attivare un testimone interno, che diventa la prima risorsa di guarigione. E un po’ come se dessimo al corpo un spazio per parlare, senza interferire con la mente. Uno spazio dove l’intelligenza intrinseca si può esprimere. Poi, al di là di queste cose molto grosse, possiamo dire che il movimento autentico è un modo per rigenerarsi e quindi anche per ringiovanire. Quando il corpo ha spazio, si concede finalmente i movimenti che gli servono per riassestarsi, per eliminare tensioni o memorie che non gli servono più. Detto in altri termini, è un reset”. Secondo gli esperti di body work, il Movimento Autentico è un vero e proprio allenamento del sistema motorio involontario, un modo per rigenerare il corpo. “Il Movimento Autentico è una vitamina per la spontaneità”, spiega Piera Teatini, insegnante di Body Mind Centering di Milano. Una sorta di enzima che permette ai processi metabolici di attivarsi e ha una funzione di integrazione e riorganizzazione dell’organismo”. Muoversi liberamente, senza una struttura, fa bene. La regia che governa i movimenti volontari è infatti molto diversa da quella che dirige i movimenti involontari. “Quando devo fare un nuovo movimento di danza, o movimenti di estrema precisione è necessario il continuo controllo della parte corticale del cervello”, spiega Alberto Oliverio, psicobiologo. “In un certo senso il movimento è più faticoso, contiene più sforzo. Nel movimento involontaria è invece il sistema extrapiramidale ad attivarsi: i nuclei nervosi cioè che hanno il compito di rendere fluidi i movimenti, che danno ritmo e cadenza”. A cura di Anna Piccioli è appena uscito in libreria un libro che si intitola appunto “Movimento Autentico”, pubblicato da Cosmopolis, e che raccoglie gli scritti delle creatrici di questo metodo: Mary Whitehouse, Joan Chodorow e Janet Adler. Per corsi e seminari: Art Therapy Italiana, 051.644.0451, oppure [email protected] SETTEGIORNI (allegato a La Stampa 26 settembre 2003) “Storie di città” di Bruno Gambarotta Avevo una gran voglia di visitare il primo “Vegfestival” organizzato a Torino lungo un viale del Valentino, un piccolo villaggio nato per illustrare i vantaggi del mangiare vegetariano. Ma anche il timore che qualcuno, riconoscendomi, si mettesse a gridare, indicandomi, “C’è un cadaveriano tra di noi! Ha cantato le lodi del bollito misto! Diamogli addosso!”: Timori infondati; se il ripudio del cibo di origine animale è una fede, si tratta di una religione mite, gentile, che non pretende di convertire con la forza gli infedeli ma di convincerli con argomenti solidi. In questa prima rassegna i banchi che esponevano libri e opuscoli erano almeno pari a quelli che proponevano cibi. Non è solo una pratica uno stile di una conversione che deve essere proclamata e servire da esempio. Come quelli che non si accontentano di andare in bicicletta ma ne fanno una filosofia. Ho così imparato la differenza fra vegetariano e vegano; il primo non mangia came ma non ripudia i derivati animali conio latte e uova, il secondo pratica invece mi ideale di rigore assoluto. Era vegano il ristorante allestito sotto un tendone che, mi dicono, ha servito il triplo dei pasti che gli organizzatori avevano previsto, spia di un successo che è andato oltre ogni più rosea aspettativa. Lo gestiva Cristina Gioanetti del “Sesamo’s Kitchen”, che ha avuto la gentilezza di spiegarmi il contenuto dei piatti dei due menù proposti, Arca e Stella. Si rimane colpiti dallo sforzo che gli ideatori di queste portate fanno per imitare i cibi che mangiano i carnivori. Per esempio nell’insalata russa la maionese - non è fatta con le uova ma con il latte di soia ma poi si usa la curcuma per colorarla di giallo e farla sembrare “vera”. Leggi sul menù “canapè di caviale hiziki” e pensi che le uova se sono di storione e non di gallina vanno bene. Invece no, il caviale hiziki è fatto con alghe giapponesi nere tagliate a pezzettini e condite con limone, olio, - tanto aglio e prezzemolo. Sono le loro acciughe al verde. Il menù prevedeva anche gli “straccetti di seitan” che è un glutine - di grano inventato dagli “Avventisti del Settimo Giorno” per venire incontro a un precetto religioso e che è la cosa più vicina alla came di vitello, mentre il “tofu” è il loro formaggio, fatto con latte di soia cagliato con cloruro di magnesio o succo di limone. Questo bisogno di mimetizzarsi della cucina vegetariana, quasi si vergognasse di proporsi nelle sue vesti originali, ricorda molti piatti della nostra cucina povera, tra cui gli stupendi “pes coi”, i pesci cavolo, involtini di foglie di verza contenenti carne macinata, a imitazione di pesci pregiati fuori dalla portata economica. Mia mamma friggeva metà funghi porcini e metà fette di melanzana e tutto sembrava fungo, come quando ad Alba mescolano i tartufi albanesi con un loro esemplare. Ma con i prezzi attuali delle verdure, conviene friggere soltanto funghi e far credere che siano tutte melanzana. Uno degli argomenti forti usati dai missionari del vegetariano è il resoconto sulle condizioni atroci in cui vengono allevati gli animali in attesa di essere macellati. Enrico Moriconi, medico veterinario, consigliere regionale dei Verdi in Piemonte e promotore di “Vegfestival”, ha scritto un libro per documentare le sofferenze inflitte agli animali “Le Fabbriche degli Animali, mucca pazza e dintorni”, pubblicato dalle Edizioni Cosmopolis, con un corredo di fotografie di grande impatto emotivo. Se uno lo legge e soprattutto se visita una di queste fabbriche, difficilmente poi torna a mangiare carne. Come fare? Per latte, formaggio e uova non ci sono problemi, ma per la carne? Non si può tornare ignoranti o far finta di niente. Si potrebbe adottare un animale, seguirne passo passo la crescita, andarlo a trovare la domenica, ma poi finisce che ti affezioni e lo lasci morire di vecchiaia. A me piacciono molto le ali di pollo bollite e poi fritte nel sesamo: si potrebbe tagliargliele in anestesia al day hospital, tanto loro già prima non le usavano per volare, ma poi chi avrebbe il coraggio di guardare in faccia il pollo mutilato per il nostro piacere? Che guaio! Intanto però una cosa è certa, questi apostoli del mangiare vegetariano, come tutti coloro che sono posseduti da una passione, hanno facce intense e una luce negli occhi che noi, chini sul carrello dei bolliti, abbiamo perso. Come sono belle queste donne che non si truccano, che hanno sul viso i segni del tempo e delle esperienze; che lasciano ai capelli il loro colore naturale! Come sono vere, materne, confidenti! Non sono in guerra con l’altro sesso e perciò non devono mascherarsi. Esci dal villaggio e ti, ritrovi a passeggiare fra rotoli di ciccia che schizzano fuori fra il bordo dalla camicetta e la cinta dei pantaloni, elastici di mutande bene in vista, mostruose scarpine con punte di mezzo metro. È la moda, bellezza!