Istituto MEME: Omicidio di via della Scala

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Istituto MEME: Omicidio di via della Scala
Istituto MEME
associato a
Université Européenne
Jean Monnet A.I.S.B.L. Bruxelles
Omicidio di Via della Scala
Scuola di Specializzazione: Scienze Criminologiche
Relatore: Dott.ssa Roberta Frison
Collaboratori: Avvocato Dott. Antonio Voce
Tesista Specializzando: Claudia Innocenti
Anno di corso: Primo anno
Modena: 03 settembre 2011
Anno Accademico: 2010 - 2011
Indice dei Contenuti
1 Introduzione ...............................................................................3
2 Le donne Killer: caratteristiche della donna omicida .............. 4
3 Via della Scala: la via della vendetta
3.1
Scena del delitto ............................................................... 6
3.2
Testimonianze dei vicini di casa ....................................... 7
3.3
Arresto e confessione di Daniela Cecchin ........................ 8
3.4
Storia di Daniela Cecchin ................................................. 8
3.5
L'evento scatenante e la messa in atto del delitto ............. 14
4 Personalità e movente di Daniela Cecchin: un confronto tra perizie
4.1
Dichiarazioni di Daniela ................................................. 16
4.2
Disturbi della Personalità: breve cenno teorico ............... 20
4.3
Analisi della personalità: perizie a confronto ................... 23
5 Testimonianze su Daniela Cecchin ............................................ 34
6 Bibliografia ................................................................................ 37
7 Sitografia .................................................................................... 38
ISTITUTO MEME S.R.L.- MODENA ASSOCIATO UIVERSITÉ EUROPÉENNE JEAN MONNET A.I.S.B.L. BRUXELLES
Claudia Innocenti - SST in Scienze Criminologiche (Primo anno) A.A. 2010 - 2011
1. Introduzione
Nel 2003 in via della Scala a Firenze è stato compiuto un delitto in maniera
molto crudele, una donna è stata trovata in casa con la gola tagliata. Qualche
giorno dopo si scopre che l'omicida è un'altra donna sempre residente a Firenze
che apparentemente non ha niente a che vedere con la vittima o la sua famiglia, si
scopre in seguito che invece è stata una ex compagna di Università del marito
della vittima. Il caso è interessante per diversi motivi: innanzi tutto l'omicida è
una donna, ha agito con premeditazione preparandosi sia psicologicamente che
materialmente al delitto, con lucidità e astuzia, la donna presenta evidenti
patologie psichiche che dalle diverse perizie che le sono state fatte emergono in
misura più o meno maggiore, più o meno grave a seconda del perito che l'ha
analizzata, per cui risulta interessante analizzare la “guerra” che si è creata tra le
varie perizie per il processo dell'imputata.
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2. Le donne Killer: caratteristiche della donna omicida
A partire dagli anni settanta in poi molti studi hanno evidenziato come con il
movimento di liberazione della donna si sia sviluppata una maggiore opportunità
d'espressione per esse per quanto riguarda l'ambito lavorativo e di carriera, ed
anche una maggiore consapevolezza e libertà rispetto alla sessualità, nonché
nell'ambito delle condotte criminali infatti sembra essere aumentato il numero e
la gravità dei delitti, compreso anche l'omicidio seriale. La maggior parte delle
ricerche sui crimini ed i criminali hanno spesso riguardato il sesso maschile,
anche per l'errata attribuzione all'uomo di una maggiore aggressività e violenza
rispetto alla donna, vista sempre come accogliente e protettiva, rilegata al ruolo
di madre; più recentemente invece si è cominciato ad interessarsi anche al
crimine commesso dal sesso femminile, analizzando le differenze che vi sono,
nel commettere un omicidio, dovute al sesso di appartenenza, principalmente
partendo
da
due
prospettive
di
ricerca:
quella
biologica
e
quella
dell'apprendimento sociale. Per quanto riguarda gli aspetti biologici gli studi si
sono concentrati molto sull'influenza degli ormoni nel processo di crescita, in
particolar modo sul testosterone in quanto alti livelli di questa sostanza sembra
possano interferire con l'acquisizione di un'identità di genere concorde col sesso
cromosomico, comportando cosi nella donna un comportamento di tipo maschile.
A supporto di tale ipotesi è stato infatti visto che un feto esposto a livelli troppo
elevato di testosterone a causa di una patologia endocrina presente nella madre
può causare un comportamento aggressivo più elevato nelle neonate femmine.
Da un punto di vista di ricerca sembra però essere riduttivo il coinvolgere un
singolo ormone o un gruppo di ormoni nel predisporre una donna ad adottare un
comportamento violento che possa sfociare nel crimine, anche perché non si può
tralasciare l'importanza dell'interazione elemento biologico e fattori psicosociali,
ed è proprio la prospettiva psicosociale che da una lettura alternativa per la
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genesi del comportamento criminale.
Secondo questo filone di ricerca le diverse modalità di attuare il comportamento
violento in base al sesso di appartenenza sono da ricondurre al ruolo diverso che
la donna copre rispetto all'uomo nella società occidentale. Già dalla prima
infanzia si nota come ai bambini vengono regalate armi giocattolo mentre alle
bambine bambole, questo tipo di rappresentazione viene confermato anche
durante la crescita: agli uomini è permesso il ricorso alla forza e alla violenza per
esercitare il proprio controllo e come modalità di comunicazione, mentre si tende
a relegare la donna ad una modalità di agire più passiva e remissiva; inoltre pare
come la donna abbia rispetto all'uomo, in situazioni critiche, una maggiore
capacità di trovare soluzioni che non facciano ricorso alla violenza.
Gli studi sulle donne assassine sono stati incentrati particolarmente sullo studio
della donna serial Killer, un importante ricerca di Kellehr & Kellehr del 1998
sottolinea come la donna appartenente a questa categoria sia più attenta,
metodica, precisa e fredda rispetto all'uomo nelle esecuzione del delitto, sembra
che per l'identificazione e la cattura della donna serial Killer la polizia impieghi
in media otto anni, il doppio del tempo impiegato nel caso in cui si tratti di serial
Killer di sesso maschile. La donna serial Killer è un fenomeno tipicamente
statunitense, sembra che dal 1970 i reati commessi da donne negli Stati Uniti
siano aumentati del 138% contro il 57% per quelli commessi da uomini. Hickey
sottolinea come siano principalmente il movente e i metodi usati a differenziare
le donne criminali dagli uomini criminali: circa l'80% usa veleno, il 20% circa
armi da fuoco, il 16% circa corpi contundenti, stessa percentuale si ritrova anche
per il soffocamento, l'11% circa armi da taglio/punta e il 5% si serve
dell'annegamento; il movente può essere per il 74% di casi economico, per il
24% l'omicidio può essere causato dall'uso di sostanze stupefacenti,
coinvolgimento in sette e culti, copertura di altri delitti e sentimenti di
inadeguatezza, per il 13% la causa è il bisogno di esercitare controllo, per l'11%
divertimento e infine per il 10% circa per la ricerca di piacere sessuale.
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3. Via della Scala: la via della vendetta
3.1 Scena del delitto
Il giorno 08.11.03 alle ore 14 il personale delle Volanti interveniva in via della
Scala n. 39 a Firenze, al secondo piano dell'appartamento della famiglia BotteriD'Aniello dove rinveniva il cadavere della signora Rossana D'Aniello, il corpo
della vittima vestito con una camicia da notte era disteso in camera da letto, era
evidente una profonda ferita da taglio all'altezza della carotide. Il corpo della
signora D'Aniello era stato trovato poco prima dal marito mentre rincasava con le
due figlie minorenni appena uscite da scuola. Dal primo interrogatorio il marito,
Dott. Botteri, riferisce di essere uscito la mattina stessa da casa verso le 8:00
circa per accompagnare le figlie a scuola e recarsi successivamente al lavoro
presso la sua farmacia in via Condotta, lasciando la moglie a casa ancora a letto,
uscito alle 13 da lavoro si era recato a riprendere le due figlie a scuola ed era
rientrato facendo cosi la macabra scoperta. Il Dott. Botteri afferma come una
volta giunto sul pianerottolo di casa ha notato che il portaombrelli si trovava
posizionato a sinistra della porta di ingresso e non alla destra come era sempre
stato, una volta entrato in casa con le proprie chiavi ha subito notato del sangue,
precipitatosi in camera da letto vede immediatamente il corpo della moglie
riverso in una pozza di sangue, adagiato sul fianco sinistro, quasi bocconi, con il
viso rivolto verso il letto, la stessa scena viene vista anche dalle figlie che
seguono il padre fino alla camera, reagendo con urla e pianti, è a questo punto
che il Dott. Botteri chiama il 113. Riferisce come già da circa un mese sull'utenza
di casa sono giunte saltuariamente telefonate mute, sia quando era presente in
casa sia quando era presente solo la moglie, comunque avvenivano sempre di
giorno.
Nell'appartamento non si notavano segni di effrazione, non mancava alcun
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oggetto di valore tanto meno del denaro, sono stati però repertati numerosi
oggetti macchiati di sostanza ematica e molte macchie ematiche in tutte le stanze
della casa, bagno e ripostiglio compresi, in quest'ultima stanza veniva ritrovata
una busta di plastica del supermercato contenente: un cappotto, un paio di
pantaloni e un guanto di lana, tutto da donna, tutti macchiati di sangue, un
secondo guanto di lana veniva trovato successivamente nello stesso ripostiglio,
questi indumenti non venivano riconosciuti dal Dott. Botteri come appartenenti
alla moglie, segnalava invece la mancanza di un suo cappotto. Dall'esame del
DNA sulle tracce ematiche risultava come il sangue rinvenuto non coincideva
con quello della vittima ed apparteneva ad un altro soggetto sempre di sesso
femminile.
3.2 Testimonianze dei vicini
Dall'interrogatorio dei vicini di casa è emerso come dalle ore 8:30 circa alle ore
9:00 sono state sentite delle grida di donna che chiedeva aiuto con una voce
flebile e contemporaneamente dei rumori.
In particolare la Sig.ra Turk Olete dichiarava di aver sentito un rumore simile a
quello prodotto da una caduta seguito da grida di donna che chiedevano aiuto e
da una voce maschile che ripeteva piano “aiuto, aiuto” quasi come a farle il
verso, a prenderla in giro, dichiara poi di aver sentito per alcuni minuti rumore di
oggetti che cadevano per terra seguiti da passi di persone.
La Sig.ra Mazzoli, residente in via della Scala al numero 37, dichiarava di aver
sentito mentre si trovava in uno stanzino della propria abitazione confinante con
quello dei Botteri, all'incirca verso le ore 9:00, invocare aiuto con una voce
flebile seguita da rumori, tant'è che allarmatasi scende al piano di sotto a
verificare che tutto andasse bene nell'appartamento dove vivono dei bambini, da
dove non riceve risposta.
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3.3 Arresto e confessione di Daniela Cecchin
Visto il riferimento del Dott. Botteri a ripetute telefonate mute venivano acquisiti
i tabulati telefonici, rilevando come una delle chiamate mute ricevuta alle ore
3,59 in data 1.10.03 proveniva da una cabina pubblica, e dal successivo controllo
della scheda telefonica con la quale era stata effettuata tale chiamata risultava che
con questa erano state effettuate anche due chiamate in partenza da una cabina di
Montebello Vicentino, dirette all'utenza dell'abitazione di Giovanni Cecchin in
via Alessandro Volta a Firenze e inoltre veniva accertato che sempre con la
medesima scheda erano state fatte chiamate da cabine pubbliche situate tra
Piazza delle Cure e viale dei Mille, zona vicina all'abitazione di Daniela Cecchin,
figlia di Cecchin Giovanni, arrivando così al fermo di Daniela Cecchin in data
14.11.03. La donna aveva evidenti ferite ad entrambe le mani, specialmente alla
sinistra, nella sua borsa veniva rinvenuto un coltello a serramanico con lama di
12 cm ancora sporco di sangue e due schede telefoniche; interrogata il giorno
stesso dal P.M Dott. Suchan confessava di essere stata lei ad uccidere la signora
D'Aniello.
3.4 Storia di Daniela Cecchin
Il padre era ingegnere delle Ferrovie dello Stato, deceduto nel 1995, la madre
(all'epoca dei fatti era ancora in vita), 83 anni residente a Firenze, due sorelle:
Paola nata nel 1951, sposata, laureata in lettere ed insegnante, Adriana nata nel
1952, nubile, laureata in medicina (all'epoca dei fatti svolgeva attività
assistenziale presso l'Ospedale di Careggi nel reparto del Prof. Nozzoli), infine
Paolo, nato nel 1962, ingegnere come il padre, sposato e padre di una figlia.
Daniela è la terzogenita, quando aveva tre anni (1959) la famiglia, a causa di
ragioni lavorative del padre, si trasferisce da Vicenza a Firenze.
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Già dall'età infantile la storia di Daniela Cecchin appare contrassegnata da un
fattore psico-traumatico: durante la seconda guerra mondiale il padre faceva parte
di un gruppo armato della Resistenza al nazi-fascismo, fu catturato ed
imprigionato dalle truppe della “ Repubblica Sociale Italiana” e torturato a lungo
affinché rivelasse notizie di cui presumibilmente era in possesso, riuscì a resistere
alle torture ed in seguito fu liberato; questo episodio fu oggetto di ripetute
narrazioni e descrizioni nell'ambito familiare e fu proprio da questi racconti che
la stessa Cecchin dichiara come nacque in lei l'idea che “l'Italia, ma forse tutto il
mondo, si divideva in due: quelli furbi e forti, che vincevano sempre, e quelli
invece deboli e non furbi, che soccombevano”, questa idea ebbe modo di
rafforzarsi in Daniela negli anni successivi, in particolare nel periodo
adolescenziale. La sua era una famiglia fortemente legata ai valori della religione
cattolica, ma anche a valori etici quali il culto dell'onestà e della non
sopraffazione, cosa che causerà negli anni successivi in Daniela un sentimento
molto critico nei confronti di episodi di mal costume con cui veniva a contatto,
come piccoli favoritismi, discriminazioni, metodi per avanzare di carriera,
radicando ancor di più la sua idea del mondo diviso in furbi/vincenti e non
furbi/perdenti.
Daniela frequentò le scuole a Firenze, dopo che nel 1959 tutta la famiglia vi si
era trasferita, dopo la scuola media s’iscrisse al Liceo classico, periodo che
descrive come molto amaro, fortemente frustrante e doloroso, a causa del suo
carattere schivo ed ombroso non riusciva a stringere legami con i compagni che
la tenevano sistematicamente a distanza, prendendola spesso in giro e
offendendola “mi chiamano spesso la suora... quando facemmo la gita a Roma
nessuno voleva stare in camera con me”, ad aggravare la situazione delle sue
relazioni sociale vi era anche il fatto che in quegli anni era presente un clima
politico molto intenso, era ancora molto attivo il “movimento studentesco” e
Daniela, con la sua educazione cattolica di stampo tradizionalista, col suo modo
di vivere rigido, formale, distante, diffidente e sospettoso, chiuso, poco
comunicativo e socievole si sentiva sempre più mal vista e tollerata dai
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compagni, in più occasione ha dichiarato di essersi sentita in quei momenti
oggetto di violenza, in particolar modo quando una mattina si rifiutò di aderire ad
uno sciopero studentesco fu indotta a farlo dietro forti insistenze e maniere
brusche di alcuni compagni di scuola. La situazione dovuta in parte dalle sue
caratteristiche psicologiche, in parte da quelle relazionali, influì anche sul
rendimento scolastico di Daniela, cosi la sua preoccupazione costante divenne
quella di essere considerata “stupida e cretina”. Rendendosi conto del suo
isolamento sociale per tentare di porvi rimedio fece un tentativo, peraltro fallito:
s’iscrisse ad un gruppo dell'ultrasinistra, trovando però le riunioni noiose e
l'ideologia di fondo non affine alla sua. Nel 1975 sostenne l'esame di maturità
con votazione 42/60 e questo risultato scarso fece si che si rafforzasse ancor di
più in lei la percezione di inadeguatezza e l'idea del mondo diviso in vincenti e
perdenti, si prospettò a questo punto per lei la possibilità di continuare gli studi,
decise di iscriversi alla Facoltà di Chimica Tecnica Farmaceutica dell'Università
di Firenze, sembra che questa scelta fu dettata più dalle prospettive per un futuro
lavorativo che da una vera passione per la materia, infatti sostenne un esame con
votazione minima e al successivo venne respinta, racconta come “a casa
raccontai balle per 5-6 mesi, sulla frequenza e sugli esami, poi confessai
tutto...mia madre mi spinse ad iscrivermi a farmacia che era più semplice...ma
anche durante l'università avevo trovato il modo di rendermi ridicola, perché io
sono una persona ridicola… anzi, no... lo ero...” , si evince anche dalle sue
parole come continuasse il suo isolamento sociale e relazionale, con unica
eccezione significativa dell'allora studente di farmacia Paolo Botteri, che più
avanti verrà trattata approfonditamente; i suoi sentimenti di inadeguatezza
crebbero fortemente supportati anche dall'ennesimo insuccesso universitario, che
la spinse ad abbandonare gli studi. É questo il periodo in cui cominciava a
manifestarsi in Daniela una chiara sintomatologia psicopatologica: cominciarono
per lei lunghi periodi di depressione del tono dell'umore, viveva forti sentimenti
di tristezza ma anche di rabbia per le “offese ricevute” che in nessun modo
riusciva ad elaborare criticamente e dimenticare, stavano prendendo consistenza
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in lei sentimenti crescenti di rancore, inoltre in quel periodo la sorella stava
portando avanti i suoi studi con molto successo, iscrivendosi poi a medicina e la
madre faceva continui confronti tra Daniela e la sorella Adriana. Daniela
trascorse cosi alcuni anni, sempre più isolata, cupa e rimuginando e ruminando le
offese ricevute negli anni passati, parallelamente ai disturbi del tono dell'umore
stavano cominciando a presentarsi chiari ed evidenti disturbi della condotta
alimentare: Daniela si alimentava in maniera regolare ma subito dopo aver
mangiato si provocava il vomito, a queste fasi si alternavano qualche volta anche
episodi di bulimia, nei quali si iperalimentava con preferenza per cibi dolci,
vomitando poi immediatamente il cibo ingerito. Erano presenti anche fasi in cui
il tono dell'umore appariva tipicamente espanso “mi sentivo scoppiare di energia,
facevo anche lunghe pedalate per ore ed ore... a volte mi compravo qualche capo
di abbigliamento colorato, oppure qualche shampoo colorato... ma all'interno il
sentimento era sempre uguale... una grande rabbia...”. Consigliata da familiari e
amici di famiglia si rivolse al Dott. Maganzani di Imola, dove si recò alcune volte
per circa due anni, le furono prescritti alcuni farmaci, dei quali non è pervenuto il
nome, instaurando con lei anche dei colloqui che a detta della Cecchin le fecero
molto bene e piacere, presto il Dott. Maganzani morì e Daniela non riuscì più ad
avere un rapporto stabile con altri medici, dal 1990 al 1993 è stata seguita dallo
psicologo Dott. Grandi, ma le cose sono andate sempre peggio, in seguito ha
tentato di seguire una terapia familiare anche dal Dott. De Bernard di Firenze,
con esiti negativi.
Nel 1990 dietro esigenza di trovare un lavoro stabile e spinta dalla voglia di
cambiare aria e ambiente accettò la proposta del padre che le aveva trovato un
lavoro presso la società TESAN di Vicenza che si occupava di teleallarme
sanitario, le furono assegnati compiti di contabilità che non conosceva e davanti
ai quali risultava evidentemente inadeguata ed incapace, anche qui si ripete lo
stesso schema relazionale: isolamento dagli altri, nessun rapporto di amicizia o
cordialità con i colleghi, la sua sensazione era quella di odio e rabbia verso il
direttore della ditta che le affidava compiti a cui lei non era in grado di assolvere,
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si sentiva umiliata, inferocita per il fatto che a 31 anni non era capace mentre le
altre sue colleghe più giovani “erano ignoranti, ma furbette e raccomandate... io
ero svalutata e presa in giro... mi chiamavano la demente incapace di intendere e
di volere...” anche in questo caso Daniela vive una forte delusione, inizialmente
la possibilità di andare a vivere e lavorare a Vicenza le era parsa attraente, li c'era
infatti anche la casa dei nonni materni, casa a cui era molto affezionata tant'è che
la rimise tutta apposto, curando il giardino e facendo da sola dei piccoli lavoretti
per passare le giornate, ma il resto non andava molto bene, era sempre sola, la
sua quotidianità era: lavoro, casa e basta, anche il sabato e la domenica in cui era
libera passava le giornate sola in casa. É nel 1993 che comincia a fare telefonate
di disturbo alle persone che secondo lei l'avevano perseguitata, persone che in
passato l'avevano tormentata ma anche persone che non le avevano fatto nulla,
nel 1994 compra una pistola che la fa sentire più sicura, comincia anche ad
andare ad un poligono di tiro che le serve per scaricare la sua rabbia interiore; è
sempre nel '94 che decide di sottoporsi ad un'operazione di chirurgia plastica al
seno perché gli sbalzi di peso avuto a causa dei disturbi alimentari degli anni
passati le avevano creato irritazioni fastidiose alla pelle, operata dal Dott.
Armando Vernocchi Daniela rimase molto soddisfatta del risultato, il chirurgo le
parve serio e bravo, inoltre “era un uomo anziano ma interessante... mi pareva
che provasse qualcosa per me... o almeno io cosi avrei voluto... ma non è
successo niente...”, quindi cominciò a fare telefonate anche a lui, arrivando
addirittura un giorno ad andare fuori dalla sua abitazione danneggiandogli la
porta di casa sfregiandola con un arma appuntita, secondo le dichiarazioni del
Dott. Vernocchi stesso, fatte in seguito alla polizia, Daniela suonò il campanello
della sua abitazione più volte, ma essendo domenica mattina e avendo visto dallo
spioncino che si trattava di una sua vecchia paziente senza appuntamento aveva
deciso di non aprire la porta, cosi Daniela si trattenne sul pianerottolo di casa per
circa un'ora, sedendosi ogni tanto sulle scale di servizio, manifestando
nervosismo fino al punto poi di arrivare a compiere l'atto vandalico sopra
descritto. É a questo punto che una delle sue sorelle si era recata dai carabinieri
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per far revocare il porto d'armi a Daniela, nel 1995 viene seguita dalla psichiatra
Dott.ssa Zoccoli per un tempo molto breve, nel 1997 viene denunciata per
molestie telefoniche, anno in cui avviene anche il suo licenziamento dalla ditta
TESAN in occasione di una ristrutturazione dell'azienda. Cercò cosi un nuovo
impiego, adattandosi a fare lavori saltuari, lavorò presso i Comuni di Arzignano,
Montecchio Maggiore, Gambellara, Lonigo e Sandrigo, finché a settembre del
1999 fu assunta come impiegata di ruolo nel comune di Schio, durante il periodo
di lavoro presso il comune di Arzignano si percepiva vessata e perseguitata,
osteggiata e tenuta a distanza, cosa che la spinse a vendicarsi sottraendo alcuni
documenti di ufficio, ma fu smascherata da una telecamera nascosta, alla
denuncia seguì un processo ma fu assolta dal GUP del Tribunale di Vicenza
“perché il fatto non sussiste”, oltre alla sottrazione dei documenti si verificò
anche un episodio di danneggiamento fuori dalla sede del comune, una notte
Daniela vi si recò per rovesciare dei vasi di fiori e dargli fuoco . Dopo un anno
passato a Schio nel 2000 si liberò un posto presso il comune di Firenze, dove fu
assunta e nel 2001 assegnata all'ufficio Igiene Pubblica, inizialmente fu addetta al
semplice protocollo, richiese che le venissero assegnati compiti più complessi,
spesso svolgeva anche spontaneamente il lavoro di altri colleghi, accettando
anche mansioni di rango inferiore alle sue, dimostrandosi sempre diligente e
scrupolosa, il Dirigente dell'epoca la definisce come introversa e riservata, e
racconta come altri colleghi l'avevano vista parlare da sola. Questo periodo fu
anche nella percezione soggettiva di Daniela come particolarmente buono,
l'ambiente di lavoro le appariva tranquillo e cordiale, qui a differenza di quello
che era sempre accaduto, i colleghi la stimavano e il dirigente le accordava la sua
fiducia, proseguivano però le fasi di depressione del tono dell'umore e i disturbi
alimentari; inoltre qui a Firenze aveva ritrovato alcuni amici di tanti anni prima,
Fiorenza ed Andrea Sonego e Alessandra Vitale, quest'ultima trasformatasi poi
assieme al marito vittima di alcune telefonate anonime da parte di Daniela. Nel
marzo 2003 la Cecchin aveva sostenuto un concorso per l'assunzione presso
l'Università di Firenze in qualità di impiegata amministrativa, i risultati del
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concorso erano consultabili sul sito internet dell'Università, al quale nel marzo
2003 si collegò scoprendo che nel sito erano presenti anche i nomi di tutti i
laureati degli anni precedenti, incuriosita cominciò a guardare le informazioni
prima relative alle sorelle ed al fratello e poi di altri conoscenti, fu cosi che
esplorando i dati relativi alla Facoltà di Farmacia si imbatté nel nome di Paolo
Botteri.
3.5 L'evento scatenante e la messa in atto del delitto
Paolo Botteri, questo nome scatenò immediatamente in Daniela una serie di
ricordi, lui era stato un suo collega di corso alla Facoltà di Farmacia, uno dei
pochi soggetti di sesso maschile dai quali non si era sentita presa in giro o tenuta
a distanza, anzi una volta le aveva persino chiesto se voleva studiare con lui per
un esame e di “uscire con lui”, inviti che Daniela aveva rifiutato a causa del suo
umore depresso, cupo, della sua educazione sessuo-fobica e delle sue palesi
incapacità a gestire i rapporti interpersonali, del suo esclusivo interesse rivolto al
mangiare e alle sue ossessioni. Daniela cominciò cosi a cercare ogni tipo di
notizia, quasi pervasa da una sorta di rabbia, sul Botteri, scoprendo cosi che si era
laureato, a differenza di lei, in farmacia, che era proprietario di una farmacia nel
centro di Firenze, e membro della Federfarma, approfondendo la ricerca scoprì
che era sposato. Daniela passò dei mesi, fino ad ottobre 2003, a rimuginare su
quella che era la vita del Dott. Botteri “lui si era laureato... era una persona
importante nel suo ambiente... aveva una moglie... era una persona arrivata,
realizzata, la sua vita era colorata dagli affetti... ed io ero stata una cretina a
rifiutare il suo invito ad uscire... tutto per colpa del mio carattere... lui si era
laureato, quindi era un vincente” , Daniela in questi mesi passò anche più volte
davanti alla farmacia del Dott. Botteri, senza mai avere il coraggio di parlargli,
cominciò cosi anche a fare telefonate mute anche alla sua abitazione, e in questo
tempo cresceva sempre di più un sentimento di odio e rabbia nel confronti di
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questa moglie che lei non aveva mai visto ma che in qualche modo gli aveva
portato via la felicità, che stava vivendo quella che avrebbe potuto essere la vita
felice di Daniela, i pensieri cominciarono a divenire idee fisse ed insopportabili,
finche la mattina dell' 08.11.2003 prese il tram, in borsa aveva un pacchetto da lei
confezionato con sopra l'intestazione della Federfarma stampata da Internet, e si
recò a casa Botteri-D'Aniello, inizialmente con l'intento di fare un dispetto o
sfregiare la porta, suonò il campanello dicendo che doveva consegnare un pacco
dalla Federrfarma per il Dott. Botteri e una volta aperta la porta e trovatasi
davanti per la prima volta la signora Rosa D'Aniello non esitò un istante ad
aggredirla col coltello ed ucciderla. Una volta compiuto il delitto, dal resoconto
della Cecchin, sappiamo che trascinò la vittima in camera da letto, dopodiché
resasi conto che le mani le sanguinavano perché si era ferita si recò in uno dei
bagni della casa per disinfettarsi, è in quel momento che sentì delle voci fuori di
casa, i vicini che si erano allarmati, e decise cosi di mettersi nascosta sotto il
lavello del bagno col coltello in mano, per paura che arrivasse qualcuno. Passate
circa due ore Daniela si tolse alcuni abiti sporchi e indossando un paio di
pantaloni ed un cappotto del dott. Botteri uscì in strada e tornò a casa sua con
l'autobus, arrivò verso le 11:30 circa di mattina, gettò nel cassonetto i vestiti non
suoi nel corso della mattinata stessa e rimase sia il sabato che tutta la domenica
chiusa in casa, dove si medicò ancora le mani dolorose, suo unico problema. Fino
al giorno del suo arresto Daniela si è normalmente recata al lavoro, consapevole
del fatto che sarebbero risaliti a lei dai tabulati telefonici, per questo portava
sempre con sé il coltello, avrebbe voluto uccidersi prima di venire arrestata.
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4. Personalità e movente di Daniela Cecchin: un
confronto tra perizie
4.1 Dichiarazioni di Daniela Cecchin
Sono state raccolte le dichiarazioni di Daniela Cecchin sia nella Consulenza
Tecnica per il P.M. richiesta dal Sost. Proc. Della Repubblica presso il Tribunale
di Firenze, Dott. Pietro Suchan ed eseguita dal Dott. Rolando Paterniti ed il Prof.
Ivan Galliani, per accertamenti sulla condizione di mente dell'imputata e
rispondere al quesito relativo alla capacità di intendere e di volere dell'indagata al
momento del fatto commesso, tracciando un profilo psichiatrico della stessa, e
per valutare il suo livello di pericolosità sociale; nella Relazione di Consulenza
Tecnica Psichiatrica richiesta dalla difesa dell'indagata e svolta dal Dott. Alberto
Manacorda, Specialista in Clinica delle Malattie Nervose e Mentali, Primario
Psichiatra, Docente di Psicopatologia Forense nella Scuola di specializzazione in
Psichiatria, Facoltà di Medicina e Chirurgia II Università di Napoli; nella Perizia
Psichiatrica richiesta dal Dr. Antonio Crivelli G.U.P presso il Tribunale di Firenze
eseguita dal Prof Ugo Fornari e dalla Dott.ssa Alessia Cantarella, Istituto di
Psichiatria Forense dell'Università di Torino, al fine di valutare quali fossero le
condizioni di mente di Daniela Cecchin al momento dell'atto commesso e se la
sua incapacità di intendere e di volere fosse, per infermità, esclusa o grandemente
scemata, inoltre veniva richiesto ai periti se la perizianda fosse da ritenersi
persona socialmente pericolosa e se fosse in grado o meno di partecipare
coscientemente al processo. Per la Parte civile le Perizie sono state eseguite dal
Prof Adolfo Francia e dal Prof. Marcello Nardini.
Le dichiarazioni rilasciate dall'imputata nei vari incontri con i Consulenti Tecnici
sono sempre state le medesime, ad accezione di qualche dato sulla sua storia
personale tal volta omesso, tal volta ingigantito, per quanto riguarda invece le
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dichiarazioni circa l'atto commesso non ci sono state significative incongruenze
tra una perizia e l'altra. Le più dettagliate ed interessanti relative al fatto
commesso sono le seguenti dichiarazioni, Daniela racconta ai periti Paterniti e
Galliani, come abbia accumulato sulla vittima tutte le sofferenze degli anni
passati, di come vedesse nella signora D'Aniello una persona ricca, fortunata,
felice a differenza di lei che era una perdente, afferma di aver confuso fantasia e
realtà, affermazione che appare poco chiara ma che non viene approfondita
utleriormente; la Cecchin riferisce di come avesse incanalato tutti i suoi pensieri
su questa persona, aggiungendo anche “Io queste persone nemmeno le
conoscevo, erano pensieri distorti i mei... loro fortunati mortali, io sfortunata
mortale, ho confuso la fantasia con la realtà”. Sul Dott. Botteri, a specifica
domanda, dice che non c'è mai stato un rapporto sentimentale, mai feeling o
interesse personale, come peraltro lui stesso in diverse occasioni aveva
dichiarato, non si ricordava neppure di Daniela, cosi le viene chiesto come mai
ha agito fino ad uccidere quella donna, a questa domanda risponde dicendo “una
costruzione mentale che mi ero fatta”, aggiunge che probabilmente non accettava
di questa coppia il fatto che potessero permettersi di essere gentili e carini, a
differenza di lei che non ci riusciva, inoltre per quanto riguarda le telefonate
ammette di averle fatte per disturbarli. Le viene domandato che cosa aveva
provato la prima volta che passò davanti alla farmacia e rivide dopo tanti anni il
Dott. Botteri, riferisce di non aver provato nulla nel momento in cui lo rivide,
solo curiosità di sapere com'era diventato e come viveva, anche perché fino a
quel momento non aveva mai incontrato nessuno del suo passato, “ ... è stata una
cosa continuativa la curiosità... io ero piena di pensieri negativi, è come se li
avessi convogliati su di lui, un po' alla volta la curiosità si è trasformata in
pensieri negativi... non posso pensare a come ho buttato via la mia vita”, e
ancora “nei giorni precedenti al fatto mi sentivo esacerbata, rancorosa e piena di
livore, credo di aver cosi incanalato questa rabbia nei confronti della moglie del
Botteri e sono esplosa contro di lei, perché anche lei era diversa da me, anche lei
faceva parte di coloro che vivevano bene, erano felici e gratificati. Quando lei ha
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aperto la porta qualcosa è esploso in me... ricordo il dolore che provavo perché
mi ero ferita alle mani”. Alle domande che le sono state poste sulle motivazioni
che l'hanno spinta all'omicidio risponde dicendo che non voleva farlo, voleva fare
solo uno scherzo, consegnare il finto pacco ed andarsene subito, se si fosse
presentato il Botteri ad aprire la porta sarebbe scappata via, però si contraddice
affermando subito dopo che “non volevo ucciderla ma ferirla, farle del male, per
questo avevo comunque il coltello nell'altra mano... lo avevo comprato pochi
giorni prima perché quello che avevo mi sembrava piccolo” .
Al Prof. Manacorda circa il Botteri riferisce di averci fatto solo 2-3 chiacchere e
che lui si era innamorato di lei, aveva rifiutato però la sua offerta di uscire a
causa dei suoi problemi relazionali, anche se con dispiacere perché comunque lo
trovava un ragazzo serio “avrebbe fatto la mia felicità... quando l'ho rivisto per
la prima volta in farmacia per due settimane ho patito come una bestia...
pensavo che stupida che ero stata... lui avrebbe fatto la mia felicità”, racconta
che ha cominciato ad odiare la moglie, provando gelosia ed invidia, un forte
desiderio di lui, desiderio misto a gelosia “anche desiderio erotico, si anche
desiderio sessuale per lui... e rabbia e furore per essermi lasciata sfuggire cosi la
felicità”. Riguardo al movente che l'ha spinta a compiere il delitto racconta come
avesse cominciato a fare sogni, ad avere fantasie omicide nei confronti di questa
moglie a lei sconosciuta e che in passato le era già capitato di sognare di uccidere
altre persone; sulla mattina dell'omicidio dichiara di come si fosse recata li senza
un intento ben preciso, se non quello di fare del male alla moglie del Botteri, il
desiderio di uccidere le è poi insorto nel momento in cui lei le ha aperto la porta e
finalmente l'ha vista “ho visto in lei l'uomo che io desideravo, è come se in quel
momento si fosse concentrata tutta la rabbia, l'odio, il veleno, la frustrazione e
mancanza di affetto di tutta la mia vita” la inferociva il fatto che lui da giovane
fosse innamorato di lei, in un lampo ha visto la vita colorata dal sentimento, dalla
dolcezza di quella moglie che le aveva appena aperto la porta, e di come invece
la sua vista non fosse stata altro che grigia e deserta “cosi l'ho colpita... forse due
volte, col coltello... poi mi sono ferita anche io e mi sono fermata a lungo
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nell'appartamento dove mi sono lavata il sangue sulla ferita e mi sono cambiata
gli abiti sporchi” anche in questa dichiarazione, come la precedente l'unica
preoccupazione in quel momento di Daniela era il dolore provocato dalla ferita
alla mano.
Anche nella Perizia svolta dal Prof. Fornari e dalla Dott.ssa Cantarella, Daniela
afferma come rivedere il nome del Botteri l'avesse fatta tornare indietro di 25
anni riportandola allo stato d'animo di allora “Ho ricominciato a staccarmi dalla
realtà e a mangiare sabbia (inteso nel senso di non provare più gusto per la
vita)... ho cominciato a costruire nella mia mente delle fantasie su come le
persone normali hanno una vita normale e non mangiano sabbia”, ancora una
volta riferisce questo senso di invidia provato per quella coppia felice, affermata
e piena di affetti come lei stessa avrebbe voluto, ma che invece è stata
perennemente esclusa da tutti. Daniela afferma anche come il nome del
farmacista le aveva fatto scattare la molla del passato “Adesso faccio un
ragionamento che allora non facevo. Lui rappresenta tutti gli altri nel senso che
era in sintonia con se stesso e viveva e non mi sono più mossa da quel pensiero.
Ero sempre più staccata dalla realtà. Andavo a lavorare ma mi staccavo sempre
di più”. Dice che avrebbe voluto in qualche modo essere al posto della moglie,
cosi sarebbe potuta essere felice, una persona normale, comunque il suo pensiero
restava sempre lo stesso “non sono in grado di esserlo, non sono in grado di
essere all'altezza di essere moglie e madre, di portare avanti una vita
matrimoniale” ma subito dopo afferma “avere una famiglia non significa essere
intelligente, cosa ci vuole poi ad avere un figlio?”
Riguardo alla mattina del crimine Daniela non aggiunge niente di più di quello
che è stato detto sopra, non riferisce incongruenze o lacune, aggiunge solo una
riflessione che le volte precedenti è sempre mancata “ho rovinato la vita ai
familiari di questa persona, ai miei familiari, questa è una consapevolezza che
mi porterò dietro per tutta la vita.”
Durante i colloqui che Daniela ha avuto con i periti e con gli psicologi del
carcere non ha mai fatto un minimo cenno alla vittima, non ha mai mostrato
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segni di rimorso dei confronti della signora D'Aniello, come se avesse cancellato
un oggetto scomodo e fastidioso.
Relativamente alla sua infanzia e adolescenza riferisce di avere avuto un rapporto
molto particolare con il padre, lui le dava quel rispetto che fuori non riceveva da
nessuno “Io ero il suo ideale, ci teneva che fossi mansueta, docile e buona”
racconta anche di come suo padre si arrabbiasse quando lei gli raccontava di
come si sentiva in mezzo agli altri, alzava la voce e le dava un senso di
oppressione e lei non riusciva a reagire alle sue prediche come invece facevano le
sorelle e il fratello dicendo “papà smettila!”, lei invece lo ascoltava perché
sapeva che lui in fondo lo faceva solo per il suo bene; tal volta però manifesta
anche una sorta di rabbia nei confronti di questo padre “ero bloccata davanti a
lui, mi irritavo con me stessa perché non ero capace di sbloccarmi”. Comunque
nonostante questa quasi sottomissione nei confronti del padre, riferisce come per
lei sia stata gratificante l'immagine che lui si era fatto di questa figlia mansueta e
calma, l'unica capace di ascoltarlo, anche se nei fatti non glielo ha mai esternato.
Della madre da una definizione di donna realistica: non ha particolari episodi da
raccontare, dice come fosse una donna che sapeva farsi rispettare, molto unita col
marito, forse un po' troppo invadente con i figli, voleva sapere tutto; la descrive
come non molto bella, col corpo un po' sformato dalle quattro gravidanze, era
una donna tutta casa e lavoro, forse un tipo più rude rispetto al padre tanto amato,
che aveva dovuto soffrire a causa delle “persone furbe che animano il mondo”.
4.2 Disturbi della Personalità: breve cenno teorico
É doveroso a questo punto un breve excursus teorico sui disturbi di Personalità
visto che più volte nelle varie perizie fatte a Daniela si fa uso di questo termine
per connotare il suo assetto psichico.
Tali Disturbi rappresentano un’esagerazione delle differenze di personalità tra gli
individui, sono caratterizzati da comportamenti inflessibili e pervasivi che
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portano disfunzioni significative nella vita delle persone, influenzano inoltre la
costituzione caratteriologica e le tendenze comportamentali della persona e di
solito coinvolgono diverse aree della personalità, causando anche conflitti a
livello sia sociale che personale. L'anticamera del disturbo di Personalità è
rappresentato dal Tratto di Personalità che è una modalità coerente di
comportamento, emozioni e componenti cognitive che varia notevolmente da
persona a persona, i tratti di personalità, cosi come li concettualizza il DSM-IV,
sono quei “modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti
dell'ambiente e di sé stessi”, questi sono presenti in ognuno di noi, possono
essere considerati come tasselli che vanno a costituire le dimensioni della
personalità. I tratti a loro volta sono influenzati dal temperamento e
l'apprendimento
sociale,
per
temperamento
s’intende
la
disposizione
comportamentale presente fin dalla nascita che costituisce una sorta d’impronta
che determina le caratteristiche predominanti di ogni persona, quando questo si
esprime in un particolare ambiente allora si sviluppano i Tratti di Personalità;
l'esagerazione da un punto di vista qualitativo e quantitativo del Tratto sfocia poi
nella patologia vera e propria conducendo cosi al Disturbo di Personalità. Tale
disturbo può rimanere silente per gran parte della vita caratterizzando però i
comportamenti
quotidiani,
in
concomitanza
di
situazioni
stressanti
particolarmente intense può manifestarsi sotto il profilo clinico e sintomatologico
e produrre comportamenti disfunzionali. I tratti vengono comunque a recare in
alcune persone dei quadri di “normalità” mentre in altre dei quadri di “patologia”
quindi è facile interrogarsi su quale sia allora il legame tra la comparsa di un
disturbo mentale e la presenza di determinati tratti, è sempre più sostenuta l'idea
che in ogni persona siano presenti tratti adattivi e maladattivi, e per poter arrivare
alla patologia non occorre soltanto una amplificazione, quindi una variazione
quantitativa dei tratti maladattivi, ma occorre anche la presenza di un “quid novi”
capace di organizzare il quadro psicopatologico.
Dato che nel successivo paragrafo verrà fatto spesso riferimento al Disturbo
Paranoide di Personalità ed ai criteri richiesti dal DSM-IV per poter soddisfare
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tale diagnosi, brevemente vengono riportati i criteri e le caratteristiche di tale
disturbo:
Criterio A. Diffidenza e sospettosità pervasive nei confronti degli altri (tanto che
le loro intenzioni vengono interpretate come malevole) che iniziano nella prima
età adulta e sono presenti una varietà di contesti, come indicato da quattro o più
dei seguenti elementi:
1)
sospetta, senza una base sufficiente, di essere sfruttato, danneggiato o
ingannato;
2)
dubita senza giustificazione della lealtà o affidabilità di amici o colleghi;
3)
è riluttante a confidarsi con gli altri a causa di un timore ingiustificato che
le informazioni possano essere usate contro di lui;
4)
scorge significati nascosti umilianti o minacciosi in rimproveri o altri
eventi benevoli;
5)
porta costantemente rancore, cioè, non perdona gli insulti, le ingiurie o le
offese;
6)
percepisce attacchi al proprio ruolo o reputazione non evidenti agli altri,
ed è pronto a reagire con rabbia e contraccambiare;
7)
sospetta in modo ricorrente, senza giustificazione, della fedeltà del
coniuge o del partner sessuale.
Criterio B. Non si manifesta esclusivamente durante il decorso della
Schizofrenia, di un Disturbo dell'Umore con Manifestazioni Psicotiche, o di un
altro Disturbo Psicotico, e non è dovuto agli effetti fisiologici diretti di una
condizione medica generale.
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4.3 Analisi della Personalità: perizie a confronto
Nella perizia svolta dal Dott. Paterniti e dal Prof. Galliani emerge dall'esame
psichico come la perizianda si presenti ai colloqui ordinata e curata nell'aspetto e
nell'abbigliamento, mostrando sempre un'espressione sospettosa e guardinga, con
un atteggiamento improntato alla difesa. Sembra lievemente rallentata nei gesti e
nella mimica, mai confusa e sempre pienamente cosciente, l'aspetto affettivo ed
emotivo pare trattenuto ed estremamente controllato. I consulenti affermano
come durante tutti i colloqui Danila si sia mostrata sospettosa, rigida, iperattenta
ad ogni minimo gesto o inflessione del discorso dei suoi interlocutori; nel
raccontare i fatti è estremamente puntigliosa e precisa, si irrita quando le
vengono poste domande precise e circostanziate sulla dinamica dell'evento e
sulle possibili spiegazioni. Negli incontri è sempre apparsa di umore
moderatamente depresso, lievemente ansiosa e poco preoccupata per il suo
destino, sempre lucida ed orientata per quanto riguarda i parametri comuni di
tempo, spazio e sé, con testing di realtà adeguato, come adeguate sono risultate le
funzioni psichiche elementari, il livello intellettivo risultava nella norma, buona
capacità di verbalizzazione coerente col livello culturale e scolare di
appartenenza. Riesce a raccontare con molta precisione gli avvenimenti della sua
infanzia e adolescenza fino ad oggi, senza però riuscire ad esprimere con la stessa
precisione e profondità gli aspetti che l'hanno portata a compiere il delitto, non
sono emersi in alcun momento alterazioni del senso di percezione, ne vengono
riferite per il passato, cosi come per alterazioni dell'immaginazione in senso
patologico, né alcuna tendenza alla fantasticheria patologica; Daniela spesso
ripete la frase “ho scambiato la fantasia con la realtà” questo sembra
rispecchiare più un vissuto soggettivo della donna che corrisponde alle continue
rimuginazioni “invidiose” che scaturivano in lei nei confronti della vita personale
e familiare di alcune delle persone verso le quali poi effettuava telefonate
anonime. Non è stata mai comunicata alcuna libertà immaginativa che andasse al
di fuori di un testing di realtà, non vi sono state neppure turbe del pensiero sul
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piano formale o su quello dei contenuti, rispetto a quest'ultimo punto è stata però
evidenziata una tendenza allo sviluppo vittimistico persecutorio, esemplificato da
Daniela nella suddivisione del mondo in furbi e perdenti. Le caratteristiche di
questo sviluppo vittimistico persecutorio sembrano essere radicate nei tratti di
personalità della Cecchin, a connotazione essenzialmente paranoide: sospettosità,
diffidenza, chiusura, scarsa comunicativa, basso livello di autostima, timori
continui di critiche, ipersensibilità, permalosità, in assenza però di patologia
paranoide vera e propria, infatti non si sono mai presentate idee deliranti
persecutorie. Sostanzialmente è emerso come Daniela da tempo coltivava un
vissuto soggettivo di emarginazione, auto emarginandosi a causa della sua
incapacità a stabilire e mantenere rapporti con gli altri, di essere oggetto di
critiche da parte di tutti, cioè con chiunque venisse a contatto senza riuscire a
creare una sintonia. Anche i disturbi alimentari di cui Daniela ha sofferto,
ripresentatisi durante la vita carceraria, secondo i consulenti sembrano collocarsi
all'interno di alterazioni della personalità. Relativamente all'episodio che l'ha
vista protagonista del compimento di un delitto non c'è stata alcuna elaborazione
intrapsichica da parte sua, Daniela non esprime il minimo rammarico o
pentimento per quello che è accaduto, se non in chiave strettamente narcisistica,
giudicando questo delitto quasi come un errore di percorso.
Per quanto riguarda le considerazioni psichiatrico-forensi i consulenti sono stati
chiamati a stabilire anche se fosse presente nella perizianda al momento del fatto
commesso un'infermità psichica atta ad integrare gli estremi degli articoli 88 e 89
c.p; secondo i due consulenti non sono emersi dalle loro indagini diagnostiche
elementi per ritenere la sussistenza di una vera e propria patologia psichiatrica,
sono emersi invece elementi abnormi della personalità che comportano una
diagnosi di Disturbo Paranoide di personalità. Secondo i due consulenti,
basandosi sulla distinzione psichiatrico-forense secondo la quale i disturbi di
Personalità non hanno il rango di vere e proprie infermità, non sono sufficienti ai
sensi degli articoli 88 e 89 del codice penale, per cui si può sostenere che anche
un gravissimo disturbo della Personalità potrebbe costituire la premessa di una
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“infermità” ma a condizione che venga direttamente dimostrata l'interferenza di
tale Disturbo sulla capacità di intendere e di volere, per tanto dovrà essere
chiarito se ed in quale grado tale Disturbo abbia effettivamente interferito sulla
capacità di intendere e di volere al momento del fatto, e nel condizionare il
comportamento-reato stesso. I due consulenti ritengono fondamentale fare una
premessa: è infatti possibile che un Disturbo di Personalità, come una infermità
psichiatrica vera e propria possano interferire in misura maggiore o minore sul
livello di funzionamento di una persona, sulla sua capacità a rispondere
adeguatamente a situazioni stressanti, o possono comportare oscillazioni del
livello di funzionamento, cioè implicare una tendenza abnorme all'inadeguatezza
del controllo comportamentale. La presenza di un disturbo di Personalità va
quindi parametrata al tipo di comportamento che si è concretizzato nel caso
specifico per
poter
effettuare
una corretta
analisi criminogenetica
e
criminodinamica.
A questo punto viene fatta un'analisi della dimensione psicopatologica alla luce
dei dati raccolti, nella famiglia di Daniela non è stata riscontrata alcuna
familiarità per disturbi psichici, si evidenzia fin dall'adolescenza un grave
Disturbo Alimentare Psicogeno caratterizzato prevalentemente
da fasi di
anoressia inframezzate da crisi bulimiche alla quali seguiva vomito autoindotto.
Dai colloqui fatti è emerso come gli stati d'animo che più ricorrono nei suoi
racconti sono quelli di rabbia, invidia, frustrazione ed umiliazione, sentirsi
danneggiata, emarginata ed esclusa dal fluire della vita, relegata ai margini della
gioia che lei non riusciva a provare in quanto gli altri, persecutori che di volta in
volta cambiavano, l'avevano privata della possibilità di essere felice e godere di
una vita serena, al contrario di quella che aveva sempre vissuto, caratterizzata da
rabbia e disperazione, disperazione che però non sfocia mai in una vera e propria
depressione intesa in senso clinico, infatti non c'è mai senso di colpa o rifiuto
della vita, e la causa della tristezza è proiettata all'esterno, sugli altri, sui
persecutori, sul mondo ostile, mai su sé stessa. Non compaiono mai neppure
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sintomi psicotici come tematiche deliranti a prevalente contenuto persecutorio,
ma solo un forte convincimento che il mondo è ostile e pericoloso, diviso in
vittime e carnefici, ritendendo lei stessa di far parte del primo gruppo. Fatte
queste considerazioni i consulenti escludono qualsiasi compromissione di tipo
psicotico, analizzando invece se vi siano o meno le premesse per poter parlare di
Disturbo Paranoide di Personalità, riferendosi a quanto scritto nel DSM-IV (il
sistema classificatorio delle malattie mentali derivato dalla cultura americana)
riguardo tale disturbo, concludendo che nel caso di Daniela Cecchin si possa
parlare di Disturbo Paranoide di Personalità senza delirio piuttosto che di
Paranoia. Infatti in Daniela la visione del mondo diviso in vittime e carnefici,
l'ostilità e la diffidenza verso gli altri non sono il risultato di una elaborazione
delirante, ma sono aspetti che nella sua oggettività vengono arricchiti
dall'affettività paranoidea che le impedisce di ricondurre a sé stessa i motivi dei
suoi insuccessi, per cui si alimenta il tutto in una sorta di spirale di rabbia,
invidia, aggressività, senza però mai la presenza di aspetti deliranti. La tipica
rigidità paranoidea, accompagnata da difese di tipo proiettivo, impedisce a
Daniela di rendersi pienamente conto di come molte delle cose che le sono
accadute sono state causate proprio dai suoi comportamenti e non da situazioni
esterne come vorrebbe far credere agli altri e in parte a sé stessa. Il fatto di essere
affetta da questo Disturbo rendeva a Daniela impossibile perdonare gli ex
compagni di liceo ed i colleghi, perché il perdono vero, quello che “nasce dal
cuore” le è precluso dalla patologia stessa, con conseguente tendenza a portare
rancore persistentemente.
Per quanto riguarda l'aspetto criminodinamico i periti hanno valutato se il
comportamento sia stato dettato da un impulso momentaneo o da un’ideazione
preordinata; mentre per l'aspetto criminogenetico hanno valutato da un lato le
rimuginazioni di un vissuto vittimistico-persecutorio, nato da un sentimento
tardoadolescenziale di esclusione-emarginazione dal gruppo dei pari, dalla
tendenza alla classificazione del mondo in vittime e carnefici, sono contenuti che
però allo stato attuale vengono riferiti con tonalità affettivo emotiva molto
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scialba e quindi più relegati ad un passato psico-pato-evolutivo che non alla
psicopatologia
e
sintomatologia
attuali.
Dall'altro
lato
dell'aspetto
criminogenetico sono stati valutati i comportamenti telefonici molesti,
accompagnati in questo caso dalla solitudine esistenziale, da rapporti
fantasmizzati e da rievocazioni del passato. Questi comportamenti, nel caso
specifico di Daniela nascono dalla rimuginazione di vere o presunte ingiustizie
subite nell'ambiente scolastico e di lavoro, sono stati messi in atto da tempo, già
da quando Daniela lavorava a Vicenza, come già da tempo erano stati messi in
atto comportamenti aggressivi indirizzati a persone che apparentemente non
avevano rapporti interpersonali con Daniela, ai quali però ella voleva in qualche
modo arrecare danno, come ad esempio nel caso in cui ha rubato e poi bruciato le
carte dall'ufficio del titolare della ditta presso cui lavorava, l'azione ai danni degli
altri sembra essere spinta in Daniela da un desiderio di rivalsa nei confronti delle
umiliazioni e dei torti subiti. Dall'analisi fatta dell'aspetto criminodinamico e
criminogenetico del delitto i consulenti affermano come non vi entri in gioco
nessun elemento psicopatologico: non vi è delirio, non vi sono depressione o
contenuti depressivi, non vi sono contenuti maniacali, ma solo sentimenti di
rabbia, di aggressività ed invidia. Proprio il sentimento dell'invidia ha mosso la
curisoità di Daniela sulla vita attuale del Botteri e alle molestie telefoniche,
armandole poi la mano e spingendola a compiere il delitto; non è ipotizzabile in
maniera attendibile sul piano criminodinamico una reazione d'impeto di Daniela
o un discontrollo degli impulsi, infatti in questo modo non si spiegherebbe il fatto
di aver portato il coltello con sé per recarsi a consegnare il pacco finto, né allo
stesso modo si comprenderebbe il fatto stesso di recapitare il pacco se non fosse
stata proprio mossa dal desiderio di arrecare danno, per l'appunto attraverso
l'arma, già nel '93 Daniela si recò alla porta del Dott. Vernocchi portando con se
un oggetto metallico appuntito, non le venne aperta la porta e allora si limitò a
sfregiare la porta stessa. Nel caso specifico poi non c'è stata alcuna situazione che
possa aver scatenato una pulsione omicidiaria/aggressiva nell'interazione con la
signora D'Aniello, per cui è possibile concludere che le premesse per l'uso
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aggressivo del coltello nei confronti della vittima erano già nella mente e nella
prefigurazione cosciente di Daniela. Alla luce di tutte queste considerazioni si
può certamente dire che la personalità risulta gravemente disturbata anche se il
grado e la natura del Disturbo presentato da Daniela non è tale di per sé da
alterare in modo significativo le capacità di intendere e di volere, e quindi non è
tale da costituire elemento fondante un giudizio di vizio di mente né ai sensi
dell'articolo 88 del codice penale, né ai senso dell'articolo 89 del codice penale. I
consulenti, citando anche gli studi di Krapelin, riferiscono come si siano sempre
nutriti dei dubbi sul fatto che un Disturbo Paranoide di Personalità potesse
alterare in maniera significativa la volontà, dato che non altera minimamente le
capacità intellettive, infatti come visto precedentemente le capacità intellettive di
Daniela sono sempre rimaste intatte, sia in tesi generale che nelle fasi
preparatorie, esecutive e susseguenti al delitto, anche nella dinamica preparatoria
dell'omicidio Daniela ha conservato lucidità intellettiva e volitiva: prepara
perfettamente il finto pacco postale, recita la parte del postino e suona alla porta
presentandosi già col coltello in mano, anche il fatto che Daniela prima di
compiere il delitto abbia tenuto molti comportamenti alternativi, quali telefonate
moleste e l'accurata preparazione stessa contrastano con l'assunto che possa aver
agito d'impulso. Anche nel periodo attuale Daniela fornisce un resoconto
dettagliato e preciso del suo agire, facendo cosi escludere l'idea di una dinamica
del tipo “a corto circuito” che spesso non permette di ricordare i momenti
immediatamente precedenti e seguenti l'atto. La capacità di comprendere quello
che stava facendo e la volontà di farlo sono perfettamente conservate, la memoria
dei fatti è integra e non si è mai verificato nessun stato mentale di confusione
nemmeno dopo l'omicidio, anzi Daniela trascina il corpo della vittima dentro
casa per poter chiudere la porta e mette in atto una serie di comportamenti per
nulla inadeguati. Per cui la conclusione a cui arrivano i consulenti è Disturbo
Paranoide di Personalità in assenza sia di sintomi deliranti che di destrutturazione
personologica, tale patologia presentata da Daniela Cecchin non configura né un
vizio totale di mente né un vizio parziale di mente, in quanto la sua capacità di
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intendere e di volere al momento del fatto non risultava “grandemente scemata”,
inoltre i consulenti sottolineano il grave rischio di recidiva, che si concretizza
nella possibilità che Daniela commetta nuovi fatti non solo di molestie, ma anche
di natura aggressiva.
Il Dott. Manacorda, consulente di parte per la difesa, nella sua perizia dichiara
come in Daniela Cecchin si sia strutturato un Disturbo Paraniode di Personalità,
in quanto appaiono soddisfatti tutti i criteri che il DSM IV richiede per poter fare
tale diagnosi, a questo si aggiungono complicazioni dovute ad un Disturbo
Bipolare dell'Umore e da Disturbi della Condotta Alimentare. Questo quadro
sembra essersi strutturato e organizzato nel corso del tempo, sussiste anche al
momento attuale della perizia e sussisteva anche al momento in cui venne
commesso il delitto, resta da valutare se questo ha inciso sulla capacità di
intendere e di volere di Daniela al momento dell'omicidio. Per valutare questo il
Dott. Manacorda scinde le due distinte capacità, partendo ad analizzare la
“capacità di intendere”: nella Cecchin già dall'epoca adolescenziale erano
presenti convinzioni circa il fatto che gli altri volessero danneggiarla, offenderla,
prenderla in giro, cosa che le ha precluso di gestire in maniera corretta i rapporti
interpersonali, tendendo a considerare gli altri come “nemici”. Tutto ciò indica
chiaramente una tipica interpretazione paranoidea che ha reso la capacità di
intendere, ovvero di interpretare correttamente i dati della realtà, compresa
l'azione criminosa, secondo i canoni condivisi, profondamente alterata. Per
quanto concerne la “capacità di volere” questa è strettamente dipendente dalla
capacità di intendere ma può essere anche alterata in sé, ad esempio a causa di un
funzionamento alterato dei meccanismi volitivi che possono condurre una
persona a condotte impulsive o sistematicamente oppositive. Nel caso Cecchin si
rintracciano entrambi i meccanismi che inficiano la capacità di volere: le
alterazioni dovute ad una ridotta capacità di intendere e la presenza di specifiche
dinamiche volitive di tipo impulsivo; quanto detto porta a ritenere che sia la
capacità di intendere che quella di volere fossero nella Cecchin, al momento in
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cui ha compiuto il delitto, gravemente inficiate. Riferendosi poi al fatto che la
Cecchin spesso fosse vista parlare da sola a voce alta, e al fatto che interrogata su
questo aspetto la perizianda dichiarasse di sentire dentro di se delle voci di
insulto e scherno alle quali rispondeva con altrettanti insulti a voce alta, quasi per
sentirsi alla pari con tali voci, il Dott. Manacorda ipotizza un serio e consistente
disturbo di esame della realtà, del senso di realtà e del giudizio di realtà.
A parere del Perito quindi tutti gli elementi presentati nel quadro psicopatologico
della Cecchin costituiscono senza dubbio quella “infermità” richiesta dagli
articoli 88 e 89 del Codice Penale come presupposto per il riconoscimento del
“vizio parziale di mente”.
Per quanto concerne la pericolosità sociale della perizianda il Dott. Manacorda
dichiara come la genesi dell'atto commesso dalla Cecchin sia da attribuire alla
“specifica incidenza di speciali e peculiari circostanze di fatto” su questo
soggetto affetto da grave Disturbo di Personalità, in tal senso è evidente, afferma
il Perito, che non può essere definita la Cecchin come persona socialmente
pericolosa, a meno che non si preveda come “probabile” il ripetersi di circostanze
di fatto identiche a quelle che l'hanno portata a compiere il delitto; dato che
questa previsione è pressoché impossibile la pericolosità sociale attuale della
Cecchin rimane esclusa. É evidente come questa versione contrasta nettamente
con quella data dal Prof Galliani e dal Dott. Paterniti, secondo i quali la
perizianda è da ritenersi socialmente pericolosa in quanto la pericolosità sociale è
da attribuire al suo Grave Disturbo di Personalità. Su questo punto si è
concentrato molto il Dott. Manacorda, sottolineando come mai se la pericolosità
sociale fosse dipesa realmente dal Grave disturbo di Personalità della perizianda,
quest'ultima in passato non si è mai resa responsabile di reati, come mai pur
detenendo per diverso periodo un'arma di notevole calibro e peso non l'abbia mai
usata se non per sparare al poligono di tiro, nonostante le continue vessazione
ricevute sul luogo di lavoro; come mai una volta ritiratale la pistola, usava
portare in borsetta, a scopo di sentirsi più sicura, un coltello a serramanico che
non ha mai usato anche difronte ad affronti ed offese da parte di colleghi.
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Presenta inoltre l'elemento relativo al fatto che la Cecchin è molto critica nei suoi
stessi confronti per non essersi mai fatta curare adeguatamente in modo tale da
non arrivare alla situazione in cui si trova adesso, tutti elementi che vanno ad
avvalorare la sue tesi sulla inesistente pericolosità sociale della perizianda.
Riguardo
all'aggravante
contestata
alla
Cecchin
sull'aver
agito
con
premeditazione il Dott. Manacroda ritiene che la lunga elaborazione compiuto
dalla Cecchin rispetto all'“azione offensiva” nei confronti della Signora D'Aniello
abbia delle radici remote molto antiche, che grazie ad eventi causali avvenuti nel
marzo 2003 ha finito per coagularsi nella sua mente nelle settimane precedenti il
fatto fino a sfociare nell'aggressione mortale. Di conseguenza il processo
psichico che ha portato inizialmente alla progettazione e preparazione dell'azione
lesiva e in un secondo tempo alla sua attuazione, coincide con un’idea fissa
ossessiva tipica del quadro sintomatologico della perizianda, pertanto la
premeditazione deriva da cause che si identificano nell'infermità che affligge la
Cecchin; pertanto viene cosi esclusa la premeditazione. Quanto detto vale anche
per poter escludere l'aggravante dell'aver agito per futili motivi, l'aggravante
dell'aver adoperato sevizie o aver agito con crudeltà.
Il Prof. Fornari e la Dott.ssa Cantarella analizzando i dati clinici, anamnestici e
psicodiagnostici raccolti durante i loro accertamenti concordano dicendo che la
Cecchin presenta un Disturbo Complesso di Personalità, dal quale emergono
tratti insicuri, sensitivi, e un frustrato bisogno di farsi valere e di sentirsi
valorizzata, nonché tematiche vittimistico-persecutorie. A questo disturbo di base
va a sommarsi poi un Disturbo della Condotta Alimentare e un disturbo
dell'Umore distimico che non ha mai raggiunto i criteri per un disturbo maggiore,
ma che comunque ha presentato periodici episodi di tipo espansivo-ipomaniacale.
Il quadro clinico attuale si discosta da quello delle due precedenti perizie,
entrambe d'accordo sulla presenza di un Disturbo Paranoide di Personalità, in
quanto secondo i due periti il fatto che la Cecchin distingua il mondo in vincenti
e perdenti e non in buoni e cattivi liquida definitivamente il discorso di un
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Disturbo Paranoide di Personalità perché vengono a mancare le caratteristiche
proprie del disturbo. I due periti sono d'accordo nel dire che alcuni aspetti del
Disturbo Paranoide di Personalità possono aver colorito il quadro clinico e
funzionale della Cecchin “a caldo”, specialmente la componente vittimisticopersecutoria probabilmente molto più espansa nel periodo novembre 2003gennaio 2004, senza però raggiungere mai caratteristiche propriamente deliranti.
É in oltre escluso che un Disturbo Paranoide di Personalità, proprio per le sue
caratteristiche costitutive, sia potuto andare incontro ad una remissione tale da
non lasciare più nessun segno rilevabile dalle osservazioni cliniche successive,
come quella svolta dai periti in questione, anche perché le terapie praticate nei
mesi non sono state continuative e neppure incisive sulla presunta patologia della
Cecchin. Altro aspetto fondamentale da non tralasciare è quello legato al fatto
che il funzionamento psicologico della Cecchin è radicalmente cambiato col suo
trasferimento a Schio e col suo rientro a Firenze, dove sul lavoro ha incontrato
persone che l'hanno apprezzata e considerata come capace. Per cui risulta chiaro
per i due periti che il tratto predominante della perizianda è quello narcisistico,
non quello paranoide, peraltro assente in tutti gli accertamenti fatti dai due periti.
Per i due periti rabbia, invidia, rancore, accidia, narcisismo ferito, desiderio di
possesso e perdita dell'oggetto del desiderio hanno costituito la spinta ad un atto
in cui hanno agito fattori di personalità che non hanno minimamente inciso sulla
capacità di intendere e di volere della Cecchin, quest'ultima è sicuramente una
persona disturbata mentalmente, ma il suo complesso disturbo di personalità non
si è manifestato in maniera quantitativamente e qualitativamente sufficiente da
conferire “valore di malattia” al reato che ha commesso; sottolineando come sia
impossibile negare la serietà del disturbo della Cecchin, tuttavia la progettazione
e l'esecuzione del suo comportamento criminale fanno intendere che nello
svolgimento complessivo e nel resoconto retrospettivo dello stesso essa ha
conservato e conserva, tutt'ora indenni, le aree funzionali del suo Io preposte alla
comprensione del significato del suo atto e delle conseguenze legate ad esso. La
conclusione a cui giungono cosi il Prof. Fornari e la Dott.ssa Cantarella sono che
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le capacità di intendere e di volere della Cecchin al momento del fatto non erano
per infermità escluse o gravemente scemate.
Il Prof. Dott. Francia, fatte le sue rilevazioni con la perizianda e lette le perizie
fatte dai colleghi sottolinea come in questo caso la discussione clinica finisce per
soverchiare quella psichiatrico-forense, al di là di ogni categoria nosografica
ribadisce il fatto che la Cecchin presenta un Disturbo di Personalità ma che le sue
capacità cognitive non risultano alterate e che comunque non vi sono situazioni
patologiche tali da indurla a leggere la realtà secondo parametri psicotici. Il
delitto che ella compie non matura e si costruisce sulla base di un delirio, ma solo
sulla base di parametri psicologici e personologici, La Cecchin uccide perché è
divorata dall'invida, sentimento che in essa prevale su tutti gli altri, ed in oltre è
un sentimento che secondo il perito si ritrova spesso alla base di molti
comportamenti delittuosi. Per cui a suo avviso spostare la discussione fuori
dall'ambito psichiatrico forense risulta fuorviante in quanto non si tratta di
discutere una diagnosi, bensì se tale diagnosi sia influente o meno sulla
imputabilità. Il Dott. Francia afferma come Daniela nel momento in cui ha
commesso l'atto aveva la capacità di capire che quello che stava compiendo era
un delitto, in quanto le sue facoltà cognitive sono sempre risultate intatte, inoltre
le motivazioni che l'hanno spinta ad organizzare l'ingresso in casa della vittima, a
munirsi di un coltello, a trasferire il corpo della vittima dall'ingresso alla camera
da letto non sono certamente di tipo patologico, ha agito in maniera lucida,
coerente, determinata nell'azione e attenta a non farsi sorprendere. Per cui,
rilevato che Daniela Cecchin ha dei tratti abnormi di personalità tali da
configurare un disturbo nosograficamente classificabile, resta comunque
imputabile in quanto ha sempre compreso quello che stava compiendo e non se
n'è astenuta in nessun modo, ne ha mai presentato un minimo cenno di pietà per
la vittima.
Daniela Cecchin è stata condannata a venti anni di reclusione, al termine dei
quali dovrà scontare tre anni in Ospedale Psichiatrico Giudiziario.
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5. Testimonianze su Daniela Cecchin
Dichiarazione della sorella Adriana Cecchin: “Daniela ha avuto una vita
normalissima fino al termine delle scuole superori, salvo essere stata sempre di
carattere chiuso. Una volta iscrittasi all'Università ha iniziato ad evidenziare
problemi depressivi. Manifestava paure, temeva di ricevere del male da chiunque
tanto è vero che per un certo periodo si rifiutava persino di uscire di casa. Con il
tempo l'abbiamo convinta a riprendere una vita normale e ad avere contatti.
Nulla mi risulta riguardo il Dott. Nozzoli mio primario e neppure il Dott.
Botteri.”
Dichiarazione del Dott. Nozzoli: riferiva di essere stato compagno di scuola di
Daniela, con la quale interruppe ogni rapporto dopo la fine delle superiori.
Dichiarava inoltre di ricevere (da circa un anno, anche in ore notturne) telefonate
moleste da parte di sconosciuti, alcune mute, altre con brevi epiteti offensivi
“porco, maiale”, pronunciate da voce femminile. Dichiarava inoltre di essere
stato avvertito dall’assistente Adriana Cecchin che la sorella effettuava telefonate
moleste, e di non preoccuparsi se le avesse ricevute.
Dichiarazione di Fiorenza Sonego, amica di famiglia, partecipe di un gruppo
religioso frequentato saltuariamente anche da Daniela: “attraverso Adriana
anche Daniela veniva saltuariamente a farmi visita a casa... Conosco le
problematiche di Daniela la quale ha iniziato ad evidenziare problemi di
depressione in concomitanza dell'iscrizione all'università. Negli ultimi tempi
Daniela sembrava aver avuto dei miglioramenti. Per quanto riservata e timida
ogni tanto sorrideva... Era comunque evidente che aveva dei problemi, era
strana perché alle volte la notavo gesticolare co la bocca come se parlasse anche
se non emetteva alcun suono vocale. A volte la sentivo parlare da sola”. Anche la
signora Sonego dichiarava di aver ricevuto delle telefonate mute nei mesi di
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settembre ed ottobre, in ore diurne.
Dichiarazione di Alessandra Vitali, amica d’infanzia e compagna di liceo della
Cecchin, moglie di Marco Innocenti, dichiarava tra le altre cose di essere a
conoscenza dei problemi di depressione di Daniela “l'ho rincontrata allorquando
si era appena trasferita a Montebello Vicentino, ricordo che in occasione di una
visita concordammo di trascorrere qualche giorno di vacanza assieme, cosa che
poi non facemmo perché decisi di andare in ferie col fidanzato, mio attuale
marito. Ricordo pure che Daniela la prese male e chiese spiegazioni a mia
madre. Nell'anno 2001 venne a trovarmi a casa e notai qualcosa di strano, a
tratti avevo la sensazione che proferisse frasi scollegate dal contesto del
momento, frasi che sembravano fuori uscire dalla sua bocca senza che lei lo
volesse... ho cercato di interrompere ogni rapporto... Lei mi sembrò contrariata
di questo rifiuto. Ciò avvenne nell'estate del 2002, è stato di li in poi che a casa
mia, sull'utenza fissa, sono iniziate ad arrivare telefonate mute soprattutto in
orario notturno, mi munii di un rilevatore e scoprii che le telefonate provenivano
dall'utenza dell'abitazione della famiglia di Daniela... mio marito telefonò alla
madre e dal quel momento le telefonate sono cessate, anche se ricordo che nel
mese di ottobre, all'alba, ho ricevuto un'altra telefonata simile. Ai tempi del liceo
Daniela era una ragazza graziosa, e ricordo che ha anche avuto delle relazioni
sentimentali se pur di breve durata.”
Dichiarazione di Pier Luigi Cabras, psichiatra di Firenze, “ conosco Cecchin
Daniela in quanto venne la sorella a chiedermi di potermene occupare
rappresentandola come una persona con disturbi del comportamento. Ciò si è
verificato circa un anno fa e, avendo accettato l'incarico, ho avuto in tutto tre
incontri nel giro di un mese e mezzo circa. Già dal primo incontro ebbi modo di
constatare che Daniela era paranoica. Inoltre appariva aggressiva, isolata,
cupa, introversa, nella circostanza le prescrissi una terapia di antipsicotici che
produssero, nei due successivi incontri, qualche miglioramento, cosi come mi
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venne confermato dalla stessa Daniela. Sta di fatto che, successivamente al terzo
incontro, non l'ho più vista né sentita, e neppure i familiari... non ho mai raccolto
specifici sentimenti di avversità verso persone in particolare. Ce l'aveva col
mondo intero e lei si considerava una vittima, riguardo all'aggressività, riferisco
un
episodio
accaduto
nel
primo
incontro
in
occasione
del
quale,
preventivamente, mi chiese di quale città fossi e, avendo appreso che ero di
Firenze, mi disse che i fiorentini erano tutti “stronzi”... non ho mai rilevato in
Daniela una personalità “alternante”, ovvero personalità doppia, o comunque
non ho mai raccolto segnali in tal senso.”
La madre durante un colloquio riferisce: “i malanni le venivano sin da piccola, le
mancava la capacità di riflessione, i guai li ha sempre combinati... come se non
riuscisse a comprendere la conseguenza delle proprie azioni. Una volta (pare di
capire poco prima del delitto) Daniela mi disse: ”Mamma è meglio che ammazzi
qualcuno o ammazzi me?”
Ancora durante un altro colloquio sorelle e fratello dichiarano: “dopo il liceo
quando stava già male spesso chiedeva se era normale, diceva: la gente è
cattiva. Era la più bella delle sorelle ma non ne era cosciente, non girava mai
con i ragazzi, era chiusa e su questo non si esprimeva mai. Era complessata, con
una sottostima di sé stessa, non si sentiva capace di affrontare le cose,
manifestava una tristezza rassegnata, non partecipava alle discussioni familiari,
non partecipava a nulla, mangiava isolata e leggeva giornalini.”
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Bibliografia
American Psychiatric Association, DSM-IV-TR, 2002.
Lucarelli C., Picozzi M. “Serial Killer, storie di ossessione omicida”,
Mondadori, Milano, 2004.
Fornari U., Cantarella A., “Relazione di Perizia Psichiatrica Collegiale in
persona di Cecchin Daniela”.
Francia A., “Relazione di consulenza Tecnica Psichiatrica Forense in persona di
Cecchin Daniela”.
Galliani I., Paterniti R., “Consulenza Tecnica per il P.M sullo stato di mente di
Cecchin Daniela”.
Manacorda A, “Relazione di Consulenza Tecnica Psichiatrica in persona di
Cecchin Daniela”
Rossi L., Zappalà A., “Personalità e Crimine, elementi di psicologia Criminale”,
Carocci Editore, Roma, 2011.
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Sitografia
WWW.REPUBBLICA.IT/2003/K/SEZIONI/CRONACA/FIRENZEDONNA/HTML
WWW.CORRIERE.IT/CRONACA/
WWW.CRIMINE.NET
WWW.SERIALKILLERS.IT
WWW.LANAZIONE.IT/FIRENZE
WWW.CINZIATANI.COM
WWW.ICAA-ITALIA.ORG/OMICIDI
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