Recensione_La_regina_delle_nevi

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Recensione_La_regina_delle_nevi
Gianmarco Nicoletti,
La regina delle nevi,
Pellegrini Editore 2012
Recensione di
Francesca Caputo*
Come metodologia, scopo e punto di partenza, per l’analisi del libro di Gianmarco Nicoletti, propongo una
lettura ermeneutico-critica del testo riferendomi alla dimensione concettuale a cui rinvia, alle
rappresentazioni anche di tipo simbolico presenti e, infine, alla struttura del libro.
Il romanzo La regina delle nevi si colloca nel filone gotico-fantastico per linea narrativa, ma sono ben
radicate all’interno dell’opera contaminazioni poetiche intrecciate in modo da formare un tutto
indistinguibile di irreale e introspettivo. All’interno dell’opera l’Autore inserisce le poesie: Vite spezzate,
Anima nera, Ansia, da cui traspaiono turbamento, scavo interiore, dimensione solitudinaria e introspettiva,
necessità e capacità di esprimere una miriade di moti dell’animo. Le situazioni proposte sono notevolmente
diversificate: ci si ritrova a vagare in un mondo sospeso tra spazio reale e irreale, tra fantasia e incubo, tra
vita e morte, in cui i lati oscuri e l’inquietudine di Selene, la protagonista, si dispongono come un filo
sospeso. Il romanzo focalizza la nostra attenzione verso ciò che è altro, sconosciuto, proiettandoci verso il
mondo della fantasia e dell’irrazionale. Per questa via Gianmarco Nicoletti ci conduce in una dimensione
instabile, fluttuante, in un confine incerto tra il sogno o l’incubo e la veglia, in un tempo oscillante tra
passato e presente: vampiri, situazioni misteriose, inaspettate e di estrema tensione, sono alcuni degli
elementi che enfatizzano il fascino della narrazione. Eros e Thanatos, inizio e fine, due opposti
dialetticamente convergenti, si intrecciano nel romanzo come due fili narrativi, sortendo un effetto spaesante
e, al contempo, affascinante. In Nicoletti, il sentimento panico dell’esistenza, la vena simbolica, allusiva,
piena di mistero, di intonazione decadente e decadentistica, si inquadrano in una critica della “realtà”, nel
cercare rifugio per la propria insicurezza esistenziale verso altri luoghi. L’altro-da-sé, il distinto, il differente,
che risultano incomprensibili perché non classificabili secondo schemi definiti, rimangono sempre una fonte
inesauribile di stimolo per la produzione testuale. Il viaggio di Selene, sullo sfondo di una Londra reale e
insieme spettrale, si colloca nella direzione di una indagine sulla propria identità in cui lo scandagliare
retrospettivo sulle proprie origini costituisce la condizione essenziale per l’esplorazione introspettiva sul
proprio presente. Lo iato che separa l’io dal reale evoca un disordine esistenziale avvolto nell’ostile
invadenza dell’oblio, un disordine labirintico, espressione di contraddizione e lacerazione interiore. Non a
caso la ragnatela fitta e oscura, cui si fa riferimento nel testo, induce ad ancorare l’ispirazione tematica
dell’opera al Caos e all’Ordine al contempo, prospettando, da questa angolazione, il processo in cui l’essere
cambia e si modifica durante la sua esistenza. In assenza di una saldatura tra soggetto e oggetto, tra reale e
illusorio, l’identità della protagonista si disarticola nella lotta disperata per ricostruire la propria umanità
perduta. Selene è una vittima che cerca la sua salvezza nell’incessante anelito verso una riparazione che le
restituisca la possibilità di poter disporre della sua esistenza senza terrore e tormenti. Sulle ali di Italo
Calvino e del suo racconto Dall’opaco (1971) potremmo parlare di un io scomparente nell’opaco e
nell’ombra, contrapposti al brillare della luce, ma che, tuttavia, costituiscono un insieme liberatorio e
produttivo per la vita e per il divenire del mondo. In un recente romanzo Twilight (2005), che testimonia la
vitalità del filone gotico-fantastico, della scrittrice statunitense Stephenie Meyer, il titolo italiano Crepuscolo
indica, appunto, quella zona di ombre e oscurità in cui si generano fantasmagorie mentali, espressione
dell’ambivalenza di forze che governano l’uomo come organismo vivo e pensante, che rappresentano il
mistero della nostra essenza, di tutto quello che siamo, di tutto quello che facciamo. Gianmarco Nicoletti si
innesta sulla scia della narrativa gotico-fantastica raccogliendone le forme e gli ingredienti: l’idea di una
realtà parallela a quella percepibile coi sensi, carica di mistero e di inquietudine (sulle ali di Edgar Allan
Poe); la figura del vampiro, creduto per molto tempo una presenza reale, in particolare nell’area danubianobalcanica e nell’est europeo, che diviene personaggio letterario con l’inglese John Polidori (Il vampiro,
*
Dottore di ricerca e cultore della materia in discipline pedagogiche; docente di materie letterarie nella scuola
secondaria di secondo grado.
1
1816) e, soprattutto, con Bram Stoker, autore del capolavoro Dracula (1897); l’amalgama di due
convenzioni narrative, quella del soprannaturale e quella del quotidiano introdotte da Horace Walpole (il
padre fondatore del romanzo gotico con l’opera Il castello d’Otranto (1764) - convenzioni narrative prima
di Walpole totalmente inavvicinabili tra loro e il cui scopo è quello di suggerire al lettore misteriose
corrispondenze tra una realtà fisica esterna e una interna e psicologica.
L’azione nel romanzo di Nicoletti si sviluppa con ritmo ora rallentato ora teso e concitato e presenta più di
un momento di massima tensione (Spannung) narrativa; la suspense è accentuata da rinvii, digressioni, frasi
esclamative o interrogative; il lettore intuisce che qualcosa di grave sta per accadere ai personaggi e vive uno
stato d’animo di attesa e di curiosità; la conclusione lascia spazi aperti a dubbi e ipotesi. Influenze
romantiche come il fascino per l’ignoto, realtà oscure e sconosciute, la scissione io-mondo e il concetto di
Sehnsucht (nostalgia), sono tra i colori che fanno da sfondo alla storia. Dall’opera, peraltro, si possono
desumere altri tasselli concettuali e simbolici che aprono anche a riflessioni di carattere antropologico e
filosofico e che comportano il ricorso ad alcune categorie concettuali centrali: “freddo” e “sangue”. Il titolo
stesso,
La
regina
delle
nevi,
evoca
una
particolare
atmosfera
di
paura, di
inquietudine, di solitudine, di malinconia. Può essere utile per questa analisi l’Illustrazione di copertina: lo
sfondo nero ci conduce in un mondo buio, di notte, scenario d’azione vampirico. Questo sfondo vibrante
nero è contornato da sfumature di rosso che danno l’idea dell’odore del sangue; la neve, che si intravede
rimanda, invece, all’idea del freddo. Servio, l’antico commentatore di Virgilio, nel suo celeberrimo
commento all’Eneide (Commentarii in Virgilium Serviani: sive commentarii in Virgilium), con dotta
argomentazione, ci informa che in latino il campo semantico di “freddo” e di “paura” erano largamente
sovrapponibili (come del resto anche nell’italiano di oggi, in espressioni del tipo “mi è venuto freddo”, cioè
“ho avuto paura”): Frigore: timore. Et est reciproca translatio; nam timor pro frigore et frigus pro timore
ponitur (Servius, Aen. 1, 92, Servii Commentarius, volume 1, Gottingae 1826, p.25).
Le sfumature rosso-sangue si possono, invece, correlativamente, legare alla triade vita-esistenza-essere. La
neve evoca uno stato d’animo di intensa malinconia e si intreccia con la presenza della morte (del sangue); il
sangue è, però, antitetico al freddo. Il freddo, il ghiaccio diventano indice di straniamento e proprio
l’estraneità permea minacciosa ogni cosa. Il più noto teorico del ‘freddo’ è stato Lovecraft, autorevole
continuatore della tradizione del romanzo dell’orrore iniziata da Edgar Allan Poe, pioniere della fantascienza
gotico-fantastica. L’angoscia che Lovecraft riversa nei suoi racconti deriva dal particolare contesto storico in
cui vive, un’epoca segnata dall’incertezza e dal relativismo. Accogliendo la lezione di Lovecraft, Gianmarco
Nicoletti dispone la trama della narrazione e le sue modalità sulla linea di un viaggio all’interno della propria
interiorità con l’intento di conoscersi, di ritrovare la ragione delle cose e del proprio vivere in rinvio ad una
realtà insondabile, ignota, riducendo i fatti e le vicende raccontate a immagini perturbanti e, perciò stesso,
tremendamente significative (appunto i vampiri). Il binomio freddo-paura, a cui rinvia La regina delle nevi, è
tutt’altro che negativo. La paura per l’uomo rappresenta un elemento culturale fondamentale, che è possibile
rinvenire all’interno delle strutture portanti di tutta la nostra civiltà. Il terrore e il terrificante, cioè i mezzi
umani e i mezzi vampiri (com’è il caso di Selene) o i vampiri, la strega Morgana, personaggi centrali del
romanzo di Nicoletti, rivestono sicuramente una funzione catartica, liberatoria (nel senso pensato da
Aristotele nella Poetica) perché ci mettono di fronte alle pulsioni di vita e di morte che si dibattono nel
nostro interno stimolando reazioni e emozioni. Attraverso le immagini del terribile, dell’ignoto,
dell’inspiegabile, seguendo Aristotele, si vuole aprire alla comunicazione la via per raggiungere il sé più
profondo. È su questo substrato che si innesta il discorso di Nicoletti e su tale viabilità, secondo percorsi
paralleli reali e irreali che tendono a sovrapporsi, attraverso una trama avvolgente, coinvolgente e anche
sorprendente, l’Autore propone un percorso, una ricerca interiore tra le paure e le angosce dell’individuo,
atterrito dalla solitudine di fronte alle grandi scelte e alle decisioni quotidiane, impaurito di fronte al bisogno
di ritrovare il senso della propria esistenza. Ciò che emerge è il bisogno contraddittorio di evocare e di
esorcizzare la paura dell’altro, un universo nascosto in cui coesistono ombre e oscurità. La suspense è un
elemento decisivo per collocare l’opera nel solco della ‘narrativa del perturbante’: non siamo solo di fronte
ad un intrico di situazioni, ma, se mai, siamo alla ricerca di emozioni in crescendo. Certamente i diversi
elementi che suscitano fascino nel lettore, come, tra l’altro, rendere verosimili e credibili situazioni
impossibili, un certo decadentismo, il taglio romantico di personaggi in qualche modo isolati dalla società,
configurano un percorso destabilizzante di forte tensione formativa.
La filosofia antica ha individuato e raccolto le potenzialità insite nel concetto di paura. Nella Retorica (II, 5,
1382 a 20 e sgg.) Aristotele descrive mirabilmente l’emozione della paura ancora oggi più o meno valida:
“Diciamo adunque che il timore sia un certo dispiacere, o una perturbazione che proceda
dall’immaginazione d’un futuro male, o pernizioso, o doloroso; perciocché non tutti i mali si temono, come
non si teme l’avere a diventar ingiusto, ovver tardo; ma solo sono paurosi quelli che sono possenti di fare o
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gran pernizie, o gran dolore”. A parte l’esplorazione epistemologica o la sublimazione anche religiosa, il
fascino per ciò che è sconosciuto si è manifestato sin dall’antichità in forma di paura. Eros e Thanatos ne
sono stati le muse. E Thanatos ha avuto una stretta relazione con Phobos e Deimos (figli di Ares, dio della
guerra, rispettivamente paura e terrore). La letteratura l’ha dimostrato compiutamente. Ci sono molti tipi di
paura: la paura per la Fame, per la Guerra, per la Peste, per la Morte... C’è tuttavia un altro agente della
paura: Pan, la paura sacra: il panico prodotto da ciò che sta fuori dell’esperienza quotidiana, la cosa
sconosciuta. È cioè il tipo di situazione che sfrutta la narrativa fantastica. In questo caso, la paura è
un’emozione che ci induce alla fuga per evitare la causa del turbamento e per permettere la restaurazione
della situazione precedente, nella quale il nostro essere si sentiva sicuro e stabile.
Viene anche alle mente, a questo proposito e non da ultimo, la dialettica hegeliana “servo-padrone”. Nelle
famose pagine della Fenomenologia hegeliana, che sono tra le più famose della storia della filosofia, la paura
è trattata in un modo differente e con un significato sostanzialmente opposto a quello che ci ha trasmesso
Aristotele. Fra le due coscienze in lotta (servo-padrone) prevale quella che sa sfidare la morte, sa vincere la
paura della morte, come ciò che la nega, e riesce, quindi, proprio attraverso la vittoria sul negativo e, quindi,
al superamento (Aufhebuung) di esso, a divenire autocoscienza (Selbstbewusstsein). L’altra coscienza,
invece, che ha avuto timore della morte, che non riesce a superare il momento della negazione, non
raggiunge lo stadio dell’autocoscienza, ma resta ferma al livello della coscienza naturale e diviene serva
dell’altra, che si insignorisce.
Così l’intentio operis, le ragioni del testo, del nostro Autore, il suo germe, diciamo, il dato contingente da
rilevare per inserirlo nel più vasto quadro della letteratura gotico-fantastica e della vita a cui il testo rimanda
che ha a che vedere con la paura, con la sua funzione catartica e tentatrice, ci spinge, ci fa avvicinare alla
soglia, all’utopia, al vedere un possibile mondo diverso, all’utopia, appunto, come prospettiva aperta.
L’opera di Nicoletti, come appare evidente da quanto fin qui esposto, risulta estremamente interessante in
un’ottica comparativa e di confronto con il genere narrativo fantasy del passato e del presente.
L’illustrazione di copertina e il testo della quarta di copertina che rinviano al buio, alla notte, restituiscono le
molte notti abitate dalla Lucy del Dracula di Bram Stoker, la Lucy che dopo il morso di Dracula si sottrae
alla società puritana dell’Inghilterra vittoriana che l’esorta al matrimonio e alla fedeltà, infatti diventa un
vampiro a sua volta e inizia a dare la caccia ai bambini per succhiare loro il sangue. Se volgiamo lo sguardo
in estrema sintesi al filone fantasy, misurandoci con coloro i quali ne sono maestri, in special modo nella
letteratura anglofona, ci troviamo di fronte ad elementi di rilevanza sociologica, antropologica, psicologica,
filosofica... Battaglie epiche, creature mitologiche, spedizioni verso l’ignoto, fenomeni soprannaturali... sono
alcune delle caratteristiche tipiche della letteratura chiamata fantasy. Un genere animato da tante storie
straordinarie e composto per aiutare la fuga dalla realtà verso mondi immaginari e viaggi meravigliosi. Non
c’è dubbio che la letteratura fantasy oggi sta vivendo un periodo d’oro, un’ondata di saghe letterarie come Il
Signore degli Anelli di Tolkien (scrittore britannico, filologo e linguista) (e il suo antefatto Lo Hobbit) o Le
Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, 1991 (l’epica saga fantasy di George R.R. Martin, scrittore
statunitense), tra molti altri. Autori come George Orwell, Jules Verne, Michael Ende, H. P. Lovecraft, Arthur
Conan Doyle e Richard Matheson hanno scritto capolavori di fantasia che dovrebbero essere scoperti (o
riscoperti). E il lavoro di Gianmarco Nicoletti si colloca sul solco tracciato da questo filone. La regina delle
nevi è piena di sorprese, di suspense, di stati di tensione, sulla scia delle saghe di vampiri del passato e del
presente. Fuga dalla routine in profondità con La regina delle nevi. L’autore sceglie di confrontarsi, tra
l’altro, con una delle più classiche icone orrorifiche: i vampiri. Tra tutti i miti e le leggende che hanno
alimentato le storie di mistero nel corso della storia vi è il vampiro. Immortale, spietato, romantico, sensuale
e dedito al sangue, il vampiro con la sua leggenda, in un modo o nell’altro, persiste nel folklore di molte
culture: egiziane, indù, centro europea. Esempi di autori che hanno utilizzato i vampiri nelle loro opere
erano già numerosi nell’ottocento, ma si sono moltiplicati nel novecento e oggi. Ci sono scrittori che ne
hanno sottolineato il lato terrificante, come nel caso di Lovecraft, altri hanno applicato le caratteristiche dei
vampiri a nuove creature, come nel romanzo Io sono leggenda del 1954, in cui lo scrittore americano
Matheson crea un specie di zombie con caratteristiche vampiriche. Fortunata la trasposizione
cinematografica di questo filone anche nella sua continuazione horror; negli ultimi anni diverse opere sono
state trasposte nel mondo del cinema, come Le notti di Salem, 1975, di Stephen King (scrittore e
sceneggiatore statunitense, tra i più celebri autori di letteratura fantastica), Cronache dei vampiri di Anne
Rice (scrittrice statunitense) e Dracula di Bram Stoker, rappresentato più volte con successo al cinema, fino
alla recente trasposizione ad opera del regista italiano Dario Argento, per citare solo alcuni esempi. La
regina delle nevi si riallaccia in modo esemplare a questo filone di narrazione e ben si adatterebbe, come gli
esempi sopra menzionati, ad una utilizzazione in chiave cinematografica.
L’opera di Nicoletti manifesta, inoltre, una forte tensione critica e utopica. Possiamo dire che egli intende
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varcare le zone più profonde della coscienza, alludendo a ciò che è per noi altro, non conoscibile, alla zona
insondabile della vita che dirama in noi. E il viaggio della coscienza alla ricerca delle proprie origini si
rinnova in questo romanzo come ricerca di rifugio, l’uscir fuori dalle proprie angosce, accentuando i dati
della conoscenza dell’orrore in rinvio alla figura perturbante del vampiro.
I vampiri sono di moda perché l’Occidente è “ossessionato” dall’eterna giovinezza e dal mito della bellezza,
perciò prende sempre più corpo la fantasia e in un tempo di crisi, come quello odierno, la gente vuole
sfuggire da ansie e preoccupazioni e accedere a nuovi universi oltre la banale routine.
Vorrei soffermarmi, infine, su altri punti di analisi che ritengo importanti: uno di questi riguarda il modo in
cui il testo si pone al servizio del lettore sulla base delle sue competenze e dei suoi interessi. La regina delle
nevi permette, in effetti, diversi approcci di lettura: da quello puramente fantastico, una passeggiata ricca di
magia, una fantastica avventura, che implica l’entrata in mondi differenti dal nostro, a quello profondo e
critico-riflessivo relativo al mondo esperienziale umano. Con riferimento a quest’ultimo approccio, l’opera
mette in luce le preoccupazioni degli adolescenti di essere se stessi, di vivere la loro vita, la solitudine nel
prendere le decisioni, la responsabilità e le difficoltà che devono affrontare prima di raggiungere l’età adulta.
Parlerei, dunque, di un percorso raffigurante la crescita personale di un individuo, piuttosto che di un mondo
di vampiri. Il romanzo di Gianmarco Nicoletti presenta, da questo punto di vista, diversi livelli di lettura e,
quindi, la possibilità di un ampio spettro di lettori e la possibilità di rispondere a diversi generi a seconda di
chi e come legge (siano essi adulti o adolescenti). Quindi, possiamo considerarlo un romanzo di fantasia e, in
un altro senso, di riflessione e di critica sociale. Questa combinazione di generi pone il lavoro all’interno di
una linea molto attuale della letteratura per l’infanzia, che permette di raggiungere molti lettori, poiché
riflette i gusti o le loro pratiche di consumo culturale più attuali.
L’opera si compone di 37 capitoli presentati nell’Indice con un titolo proprio. Ogni capitolo risponde ad una
unità temporale (giorno, scena ...) o una unità argomentativa (set di eventi che compongono un blocco
narrativo). Tra i valori letterari: la ricchezza del vocabolario, che rende il testo molto agile e scorrevole; le
descrizioni dettagliate di caratteristiche fisiche, abbigliamento, gesti, ecc.; la sensibilità dell’Autore nel
riflettere i sentimenti e i pensieri di alcuni personaggi; dialogo e azioni che si verificano con estrema rapidità,
in modo da razionalizzare la narrazione e contribuendo a incrementare l’interesse per la trama; il testo è
intessuto di esclamazioni, interrogazioni e frequenti ellissi - le esclamazioni, le interrogazioni, secondo il
discorso diretto, rafforzano l’azione portando il lettore nell’immediatezza della storia, così come le parti
mancanti di narrazione (ellissi) aumentano il sorgere di ipotesi del lettore; vi è un intreccio in cui prevalgono
tecniche di coinvolgimento quali la suspense e il coinvolgimento; i rallentamenti del corso dell’azione
aumentano lo stato di tensione, la trepidazione, l’attesa ansiosa; altri elementi di valore letterario: la
strutturazione temporale della storia, la tecnica narrativa del climax o Spannung, l’alternarsi di sequenze di
vario tipo per dare più enfasi alla trama; e, inoltre, l’articolazione di diversi livelli di lettura, come quella
simbolica, filosofica e pedagogica, è un fattore da prendere in considerazione nel valutare il valore di
quest’opera letteraria. La narrazione presenta una struttura ad incastro con diversi flashback per cui ci sono
alcuni eventi narrati in tempi diversi (abbiamo un presente che salta al passato e un passato che ritorna al
presente, non in funzione di un ordine o di una sequenza cronologica, ma in funzione di necessità insite nella
storia).
Non è certamente un lavoro monotono unidirezionale. Le pagine scorrono agevolmente, senza punti pesanti
nei quali si è tentati magari di saltare o di chiudere il libro. Non si può negare che l’Autore sia un narratore di
talento, abile nell’utilizzare meccanismi, trucchi, espedienti e nel saper padroneggiare i “ferri del mestiere”
dello scrittore. Siamo in piena letteratura d’immaginazione, una letteratura fresca, colorata e, direi,
soprattutto disincantata. Questo romanzo si pone come un viaggio di formazione per il suo incedere alla
ricerca della cosa misteriosa, assurda, paradossale, in una danza analogica che suscita incertezza per il
nuovo, per il diverso. Un viaggio formativo come avventura carica di rischi necessari da assumere, carico di
intersoggettività, in quanto riscatta le diverse forme di vedere la realtà e il valore dei pensieri e dei
sentimenti. Volendo avanzare una ipotesi conclusiva, si può affermare che il finale sospeso sembra
configurare, da un lato, una liberazione dalla vita inautentica che travolge l’uomo e le cose, dall’altro, lascia
presagire una metamorfosi o una fine come vanificazione dell’esistenza, ultimo rifugio di un vivere privo di
ragione e giustificazione.
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