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rivista del
dal 1928
M E N S I L E N . 1 0 O T T O B R E 2 0 0 9 € 3,50
fondazione ente™
dello spettacolo
PERSONAGGI
Stone e Moore
La nuova faccia
del capitalismo
Film e star di
Venezia 2009
Colpi di
fulmine
George
in the
Air?
Roma
fa festa
En plein di divi e un
inedito Scorsese
CLOONEY PRENDE IL VOLO: DAL LIDO ALLA
CAPITALE PER JASON REITMAN
Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.I. 353/2003
(conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano
Quando l’Extravergine è uno spettacolo.
Monini è presente al Festival Internazionale del Film di Roma.
Passion for taste.
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
Nuova serie - Anno 79 N. 10 ottobre 2009
In copertina George Clooney - foto Pietro Coccia
pu nti di vi st a
DIRETTORE RESPONSABILE
Dario Edoardo Viganò
CAPOREDATTORE
Marina Sanna
REDAZIONE
Gianluca Arnone, Federico Pontiggia, Valerio Sammarco
CONTATTI
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PROGETTO GRAFICO
P.R.C. - Roma
ART DIRECTOR
Alessandro Palmieri
HANNO COLLABORATO
Alberto Barbera, Luciano Barisone, Gianluigi Ceccarelli,
Pietro Coccia, Silvio Danese, Fabrizio Del Dongo, Karen Di
Paola, Bruno Fornara, Antonio Fucito, Silvio Grasselli, Michela
Greco, Claudio Lanzi, Massimo Monteleone, Franco Montini,
Morando Morandini, Peppino Ortoleva, Anna Maria Pasetti,
Angela Prudenzi, Franco Rossi, Boris Sollazzo, Marco Spagnoli
REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA
N. 380 del 25 luglio 1986
Iscrizione al R.O.C. n. 15183 del 21/05/2007
STAMPA
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Finita di stampare nel mese di settembre 2009
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ME.PE. MILANO
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Antonio Urrata
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COMUNICAZIONE E SVILUPPO
Franco Conta
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Dovere di critica
RdC e Tertio Millennio,
Dalle Note sul cinematografo di Robert
Bresson: “Rendete visibile quello che, senza di sono parti di un
progetto, che, dieci
voi, non potrebbe mai essere visto”. Il
anni fa come oggi,
riferimento è al ruolo che la critica deve avere
non smette di
nella circuitazione dei film a mercato zero. Una
promuovere,
sorta di preambolo nell’ideale deontologia
professionale, in un momento in cui – esauritasi diffondere, seminare il
buon cinema. Che non ha etichette particolari
la spinta dirompente della cinefilia anni ’60 – la
perché si può chiamare Tornatore o Wenders,
critica è finita in un limbo di credibilità, divisa
tra il popolare ossequio alle mode e l’autismo di De Oliveira o Salles, Zanussi o Burman. Può
essere ironico o tragico, spettacolare o
una vuota prosopopea. La prima, soffrendo di
impervio, laconico o barocco. Purché capace di
un complesso d’inferiorità, ha finito per
parlare all’uomo, di colpirne sensorialità e
assecondare direttamente il pubblico e
sensibilità, corpo e ragione, intelletto e cuore.
indirettamente il mercato, alzando una diga
contro tutto quello che può turbare l’uno e
Il buon cinema per noi è questo. La buona
destabilizzare l’altro. La seconda, non sapendo
critica gli cammina accanto. Sopra le sabbie
scendere a patti con i meccanismi e le forme
mobili del sapere, senza farsi
della divulgazione, ha scelto
trascinare giù né volare troppo
un eremitaggio culturale che
alto. Camminare fianco a fianco,
rigetta il dialogo per
Il decimo anniversario
rispettandosi e rispettando il
l’autocompiacimento retorico.
del Bresson sia
pubblico. Da Venezia – dove con
l’occasione per ribadire Lebanon è uscito vincitore un
Due derive che, fosse vivo
festival di ricerca e di pubblico –
oggi, Bresson probabilmente
una filosofia, non per
a Roma – la cui proposta di
avverserebbe. Era lui a
autocelebrarsi
abbinare alla forma (il divismo dei
sostenere che “girare un film
vari Clooney, Gere e Streep) la
vuol dire andare a un
sostanza (i film), attende
incontro”. E a quell’incontro –
un’ulteriore verifica. Nella consapevolezza che
col film e col pubblico – non può non andare
il magico accordo tra l’industria e l’arte, lo
anche la critica. Ecco perché nel ricordare il
spettatore e l’autore, non può fare a meno dei
decimo anniversario del premio intitolato al
pontieri della critica e delle istituzioni. Perché il
grande regista francese, la Fondazione Ente
cinema non è dei produttori né dei registi, del
dello Spettacolo – e la sua Rivista – preferisce
ribadire una filosofia e un identikit piuttosto che pubblico o dei critici. Il cinema - da Venezia a
Roma, ieri come oggi - è di tutti.
autocelebrarsi. Il Premio Bresson, così anche
COORDINAMENTO SEGRETERIA
Marisa Meoni
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DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE
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Cinema - Ministero per i Beni e le Attività Culturali
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ottobre 2009
rivista del cinematografo
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5
s o m m a r io
n. 10
otto bre
2009
PERSONAGGI
40 Registi “capitali”
Oliver Stone e Michael
Moore sulla $treet del
dio denaro
52 Alexandre Desplat
In ballo con Tree of Life
e Mr. Fox: sarà Oscar per
il compositore francese?
SERVIZI
18 Dieci volte Bresson
Da Salles a Tornatore, fotostoria
del Premio FEdS ai grandi registi
FILM DEL MESE
56 Il nastro bianco
60 Funny People
61 La ragazza che giocava
con il fuoco
61 Un amore all’improvviso
62 La doppia ora
63 Baarìa
63 Parnassus – L’uomo
che voleva ingannare il
diavolo
64 Up
66 Lo spazio bianco
67 Genova
67 District 9
68 Motel Woodstock
69 Ricky
69 Good Morning Aman
20 Risorti a Venezia
Dal Leone Lebanon al tutt’altro
che Single Firth: vincitori
(e non) della 66. Mostra
Richard Gere tra
le star più attese
alla IV edizione del
Festival di Roma
44 Roma: guarda che Luna!
Antipasto del nuovo Twilight
e parterre di star (Streep, Gere e
i Coen): il Festival capitolino
è sempre Extra
Todd Solondz
premiato
a Venezia
36 COVER
District 9 di Neill Blomkamp
Clooney in “alta quota”
Dalla passerella del Lido al red
carpet della città eterna: George
respira (e sospira…) sempre più
italiano. E vola Up in the Air
som ma ri o
Ksenia Rappoport
con la Coppa
Volpi al Festival
di Venezia
72
Dvd & Satellite
10
Morandini in pillole
Mugnai, Berlusconeide e
“intossicazione” pubblicitaria.
Ridiamoci su: fine pen(n)a mai…
12
Circolazione
extracorporea
Il bello della tv:
quando la serialità
diventa forma d’arte
14
Glamorous
Natalie Portman ha la
cura per la crisi, Emma
Watson a scuola in
elicottero
16
Hollywood
Ending
Nina Moric non vede
un euro da Corona.
Mistero Connery
per Indiana Jones 5
Crowe torna Gladiatore
in Blu-ray. Bellocchio
riprova a Vincere
78
Borsa del cinema
Chiamata per le window.
Informazione e
prevenzione: anche la sala
ci mette il cuore
80
Libri
Background Balcani,
riscoperta Soldati e
pensiero Badiou
82
Colonne sonore
Soundtrack
“bastarda” e senza
cuore per Quentin,
Elfman al Motel di
Ang Lee
pensieri e parole
Quello che gli altri non dicono: riflessioni a posteriori di
un critico DOC
MORANDINI in pillole
di Morando Morandini
Il direttore
della Mostra di
Venezia sa
tirare bene
l’acqua al suo
mulino
I mugnai Se si lasciano da parte quelli anglofoni (Miller), così
numerosi che si prestano a una selezione, non amo molto i
mugnai (in tedesco Müller) al cinema, nemmeno le mugnaie
(Wertmüller). In francese (meunier) non esistono, escluso
Edourard Molinaro dal cognome spagnoleggiante. Non amo
molto nemmeno Marco che, come direttore della Mostra di
Venezia, sa tirare troppo bene l’acqua al proprio mulino come
anche recentemente ha dimostrato nell’escludere dal concorso
L’uomo che verrà di Giorgio Diritti in obbedienza al diktat della
potente Medusa che in concorso ha 3 titoli su 4. Gli preferisco
l’omonimo yogurt che con piacere e profitto consumo quasi
ogni giorno.
Berlusconeide Sul numero di giovedì 26 marzo 2009 di City,
uno dei giornali “free press” che escono a Milano lessi questo
titolo: “Berlusconi, 150 libri dedicati a lui”. Il trafiletto diceva:
“Il primo risale al 1990 e aveva un titolo inquietante, Il padrone del diavolo”. Da allora sono stati pubblicati più di 150 libri,
tutti dedicati a Berlusconi: che, nel bene e nel male, è grande
fonte di ispirazione… In 15 anni più di 150 libri pubblicati in
Italia e all’estero. Di media, 10 all’anno”. Finisce così: “E ci
sono persino le ‘chicche’: come il libro scritto da Walter
Veltroni, Io e Berlusconi, purtroppo oggi introvabile”. A dire la
verità, gli anni sono ormai 20: la media è di 7 libri all’anno.
Non ho tenuto il conto: ma dal 26 marzo 2009 a oggi (inizio di
settembre) sono passati altri 5 mesi e i libri nuovi su
Berlusconi sono stati almeno una mezza dozzina. Siamo sopra
la media. Mancano purtroppo notizie sulle vendite e sulla loro
graduatoria.
In pubblicità
dire la verità è
un reato, una
colpa o almeno
uno sbaglio
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
Intossicazione Già dal 1985 si parlava in Italia di intossicazione
pubblicitaria e uno dei suoi difensori affermava che è “un sussidio indispensabile per la crescita della società”. Un quarto di
secolo dopo quell’intossicazione non c’è più, sostituita dall’assuefazione inconsapevole o da un’accettazione rassegnata. Alla
fine di agosto ho visto un’interessante produzione svedese: Una
soluzione razionale, che ha come personaggi principali quattro
cinquantenni. Nel press-book della Lucky Red il suo regista
Jörgen Bergmark li presenta così: “Quattro persone, che pur
non essendo più molto giovani …”. Sei parole invece che una –
perché descrivere un
film – d’amore, per
giunta – come interpretato da quattro
attori cinquantenni
sarebbe, dal punto di
vista pubblicitario,
controproducente. In
pubblicità dire la verità
è un reato, una colpa o
almeno uno sbaglio.
ottobre 2009
FINE PEN(N)A MAI
VISIONI FORZATE E INDULTI
CRITICI
Miracolo in Laguna: Lourdes fuori dal
palmares. #### Croce e Letizia del
Lido: Noemi senza Papi, Canalis con
Clooney, D’Addario con l’apostrofo.
C’era una volta la Mostra d’Arte...
#### BIM bum bam! Valerio De Paolis
centra il tris. Il croupier? Taiwanese.
#### Giovane regista italiano: sotto i
50 anni. Giovane - e premiato - regista
filippino: 22. (Pepe Diokno, Orizzonti e
Opera Prima con Engkwentro ) ####
Tom Ford: “Il cinema non è una moda”.
Il pubblico: “La moda non è cinema”.
#### Incredulità: femminile, plurale.
“Due per il film con Colin Firth” – “A
Single Man?” – “Impossibile. Controlli
bene”. #### George A. Romero:
“Difficile oggi distinguere tra vivi e
morti”. Dopo Survival of the Dead, vale
anche per lui. #### Riccardo
Scamarcio: “Venezia è come la
Champions League”. Con Il grande
sogno, è come uscire al primo turno.
ALMOST (IN)FAMOUS: DALLE
STALLE ALLE STARLETTE
“Bevo solo birra”, e il Cattivo Abel
Ferrara rispedisce a Werner Herzog il
whiskey della pace. Al cinema come al
bancone… STOP “Ingmar lo beviamo
anche nel latte”: la colazione razionale
dello svedese Jorgen Bergmark. STOP
“Non so fare niente, ma l’ho fatto bene”:
parola di neo Miss Italia, Mirella Sessa.
STOP Capitalism: mon aMoore. STOP
Ombre rosse per Citto Maselli: titolo
fedele, ma solo in veneto.
Federico Pontiggia
circolazione extracorporea
IL BELLO DELLA TV
Fruizioni multiple nell’era della riproducibilità
a cura di Peppino Ortoleva
La serialità sul piccolo schermo diventa forma d’arte
in proprio: diversa da quella del cinema, ma non per
questo inferiore
Per più di cinquant’anni la contrapposizione tra cinema e televisione è stata, per la
rappresentazione diffusa del sistema dei media, un punto di riferimento essenziale.
Non mi riferisco tanto alla diversità tecnologica (dopo tutto si è cominciato abbastanza presto ad accettare, sia pure con riluttanza e con molti
distinguo, che il film restasse tale anche se programmato sul piccolo schermo) quanto all’opposizione in termini di valori. Sul piano
strettamente culturale il cinema è stato accolto quasi subito come
mezzo potenzialmente produttivo, sia nelle sue possibilità artistiche sia in quelle di informazione-documentazione, mentre la TV è
stata prevalentemente trattata come un medium culturalmente
povero, e piatto, la cui funzione principale nel campo del sapere
poteva essere quella di divulgatrice, insomma di educatrice collettiva. Con il dubbio ricorrente comunque (dal “frigorifero del cervello” della propaganda comunista anni ’50 o al “medium-zero” di
Hans Magnus Enzensberger negli anni ‘80, fino alla “TV deficiente” di Franca Ciampi nel 2001) se non ci fosse un difetto cerebrale,
per così dire, nel mezzo stesso. Sul piano estetico al cinema fin dai
tempi di Pastrone e Chaplin si è cominciato a riconoscere al cinema lo statuto di arte nuova, di “occhio del Novecento” secondo la
formulazione di Francesco Casetti, mentre le potenzialità artistiche della TV sono state accantonate già alle origini. Oggi però le
cose sono parecchio cambiate: dopo le sperimentazioni di alcuni autori come Lynch,
e prima di lui Fassbinder, si è affermata l’idea che la serialità televisiva, tanto più
quella nuova serialità che è fondata su formule narrative di volta in volta reinventate, da Lost a 24, da Desperate Housewives a Life on Mars sia una forma d’arte in
proprio. Diversa da quella del cinema (di serialità si tratta) ma non necessariamente inferiore. La circolazione extracorporea, sia dei prodotti filmici che di quelli TV, ha
un ruolo essenziale, e duplice, in questo processo. Da una parte infatti la nuova serialità televisi- Sul piano estetico,
va può essere apprezzata fino in fondo anche
grazie alla possibilità di vedere e rivedere, scari- le potenzialità
cando dalla rete o acquistando un cofanetto: pre- artistiche della Tv
levando i suoi testi dalla circolazione effimera dei
programmi ma conservandone la successione sono state
temporale, almeno idealmente (ma non a caso il accantonate già
gioco col tempo è uno dei caratteri più tipici di
alle origini
questa nuova corrente). Dall’altro può confrontarsi con il cinema ad armi pari, sul mercato dei
DVD come su YouTube, dimostrando che anche se i suoi registi non sono necessariamente altrettanto noti il fascino delle sue storie e l’innovatività delle sue soluzioni
anche di linguaggio non è inferiore. La cosiddetta “convergenza” non ha unificato
cinema e TV come molti pensavano, ma sta sicuramente ridefinendo le differenze, e
le interdipendenze, che esistono tra loro.
DIFFERENZE E INTERDIPENDENZE
Le quattro protagoniste di
Desperate Housewives. Dal 27
settembre negli States al via
la sesta stagione
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
glamo rous
Ultimissime dal pianeta cinema: news e tendenze
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
a cura di
Gianluca Arnone
PIETRE SU MEGAN
LA CRISI DI
NATALIE
Megan Fox poteva evitare di
sbandierare ai quattro venti
quel che pensa del suo
mentore (“E’ come Hitler”),
ma Michael Bay ha trasceso i
limiti: “Megan è una stronza
ingrata, priva di grazia e
stupida come una pietra”.
Che l’attrice non sia un
modello di simpatia è un
fatto. Che meriti perciò la
gogna pubblica, un misfatto.
Chi è senza peccato scagli la
prima Megan.
Natalie Portman dice la sua sulla
crisi che sta distruggendo milioni
di carriere: “E’ un periodo
eccitante. Tutti stanno facendo
dei tagli, e le persone si
adeguano: lasciano lavori che
odiano, si reinventano, coltivano
il tempo libero e guardano di più
alle proprie passioni”. Ottimo. E
chi le paga, tu?
EMMA VOLA
BASSO
“Voglio essere una ragazza
normale. Dimenticare Harry
Potter e vivere il college
come chiunque altro”. E’ l’ora
dei cambiamenti per Emma
Watson, che abbraccia la
nuova esperienza alla
Browne University
seppellendo fama, Hermione
e bacchetta. Deluso chi si
aspettava che arrivasse al
campus in sella a una scopa.
Emma ha scelto di atterrare
con un banalissimo
elicottero. Alla faccia della
magia. E dei piedi per terra.
CROWE ZITTISCE
LA STAMPA
Mai sfidare Russell Crowe. Dopo aver fatto
mangiare la polvere a Baz Luhrmann, il
gladiatore ha dato una lezione alla povera
Annette Sharp, una cronista che aveva
osato mettere in dubbio lo stato di salute
della star australiana: “Russell Crowe si
mette in forma con sigarette e cibi grassi”,
aveva scritto. Il risultato? Sfida ad una gara
in bicicletta su strada. Percorso: 20
chilometri. Già al terzo la Sharp dettava la
rettifica al giornale. Dopo il quinto silenzio
stampa.
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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FE ST IVAL DE L M ES E
di Massimo Monteleone
La vedova allegra a Pordenone, corti
a Capalbio, Popoli compie 50 anni
LE GIORNATE DEL CINEMA
MUTO
XXVIII edizione del prestigioso
festival sul cinema muto
mondiale. Rarità ritrovate e
classici restaurati. Tra gli eventi:
l’apertura con la proiezione
speciale di La vedova allegra di
Von Stroheim; un omaggio alle
dive Francesca Bertini, Pola
Negri, Asta Nielsen; una
retrospettiva sul poliziesco
inglese nel cinema degli anni ’10
e ’20.
1
FESTIVAL INTERNATIONAL
DU CINEMA MEDITERRANEEN
DE MONTPELLIER
XXXI edizione del festival
dedicato ai film dei paesi che si
affacciano sul Mediterraneo.
Lungometraggi e “corti”
concorrono all’assegnazione
dell’Antigone d’Oro e del Gran
Premio del Cortometraggio.
Località Montpellier, Francia
Periodo 23 ottobre - 1 novembre
tel. (0033-4) 99137373
Sito web www.cinemed.tm.fr
E-mail [email protected]
Resp. Jean-François Bourgeot
5
CAPALBIO CINEMA
Torna, in inedita versione
autunnale (dall’8 all’11 ottobre),
Capalbio Cinema: la vetrina
internazionale di cortometraggi,
giunta alla XVI edizione, si apre
quest’anno al confronto tra il
cinema e le idee, ospitando
anche un incontro/confronto tra
Saverio Costanzo e Marco
Bellocchio sul tema dell’utopia
Località Capalbio, Italia
Periodo 8–11 ottobre
Sito web www.capalbiocinema.com
E-mail [email protected]
Resp. Tommaso Mottola
6
H o ll y wo o d
Ending
NINA VAGANTE
Nina Moric ha perdonato Corona: “Un
furbo che usa l’intelligenza in modo
squallido e a nostro figlio non passa
un euro”. Parole di stima anche per
Belen: “Una brava ragazza che dovrebbe smettere di decidere la sua vita proclamandola all’Italia intera.”
BOTTE STELLARI
Lo “Jedi” Daniel Jones, fondatore della International Church of Jediism (mezzo milione di adepti
che s’ispirano alla filosofia Star Wars), ha denunciato un negozio Tesco del North Wales perché
malmenato da un membro della security che voleva fargli abbassare il cappuccio. Contro il manganello nulla ha potuto la spada laser.
LICENZA DI TORNARE
Sean Connery tornerà a fare il padre di Harrison
Ford nel quinto episodio di Indiana Jones. Fonte
(anonima) vicina alla produzione. Il baronetto non
commenta. Spielberg è possibilista. Il Padre Eterno
confuso. Ma non era morto nel quarto?
16
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
Località Pordenone, Italia
Periodo 3-10 ottobre
tel. (0432) 980458
Sito web
www.giornatedelcinemamuto.it
E-mail
[email protected]
Resp. David Robinson
DEI POPOLI
7 LFESTIVAL
edizione della più longeva
EUROVISIONI 2009
XXIII festival internazionale di
cinema e televisione. Il tema di
quest’anno è: “Digitale e
Bellezza: creatività ed
innovazione nell’industria
audiovisiva della convergenza”.
Località Roma, Italia
Periodo 11-14 ottobre
tel. (06) 59606372
Sito web www.eurovisioni.it
E-mail [email protected]
Resp. Giacomo Mazzone
manifestazione europea
interamente dedicata al cinema
documentario: dalla
sperimentazione alla
contaminazione fra realtà e
finzione. Due concorsi
internazionali, con 18 corti e
lungometraggi, più una sezione
non competitiva (Stile libero)
dedicata ad omaggi ed eventi
speciali. Con personale sul
cineasta tedesco Thomas Heise.
FESTIVAL DEL CINEMA
LATINO AMERICANO
XXIV edizione della rassegna
competitiva, fra le principali in
Europa ad occuparsi dei film
dell’America Latina. Molti i titoli
nelle varie sezioni: concorso
ufficiale, contemporanea, la
retrospettiva Premio Oriundi (su
Rogerio Sganzerla), cinema e
letteratura, cinema e memoria.
Località Trieste, Italia
Periodo 24 ottobre - 1 novembre
tel. (041) 5382371 (rif. a Venezia)
Sito web www.cinelatinotrieste.org
E-mail [email protected]
Resp. Rodrigo Diaz
Località Firenze, Italia
Periodo 1-7 novembre
tel. (055) 244778
Sito web www.festivaldeipopoli.org
E-mail festivaldeipopoli@festival
deipopoli.191.it
Resp. Luciano Barisone
2
3
RING!
RELIGION TODAY FILM
4 VIII
8 FESTIVAL
edizione del festival della
critica cinematografica. Nel
“quadrato da combattimento”,
allestito sul palcoscenico del
Teatro Comunale, si danno
appuntamento cineasti, scrittori,
giornalisti e critici nel corso di
tre giorni di confronti e scontri.
Viene inoltre assegnato il Premio
Adelio Ferrero 2009.
Località Alessandria, Italia
Periodo 1-3 ottobre
tel. (0131) 52266
Sito web www.teatroregionale
alessandrino.it
E-mail ufficiostampa@teatro
regionalealessandrino.it
Resp. B.Fornara, N.Lodato,
L.Malavasi, L.Pellizzari (direttori
artistici)
XII edizione del “Festival
internazionale di cinema e
religione”, inteso a promuovere
la conoscenza delle opere in cui
l’esperienza religiosa assume
una cifra estetica su cui
riflettere. Il tema è “Rinascere
dall’Alto. Vita nuova nella fede”.
Fra le sezioni: film a soggetto,
documentari, cortometraggi.
Località Bassano (VI)-TrentoBolzano-Roma-Nomadelfia
(GR), Italia
Periodo 14-24 ottobre
tel. (0461) 981853
Sito web www.religionfilm.com
E-mail
[email protected]
Resp. K. Malatesta, D. Zordan
DOMENICO PROCACCI
PRESENTA
MARGHERITA BUY
LO SPAZIO BIANCO
UN FILM DI
“MOLTO EMOZIONANTE.”
LA REPUBBLICA
FRANCESCA COMENCINI
“OTTIMA PROVA
DI MARGHERITA BUY.”
CORRIERE DELLA SERA
“UN’OPERA FUORI DEL COMUNE,
INTENSA, TUTTA INTERIORE,
TOCCANTE”.
LA STAMPA
“DA VEDERE E RIVEDERE.”
IL MESSAGGERO
“MARGHERITA BUY È FANTASTICA.
SAPPIAMO DA ANNI CHE È BRAVA,
MA QUI SI SUPERA.”
L’UNITÀ
MARGHERITA BUY GAETANO BRUNO GIOVANNI LUDENO ANTONIA TRUPPO GUIDO CAPRINO SALVATORE CANTALUPO MASSIMO ANDREI CARLO CERCIELLO ANNA GIGANTE EMANUELA ANNECCHINO E CON MARIA PAJATO
SOGGETTO E SCENEGGIATURA FRANCESCA COMENCINI FEDERICA PONTREMOLI CASTING ANNA MARIA SAMBUCCO COSTUMI FRANCESCA VECCHI ROBERTA VECCHI SCENOGRAFIA PAOLA COMENCINI
SUONO ALESSANDRO ZANON MUSICHE NICOLA TESCARI MONTAGGIO MASSIMO FIOCCHI FOTOGRAFIA LUCA BIGAZZI ORGANIZZATORE GENERALE IVAN FIORINI SUPERVISORI ALLA PRODUZIONE VALERIA LICURGO CLAUDIO ZAMPETTI
UNA PRODUZIONE FANDANGO IN COLLABORAZIONE CON RAI CINEMA PRODOTTO DA DOMENICO PROCACCI LAURA PAOLUCCI REGIA DI FRANCESCA COMENCINI
FILM REALIZZATO CON IL CONTRIBUTO DEL MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI – DIPARTIMENTO DELLO SPETTACOLO
FOTO CHICO DE LUIGI
D A L 16 O T T O B R E A L C I N E M A
www.fandango.it
www.01distribution.it
DESIGN
TRATTO DAL ROMANZO LO SPAZIO BIANCO DI VALERIA PARRELLA EDITO DA GIULIO EINAUDI EDITO RE
rdc anniversari
Bresson, dieci in
Da Tornatore a
Salles: il premio
dell’Ente dello
Spettacolo celebra
la sua prima
decade. Di grande
cinema…
di Luciano Barisone
foto Pietro Coccia
18
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
NEL CINEMA di Robert Bresson gli
elementi che costituiscono la
drammaturgia di un’opera - i corpi, la
loro messa in scena all’interno di spazi
determinati, i dialoghi che li animano sono altrettante figure di un discorso
etico, che supera la pura
rappresentazione materiale degli atti
per diventare domanda esistenziale. È
all’insegna di questa ricerca spirituale
che dieci anni fa l’Ente dello Spettacolo
ha istituito un premio che, nel nome del
cineasta francese, intende individuare,
anno dopo anno, i registi che con i loro
film indagano il complesso presente
dell’uomo. Ne sono stati insigniti artisti
dei quattro continenti: nel 2000
Giuseppe Tornatore, abile narratore di
storie dove la sicilianità diventa
sentimento universale; nel 2001 Manoel
Il Card. Angelo Scola premia Aleksandr Sokurov; accanto Wim Wenders, Premio Bresson 2004
Giuseppe
Tornatore. Nella
pagina accanto
Walter Salles
con Maria Grazia
Cucinotta, Müller
e Mons. Ravasi
Stuhr, che anche fisicamente
«interpreta» i dubbi e le domande
dell’uomo; nel 2006 Zhang Yuan,
sensibile critico dei meccanismi di un
potere che, in nome dello sviluppo,
emargina i più deboli; nel 2007
Aleksandr Sokurov, che coglie nel
presente contraddittorio del suo paese
spunti di totale trascendenza; nel 2008
Daniel Burman, narratore commosso e
spiritoso dell’Argentina degli umili.
Quest’anno, a Venezia, in occasione
regia
Il regista Daniel
Burman,
Premio Bresson
2008
de Oliveira, che attraverso la storia del
Portogallo traccia gli eterni cammini
dell’anima; nel 2002 Theo
Anghelopoulos, che usa la Grecia come
teatro del mondo; nel 2003 Krzysztof
Zanussi, da sempre lucido analista
delle contraddizioni umane e sociali;
nel 2004 Wim Wenders, che fa della
memoria il dipanarsi di un’avventura
«nel corso del tempo»; nel 2005 Jerzy
Da sinistra: Scola con Jerzy Stuhr; Zhang Yuan; Andrea Piersanti (in piedi) festeggia Tornatore
della 66° Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica il Premio Bresson è
stato consegnato a Walter Salles,
attento indagatore dei meccanismi
sociali di un continente dove le
differenze di censo e di cultura sono
enormi. Attraverso i suoi film, siano
essi diretti individualmente o con
Daniela Thomas – Socorro Nobre
(1995), Terra estrangeira (1996),
Central do Brasil (1998), Media noite
(1998), Abril despedaçado (2001),
Diarios de motocicleta (2004), Linha de
passe (2008) – Salles, pur essendo
autore di un cinema formalmente
lontano da quello del maestro francese,
si mostra un fedele discepolo delle sue
motivazioni di fondo, indagando i dubbi
dell’anima umana. Non stupiscono
dunque le sue parole, quando dice:
“Bresson ha significato molto per me,
perché mi ha trasmesso l’importanza
del tempo, del silenzio, dell’invisibile.
Non sarei diventato un regista se non
avessi visto i suoi film; anche se poi ciò
che mi interessa è il processo di
trasformazione dei personaggi, la loro
ricerca di un’identità, sullo sfondo di un
paese, come il Brasile, che compie lo
stesso percorso”.
%
venezia 66
Nostalgh
Protagonisti, vincitori e
vinti. Ecco il meglio della 66ma
Mostra Internazionale: tra lacrime
e sorrisi (e qualche delirio)
di Marina Sanna foto Pietro Coccia, Karen
Di Paola, Claudio Lanzi
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ottobre 2009
Jasmine Trinca,
premio Mastroianni
per Il grande
sogno
ia
ottobre 2009
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venezia 66
PER FORTUNA ESISTONO LE GIURIE,
indisciplinate e indipendenti. Delizia e
tormento di ogni festival, sparigliano i
verdetti delle ultime ore, accendendo
polemiche destinate a cadere nell’oblio
qualche istante dopo. I film erano molti,
25 solo nella competizione ufficiale, la
selezione ricca e diseguale. Ma il Leone
d’Oro a Lebanon è una grande vittoria,
che conferma il trend pacifista inaugurato
da Ari Folman l’anno scorso a Cannes
Il Leone d’Oro a Lebanon è una grande
vittoria, che conferma il trend pacifista
inaugurato da Ari Folman
con Valzer con Bashir (che non vinse
nulla, contrariamente alle aspettative). Di
questa 66ma Mostra, che ha chiuso in
attivo con più 32% dei biglietti venduti
nonostante i lavori in corso del nuovo
Palazzo del Cinema, vogliamo ricordare
film, personaggi e momenti che l’hanno
resa indimenticabile. A incominciare
dall’ex madrina Ksenia Rappoport, Coppa
Volpi per l’esordio alla regia di Giuseppe
Capotondi La doppia ora, mozzafiato
nell’abito argentato, brava e
candidamente felice. L’israeliano Samuel
Maoz, emozionatissimo per il Leone a
Lebanon, rielaborazione spietata di una
tragedia personale e collettiva avvenuta
Il regista Samuel
Maoz, Leone d'Oro
per Lebanon.
In alto i giurati
Ligabue e Ang Lee
22
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
in Libano nel 1982 e ambientata in un
carro armato. La rivincita di Capotondi,
massacrato incomprensibilmente dalla
nostra critica (in ogni festival c’è sempre
qualcuno che ci rimette le penne, basti
pensare a come è stato trattato Vincere di
Bellocchio all’ultima edizione di Cannes)
per aver fatto con mestiere un’opera di
genere. Il (di solito) compassato Colin
Firth, Coppa Volpi per A Single Man di
Tom Ford, straripante nell’elogiare l’Italia,
i vini e la bellissima moglie. Il turco Fatih
Akin che ha strappato il Gran Premio
della Giuria con la scatenata commedia
Soul Kitchen. Ancora: Jasmine Trinca,
tanto amata dai francesi, che accetta con
Romero in
passerella,
accanto la
Cucinotta
madrina del
Festival
commozione il Mastroianni per l’attrice
emergente (ne Il grande sogno di Michele
Placido). O quel geniaccio di Todd
Solondz, che tutti davano per Leone
d’Argento, mentre ritira con garbo
impensabile un’Osella per la
sceneggiatura per il bel Life During
Wartime, e il giovanissimo filippino Pepe
Diokno stravince in Orizzonti con un
dramma sulle guerre tra bande di
Un ruggito di pace
C’ERA UNA VOLTA il cinema pacifista,
da Niente di nuovo sul fronte
occidentale a Uomini contro e Full
Metal Jacket. Requisitorie sincere,
umanesimo dispiegato a piene mani,
rabbia e dolore urlati ad alta voce. I
film realizzati da ex-combattenti
possiedono invece una qualità altra, il
sentore di una verità più intensa, l’eco
potentissimo di una sofferenza
autobiografica flagrante e
incomprimibile: Platoon, Kippur,
Valzer con Bashir. Diceva Sam Fuller,
all’epoca de Il grande uno rosso, che
per rendere più realistico il suo film
avrebbe voluto sparare sul pubblico.
Lebanon è il film che più si avvicina a
dir poco sorprendente il doppio Herzog
in competizione. Per non parlare di
opere che non erano in concorso (vedi
The Informant! di Soderbergh con il
bravissimo Matt Damon) ma ci
sarebbero state con onore. Altri titoli
andrebbero ancora citati e forse è
proprio questo il parametro con cui
guardare a un festival, che si chiama, pur
sempre, Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica.
%
adolescenti (Engwentro), e si aggiudica il
Luigi De Laurentiis per la migliore opera
prima (comprensivo di 100 mila dollari).
E’ vero, c’erano film e attori significativi
che non sono stati premiati. Il poco
consolatorio Lourdes dell’austriaca
Jessica Hausner (premio La Navicella e
Signis), le straordinarie nonnine di Lola,
proiettato il penultimo giorno del festival,
conferma del feroce talento di Brillante
Mendoza che passa con agilità dal
crudele e insopportabile Massacro,
presentato a Cannes, allo straziante
ritratto di un luogo (Manila) dove si paga
per sopravvivere. Michael Moore, poi, era
in forma smagliante: Capitalism: A Love
Story è uno dei suoi lavori migliori (vedi
pag. 42); affascinante e malinconico il
Prince of Tears del cinese Yonfan sul
terrore bianco nella Taiwan anni ’50, e a
In alto Giovanna Mezzogiorno protagonista
del documentario Negli occhi. Sotto la Coppa
Volpi Ksenia Rappoport con il direttore Müller
L’orrore della guerra raccontato fuori campo, in un capolavoro di claustrofobia
questo ideale di realismo
immedesimativo. Samuel Maoz adotta
un partito preso formale di radicale
progettualità, costringendo lo
spettatore nei pochi metri quadri
dell’abitacolo di un carro armato
Centurion. Per tutta la durata del film,
solo i volti dei quattro giovani militari, la
sporcizia sul pavimento, il sudore che
cola. L’esterno è un riflesso decolorato,
filtrato dal mirino a infrarossi del
cannoniere, la scansione irreale di un
orrore al quale è impossibile sottrarsi.
Pochi film prima d’ora avevano saputo
utilizzare con altrettanta efficacia le
potenzialità del fuori campo nel
generare un racconto di puro terrore
claustrofobico. Maoz non giudica e non
distingue (appena un po’ di antipatia
malcelata per i falangisti schierati con
Israele). Il sentimento prevalente è una
pietas radicale, che non esclude il
nemico. Peraltro invisibile, sino a
quando un siriano ferito e ammanettato
non viene calato all’interno del carro
armato. Facendo piazza pulita di tutti i
film-spettacolo sulla guerra, Maoz
denuncia l’irriducibile assurdità di
quest’ultima, semplicemente
impossibile da giustificare.
ALBERTO BARBERA
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Lola
DI BRILLANTE MENDOZA SEZIONE CONCORSO
UNO DEI DUE FILM sorpresa della
Mostra di Venezia era Lola del filippino
Brillante Mendoza (l’altro era il film di
Herzog My Son, My Son What Have Ye
Done). Oltre che film sorpresa della
Mostra, Lola è stato una sorpresa anche
per noi spettatori: nel senso che è
diverso dai precedenti film di Mendoza,
almeno dai due che conosciamo, il
caotico Serbis e il truculento Kinatay
(ma Mendoza è già arrivato al nono film).
Lola è un lavoro quasi neorealista nel
suo pedinare, secondo la sempiterna
lezione zavattiniana, due anziane donne
e nonne: in filippino nonna si dice
appunto lola. Nella caotica Manila,
sommersa da piogge torrenziali, nonna
Sepa e nonna Puring si trovano a
confrontarsi per un caso tragico: il
nipote di una ha ucciso il nipote
dell’altra. Tutti e quattro, nonne e nipoti,
24
rivista del cinematografo
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ottobre 2009
vivono miseramente, si arrangiano come
possono: una nonna adesso deve
mettere insieme i soldi per il funerale
del morto, l’altra, per tirare fuori di
galera il nipote. Finiscono per
accordarsi. E il giudice prende atto che il
caso, con l’accomodamento tra le parti,
è chiuso e l’uccisore può lasciare il
carcere (che è una maniera ben strana
di amministrare la giustizia in un caso di
omicidio...). Mendoza usa la macchina a
spalla, sta addosso ai personaggi, lascia
Mendoza usa la
macchina a spalla,
sta addosso ai
personaggi
correre le scene senza stacchi,
sommerge le immagini sotto un rumore
di fondo continuo e assordante, butta
addosso alle due donne tutto il caos che
le circonda. Gira in velocità, vuole
catturare un attimo dopo l’altro, farne
sentire la pesantezza. Non si preoccupa
di costruire le inquadrature: insegue
un’idea di cinema che prende forma e si
realizza nel momento stesso in cui lo si
fa. Si calma un po’ quando le nonne si
incontrano faccia a faccia, si parlano,
trattano e si accordano. Il caos si
allontana per qualche momento: come
se soltanto in quel colloquio le due
protagoniste scoprissero, pur nella
distanza che le separa, di essere in
fondo uguali, entrambe povere,
entrambe sole, a combattere
faticosamente per un’esistenza grama. %
BRUNO FORNARA
Cose di
casa Firth
Altro che A Single Man, il suo segreto è
la moglie: “Mi ispira, e mi sopporta…”
“STARE QUI con questo premio, in questo
paese è l’onore più grande della mia vita”.
Parola e commozione di Colin Firth, Coppa
Volpi a furor di popolo per A Single Man di
Tom Ford. 49 anni, inglese, ha con l’Italia
una relazione gioiosa: “Negli anni mi ha
inondato di regali. Oltre alla cultura, la
letteratura, il grande cinema, l’arte, la
cucina, i vini e la grappa, mi ha dato anche
una moglie bellissima (Livia Giuggioli,
NdR) e due bambini meravigliosi”. Se nel
presente si ispira a tanti colleghi “Soprattutto Julianne Moore, è stata una
grande sfida non baciarla nel film, ma
facevo il ruolo di un gay...” – i modelli del
passato spaziano da Paul Scofield (“In Un
uomo per tutte le stagioni ho visto in lui la
sincerità che non avevo mai visto prima”) a
Spencer Tracy (“Ho studiato le vecchie star,
rubando pezzi qua e là”), ma il segreto
della sua arte pare più privato: “Mia
moglie, che mi ispira, mi ama e mi
sopporta da 15 anni, tollerando questi
strani ruoli, questi mariti diversi con cui
vive”, dice del suo azzimato professore
omosex nel debutto del designer Tom Ford.
Leitmotiv il fascino, quel mix di ironia ed
eleganza che in Laguna ha fatto più di
una vittima. Non male per chi, quando
gli venne offerto il ruolo di Darcy in
Pride and Prejudice nel ’95, venne
apostrofato dal fratello: “Darcy? Ma
non dovrebbe essere sexy?”.
%
FEDERICO PONTIGGIA
ottobre 2009
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25
Il magnifico outsider
Due film in concorso, e la sublime reintepretazione della Bohème in chiave contemporanea
L’AVER PRESTATO la voce al sacchetto
protagonista di Plastic Bag di Ramin
Bahrani, in concorso a Corto Cortissimo,
non è la più sorprendente delle
originalità che hanno caratterizzato
l’avventura veneziana di Herzog. Da
autentico mattatore, il regista tedesco ha
affrontato l’irrituale offerta di andare in
concorso con due film, mentre in
Orizzonti Eventi veniva mostrato uno dei
film più brevi e folgoranti dell’intera sua
carriera. La schizofrenia sottesa alla
genesi di due film così diversi, come The
Bad Lieutenant: Port of Call New
Orleans e My Son, My Son, What Have Ye
Done, è però più apparente che effettiva.
Film su commissione, hollywoodiano
nelle sue componenti più vistose
(dall’intreccio narrativo al casting) e
realizzato con un budget di tutto rispetto,
l’uno. Opera d’autore quanto mai
personale e sorprendente, girato in
poche settimane e a basso costo,
secondo i dettami e l’estetica del cinema
indipendente più autentico, l’altro.
Eppure, concedendo qualcosa al gusto
per il paradosso, si potrebbe anche
sostenere il contrario, non senza motivo.
Nel disegno perfettamente riuscito di
ribaltare i cliché del cinema poliziesco, a
forza di potenti iniezioni di ironia e di
sottolineature eccessive, Il cattivo
tenente - che non è per nulla il remake
del film di Ferrara - si rivela infatti
un’operazione singolarissima, una
consapevole variazione d’autore a danno
delle consuete convenzioni spettacolari,
la vampiristica appropriazione di una
sceneggiatura estranea per ricondurla a
temi e ossessioni private e personali. Per
contro, il secondo film non sembra
immune dalla tentazione di misurarsi a
tratti con le ricorrenze formali e oniriche
del suo produttore (David Lynch), in una
commistione di stili e accenti del tutto
inaspettata in un regista tra i meno
cinefili e citazionisti della storia del
cinema. La verità è che Herzog, in
entrambi i casi, non fa che aggiungere
nuovi ritratti alla galleria di personaggi
estremi che da sempre popolano il suo
universo: folli e reietti, outsiders votati a
una velleitaria ribellione destinata al
fallimento, specchio rovesciato e oscuro
della normalità mostruosa del nostro
mondo, ontologicamente già condannato.
Anche quando, come nell’irridente finale
del Cattivo tenente, Herzog sembra
rimettere a posto ogni cosa
concedendosi il lusso di un improbabile
happy ending (in realtà si sta solo
facendo beffe dei molti che hanno preso
tutto sul serio fino a quel momento).
Tesi e antitesi, insomma. Nella loro
abbagliante enigmaticità, i quattro minuti
di La Bohème sono invece la perfetta
sintesi del suo cinema: su una celebre
aria dal primo atto del melodramma di
Puccini (O soave fanciulla, in inglese per
ragioni produttive), quattro coppie di
giovani della tribù etiope dei Mursi
fissano la macchina da presa, immobile,
del regista. Ma l’estatica perfezione della
musica e dei corpi è visibilmente
contraddetta dai segni premonitori di un
disagio irriducibile. I maschi imbracciano
dei Kalashnikov, le coppie si separano
dopo aver fissato a lungo l’obbiettivo.
S’intuisce che non si rivedranno mai più.
L’armonia e la bellezza non
appartengono a questo mondo, se non
per pochi istanti di sublime (e atroce)
illusione.
ALBERTO BARBERA
Il cattivo tenente
DI WERNER HERZOG SEZIONE CONCORSO
WERNER HERZOG, quando girava film
di finzione, in realtà li considerava film
che documentavano un’impresa, di
solito folle e irragionevole. La discesa
delle zattere sul fiume andino in
Aguirre. La nave su per la montagna in
Fitzcarraldo. E Bruno S., e i nani, e gli
attori sotto ipnosi. Stavolta, per la
prima volta, Herzog si è trovato davanti
la sceneggiatura di un film di finzione e
di genere. Un poliziesco a New Orleans,
dopo l’uragano. Dev’essergli piaciuta
l’idea di trasformarlo in un film tutto
suo: ci ha messo alligatori, iguana e
pesci (“Sognano i pesci?”); ha premuto
il pedale dell’inverosimiglianza
caricando il tenente di ogni vizio, sesso,
droga, alcol, scommesse, una faccia da
idiota, un riso insensato, una
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ottobre 2009
camminata da sciancato e una giacca
sbilenca (e Nicolas Cage è stato
magnificamente al gioco). Infine, mossa
decisiva, ha trasformato il film in un
esercizio di equilibrismo tra finzione e
verità, menzogna e autenticità. Ha
portato il film là dove non si può sapere
se il regista crede al suo lavoro oppure
no, là dove noi ci chiediamo se quello
che vediamo ha uno statuto di verità
oppure è falso e fittizio. Insomma,
Herzog è riuscito nell’impresa di non
farsi intrappolare dentro una finzione,
abbattendone il tasso di veridicità
grazie a una sfrenata ironia, credendo
al suo film e al tempo stesso
mostrando di non crederci affatto, come
nel miracoloso happy end dove tutti i
disastri vengono risolti. Così noi ce la
godiamo a guardare un film che è di
genere ma anche non lo è, che è di
finzione ma è anche un documento del
fatto che Herzog non crede alle finzioni.
BRUNO FORNARA
venezia 66
I quattro minuti
della celebre aria
di Puccini sono la
perfetta sintesi del
cinema di Herzog
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La horde
DI YANNICK DAHAN E BENJAMIN ROCHER SEZIONE GIORNATE DEGLI AUTORI
SANGUINOLENTO, spietato e senza tregua: La horde è uno straordinario
horror d’assedio che, senza inutili denotazioni o didascalie, riporta in auge
il filone degli zombie-movie rileggendolo da un punto di vista tanto
estetico quanto sociale: dall’assalto massificato di matrice romeriana nato
sul finire degli anni ‘60 (e tristemente aggiornato all’ultimo Survival of the
Dead…) alle banlieus di morti viventi de La horde, il passo è più breve di
quello che sembra, e l’aumento esponenziale di famelici, indistruttibili
morti viventi va di pari passo alla sempre più crescente violenza gratuita
perpetrata dal disordine e dalle forze preposte per contrastarlo.
%
VALERIO SAMMARCO
TEHRAN IN DIALETTO, come finora non
l’aveva mai raccontata nessuno. Una
capitale popolata da milioni di abitanti,
soffocata dal traffico, polverosa nelle
periferie miserabili e tirata a lucido nei
quartieri dei ricchi, ma soprattutto una
città che come molte metropoli
occidentali (e non) nasconde un ventre
malato. Ed è sulla parte sporca che
punta l’attenzione: in questo senso un
film esplosivo che parte aderendo al più
classico dei generi, cioè al racconto
realista, per poi diventare un gangster
movie dagli esiti drammatici. Un esordio
coraggioso, che è valso al regista il
Premio della Settimana della Critica. %
FABRIZIO DEL DONGO
Tehroun
DI NADER T. HOMAYOUN SEZIONE SIC
Repo Chick
DI ALEX COX SEZIONE ORIZZONTI
“HO CHIESTO TROPPI FAVORI, mi sa che è il mio ultimo film”. Tra serio e
faceto, una delle più belle sorprese veneziane: Alex Cox con il non-sequel
Repo Chick, 25 anni dopo l’esordio Repo Man. Favori in assenza di cachet, per
un film, girato in 11 giorni (con 7 mesi di post-produzione) e quasi interamente
con il green screen, che “non è costato nulla. Ma non basta: l’indipendenza
oggi si paga, comunque”. Storia di Pixxi De La Chasse (Jaclyn Jonet,
magnifica), ereditiera à la Paris Hilton - diseredata in seguito ai numerosi
arresti per guida pericolosa - che diviene la migliore recuperatrice (Repo
Chick) su piazza, un film “per mettere al muro la connection tra crisi e celebs,
create ad hoc per distrarci e divertirci: d’altronde, è sempre divide et impera,
gli uni contro gli altri per la gioia degli happy few”. E’ il Sistema, tristezza. %
FEDERICO PONTIGGIA
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venezia 66
La guerra di Todd
“Terrorismo e pedofilia per portare il conflitto negli Usa”
“OGGI NON C’È PIÙ chiamata alle armi,
nessun reclutamento: i nostri soldati o
sono ferventi patrioti o provengono dalle
aree più disagiate degli States. Così ci
sono intere regioni con pochissime
partenze per il fronte e la guerra rimane
distante dalla nostra realtà”.
Parola del regista-culto Todd
Solondz, che ritorna al Lido in
Concorso con il corale Life
During Wartime, Osella d’Oro
per la sua sceneggiatura. Inteso
quale sequel “più riflessivo e
politicamente attivo“ del
capolavoro Happiness,
concepito due anni fa
e poi ripensato,
rielaborato e
limato per la
difficoltà nel
reperire i fondi,
girato in
digitale –
davvero ottima la fotografia di Ed
Lachman - per il budget ridotto, Life
During Wartime “nasce per riportare
l’impatto di questa guerra misconosciuta
nella nostra realtà quotidiana”. Senza
indicazione geografica tipica: non Iraq,
non Afghanistan, guerra e basta.
“Tema chiave è il perdono prosegue Solondz - che lega
insieme temi quali pedofilia - la
considero un’afflizione sia per le
vittime che i carnefici - e
terrorismo, associati verbalmente
dalla confusione di un bambino di
10 anni: come d’abitudine, voglio
provocare, ma unicamente
per far riflettere il
pubblico in modo
differente, senza
alcuna malizia”.
Dieci anni dopo,
dunque, un’altra
Happiness: l’hippie-
sciroccata Joy (Shirley Henderson al
posto di Jane Adams) ha spinto al suicidio
l’ex Andy (Paul Reubens) e si appresta a
fare altrettanto con il marito perv Allen
(l’afro-americano Michael Kenneth
Williams, a rimpiazzare Philip Seymour
Hoffman); la sorella Trish (Allison Janney
al posto di Cynthia Stevenson) prova a
ricostruirsi una vita dopo l’arresto per
pedofilia del marito Bill (Ciaran Hinds nel
ruolo di Dylan Baker); Helen (Ally Sheedy,
subentrata a Lara Flynn Boyle), sorella di
Joy e Trish, è scrittrice affermata,
prostrata dal suo stesso successo. “Tutti
i personaggi hanno assoluta libertà
espressiva, senza voler simboleggiare
qualcosa di più, in quello spazio di vita
che è il film: sono affezionato ai loro
fallimenti, il loro pathos e la loro comicità
mi commuovono”, conclude Solondz. Con
residua speranza: “L‘importante è la
lotta: la loro lotta, e la loro dignità”.
%
FEDERICO PONTIGGIA
ottobre 2009
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Mr. Nobody
Persécution
DI JACO VAN DORMAEL SEZIONE CONCORSO
POTENTE e suggestiva riflessione sullo
scorrere del tempo, ambizioso affresco
filmico sulle infinite possibilità che
contraddistinguono ogni singola
esistenza, amaro apologo metalinguistico
sulla finitudine e l’inevitabile dolore che
accompagna le scelte nel corso di una
vita: uno, nessuno e centomila, Mr.
Nobody di Jaco Van Dormael è tutto
questo, affabulazione più, ridondanza
meno. Perché il nuovo film scritto e
diretto dal regista belga, tornato al
cinema 13 anni dopo L’ottavo giorno, ha
dalla sua il prestigio di intrecci e
situazioni visive care al “Kaufman touch”,
ma alla fine rischia di girare troppo a
vuoto, ripetendo un percorso che sfonda
le barriere della narrazione per
approdare - cullato da una colonna
sonora al limite dell’“over phoning” (dalla
Casta Diva della Callas al solito Satie,
passando per il Pavane di Fauré e Where
is My Mind dei Pixies) - nei sintetici lidi
del loop. Un’opera complessa, irrisolta ed
emozionante, sorretta
dall’interpretazione totale di un Jared
Leto sofferto e trattenuto, circondato da
un “parterre de femmes” di prim’ordine:
la disturbata Sarah Polley, l’innamorata
Diane Kruger, l’algida Linh-Dan Pham.
Osella d’Oro per la scenografia di Sylvie
Olivè.
%
VALERIO SAMMARCO
DI PATRICE CHEREAU SEZIONE CONCORSO
Life During
Wartime
DI TODD SOLONDZ SEZIONE CONCORSO
TODD SOLONDZ inventa cinema.
Indipendente vero, coltissimo, questo
nerd geniale ci ha regalato capolavori
come Fuga dalla scuola media e
Palindromi, e ora ci offre il sequel (ma
ogni suo film è profondamente legato
agli altri) di Happiness. A un passo dai
cinquant’anni, li compirà il 15 ottobre,
decide di mettere in un film tutto se
stesso: l’attenzione per le tematiche
preadolescenziali, il dramma della
pedofilia, Cechov (le protagoniste sono
tre sorelle tanto diverse quanto
ugualmente irrisolte), Spoon River, Todd
Haynes (lo cita col poster di Io non sono
qui), l’America profonda sprofondata in
una crisi economica dopo quella morale
ed (est)etica, l’ironia dolorosa della sorte
e della morte dei suoi personaggi, i
sobborghi del Jersey dignitosi, colorati e
tristi. E soprattutto la middle class di
borghesi sempre più piccoli piccoli,
famiglie anestetizzate dagli psicofarmaci
e dall’ipocrisia, tragicomici epiloghi
amorosi di un’involontaria(?) mantide
religiosa. Il tutto spezzato, nel cuore e
nel cinema di Solondz tutto dialoghi e
visioni originali e geniali, dal punto di non
ritorno del conflitto permanente (il
wartime del titolo) post 11 settembre.
Bentornato, poeta della grandiosità della
meschinità e del fallimento.
%
BORIS SOLLAZZO
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
SI PUÒ ESSERE persecutori in tanti modi.
La tirannia di Daniel (Romain Duris) si
chiama amore. Muratore e cantiere
aperto lui stesso, il protagonista di
Persécution è scorza dura e dolore, cuore
caldo che tormenta e logora. Così
prossimo agli altri da bruciarli, donna
compresa (Charlotte Gainsbourg).
Attorno a lui Chereau tesse una tela
esilissima di relazioni sofferte, legami
incompleti, scambi deficitari. Daniel è
vicino a tutti (persino agli anziani di una
casa di riposo) senza toccare nessuno.
Sarà l’incontro con uno sconosciuto che
lo pedina e giura di amarlo, a metterlo al
muro. Processo lento, non lineare.
Chereau si prende tutto il tempo
necessario per tracciare la sua personale
fenomenologia delle passioni. Sussulti
interiori che dettano il ritmo alle
immagini, in attesa che una ruga,
un’espressione del volto affiori e riveli
qualcosa d’imprevisto. Brandelli di verità
dentro parole che suonano come scuse,
si ripetono stanche, e poi d’improvviso si
accendono, aprono squarci. Quello di
Chereau è cinema di grande sensibilità e
pudore, ti lavora dentro implacabile.
Forse il suo film non piacerà a tutti. Ma si
rivelerà prezioso per coloro che abbiano
ancora voglia di ricomporre i cocci della
propria anima spezzata.
%
GIANLUCA ARNONE
Matt(o) da legare!
Damon bipolare e bugiardo per The Informant!
“SAPER DIRE LE BUGIE è una cosa
che richiede davvero troppa energia:
ci si smentisce subito, infatti, se non
si è abituati”. Sarà, ma il Matt
Damon che abbiamo visto nelle vesti
di Mark Whitacre, biochimico di una
multinazionale che nel 1992 inizia a
collaborare con l’FBI per portare a
galla la condotta fraudolenta
dell’azienda, a suo dire implicata in
una truffa del controllo dei prezzi, è
lontano anni luce da quello arrivato a
Venezia con Steven Soderbergh per
presentare (Fuori Concorso) The
Informant!: intanto nell’aspetto,
tornato quello “abituale” rispetto ai
15 chili in più e al parrucchino
“indossati” per il film, poi perché non ce ne voglia - il suo personaggio
è talmente bipolare da aver convinto
anche noi, una volta di più, di quanto
sapesse mentire bene quando,
ancora in erba, ci aveva fatto credere
di essere nulla più che un semplice
“attorino”. Se ne accorgerà anche
l’Academy?
%
VALERIO SAMMARCO
Prodigiosa Hausner
La regista austriaca ha regalato
un piccolo miracolo di “finzione”
HA CONVINTO TUTTI, meno i giurati.
La prima volta di Jessica Hausner al
Lido - in gara con Lourdes - somiglia
alla storia del bicchiere mezzo vuoto.
Indiscussa affermazione autoriale –
come provano i premi collaterali
collezionati dalla giovane regista
austriaca - e nessun riconoscimento
importante. Esperienza ambivalente,
come quella che ci racconta nel film:
“Una commedia attorno a un evento
impossibile che diventa tragedia di
un prodigio improbabile”. Per la
Hausner il miracolo è la sostituzione
di Dio con i suoi segni. Al futuro il
compito di stabilire se Lourdes sarà
stato per il cinema un caso
irripetibile scambiato per la scoperta
di un grande talento.
%
GIANLUCA ARNONE
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
31
venezia 66
Lourdes
DI JESSICA HAUSNER SEZIONE CONCORSO
LA STORIA È SEMPLICE. Avviene tutti gli
anni, più volte all’anno, in varie parti del
mondo. Degli esseri umani si spostano in
pellegrinaggio nei luoghi della fede, nella
speranza di un evento che faccia loro
riguadagnare la salute. È semplice e
complessa. Se gli atti, gli spostamenti
fisici nello spazio, e le volontà, i desideri
di salvezza, sono chiaramente espressi
dai movimenti e dalle parole, misteriosa
è l’alchimia che sottende lo spirito così
come lo scopo delle azioni stesse, uno
“star bene” dai confini ambigui e non
quantificabili. Così Lourdes, che racconta
uno degli innumerevoli viaggi alla grotta
della Vergine, si colloca esattamente
all’incrocio fra la semplicità del
documentario e la complessità della
finzione. In questo senso il dispositivo
adottato dalla regista austriaca Jessica
Hausner è al contempo “rosselliniano” e
32
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
“bressoniano”. Da una parte la
mimetizzazione degli attori professionisti
nella folla di pellegrini conferisce al film
il senso di una realtà colta nel momento
stesso in cui si manifesta; dall’altra le
dinamiche dei personaggi all’interno di
uno spazio scenografico circoscritto (sia
esso il refettorio, lo studio medico o la
montagna) danno ai corpi il carattere di
figure, elementi di un discorso più ampio.
Ecco allora che il “miracolo” avviene
inavvertitamente, tocco fugace di una
La guarigione è
definitiva? Dubbio
che rimane senza
risposta
roccia che segna l’inizio di un movimento
del corpo, filmato nel corso di una
ripetitività fideistica cui si è abituati a non
avere risposta. Ma ciò che lo segue (e
che lo precede) è dell’ordine di una
drammaturgia che indaga sul senso
della salvezza stessa, ponendosi le
stesse domande di tutti: cos’è il
miracolo? Perché avviene per alcuni e
non per altri? La guarigione è definitiva?
La Hausner non dà risposte. Si limita a
mettere in scena i suoi personaggi,
seguendo la straordinaria performance
minimalista di Sylvie Testud, il suo
stupore di miracolata, il suo assaporare
le piccole cose della vita, il suo mesto
ritorno alla sedia a rotelle. All’eterna
questione sui perduti e i salvati,
preferisce il sommesso dubbio di una
felicità precaria.
%
LUCIANO BARISONE
Ricetta Fatih
“Risate più difficili delle lacrime”: l’inedito Soul di Akin
“MI DIVERTONO I CLASSICI, ma anche Celentano o Bud Spencer. Ho
messo tutto in pentola, ma non sapevo se avrebbe funzionato:
l’umorismo è decisamente più complicato del dramma”. Tra Amburgo
(“E’ la mia città, le dovevo un film”) e la musica black (“Tutti gli
immigrati, e soprattutto i turchi, vi si identificano, e ad Amburgo puoi
ascoltare il soul migliore fuori dagli Usa”), è l’inedito Fatih Akin di Soul
Kitchen, commedia musical-culinaria Premio Speciale della giuria.
Protagonisti Adam Bousdoukos e Moritz Bleibtreu (“Potrebbero
davvero essere fratelli!”), una cucina di novità: “Mi annoiano i cineasti
che fanno sempre lo stesso film”. Tutto il resto è musica…
%
FEDERICO PONTIGGIA
Detective Cage
Grazie a Herzog ritrova la strada, dopo Via da Las Vegas
UN ALTRO DETECTIVE. ”Per Via da Las
Vegas mi ero ispirato alla camminata
sbilenca dell’Albert Finney di Under the
Volcano, e mi bevevo qualche bicchiere
per “scaldarmi”; viceversa, qui interpreto
un poliziotto drogato, ma nella vita reale
non tocco alcuna sostanza da 5 anni: ho
lavorato molto di immaginazione”.
Parola del Cattivo tenente herzoghiano
Nicolas Cage, ma c’è da credergli? O
forse ha preso in prestito il copione del
bugiardo cronico Matt Damon in The
Informant! ? Sarà, ma gli occhi lucidi, e
non solo quelli, segnalano un’addiction
dura a morire. Almeno per i detective:
“Con il mio Terence McDonagh, non ho
mai sentito di incarnare il male.
Piuttosto, ritornare a New Orleans, dove
la mia vita ha trovato una svolta – e sono
fatti miei -, mi incuteva un certo timore.
Ma alla fine è stato catartico”.
Anche per lo spettatore, che in questo
Cattivo tenente “reloaded” ritrova l’ex
grande attore (definizione del collega
Sean Penn) poi sommerso da troppe
prove alimentari. E bravo Cage, che pare
pronto per un Via da Hollywood: “Non
amo il glamour, la vanità: il red carpet mi
mette a disagio, mi rende nervoso. Oggi
giro quattro film all’anno, ma vorrei
arrivare presto a una vita contemplativa”.
E’ lui o Damon?
%
FEDERICO PONTIGGIA
SI RINGRAZIA L’ISTITUTO SUPERIORE DI FOTOGRAFIA
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
33
COVER
I due volti di George:
mastino dei padroni
in Up in the Air,
soldato e figlio dei
fiori in The Men Who
Stare At Goats
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
L’UOMO
DEI DUE
DA VENEZIA
A ROMA, MANO
NELLA MANO
CON LA CANALIS:
LA LUNA DI
MIELE TRA
CLOONEY E
L’ITALIA È
SEMPRE PIÙ UP
DI GIANLUCA ARNONE
FESTIVAL
ALESSANDRO MAGNO studiava mosse
e contromosse dell’avversario. Il
raggiro era pane quotidiano per Cesare.
L’imprevedibilità il cavallo di battaglia di
Napoleone. Un sorriso è bastato a
George Clooney per conquistare il
mondo. Guardatelo in The Men Who
Stare At Goats: un beota che pensa di
vincere la guerra con trucchetti da figlio
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
37
COVER
dei fiori. La star è adepta del “New Earth
Army”, un reparto segreto dell’esercito
americano fondato dall’impresentabile
tenente Bill Django (Jeff Bridges in una
riedizione del “grande Lebowski”).
L’idea guida? Cultura hippie in funzione
bellica e, al posto delle armi,
Woodstock-music, compassione e
manipolazione mentale. Risultati poco
esaltanti, ma Clooney fa un figurone.
Ridicolo, penoso, adorabile. Un fascino
che travalica quello che fa. Ricorda Cary
Grant, è vero. Quest’ultimo però era il
divo chiuso dentro l’Olimpo
Hollywoodiano, mentre Clooney è uno di
noi, il vicino di casa gentile (case: sono
quattro le ville acquistate in “quel ramo
del Lago di Como”), l’uomo della
Provvidenza sceso tra i terremotati
dell’Aquila per dispensare ottimismo,
l’amico americano venuto a rapire il
cuore dell’Elisabetta nostrana. E poco
importa se i machiavellici cronisti di
casa nostra montino intrighi sull’ultimo
“affare” amoroso del nostro: il
gracchiare delle cornacchie è un bel
sentire per George, che del teatrino del
gossip è il puparo. Da manuale il modo
in cui al Lido ha liquidato la “Iena”
Mauro Casciari, rea di essersi lanciata in
L’attore con Anna
Kendrick in una scena
di Up in the Air
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
un impertinente agguato a base di strip
e lusinghe omosex. Sorriso e stoccata:
“Sai, la cravatta è carina, solo non è
lunga abbastanza”. Un trionfo. Clooney
è così: professionista fuori e dentro lo
schermo. Capace di passare da una
passerella a una nuova missione
umanitaria con immutata grazia. Inutile
sublimazione del proprio carattere, la
cialtroneria elevata a vanto e bellezza. E
non poteva non conquistare gli States,
dove però ne apprezzano soprattutto la
faccia liberal e riescono a premiarlo solo
quando si produce in ruoli contriti e
drammatici (vedi l’Oscar per Syriana).
Chissà cosa penseranno ora i perbenisti
Clooney è una figura prismatica dello
show-business, che assomma aspetti e
qualità diverse
chiedersi quale volto si nasconda dietro
la maschera mite ma beffarda, solare e
indecifrabile. E cosa diamine accomuni
l’uomo-copertina all’(ottimo) uomo di
cinema – non è solo un bravo attore, ma
un promettente regista, vedi il gioiellino
Good Nigh And Good Luck. George è
così, una figura prismatica dello showbusiness, che assomma aspetti e qualità
diverse. Impegnato e leggero, sornione e
iperattivo, glamour e progressista. Più
che una filosofia, uno stile che non
poteva non ammaliare l’Italia, per la
quale Clooney rappresenta la
d’Oltreoceano di Ryan Bingham, il
personaggio che Jason Reitman gli ha
cucito addosso in Up In The Air: un
liquidatore di risorse umane che vola da
una parte all’altra del Continente per
rabbonire i “dismissed” convincendoli
che perdere il lavoro è un’opportunità.
Una commedia al passo coi tempi, ossia
un dramma. E lui da Oscar. Impagabile
bastardo dentro. Altrove – e con la crisi
in corso - susciterebbe sconcerto. In
Italia – Clooney sarà al Festival di Roma
per accompagnare il film in concorso –
vorrebbero clonarlo.
%
Storie di vita.
Storie di cinema.
Nel cinema, come a casa, è con gli ingredienti migliori che si preparano le
torte più buone, da gustare raccontandosi le storie più sincere. In autunno
le Torte Versa e Inforna sono in scena nel nuovo film di Luis Prieto
“Meno male che ci sei”, una storia autentica da gustare fetta
dopo fetta.
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Nel
di
egno
Wall
Street
A Venezia con Chavez, a New York sul set
del nuovo sequel con Michael Douglas e Shia
LaBeouf: Oliver Stone docet
di Marina Sanna foto Pietro Coccia
Nell’altra pagina
Oliver Stone con il
leader venezuelano
Chavez
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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AFFABULATORE, diabolico, irresistibile:
Oliver Stone è capace di convincerti che
un dittatore è un uomo onesto e tutti i
media sono manipolati dalle lobby
internazionali. Dalla sua ha mestiere ed
esperienza: con i presidenti Usa ha
incominciato nel ’91 (JFK) per
proseguire con Nixon (Gli intrighi del
potere) e chiudere la “trilogia
cinematografica” con George Bush jr.
(W). Parallelamente ha filmato leader
mondiali, da Arafat (Persona non grata)
a Fidel Castro (Comandante e Looking
for Fidel). Fin dagli esordi si è occupato
non solo del Vietnam, in cui ha
combattuto, ma anche di altri disastri
causati dalla politica estera americana
(era il 1986 quando con Salvador
raccontava gli scontri tra la guerriglia
popolare e la guardia nazionale di
focus on
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
41
focus on
Shia LaBeouf.
A sinistra
Michael Douglas
estrema destra, appoggiata da Reagan).
Col passare degli anni il suo
proverbiale temperamento si è
mescolato con l’umorismo.
“Invecchiando - dice - si cambia. Si
affina l’intelligenza, si diventa più
spiritosi e umili”. E’ arrivato in fretta e
furia al festival di Venezia per
accompagnare il documentario South of
the Border, reportage sulle svolte
politiche in America latina. Partendo
dal Venezuela di Chavez, lo vediamo
nella Bolivia di Morales masticare
foglie di coca (da non confondere con la
cocaina…), in Argentina dai coniugi
Kirchner, nell’ Ecuador di Rafael
Correa, in Brasile con Lula e nella
Cuba di Raul Castro. “Chavez è un ex
soldato che cerca di amministrare le
risorse del suo Paese al meglio. E’ un
uomo colto, un personaggio
affascinante. Dorme pochissimo, 4 o 5
ore a notte, per leggere saggi di
economia e filosofia. Non credete alla
falsa propaganda di giornali e
televisioni che lo demonizzano: non
costituisce una minaccia per la nostra
società. Abbiamo sette basi militari in
Colombia e una pessima reputazione in
tutto il Sudamerica ”. Toccata e fuga,
Stone è tornato di corsa a New York sul
set di Wall Street, 20 anni dopo.
Protagonista ancora Michael Douglas,
alias Gordon Gekko (Oscar come
migliore attore nel 1988), mentre Shia
LaBeouf è un giovane agente di borsa.
“I tempi sono mutati - spiega Stone -.
Gekko è uscito dal sistema e non può
rientrarci, anzi sta scrivendo un libro”.
Se il primo era un ritratto della rapacità
del capitalismo degli anni ‘80, il sequel
è ambientato nei giorni del collasso
finanziario americano. Come già World
Trade Center, sulla tragedia dell’11
settembre, anche questo avrà un
Capitalism ?
Nel mirino del documentarista
IDEALE CHIUSURA del cerchio aperto
nel 1988 da Roger & Me, Capitalism: A
Love Story - accolto trionfalmente al
Festival di Venezia, nelle nostre sale dal
30 ottobre - sferra il suo attacco alle
corporation e ai banchieri, ma non
dimentica le alte sfere del potere
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
approccio personale e non sociologico.
“Mi interessano le storie degli individui,
attraverso i singoli si comprende
meglio il contesto collettivo, il grande
disastro. Cercherò di spiegare alla
gente il ruolo centrale della Federal
Reserve, come influenza la politica
monetaria”. Stesso spirito di
Capitalism: A Love Story di Michael
Moore? “Sono d’accordo con lui: non c’è
umanità, solo vittime. Ho visto il suo
documentario, è ben fatto ed efficace.
Roosevelt diceva: ‘l’unica cosa che
dobbiamo temere è la paura’. Le
conseguenze dell’11 settembre sono
state persino peggiori dell’attentato,
l’orizzonte si è fatto più cupo. Ora è
arrivato Obama, ma le cose devono
ancora cambiare”. Lei cosa farebbe al
suo posto? “Sono vecchio, vorrei andare
in pensione (ride). Politicamente mi
sento indipendente, o meglio
socialdemocratico. Ammiro le persone
che ogni mattina si alzano per andare
al Congresso, ci vogliono fegato e
volontà. Forse voterei per far entrare
più immigrati nel nostro Paese: è
grande abbastanza e loro lavorano
duramente”.
%
No M(o)ore
USA corporation e banchieri: “La gente deve iniziare a ribellarsi”
politico, tanto i repubblicani quanto i
democratici: “La cosa divertente è che
in passato i deputati, quando mi
vedevano, scappavano - racconta
ridendo Michael Moore - e invece
adesso sembra quasi mi vengano a
cercare: questo è il primo effetto del
cambiamento portato dall’elezione di
Obama, ma spero che alcuni di questi,
dopo aver visto il film, ricomincino a
scappare”.
Da sempre oppositore del governo
Bush, apertamente schierato al fianco di
Barack Obama, Michael Moore non fa
mistero attraverso il suo film che
proprio la Goldman Sachs (una delle più
influenti banche d’affari nel mondo,
“obiettivo” numero uno del
documentarista) abbia contribuito al
finanziamento della campagna
elettorale del nuovo Presidente USA:
“Gli hanno dato un milione di euro, è
vero, ed è giusto che lo sappiano tutti. E
voglio che anche Obama sappia che ne
siamo al corrente, perché il fatto di
averlo eletto non esclude la nostra
volontà di osservare tutto quello che
farà: è un uomo libero, magari con
questa mossa hanno pensato di
‘possederlo’, ma non credo che alla
fine ci riusciranno...”. Dopo aver
raccontato il fallimento della General
Motors, il fenomeno delle “armi facili”,
le ombre sull’11 settembre e la
(mala)sanità USA, Moore questa volta
“Faccio questi film
da 20 anni: sono
un essere umano
e sono stanco”
si concentra su un sistema
terribilmente malato, che garantisce
ricchezza al solo 1% della popolazione
americana, facendo sprofondare nel
baratro la restante, stragrande
maggioranza delle persone: “Faccio
questi film da 20 anni. Sono un essere
umano, e sono stanco. Soprattutto di
non vedere risultati positivi immediati.
Non può essere tutto sulle mie spalle, o
su quelle di Obama. La gente deve
svegliarsi, si deve alzare, partecipare
massicciamente. Non posso e non
voglio bruciarmi, soprattutto non da
solo. In futuro farò film di finzione
perché posso raccontare storie di
questo tipo anche attraverso
lungometraggi di fiction”. Magari un
film sul nostro Presidente del
Consiglio? “Al momento no, dice il
regista di Flint, e poi da voi ci sono già
personaggi come Benigni e Sabina
Guzzanti che se ne occupano”.
V.S.
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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schermi capitolini
Roma
Luna
44
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
Helen Mirren e
Richard Gere tra
le star. Il vero
"colpo", però,
sono i materiali
inediti da regista
di Heath Ledger
LE LUCI DELL’AUDITORIUM stanno per
essere accese sulla quarta edizione del
Festival Internazionale del Film, la prima
diretta da Piera Detassis, rinnovata nelle
linee principali a cominciare da un
concorso e un fuori concorso che
miscelano al meglio qualità e divismo. A
contendersi il Marc’Aurelio d’Oro
quattordici registi tra cui Jason Reitman
con Up in the Air, Denis Tanovich con
Triage, Cédric Kahn con Les Regrets
oltre a cineasti in cerca della definitiva
conferma come Michael Hoffman con
The Last Station e debuttanti assoluti
come l’italo-danese Nicolò Donato con
Brotherhood. Significativa la pattuglia
italiana: Donatella Maiorca porta Viola di
mare con Valeria Solarino e Isabella
Ragonese, Giorgio Diritti L’uomo che
verrà con Maya Sansa e Alba
Rohrwacher, Alessandro Angelini Alza la
testa interpretato da Sergio Castellitto.
Mischia autori noti a registi di culto pure
il fuori concorso che vanta The City of
Your Final Destination di James Ivory
con Antony Hopkins, A Serious Man dei
Coen, The Warrior and the Wolf di Tian
Zhuanzhuan con la lanciatissima Maggie
Q. A proposito di divi, attesi sul red
carpet dei veri pesi massimi. Se infatti
Ancora più festival (che festa) la prima
edizione diretta da Piera Detassis.
Che rafforza il concorso e punta sulle star
a cura di Angela Prudenzi
crescente
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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schermi capitolini
rivedremo attori di casa in Italia come
George Clooney e Helen Mirren, da
segnalare l’apparizione di Richard Gere.
E’ la star di Hachi di Hallström, storia di
un professore legato da profondo
affetto al proprio cane: preparare i
fazzoletti. Risate assicurate invece
grazie a Julie & Julia di Nora Ephron,
con una Meryl Streep che sullo
schermo danzerà tra i fornelli mentre
sul palco, dal vivo, ritirerà il
Marc’Aurelio d’Oro alla carriera. Per la
gioia delle fan più giovani ecco poi il
rude Colin Farrell, fotogiornalista in
Triade, in un duello a distanza con
l’italiano del momento Luca Argentero,
tra gli interpreti di Oggi sposi di Luca
Lucini. E flash assicurati per Carolina
Crescentini e Isabella Ragonese, Maya
Sansa e Valeria Solarino.
Ma occhio anche alle proiezioni
speciali. Piera Detassis ci tiene a
precisare che non si tratta solo di eventi
per il grande pubblico ma spesso di
incursioni in territori di pura cinefilia.
Così se si prevedono orde di
ragazzine per le prime sequenze di
New Moon, secondo capitolo della
saga tratta dai romanzi di
Stephenie Meyer, sono per palati
raffinati i materiali inediti firmati
come regista da Heath Ledger. E a
conferma di un programma
eccentrico la trilogia inglese Red
Riding, non un serial ma film
autonomi di registi diversi
ambientati in più decenni e
incentrati sulla caccia a un killer. %
Meryl Streep. In
basso Triage di
Tanovic, a sinistra
L'uomo che verrà
di Diritti
Si prevedono orde
di ragazzine per le
prime sequenze di
New Moon
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
Manachas del
ring. Sotto il
visionario Bunny
and the Bull
Percorsi Altri
“Compito delle manifestazioni è individuare le tendenze ed evidenziare i fili rossi di un
universo in costante fermento”, dice Mario Sesti. Sempre al timone di Extra
Documentari, film di finzione, incontri
con registi, cantanti, scrittori e star:
“Altro cinema/Extra”, curata da Mario
Sesti, si conferma sezione poliedrica
e pronta a raccogliere i segnali di
novità che arrivano da tutto il mondo.
Senza limiti di formato, genere,
durata, in cartellone le opere più
innovative in grado di segnalare la
nascita di un autore, l’emergere di
una linea tematica ed estetica. Come
orientarsi? “Compito dei festival è sì
individuare le tendenze - spiega Sesti
- ma anche proporre programmi che
rendano evidenti i fili rossi che
attraversano un universo in costante
fermento. In questa edizione ad
esempio, pur se appartenenti a
culture diverse il giapponese Human
Comedy in Tokyo di Koji Fukada e
l’inglese Bunny and the Bull di Paul
King testimoniano entrambi di vite
amputate, e non solo
metaforicamente, segno di un disagio
esistenziale che non conosce confini.
La non fiction, invece, lascia
trasparire due componenti più forti
delle altre. La prima, legata alla
produzione italiana, conferma come
negli ultimi anni l’arte e la letteratura,
per non parlare della televisione,
abbiano lasciato al documentario il
confronto con la realtà del paese. La
seconda riguarda la rigenerazione del
documentario d’arte, che non si limita
più a presentare il catalogo delle
opere di artisti più o meno famosi, ma
privilegia la costruzione di un
intreccio narrativo attorno all’oggetto
d’indagine”. Ed ecco “Extra” in
numeri: 13 doc in concorso per il
Marc’Aurelio d’argento, 11 film, 5
eventi speciali, 6 incontri.
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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gli imperdibili (extra)
L’American Boy
di Scorsese
Nel ‘78 Scorsese filma l’amico Steven
Prince, trentenne dotato di
personalità psicotica, parlantina
sciolta e grande abilità nel raccontare
aneddoti esilaranti. Il documentario, a
lungo rimasto sepolto, rivela un
personaggio al quale il regista deve
essersi non poco ispirato. A trenta
anni di distanza Tommy Pallotta torna
a intervistare Prince scoprendo che
non solo è sopravvissuto ad alcol e
droghe, ma ha continuato a
influenzare autori di culto del calibro
di Tarantino e Linklater. I due doc
compongono l’incredibile American
Boy: A Profile Of Steven Prince /
American Prince, luce per gli occhi dei
cinefili.
Soldati per Olmi
Dedicato a Mario Soldati, Rupi del vino
di Ermanno Olmi ripete il tragitto che
portò lo scrittore-regista a realizzare
L’avventura in Valtellina. Il grande
maestro, da qualche anno tornato con
successo all’antico amore per il
documentario, si immerge in atmosfere
magiche, scandaglia realtà ferme nel
tempo, palpita per persone ancorate a
valori insuperati, ma non dimentica di
cantare il dono per eccellenza offerto
dalla natura, il vino della Valtellina.
L’invito finale è semplice, “cinque
sono i motivi per bere: l’arrivo di
un amico, la bontà del vino, la
sete presente e quella che
verrà, e qualunque altro”.
Made in Japan
Ignorato dalle distribuzioni di casa nostra,
il cinema giapponese continua a tenere
banco nei festival internazionali. I titoli
selezionati per “Extra”, Human Comedy
in Tokyo di Koji Fukada e Gravity’s Clowns
di Jun-ichi Mori, costituiscono un
ulteriore brillante tassello di una
produzione variegata e infinitamente
ricca. Due storie che scavano nell’animo
umano con stili diversi, se infatti il primo
riporta alle atmosfere della Nouvelle
Vague e di Rohmer in particolare, il
secondo è un classico thriller
esistenziale. Entrambi danno conto
dell’eterna difficoltà dell’uomo a definire
il proprio ruolo nel mondo.
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rivista del cinematografo
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Alice
nella
città
Tartarughe da viaggio
C’era una volta
il critofilm
Cosa rende un artista tale? Latta e
Cafè - Riccardo Dalisi, Napoli e il
teatro della decrescita di Antonello
Matarazzo in collaborazione con
Bruno Di Marino, prova a rispondere
scandagliando la produzione di un
artista e designer di rilievo internazionale la cui opera è ricca di vitalità,
di gesti concreti, di soluzioni giocose
che trasmettono gioia e serenità.
Matarazzo segue con successo il
nuovo corso del documentario d’arte
rappresentato all’interno di “Extra”
anche da Maria Lai. Ansia d’infinito di
Clarita Di Giovanni, PIN2011 Erinnerung an die Strasse di Torsten
König, Con Artist di Michael Sladek.
Paola Cortellesi? Una tartaruga. Succede ad Alice nella città, dove l’attrice dà
voce a L’incredibile viaggio della tartaruga, affascinante doc diretto dal
premio Emmy Nick Stringer. In sala con Bolero dal 22 ottobre, la storia vera di
una piccola tartaruga marina, che ripercorre nell’oceano il viaggio dei suoi
antenati, iniziato 200 milioni di anni fa. La tartaruga nasce in una spiaggia
della Florida: dopo 25 anni e dopo aver perduto oltre 10.000 compagni di
viaggio, arriverà nelle acque calde dei Caraibi, per riprodursi.
Donne sul ring
Carmen Rosa la Campeona, Yolanda la
Amorosa, Jennifer dos Caras: ragazze dotate di
braccia robuste e animate da una originale
propensione allo scontro fisico. Yolanda e le
altre mamachas praticano con gioia il wrestling,
e per amore di questo sport tipicamente
maschile arrivano a mettere in secondo piano
persino la vita privata. La novità è che siamo in
Bolivia, dove ancora oggi non è per nulla
scontato scegliere un mestiere da uomini. La
regista Betty M. Park ha realizzato Mamachas
del ring alternando riprese dal vero a sequenze
animate filmate in stop motion. Un vero gioiello.
Italia nostra
L’Italia è una Babele di lingue, idee, razze,
ambienti sociali. L’Italia è una Babele
architettonica devastata da costruzioni che
ne sfregiano la bellezza. Eppure, socialmente
e culturalmente divisa nonché etnicamente
differenziata, è una sola Italia quella che
scorre di fronte ai nostri occhi nei doc L’Italia
del nostro scontento di Elisa Fuksas,
Francesca Muci, Lucrezia Le Moli e Fratelli
d’Italia di Claudio Giovannesi, entrambi in
concorso nella sezione “Extra”. Lavori diversi
per taglio e stile, ma che idealmente
costituiscono un dittico fondamentale per
comprendere lo stato delle cose.
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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visioni retrò
Zampa alla
Romana
Il festival dedica una retrospettiva al regista de Il vigile.
E presenta il restauro del film con la Lollobrigida
di Luca Pallanch
LA RETROSPETTIVA del Festival del
Cinema di Roma su Luigi Zampa (19051991), curata da Mario Sesti e fortemente
voluta dal presidente Gian Luigi Rondi,
colma una grave lacuna. Invano
cercherete nelle librerie specializzate
una monografia sul regista romano,
risalendo l’unica pubblicazione su di lui
al lontano 1956, ad opera di Domenico
Meccoli; forse su qualche bancarella, se
sarete fortunati, troverete una copia dei
suoi romanzi, Il successo (1957), Sazia di
giorni (1962) e Il primo giro di manovella
(1979). Bisognerebbe ripartire dalla
lettura del primo: la storia del regista
Giulio Barni, che con grandi sforzi riesce
a sfondare nel mondo del cinema
sacrificando, in parte, i propri ideali e i
propri affetti. Dove autobiografico, al di là
delle affinità con il protagonista, è lo
sguardo di Zampa sull’universo che lo
circonda, la Roma dei cinematografari,
ovvero l’illusorio fascino della macchina
50
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
da presa che cambia i destini delle
persone, condannando talune
all’infelicità, altre a un effimero
successo. Da cui, a differenza della sua
creatura letteraria, Zampa seppe sempre
tenersi a debita distanza, memore delle
sue origini popolari («Mio padre era
ferroviere e tutti miei compagni di giochi
erano figli di operai») e di una
partecipazione emotiva ai piccoli eroismi
della vita quotidiana («La gente che si
alza la mattina e va a lavorare è
l’umanità più ricca che ci sia»). L’umanità
che rivive nei personaggi indimenticabili
di Vivere in pace e L’onorevole Angelina,
che offrirono una connotazione più
leggera al neorealismo.
Nel cinema di Zampa ritroviamo le tracce
evidenti delle sue idee e del suo modo di
pensare. Non stupisce che un
personaggio come lui, schivo e
realmente anticonformista, abbia
suscitato l’interesse di uno studioso di
Pietro Germi come Mario Sesti.
Accomunano i due registi l’attenzione
rivolta al Sud, con uno sguardo che
abbraccia il presente e il passato, legati
indissolubilmente (Processo alla città,
Gente di rispetto), il gusto per la satira, la
grottesca visione dell’homo italicus (Anni
difficili, Anni facili, Anni ruggenti, L’arte
di arrangiarsi, frutto, in gran parte, della
straordinaria collaborazione con
Vitaliano Brancati) e, per contro, l’amore
per le piccole cose, per una semplicità
utopistica, dinanzi alle sollecitazioni della
vita moderna. Di cui Zampa ha colto una
delle sue facce più “seducenti”:
l’arrivismo, che ha svelato ne Il vigile e
ne Il medico della mutua. Questo a
sottolineare la profonda attualità del suo
cinema, nel quale ritroviamo non solo
parte della nostra storia, ma cause e
sintomi di un malessere perdurante.
Le frasi di Zampa sono tratte dall’ultima
intervista concessa dal regista, nel volume di
Francesco Bolzoni e Mario Foglietti Le stagioni
del cinema. Trenta registi si raccontano,
Rubbettino, Soveria Mannelli, 2000.
Gusto per la satira, attenzione
al Sud e semplicità: come Germi, sul filo
dell’utopia (antimoderna)
intervista
Il compositore francese
svela i segreti di Wes
Anderson e Terrence
Malick. Mentre sogna
Scola e aspetta l’Oscar
di Michela Greco
Fantastic
52
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
DUE CANDIDATURE ALL’OSCAR (Il
curioso caso di Benjamin Button nel 2008
e The Queen nel 2006), un Orso d’Argento
per Tutti i battiti del mio cuore nel 2005,
una manciata di César e tre Golden
Globe. Se non bastasse, è stato scelto da
Terrence Malick per il film della sua vita,
quel Tree of Life (L’albero della vita) di
cui si parla già da tempo ma di cui si sa
poco o nulla. Ecco chi è Alexandre
Desplat, compositore francese scoperto
dal grande pubblico grazie alle colonne
sonore dei film di Jacques Audiard e
ormai lanciatissimo a Hollywood. E’
considerato il degno erede di musicisti
quali Michel Legrand, Georges Delerue e
Mr. Desplat
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
53
intervista
Maurice Jarre e non perde occasione di
dimostrare quanto sia meritata questa
reputazione, tanto che nei prossimi mesi
ascolteremo le sue note, oltre che in The
Tree of Life, anche in altre due
attesissime pellicole: Fantastic Mr. Fox di
Wes Anderson e New Moon (secondo
capitolo della saga vampiresca Twilight).
“Film molto diversi, ma accomunati dal
fatto di raccontare amori impossibili”, dice
lui. Di passaggio a Roma per presentare a
Villa Medici il concerto del Traffic Quintet
“Nouvelles Vagues de Godard à Audiard”
(trascrizioni per quintetto d’archi dei più
famosi brani per il cinema), Alexandre
Desplat ci ha svelato alcuni segreti del
suo mestiere e, per l’occasione, anche di
quello di Terrence Malick: “E’ stato il
primo a chiedermi di comporre la musica
partendo dalla sceneggiatura. Gli ho già
consegnato la partitura ma
ho potuto vedere solo poche
immagini del film. Negli
ultimi due anni abbiamo
avuto approfondite
conversazioni sulla sua idea
e alla fine ho composto brani
lunghi, anche di cinque o
dieci minuti, che si sviluppano come
movimenti ripetitivi. E’ come se questa
colonna sonora fosse un fiume che scorre
accanto al film, intervallata da eventi
improvvisi, quasi degli uccelli che si
tuffano per un momento sull’acqua. Il
processo di lavoro è stato qualcosa di
molto vicino al suo universo poetico, in cui
la natura viene sublimata. Alla fine Malick
ha montato il film sulla base della musica,
qualcosa che avrebbe sempre voluto fare,
ma senza mai riuscirci”. Su The Tree of
Life, quinta pellicola dello schivo regista
americano, sono trapelate pochissime
voci: di certo c’è solo che sarà interpretato
da Brad Pitt e Sean Penn e quello che ci
racconta Desplat, che a luglio ne ha
registrato le musiche a Londra: “Opera
filosofica e metafisica sulla trasmissione
dell’amore. Come sempre nei film di
Malick, le immagini sono di una bellezza
incredibile, descrivono volti ed emozioni
segrete, alla ricerca della purezza. Il film
alterna visioni poetiche della terra, dalla
creazione dell’universo all’osservazione
della vita quotidiana di una famiglia
texana negli anni ’50. Un’opera
"Il regista di Tree of Life è stato
il primo a chiedermi di creare la musica
partendo dalla sceneggiatura"
The Fantastic Mr. Fox. In alto Alexandre Desplat, nel riquadro Terrence Malick
54
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
semplicemente magnifica”. Per lui
comporre la musica di un film vuol dire
“trovare un equilibro tra la visione
estetica del regista e la propria, profonda
e sincera” e non vede differenze nel
lavoro per un film hollywoodiano o
europeo, “tutto dipende, piuttosto, da ciò
che il cinema richiede alla musica, se un
ruolo di funzione o di finzione: nel primo
si accompagnano le immagini illustrando
qualcosa; nel secondo bisogna creare
ulteriore profondità di campo. Senza
dubbio preferisco il secondo”.
Compositore “feticcio” del talentuoso
Jacques Audiard, che gli ha aperto le
porte di Hollywood – “Ho lavorato con
Peter Webber a La ragazza con
l’orecchino di perla grazie alla colonna
sonora di Sulle mie labbra”– Desplat ha
una sorta di venerazione per il cinema e
per i musicisti italiani, tanto che la sua
massima aspirazione sarebbe “rubare il
posto” a uno di loro. “I film di Pasolini,
Scola e Rossellini mi hanno portato in
Italia prima ancora che la visitassi, e la
musica di Rota e Morricone ha forgiato la
mia personalità. Ho visto C’eravamo
tanto amati al cinema dieci volte, e
quando mi è capitato, anni fa, di trovarmi
seduto vicino a Ettore Scola non ho osato
parlargli, tale è l’ammirazione che provo
per lui. Se potessi scegliere un regista
italiano con cui lavorare sarebbe
senz’altro lui, ma è da molto che non fa
film e ha già il suo compositore di fiducia:
Armando Trovajoli”. Intanto, per il
prossimo futuro, Desplat ha un’agenda
fitta di impegni: le colonne sonore del
thriller The Ghost di Roman Polanski, con
Ewan McGregor e Pierce Brosnan, del
secondo film tratto dal celeberrimo
fumetto belga Largo Winch e della nuova
pellicola di Stephen Frears Tamara
Drewe, (tragi)commedia sociale
ambientata ai giorni nostri. Stavolta
l’Oscar arriverà?
%
Con un film in DVD ti giostri la serata a casa come vuoi tu.
Con un DVD sei tu a scegliere il programma della serata, è un palinsesto che puoi decidere e mandare in
onda all’ora che vuoi. Un DVD è libertà e divertimento: contributi speciali, backstage, interviste e making
of. Un film da vedere, rivedere e collezionare. Un’opera unica che puoi goderti solo in DVD.
DVD. Molto più di un film.
The show must go home.
TM
OTTIMO
BUONO
SUFFICIENTE
MEDIOCRE
SCARSO
Il nastro bianco
Michael Haneke racconta crudeltà e
perversioni di un paesino di provincia. Alle soglie
della Prima Guerra Mondiale
i film del mese
anteprima
APPLAUDITO, con qualche dissenso, a
Cannes, forse per la solita nota di
formalismo che è croce e delizia
dell’autore di La pianista e Funny
Games, Il nastro bianco ha vinto una
Palma d’Oro agevolata, secondo certe
voci, dalla presidenza di Isabelle
Huppert. Michael Haneke, anche in
56
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
questo caso, è capace di inserire
il dettaglio nell’universale,
l’analisi di un gesto, di un evento
circoscritto, nel passo del tempo
e della Storia, aprendo il film al
pensiero. Non c’è una strana aria, in
giro, che il distacco tra i valori e la
condotta stia attraversando
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Michael Haneke
Susanne Lothar, Ulrich Tukur
Drammatico, Colore
Lucky Red
144’
un’inestimabile e irrefrenabile
divergenza, proprio nella prospettiva
della Storia e dell’educazione delle
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
57
i film del mese
generazioni? Se la formazione
dell’uomo è la sola, concreta,
potenzialità di salvare la nostra società
(da cosa? dal delirio di inerzia,
rapacità, dimenticanza, razzismo,
individualismo), le forze, le idee e le
scelte, dovrebbero concentrarsi
sull’infanzia, l’adolescenza, sulla
giovinezza come radice del “ragionare
sul Bene”, sul sapere come esperienza
affettiva e speculativa, emotiva e
virtuosa, sull’“addestramento” a
pensare in comune contro ogni potere
corrotto, sul futuro quindi. E’ vero che
questo nuovo film di Haneke interroga
con la crudeltà necessaria l’origine di
una crisi profonda, alle soglie della
Prima guerra mondiale, tra i padri e i
figli, tra il presente forgiato nel nome
della castrazione (di verità,
sentimento, condivisione, moralità) e
un futuro fondato sulla distruzione,
risultato di questa afasia dell’umano
pronto all’uso di massa (il nazismo).
Ma nonostante l’ambientazione
centenaria (siamo nel 1913 in un
villaggio protestante del nord della
Germania) di una vicenda accaduta,
l’attualità emotiva e fenomenologica
che si sente è più di una suggestione
del presente. In un minuscolo villaggio
il pastore frusta e lega le mani del
figlio sospetto di masturbazione, il
medico vedovo commette incesto con
la figlia 14enne e denigra e insulta
l’amante che gli fa da infermiera, il
figlio infante del barone viene rapito e
torturato, e così succede al bambino
handicappato dell’infermiera. Soltanto
il maestro sembra avere un equilibrio,
58
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
Nonostante l'ambientazione
centenaria, l'attualità emotiva è più di
una suggestione del presente
un istinto che lo impegna alla verità,
come ultima salvezza, e in una
profonda solitudine, segno di una
sparizione della moralità. Chi è stato a
cavare gli occhi al piccolino?
Impossibile trovare chi è stato perché
la verità (si suggerisce che siano i due
figli deviati del pastore) è dirompente,
quindi censurabile e censurata. E,
soprattutto, è negata, nell’incipit di una
paradossale onda d’urto sulla società
tedesca, a partire da un microcosmo
studiato e raccontato come un tappo
sulla bottiglia esplosiva del ‘900, a
partire da volti originari, lombrosiani,
che devono alle foto di August Sander
l’energia coatta di fucili sterminatori.
L’immagine in bianco e nero, come la
secca impassibilità dell’inquadratura
(ricorda più Dreyer che Bergman),
riflettono la freddezza di un minuscolo
mondo apparentemente quieto e
laborioso dove in realtà i sentimenti e
le emozioni sono frustrati, poi uccisi
definitivamente. Ma, come diceva
Dostoevskij rendendo il biglietto di
ritorno a Dio, i bambini, loro, che cosa
c’entrano?
SILVIO DANESE
%
#
#
Vi invita a votare per il suo film europeo preferito e vinci un viaggio per
due persone per lo European Film Award in Germany’s Ruhr Metropolis,
Capitale Europea della Cultura RUHR 2010
#
#
#
T H E E U R O P E A N F I L M A C A D E MY
I N O M I N AT I S O N O :
# DER BA ADER M EI N HOF KOM P LEX
# MÄN SOM HATAR KVI N NOR
(L A BAN DA BA ADER M EI N HOF )
(L A R AGA ZZ A CON I L TATUAGGIO
DEL DR AGO)
Diretto da Uli Edel
Scritto da Bernd Eichinger, Stefan Aust e Uli Edel
Prodotto da Bernd Eichinger
Diretto da Niels Arden Oplev
Scritto da Nikolaj Arcel & Rasmus Heisterberg
Prodotto da Søren Stærmose
#
# LOS AB R A ZOS ROTOS
# L ÅT DEN R ÄT TE KOM MA I N
(GLI AB B R ACCI ROT TI)
Scritto e diretto da Pedro Almodovar
Prodotto da Augustin Almodovar
(LET TH E R IGHT ON E I N)
Diretto da Tomas Alfredson
Scritto da John Ajvide Lindqvist
Prodotto da John Nordling & Carl Molinder
# COCO AVANT CHAN EL
(COCO P R I MA DI CHAN EL)
# P R ANZO DI F ER R AGOSTO
Diretto da Anne Fontane
Scritto da Anne e Camille Fontane
Prodotto da Carole Scotta, Caroline Benjo,
Philippe Carcassonne e Simon Arnal
(M I D-AUGUST LU NCH)
#
#
Diretto da Gianni di Gregorio
Scritto da Gianni di Gregorio & Simone Riccardini
Prodotto da Matteo Garrone
# L A DUCH ESS
# SLU M DOG M I LLIONAI R E
Diretto da Saul Dibb
Scritto da Jeffrey Hatcher,
Anders Thomas Jensen e Saul Dibb
Prodotto da Gabrielle Tana e Michael Kuhn
Diretto da Danny Boyle
Scritto da Simon Beaufoy
Prodotto da Christian Colson
#
# F LY M E TO TH E MOON
#
#
#
Diretto da Olivier Megaton
Scritto da Luc Besson & Robert Mark Kamen
Prodotto da Luc Besson & Steve Chasman
#
#
Diretto da Ben Stassen
Scritto da Domonic Paris
Prodotto da Gina Gallo, Charlotte Huggins,
Mimi Maynard & Caroline Van Iseghem
# TR ANSPORTER 3
#
#
V O TA O N L I N E :
European Film Academy riunisce 2,000
professionisti del cinema europeo con
l’obbiettivo comune di promuovere la cultura
cinematografica europea. Il vincitore del
People’s Choice Award sarà presentato dalla
European Film Academy e EFA Productions
nello scenario della cerimonia di premiazione.
w w w. p e o p l e s c h o i c e aw a r d . o r g
Tutti i voti devono essere presentati prima del
1 novembre 2009. Il concorso è soggetto a leggi
e regolamenti disponibili su richiesta presso
Ernst & Young GmbH
#
Il 22.MO EUROPEAN FILM AWARDS
12 Dicembre 2009
#
Funny
People
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Adam Sandler, Seth Rogen
Commedia, Colore
Universal
Sandler
“malincomico” al servizio di Apatow
e del suo meta-cabaret: sentito e irresistibile
145’
GEORGE SIMMONS (Sandler) è un idolo.
Cabarettista e attore comico di enorme
successo, non fa un passo senza che
qualcuno lo fermi per una foto ricordo o,
meglio ancora, senza che qualcuna
finisca nel suo letto. Quando gli viene
diagnosticata una grave malattia del
sangue, però, tutto inizia a perdere di
senso: come sarebbe la sua vita se non
avesse perso per strada l’amore vero,
se non avesse tagliato i ponti con la
famiglia e, soprattutto, se avesse avuto
al fianco qualche sincero, buon amico?
L’occasione per rimettersi a pari,
inaspettata, si presenta grazie al
giovane Ira Wright (Rogen), aspirante
cabarettista – buon talento in scrittura
ma un po’ carente sul palco… – che
viene assunto da Simmons in qualità di
assistente e autore: per entrambi, sarà
l’incontro della vita.
60
in uscita
Judd Apatow
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
Terzo film da regista per Judd Apatow –
dopo 40 anni vergine e Molto incinta –
che per la prima volta (anche da
produttore e sceneggiatore) porta sullo
schermo una storia prendendo spunto da
molte situazioni autobiografiche, inerenti
il mondo del cabaret e le persone
accanto alle quali è cresciuto: ne viene
fuori un racconto sentito e irresistibile, a
metà strada tra il metacinema (con le
Il regista Judd Apatow
varie locandine e gli spezzoni di finti film
demenziali interpretati da George
Simmons, vedi MerMan, “Il sirenetto”…)
e il metacabaret, riflessione dolceamara
su una realtà solo in apparenza greve e
scanzonata, universo soprattutto negli
States popolato da star affermate e
pseudonerds in cerca di fama e
popolarità. Funny People, per l’appunto,
disadattati – chi più chi meno – ma dotati
comunque di enorme talento: così come
gli attori al servizio di Apatow, dal
“malincomico” Sandler all’alter ego del
regista Seth Rogen, da Eric Bana (tornato
alla comicità delle origini, “The Eric Bana
Show Live”) a Leslie Mann, moglie di
Apatow nella vita reale. Per non parlare
del solito, finto crepuscolare Jason
Schwartzman e di Jonah Hill, altro enfant
prodige della comicità a stelle e strisce.
Curiosità: il collega di Rogen al fast food
è il rapper RZA, mentre Eminem si
concede una cenetta con Sandler.
VALERIO SAMMARCO
%
La ragazza
che giocava
con il fuoco
Un amore
all’improvviso
Sulla carta dirompente, statico sullo
schermo. Bana avanti e indietro nel tempo: alla
fine vince la noia
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
in sala
Annacquato
sequel di Uomini che
odiano le donne. Noomi Rapace non basta
MENO MALE CHE LISBETH C’É. Senza di lei, La ragazza
che giocava con il fuoco avrebbe incenerito solo la pazienza
del pubblico. E fortuna che Lisbeth sia ancora Noomi
Rapace, perché nessun’altra sarebbe riuscita a divorare il
film così, ghermendo ogni scena con primitiva brutalità,
conturbante malessere, losca fascinazione. L’animale
rantola però. Schiacciata da una macchina narrativa non
all’altezza. Il secondo film tratto dalla Millennium Trilogy di
Larsson, é come Uomini che odiano le donne svuotato di
appeal. La storia - l‘hacker si trova implicata in un caso di
triplice omicidio, che toccherà al solerte Blomkvist (Michael
Nyqvist) risolvere – è una specie di preambolo posticipato,
dove conta di più scavare nel passato di Lisbeth che nella
melma della società svedese. E dire che proprio
l’ambientazione era stata il punto di forza del capostipite,
con le sue atmosfere mortifere e i personaggi perversi,
unitamente all’utilizzo delle immagini in chiave
investigativa. Qui invece - con Alfredson al posto di Oplev
dietro la mdp - l’azione annaspa dietro rivelazioni e
incartamenti, i cattivi sono ridicoli, la confezione è di
stampo televisivo. Per terra rimangono tre cadaveri, ma il
delitto è uno solo, perpetrato in cabina di regia.
GIANLUCA ARNONE
%
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Robert Schwentke
Eric Bana, Rachel McAdams
Sentimentale, Colore
01 distribution
112’
AFFETTO DA UNA RARA ANOMALIA GENETICA, Henry (Eric
Bana) è costretto suo malgrado a viaggiare avanti e indietro
nel tempo, materializzandosi e smaterializzandosi senza alcun
preavviso. Non riesce a cambiare il corso di eventi tragici (la
morte della madre), ma durante questi “spostamenti” ha
trovato l’amore della vita, Clare (Rachel McAdams), che già da
bambina lo aspetta ogni giorno nel prato della tenuta di
famiglia. Tratto dal bestseller di Audrey Niffenegger (La
moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo, ed. Mondadori), Un
amore all’improvviso – questo l’infelice titolo italiano del film –
avrebbe dalla sua potenzialità dirompenti che proprio il mezzo
cinematografico, per sua natura, potrebbe e dovrebbe
esaltare: peccato però che, sin da subito, le apparizioni e le
sparizioni di Bana finiscano paradossalmente per rendere
statica l’intera narrazione, alla fine nulla più che un collage di
momenti amorosi, dolorosi, drammatici o divertenti. L’assunto
di fondo – “un amore che continua a vivere nonostante il tempo
e le forzate assenze” – è chiaro dopo cinque minuti e ribadito a
scadenze più o meno regolari, così come l’impossibilità da
parte di Robert Schwentke (alla seconda regia USA dopo
Flightplan) di dirigere un film che regali nient’altro, se non
meno, di ciò che promette.
VALERIO SAMMARCO
%
in sala
Daniel Alfredson
Noomi Rapace, Michael Nyqvist
Thriller, Colore
BIM
127’
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
61
i film del mese
La doppia ora
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Ksenia Rappoport, Filippo Timi
Thriller, Colore
Medusa
L’esordio di Capotondi con un bel mistery
che diventa cattivo melodramma
95’
DOPPIA ORA? Buona la prima. Ovvero il
film in una frase. Perché il debutto di
Giuseppe Capotondi merita
apprezzamento; perché le cose migliori
si vedono tutte nella prima ora. Dopo
cambia, cala. Ma tant’è, dei 4 italiani in
concorso a Venezia, La doppia ora è
quello che ne esce meglio. Film
assolutamente inedito nel panorama
tricolore, immune alle sue
derive/ossessioni/velleità autoriali. Non
che difetti di profondità, se è vero che
offre a Ksenia Rappoport un personaggio
esemplare e l’opportunità – messa a
frutto – di portare a casa una Coppa
Volpi. Semplicemente ogni vezzo
stilistico è subordinato al cinema di
genere, al suo funzionamento.
Operazione al confine tra mistery, noir e
melò. “Una storia d’amore venata di
mistero”, la chiama Capotondi. Avrebbe
62
in uscita
Giuseppe Capotondi
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
funzionato meglio come mistery venato
d’amore: tra i due, è la love story ad
apparire meno credibile. Protagonisti
Guido (Filippo Timi) e Sonia (la
Rappoport), solitudini che s’incontrano in
uno speed date torinese. La scintilla
scocca all’istante, la fiamma si spegne
bruscamente. Incursione romantica in
villone fuori città, e tragedia: la coppia
viene prima presa in ostaggio da un
Il regista Giuseppe Capotondi
gruppo di rapinatori a mano armata, poi
colpita. Guido addirittura a morte. Sonia
è illesa, ma non salva. Strani avvenimenti
la perseguitano, terrificanti visioni, le
continue apparizioni di Guido su tutte.
L’uomo è veramente morto? La risposta che arriva dopo un’ora incalzante e tesa segna purtroppo la fine del film. Come
spesso avviene in pellicole del genere,
più aumentano gli enigmi più la
soluzione delude. Anziché continuare a
pigiare il pedale sull’irrazionale, l’onirico
e il conturbante, Capotondi preferisce
sterzare sull’epilogo logico, e il delitto e
castigo con ghost-story lascia posto a un
sentimentalismo posticcio. Gli interpreti
funzionano, lo script è ricco di spunti, il
lavoro sul sonoro prezioso. La regia
diligente, ma senza guizzi. La doppia ora
resta un buon thriller rovinato da un
pessimo melodramma. Un ibrido
irrisolto, a metà tra l’esordio
promettente e l’occasione sprecata.
GIANLUCA ARNONE
%
Parnassus
L'uomo che voleva
ingannare il diavolo
Baarìa
Bigger than life nelle premesse, il
Nuovo Cinema Tornatore è fastidioso: perché il
kolossal non abita più qui
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
anteprima
L’ultima prova di Heath Ledger
per Terry Gilliam, l’uomo che volle ingannare
la morte
PARNASSUS – L’uomo che voleva ingannare il diavolo,
ovvero Gilliam, l’uomo che volle ingannare la morte. La
morte di Heath Ledger, alla sua ultima prova, terminata
dal trio delle meraviglie Johnny Depp, Jude Law e Colin
Farrell. “Heath è stato il co-regista, perché con la sua
scomparsa la tentazione di chiudere tutto è stata forte”,
ma il progetto è stato infine realizzato, con il trio che ha
devoluto i compensi alla figlia di Ledger, “un uomo che
contagiava tutti con la sua energia”.
Tratto da un libro che Gilliam ama molto, Parnassus è un
inno alla vita nonostante tutto e un accorato peana alle
virtù salvifiche dell’immaginazione, in cui personaggio
(Parnassus) e persona (Gilliam, e Ledger) si fondono per
celebrare la fantasia, il lascito sulla retina di un altro
mondo possibile - al netto del lato oscuro, che Tom Waits
incarna alla perfezione, con mood dark e occhiate
luciferine. Fantasia che nel progresso tecnologico trova
briglia sciolta, ma senza dimenticare il passato, anzi:
“Non tutto è stato girato in blue screen, e per qualche
scena ci siamo ispirati alla cronaca nera: l’inquadratura
degli impiccati sul Tamigi si ispira al ritrovamento di
Roberto Calvi”. Rimane un saluto: ciao, Heath…
FEDERICO PONTIGGIA
%
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Giuseppe Tornatore
Francesco Scianna,Margareth Madè
Drammatico, Colore
Medusa
150’
FOSSE RIUSCITO, gli americani avrebbero parlato di film bigger
than life. Definizione che avrebbe corrisposto le intenzioni di
Giuseppe Tornatore, tornato a fare il Tornatore dopo la parentesi
thriller de La sconosciuta. I mezzi a disposizione – ufficialmente
25 milioni di euro – lo consentivano, il progetto semi-biografico
era accarezzato da una vita, il cast radunava – ma è un pregio? –
una teoria di stelle tricolori, nonché due protagonisti esordienti
(Bravo Francesco Scianna, mediocre Margareth Madè), perché
le ambizioni, e il conseguente successo, da Nuovo Cinema
Paradiso in scala kolossal fossero peregrine. Ma tra carta e
schermo, a volte, si apre l’abisso, quello che inghiotte la
famiglia bagheriota dei Torrenuova: 70 anni, per un affresco
corale sulla storia, in cui la memoria tradisce se stessa, con
“braccia troppo corte”, quelle dei Torrenuova, e occhi troppo
ingenui, quelli di Tornatore, per afferrare la Storia e il Cinema.
A terra rimangono gli stereotipi “scambiati” per ricordi, la
ricostruzione inadempiente perché repressa in 150’ – non è
ironia – e in testa una tremenda constatazione: che il kolossal
non faccia più parte del nostro repertorio. Non solo
produttivamente, ma artisticamente: perché da questa Porta
del vento entrano solo spifferi fastidiosi.
FEDERICO PONTIGGIA
%
in sala
Terry Gilliam
Heath Ledger, Johnny Depp
Fantastico, Colore
Moviemax
122’
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
63
i film del mese
Up
Film aereo e avventuroso:
fantasia, sentimenti e poesia
per l’ennesimo capolavoro
targato Pixar
Regia
Genere
Distr.
Durata
VOLARE VIA. Up è il decimo film della
Pixar e il primo d’animazione ad aprire
il festival di Cannes. Toy Story ha
inaugurato la serie Pixar nel 1995. Da
allora gli stregoni digitali non hanno
sbagliato un colpo, con Nemo, Cars,
Ratatouille, fino a Wall·e: e John
Lasseter, sorridente patron storico
della compagnia in camicia hawaiana,
riceve a Venezia il Leone alla carriera.
La Disney ha acquistato la Pixar nel
2006 ma, grazie a uno scambio di
64
in uscita
Pete Docter, Bob Peterson
Animazione, Colore
Walt Disney Pictures Italia
96’
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
Il regista Pete Docter
azioni, è Steve Jobs, fondatore della
Apple e proprietario della Pixar, a
ottenere una quota della Disney e ad
assicurare libertà ideativa ai suoi
uomini. Come sempre a Hollywood,
sono storie di soldi e di grandi imprese,
ma anche di idee. I film Pixar sono fatti
di buone idee. Le tecnologie sanno
rendere sfumature, forme, colorito
umano, pori della pelle e finissimi
capelli al vento. Così, il punto centrale
non sta più nella tecnica, via via
migliorata e migliorabile. Il punto sta,
sempre di più, nella costruzione di
buone storie, bei personaggi, attraenti
sceneggiature e argute messinscene.
Sta nel fare un buon film. Alla Pixar ci
riescono (molto di più che negli studi
tradizionali). Quelli della Pixar sono in
gara con quegli altri della Dreamworks,
quelli di Shrek e di Madagascar. Alla
Dreamworks sono bravi nell’uso e riuso
della parodia e dei generi. Alla Pixar
sono più bravi con la fantasia e con i
sentimenti.
In Up, film aereo e avventuroso, ci sono
fantasia, sentimenti (buoni e meno
buoni) e persino qualche tocco di poesia
cosmica. Firmato in coppia da Pete
Docter, il regista di Monsters & Co, e da
Bob Peterson, Up racconta di un
vecchietto ottuagenario (che è già uno
strappo alle convenzioni
dell’animazione) di cui veniamo a
conoscere la vita e la vita e la morte
della moglie carissima (altra
malinconica e tenera infrazione alle
regole). Per mantenere una promessa
alla signora, Carl vola verso le foreste
del Sudamerica, lui, la sua casa
sospesa a un grandioso grappolo di
palloncini e Russell, ragazzino boy
scout cicciotto e intraprendente (quelli
della Pixar i ragazzini li fanno cicciotti).
Prende il via la dimensione aeronautica,
domonautica e avventurosa del film
dove si incontrano civiltà perdute, le
cascate Paradiso, uccelli preistorici che
non sanno ancora volare, una
ranasveglia e nemici canini e umani.
Si diceva una volta che, con i cartoni
animati, si ritornava tutti bambini.
Davanti all’animazione della Pixar
(come davanti a quella di Miyazaki) si
può, a scelta, restare adulti o tornare
bambini e godersela in ogni caso. Dire
“è un film Pixar”, almeno per questi
primi dieci, è come dire film piacevole,
intelligente, simpatico, moralmente
sano, anche fantasiosamente ribelle.
Via per i cieli, nonnino.
BRUNO FORNARA
%
Come con
Miyazaki si può, a
scelta, restare adulti
o tornare bambini e
divertirsi
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
65
i film del mese
Lo spazio bianco
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Margherita Buy, Gaetano Bruno
Drammatico, Colore
01 distribution
La Comencini ripiega sul privato per
raccontare l’altra faccia della crisi. Discreto
98’
SE A CASA NOSTRA era stato il
mosaico cupo, macroscopico, dell’Italia
oggi, Lo spazio bianco ne è un intimo
frammento, un riverbero interno. Là
era l’intreccio di misfatti pubblici e
disfatte private a delineare le
proporzioni della crisi – politica,
collettiva, morale -, stavolta il
procedimento è sineddotico, il taglio
personale, il malessere circoscritto,
ma l’effetto di risonanza non meno
contestuale. Nell’adattare l’omonimo
romanzo di Valeria Parrella, Francesca
Comencini ha operato uno slittamento
decisivo, trasformando il disagio
interiore in inquietudine generale, lo
smarrimento del singolo in spaccatura
sociale. Il dramma di una madre –
Maria (tra le prove migliori di
Margherita Buy), che aspetta la nascita
definitiva della figlioletta Irene, nata
66
in uscita
Francesca Comencini
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
prematura e imprigionata in
un’incubatrice dalla quale non sa se
uscirà mai – che rifrange un’angoscia
più grande. Non è sbagliato parlare di
dramma vaginale per l’ultimo film della
Comencini, ma limitante sì. La regista
non ha voluto fare un film sulle e per
sole donne, ma costruire attorno alla
solitudine di un personaggio
un’atmosfera, un colore ambientale. La
La regista Francesca Comencini
storia che racconta Lo spazio bianco è a
densità zero: non succede nulla, tutto è
attesa, ripetizione, sonorità musicali e
interiori. E’ un film liquido dove è facile
scivolare fuori, smarrirsi.
La Comencini dice tutto dove non
racconta nulla, nella messa in scena di
una Napoli atipica, sempre deserta,
nelle volte in cui ci fa vedere la Buy al
telefono mentre “parla” con nessuno,
nelle parentesi oniriche, talvolta
forzate, come quella del balletto in
ospedale con le altre “madri in attesa”,
tutte nude ad eccezione della
protagonista, incapace fino in fondo di
spogliarsi, consegnarsi senza difese. E’
da questa ritrosia ad aprirsi all’altro, in
questa crisi di fiducia che la Comencini
riparte per avviare un nuovo confronto
tra cinema, società e politica. Più
aperta alla speranza stavolta. In attesa
che dall’incubatrice prima o poi esca
anche l’Italia.
GIANLUCA ARNONE
%
District 9
Gli alieni
sono tra noi, e non vediamo l’ora
di sbarazzarcene. Sorprendente opera prima,
prodotta da Peter Jackson
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
in uscita
Talentuoso e stiloso il Michael
Winterbottom trapiantato in Liguria. Ma non
è sufficiente
E’ RARO AL CINEMA provare più fastidio che per un
automobilista che non guarda la strada. Fatto sta che il
professor Joe (Colin Firth) rimane vedovo e accetta un
insegnamento a Genova, offerto dalla vecchia amica
Barbara (Catherine Keener): nel capoluogo ligure, la
figlia 16enne Kelly (Willa Holland, stupenda) imparerà
l’amore, mentre la minore Marey (Perla Haney-Jardine) si
perderà, anche letteralmente, seguendo le visioni della
madre morta (Hope Davis, irritante).
Se il cast è ben diretto e uniformemente all’altezza,
Winterbottom si conferma regista eclettico e talentuoso,
maestro del digitale (il direttore della fotografia Marcel
Zyskind ci regala fascinose viste in “camera-scooter”) e
artefice di un nuovo docu-drama. Ma, pur importanti, i
pregi di Genova, realizzato con troupe al 50% locale, si
fermano qui: l’amaro in bocca non è tanto per l’infelicità
formato famiglia, ma per la dabbenaggine con cui è
procurata. Perché il professor “non si sa di che” Joe non
fa vedere da uno bravo la piccola Marey? Semplice,
perché il film finirebbe ancor prima di iniziare. Morale:
seguendo con stile e sapienza un ricetta sbagliata, non
viene fuori una bella torta. E nemmeno il pandolce
genovese.
FEDERICO PONTIGGIA
%
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Neill Blomkamp
Sharlto Copley, David James
Sci-fi, Colore
Sony Pictures Releasing Italia
112’
POCO MENO DI 30 ANNI FA un’enorme astronave
“parcheggiava” sopra il cielo di Johannesburg. Nessun
segno di vita: dalla terra fanno irruzione. Ammassati e
denutriti, profughi alieni vengono portati giù e “ospitati” nel
Distretto 9, all’interno di baracche provvisorie. Si
riproducono velocemente, vanno matti per il cibo per gatti e
agli occhi degli umani – che li chiamano gamberoni –
diventano un fastidio di cui sbarazzarsi. Ci penserà, in teoria,
la MNU, società interessata a far funzionare le armi aliene,
attraverso l’operato di Wikus van der Merwe (Copley),
chiamato a notificare lo sfratto ai non umani e poi, una volta
contagiato da un virus che ne tramuta rapidamente il DNA,
bersaglio numero uno della stessa azienda. Sorprendente
opera prima di Neill Blomkamp – 30enne sudafricano già
autore di cortometraggi e spot pubblicitari – District 9 ha il
grande merito di non polverizzarsi dietro l’esplosione
scatenata dalle strategie di viral e guerrilla marketing: con
un fascino vagamente retrò e la metafora nemmeno poco
accennata di alieni-immigrati brutti sporchi e cattivi, il film
prodotto da Peter Jackson esalta il genere e lo rilegge
nell’ottica di una quotidianità (finte testimonianze, finti
reportage) che non ammette più il diverso: neanche se un
minuto prima era uno di noi.
VALERIO SAMMARCO
%
in sala
Michael Winterbottom
Colin Firth, Willa Holland
Drammatico, Colore
Officine Ubu
92’
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
67
film del mese
Genova
Motel Woodstock
in uscita
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Ang Lee
Demetri Martin, Liev Schreiber
Commedia, Colore
familiare per Ang Lee. Innocuo e divertente
BIM
111’
STATI UNITI, 1969. Il giovane Elliot
Teichberg (il comico Demetri Martin),
che con gli stravaganti genitori (Imelda
Staunton e Henry Goodman) gestisce
un motel ai piedi dei monti Catskills,
scova una brillante idea per coprire i
debiti di famiglia: dare in affitto il
proprio terreno a un festival musicale.
Si accorderà con il promotore Michael
Lang (Jonathan Groff) per organizzare il
più grande evento nella storia del rock:
il concerto di Woodstock. Tratto dal
memoriale Taking Woodstock: A True
Story of a Riot, a Concert, and a Life di
Elliot Tiber, ecco il rock-movie di Ang
Lee, premio Oscar per Brokeback
Mountain, presentato in anteprima al
festival di Cannes.
Rock-movie secondo le previsioni della
vigilia, ma in realtà, anche per gli esosi
diritti musicali, nella colonna sonora
68
Altro che rock-movie: “sordina”
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
curata da Danny Elfman le hit si contano
sulle dita di una mano: Maggie M’Gill dei
Doors, Wooden Ships di Crosby, Stills &
Nash, China Cat Sunflower dei Grateful
Dead e Sweet Sir Galahad di Joan Baez.
Lontano, come il titolo presagiva, pure il
celebre palco, oltretutto manipolato
digitalmente nella visione lisergica di
Tiber, Motel Woodstock è viceversa una
commedia formato famiglia, quella
Il regista Ang Lee
border line dei Teichberg, con la
dispotica madre ebrea russa, il padre
rassegnato e acciaccato e il figlio, che
trascinato dall’ondata hippie troverà
forse la forza per andarsene di casa.
Sono loro il nucleo - simpatico e
affiatato, buone le interpretazioni - della
famiglia allargata di capelloni,
performer e travestiti (lo strepitoso Liev
Schreiber) che cambierà per sempre il
territorio rurale e antropologico del
paesino nello stato di New York.
Dal grande (Woodstock) al piccolo (la
famiglia Teichberg) è anche la traiettoria
poetica del film, che sceglie di volare
basso, mettendo nel fuoricampo il palco
e scegliendo il backstage temporale di
un evento capitale, non solo
musicalmente. Il risultato? Un
divertente, innocuo e “sterilizzato”
Bildungsroman, ma il rock - e
Woodstock - è un’altra cosa... Suonala
ancora, Lee!
FEDERICO PONTIGGIA
%
Ricky
Good Morning
Aman
Claudio Noce tra malessere
multiculturale e identità trasversali. Per il debutto
tricolore più importante degli ultimi anni
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
Claudio Noce
Said Sabrie, Valerio Mastandrea
Dramamtico, Colore
Cinecittà Luce
103’
in uscita
La vita breve di un bebé con le ali.
Da uno spunto originale, l’occasione mancata
dell’ex promessa Ozon
DI TUTTO si può accusare François Ozon tranne che di
mancanza di originalità. L’ex promessa del nuovo cinema
francese questa volta sceglie il realismo magico e
imbastisce Ricky, favola inerpicata sul dramma sociale, a
tratti commedia fantascientifica, ad altri tenero
divertissement per famiglie. Di certo metafora
dell’approccio – e accettazione – con il diverso, per natura
o volontà. Ricky è il nome di un bebé che – nato dalla
relazione tra Katie (Alexandra Lamy) e Paco (Sergi Lopez)
– sviluppa dopo pochi mesi di vita caratteristiche “non
umane”, sconvolgendo a dir poco gli equilibri di mamma
e sorellina Lisa di 7 anni (prodigiosa Melusine Mayance),
mentre papà Paco si prende un periodo di distanza dalle
routine familiari. Film discontinuo, inizialmente con toni
dardenniani per sfociare nel surrealismo-horror simil
Cronenberg, (ma anche Lynch o Terry Gilliam) Ricky
appare più come l’occasione mancata di una bella idea,
peraltro non originale perché tratta dal racconto della
britannica Rose Tramain. L’anti-Elephant Man versione
baby col pannolone sorvola ma non coglie le possibilità di
penetrare emozioni e riflessioni negli spettatori, che si
limitano a (sor)ridere, talvolta commuoversi, di certo
stupirsi un po’. Che già è qualcosa.
ANNA MARIA PASETTI
%
Regia
Con
Genere
Distr.
Durata
DUE STORIE uguali e contrarie, quelle di Aman (Said
Sabrie), teenager di origine somala, e del romano Teddy
(Valerio Mastandrea), ex pugile 40enne, unite dalla ricerca
dell’identità, un’identità trasversale. Per entrambi, si tratta
di un romanzo di formazione: crescita verso la vita per
Aman, crescita verso la morte per Teddy, in un intreccio di
esistenze, corpi e parole supportato da una palese, e
ambiziosa, volontà di stile. Immigrazione senza “sfiga”,
insonnia multiculturale e una nausea che decenni dopo
Sartre è ancora più invasiva e nonsense: tutto questo,
incredibile e vero, in un film italiano, l’opera prima del
premiato cortista Claudio Noce, Good Morning Aman, già in
concorso alla Settimana della Critica.
Radicalizzando poetica e stile di Vicari sotto il faro di
Cassavetes, il 34enne regista costruisce un viaggio al
termine della notte nei dintorni di Piazza Vittorio,
incrociando le derive uguali e contrarie di Mastandrea – mai
così bravo – e del protagonista Sabrie, somalo de Roma.
Noce (si) concede qualche sbavatura, ma non si nasconde e
ritrae il malessere globale senza se razziali e senza ma
generazionali. Firmando l’esordio tricolore più importante
degli ultimi anni.
FEDERICO PONTIGGIA
%
in uscita
François Ozon
Sergi Lopez, Alexandra Lamy
Drammatico, Colore
Teodora
90’
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
69
telecomando
teratura: novità e bilanci
Homevideo, musica, industria e let
DVD
Russell Crowe gladiatore in
Blu-ray. Il Che in cofanetto
Borsa del Cinema
Finestra sulle window.
Informazione e prevenzione
nelle sale
Libri
Sguardo ai Balcani,
approfondimento su Soldati
e giovani inquietudini
Colonne sonore
Tarantinate musicali per
Bastardi senza gloria.
This Is It:
Michael Jackson
Mamma che
Mostri !
Tre edizioni (con sorpresa)
per la guerra agli alieni
firmata DreamWorks
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
DVD
di Valerio Sammarco
Il film di Ridley
Scott per la prima volta
in Blu-ray, con oltre
11 ore di extra
Il ritorno del
Gladiatore
72
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
“AL MIO SEGNALE, scatenate
l’inferno!”. Piacque poco alla
critica, ma trovò massicce
adesioni tra il pubblico (facendo
registrare uno dei maggiori
incassi a livello mondiale del
2000, al di poco inferiore di 460
milioni di dollari) e, soprattutto,
convinse l’Academy, che lo
premiò con 5 Oscar (tra cui
miglior film e migliore attore
protagonista): Il gladiatore di
Ridley Scott, dal 2004 titolo in
DVD di maggior successo
targato Universal (con un totale
di 5.372.000 pezzi venduti nel
mondo), arriva per la prima
volta nel formato Blu-ray, in una
confezione a due dischi con 11
ore di extra. Oltre alla versione
estesa del film (171’ contro i
155’ della versione
Joaquin Phoenix è
Commodo. Nelle altre
immagini, Russell Crowe
nei panni del generale
Massimo Decimo
Meridio. In basso, con
Connie Nielsen
preferite durante la visione del
film, e creare un elenco di scene
da approfondire in un secondo
momento grazie agli extra
contenuti nel disco due. Che
include anche Forza e Onore: La
Creazione del Mondo del Gladiatore
(anche con la funzione PictureIn-Picture), un documentario
sulle origini del film, sulla
realizzazione e sull’impatto
mondiale dopo l’uscita in sala.
DISTR. UNIVERSAL
cinematografica), il primo disco
contiene il commento audio del
regista e di Russell Crowe, le
scene tagliate e La Visione di
Elisium: Topic Portal un nuovo
contenuto U-Control che
consente di selezionare le scene
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
73
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
DVD
La cl as se de i cl as si ci
a cura di Bruno Fornara
REGIA Lewis Milestone
CON Corinne Griffith,
Lowell Sherman
GENERE Commedia
(1928)
DISTR. Ermitage
The Garden of Eden
Titanus
d’Argento
Tornano in home video quattro classici
firmati dal maestro del brivido
L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code,
Tenebre e Phenomena: prosegue senza sosta la
distribuzione in Home Video della library
Titanus da parte di 01, che a metà ottobre propone quattro dei più noti gialli/horror firmati
dal maestro del brivido italiano, Dario
Argento. Dalla galleria d’arte del primo all’istituto di ricerche del secondo (realizzati nel 1970 e
nel 1971, primi due capitoli della “trilogia degli animali” conclusa poi da Quattro mosche di velluto grigio),
per arrivare all’EUR di Roma in Tenebre (1982) e
alla “quiete” svizzera di Phenomena (1985), film quest’ultimo che ha regalato il primo ruolo da protagonista all’allora giovanissima Jennifer Connelly, un
anno prima voluta da Sergio Leone in C’era una
volta in America per il ruolo della Deborah bambina.
In vendita anche singolarmente, dal 14 ottobre,
purtroppo sprovvisti di contenuti speciali.
DISTR. 01 DISTRIBUTION
74
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
A dimostrazione del fatto che il
cinema, anche prima del sonoro,
ha sempre considerato essenziale la musica, basta guardare (e
ascoltare...) il non-silenzio del
film muto The Garden of Eden di
un Lewis Milestone che negli
anni Venti ha girato altre commedie notevoli, come ad esempio Two Arabian Knights (Notte
d’Arabia, Oscar nel 1929). Alla
sceneggiatura lavora Hans Kraly,
stretto collaboratore di Lubitsch.
Le scenografie sono dello specialista William Cameron
Menzies. Film in tre movimenti:
I) lento: la viennese Toni
LeBrun vuole fare la cantante
lirica ma finisce in un cabaret da
strapazzo, a Budapest; II)
andante: a Montecarlo, Toni
viene contesa da una coppia di
ricchi, zio e nipote; III) vorticoso e brillante: chi riuscirà a sposarla? Belle invenzioni visive: la
gag delle luci dell’hotel accese
spente accese spente..., la gag del
sonnifero, addormentati svegli
addormentati svegli..., la marcia
nuziale con lei in sottoveste.
E buone battute (cioè didascalie): “Sono sicura che Adamo,
nell’Eden, avrà detto a Eva che
lei, per lui, era l’unica donna al
mondo”; e in aggiunta, davanti
agli invitati riuniti per il matrimonio: “Eva era fortunata.
Adamo non aveva parenti”.
Fi lm in or bi ta
a cura di Federico Pontiggia
Mad Men
(Rai4)
Ogni sabato doppio appuntamento con Mad Men
(2007), serie ideata da Matthew Weiner sui
professionisti di Madison Avenue, la culla
dell’industria pubblicitaria newyorkese. Imperdibile.
Nip/Tuck
(Mya)
Gli ultimi 8 episodi della V stagione, con i due
chirurghi plastici di Miami, che entreranno perfino in
un reality show. Guest star Madonna, Morissette e
Kidman, un serial ai ferri corti.
La fortezza
(Rai4)
Nazi-horror d’annata (1983) per il celebrato Michael
Mann: qui a mezzo servizio, comunque stiloso. Della
serie, non svegliar il mostro che dorme: perché se la
svastica è male, c’è di peggio…
Che colpo B.O.B.!
Mostri, alieni, Blu-ray e un’inedita avventura in 3D
Dalla sala al lettore
VINCERE
Il duce (Filippo
Timi) secondo
Bellocchio. Che
guarda al
futurismo, e al
melodramma, per
concentrarsi
sull’amore negato
di Ida Dalser, madre di un figlio
prima riconosciuto, poi negato.
DISTR. 01 DISTRIBUTION
ANGELI E DEMONI
Campione
d’incassi in tutto il
mondo, il secondo
adattamento da
Dan Brown di Ron
Howard arriva in
tre differenti
edizioni, anche in
gift pack “limitato” formato Blu-ray
con fermalibri da collezione.
DISTR. SONY PICTURES HOME ENTERTAINMENT
CHE (COFANETTO 3 DISCHI)
Benicio Del Toro è
il Guevara di
Soderbergh: Che –
L’argentino e Che –
Guerriglia più un
disco dedicato agli
extra. Tra questi,
“Making Che
(Backstage)” e “Cronaca di un
mito: il ‘Che’ dalla storia al cinema”.
DISTR. 01 DISTRIBUTION
THE INTERNATIONAL
TRE EDIZIONI per Mostri contro alieni:
formato disco singolo, doppio disco e
Blu-Ray, queste ultime due corredate
da 4 paia di occhialini per godersi al
meglio l’inedita avventura Che colpo
B.O.B!, incentrata sul simpatico eroe,
tutto gelatina e niente cervello, realizzata in 3D. Oltre alla “Creazione del
mostro moderno”, “Tre scene eliminate”, “Il video Jukebox DreamWorks
Animation”, l’edizione Blu-Ray prevede tra gli extra “L’angolo degli
Animatori – 2D (HD)” e “Quiz e
curiosità – 2D (HD)”, con il gioco
interattivo in 3D, “Karaoke Music
Party” e altre ore di contenuti speciali,
presenti anche nell’edizione DVD
doppio disco.
DISTR. PARAMOUNT
Owen agente
Interpol e Watts
procuratore
distrettuale. Uniti
per smascherare
le attività illecite e
terroristiche di una
potente banca.
“Dietro le quinte” e “La sparatoria
al Guggenheim” tra gli extra.
DISTR. SONY PICTURES HOME ENTERTAINMENT
Errata corrige: rispetto a quanto
segnalato sul numero di settembre, il
regista di The Reader è Stephen
Daldry, non Stephen Frears.
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
75
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
DVD
Vintage da
collezione
Dal musical all’horror,
passando per il western: le
proposte Warner Home Video
IL MAGO DI OZ - 70TH
ANNIVERSARY
Ultimate
Collector’s Edition
(4 dischi) per il
capolavoro di
Fleming. Nuovo
riversamento in
digitale della
versione
restaurata, oltre 4 ore di tesori
audio, con materiali di
registrazione, spettacoli
radiofonici e promo.
Italians, brava gente
Tripla edizione per il campione d’incassi di Veronesi, anche in Blu-ray
DISCO SINGOLO, SPECIAL EDITION
in 2 Dvd e Blu-ray per il campione d’incassi
della scorsa stagione, Italians, “movie-movie”
diretto da Giovanni Veronesi e interpretato da
Sergio Castellitto, Riccardo Scamarcio, Carlo
Verdone e Ksenya Rappoport (fresca Coppa
Volpi a Venezia per La doppia ora). Dubai e
San Pietroburgo le mete degli “italians” in trasferta, chi per portare Ferrari rubate e trovare
un riscatto bramato da anni, chi per presenziare ad un convegno dentistico e sperare in notti
piccanti. Tra i contenuti speciali dell’edizione 2
dischi e Blu-ray, 32’ di scene inedite, il
Backstage e lo speciale del film, 20’ di papere
sul set, gli spot per le tv e il video musicale
“Meraviglioso”, cantata dai Negroamaro.
DISTR. FILMAURO
Rea ltà e fant asia
Uncharted 2:
Covo dei ladri
In esclusiva per PS 3: suggestioni alla
Indiana Jones e sano humour
Si è spesso parlato di videogiochi tratti da film,
ma che succede invece quando un videogioco
stesso tende ad avere velleità cinematografiche?
E’ il caso di Uncharted 2: Covo dei Ladri, titolo di
azione e avventura che uscirà in esclusiva su
PlayStation 3 nella seconda metà di ottobre.
Prendete infatti Indiana Jones per le sue
atmosfere e ambientazioni condite da scene
spettacolari, mescolatele con sano humour e
tantissima azione e avrete il titolo sviluppato dai
Naughty Dog, nel quale bisogna impersonare tale
76
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
SARANNO FAMOSI
Arriva nelle sale il
remake di Fame.
Per i nostalgici,
ecco “il film
originale” in Bluray. Tra gli extra,
“Commento di
Alan Parker”,
“Making of” e visita alla scuola da
cui tutto ebbe origine.
BALLA COI LUPI
Per la prima volta
in Blu-ray,
l’esordio alla regia
di Kevin Costner
che valse 7 premi
Oscar. Dal
romanzo omonimo
di Michael Blake,
la guerra di Secessione arriva
anche in alta definizione.
VENERDI’ 13
Nathan Drake alla ricerca di tesori sparsi in giro
per il mondo, seguendo le vicende di Marco Polo
e di altri illustri personaggi al limite tra realtà e
fantasia.
Per saperne di più visitate www.multiplayer.it
ANTONIO FUCITO
Nel mese di
Halloween, non
poteva mancare il
recupero di uno
dei capisaldi
dell’horror anni
‘80: il primo di una
lunga “saga”,
firmato Sean S. Cunningham e
interpretato da un giovanissimo
Kevin Bacon.
Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
Borsa del cinema
di Franco Montini
Window scricchiolanti
Qual è il giusto intervallo tra uscita in sala e home video? Si
riaccende il dibattito tra abolizionisti e fautori
SULLA SPINTA DI COLORO
Auspicabile
una maggiore
flessibilità, con
i film analizzati
da un apposito
comitato
78
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
che sostengono la necessità di
abolire l’intervallo fra l’uscita di
film in sala e la loro pubblicazione in dvd, si riaccende il dibattito
attorno alle window. Le ragioni
degli abolizionisti sono due: fornire ai potenziali spettatori che
vivono in bacini di utenza privi
di sale cinematografiche la possi-
bilità di consumare un prodotto
senza dover attendere mesi, il che
significa spesso rinunciare al suddetto consumo, e contrastare la
pirateria. Se sul primo punto
qualche ragione è evidente, perché sono ormai numerosi i
comuni, anche popolosi, privi di
sale, per ciò che concerne la lotta
nei confronti della pirateria, l’a-
bolizione delle window non sembra affatto una soluzione, per il
semplice motivo che ciò che interessa il pirata non è tanto una
questione temporale, poter vedere un film senza attendere la sua
commercializzazione in dvd,
quanto la differenza fra il pagare,
indipendentemente dalla cifra
richiesta, e consumarlo gratuita-
Cast & Crew
di Franco Rossi
bene al cuore
fa
a
m
e
in
c
il
o
d
n
a
Qu
Informazione e prevenzione contro i rischi cardiovascolari
mente. Insomma si può prevedere che, anche se il film uscisse
subito sul mercato home video, la
pirateria non sparirebbe: andrebbero contrastati il camcording,
ovvero il furto di un film in sala,
il file-sharing e il downloading, lo
scaricamento illegale dalla rete,
con una legge come quella approvata in Francia. In compenso, se
le window sparissero i maggiori
introiti derivati dalle vendite di
dvd difficilmente potrebbero
compensare le perdite dei ricavi
del mercato sala. Anche a prescindere dal danno per l’esercizio
e dall’impoverimento culturale
delle nostre città, l’impressione è
che il fatturato del prodotto film
alla fine sarebbe minore di quanto non sia oggi. C’è da considerare, infatti, che, nonostante il prezzo di vendita di dvd in uscita in
contemporanea potrebbe essere
innalzato rispetto ai normali
prezzi odierni, una rivoluzione di
questo tipo dovrebbe prevedere
un abbattimento dei costi di
noleggio per le sale e una diminuzione del valore di vendita del
film sui successivi vari mezzi di
consumo. Del resto se negli Usa,
che è il maggiore e più evoluto
mercato cinematografico, l’ipotesi di abolizione delle window
non si pone nemmeno, qualche
ragione, ovviamente economica,
deve pur esserci. Gli americani
devono aver fatto due calcoli e
verificato come le window aiutino ad incassare di più.
Un’uscita del film scadenzata nel
tempo tende a moltiplicare il
numero di volte che il singolo
spettatore è disposto a consumare il film in questione. Non è
affatto raro, infatti, che la gente
paghi per vedere il film in sala, e
successivamente, sia anche disposta ad acquistare il dvd. In altre
Unire l’utile al dilettevole. Ovvero abbinare una
campagna di prevenzione a un momento di
intrattenimento e svago. E’ l’idea alla base del
progetto sostenuto da Takeda Italia
Farmaceutici e denominato “In prima fila contro il rischio cardiovascolare”, iniziativa che prevede sia la distribuzione presso le sale cinematografiche di un opuscolo informativo, sia la
proiezione presso le stesse sale di uno spot girato da Marcello Lucini.
Perché affidare proprio al cinema il vostro
messaggio? Lo chiediamo a Maurizio
Castorina, Presidente e Amministratore
Delegato di Takeda Italia Farmaceutici.
Anzitutto perché il cinema è cultura, con la
quale Takeda ha un lungo sodalizio. E poi,
recenti indagini indicano il cinema come la
forma di spettacolo più rappresentativa, seconda solo alla musica quanto a coinvolgimento.
Quindi alla base della vostra scelta anche precise considerazioni di marketing…
In realtà preferirei usare la parola “coinvolgimento”. Con questa iniziativa infatti vogliamo
soprattutto affermare il nostro coinvolgimento
e il nostro impegno in quello che facciamo,
ovvero affermare l’importanza della prevenzione e offrire soluzioni terapeutiche in grado di
favorirla. Abbiamo voluto pertanto rivolgerci a
un target ampio e qualificato cui trasmettere un
messaggio preciso: il valore della prevenzione in
un ambito, quello delle malattie cardiovascolari,
che oggi purtroppo rappresenta una delle mag-
giori minacce per la nostra salute.
Al cinema per informarsi anche sui grandi temi
della salute e sulla cultura della prevenzione: la
strada è aperta. Azione.
box office (aggiornato al 28 settembre)
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Baarìa
G-Force: Superspie in missione
L’era glaciale 3
Basta che funzioni
District 9
La ragazza che giocava con il fuoco
Pelham 123: Ostaggi in metropolitana
Il grande sogno
Ricatto d’amore
G.I. Joe – La nascita del cobra
€ 12,106,599
€ 31,317,162
€ 28,021,848
€ 12,235,785
€ 13,633,615
€ 11,476,144
€ 31,668,230
€ 22,781,962
€ 33,951,075
€ 32,624,712
N.B. Le posizioni sono da riferirsi all’ultimo weekend preso in esame. Gli incassi sono complessivi
parole pagando il film due volte.
Dell’argomento window si è
discusso anche in un convegno
svoltosi nell’ambito della Mostra
del Cinema di Venezia dove, per
la verità, produttori, distributori
ed esercenti, più che ipotizzarne
l’abolizione, si sono confrontati
su diverse ipotesi temporali. C’è
chi come Andrea Stratta, diretto-
re generale della catena di multiplex Uci Italia, ha auspicato una
regolamentazione a livello europeo, prendendo a modello la
Francia, dove le window sono
regolate per legge a 4 mesi. E chi
come Giampaolo Letta, amministratore delegato di Medusa Film,
ha sostenuto la necessità di accorciare a 8-10 settimane le window
italiane, ora previste attorno alle
17-20 settimane. Più ragionevolmente si potrebbe pensare ad una
maggiore flessibilità, con i singoli
film analizzati da un apposito
comitato, a seconda del successo
ottenuto in sala. Ma le categorie
cinematografiche italiane sono
sufficientemente mature per un
normale, sereno confronto?
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
Libri
Il backstage
cinematografico
dell’Europa orientale.
Bellocchio e Tarkovskij
oltre lo sguardo
Ieri, oggi e Balcani
Eas t is Eas t
Scr itti Sol dat i
Propaganda per i regimi comunisti, crisi degli anni’90, il
mercato globale del XXI secolo: è il cinema dei Balcani, come
rileva Il mestiere del cinema nei Balcani – Storia di un’industria
e dei suoi protagonisti dagli anni settanta ad oggi, a cura di
Luisa Chiodi e Irene Dioli (Osservatorio Balcani e Caucaso,
pagg. 120). Tra Albania, Bulgaria, Bosnia Erzegovina, Croazia e
Serbia, passando da Tito alla globalizzazione, dall’industry
bulgara alla (auto)censura albanese, un utile
strumento di lavoro, che indaga il backstage
strutturale dei Balcani su grande schermo.
Corredato da filmografia, bibliografia e
sitografia ragionate, focus sulle locali
Cinecittà e photogallery del Kinostudio
albanese, una panoramica sul meglio del
“vicinissimo oriente”, ovvero il cinema: unica
eccellenza nella marginalizzazione politicoculturale dei Balcani.
Non più, non solo, “un letterato al cinema”,
ma un “regista con la macchina da
scrivere”: Mario Soldati e il cinema a cura
di Emiliano Morreale (Donzelli Editore,
pagg. 155, € 15,00) nasce con l’intento di
rendere giustizia ad un cineasta che –
attraverso piccole commedie prima e
grandi classici poi (Piccolo mondo antico e
Malombra da Fogazzaro, La provinciale da
Moravia) – segnò un’intera stagione del
cinema italiano. Diviso in due parti (“Un
narratore al cinema” e “Soldati par lui-même”), il libro
raccoglie gli interventi di importanti critici e intellettuali
italiani (tra gli altri, Amelio, Aprà, Lizzani, Martini e
Mereghetti), un’intervista a Soldati realizzata da Jean A. Gili
nel 1992 per “Quaderni di Cinecittà International” e un Album
fotografico a cura di Anna Cardini Soldati.
FEDERICO PONTIGGIA
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
VALERIO SAMMARCO
Lenzi ad Harlem
Dopo l’esordio alle prese con i Delitti a Cinecittà, il detective
Bruno Astolfi, sempre in bilico fra debiti, tentazioni amorose e
tensioni mai sopite con la Polizia di regime, torna sul set per
vigilare sulle riprese di Harlem, il nuovo film di Carmine
Gallone. Siamo nel 1942, e i guai non tarderanno ad arrivare…
Ce lo racconta il regista Umberto Lenzi in Terrore ad Harlem
(Coniglio Editore, pagg. 208, € 12,00), confermando versatilità
artistica e gusto per la scrittura. Con guest
star d’eccezione che vanno da Indro
Montanelli a Mario Soldati, Aldo Fabrizi e i
fratelli De Filippo, il divertimento è
assicurato, ma c’è di più: l’evasione non
dimentica il milieu, compresi prigionieri di
guerra usati come comparse. Consigliato a
chi vo’ fa’ l’americano. E, ovviamente, ai
tanti fan (compreso Tarantino) del regista
di Roma a mano armata e Orgasmo.
Pensiero
Badiou
Ricostruzione coerente e sistematica:
a raccolta i saggi del filosofo francese
di Silvio Grasselli
FEDERICO PONTIGGIA
Spe cch i del l’irreal e
“Il film, quando non è documentario, è sogno. Per questo
Tarkovskij è il più grande di tutti”. Così Bergman – citato in
Tarkovskij – La nostalgia dell’armonia di Francesca Pirani (Le
Mani, pagg. 141, € 12,00) – sull’opera del regista russo. Cinema
come ragnatela di segni che appartengono all’anticamera del
mondo. Perché il reale - scriveva Sartre - non è, si fa. E
Tarkovskij, a 20 anni dalla morte, è capace ancora di fare,
costruire, suggerire. Oltre le scatole cinesi del mondo, oltre le
immagini, ci sono i suoi film, che il saggio
della Pirani “apre” per cercarne la
bellezza dietro al mistero. Cifra anche del
lavoro di Patrizia Caproni su Bellocchio
(Lo sguardo inquieto, Le Mani, pagg. 141,
€ 12,00), di cui analizza l’ultima
produzione - da L’ora di religione a
Vincere - per catturarne la dimensione
liminare, tra immaginario e realtà.
GIANLUCA ARNONE
Gio van i, car ini e...
“Che cosa cercano le nuove generazioni?”. Se lo chiede Mario
Dal Bello in Inquieti. I giovani nel cinema italiano del Duemila
(Effatà Editrice, pagg. 176, € 12,50). Una domanda che lo
studioso non affronta – solo – dalla prospettiva del cinefilo,
piuttosto interrogando le immagini – quattro i filoni
cinematografici: generazionale-giovanilista, psicologico,
sociale, “dell’interiorità” – per portare alla luce del buio,
quello in sala, le traiettorie, gli scarti, gli ostacoli e le speranze
di una generazione inquieta. Un saggio
informato e appassionato, che regala, anzi
ascrive, al cinema una residua speranza: i
giovani cercano la felicità, ed è proprio
questa ricerca il comune denominatore
della “giovane” produzione italiana. E poi,
come diceva lo scrittore francese Julien
Green, “finché si è inquieti, si può stare
tranquilli”. Anche al cinema.
FEDERICO PONTIGGIA
Alain Badiou
Del capello e del
fango
Riflessioni sul
cinema
A cura di Daniele
Dottorini
Luigi Pellegrini
Editore
€20,00
Pp. 288
Alain Badiou, tra i migliori pensatori
contemporanei, è tra quelli che hanno spinto la
propria ricerca filosofica sul terreno del cinema.
Daniele Dottorini ha di recente curato e in parte
tradotto una raccolta di testi di Badiou dedicati al
cinema, alcuni dei quali inediti anche in Francia.
Del capello e del fango però non è una semplice
panoramica teorica sulla multiforme e disparata
produzione del filosofo francese, quanto piuttosto
una coerente ricostruzione del suo modo di
pensare e di lavorare con il cinema. Filosofia e
cinema sono entrambi creatori e descrittori delle
fratture nell’ordine fittizio del mondo: entrambi in
grado di stimolare nell’essere lo strappo
dell’evento, il cinema, come la filosofia, crea
“rapporti là dove non esiste possibilità di
rapporti”. Dai saggi alle relazioni per convegni,
fino agli studi monografici dedicati a singoli film,
Bodiou descrive la ricchezza e la produttività del
cinema come terreno ulteriore per l’incessante
interpellazione che la filosofia porta sul presente,
come occasione perché la visitazione dell’idea
cinematografica sia mutata in concetto
dall’elaborazione filosofica. Il cinema come la
filosofia crea, per Badiou, “sintesi disgiuntive”,
giocando il suo ruolo di non-arte contemporanea
proprio nell’essere movimento che mette in
relazione l’inconciliabile attraverso la separazione.
ottobre 2009
rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
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Telecomando
DVD • BORSA DEL CINEMA • LIBRI • COLONNE SONORE
di Gianluigi Ceccarelli
Colonne Sonore
Visti da vicino
Bastardi senza
cuore
Saccheggi morriconiani, blaxploitation e
Bernstein per il “solito” score by Tarantino
Gli intriganti pot-pourri
musicali che il sagace
Quentin Tarantino assembla per i suoi film sono
ormai un evento parallelo
all’uscita delle pellicole del
regista di Knoxville. Ma
quindici anni dopo Pulp
Fiction è difficile aspettarsi
sorprese dal suo modus
operandi, a meno di non
considerar tale l’assenza dei
dialoghi originali che, disseminati tra le tracce, erano
ormai un collaudato marchio di fabbrica.
Tarantino pesca un po’
ripetitivamente dal barile
senza fondo dello spaghetti
western e dalla sterminata
produzione morriconiana
del periodo: il maestro è
letteralmente saccheggiato,
da Revolver e La resa dei conti
di Sollima (After the Verdict,
splendida nel citare “Per
Elisa” di Beethoven) ad
Allonsanfàn dei Taviani, per
tacere di ciò che non è
stato incluso su CD. Ma al
solito, c’è posto per la blaxploitation (Slaughter del
compianto Billy Preston), e
menzioni per Charles
Bernstein (McKlusky, metà
uomo e metà odio), e per Cat
People di David Bowie,
colonna sonora del remake
de Il bacio della pantera di
Paul Schrader. Inglorious
Basterds, afferma Tarantino,
è “un western travestito da
film bellico”. Le scelte
musicali sono consequenziali, pedisseque a una
nuova, cerebrale riflessione
sul cinema come conscio
artificio del reale, che fa di
Tarantino il più dichiarato
tra gli ammiratori di Brian
De Palma. Ma forse stavolta, in questo percorso
obbligato, la testa sembra
aver prevalso sul cuore.
Per tut ti i gus ti
a cura di Federico Pontiggia
This Is It
Gli ultimi giorni di
Michael Jackson:
le prove in vista del grande tour londinese, i
dietro le quinte umani, troppo umani, e
un’immensa tristezza. Rimane la musica, e
una constatazione: il Re è morto. Lunga vita
al Re!
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rivista del cinematografo
fondazione ente dello spettacolo
ottobre 2009
Motel
Woodstock
Rock-movie?
Insomma. Per gli
esosi diritti musicali, nella OST curata da Danny
Elfman le hit si contano sulle dita di una mano:
Maggie M’Gill (Doors), Wooden Ships (Crosby,
Stills e Nash), China Cat Sunflower (Grateful
Dead) e Sweet Sir Galahad (Joan Baez).
Baarìa
“Mi son
contenuto, senza
alzare gli ottoni al cielo”. Parola di maestro,
Ennio Morricone, che ritrova il suo Peppuccio
per C’era una volta in Sicilia. Ovvero, il solito
Morricone, marchio di fabbrica che inizia a
suonare da archeologia industriale.
In prima fila
contro il rischio cardiovascolare
SENTRIX ITALIA
Come prendersi cura
del proprio cuore
(tra un film e l’altro)
Nel mese di ottobre andare al cinema fa bene
al cuore. Presso alcune delle più importanti sale
cinematografiche italiane potrete trovare spettacolo,
cultura, ma anche un po’ di sana informazione
su come prevenire il rischio cardiovascolare.
UN PROGETTO A CURA DI
Takeda Italia Farmaceutici
PASSIONE PER LA RICERCA, AMORE PER LA VITA.
IN COLLABORAZIONE CON