periodo prenuragico e nuragico in sardegna

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periodo prenuragico e nuragico in sardegna
Il periodo riguardante la Sardegna prenuragica comprende un arco temporale
molto lungo che va dal 450.000 al 1.800 a.C., cioè fino al periodo in cui si
datano i primi protonuraghi. L'unica fonte di informazione attendibile sono i
dati archeologici che ci danno la possibilità di interpretare le abitudini di vita
dei primi uomini che popolarono la Sardegna.
Una diversa geografia
Circa 20 milioni di anni fa l'Isola non esisteva così come la vediamo oggi ma,
insieme alla Corsica, era ancorata al blocco continentale europeo. La zolla
sardo-corsa poi migrò progressivamente fino alla collocazione attuale. La forma
che ha oggi la Sardegna invece è geologicamente giovanissima, essendosi
formata circa 18.000 anni fa ed è considerata una terra molto stabile, si ritiene
infatti che non sia più a rischio sismico.
Sulle montagne del suo territorio si possono notare i segni dell'antica ed
incessante erosione e sulle coste sono evidenti il continuo variare del livello dei
mari che 18.000 anni fa era 110 metri più basso di quello attuale: la Sardegna
e la Corsica per lunghissimo tempo furono una unica isola.
La Preistoria in Sardegna
La Preistoria della Sardegna per lungo tempo è stata poco studiata. Gli studiosi
ritenevano che i primi insediamenti dell'uomo nell'Isola risalissero unicamente
al periodo Neolitico.
Successivamente - grazie ad degli scavi archeologici - sono state rinvenute
pietre scheggiate sicuramente risalenti al Paleolitico.Per questa scoperta
risalirono alla presenza dell’uomo al Paleolitico, il lunghissimo periodo
compreso tra i 450.000 e i 10.000 anni fa.
Vari elementi di cultura materiale, costituiti quasi essenzialmente da strumenti
ed arnesi in pietra di selce o in calcare, utili alla sopravvivenza dell’uomo, sono
stati rinvenuti nel sassarese e nel nuorese, nei siti di Giuanne Malteddu,
Interiscias, Laerru, Preideru e Rio Altana, rivelando la sicura presenza umana
almeno 300.000 anni fa, nel Paleolitico Inferiore (o Antico).
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Il Paleolitico
Vari ricercatori hanno dimostrato che circa 18.000 anni fa il livello dei mari era
110 metri più basso. La Sardegna e la Corsica per lunghissimo tempo furono
una unica isola, la più grande del Mediterraneo.La preistoria sarda si può
definire dunque parallela a quella del continente europeo con il quale ha
condiviso un' evoluzione simile per i successivi 200.000 anni, fino al medio
Paleolitico, periodo a cui vengono fatti risalire i resti di insediamenti nelle
grotte di Cailune e Ziu Santoru, sulla costa di Dorgali, mentre resti di altri
gruppi umani, ossa di un grande cervo (il Megaceros, ora estinto), manufatti,
tracce di focolari sono stati trovati nella grotta di Corbeddu a Oliena, e sono
attribuiti al Paleolitico Superiore, periodo compreso tra i 35 mila e i 10 mila
anni fa.
Pietre lavorate con la tecnica clactoniana sono state trovate nel basso corso del
Rio Altana, tra Laerru e Perfugas.
Ad Alghero nella grotta Verde, vicino a Porto Conte, sono state trovate grandi
quantità di conchiglie di molluschi marini risalenti a 6000 anni a. C.
Il Neolitico
Il periodo che ha tramandato un gran numero di materiali è invece quello che
va dal Neolitico (6.000-2.900 a.C.), attraverso l’Età del Rame (2.900-1.800
a.C.), sino alla metà dell’Età del Bronzo.
Gli archeologi affermano oramai con certezza che dal VI millennio a.C. in poi,
le varie popolazioni sarde vissero la tipica evoluzione del neolitico,
caratterizzata dall’addomesticamento degli animali, dalla nascita dell’
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agricoltura e dell' aggregazione familiare di tipo clanico all’ interno di gruppi
tribali, dalla nascita di villaggi stabili dove pian piano si svilupparono le
tecnologie della pietra levigata, della ceramica e di altri manufatti, oltre che la
costruzione delle prime imbarcazioni negli insediamenti costieri (1.800 - 1.300
a.C.). In particolare i ritrovamenti testimoniano un forte sviluppo della
ceramica e una notevole produzione di ossidiana fatta oggetto di scambi con le
popolazioni della Francia meridionale e soprattutto con alcuni popoli italici.
La Cultura megalitica
Mores, dolmen Sa Coveccada
Tortolì,Tortolì - Bètile
Per l'uso fatto delle imponenti costruzioni in pietra granitica e lavica, la Cultura
Prenuragica , viene considerata come una delle più importanti culture
megalitiche al mondo.
Sono numerosissime infatti le testimonianze di necropoli scavate nella pietra,
di sepolcri costituiti da dolmen e menhir, di aree sacre costruite in forma
circolare con lastroni granitici o in basalto. Ecco i vari tipi di architettura
megalitica di cui la Sardegna e la Corsica sono disseminate:
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I Dolmen. Queste importanti vestigia si trovano anche nella parte centrosettentrionale dell'Isola (come quello di Sa Coveccada, a Mores (Sassari) e
quello di Motorra a Dorgali). Sono considerati di notevole importanza anche i
trilite, ossia quelle strutture megalitiche formate da tre pietre infisse nel
terreno e unite tra loro da una lastra orizzontale che le sovrasta, e dei quali
numerose sono le testimonianze, specialmente in Gallura.
I menhir (chiamati anche statue-menhir come quelle ritrovate a Laconi) ossia
dei monoliti, di forma vagamente fallica, associati sicuramente a tombe ed
inizialmente di piccole dimensioni finché non furono eretti progressivamente
sempre più alti, raggiungendo anche i quattro metri. Inizialmente privi di
incisioni, furono poi, in alcune località, decorati e scolpiti con veri e propri
corredi di armi, molto simili alle stele daune pugliesi. In Corsica furono poi
scolpiti in modo da avere sembianze umane. Sono una delle espressioni di
quella civiltà megalitica che i nuragici successivamente soppiantarono.
Importanti resti si possono ammirare in Gallura e nella Corsica meridionale, ma
tutta l'Isola ne è disseminata
Le Domus de Janas. Gli aspetti architettonici più significativi riguardano
senza dubbio l’architettura sacra e quella funeraria, con i monumenti più
originali costituiti dalle domus de janas, ossia delle grotte artificiali scavate
nella roccia e decorate con colori ocra. Svolgevano essenzialmente le funzione
di tombe, ma la credenza popolare, nei secoli successivi, le considerava abitate
dalle fate (janas in lingua sarda). Le domus de janas sono delle strutture
sepolcrali costituite da tombe scavate nella roccia e dalle forme più svariate.
Sono tipiche dell'area del Mediterraneo e in particolare della Sardegna. Il
termine significa case delle fate o delle streghe (o, secondo qualche studioso,
case di Diana) e sono chiamate in sardo anche con il nome di forrus o
forreddus. Sono sovente collegate tra loro a formare delle vere e proprie
necropoli sotterranee con in comune un corridoio d'accesso ed un'anticamera,
spesso assai spaziosa e dal soffitto alto.Si trovano in tutta la Sardegna, sia
isolate che in grandi concentrazioni qualche volta costituite da più di 40 tombe.
Ne sono state ritrovate più di 2.400 sparse su tutta l’isola (più o meno una
ogni chilometro quadrato), ma molte rimangono ancora da scavare. Gli
archeologi sostengono che siano state costruite tra il IV ed il III millennio
a.C..Sono state attribuite alla Cultura di Ozieri che in quel periodo sconvolse
completamente il modo di vivere delle popolazioni sarde. Questa cultura fu
propria di un popolo molto laborioso e pacifico, sicuramente venuto dal mare,
dedito all’agricoltura (e non alla pastorizia), con una particolare religione che
molto probabilmente portarono dalle isole Cicladi, luogo da cui si pensa
provenissero: adoravano infatti il Sole e il Toro, simboli della forza maschile, la
Luna e la Madre Mediterranea, simboli della fertilità femminile. Statuine
stilizzate della Dea Madre sono state spesso ritrovate in queste sepolture e nei
luoghi di culto. A Sedini (SS), si trova la Domus de Janas più grande della
Sardegna situata al centro del paese, dalla quale è stata ricavata una vera e
propria abitazione, oggi trasformata in museo etnografico.
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I circoli megalitici. Altri monumenti propri di quel periodo sono le cosiddette
tombe a circolo, particolari strutture nelle quali i defunti erano sistemati
all’interno di circoli litici concentrici: nelle Gallure sono numerevoli gli esempi di
questo monumento funerario conosciuto anche con il nome di circolo
megalitico. Questo tipo di costruzuione - molto particolare - è costituito da
pietre infisse verticalmente nel terreno seguendo la circonferenza di un
cerchio, con al centro una cassetta in pietra di forma quadrangolare. Nel
territorio di Arzachena, in una località chiamata Li Muri, si trova il complesso
megalitico meglio conservato. Molti studiosi ritengono che questo circolo
funerario-rituale servisse per la scarnificazione dei cadaveri che venivano
deposti nelle pietre scanalate che costituivano la circonferenza e lasciati al sole
per un lungo periodo. Successivamente le ossa venivano raccolte e riposte
nella cassetta al centro del circolo.
Le allèes couvertes. Gli architetti megalittici sardi hanno anche costruito un
tipo di tombe chiamate allèes couvertes (in italiano: viali coperti). Questi
particolari monumenti sono delle costruzioni megalitiche composte da lunghe
stanze rettangolari, parzialmente interrate e coperte da grosse lastre di pietra,
generalmente in granito. Al loro interno venivano deposti i defunti e tutta la
tomba veniva poi nascosta sommergendola di terra e pietre. Una delle più belle
e meglio conservata è sicuramente quella di Sa Corte Noa a Laconi.
I Bètili. I betili sono piccoli obelischi di pietra, infissi nel suolo a simboleggiare
la fertilità. Talvolta presentano scolpite sulla parte superiore due mammelle, a
significare l'unione tra la divinità maschile e quella femminile, mentre quelli
rappresentati con degli occhi simboleggiano la dività che protegge i defunti.
Le differenti Culture
Generalmente nel Medio Neolitico vengono rintracciate le origini di quella che è
definita Cultura Prenuragica. Sono stati ritrovati, risalenti a questo periodo,
oltre alle straordinarie costruzioni megalitiche, anche strumenti in pietra di
selce e di ossidiana, anche vasi in terracotta, sia di forme semplici e ridotte che
di forme ampie ed elaborate molto diverse tra loro per uso e funzioni.
Dai vasi di scarsa fattura, si passa a quelli più raffinati e torniti, da quelli senza
decorazione a quelli con decorazioni ad impressione, attraverso l’utilizzo della
valva di un mollusco oppure con bacchette di osso o legno, sino ad arrivare alle
decorazioni dipinte sull’intera superficie consistenti in motivi geometrici o
rappresentazioni dell’uomo e degli animali.
I diversi tipi, forme e stili delle ceramiche hanno contraddistinto i differenti
ambiti culturali che prendono il nome dalle località di rinvenimento. In ordine
cronologico, ecco le varie culture:
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Cultura di Bonu Ighinu
La cultura di Bonu Ighinu, le cui prime testimonianze certe sono databili al
4600 a.C., si impose sicuramente fino al 3240 a.C.. È considerata dagli
archeologi la prima in Sardegna ad usare cavità naturali come sepolcri.
Le ricerche evidenziano anche la presenza di un culto dei defunti, sono state
ritrovate infatti statuette di esseri femminili, sicuramente raffiguranti quella la
Dea Madre, il cui culto era diffuso anche in gran parte dell’ Europa neolitica..
Cultura di Ozieri
Della Cultura Ozieri (3300-2480 a.C.) si conoscono 200 centri abitati diffusi in
tutta la Sardegna, tra i quali quello di Puisteris a Mogoro costituito da 267
capanne erette su pali infissi nel terreno e coperte di travi e frasche. I
pavimenti sono fatti con lastre di calcare, acciottolato di basalto o argilla
battuta.
Cultura di Arzachena
Mentre la Cultura di Ozieri si estese su tutta la Sardegna, quella di Arzachena
interessò principalmente la regione gallurese per poi estendersi nella Corsica:
per questa ragione viene indicata anche come aspetto culturale corsogallurese.
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Il culto della Dea Madre e del Dio Padre.
Sono affascinato dal culto della Dea Madre e in genere da tutti i culti praticati
in
epoca
Prenuragica
e
Nuragica.
Iniziamo la nostra ricerca con questo articolo che ripropone parte della
presentazione del libro del noto archeologo Giovanni Lilliu, "Arte e religione
nella Sardegna Prenuragica". Buona lettura.
In questa prospettiva, nel volume del Lilliu il sentimento religioso delle
comunità preistoriche della Sardegna emerge persuasivo e stimolante
soprattutto
nel capitolo dedicato agli idoletti rinvenuti
nell’Isola.
Si tratta di 133 statuine, di varia tipologia, materia (pietra, osso, argilla) e
cronologia: 126 (94,7%) sono femminili, mentre soltanto 5 sembrano essere
maschili. Provengono da tombe , da grotte e ripari , da abitati, dal villaggiosantuario di Monte d’Accoddi , mentre per le rimanenti 20 statuine non si
dispone
di
sicuri
dati
di
rinvenimento.
Occorre aggiungere, tuttavia, che la maggior parte degli idoletti raccolti da
generici siti insediativi sono reperti privi di contesto stratigrafico e quindi di
preciso significato culturale, e per questo motivo non è da escludere una loro
destinazione funeraria nel senso che potrebbero appartenere a tombe poste ai
margini dell’abitato. Inoltre, parte delle statuine ritrovate in grotte o ripari
rivestono sicura valenza cultuale, così come dobbiamo ipotizzare per quelle
rinvenute nel santuario di Monte d’Accoddi.
Da questi dati emerge che queste figurine della Sardegna preistorica sono in
netta prevalenza femminili (94,7%) e che sono in gran parte di sicura
destinazione funeraria o comunque legata alla sfera del sacro. Ne consegue
quindi che anche in Sardegna, in sintonia con quanto avviene nell’Europa e nel
Vicino Oriente, è attestato in modo inequivocabile un culto della Dea Madre, di
antichissima tradizione europea ed orientale che, come è noto, affonda le sue
radici
fin
nel
Paleolitico.
La Grande Madre rappresenta una divinità primordiale, genitrice e nutrice, la
sola a detenere il segreto della vita e l’unica con il potere di trasmetterla, a sua
discrezione, agli altri esseri umani, agli animali, alla terra, alle piante. Nelle
culture preistoriche, quando forse non era ancora ben chiaro il nesso fra
concepimento e nascita, la capacità di dare vita ad ogni singolo individuo e la
stessa sopravvivenza del genere umano sembravano dipendere esclusivamente
dalla donna che rivelava, in modo concreto, di avere in sé un’energia vitale che
l’uomo
sembrava
non
possedere.
Infatti, solo la donna partoriva e generava apparentemente dal nulla, per
partenogenesi, mentre il maschio, che non poteva provare in modo palese il
proprio ruolo nel concepimento, pareva sterile ed era escluso da questo
universo divino. La nuova vita cresceva nel grembo della donna e vedeva per
la prima volta la luce ancora ricoperto del sangue della nascita.
E solo la donna poteva nutrire questa nuova vita con il latte del suo seno,
assumendo poi nuovamente forme di fanciulla in una continua trasformazione
di sé. La Dea Madre poteva inoltre alleviare l’evento traumatico della morte ed
assicurare la vita oltre la morte, in una rielaborazione ciclica della nascita come
modello
culturale
e
simbolico
di
rinascita.
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Il defunto doveva essere sepolto nel ventre della madre terra o in una grotta, e
sul suo corpo veniva poi sparsa ocra rossa – il sangue della vita – per evocare
la prima immagine che aveva dato di sé nel venire alla luce e di conseguenza
per assicurargli quasi specularmente, mediante l’uso rituale del sangue o di un
suo sostituto simbolico, la rinascita nell’aldilà. È in un quadro ideologico di vita
e di morte come questo che ben si comprendono e trovano preciso significato i
rituali funerari attestati nella necropoli di Cuccuru s’Arriu, del Neolitico Medio di
Bonuighinu.
I defunti, in tombe a fossa o in grotticella artificiale, erano deposti in posizione
rannicchiata, quasi nel grembo materno, velati di ocra rossa e con accanto il
corredo per il viatico e una statuina in pietra che rappresentava l’immagine
rassicurante della Dea Madre, intesa come tramite fra l’uomo e la divinità, fra
ciò che è mortale e ciò che rappresenta l’immortalità.
Tuttavia, anche la Grande Madre, divinità strettamente legata alle comunità
agricole, sarà sostituita nel tempo da figure maschili che meglio
rappresentavano la funzione maschile in mutate strutture socio-economiche. In
termini storici, tale mutamento può essere spiegato con l’imporsi, a partire
dall’età dei metalli, di una economia più dinamica e articolata, di nuove
esigenze di difesa determinate da conflittualità diffuse ove la forza virile finiva
per
essere
determinante
per
la
salvezza
del
gruppo
sociale.
La Grande Dea viene quindi ridimensionata nel suo ruolo e, agli albori del mito,
uno dei modi per ridurre la sua autorità è stato quello di farla diventare figlia di
un dio padre, moglie di un dio marito, sorella di un dio fratello, madre di un
figlio dio e maschio, che appena nato diveniva più importante di lei. In
Sardegna, l’insorgere di una figura divina al maschile quale partner della Dea è
già attestato nel pieno fiorire del culto della Gran Madre – nella cultura di
Ozieri – per la presenza di menhir e di simboli taurini/bovini raffigurati in
numerose domus de janas, ceramiche, amuleti. Ma sarà soprattutto nell’Età del
Rame che questa nuova società “al maschile”, irrequieta e guerriera, lascerà
testimonianza del mutato sentimento religioso soprattutto nelle minacciose
statue-menhir armate di pugnale che segnano luoghi sacri e ambiti funerari.
Ma se le statuine femminili e le stele figurate rappresentano la religione della
Grande Madre, segni di una energia primordiale che regola l’alterna vicenda
della vita e della morte, certamente legati ad elementi di pura irrazionalità
magica e di superstizione, nel senso sopra indicato di una risposta immediata
all’insorgere di un evento negativo, sono invece da considerare gli amuleti
fallici per allontanare il malocchio – proprio come nel nostro tempo! – così
come quegli oggetti che avevano in sé, nella forma, nel colore o nella materia,
virtù di magia difensiva. Ed ecco collane costituite da denti umani o di animali
(volpe, cervo, etc.), o pendagli ricavati da zanne di cinghiale nei quali è sottesa
la forza scaramantica del corno ricurvo, oppure ancora vaghi di collana in
conchiglia (simbolo di fertilità).
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Nata e sviluppatasi in Sardegna la civiltà nuragica abbraccia un periodo di
tempo che va dalla piena età del Bronzo (dal 1.700 a.C.) al II secolo d.C.,
ormai in piena epoca romana. Deve il suo nome alle caratteristiche torri
nuragiche che costituiscono le sue vestigia più eloquenti e fu il frutto
dell'evoluzione di preesistenti civiltà le cui tracce più evidenti sono monumenti
megalitici (dolmen) e menhir.
Le torri nuragiche sono unanimemente considerate come i monumenti
megalitici più grandi e meglio conservati d'Europa. Sulla loro effettiva funzione
si discute da almeno cinque secoli e tanti restano ancora gli interrogativi da
chiarire: c'è chi li ha visti come tombe monumentali e chi come case di giganti,
chi fortezze, forni per la fusione di metalli, prigioni e chi templi di culto del
sole.
Popolo di guerrieri e di navigatori, i sardi commerciavano con gli altri popoli
mediterranei e la loro civiltà ha prodotto non solo i caratteristici complessi
nuragici, ma anche gli enigmatici templi dell'acqua sacra, le tombe dei giganti
e delle particolari statuine in bronzo. Per molto tempo la loro cultura ha
convissuto con altre civiltà estranee all'isola, come quella fenicia, quella punica
e quella romana, senza mai però essere assorbita da queste.
In epoche remote l'Isola fu abitata stabilmente da genti arrivate nel Neolitico
da varie parti del continente europeo e forse dal continente africano. I primi
insediamenti sono stati rinvenuti sia in Gallura che nella Sardegna centrale, ma
in tutta l'Isola progressivamente si svilupparono diverse culture.
Di questi popoli prenuragici si possono ancora ammirare più di 2.400 tombe
ipogeiche, conosciute con il nome sardo di Domus de Janas. Queste singolari
vestigia si trovano disseminate in tutta l'Isola e sono state scavate con grande
maestria nel granito e nella pietra lavica. Alcune sono decorate con sculture e
pitture simboliche e si presume siano appartenute a capi politici e forse anche
religiosi. Sono state datate dagli archeologi intorno al IV millennio a.C..
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Ma il monumento più enigmatico di quel periodo è sicuramente la piramide a
gradoni, ossia lo ziqqurath di Monte d'Accoddi, presso Sassari, le cui
similitudini con le ziqqurath mesopotamiche sono eclatanti ma inspiegabili.
Secondo alcuni studiosi ciò è dovuto ad un flusso migratorio avvenuto attorno
al III-IV millennio a.C., di genti mesopotamiche e, in particolare, di Sumeri
verso il Mediterraneo occidentale.
Tale altare preistorico rappresenta il primo esempio in occidente di
un’architettura tipica dell’Oriente mesopotamico. Costituisce anche un
esempio, unico in Europa, di una singolare concezione religiosa tipica delle
genti mesopotamiche, le quali erano persuase che il cielo e la terra si unissero
- per mezzo di un monte - mentre una divinità scendeva tra gli uomini. L'altare
sulla torre era perciò considerato il punto di incontro tra umano e divino e si
pensa che un gran numero di animali – sicuramente bovini - venissero
sacrificati per propiziare la rigenerazione della vita e della vegetazione. Ai piedi
della piramide a gradoni sono stati ritrovati dagli archeologi grandi accumuli
composti da resti di antichi pasti sacri ed anche oggetti utilizzati durante i riti.
L'Età del Bronzo.
Con l’Età del Bronzo Medio (fase non avanzata, 1.700 a.C. circa), con la
nascita della Civiltà Nuragica, gli antichi luoghi di culto vengono abbandonati.
L'altare di Monte d'Accoddi non fu più utilizzato a partire dal 2.000 a.C. e ciò
lascerebbe desumere che in tutta probabilità nuove genti arrivarono in
Sardegna in quel periodo, portando con se nuovi culti, nuove tecnologie e
nuovi modelli di vita, rendendo obsoleti i precedenti o reinterpretandoli alla
luce della cultura dominante.
L'introduzione del bronzo portò notevoli miglioramenti in ogni campo. Con la
nuova lega di rame e stagno si otteneva infatti un metallo più duro e
resistente, adatto a fabbricare attrezzi agricoli, ma soprattutto si prestava alla
forgia di armi assai migliori, da utilizzare sia per la caccia che per la guerra.
Ben presto in Sardegna, terra ricca di miniere, si costruirono fornaci per la
fusione delle leghe che da esperti artigiani venivano lavorate in maniera molto
abile, dando vita ad un fiorente commercio verso tutta l'area mediterranea ed
in particolare verso quelle regioni povere di metalli.
Ciò spiega l'analogia culturale dei nuragici con le civiltà presenti nell'area egea
(Micene, Creta e Cipro) e con l'area iberica.
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Gli Shardana
L' Età del Bronzo fu il periodo in cui nel Mar Mediterraneo ci fu un vasto
movimento guerresco, e secondo ipotesi non comprovate da documentazione
archeologica, la Sardegna e la Corsica furono invase da una popolazione di
navigatori-guerrieri proveniente da Oriente: i Popoli del mare, e tra essi gli
Shardana, misteriosi navigatori guerrieri, già ben conosciuti dagli antichi Egizi
che li rappresentarono nei grandi bassorilievi del tempio di Medinet Habu (XII
secolo a.C.).
L'incontro tra le preesistenti popolazioni della cultura megalitica e le nuove
genti non fu probabilmente pacifico. Secondo alcune congetture gli indigeni
cercarono di resistere agli invasori, ma invano. Furono sconfitti e i loro
insediamenti distrutti. Altre ipotesi sostengo che l'integrazione fu pacifica e
graduale, mentre non viene escluso che gli Shardana non siano altro che
l'evoluzione dello stesso popolo megalitico sardo. Ma questo incontro di genti
così diverse tra loro, diede vita ad un amalgama di popoli e di culture che
segnerà indelebilmente, per sempre, le due isole gemelle del Mediterraneo
occidentale. Successivamente, dopo il 2.000 a.C., si sviluppò l’architettura del
Nuraghe, torre di megaliti a secco con tholos (false cupole, spalti, cortili e
corridoi), in Corsica chiamata Torreana.
Fonti egizie, databili al periodo del faraone Ramses II, tramandano che gli
Shardana sono venuti con le loro navi da guerra dal mezzo del Gran Mare
(Grande Verde), nessuno può resistergli; questi guerrieri navigatori vengono
anche definiti come: ..gli Shardana del mare, dal cuore ribelle, senza padroni,
che nessuno aveva potuto contrastare. Queste considerazioni vengono poi
riportate nel resoconto della battaglia di Kadesh, passata alla storia per essere
la prima con un racconto preciso ed una descrizione tattica dei combattimenti.
L'equipaggiamento militare dei guerrieri Shardana, descritto nei bassorilievi,
risulta molto particolare e distinto da quello di altri guerrieri contemporanei.
Usavano spade lunghe, pugnali, lance e soprattutto lo scudo tondo (in quel
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periodo usato probabilmente solo dai sardi), mentre i guerrieri egiziani erano
prevalentemente arcieri. Portavano un gonnellino corto, una corazza e un elmo
provvisto di corna, e le loro imbarcazioni erano caratterizzate da protomi
animali, con l'albero simile a quanto raffigurato in alcune navicelle nuragiche in
bronzo rinvenute nei nuraghi. Secondo studiosi della civiltà nuragica come
Domenico Uccheddu e Bruno Vacca gli Shardana avrebbero navigato attorno
all'africa. Questo viene provato secondo Uccheddu dalla forma dei manufatti in
bronzo ritrovati che raffigurano imbarcazioni con il fondo ampio per ospitare
merci e dall'anello posto sopra l'albero, che denota una tecnologia in grado di
girare meglio la vela al vento. Altre prove sono riscontrabili sempre nei
bronzetti ritrovati che raffigurano vascelli con protomi di bovini africani come il
cobu o l'antilope e altri animali come lo scimpanzè. In altri bronzetti, esposti al
museo archelogico di Cagliari, e visibili da chiunque, sono raffigurati
personaggi con fattezze chiaramente negroidi, ben distinti dai bronzetti
raffiguranti i sardi nuragici.
Tra gli antichi scritti, quelli riportati da Zenobio e attribuiti a Simonide di Ceo,
parlano di assalti dei sardi all'isola di Creta, nello stesso periodo in cui i Popoli
del mare invadevano l' Egitto. Ciò evidenzierebbe una frequentazione dei Sardi
nuragici nel Mediterraneo orientale. Ulteriori conferme di questa frequentazione
arrivano poi dalla stessa ceramica nuragica del XIII sec., ritrovata a Tirinto, a
Creta e in Sicilia nell'Agrigentino, lungo la rotta che collegava l'oriente
all'occidente del Mediterraneo..
Il nuraghe
Risalenti al II millennio a.C. (dal 1700 circa) i nuraghi sono torri megalitiche di
forma tronco conica, ampiamente diffusi in tutto il territorio della Sardegna (1
nuraghe ogni 3 chilometri quadrati circa). Furono il centro della vita sociale
degli antichi sardi e diedero il nome alla loro civiltà, sebbene la loro funzione e
destinazione sia ancora altamente controversa tra storici ed archeologi che, di
volta in volta, hanno elaborato teorie sul loro uso militare, civile, religioso o per
la sepoltura dei defunti. Secondo alcuni hanno funzione astronomica. Intorno al
1500 a.C., dai rilievi archeologici, si possono notare aggregazioni sempre più
consistenti di villaggi costruiti in prossimità di queste poderose costruzioni,
edificate spesso sulla sommità di un’altura, ma sempre con tecnica megalitica
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(grossi blocchi di pietra sovrapposti) e con ampie camere aventi i soffitti voltati
a tholos (falsa cupola). Probabilmente per un maggior bisogno di protezione, si
nota nel tempo il costante aggiungersi progressivo di più torri a quella più
antica - addossandole o collegandole tra loro con cortine murarie. Da semplici,
i nuraghi divennero in questo modo complessi, trilobati ed anche quadrilobati,
in modo da essere caratterizzati da sistemi articolati di torri, con sistemi murari
muniti di feritoie. Tuttavia alcuni hanno una posizione meno strategica.
Secondo alcune teorie avrebbero una funzione sacra per marcare l'orizzonte
visto dai principali nuraghi rispetto ai solstizi.
Quelli giunti fino a noi - a parte le torri isolate - sono costruzioni imponenti e
complesse, con annessi villaggi a formare costruzioni simili a castelli, a volte
denominati dagli studiosi anche regge nuragiche. Nonostante siano trascorsi
millenni, questi villaggi nuragici non sono scomparsi completamente, ma si
ritiene che le popolazioni nuragiche abbiano abitato costantemente i siti,
mantenendoli in vita e originando alcuni paesi della Sardegna odierna, forse a
quelli che hanno come prefisso la parola Nur come Nurachi, Nuraminis, Nurri,
Nurallao, Noragugume.
Molti siti nuragici sono stati riportati alla luce da imponenti scavi archeologici,
ne sono un esempio quelli di Su Nuraxi a (Barumini), Palmavera, (Alghero),
Santu Antine a (Torralba), Santa Cristina a (Paulilatino), Genna Maria a
(Villanovaforru), Nuraghe Losa ad (Abbasanta), ma molto resta ancora da
scavare ed esaminare scientificamente vista la notevole quantità di vestigia
nuragiche..
Struttura economica
Se l’assetto urbanistico era fondato sul villaggio, quello economico si basava
sull' agricoltura e sulla pastorizia originando probabilmente una economia
inizialmente di tipo agro-pastorale. Le figurine dei bronzetti ritrovati
evidenziano abbastanza chiaramente una specializzazione nelle arti e nei
mestieri.
Il Commercio
Dopo essere stata per anni dipinta come una civiltà chiusa in se stessa, con
ricostruzioni che ad esempio attribuivano alle navicelle nuragiche in bronzo la
funzione di lucerne e non di riproduzione votiva delle vere imbarcazioni
nuragiche, così come avveniva invece per i guerrieri, per le altre figure della
società civile e religiosa, per i nuraghi o per i carri ecc., le evidenze
archeologiche testimoniano forti legami con la Civiltà Micenea, con la Spagna,
con l'Italia, con Cipro. Ma sono di grande attualità e interesse alcuni
rinvenimenti archeologici nelle coste del Vicino Oriente e della Bulgaria.
I frequenti scambi commerciali e l’importanza dell’intenso commercio del rame
verso il Mediterraneo orientale, testimoniato dal ritrovamento di importanti
quantità di lingotti di rame di tipo probabilmente cipriota, contribuirono
significativamente a provocare nei nuragici un intenso sviluppo economico e
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culturale, basato sulla metallurgia e sui commerci. Tale sviluppo è considerato
da molti studiosi - per quei tempi - il più importante mai prodotto in tutto
l’Occidente mediterraneo di allora. I contatti con i popoli orientali divennero
sempre più stretti, in particolare quelli con Cipro e con le coste libanesi, ma si
è oramai certi dei contatti anche con l’ Europa atlantica e con l’Europa centrale.
Ceramiche nuragiche di tipo "askoide", anfore, tripodi e spade di tipo nuragico
sono state trovate ad esempio in Spagna (Huelva, Tarragona, Malaga, teruel e
Cadice) oltre lo stretto di Gibilterra.
Gli scambi con i centri Etruschi, principalmente con Vetulonia, Vulci e
Populonia, avvenuti tra il IX ed il VI secolo a.C., sono molto assidui e ben
documentati dai ritrovamenti in tombe etrusche delle singolari e tipiche
statuette e navicelle votive e di vasi nuragici, che testimonierebbero anche
legami di tipo dinastico.
La navigazione rivestì pertanto un ruolo molto importante. Sono state infatti
trovate negli scavi archeologici ben 70 navicelle di bronzo che richiamerebbero
la tradizione marinaresca. Grazie alle relazioni commerciali con altri popoli, i
sardi nuragici arricchirono il loro patrimonio culturale ed anche la qualità dei
loro prodotti.
La metallurgia nuragica
La metallurgia realizzava tutto il ciclo di lavorazione sul posto e la maestria
dimostrata dai nuragici nella lavorazione del bronzo, fa capire fino a che punto
erano divenuti abili nella lavorazione dei metalli e nella costruzione di armi. Nei
musei sardi, oltre alle magnifiche collezioni di bronzetti votivi, si possono
ammirare anche veri e propri arsenali di armi di ogni specie. Stupisce non solo
il notevole livello tecnico raggiunto dagli artigiani, ma anche l’indice elevato di
produzione e l'elevato grado di consumo, sono stati rinvenuti - infatti grandissime quantità di oggetti in bronzo rotti e destinati nuovamente alla
fusione.
Le attuali ricerche sui bronzi tentano ancora di stabilire con esattezza la loro
datazione: se sono stati prodotti prima del VIII secolo a.C. e se i risultati
daranno esito positivo, saranno senza ombra di dubbio di molto antecedenti
alle più antiche sculture bronzee greche fino ad ora conosciute.
Le ultime scoperte archeologiche fanno conoscere nuovi ed interessanti aspetti
della civiltà nuragica nella quale i ricchi giacimenti di minerali, soprattutto
quelli di rame e piombo, hanno avuto un ruolo primario. Non è infatti
considerata una semplice coincidenza se l’età aurea, nel mezzo del II millennio
a.C., viene posta in un’ epoca in cui l’attività estrattiva e metallurgica conobbe
una straordinaria espansione.
La metallurgia produsse poi lingotti di rame, chiamati - per la loro particolare
forma - a pelle di bue: alcuni di questi lingotti sono stati ritrovati in Spagna e
in Francia, ma anche lungo le lontane coste turche ed in Grecia.
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L'esame delle armi rinvenute offre interessanti riflessioni essendo, queste, utili
per capire le connessioni e, forse, le origini ed i flussi commerciali della civiltà
nuragica. Nel periodo che va dal 1500 a.C. al 1200 a.C. le armi avevano una
foggia ed una fattura di tipo orientale; nel periodo che va dal 1200 a.C. al 900
a.C., le armi erano invece di tipo egeo.
Non è stato invece ancora risolto il "mistero" legato alla fusione del bronzo:
tale lega è infatti il risultato della fusione tra il rame (ampiamente disponibile
in Sardegna) e lo stagno, del quale invece non è mai stata segnalata la
presenza sull'Isola, salvo un piccolo giacimento di cassiterite in località Perdu
Cara presso Fluminimaggiore di cui fu concesso nel dopoguerra il permesso di
ricerca alla S.M.M. di Pertusola. Grandi giacimenti di stagno erano presenti in
Inghilterra. I nuragici, dunque, si approvvigionavano presumibilmente
all'esterno intrattenendo scambi commerciali con paesi lontani.
Le ceramiche
Nella ceramica, l'abilità ed il
essenzialmente nel decorare le
destinati ad essere utilizzati nel
casi anche ad essere frantumati
nel fondo dei pozzi sacri.
gusto degli artigiani sardi si manifestano
superfici di vasi ad uso certamente rituale,
corso di complesse cerimonie, forse in alcuni
al termine del rito, come le brocche rinvenute
La ceramica sviluppa anche una grafia geometrica nelle lampade, nei vasi
piriformi (esclusivi della Sardegna) e negli askoi. Forme importate e locali sono
state trovate a Barumini, a Santu Antine, a Cuccuru Nuraxi, Santa Anastasia,
Villanovaforru, Furtei e Suelli. Ritrovate anche nel continente italiano e in
Spagna, tutto fa pensare ad una Sardegna molto ben inserita nei commerci del
Mediterraneo.
I bronzetti
Oltre ad oggetti di uso militare, l' artigianato fabbricava attrezzi agricoli d’uso
comune, oggetti per la casa, monili, vasi di bronzo laminato, cofanetti, specchi,
spille, fibbie, candelabri, manici per mobili e soprattutto i caratteristici
bronzetti votivi.
Utilizzati probabilmente come ex-voto e/o come riferimento ad un mondo
eroico tramandato, legato comunque al culto, i bronzetti rappresentavano
figure di uomini, imbarcazioni, nuraghi e animali utili per ricostruire scene di
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vita quotidiana. In base alla loro produzione, si possono notare diversi stili e
gradi di perfezione, tra i quali quello aulico, chiamato di Uta ed uno
popolaresco, definito anche Mediterraneo.
Tra i bronzetti più noti si possono menzionare i capi tribù (con mantello e daga
borchiata), le divinità con 4 occhi e 4 braccia, gli uomini-toro, i guerrieri, i
pugilatori, le sacerdotesse e le maternità, due di Serri e una di Urzulei,
quest’ultima è nota comunemente come madre dell’ucciso, in analogia ad una
celebre scultura novecentesca di Francesco Ciusa.
Struttura sociale
Gli storici ritengono che la Sardegna nuragica avesse un'organizzazione di tipo
cantonale. Tali entità erano probabilmente formate da varie famiglie (Clan) che
obbedivano ad un capo e vivevano in villaggi composti da capanne circolari con
il tetto in paglia, del tutto simili alle attuali pinnettas dei pastori barbaricini.
La struttura sociale era fortemente improntata su caratteri militari e religiosi.
In tale struttura teocratica - secondo gli studiosi - aveva un’importanza di
rilievo la figura degli eroi fondatori quali Iolaos, Norax e Sardus, mitici
condottieri ma allo stesso tempo considerati divinità. È abbastanza plausibile
ritenere che la società fosse strutturata come una società di capi, in cui
l'egemonia di alcune famiglie all'interno della comunità era ben consolidata ed
il potere, forse all'inizio attribuito con un sistema elettivo, probabilmente
divenne stabile ed ereditario.
Le raffigurazioni dei bronzetti ci indicano chiaramente la presenza di capi-Re,
riconoscibili perché molto spesso reggono un bastone borchiato ed hanno un
mantello, interpretati come simbolo di comando, ma sono rappresentate tutte
le
varie
categorie
sociali
compresi
gli
artigiani
e
i
minatori.
Il gran numero di figurine di soldati lascia desumere una società votata alla
guerra e oligarchica, strutturata in modo gerarchico e ben organizzata
militarmente, ad espressione di una classe militare ben ordinata in corpi e
gradi (arcieri, fanteria, guerrieri con spada, con daga), con varie uniformi che
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fanno
pensare
a
milizie
di
corpi
o
cantoni
differenti.
Per desumere le tecniche di combattimento sono interessanti gli scudi forniti di
spade di scorta, di coltelli da lancio o i parastinchi uncinati ed i guantoni
metallici per la lotta corpo a corpo.
Un' attenta analisi ci fa inoltre riconoscere anche altre entità di casta, come
quella che fa riferimento al potere pastorale, al re-pastore, oppure a quello
costituito dai sacerdoti (probabilmente donne). I bronzetti descrivono anche il
popolo con figurine di contadini, di donne, di artigiani, di sportivi (lottatori e
pugilatori simili a quelli della civiltà minoica) e di musicisti.
Dai bronzetti e dalle statue di Monti Prama si desumono informazioni anche
relative all'aspetto ed alla cura del corpo. I maschi portavano due paia di
lunghe trecce nel lato sinistro e destro del volto. Il capo era invece rasato o
coperto da calotte in cuoio. Le donne portavano in genere i capelli lunghi.
Religione nuragica
Le grandi effigi in pietra, raffiguranti organi genitali maschili, chiamati bètili, e
rappresentazioni di animali come il toro probabilmente risalgono alla cultura
pre nuragica. Tuttavia il toro e tutti gli animali muniti di corna avevano valenza
sacra anche nella civiltà nuragica, essendo frequentemente riprodotto nelle
imbarcazioni, nei grandi vasi in bronzo per il culto e negli elmi dei soldati. Si
segnalano inoltre i bronzetti di figure metà toro e metà uomo, di personaggi
con quattro braccia e quattro occhi, di cervi con due teste aventi carattere
mitologico, simbolico o religioso. Altro animale sacro fortemente raffigurato in
modo stilizzato era la colomba, la cui importanza è nota anche nella cultura
semitica.
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Tutte le diverse tribù nuragiche, per ingraziarsi la, o le, divinità e poter
progredire, avevano probabilmente una religione che collegava la fertilità dei
campi, il ciclo delle stagioni, dell'acqua e della vita, con la forza maschile del
Toro-Sole e la fertilità femminile dell'Acqua-Luna.
Si ritiene pertanto che vi fosse probabilmente una dea Madre mediterranea e
un dio padre Babai (chiamato in epoca romana: Sardus Pater Babai). Dagli
scavi si evince che in determinate ricorrenze annuali i nuragici si radunavano in
luoghi comuni di culto, con alloggi e strutture di tipo aggregativo, a volte
gradonate, in cui solitamente si segnala la presenza di un pozzo sacro, talune
volte di fattura molto decorata e complessa da un punto di vista idraulico come
Sedda 'e sos Carros di Oliena (NU). In alcune aree sacre, come quella di
Gremanu a Fonni (NU), di Serra Orrios a Dorgali (NU) o di S'Arcu 'e is forros a
Villagrande Strisaili (Ogliastra), sono presenti templi a base rettangolare detti
Megaron, strutture con spazio sacro interno che potrebbe essere stato
destinato ad un fuoco sacro forse mantenuto acceso da una casta sacerdotale.
Nei Pozzi Sacri e nei Megaron vi erano sacerdoti di sesso in prevalenza
femminile, che officiavano riti ormai ignoti, ma che si ritiene comunque
collegati all'acqua e forse a ritualità astronomiche di tipo solare, lunare o di
osservazione dei solstizi. In particolare è interessante la raffigurazione bronzea
di una sacerdotessa che presenta il capo sormontato da un disco che
verosimilmente richiama il sole o la luna. Altri copricapi circolari sono allungati
verso l'alto. Si ritiene che siano collegati alla religiosità anche alcuni dischi
cesellati con figure geometriche, chiamati Pintadera, la cui funzione non è
univocamente stabilita.
Tantissime statuette in bronzo raffigurano personaggi che alzano la mano
(solitamente la destra) in segno di saluto, invocazione o preghiera.
Molti ricercatori pensano che in occasione di queste feste e celebrazioni
religiose collettive, i santuari abbiano fatto da incubatore per l’idea di nazione
o, comunque, di una più stretta confederazione. Alcuni pensano anche che si
andava realizzando una sorta di pansardità. In tali occasioni si tenevano
probabilmente incontri intercantonali, giochi sportivi simili alla lotta greco
romana ed al pugilato e si stringevano alleanze familiari e rapporti
commerciali.
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Architettura religiosa
Particolare del pozzo sacro Pedru Canopoli - Luoghi di culto, i pozzi sacri L'
architettura religiosa è soprattutto rappresentata dai pozzi sacri e dalle fonti
sacre. Questi monumenti, tra i più elaborati che si trovano in Sardegna, sono
edifici legati al culto animistico o astronomico dell'acqua e sono edificati con
tecnica megalitica. Il cuore del tempio-sorgente, è la sala con la volta a tholos,
come nei nuraghi, il più delle volte sotterranea e nella quale veniva raccolta
l'acqua sorgiva. Una scala collegava la sala all' atrium del tempio,
generalmente situato al livello del terreno circostante e attorniato da piccoli
altari in pietra sui quali si depositavano le offerte e sui quali si celebravano i riti
propri al culto dell' acqua sacra.
La perfezione e la precisione con la quale sono stati tagliati i blocchi di pietra
calcarea o lavica, è tale che per molto tempo sono stati datati tra l'VIII ed il VI
secolo a.C. e furono comparati all'architettura religiosa etrusca. Le più recenti
scoperte hanno indotto però gli archeologi a stimare la costruzione di questi
templi intorno al periodo in cui esistevano strettissime relazioni tra i Nuragici e
i Micenei della Grecia e di Cipro, e cioè di molti secoli anteriori alle prime
estimazioni.
I pozzi sacri subirono nel tempo delle trasformazioni. Edificati sulle sorgenti
d'acqua, erano un luogo di pellegrinaggio ed intorno ad essi si sviluppava
generalmente un villaggio-santuario. Le capanne note come sala del Consiglio
sono associate a grandi depositi di oggetti di bronzo e lingotti di piombo recanti
tacche e marchi, forse indicanti il valore temporale. Si pensa che fossero la
riserva
della
comunità
o
il
tesoro
del
tempio.
Col tempo ebbero un’evoluzione verso strutture molto complesse da un punto
di vista idraulico (con canalette piombate, vasche di raccolta e protomi taurine
per l'uscita dell'acqua calda verso un bacile centrale, circondato da una seduta
rituale) come ad es. il complesso di Sedda 'e sos carros ad Oliena (NU).
Le funzioni religiose di certi templi si perpetuò fino all'arrivo del cristianesimo:
a Perfugas, un tempio nuragico fu scoperto nei giardini di una chiesa.
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Architettura funeraria
Altrettanto affascinanti e misteriose sono le tombe dei giganti che parrebbero
derivare dai dolmen allungati.
Esse segnano, nelle loro poco sondate diversità strutturali e tecniche, il
complesso evolversi della civiltà nuragica, fino agli albori dell'Età del ferro.
Queste costruzioni funerarie megalitiche, la cui pianta rappresenta la testa di
un toro, sono diffuse uniformemente in tutta l'Isola, anche se si nota una
fortissima concentrazione nella sua parte centrale.
Pozzo sacro
Le tombe dei giganti non sono le uniche vestigia che testimoniano lo spirito
profondamente religioso della civiltà nuragica. I pozzi sacri e le fonti sacre sono
altrettanto significativi e questi singolari monumenti - tra i più elaborati della
Sardegna - riflettono in maniera sorprendente il senso architettonico di quelle
popolazioni, testimoniando anche la grande importanza data alle sorgenti
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d’acqua, una risorsa essenziale e di primaria importanza per la vita su ogni
isola.
Struttura architettonica
Erano infatti, essenzialmente, delle strutture destinate al culto delle acque e
risalgono all'età del bronzo. La loro costruzione si ispira agli stessi principi
architettonici del nuraghe con la parte più importante del tempio (chiamato
anche a pozzo) costituita da un ambiente circolare con volta a tholos, nella
quale veniva realizzato un foro nella parte più alta.
A differenza dei nuraghi e delle fonti sacre, però, l'architettura era
prevalentemente ipogea, e la sua principale funzione era quella di raccogliere
l’acqua che sgorgava dalla sorgente considerata sacra.
Una scala monumentale collegava questo spazio all’atrium del tempio stesso,
situato a livello del suolo. Nella struttura fuori terra si trovano, addossati lungo
i muri perimetrali, dei banchi di pietra sui quali venivano deposte le offerte e
gli oggetti di culto. In alcuni siti sono stati ritrovati degli altari sacrificali e si è
ormai certi che tutto l’insieme architettonico fu concepito per celebrare
particolari riti propri del misterioso culto dell’acqua sacra.
Datazione
I templi più datati furono costruiti alla maniera dei nuraghi e con blocchi di
pietra non perfettamente squadrati. Ma con il passare del tempo, furono
edificati con tecnica più raffinata e con grande accuratezza nella lavorazione,
fino a raggiungere una perfezione e precisione stupefacenti, tanto che negli
anni passati si ritenevano costruiti tra l’VIII ed il VI secolo a.C.
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Le più recenti scoperte hanno però indotto gli archeologi a stimare che i templi
dell’acqua sacra rimontano all’epoca in cui esisteva una stretta relazione tra i
regni micenei della Grecia antica e di Creta e le popolazioni abitanti la
Sardegna. Queste nuove estimazioni sono di due millenni anteriori a quelle
effettuate durante i primi ritrovamenti.
Funzione religiosa
I templi dell'acqua sacra, edificati attorno alle sorgenti, costituivano un luogo
di pellegrinaggio e di cerimonie.
La cura con la quale sono stati edificati dimostra la notevole importanza che
veniva loro attribuita e non è un caso se la loro funzione religiosa si è
tramandata sino all’avvento del cristianesimo.
La penetrazione cristiana infatti - avvenuta durante il periodo bizantino - fu
agevolata e resa possibile, soprattutto nell’entroterra barbaricino), grazie al
sincretismo, la sostituzione degli idoli di pietra (betili o perdas fittas, fonti
sacre), e dei riti allora legati essenzialmente alle espressioni della natura
(sorgenti d'acqua, pioggia, pietre, fiumi), con i riti della nuova religione. Sono
andati così distrutti un numero imprecisato di menhir, allora allineati o
disseminati ovunque, ed in certe località - come a Perfugas - antichi templi
pagani della civiltà nuragica sono stati scoperti esattamente sotto il giardino di
una chiesa, a testimoniare la continuità sincretistica dei culti.
I templi di Santa Cristina (Paulilatino) e di Santa Vittoria (Serri) costituiscono
ancora oggi luoghi di pellegrinaggio. Nei giorni di festa, i fedeli non esitano a
percorrere lunghi tragitti per partecipare alle funzioni religiose nelle chiese.
Queste cerimonie si svolgono in maniera più o meno identica sin dalla notte dei
tempi e sono sempre seguite da danze collettive, canti e immancabili
banchetti.
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