progetto per otto nuove porte a milano

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progetto per otto nuove porte a milano
Comune di Milano
Settore Arredo Urbano
Un progetto estetico per la citta’
Otto nuove porte per Milano
Prof. arch Marco Romano
Collaboratore arch. Stefano Colombo
Milano 24/10/2000
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INTRODUZIONE
Da mille anni i cittadini della città europea - che sono tali perché proprietari della loro casa esprimono simbolicamente in quanto individui il loro status nel sito e nella facciata della loro
casa, e in quanto membri della società la loro appartenenza alla civitas nel fasto e nella bellezza
dei suoi temi collettivi - nelle centomila città europee, villaggi o capitali che siano, sempre i
medesimi - attraverso i quali confrontano il loro rango con quello delle altre città.
I temi collettivi - da non confondere con le scuole e con gli ospedali, che assicurano a ciascuno i
diritti indiscutibili della solidarietà cittadina, l’istruzione elementare e il soccorso nella malattia sono l’esito di una scelta spesso sofferta e sono riconoscibili per l’evidente e rilevante spreco che
li connota, il palazzo municipale e la cattedrale per la loro grandiosità materiale e decorativa, i
parchi e i boulevard per la quantità di costoso terreno sottratto all’edificabilità.
La presenza dei temi collettivi conferma materialmente ai cittadini la loro appartenenza alla città,
offrendo una sorta di copertura simbolica che testimonia il riconoscimento pubblico della loro
dignità individuale.
Ma i temi collettivi in genere sono più frequenti nel centro della città, - dove i terreni edificabili
risultano per questo più costosi (alla metà dell’XI secolo a Milano i terreni centrali valevano,
come oggi, tre volte tanto quelli della periferia) - mentre i quartieri nuovi, più ampi e più lontani,
non possono disporre di una adeguata riserva di temi collettivi per la strutturale insufficienza del
loro stock, derivante dal fatto che i più rilevanti non possono venire duplicati a piacere - la
cattedrale o il teatro lirico restano soli - e il fatto che la città fisica, l’urbs, manifesti in modo
così vistoso le differenze di status tra i cittadini è in vivo contrasto con il principio che regge la
città morale, la civitas, quello di una società democratica dove tutti i cittadini sono eguali ed
hanno tutti i medesimi diritti e doveri.
Questo scarto tra la realtà materiale dell’urbs e il principio morale della civitas è sempre stato il
cruccio dei progettisti delle città, che hanno cercato come potevano di attenuarlo, disponendo i
temi collettivi in fondo alle strade o al termine di lunghi viali prospettici, e tematizzando così con
questa veduta tutti i quartieri intermedi, a loro volta arricchiti con boulevard, con strade alberate,
con grandi piazze appena marcate da un lieve giardino pubblico.
Molte città hanno anche per questo una consolidata tendenza a disporre i nuovi temi collettivi
nelle zone esterne, ma Milano ha tradizionalmente amato disporli nella sua parte centrale, e anzi
di questa sua ossessione formale Bonvesin de la Riva faceva nel 1288 un motivo di orgoglio,
attribuendo la perfezione della città alla sua somiglianza con un cerchio del quale il broletto
occupava il centro, mentre cent’anni dopo Galvano Fiamma disegnava i monumenti cittadini in
una serie di cerchi concentrici e ancora nel 1889 Cesare Beruto rimpiangeva che nel suo nuovo
piano regolatore il broletto non avrebbe più occupato il centro della città, ora spostato di qualche
centinaio di metri.
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Milano, pianta di Galvano Fiamma
A causa di questa tendenza milanese, che aggravava la strutturale carenza nello stock dei temi
collettivi, i progettisti dei piani regolatori del 1889 e del 1912 hanno immaginato di sostituire la
loro precaria previsione al fondo di grandi prospettive urbane - come quelle contemporanee
disegnate da Wagner per Vienna - largheggiando in strade tematizzate (strade trionfali,
passeggiate, boulevard, viali alberati verso l’esterno, semplici strade alberate) che, una volta
approvato il piano regolatore, avrebbero dovuto in ogni caso venire realizzate dando anche ai
quartieri più lontani una dignità formale almeno comparabile - seppure certo meno ricca - a
quella del centro e rendendo Milano la città europea forse più ricca di alberature stradali.
Wagner, progetto per la periferia di Vienna
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Quello che gli estensori dei piani di allora non avrebbero potuto immaginare era che le grandi
strade e piazze tematizzate, frutto di un lavorio secolare nel corpo della città e riconosciuta parte
integrante della loro bellezza, potessero perdere gradualmente il loro fascino estetico e il loro
significato di temi collettivi cittadini per venir considerate come puri e semplici canali di traffico
o come spazi liberi di incerta destinazione, parcheggi o terrain-vague.
Milano, Viale Brianza
Vero è che questo destino, di perdere talvolta il loro significato, è comune a tutti i temi collettivi,
perché spesso il succedersi delle generazioni offusca in parte la loro densità semantica: ma se a
volte alcuni verranno ritematizzati - antichi castelli sono diventati oggi alberghi rinomati, il
convento gesuitico di Brera e gli Uffizi di Firenze celebri musei - di altri il significato è diventato
così esile da quasi sparire, e chiese famose sono state semplicemente distrutte perché simbolo di
una deprecata religione, talvolta semplicemente usate come ricovero per un reggimento di
cavalleria o come sede per uno stabilimento di zolfanelli, mentre molti innocui castelli sono stati
diroccati perché evocavano l’Ancien Régime.
Ma mentre oggi noi abbiamo da tempo incominciato a classificare e a proteggere i temi collettivi
consistentii in manufatti architettonici - e anche lì, mentre in nome della tutela del centro storico
innalziamo veti spesso eccessivi tolleriamo d’altra parte tranquillamente le verande dei caffè che
con tutta evidenza snaturano e deturpano la Galleria - portiamo assai meno attenzione al
disegno di un parco e ignoriamo del tutto le strade e le piazze tematizzate dell’Ottocento, che
abbiamo addirittura disimparato a vedere.
Alcuni Settori tecnici del Comune di Milano hanno tuttavia da tempo avvertito il loro rilievo
estetico e ne hanno avviato il restauro con interventi puntuali, sicché l’obiettivo di questo studio
è soprattutto di ricostruire il disegno di insieme delle strade e delle piazze tematizzate facendo
risaltare l’interna logica che lo ha animato, affinché i singoli interventi tengano conto del loro
quadro di insieme sia come priorità sia come suggerimenti ambientali.
Sotto il profilo tecnico il lavoro consiste essenzialmente nel mettere in luce i nessi formali, le
sequenze e i contrappunti, che legano tra loro i quattro tipi di strade tematizzate accomunate dal
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loro essere alberate: la passeggiata, il boulevard, il viale, la strada residenziale alberata, a loro
volta intrecciate o sovrapposte alle strade principali e alle strade trionfali.
Il fatto che la morfologia di questi tipi di strade sia analoga, consistendo in filari di alberi con
corsie differenziate - per cavallerizzi e ciclisti, per carrozze e automobili - rende spesso la sola
dimensione sufficiente per distinguere il loro ruolo simbolico, per la cui esatta percezione
dobbiamo ricorrere alla descrizione delle loro sequenze, più o meno come non è tanto la
grandezza a distinguere l’abbazia di Saint Denis dalla chiesa di Sant’Eustachio quanto la
specificità del loro rispettivo sito nelle sequenze di Parigi.
Nomenclatura
Incomincia a comparire in Europa nella seconda metà del Quattrocento la via del corso dove
l’élite si incontra quotidianamente, nel quadro di una progressiva scrematura della piazza del
mercato - cui accenna Opicino de Canistris, parlando di Pavia, come luogo privilegiato della
conoscenza reciproca che consente la democrazia - con l’apparire di logge e coperti per i grandi
mercanti e per i signori
Ma è la nuova moda di incontrarsi la sera in carrozza - coinvolgendo peraltro nello spettacolo
l’intera città - a tematizzare, ancora nel Cinquecento, la passeggiata alberata, comparsa a
Valencia nel paseo de la Alameda e a Firenze nel viale delle Cascine, di dove Maria de Medici,
sposa in Francia, la importa a Parigi facendo realizzare nel 1616 davanti alle Tuileries lungo la
Senna il cours de la Reine e promuovendo così una moda destinata a diffondersi rapidamente in
tutta l’Europa: a Milano l’ultima sede della passeggiata era sui bastioni di porta Venezia e le sue
tracce sono riconoscibili nella parte di alberature tuttora in piedi - varrebbe la pena di restaurarla
per intero - e nel fatto stesso che per questo motivo il bastione non demolito alla fine
dell’Ottocento come tutti gli altri della cerchia spagnola.
Lo specifico carattere morfologico della passeggiata è di essere chiusa da entrambe le parti,
come se fosse idealmente un salotto: con una balaustrata sulla campagna (come il cours
Mirabeau a Aix-en-Provence), con l’esedra di una fontana (come il Sentierone a Faenza), oppure
da un tema collettivo, da una chiesa o da un importante palazzo, o proprio da due porte delle
mura come appunto a Milano (quella dalla parte di piazza Repubblica da tempo scomparsa), o in
seguito da una piazza tematizzata o da un parco (come l’Andrassy ut a Budapest).
E’ poi d’uso che le passeggiate si distinguano per le loro dimensioni relativamente fuori del
comune, che nelle città più grandi possono superare la larghezza di novanta metri e la lunghezza
di due o tre chilometri, ma che in quelle più piccole vengono ridotte rispettivamente a trenta metri
e a qualche centinaio, per finire nei villaggi magari a quindici metri per qualche decina.
Come gli altri temi collettivi la passeggiata è in linea di principio una sola, ma con l’estendersi
delle città diventa più frequente il ricorso a nuove passeggiate, talvolta in contrappunto con le
precedenti (gli Champs Elysées che a Parigi contrappuntano su una scala più ampia il cours de la
Reine, l’avenida di Blasco Ibanez che a Valencia contrappunta su una scala anche qui molto più
grandiosa il paseo de la Alameda) e che non sempre rispecchiano il tema originario dell’incontro
serale delle carrozze ma mantengono il loro riconoscibile carattere di tema collettivo, proprio
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come il castello sforzesco è stato ricostruito un secolo fa per arricchire la dignità simbolica della
città anche senza che tornasse ad animarlo la vivacità della sua antica corte.
La strada trionfale è invece chiusa con un tema collettivo da una parte sola, una porta nelle
mura o un arco trionfale e per sineddoche il tema cui la porta appartiene. Ha origine lontana,
nelle città nuove con strade diritte tematizzate dalle porte - a San Giovanni Valdarno o a Aigues
Mortes - o da chiese - via dei Servi a Firenze, via San Francesco a Le Havre -, in seguito via via
più ampie - la via dei Prioni a Ferrara è lunga 2.000 metri, via della Lungara a Roma altrettanto o da castelli, a Versailles o a Torino.
I boulevard vengono tematizzati nella seconda metà del Seicento, come tramite tra la città e la
campagna, quando Blondel e Bullet li tracciarono al posto delle mura di Parigi, e hanno da allora
preso dovunque piede quando se ne sia presentata l’occasione, specie con la demolizione
ottocentesca delle fortificazioni.
Sotto il profilo morfologico i boulevard sono alberati e molto simili alla passeggiate, dalle quali
si distinguono perché hanno sezioni più modeste - quelli parigini, progettati quando già esisteva
cours de la Reine con i suoi 80 metri, sono larghi solo 35 metri - e soprattutto perché non sono
conclusi da nessun tema collettivo ma sono al contrario disposti in successione continua, legati da
piazze spesso lievemente tematizzate da un rondò con un giardino.
I viali alberati costituiscono originariamente il tratto più prossimo alla città delle strade alberate
rettilinee che nella seconda metà del Cinquecento hanno incominciato a venire tracciate diritte da
città a città (come quelle volute in Francia da Francesco I e come quelle descritte nel Veneto da
Palladio) e che, con la loro espansione, vengono incorporate al loro interno costituendo
l’occasione per arricchirne le sequenze.
Le sezioni sono simili a quelle delle passeggiate e dei boulevard, ma i viali alberati, nonostante
siano talvolta scanditi anch’essi da un rondò, si distinguono per la loro giacitura radiale e perché,
mentre verso la città tendono a raggiungerne il centro, verso la campagna, oltre le porte da cui un
tempo partivano, non hanno altro limite che le città lontane.
Le strade alberate, tematizzate solamente dai loro filari, verranno diffuse a Parigi da
Haussmann, estendendo il modello morfologico dei boulevard e delle passeggiate alle strade
residenziali e facendo così della decorazione arborea l’estrema propaggine delle strade e delle
piazze tematizzate ancora in grado di assicurare un segno del riconoscimento collettivo alle vie
comuni.
Infine troviamo le decorazioni arboree davanti alle case ma entro il recinto del loro giardino, che
appartengono tuttavia alla sfera individuale e non a quella collettiva delle strade tematizzate,
anche quando, come nella settecentesca New Road londinese, l’arretramento delle case viene
prescritto esplicitamente.
Questa classificazione ci consente di riconoscere il ruolo originario di ogni via e quindi di
comprendere meglio l’articolazione delle sequenze delle strade e delle piazze tematizzate, ma
occorre anche premettere che l’estetica urbana non è una disciplina rigorosamente scientifica, e
nel corso dello studio su Milano potremo incontrare strade tematizzate la cui classificazione
rimane lievemente ambigua, oppure passeggiate o boulevard che sono contemporaneamente
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anche strade principali e magari strade trionfali, perché è consueto che temi i cui significati sono
consapevolmente percepiti come distinti tra loro vengano poi sovrapposti nel singolo manufatto:
proprio come piazza del duomo tra le medesime architetture uniformi e il medesimo sovrano a
cavallo delle place royale francesi, ma è poi circondata da botteghe e da portici come qualsiasi
piazza del mercato.
Dare un nome alle vie alberate e ricostruirne le sequenze è una operazione che va di pari passo
con un programma di risistemazione, perché a ogni strada tematizzata corrisponde uno specifico
tipo morfologico che, alterato col tempo, è possibile ripristinare rendendola così riconoscibile a
apprezzabile nell’insieme del quadro urbano: per questo daremo in allegato le sezioni attuali che
suggeriremmo per rendere leggibile il progetto originario, anche concernenti strade tematizzate
dalle loro sequenze ma ora non piantumate.
La larghezza è forse la caratteristica fisica che meglio rispecchia la gerarchia delle strade
alberate, consentendoci di distinguere le passeggiate dai boulevard - e tra questi due e persino tre
tipi secondari - e i viali dalle strade alberate, ma la caratteristica determinante che in ultima
istanza conferma questa classificazione è la loro appartenenza a sequenze tematizzate, scandite
cioè da altri temi o da altre sequenze tematizzate - per esempio piazze tematizzate da un
monumento o da un giardino e strade tematizzate disposte a croce - delle quali esse medesime
fanno parte.
Questa distinzione ci consente di precisare la più corretta sistemazione di ogni singola strada
tematizzata, perché è per esempio evidente che i boulevard disposti in sequenza debbono avere la
medesima sezione e che quelli di una patte d’oie dovranno avere la medesima sezione a coppie
contrapposte - sono morfologie legate le une alle altre - mentre per le passeggiate è importante la
costanza della sistemazione lungo tutto il tracciato.
Nello stesso quadro verranno messe nel giusto rilievo le piazze e i rondò che caratterizzano le
sequenze dei boulevard e talvolta anche passeggiate e viali alberati - è infatti l’appartenere a una
sequenza a configurare il loro ruolo nell’immagine estetica della città - suggerendo anche qui,
caso per caso, una risistemazione che tenga nel dovuto conto il loro reciproco rapporto formale,
arrivando così a delineare in queste zone un programma di riqualificazione quasi esaustivo.
Il presupposto di codesto restauro è poi la presa d’atto che quell’arrendersi al mito del traffico cancellando i rondò che scandivano i boulevard - e alla sosta indiscriminata delle automobili,
considerato per decenni inevitabile, sembra oggi meno ragionevole sia sul piano delle opzioni
teoriche e ideali sia su quello meramente tecnico. Ciò che infatti era un privilegio per le classi
agiate, circolare in automobile, con la motorizzazione di massa è diventato una pena, e le strade
diritte di un tempo aggravano invece che alleviare la congestione, mentre da un lato le rotonde
non solo non ritardano più il traffico ma sono anzi state diffusamente adottate proprio per
renderlo più agevole - sicché non ci sembra impensabile proporne il ripristino e, soprattutto nel
caso dei viali d’accesso più recenti, l’adozione ex-novo - e dall’altro le restrizioni alla sosta
adottate a tappeto a Londra e a Parigi non hanno recato inconvenienti ma anzi vantaggi, sicché
sgombrare le strade tematizzate non sembra dopotutto improponibile.
Questo programma di riqualificazione estetica potrebbe venire considerato quasi un fatto elitario
poco attento ai bisogni concreti e reali dei cittadini, ma a guardar meglio costituisce invece il
cardine di un rilevante progetto di reintegrazione sociale: perché la periferia non sono tanto i
quartieri nuovi più lontani dal centro, quanto i quartieri nuovi ai cui cittadini vengono riconosciuti
i meri diritti - le scuole, gli ospedali - ma non la protezione simbolica di quei temi collettivi
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dell’identità cui è da sempre affidato il riconoscimento materiale della cittadinanza morale,
dell’appartenenza alla civitas, la cui mancanza è il presupposto e insieme la manifestazione
simbolica dell’emarginazione sociale.
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PARTE PRIMA
LA CITTA’ ATTUALE
IL QUADRO GENERALE
Il piano regolatore del 1889, redatto da Cesare Beruto, lottizzava il glacis inedificato
immediatamente esterno alle mura spagnole - giusto allora trasformate in una sequenza di
boulevard - e la campagna circostante fino a una seconda e più lontana sequenza di boulevard
che avrebbe dovuto costituire il limite della città, una sequenza simile a quelle previste altrove per esempio a Madrid nel 1859 e a Berlino nel 1861 - dove tuttavia, proprio come in seguito a
Bologna (1889) o ad Anversa (1911), racchiudevano una futura espansione concentrata in un
quadrante privilegiato, mentre a Milano aveva la forma serrata di una cerchia compiuta e
compatta tutt’intorno alla città esistente.
Questa sequenza continua di boulevard larghi 40 metri, scanditi da rondò, che ne segnano il
limite verso la campagna ricostituendo la città come un oggetto con una forma complessiva quasi
unitaria era infatti in qualche misura un fatto locale, erditato della tradizionale concezione di
Milano come città circolare la cui bellezza consisteva proprio nell’essere un cerchio perfetto.
D’altra parte per lottizzare le zone di espansione delle città erano considerate più razionali e
convenienti, fin dalla metà del Settecento, strade disposte a maglie ortogonali che meglio si
appoggiavano a boulevard anch’essi ortogonali, sicché in qualche misura il tracciato della
sequenza dei boulevard esterni del piano del Beruto sembra combattuto tra il desiderio di
ripristinare una forma complessiva della città riconducibile a quella circolare della tradizione
milanese e la voglia di racchiuderla invece in una quadra regolare: come dire la quadratura del
cerchio.
I quartieri residenziali tra le due cerchie sono poi, in linea di massima, tematizzati da una terza
cerchia di boulevard intermedi larghi 30 metri attraversati da una serie di passeggiate alberate
quasi tutte dall’interno verso l’esterno, con la rilevante eccezione del braccio nord-sud delle
passeggiate incardinate su piazza Libia e soprattutto della sequenza piazza Martini-piazza
Insubria, che meriterebbe di venire reintegrata.
Milano, Piazza Libia con la sua croce di passeggiate,
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Piazza Martini con Piazza Insurbia
Le cerchie dei boulevard sono poi connesse da strade diagonali talvolta disposte a tridente, le cui
prospettive sono spesso reversibili, nel senso che appartengono contemporaneamente a due
tridenti contrapposti, come in piazza Piemonte o davanti alla stazione di porta Romana.
Milano, Piazza Piemonte
Il piano del 1912 - che rispecchia forse altre esperienze di piani europei, quello di Barcellona del
1859 e soprattutto quello disegnato con tanto scalpore da Henrici per Monaco nel 1891 - non si
pone più il problema della forma complessiva della città e mette in campo una successiva
sequenza di grandi boulevard ancora più esterni disposti al centro delle future zone d’espansione
anziché ai loro margini, in sequenza rettilinea e non più circolare, disegnata non come una strada
di attraversamento o di arroccamento ma come il tema centrale di un intero quadrante della città
considerato come un’entità in se stessa.
IL QUADRANTE ORIENTALE
Generatore geometrico della sequenza dei boulevard esterni del piano del 1889 era, nel
quadrante orientale della città, il rondò di Loreto, una piazza circolare tracciata agli inizi
dell’Ottocento, arrivavano un tempo la strada per Venezia - la sinuosa via Leoncavallo - in
seguito affiancata da un viale alberato largo 20 metri, viale Padova (oggi strada principale), e nel
1838 il viale per Monza, altro viale alberato verso Vienna, capitale dell’Impero, ma soprattutto
verso la villa reale - affine dunque in questo al Tondo di Capodimonte a Napoli, anch’esso
disposto all’uscita dalla città verso la reggia di Caserta - largo 30 metri e con quattro filari di
piante, che confluivano poi entrambi in corso Buenos Aires - anch’esso originariamente un viale
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alberato di accesso alla città - largo soltanto 22 metri e oggi soprattutto una delle strade
principali della città.
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Per sottolinearne il carattere monumentale Beruto rende l’originario rondò - facendone un
rettangolo largo 130 metri - il fulcro di una patte d’oie idealmente a cinque strade ma in realtà
asimmetrica perché la sua posizione rispetto alla città è di fatto angolare, sicché dei boulevard
della cerchia esterna che vi hanno la loro origine, sul lato orientale viale Abruzzi fa con corso
Buenos Aires un angolo di soli 45°- simmetrico a via Andrea Doria che, pur non facendo parte
della sequenza dei boulevard esterni, per accentuare questa simmetria è larga 40 metri - mentre
sul lato occidentale viale Brianza fa un angolo di circa 90°.
Dal punto di vista morfologico l’insieme di piazza Loreto è stato col tempo devastato: la piazza in
se stessa è stata subordinata a una sistemazione viabilistica che ne rende illeggibile la natura di
fulcro di una patte d’oie, viale Monza ha perso per intero la sua alberatura mentre, seppure
tuttora alberati, sono ridotti a depositi di autovetture viale Brianza e via Andrea Doria, della
quale oltretutto sono stati chiusi gli accessi, mortificando così la sua radice formale e rendendola
inapprezzabile.
Quanto a corso Buenos Aires, che i caselli di porta Venezia rammentano come viale alberato, è
poi oggi una cospicua strada principale e, se si vuole, una strada trionfale dominata dallo
svettante profilo della torre Velasca, in fondo ben più efficace - se si togliessero gli striscioni
pubblicitari - degli obelischi sparsi a Roma nel Cinquecento da Domenico Fontana.
Milano Corso Buenos Aires
Se piazza Loreto appare immediatamente come un sito da secoli predestinato a una porta di
accesso alla città - al tempo della restaurazione infatti qualcuno voleva trasportare quì l’arco
della pace, allora appena iniziato - per disegnarne il quadro architettonico dovremo congetturare
una adeguata risistemazione del suo intero quadro morfologico, rendendolo in qualche modo
compatibile con quello originario.
La sinuosa via Leoncavallo diventa, dopo il sottopassaggio della ferrovia, il recente viale
Palmanova, largo 60 metri, una delle grandi strade veloci di accesso alla città realizzate
nell’ultimo cinquantennio che, rispecchiando un punto di vista corrente in Europa, non hanno più
l’aspetto di una strada urbana ma piuttosto quello di un’autostrada, assediando la città con un
paesaggio formalmente disastrato al quale occorrerà prima o poi porre rimedio.
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Tenendo conto che viale Palmanova non ha soltanto l’origine in piazza Loreto ma è anche
manifestamente diretta verso altre lontane città, verso Bergamo e Venezia, è quasi ovvio
immaginare che possa venire ricondotto alla sezione di un viale alberato, tematizzato al suo
accesso nella città da una porta finta che mascheri il sottopasso ferroviario, e scandito da due
rondò, uno a segnare l’attraversamento della strada di accesso alla sequenza di via Derna in
largo Tel Aviv - che prosegue sul lato opposto di viale Palmanova verso Lambrate - e forse da un
secondo rondò in sequenza con la passeggiata di via don Orione.
Lo spicchio compreso tra viale Padova e viale Palmanova è infatti formalmente dominato da una
croce di strade il cui braccio longitudinale è costituito dalla via Derna - una strada principale
porticata aperta da largo Tel Aviv - e da via don Orione, una passeggiata larga 40 metri, chiusa
da un fabbricato residenziale moderno e tematizzata sulla croce dalla chiesa e dalla piazza
omonima.
La sequenza dei boulevard esterni che inizia, nel quadrante orientale della città, in piazza Loreto,
è scandita da piazze tematizzate con un giardino da rondò, alcuni dei quali costituiti dagli incroci
con le strade radiali (tematizzati a loro volta soltanto dall’essere segmenti degli originari viali
alberati che convergevano sulla città, nel loro tratto interno sensibilmente rettificati e ridisegnati)
e altri dalla croce con una passeggiata.
E’ probabile che Beruto avrebbe preferito proseguire la sua sequenza di boulevard secondo una
direttrice rettilinea, dal rondò di Loreto a corso Lodi, ma bisognava pur tenere conto della
stazione di Porta Romana, che non poteva venire aggirata, sicché all’altezza di viale Umbria la
sequenza viene flessa verso l’interno in modo da poter proseguire nel quadrante meridionale, oltre
corso Lodi (seppure a prezzo di un leggero disassamento), passando davanti alla stazione,
sottolineata da un tridente, dove Beruto attesta una seconda patte d’oie centrata su via Crema.
A sud e a nord le due zone comprese tra le due sequenze di boulevard - quella delle mura
spagnole e quella esterna - vengono tematizzate rispettivamente da una croce di strade costituita
da due passeggiate alberate (larghe 50 metri) con al centro piazza Libia (larga 190 metri) e da
un’altra più cospicua passeggiata, corso Concordia, larga 85 metri, disposta tra due piazze
tematizzate con un giardino e - piazza Risorgimento - con un monumento; l’intera fascia è poi
accompagnata da una sequenza intermedia di boulevard circolari minori, larga 30 metri, che a
sud costituiscono il motivo di un’ulteriore tridente, uno dei cui bracci è poi il braccio di quello
davanti alla stazione di porta Romana.
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Milano, Piazza Risorgimento
Il piano regolatore del 1912 innesta sul piano del 1889 un modello diverso, perché mette in
campo una successiva sequenza di boulevard esterni non tanto per segnare un nuovo limite della
città quanto per dare - come abbiamo già ricordato - a tutto il suo quadrante orientale
un’organizzazione formale e un senso compiuto, così mutando anche significato alla sequenza dei
boulevard esterni del precedente piano del 1889, cui ora, divenuta interna, viene attribuito
soprattutto il ruolo di contrappunto alla sequenza delle mura spagnole
L’intero disegno, di una semplicità concettuale sconcertante, è fondato su una clamorosa croce di
strade, costituita da una passeggiata alberata dai bastioni verso l’esterno - da ovest a est innestata sul corso Concordia del piano Beruto, e da una terza sequenza di boulevard da nord
verso sud, passeggiata e sequenza di boulevard senza legami con la grande viabilità territoriale
ma che vogliono presentarsi come gli elementi costitutivi di una croce accentuatamente chiusa su
di sé, tema ordinatore di un intero quadrante della città concepito quasi come una città in sé.
La passeggiata, innestata su quella del piano del 1889 con il medesimo schema di un primo tratto,
viale Plebisciti (largo 40 metri) seguito da un secondo tratto largo 90 metri, viale Argonne,
aperto da una grandiosa piazza - piazza Susa - anch’essa tematizzata da un giardino è conclusa,
come dev’essere una passeggiata, dalla chiesa dei SS. Nereo e Achilleo, e lunga nel suo insieme,
a partire da piazza Tricolore, circa 2.100 metri.
Si tratta di una passeggiata cospicua - gli Champs Elysées sono lunghi 3.200 metri - arricchita
dall’essere diventata strada principale dell’intero quadrante e per di più intrisa con la morfologia
della strada trionfale.
Del resto sono questi i decenni nei quali vengono progettate dovunque grandi passeggiate alberate
verso l’esterno della città, l’avenue Louise e l’avenue de la Loi a Bruxelles, lunghe due chilometri
o l’incredibile avenida di Blasco Ibanez a Valencia con le medesime dimensioni degli Champs
Elysées.
Il succedersi di due sezioni (40 e 90 metri), è un artificio formale consolidato, impiegato
inizialmente per configurare le piazze principali - per esempio quella di Gattinara - ma per
delimitare le passeggiate messo in campo forse la prima volta nel secentesco corso Belsunce a
Marsiglia e ripreso poi per esempio a Parigi nel preludio all’avenue Foch, della splendida
Andrassy ut a Budapest, lunga 1700 metri artificio che aveva trovato in quegli anni un suo
versante teorico nella proposta di boulevard à redans avanzata da Eugéne Hénard.
La sua cospicua larghezza tollera che nel parterre centrale siano state oggi disposte delle
attrezzature di gioco (delle quali dobbiamo invece in altri casi diffidare perché offuscano la
riconoscibilità della passeggiata e della sua morfologia, mentre a far danno sono i parcheggi
consentiti nelle strade che la attraversano e che potrebbero meglio diventare invece strette corsie
senza possibilità di sosta.
La grande sequenza dei boulevard, lunga sei chilometri e trecento metri, scandita da rondò e
tendenzialmente della dimensione costante e cospicua di 50 metri, inizia in piazza Durante e
termina bruscamente in fondo a via Omero, dove era allora attestato il porto del progettato canale
Milano-Cremona-Po.
La sequenza dei boulevard ha una sorta di preludio con viale Lombardia - largo soltanto 30 metri
- e appunto con piazza Durante, dove si misura in qualche modo con il contesto più modesto
della via Leoncavallo e con la prospettiva più limitata di Santa Maria Bianca, una piazza che
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andrebbe peraltro ridisegnata ricostituendo l’unità del suo parterre centrale e mettendo in rilievo
la colonna e la statua esistenti, o forse meglio provvedendovi con una statua nuova.
Piazza Piola, dove inizia la sequenza dei boulevard, echeggia la patte d’oie di piazza Loreto
attraverso via Gran Sasso, che con la medesima larghezza dei boulevard esterni del 1889, è ben
riconoscibile proprio come il suo braccio orientale slittato verso sud, ma allo stato attuale del suo
arredo, sventrato dalle corsie centrali, non ne possiede certo la dignità.
In piazza Piola, formando un Y con via Gran Sasso, converge anche via Pacini - che la larghezza
di 30 metri esclude però dal rango dei boulevard esterni - chiusa dalla stazione di Lambrate.
A sud sarebbe oggi un progetto clamoroso far proseguire la sequenza oltre via Omero, in aperta
campagna, verso un lontano tema tutto da inventare, come un santuario o un teatro, che
costituisse il fulcro per organizzare formalmente con un senso compiuto il sud-est della città.
La riqualificazione dell’intera sequenza è già stata iniziata con la sistemazione del viale Omero,
possibile matrice per tutti i suoi sei chilometri, che ha visibilmente bisogno di altri interventi
radicali di restauro - come la demolizione del sovrappasso in curva in piazza Corvetto e, col
tempo, la scomparsa dei sovrappassi ferroviari -, di aggiustamenti che mostrino con evidenza
una certa minima attenzione formale (non è ben chiaro per esempio perché la fontana tra viale
Romagna e piazza Leonardo da Vinci, collocata nella prospettiva del Politecnico, sia stata
nascosta da una cortina alberata ancorchè esaltata da un’esedra) ma anche di un consapevole
ridisegno delle sue piazze, decorabile magari con qualche monumento.
Più all’esterno il piano regolatore del 1912 aggiunge, a nord di corso XXII marzo, un’ulteriore
sequenza di boulevard nord-sud, via Botticelli, che contrappunta la sequenza dei boulevard
intermedi del piano Beruto, con la stessa larghezza di 30 metri senza averne - neppure nel
progetto originario - la continuità, ma in compenso disegnato con molta arguzia: comincia infatti
all’arrivo di viale Palmanova, attraversa via Pacini, passa tra il Politecnico e il campo sportivo
Giuriati, attraversa piazza Gorini - che a sua volta chiude una breve ma ricca sequenza con
piazza Ascoli - attraversa viale Argonne e si conclude con uno slargo in viale Corsica.
Il piano del 1912 lottizza poi la fascia tra queste sequenze di boulevard seguendo il principio di
appoggiarne le vie su sequenze di strade alberate, alcune delle quali - come via Pascoli e come la
citata sequenza di via Botticelli - hanno la larghezza di 30 metri, mentre la sequenza di via
Ampère, pur con il medesimo ruolo simbolico, è larga soltanto 20 metri: come abbiamo già
ricordato, infatti, la gerarchia delle strade tematizzate non dipende soltanto dalla loro larghezza
ma soprattutto dal loro costituire parte integrante di una sequenza.
Con questo punto di vista vediamo bene, per esempio, che la lunga successione di strade alberate
- quella che dalla stazione delle Varesine raggiunge piazza Susa sul sedime della ferrovia
dismessa negli anni Trenta - può venir considerata una sequenza di boulevard, larghi 30 o 35
metri, solo nel primo tratto, finché cioè costituisce la croce di corso Buenos Aires, ma quando si
inserisce in piazza Susa (e anzi prosegue in curva dalla parte opposta) appare subito un corpo
estraneo alla logica estetica che ha governato quell’intero quadrante della città.
Su questa grande croce di strade del 1912, totalmente autoreferenziata, continuano a
sovrapporsi i viali alberati radiali del piano Beruto, tra i quali assumerà un cospicuo rilievo
viale Forlanini, tematizzato dall’idroscalo e dal parco ma ancora oggi privo di una sistemazione
formale adeguata.
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IL QUADRANTE OCCIDENTALE
Insieme al quadrante orientale il quadrante occidentale è quello dove i programmi dei piani del
1889 e del 1912 si esprimono meglio, perché non vi sono impediti né dalle pesanti infrastrutture
ferroviarie che intralciano il quadrante settentrionale né dai navigli che intersecano quello
meridionale.
Anche in questo quadrante della città il Beruto riprende il principio ispiratore di piazza Loreto, di
fare di alcune piazze ai margini della città - già allora, si intende, un poco all’interno del confine
urbano - il fulcro generatore delle principali sequenze, con una patte d’oie a cinque bracci che,
diversamente da quella di piazza Loreto, in piazza Firenze è completa (seppure i bracci nordorientali siano già allora limitati più lontano dalla ferrovia e dal cimitero monumentale).
La strada centrale della patte d’oie, corso Sempione, ha un restringimento iniziale di 40 metri che
denota il successivo tratto, largo 90 metri, come una passeggiata, conclusa da un successivo
restringimento, preludio all’arco della pace, una sequenza lunga nel suo complesso 1700 metri 1200 dei quali di passeggiata.- che è ovviamente anche una strada trionfale di maggiore evidenza
e di maggior vigore del viale Argonne, ma non una strada principale, tema qui assunto da corso
Vercelli.
Il braccio destro del tridente centrale della patte d’oie, largo 35 metri - una dimensione non a
caso a metà tra quella dei boulevard esterni e quella dei boulevard intermedi del quadrante
orientale - apre una lunga sequenza di boulevard nella direzione nord-sud, quasi esattamente
parallela alla sequenza dei boulevard orientali, conferma evidente e clamorosa della grande
quadra sullo sfondo del piano, una quadra beninteso leggibile solo nelle planimetrie.
La sequenza è interrotta dalla Fiera ma, nel tratto iniziale, il suo rango è riconoscibile nella
piazza Damiano Chiesa, grande come piazza Piola, e a sud della Fiera da piazza Giulio Cesare
con la croce tematizzata di via Belisario, da piazza Buonarroti, da piazza Piemonte con il suo
tridente di strade, anch’esse di 35 metri, il cui braccio sinistro, via Elba, scandito da piazze
alberate, avrebbe dovuto costituire il finale, passati un paio di ponti sui navigli, del boulevard
intermedio del quadrante orientale, quello centrale, via Washington, è poi tematizzato da piazza
Napoli mentre il braccio destro si conclude in piazza Tripoli, entrambe a loro volta disposte a
ritmare la cerchia dei boulevard esterni.
Ma in realtà questa grande sequenza longitudinale tematizza, con la sua giacitura diagonale così
simile a quella di Barcellona, un estesissimo quartiere residenziale lottizzato con isolati quadrati
di 250 metri di lato separati da strade alberate della larghezza quasi costante di 30 metri - quella
stessa dei boulevard intermedi del quadrante orientale - ma in genere non tematizzate da una
sequenza che le promuova a boulevard.
A occidente di corso Sempione il quartiere è in effetti tematizzato da una croce di strade larghe
40 metri che, insieme alla grande diagonale, virtualmente si incontrano al centro della Fiera, via
Domenichino con via Domodossola - che forma con via Procaccini la croce di corso Sempione e via Scarampo con il suo ingresso in città per via Rossetti (nel quadro insipiente del dopoguerra
ristretta a 30 metri) che oggi assicurerebbe, una volta trasferita la Fiera, un arrivo
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dalle autostrade unico al mondo, con la chiesa di Santa Maria delle Grazie e il più celebre
monumento della città, il Cenacolo vinciano, a costituirne il fondale.
La tematizzazione del quartiere è completata, molto in sottordine (con larghezze di 30 metri), da
via Colleoni con la sua successione di piazze e dalle due strade sottolineate da una Y in piazza
Lotto, viale Monterosa in quanto tematizzata dalla piazza Buonarroti e via Teodorico in quanto
pertinente alla patte d’oie di piazza Firenze.
Se guardiamo la città da piazza Firenze avremo alle spalle due strade larghe 30 metri, via
Teodorico e via Caracciolo (quest’ultima a croce con via Mac Mahon), due strade a Y larghe 35
metri, via Ruggero di Lauria - che apre la sequenza occidentale nord-sud - e via Cenisio, ritmata
da piazza Caneva e da piazza Diocleziano, che tematizza il quartiere, e infine la prospettiva di
corso Sempione al centro larga 40 metri: ecco allora esplicito un rilevante gioco di simmetrie che
ci guiderà nella loro risistemazione.
Di nuovo abbiamo visto come strade alberate con la medesima larghezza - 30 metri - solitamente
non tematizzate possano diventare invece veri e propri temi quando siano inscritte in una
sequenza tematizzata, e reciprocamente come le due grandi strade alberate a est e a ovest della la
Fiera, per quanto molto larghe - 60 metri e oltre - e per quanto vi si attestino due piazze
simmetriche che danno origine a due larghe Y, non siano tematizzate né come passeggiate né
come boulevard - in sostanza piazzali di servizio un tempo per la piazza d’armi e ora per la
Fiera - mentre viale Belisario, separato con una cortina di case dal recinto della Fiera e
tematizzato sia dalla piazza Giulio Cesare sia dall’essere disposto a croce con la sequenza dei
boulevard nord-sud, ha il ruolo di una passeggiata larga 60 metri.
Ma, mentre nel quadrante orientale la sequenza dei boulevard nord-sud costituisce anche la loro
cerchia più esterna, con un disegno che Beruto reputa tale da mantenere leggibile il modello
circolare della città, qui la medesima sequenza di boulevard nord-sud - per questo larga soltanto
35 metri - è distinta da quella dei boulevard esterni, larghi anche questi 40 metri, che assume un
tracciato davvero circolare, ritmato da una serie di strade e di piazze (appunto piazza Napoli,
piazza Tripoli, piazza Brescia, piazza Zavattari) il cui tratto più significativo, dominato da
piazza Lotto, è parallelo alla sequenza nord-sud: ma più avanti, pur mantenendo la medesima
sezione, il viale alberato che sembra chiudere l’arco dei boulevard in viale Monteceneri non è poi
tematizzato da piazze e da rondò, ridotto quindi a una semplice strada di circolazione, seppure
larga, ancora prima che l’attuale sopraelevata sottolineasse così clamorosamente questa sua
carenza di effettiva tematizzazione
Nel quadrante occidentale è quindi straordinariamente bene espresso il conflitto del piano del
1889 tra l’ideale di una sequenza di boulevard disposti in modo da formare una grande quadra e
quello tradizionale della Milano circolare, quella che abbiamo chiamato quadratura del cerchio.
Il piano del 1912, a sua volta, riprendeva il medesimo schema adottato nel quadrante orientale e
disegnava una sequenza ancora più esterna di boulevard nord-sud, parallela a quella orientale,
con la medesima larghezza di 50 metri e con una lunghezza del medesimo ordine, nel progetto
originario di 3800 metri - che avrebbe poi potuto lievitare con l’ulteriore espansione della città ma ridotta poi verso nord (messa di traverso la pista dell’ippodromo) a 2650 metri: è questo il
primo esempio di un vandalismo estetico che in questa zona ha potuto esercitarsi al meglio.
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Questa sequenza, che ora termina a nord nell’ampia piazza Segesta formando una T con via
Rospigliosi - un viale alberato largo 30 metri gemmato da via Novara -, era scandita da piazza
Selinunte, da piazza Siena ( un’altra amplissima piazza quasi circolare ) da piazza dalle Bande
Nere (dove, estremo paradosso, la sequenza dei boulevard è stata interrotta trasformandone un
tratto in giardino interno alle case!) e si concludeva come braccio destro di un tridente - centrato
su via Primaticcio - sul lato nord di un’immensa piazza/parco rettangolare, sul medesimo asse
dell’attuale largo dei Gelsomini, di 280 metri x 750 - lunga cioè all’incirca come il parco
Sempione seppure larga meno della metà - che avrebbe consentito di arricchire anche questo
quadrante cittadino, ormai lontano, con un tema davvero cospicuo.
Ma la mano vandalica non ha perdonato. Sul fronte della via Giambellino il largo dei Gelsomini con il nome di largo Giambellino - è stato allargato fino a 440 metri (per una profondità di 70
metri) mentre lungo il suo asse longitudinale è stato ristretto a 100 metri, sicché per assicurare
l’imbocco della sequenza dei boulevard nord-sud è stato tracciato il largo Brasilia, mentre il
braccio occidentale del tridente che vi si apriva dalla parte opposta è del tutto scomparso.
In questo sconquasso il lavorio di ricostituzione delle strade tematizzate all’esterno dei boulevard
periferici del piano Beruto è più complesso di quanto abbiamo visto nel quadrante orientale e
conviene quindi riprenderlo con un’ottica più fantasiosa.
Nella parte meridionale largo dei Gelsomini, per quanto sconquassato, resta ancora oggi il
possibile centro dell’intera zona, purché siamo disposti al consapevole sforzo di restituirgli un
aspetto unitario recuperando la leggibilità della sua attuale forma ad H zoppa e rendendo
monumentale la sua croce con via Lorenteggio, un viale alberato secondario scandito da un
rondò, piazza Frattini, ancora più ampio di piazza Piola; una sistemazione che richiede poi un
intervento monumentale - forse un tema con qualche risvolto territoriale - anche allo sbocco
meridionale verso il naviglio, rimasto da sempre sgombro in attesa di un nuovo ponte che il
completamento in corso di via Faenza sembra rendere più plausibile.
Resterebbe allora meglio riconoscibile la sequenza dei boulevard nord-sud, il cui punto di innesto
sul largo dei Gelsomini sarebbe tematizzato con maggior evidenza e il cui punto di sutura a nord,
in piazza Segesta, potrebbe venire adeguatamente tematizzato.
Beninteso i guasti non si fermano lì, perché il piano prevedeva, da piazza Tripoli, una grandiosa
Y di due passeggiate larghe 80 metri, quella meridionale, anch’essa destinata a confluire sulla
piazza/parco in largo dei Gelsomini, rimasta a sua volta sulla carta, mentre quella a nord,
realizzata - viale Caterina da Forlì - dovrebbe, nella nostra ottica, venire sistemata con una
sezione simile a quella di Viale Argonne, ed esaltata come una passeggiata dandole fondali
adeguati al suo tipo morfologico.
Via Lorenteggio è contrappuntata da via Giambellino - entrambe larghe 30 metri - un viale
alberato come corso Lodi o corso XXII marzo ma falso, dal momento che, seppure con una
giacitura radiale che in realtà non ha mai portato fuori città, esaltato peraltro, oltre che dai
consueti rondò, dal parco Solari, da piazza Napoli, dal largo dei Gelsomini e da piazza Tirana:
anche di via Giambellino, oggi strada principale del quartiere, è ovvio debba venire proposto il
restauro, rinunciando possibilmente al tram.
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Via Lorenteggio è diventata, come nuova vigevanese, un vero e proprio viale alberato di accesso
alla città, che tuttavia non riprende una delle antiche radiali - la vecchia strada costeggiava il
naviglio ticinese - ma, come sappiamo, penetra in città attraversando anonimamente la cerchia dei
boulevard spagnoli e prosegue davanti al carcere di San Vittore; a sua volta via Giambellino, un
falso viale alberato, ha verso lìinterno della città il medesimo finale modesto, seppure arricchito
dal Beruto con la passeggiata di piazza Sant’Agostino, che ne sottolineava il maggior rilievo già
assicuratogli dalla lontana stazione di San Cristoforo. A questa caduta nella tematizzazione di
entrambe sarebbe possibile porre rimedio dando veste monumentale al parco Solari,
coordinandone le alberature con quelle dei due viali Lorenteggio e Giambellino e per esempio
disponendovi un tema cospicuo che sottolineasse l’ingresso alla città.
In questo quadro possiamo attribuire un ruolo più definito alle altre due strade che attraversano la
coppia Lorenteggio-Giambellino, via D’Alviano e via Inganni: mentre la prima, larga 30 metri, è
soprattutto un supporto alle strade di lottizzazione e tutt’al più meritevole di una più accurata
conclusione verso sud, la seconda, con la sua larghezza di 40 metri, potrebbe avere la dignità
formale di una modesta passeggiata, del resto già ora chiusa su via Giambellino dal giardino
davanti alla stazione di San Cristoforo - largo 110 metri e lungo 190 metri - concludendola verso
nord, dove si profila lontana la sagoma massiccia dell’ospedale San Carlo, da un tema davvero
importante.
Questo sito potrebbe acquistare in effetti grande rilievo perché vi confluisce la lunga sequenza
che, originata sul lato occidentale di piazza Firenze, è ritmata da piazza Segesta e da via Paravia
- oggi inopinatamente interrotta davanti a una cascina fatiscente, demolibile senza danno - e di lì,
passando un giorno sulla piazza d’armi della caserma Perrucchetti, concludersi anch’essa sul
medesimo tema finale della sequenza di via Inganni dietro all’Ospedale San Carlo.
Più a nord le strade di lottizzazione proseguono la maglia ortogonale tracciata dal Beruto
recependo e continuando in via Osoppo, come tema ordinatore, il boulevard di via
Domenichino, mentre nella parte sud gli isolati sono molto più ampi ma viceversa le strade
alberate quasi inesistenti.
Constatiamo allora che la lottizzazione, nel quadrante orientale tematizzata da strade alberate
disposte spesso in sequenza, nel quadrante occidentale è invece più spesso ordinata soprattutto
con una maglia ortogonale di strade alberate equivalenti tra loro, per le quali i problemi di
continuità, così importanti per i boulevard, sono molto meno rilevanti, sicché ciascuna può
costituire un caso a sé, compreso il disordinato parcheggio.
Nella parte settentrionale del quadrante occidentale, infine, le cose sono concettualmente semplici
perché le due sequenze dei boulevard circolari e di quelli nord-sud del piano Beruto sono state
realizzate, sicché si tratta di restaurarle con i medesimi criteri già richiamati per il quadrante
orientale, anche se nel tratto di viale Monteceneri - come abbiamo già rilevato - la tematizzazione
originaria era troppo povera e incerta.
Merita infine un cenno via Dezza, residuo anche qui di un tracciato ferroviario dismesso, che seppure larga 55 metri - non corrisponde ad alcun tema noto perché non ne ha la figura e perché
non è integrabile nelle sequenze cittadine fin qui descritte, costituite esclusivamente da strade
tematizzate, sicché resta uno spazio privo di qualsiasi connotazione simbolica inadatto a dar
senso a un quartiere.
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IL QUADRANTE SETTENTRIONALE
Il quadrante settentrionale è dominato da viale Zara, largo 65 metri, con l’evidente carattere di
viale alberato e di strada trionfale, seppure all’atto pratico sensibilmente ridotto dal sorprendente
fondale, in piazza Lagosta, di un mercato rionale anziché di una porta o comunque di un tema
monumentale: sarebbe paradossale non provvedere ad arricchirlo con una adeguata facciata,
magari nello stile dorico del Cimitero di Musocco, utilizzato - per quanto ne so - nei macelli di
Padova e di Sciacca e in altre città.
Padova, macello
Viale Zara è scandito dalla croce con la sequenza di boulevard esterni del piano del 1889,
contrappuntata verso il centro dalla croce minore con la sequenza dei boulevard intermedi e
verso l’esterno - mancando ogni traccia dei boulevard del 1912 - dalla strada trionfale aperta
sulla facciata della Cà Granda e dalla cospicua passeggiata trasversale - larga 90 metri costituita da via Racconigi e da via Santa Monica, poco prima della Bicocca, una passeggiata
davvero trascurata, quasi che nessuno abbia immaginato di sottolinearne la continuità sui due lati
di viale Zara - per esempio con un rondò - e neppure ci si sia preoccupati di raccordarla con la
grande lottizzazione della Bicocca, che addirittura presenta lì un fabbricato di servizi.
L’arrivo di viale Zara in città potrebbe allora essere scandito, come l’arrivo dalla via Emilia, da
questo primo rondò, poi da piazza Istria, e degnamente - speriamo - concluso in piazza Lagosta.
A viale Zara fa da contrappunto via Melchiorre Gioia, che serba l’apparenza di quel viale
alberato che era davvero fino al 1838 -la strada per Monza fuori di porta Nuova e poi lungo la
Martesana - che tuttavia oggi verso l’esterno non ha più nessun rilievo, mentre verso l’interno il
corpo passante degli uffici comunali offrirebbe la figura di una porta se solo fosse
consapevolmente trattato come tale, trasformando in un viale alberato il tratto che la attesta sulla
cerchia dei boulevard spagnoli.
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Reciprocamente la più rilevante sequenza di uscita dalla città, quella che dal castello e dall’arena
va verso nord attraverso via Farini - cospicua strada principale - incrocia i boulevard esterni del
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piano del 1889 in piazza Maciachini, spiazzo non tematizzato largo fuori misura per accogliere in
uno spazio apparentemente, almeno sulla carta, unitario, la Comasina e la Valassina.
Artificio modesto, applicato anche in altri casi - in viale Romagna, davanti alla stazione di porta
Romana, in largo dei Gelsomini - con risultati dubbi perché non è poi facile percepire sul campo
la convergenza delle due strade diagonali su spazi così ampi.
Questa convergenza potrebbe oggi venire del tutto trascurata e piazzale Maciachini venire
occupato per intero da un edificio moderno, dove collocare una qualche cospicua funzione di
rilievo territoriale, tagliato da un arco lungo la prospettiva di via Farini - assicurando a questa
antica sequenza una adeguata dignità - e da una fessura che mantenga a via Imbonati la vista
lontana del grattacielo degli uffici comunali, sul suo asse, di notevole efficacia simbolica.
Anche in questa parte della città motivo cospicuo è una passeggiata alberata radiale, via Restelli larga anch’essa 80 metri - attestata sull’immenso rondò di piazza Carboneri all’incrocio con il
boulevard esterno del 1889 e conformato in una montagnola, mentre nel suo fronte meridionale
spicca il problema di un ridisegno che ne annunci clamorosamente l’attestarsi su via Pola, forse
con una leggera esedra.
L’intero quadrante è poi attraversato dalla sequenza dei boulevard intermedi del piano del 1889,
che nella parte occidentale confluisce in quella dei boulevard esterni: ma qui via Jenner, invece di
continuare con la sua consueta giacitura circolare, si flette inopinatamente verso l’esterno della
città, anomalia necessaria per realizzare il ponte Bacula fuori del troppo largo scalo delle
ferrovie Varesine, ma che provoca la spesso qui ricordata caduta di senso dell’intero viale
Monteceneri e della stessa via Jenner.
Per completare il supporto simbolico della lottizzazione in questo quadrante - per il resto di
disegno irrilevante - a queste due sequenze di boulevard ne è stata poi aggiunta una terza, ancora
più interna, tematizzata da piazza Lagosta, da piazzale Segrino, dalla piazza duca d’Aosta, da
via Marcello e da via Morgagni, prima di confluire sull’angolo della piazza allungata che è qui un
allargamento di viale Romagna: la sua sezione è molto modesta, appena 20 metri, ma il ritmo
della sua tematizzazione la rende subito riconoscibile come una sequenza di boulevard.
IL QUADRANTE MERIDIONALE
Nel quadrante meridionale il piano del 1889 è disegnato con i medesimi criteri, e anche se il limite
costituito dal rilevato ferroviario restringe talvolta la fascia edificabile tra la cerchia delle mura
spagnole e la sequenza dei boulevard esterni, la sequenza dei boulevard intermedi è stata
mantenuta.
Il successivo piano del 1912 traccia, invece di una sequenza di boulevard rettilinei come nei
settori est e ovest, un viale largo 80 metri e costituito dalla doppia banchina ai lati di un nuovo
naviglio che avrebbe dovuto collegare i due antichi, quello ticinese e quello pavese, al porto del
canale navigabile Milano-Cremona-Po al fondo della sequenza dei grandi boulevard orientali.
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I quai lungo i canali navigabili possono benissimo venire tematizzati, come quelli di Amsterdam
in strade monumentali o come quello di Bruxelles in passeggiata, ma qui canali e quai
costituiscono una mera attrezzatura industriale, legata alla sequenza dei boulevard nord-sud del
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quadrante orientale soltanto con una strada di servizio diagonale, ( l’attuale via Ortles), che la
larghezza ridotta di 30 metri designa subito marginale sequenza: anche se oggi saremmo indotti a
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dargli l’aspetto fisico di un tratto di boulevard con le medesime caratteristiche di viale Lombardia
e di via Pacini, anch’esse larghe 30 metri.
Questo impianto scarno era poi attraversato dalla via Vigentina - via Ripamonti - un viale
alberato allargato in un tratto per connotarlo a passeggiata (come il primo tratto di corso Lodi) e
da corso San Gottardo, reso trionfale dal colonnato in memoria di Marengo, che avrebbe potuto
continuare in via dei Missaglia riccamente alberata, scandito da un tema in piazza Abbiategrasso
e conclusa, all’altezza del Gratosoglio, da un altro tema di forte rilievo simbolico con qualche
risvolto territoriale che lo connotasse anche come passeggiata piuttosto che come un falso viale
alberato.
Nella fascia intermedia il piano del 1889 prevede due larghe strade alberate tra le mura spagnole
e il parco Ravizza, omologo alla croce di piazza Libia e alla via Restelli, e più a ovest un ardito
aggancio con via Elba-Bergognone attraverso l’area dell’Istituto sieroterapico, che sarebbe
elegante recuperare - nella prospettiva di rendere questa città più bella - nel relativo piano,
proprio ora sul tappeto.
La strada-canale era fin dall’origine, all’altezza di via Ripamonti, interrotta dove sul suo
tracciato esistevano già dei fabbricati, sicché in seguito, con il declino del progettato canale
Milano-Cremona-Po e comunque con l’abbandono del suo raccordo con i navigli, ne sono restati
due tronconi separati.
Mentre a oriente di via Ripamonti è rimasta soltanto una strada di lottizzazione industriale - del
resto su un tracciato spostato più a nord - a occidente un tratto del progetto del 1912 è stata
realizzato, via Giovanni da Cermenate, con decorose case d’abitazione: in quest’ampio viale gli
estensori del piano regolatore del 1953, intrisi di tecnicismo funzionalista e d’altra parte convinti
che il sud cittadino fosse irrimediabilmente industrial-proletario e quindi indegno di una così
cospicua tematizzazione, non sono purtroppo riusciti a riconoscere il germe di una passeggiata
alberata del medesimo ordine di viale Argonne, sicché non l’hanno proseguita, come avrebbero
benissimo potuto, lungo la via Antonini, che la lottizzazione degli anni Cinquanta ha senza
motivo ristretto.
Ma potremmo forse evocare oggi una seconda occasione, intravedendo una croce di strade
formata - come in piazza Libia ma su una scala maggiore - da quattro passeggiate, due delle
quali, in forma di L, già esistenti e solo da coordinare e valorizzare (via Giovanni da Cermenate
e via Boeri, larga anch’essa 80 metri) mentre delle altre due una è per ora occupata dai
trasformatori della centrale elettrica mentre l’altra, quella di via Antonini, edificata appunto
cinquant’anni fa, sarà presumibilmente nei prossimi decenni matura per una demolizione che
consentirebbe di completare la croce fin davanti alla chiesa di Santa Maria Liberatrice.
Sui confini occidentali del quadrante il terzo ponte sul naviglio ticinese, dopo quello delle vie
Valenza e delle Milizie, ha preso la sequenza secondaria di piazza Frattini, mentre il
completamento in corso del boulevard esterno del piano del 1912 - ancora una volta con uno
stravagante lay out autostradale - conduce, come abbiamo già ricordato, verso il largo dei
Gelsomini.
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CONCLUSIONI
La città moderna è brutta, fatta brutta dalla devastante concezione urbanistica contemporanea ma
anche dalle rinuncia morale dei Comuni: fatto paradossale, questo mezzo secolo di sindaci
socialisti ha visto declinare a Milano la consapevolezza del ruolo collettivo del Comune, i cui
specifici temi e la cui peculiare sfera - assicurare a tutti i cittadini un equivalente riconoscimento
simbolico - era andata consolidandosi nel corso di un millennio, per mettersi tout-court, senza
un proprio progetto, nelle mani di privati i quali, nella loro legittima logica, realizzano i propri
insediamenti senza la dovuta attenzione per l’estetica pubblica: si veda l’immensa lottizzazione a
ovest di via Ripamonti, il nuovo polo di Rogoredo, ma anche il caso della Bicocca e quello
recente del Portello, come se il ruolo pubblico consistesse nel conteggiare standard misurabili in
metri quadrati anziché assicurare veramente la qualità della vita, che nella città europea consiste
nella sua bellezza, quella bellezza che ne ha fatto la nicchia ecologica della nostra società
democratica, quella dove siamo uomini e cittadini, con un’anima, in una sfera diversa da quella
dove, nell’attuale ventata materialista, siamo considerati soprattutto dei corpi.
Come abbiamo visto molte cose sono ancora possibili e molte cose lo diventeranno se le vorremo.
Questo studio ha cercato di evocare il disegno dimenticato della città per farne il terreno di
programmi e progetti nuovi nell’antica ottica di Milano, mettendo in campo, accanto alle cose
da realizzare a breve scadenza, il disegno generale di lunga durata, che costituisce la specifica
tradizione della città e il patrimonio spirituale dei suoi uffici tecnici.
Il quadro generale fin qui esposto ci consente di suggerire una strategia per sistemare ogni strada
e ogni piazza della città mettendola in relazione con l’insieme del disegno urbano ed evitando che
ogni intervento, che ogni singolo architetto, la reinventi daccapo, come se non fosse stata pensata
in un legame organico con tutte le strade tematizzate nella cui sequenza si inserisce; ci consente
poi di mettere in evidenza i siti più appropriati per una ragionata strategia di riqualificazione
urbana che non voglia procedere caso per caso; ci suggerisce infine un quadro complessivo per
l’intera città evocando siti privilegiati per nuovi grandi interventi che potrebbero assicurarle un
aspetto più unitario evitando di farne una giustapposizione di accampamenti isolati, come sono i
quartieri autonomi realizzati in passato e quelli che si vanno progettando adesso.
LE SEZIONI STRADALI
Passeggiate
Corso Sempione
Viale Argonne
Via Racconigi
Corso Concordia
Viale Caterina da Forlì
Via Restelli
Via Giovanni da Cermenate
Via Boeri/Aicardo
Via Morgagni
Via Marcello
Viale Belisario
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90 metri (restringimenti 42 metri)
90 metri (restringimenti 40 metri)
90 metri (50 metri)
85 metri
80 metri
80 metri
80 metri
80 metri
60 metri
60 metri
60 metri
Viale Cirene, viale Lazio
Via Ripamonti
Via Don Orione
Via Inganni
50 metri
50 metri
40 metri
40 metri
Boulevard
Sequenze nord-sud, settori este ovest, del piano del 1912
Sequenza esterna del piano del 1889
Sequenza nord-sud, quadrante ovest, del piano del 1889
Sequenza intermedia del piano del 1889
Sequenza da piazzale Lagosta a viale Romagna
50 metri
40 metri
35 metri
30 metri
20 metri
Croce di strade della Fiera
40 metri
Sequenza di via Teodosio
Sequenza di via Colombo
Sequenza di via Pola
30 metri
20 metri
20 metri
Via Ruggiero di Lauria e via Cenisio
Via Teodorico e via Caracciolo
35 metri
30 metri
Via Mac Mahon e viale Monterosa
Via Millerire
30 metri
30 metri
Viale Lombardia e via Pacini
30 metri
Viali alberati
Viale Zara
Viale Palmanova
Viale Monza
Viale Padova
Via Melchiorre Gioia
Via Imbonati
Viale Certosa
Via Rospigliosi
Via Lorenteggio
Corso Lodi
Corso XXII marzo
65 metri
60 metri
30 metri
20 metri
40 metri
18 metri
40 metri
30 metri
30 metri
35,5/47 metri
26,5 metri
Spazi non tematizzati
Viali intorno alla Fiera
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60 metri
Via Dezza
55 metri
Piazze circolari
Piazza Firenze
Piazza Accursio
Piazza Carbonari240 metri
220 metri
230 metri
Piazza Piola, piazza Istria, piazza Chiesa, piazza Frattini, piazza Omero, piazza Segesta, piazza
Selinunte hanno tutte un diametro di 135-140 metri circa.
Piazze
Piazza Libia
Piazza Loreto
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190 metri
130 metri
Qualche confronto dimensionale
Grandi passeggiate
Roma, via Pia (1560)
20metri x 1600 metri
Parigi, cours de la Reine (1616),
avenue de l’Observatoire
Champs Elysées (fino all’Etoile)
Grenoble, cours Jean Jaurès
80 metri
90 metri
120 metri x 3.200 metri
40metri x 150 metri fino alla porta
Berlino Unten der Linden (Federico I)
Lisbona , avenida de la Libertade
Budapest, Andrassy ut
Valencia, avenida di Blasco Ibanez (1911)
Barcellona, paseo de Gracia (1860)
1.000 metri
90metrix1.500metri
1.700 metri
120metri x 3.000 metri
60 metri
Passeggiate minori
Marsiglia, cours Belsunce (!660/70)
Périguex, allée de Tourny (1770)
40 metri x300 metri
80 metri x300 metri
Strade trionfali
Versailles, avenue de Paris
avenue de Saint Cloud
avenue di Sceaux
94 metri 2.400 metri
78 metri1.000 metri
70 metri 750 metri
Roma, da Trinità dei Monti alle Quattro Fontane
dalle Quattro Fontane a Santa Maria Maggiore a SantaCroce
via Merulana
1.500 metri
1.400 Metri
1.250 metri
Caserta
3.000 metri
Strade tematizzate
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La strada principale di Spira è nel XIII larga 40 metri (e lunga 600 metri) come quella di Cuneo,
mentre quella di Berna è larga 25 metri e lunga 300 metri.
Palermo
Cassaro (1564-1581)
via Maqueda
1.800 metri
.300 metri
Viali alberati tematizzati
Grenobledalla porta al ponte (1660)
8.000 metri
Palermo oltre la porta fino a Monreale
4.300 metri
Berlino oltre la porta di Brandeburgo fino a piazza Heuss
6.300 metri
Parigi oltre l’Etoile fino al rondò di Neuilly
da Neuilly fino alla Defense
3.400 metri
500 metri
Torino
strada per il castello di Rivoli (1711)
12.000 metri
Boulevard
Parigi,
boulevard di Blondel e Bullet (1676)
boulevard Sébastopol di Haussmann (1865)
35 metri
30 metri
Londra
New Road, (1756) da casa a casa
(carreggiata m 12,20, arretramento 15,25 x 2)
43 metri
Barcellona Diagonal
50 metri
Piazze circolari
Place de l’Etoile
280 metri
Gradualità nella larghezza delle strade
Le strade più importanti di Montpazier (1260) sono larghe 10-11 metri, quelle secondarie 8 metri
e i passaggi di servizio metri 2,30
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La strade principali di Vitry le François (1580) sono larghe metri 13,40 e le secondarie 7,80,
2,50 i passaggi di servizio
Le strade di Londra dopo l’incendio (1666) sono larghe tra 5 metri a 30 metri.
Le strade di Filadelfia (1682) sono larghe 16 e 32 metri
Le strade di Catania dopo il terremoto (1693) sono di 16 metri (la sola via Etnea), di 12 metri
(corso Vittorio Emanuele, corso Garibaldi, la croce) e le trasversali di 8 metri
Le avenue di Lisbona, dopo il terremoto (1755) sono larghe 20 metri (con due marciapiedi di
3,30 e una carreggiata di 13,70), le trasversali sono larghe 14 metri (con due marciapiedi 1,65 e
una carreggiata di 7 metri)
Le strade di New York (1806) sono larghe 20 metri, le avenues 30 metri e Park avenue 40 metri.
Le strade principali di Madrid (1859) sono larghe 30 metri e quelle correnti 15 metri
Le strade correnti di Barcellona (1860) sono al minimo 20 metri
Le strade di New-Delhi (1911) sono larghe 50, 36 e 25 metri, e bordate da 3, 2, 1 filari di alberi
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PARTE SECONDA
IL SITO DELLE NUOVE PORTE
PREMESSA
Ogni tema collettivo della città ha una sua disposizione canonica - come il palazzo municipale al
centro della città - dove ci aspettiamo di trovarlo e dove assume quindi appieno il suo significato:
quale sia il sito canonico delle porte sembrerebbe scontato, è dove la città finisce e incomincia la
campagna, come nella città antica.
Ma le porte non hanno in verità mai segnato il limite della città. Nella stessa epoca medioevale le
cerchie murarie venivano costruite sempre più ampie per mostrare il rango della città, ma di fatto
le città erano poi costituite soprattutto di case allineate lungo le strade che si irradiavano dal
centro, all’interno ma anche all’esterno delle porte (le autorità amministrative della contrada
avevano del resto giurisdizione sul corrispondente settore del contado) mentre simmetricamente la
campagna scavalcava le mura e penetrava con larghi cunei nella città, come per esempio a Siena.
Solo quando l’avvento dei cannoni obbligò a tenere libera una fascia di terreno intorno alle mura
larga qualche centinaio di metri. il glacis le porte sembrarono - tra il 1550 e il 1650 - segnare
davvero il confine della città, ma in realtà la città continuava tranquillamente a crescere al di là di
quel limite con strade e case e persino edifici monumentali (come la grande chiesa di San Carlo
innalzata a Vienna subito fuori del glacis), sicché ancora più le porte erano in un sito interno alla
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città, segnando un passaggio non tra la città e la campagna - erano tenute chiuse di notte
soprattutto per risparmiare sulle spese dei gabellieri - bensì tra la parte più esterna e quella più
interna, e per questo non sempre venivano distrutte quando la cinta muraria si allargava (a
Milano la porta medievale a San Lorenzo è tuttora in piedi, mentre le mura sono state allargate
ancora nel Trecento per incorporare Sant’Eustorgio).
Occorre quindi cautela nel sentenziare che stazioni o aeroporti costituiscano oggi le moderne
porte della città - concentrano gli arrivi, questo sì - perché le porte costituiscono un passaggio
rituale che richiede (come tutti i passaggi rituali) una vera e propria preparazione, che nel nostro
caso consiste nel frequentare un poco la città attraversandone i sobborghi o percorrendone un
viale fino a essere immersi nella sua massa muraria.
Sicché nell’individuare il sito appropriato per le nuove porte noi non abbiamo cercato il confine
della città per disporle lì ma abbiamo invece immaginato dove la disposizione di una porta
avrebbe reso più bella la città, lungo le grandi strade di uscita sulle quali sono già disposti in
alcuni casi i caselli daziari delle mura spagnole, contrappuntandoli così più verso fuori ma mai
nella periferia esterna, dove senza dubbio mancano i temi collettivi - proprio questa mancanza
crea la periferia - ma dove le porte non possono venire collocate perché il loro sito appropriato è
un poco dentro alla città.
L’esame morfologico della periferia milanese ci consente di individuare, poste queste premesse,
gli otto siti privilegiati per otto nuove porte - di fatto poi distribuite, come nel medioevo, una per
ogni zona amministrativa della città - esprimendo anche i motivi che sconsigliano di disporle
lungo le altre strade di accesso alla città.
Zona 2 - Piazza Loreto
Nella zona 2, come abbiamo già ricordato, costituiscono accessi alla città viale Monza, viale
Padova e viale Palmanova, nessuno dei quali sembra adatto a una nuova porta, viale Monza
perché di fatto non vi è uno stacco con l’abitato del comune contiguo - sicché sarebbe arduo
comprendere il significato di una porta in mezzo a un tessuto abitativo continuo - viale Padova
perché riconfluisce in viale Palmanova, e viale Palmanova perché ha l’aspetto di un’autostrada
periferica e non di una strada tematizzata - un viale alberato - che ci accompagni verso la città.
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Tutte codeste strade di accesso confluiscono poi sul rondò di Loreto - che diventa dunque il sito
più ovvio per una nuova porta della città) la cui prospettiva è comandata da corso Buenos
Aires,con la vista assiale della torre Velasca all’inizio di una ricca sequenza cittadina scandita
fino al Duomo da temi rilevanti.
ZONA 3 - Piazza Susa
Questa è la più cospicua croce di strade della città, dove si intersecano la grande sequenza dei
boulevard nord-sud e la passeggiata di viale Argonne, ed è certamente un sito dove una nuova
porta non avrebbe soltanto l’aura dell’arrivo in città ma anche il compito di sottolineare il ruolo
della piazza nell’immagine formale della città, un pò come lo hanno a Roma San Carlo alla
Quattro Fontane e a Palermo le facciate dei Quattro Canti.
Del resto l’altro arrivo in questa zona della città, da via Rombon, giunge di fronte al cavalcavia
ferroviario e davanti alla stazione di Lambrate, il cui piazzale esterno ha una impronta
disordinata che non sembra potersi conciliare con le regole di disposizione delle porte richiamate
all’inizio di queste note e che nessuna immaginabile forma - per quanto ricca e fantasiosa potrebbe riscattare.
ZONA 4 - Piazza Lodi
In questa zona della città il paesaggio inedificato del viale Forlanini è - come in viale Palmanova incompatibile con il significato di una porta, mentre subito dopo il cavalcavia ferroviario
l’ingresso alla città è subito caratterizzato, sotto il profilo monumentale, da viale Corsica - con la
figura di una grande passeggiata - e da piazza Grandi, con la sua disposizione a cavaliere della
strada e con la sua fontana, entrambi temi già spiccatamente urbani, sicché vi manca la pausa
simbolica necessaria per disporvi una porta.
Chi negli anni Cinquanta arrivava a Milano dalla via Emilia percepiva la presenza della città in
piazza Corvetto, dove gli appariva il grandioso paesaggio urbano all’intersezione con la
sequenza dei boulevard nord-sud, larghi 50 metri, e ancora oggi il sito più appropriato per una
nuova porta se non fosse per il disgraziato incombere del cavalcavia autostradale, sicché sarà di
fatto possibile collocarvela soltanto quando, dopo la realizzazione dei nuovi svincoli autostradali
progettati dal Comune, il cavalcavia verrà demolito.
Poiché questi tempi saranno necessariamente lunghi e tuttora incerti non avrebbe senso dare in
questa sede indicazioni sulla sua appropriata sistemazione architettonica, del resto a suo tempo
desumibili dalla sua stessa collocazione; d’altra parte può accadere che, realizzando in tempi
brevi altre sette porte in altrettante zone della città, maturi l’opportunità di non trascurare questa.
Nell’attesa abbiamo quindi suggerito e preso in esame in questa sede la localizzazione di una
nuova porta più all’interno della città, in piazza Lodi, all’intersezione del corso Lodi, ampliato e
alberato alla fine dell’Ottocento, con i boulevard, larghi 40 metri, che chiudevano la città nel
piano del 1889: se poi più tardi dovesse venir liberata anche piazza Corvetto, non sarebbe gran
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male costruirne un’altra anche lì, creando la medesima sequenza di tre porte che vedremo lungo il
corso Ticinese.
ZONA 5 - Piazza Abbiategrasso
La vecchia uscita di porta Vigentina era nota perché portava a Pavia e alla val Tidone, e la sua
importanza è stata di recente sottolineata da un nuovo tracciato che conduce verso il centro
lateralmente a via Ripamonti, ma non sembra emergere alcun sito significativo dove sottolineare
con una porta questo accesso alla città, perché la passeggiata tracciata a sud del cavalcavia
ferroviario è poi circondata da quartieri industriali poco consoni alla sua dignità; allo stesso modo
non possiamo prendere in considerazione piazza Maggi, dove arriva l’autostrada dei Fiori, perché
la sistemazione in corso ne fa uno svincolo prettamente autostradale dove una porta non avrebbe
né spazio né senso.
Piazza Abbiategrasso è invece un luogo singolare, perché la parte più antica e più compatta della
città, disposta lungo la via Meda con tutta la continuità fisica delle case e dei temi collettivi - la
piazza, la Chiesa Rossa, il mercato - si affaccia d’improvviso sulla pianura disseminata di
quartieri moderni, privi di qualsiasi connessione materiale tra loro e con la parte più antica,
provocando un vago senso di spaesamento con una nuova porta sembra adatta a porre rimedio.
ZONA 6 - Piazza dei Gelsomini
Nonostante le trasformazioni e le manomissioni subite in questa parte della città dai piani
regolatori del 1889 e del 1912, via Primaticcio resta una strada cospicua, seppure tematizzata
con molta incertezza, e il suo incrocio con via Lorenteggio - ora la nuova strada vigevanese sembra un sito straordinario per una nuova porta d’ingresso alla città, certo più appropriato
dell’incrocio della stessa via Primaticcio con via Ferruccio Parri, nuovissimo ingresso alla città,
incrocio che meriterebbe peraltro di venire segnalato in altro modo, meno solenne di una porta.
ZONA 7 - Piazza Segesta
In via Novara, a prima vista, non sembrerebbe necessaria una nuova porta, soprattutto perché la
parte più esterna della città è vistosamente tematizzata dallo stadio di San Siro, simbolo per se
stesso grandioso della Milano che si annuncia, ed entrando poi nel tessuto delle strade compatte
della città antica vi siamo immersi prima ancora di rendercene conto: tuttavia, proprio nel tessuto
della città esistente, emerge come sito privilegiato piazza Segesta, che contrappunterebbe lo
stadio dalla parte di piazzale Lotto, all’interno della città, e d’altra parte darebbe adeguata
solennità alla conclusione settentrionale della sequenza nord-sud dei boulevard del 1912, con la
loro larghezza di 50 metri.
ZONA 8 - Piazza Firenze
E’ difficile sottrarsi al fascino della più cospicua sequenza di Milano - non a caso maturata
obtorto collo nel breve periodo dell’influenza napoleonica - quella radicata nel centro stesso della
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città, in piazza del Duomo, e scandita dal castello, dal parco, dall’arco della Pace, dall’ampio
corso Sempione per concludersi, sul fondo del viale della Certosa di Garegnano, con il colonnato
dorico di Musocco.
Nel primo tratto, fino a piazza Firenze, dove corso Sempione entra restringendosi, l’effetto resta
grandioso, mentre il tratto successivo è poi solo poveramente ritmato da piazzale Accursio, la cui
soluzione formale a raggiera, di evidente filiazione parigina, è clamorosamente inadeguata.
Apparirebbe dunque ragionevole offrire una nuova porta che scandisca questa straordinaria
sequenza nel suo tratto più povero, e precisamente in piazza Firenze, dove la città assume il suo
carattere monumentale.
ZONA 9 - Piazza Istria
Gli accessi in città, da via Imbonati, dalla Valassina, e dalla nuova Milano-Meda confluiscono in
piazzale Maciachini, a suo tempo progettato come un immenso spazio trapezio - corredato
eventualmente da un giardino pubblico - dove le loro divergenti prospettive riconfluissero in modo
unitario su via Farini, un’altra ricca sequenza che arriva a piazza Castello.
Era un disegno debole e se ne vedono le conseguenze nella sua disgregazione attuale, dove non
potrebbe aver senso nessuna porta perché le prospettive non sono polarizzate da una visuale
dominante.
Sembra invece assai più appropriato l’ingresso alla città da viale Zara, da un lato inequivocabile
viale alberato e persino, se il nostro suggerimento di rendere monumentale il mercato di piazza
Lagosta, strada trionfale, disponendo una nuova porta in piazza Istria.
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PARTE TERZA
CRITERI PER I PROGETTI ARCHITETTONICI
PREMESSA
Individuato il sito più adatto per le otto porte, questo studio ha l’obiettivo di fornire per ogni sito
le indicazioni di supporto alla sistemazione del quadro architettonico nel quale verrà inscritta
l’opera scultorea.
Queste indicazioni consistono, per ogni sito, in alcuni disegni che descrivono questi criteri
disponendo degli archétipi formali - porte, obelischi, colonnati, fontane,piramidi, - che rinviano
immediatamente, per consuetudine visiva, a un programma architettonico: ci aspettiamo per
esempio che un arco trionfale sia disposto in asse a una strada tematizzata o al fondo di un viale
alberato proveniente da fuori città, che un obelisco indichi il fuoco dove convergono gli assi
visuali di varie strade tematizzate, che un colonnato delimiti al suo interno uno spazio circoscritto
ma non chiuso - come quello di San Pietro -, che una fontana sia uno specchio d’acqua per
interrompere la continuità delle pavimentazioni o possa costituire, con getti verso l’alto, un
motivo alternativo all’obelisco, che un filare di alberature intenda sottolineare la continuità con i
filari delle strade tematizzate contigue.
Queste figure vanno intese dunque come metafore visibili di criteri solo concettuali, perché in
effetti ci attendiamo da un lato che l’opera degli architetti e degli artisti consista poi in una loro
reinterpretazione, ma anche che le soluzioni proposte siano semmai più efficaci - e non meno - di
quelle consolidate cui abbiamo qui fatto riferimento.
Per esempio la gugliata del filo di Oldenburg in piazza Cadorna sembra a prima vista
volutamente disposta sull’asse visuale di via Carducci, ma se questa ne era l’intenzione estetica la
forma sinuosa la rende certo meno evidente e leggibile di quanto non risulti per esempio nel
monumento a Garibaldi disposto in largo Cairoli sull’asse visuale di via Dante.
Piazza Cadorna
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I criteri generali sono quelli già esposti nella parte introduttiva, e sono poi riconducibili al
programma di restaurare il sistema dei boulevard, delle passeggiate, dei viali alberati disegnati un
secolo fa sottolineandone con le disposizione dei viali e degli alberi la continuità in modo da
ricostruire le loro sequenze e renderle visivamente evidenti.
Dovunque il criterio adottato per sottolineare la continuità è quello di disporre le figure classiche
sulle visuali assiali, ma ciò non è sufficiente per nobilitare il sito della porta che in molti casi
risulta poi essere - nonostante la sua rilevanza nell’immagine estetica della città - uno spazio
circondato da edilizia frammentaria: un problema, questo, vecchio di secoli, se nel maggio del
1297 i senesi, appena finito il Campo, tentavano di obbligare i frontisti a rendere le facciate delle
loro case, con belle bifore, esteticamente all’altezza della volontà di forma sottesa alla grande
piazza e manifesta nel palazzo municipale, nella fontana, nella pavimentazione.
Per ogni sito sono state quindi anche indicati i criteri per quelle sistemazioni collaterali che
sembrano le più appropriate a esaltare la figura della porta.
I criteri indicati e la loro esemplificazione nei disegni mettono anche in evidenza le trasformazioni
che saranno necessarie per realizzare una sistemazione architettonica corrispondente a quella
indicata, che ovviamente non abbiamo ritenuto di approfondire caso per caso perché mettere a
punto un progetto definitivo con una conferenza dei servizi appartiene al successivo ambito del
progetto architettonico vero e proprio.
Tuttavia abbiamo adottato alcuni criteri di fattibilità di massima desumibili dai comportamenti
dell’amministrazione comunale negli ultimi anni, e precisamente:
a) secondo
quanto già premesso abbiamo adottato come sistemazione standard dei boulevard
quella messa in opera dal Quadrante municipale parchi e giardini in via Omero e come
sistemazione standard delle passeggiate quella di viale Argonne, pur apportando in qualche
caso varianti suggerite da particolari conformazioni locali, varianti da intendersi come la
segnalazione di un problema che altri potranno rendere tecnicamente più attendibili;
b) abbiamo
sempre ripristinato, anche in questo seguendo gli orientamenti attuali degli uffici
tecnici comunali manifestamente favorevoli alle rotonde alla francese, i rondò dei piani
regolatori di un secolo fa, e talvolta ne abbiamo aggiunto qualcuno per nostro conto;
c) per
liberare la parte centrale dei rondò abbiamo spostato ai loro margini le sedi tranviarie,
adottando come raggi di curvatura quelli attualmente in uso e, in tutti i casi nei quali sia stato
possibile, tenendo conto anche dei jumbo;
d) per le alberature esistenti abbiamo adottato il criterio che dovessero venire mantenute soltanto
quanto costituivano episodi singoli o di insieme particolarmente apprezzabili, mentre le
alberature minori abbiamo previsto potessero venire tagliate - come in parecchi casi in
passato - quando in contrasto con le nostre indicazioni, in quasi tutti i casi sostituendole con
altre piante il cui costo, anche se trapiantate già adulte, non sembra in genere incompatibile
con il bilancio complessivo dei nostri interventi.
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Dovrebbe poi essere inteso - ma giova ripeterlo - che la sistemazione delle piazze sarà improntata
alla massima essenzialità, nel senso che il quadro architettonico dovrà venire contenuto nei
termini strettamente necessari per esaltare e sistemare porte e obelischi ma senza nulla aggiungere
che possa distrarre dalla comprensione piena e immediata dell’insieme, salvo gli eventuali
elementi correnti di arredo urbano, specie quando sia prevista una sistemazione a giardino.
Su questi singoli elementi e sull’arredo delle piazze non abbiamo fatto un discorso ad hoc - né in
generale né nei singoli casi - perché si tratta di obiettivi già maturati nel contesto del settore
Arredo urbano che devono trovare solo applicazione: ma vorremmo raccomandare che per quanto
possibile lampioni, panchine, cassonetti, pavimentazioni, la stessa segnaletica stradale
richiamassero quelli ottocenteschi, per sottolineare anche qui la continuità delle strade tematizzate
di cent’anni fa.
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1. Piazza Loreto
Come piazza Firenze piazza Loreto è - abbiamo visto - uno dei siti più appropriati per una nuova
porta, perché vi percepiamo la convergenza delle tre strade da nord - viale Monza, viale Padova e
da viale Palmanova via Leoncavallo - e insieme lo spiccare dei boulevard esterni del piano
Beruto, una convergenza davvero unica nella geometria cittadina..
Ma è una percezione che non trova un immediato riscontro visibile, perché queste convergenze
così evidenti nella nostra immagine mentale non sono affatto altrettanto chiare sul terreno: l’asse
visuale di tutte queste strade tematizzate infatti non converge affatto verso il centro della piazza,
sicché sarebbe proprio compito della sua sistemazione architettonica e monumentale evocare i
termini della nostra immagine mentale.
Sottolineamo anzitutto che i due boulevard del piano Beruto appartengono al medesimo universo
formale, e poiché la convergenza dei loro assi in un fuoco comune non sarebbe significativa
perché - coinciderebbe con l’inizio del solo viale Abruzzi e nessuno potrebbe collegarlo a viale
Brianza, eccessivamente lontano occorrerà esaltare l’inizio dei due boulevard con due obelischi
identici, che richiamino la loro ricorrenza.
La prospettiva stradale più lineare e più rilevante è ovviamente, vis-à-vis della lontana Torre
Velasca, quella di corso Buenos-Aires, sulla quale andrebbe dunque collocata, assialmente alla
sua veduta verso il centro, una porta sufficientemente ampia da raccogliere la convergenza
visuale delle altre strade, proprio come a Parigi l’arco di Trionfo chiude anche la prospettiva
dell’avenue Foch che pure non è disposta sul suo asse.
La nuova porta dovrebbe risaltare sulla superficie del rondò, (.dove sarebbe molto bello poter
chiudere i coperchi di plastica che vorrebbero assicurare al sottostante salone della metropolitana
uno scampolo di luce naturale non particolarmente emozionante e della quale del resto non
sentiamo la mancanza nelle altre stazioni sotterranee, rivestendolo tutto con un perimetro
marmoreo unitario, forse sottolineato da una balaustra che solleciti l’immagine di un monumento
perfetto indifferente al caos del traffico.
Questa indicazione di metodo è, come quelle per le altre piazze, soprattutto metaforica, perché la
soletta della stazione della metropolitana impone - come del resto anche in piazza Lodi - materiali
più leggeri del marmo cui la figura stessa di un arco trionfale rinvia.
La stessa leggerezza della soletta suggerisce peraltro una seconda indicazione, più radicale, e cioè
quella di demolirla ricavando un immenso vano a cielo libero, che noi abbiamo suggerito di
coprire con una piramide trasparente come quella disegnata da Pei nel cortile del Louvre, il cui
effetto singolare, di giorno e di notte, non si vede perché non dovrebbe essere il medesimo anche
in piazza Loreto.
Sia la porta sia la piramide dovrebbero esplicitamente dialogare con i due obelischi di viale
Abruzzi e di viale Brianza, in modo che risulti bene avvertibile come piazza Loreto non sia
soltanto il punto di convergenza dei viale alberati provenienti dall’esterno della città verso corso
Buenos Aires ma anche il fulcro del sistema dei boulevard esterni del piano Beruto.
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L’alternativa di un arco isolato al centro di un parterre di marmo sembra richiedere un riscontro
nel perimetro della piazza, molto irregolare, per il quale abbiamo quindi suggerito una
piantumazione circolare di nuovi alberi, che ne costituiranno il quadro; questa esigenza non è
invece avvertibile nel caso della piramide che, occupando l’intero invaso, costituisce di per se
stessa un rilevante tema di ordinamento spaziale.
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2. Piazza Susa
E’ possibile immaginare di riprendere verso nord, per buona parte della sequenza dei boulevard
del piano del 1912, larghi 50 metri, la sezione di viale Omero, con il suo parterre libero e i suoi
alberi ai lati, ma oltre piazza Susa tuttavia dal filo occidentale della sequenza sporge
d’improvviso un corpo di fabbrica anomalo - costruito prima del piano lungo la linea ferroviaria
della quale dopo il 1927 una nuova strada occupa il sedime - che ostruirebbe una delle due
carreggiate laterali rendendo quasi obbligata un’unica corsia centrale, da correggere subito dopo
se non vogliamo finire in piazza Piola con la sistemazione attuale, nella quale è difficile
riconoscere l’inizio dei boulevard.
Questa anomalia non ci consente di sottolineare la continuità della sequenza dei boulevard con la
continuità dei filari alberati, mentre a sua volta la continuità dei filari di viale Argonne con corso
Concordia è resa un poco problematica sia dalla differenza nella sezione della passeggiata in
questi due tratti, e sia perché risulterebbe visibile a causa dei folti alberi attualmente sul parterre
della piazza, che non possiamo essere certi sia ragionevole abbattere solo per questo motivo.
Poiché d’altra parte il profilo planimetrico degli edifici che circondano la piazza (sempre a causa
delle case costruite lungo il tracciato ferroviario) è parecchio irregolare, è meglio affidare la
rappresentazione della sua continuità e del rilievo simbolico a un colonnato di grandi dimensioni
che ne sottolinei il contorno con esplicite intenzioni monumentali, una soluzione del resto già
rimessa in campo quindici anni fa a Cergy-Pontoise.
Dany Karavan, Cergy-Pontoise
Questo colonnato perimetrale potrebbe di per se stesso venire considerato sufficiente ad esprimere
il rilievo monumentale della piazza - alla stregua delle altre croci di strade ricordate più sopra a
Palermo e a Roma - ma per connotarla come una porta occorre forse qualcosa di più.
Disporre al suo centro un arco, che in se stesso denota un viale alberato di accesso alla città,
sarebbe qui fuori luogo perché, pur in effetti costituendo viale Argonne un accesso alla città, vi
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prevale il suo aspetto di passeggiata e al più di strada trionfale; d’altra parte neppure sarebbe
pertinente sottolineare con un arco la sequenza dei boulevard nord-sud, trasversale alle direttrici
radiali.
Questa ambiguità verrebbe bene espressa da un arco a due fornici incrociati, interpretabile come
la sovrapposizione di due porte sulle due direttrici incrociate dei boulevard e delle passeggiate, un
arco con una dimensione sia commisurata a quella del colonnato - e in tal caso sarebbe necessario
abbattere alcuni alberi per renderlo visibile anche lungo l’asse delle passeggiate - o viceversa
sovrastante quella del colonnato, quasi per preservare - come sotto un gigantesco gazebo - la
cospicua vegetazione esistente, e anzi arrichendolo di nuovi alberi sull’attuale sedime stradale dei
boulevard.
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3. Piazza Lodi
Qui Beruto non poteva, come abbiamo visto, proseguire la linea dei suoi boulevard allineandoli
sul centro di un rondò (come era stato fatto in piazza Firenze) perché i binari di Porta Romana
obbligavano a una angolatura eccentrica, sicché questa piazza - diversamente da piazza Corvetto
- è dominata da una sola strada tematizzata, il viale alberato di accesso alla città costituito da
corso Lodi, e la porta dovrà quindi venire disposta al centro del suo asse visuale, una disposizione
poi sottolineata da filari alberati continui e simmetrici, almeno nel tratto fino al cavalcavia
ferroviario.
Questo fronte simmetrico, che comporta la sistemazione della scarpata laterale dell’attuale rampa
di accesso al cavalcavia - un rottamaio automobilistico da aperta campagna e non certo un
monumentale ingresso cittadino - non potrebbe continuare più a sud, perché anche se mai un
giorno, con l’eventuale scomparsa della stazione di porta Romana, corso Lodi diventasse tutto
complanare, la sua sezione attuale nella parte esterna resterebbe comunque più stretta della
sezione nella parte interna della città, sicché la simmetria del viale resterebbe limitata al primo
tratto, quello del resto che ai nostri fini interessa.
Mentre attualmente c’è una carreggiata unica centrale i disegni suggeriscono per il viale un
parterre verde con due carreggiate laterali, sia perché ne risultano più spaziosi la prospettiva
alberata e più ampio il rondò, sia perché questo sembra il condivisile programma generale del
settore parchi e giardini, anche se nel progetto dovrà venire curata soprattutto la simmetria tra le
due parti.
La porta dovrà inoltre venire disposta in modo che il suo fianco laterale risulti in asse alla
sequenza dei boulevard nord-sud, per sottolineare con un fondale anche su questo fronte la sua
rilevanza.
Viale Isonzo, il boulevard meridionale che passa davanti alla stazione di Porta Romana, non
converge invece sulla porta, ma suggeriamo di coinvolgerne la prospettiva assiale nella nuova
sistemazione collocando un obelisco al suo incrocio con l’asse di corso Lodi, sicché a chi
provenga da fuori città la piazza sembrerà impegnata dalla successione obelisco-porta. Se poi lo
scalo ferroviario dovesse scomparire anche la visuale assiale della strada oggi al di là della
ferrovia convergerebbe sul medesimo obelisco.
Il rispetto per le visuali assiali sottolinea la continuità delle strade tematizzate ed esalta la
visibilità degli archi e degli obelischi, ma non è sufficiente ad assicurare una buona sistemazione
della piazza perché la sua frammentarietà - l’asimmetria tra i due boulevard, l’irregolarità del
contesto edilizio - rischia di far sembrare anche un arco trionfale appena costruito un rottame, o
meglio l’estraneo residuo di un’altra, forse precedente, città.
L’indicazione più plausibile è quella di piantumare il cerchio del rondò con un doppio filare delle
medesime essenze di corso Lodi (che potrebbero o no essere le medesime dei due boulevard);
poiché però non si tratterà di verde perenne un effetto analogo dovrebbe venire conseguito in
inverno con una balaustra circolare attorno al rondò, per quanto possibile - compatibilmente con
le caratteristiche statiche della copertura della stazione della metropolitana - sopraelevata di
qualche momento.
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Gli alberi attuali sono destinati a scomparire per dare maggiore visibilità alla nuova porta - del
resto i filari nuovi ne prevedono in numero maggiore - anche se volendo, e seppure senza
particolare giovamento, due piccoli gruppi potrebbero venire conservati.
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4. Piazza Abbiategrasso
Questo sito sembra a prima vista particolarmente appropriato per una porta, perché da un lato è
allo sbocco esterno di una lunga strada cittadina che simula d‘essere davvero una strada di
comunicazione territoriale la cui origine, sui boulevard delle mura spagnole, è contrassegnata da
un vero e proprio arco trionfale, quello eretto dai milanesi in ricordo della battaglia di Marengo, e
dall’altro lato entra in un vero e proprio sobborgo come quelli di un tempo, dove l’edificazione
quasi continua verso il Gratosoglio contrassegna un paesaggio esplicitamente urbano ma poi
commisto a quello della campagna (anche se si tratta di un falso viale alberato in realtà poi non
conduce da nessuna parte - o meglio si perde nella direzione affatto secondaria di Rozzano e di
Basiglio- mentre la vera strada per Pavia è lungo il naviglio).
Ma a questo nitore concettuale fa riscontro una certa complessità morfologica, perché un arco
sistemato a concludere via Meda avrebbe dimensioni modeste rispetto a via dei Missaglia, mentre
d’altra parte un arco calibrato sulla sezione di via dei Missaglia sarebbe del tutto sproporzionato
a quella di via Meda: in sostanza il sito è appropriato ma il suo trovarsi a cerniera tra due
paesaggi molto diversi pone qualche problema morfologico.
Il disegno suggerisce che alla vista di chi arrivi da via dei Missaglia la città venga annunciata da
un arco a cinque fornici, ciascuno dei quali potrebbe venire destinato a un tipo diverso di traffico
(ma non necessariamente: la tipologia e l’organizzazione del traffico possono cambiare mentre i
monumenti cittadini sono fatti per essere sempiterni) e che nell’insieme ha l’aspetto di un residuo
di antiche mura, aprendo verso il centro cittadino una sequenza di archi ritmata da quello citato,
eretto in memoria di Marengo, e da quelli ancora più interni della medievale porta Ticinese.
Il rondò interno a questo arco a cinque fornici è letteralmente deforme, perché vi convergono una
strada passante trasversale alla direttrice nord, di poco momento, e una strada diagonale
importante per i flussi di traffico verso la città ma di nessun rilievo formale perché sconnessa da
qualsiasi sequenza, anche quando dovessimo realizzare la grande croce di via Giovanni da
Cermenate.
Piuttosto dunque che trattarlo come un rondò suggeriamo di impegnarlo con un’altra piramide, un
tholos circolare coperto da un cono il cui profilo venga riprodotto, nel medesimo materiale, a
concludere il lungo parterre rilevato verso il naviglio pavese.
L’intento è quello di costituire con tre semplici elementi - l’arco multifornice, il tholos, il timpano
- un insieme monumentale che costituisca nel suo insieme la porta, quasi echeggiando il lontano
inizio della sequenza nel centro cittadino, con gli archi, le colonne romane e la chiesa di San
Lorenzo.
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5. Largo dei Gelsomini
Come abbiamo ricordato nella prima parte di questo documento largo dei Gelsomini era stato
disegnato, nel piano del 1912, con una dimensione fuori dell’ordinario, successivamente alterata
nel tratto di fronte alla via Giambellino fino a farne un lungo parterre rettangolare, più largo ma
meno profondo di quello previsto originariamente, e parecchio ristretto nel primo tratto, fin dove
poi inizia via Primaticcio proseguendo verso nord con successivi allargamenti e nuovi
restringimenti.
Per ridare all’intera successione del largo dei Gelsomini e della via Primaticcio un’immagine
unitaria occorre individuare lungo il loro minimo tracciato comune una lunga passeggiata
alberata - per forza di cose relativamente stretta - facendone il connettivo di tutti i diversi e
successivi allargamenti, pensati in questa ottica come tanti giardini, ciascuno con una sua
riconoscibilità, ramificati da questo lieve filo conduttore comune.
Questa passeggiata incrocia via Lorenteggio appunto nel sito della nostra porta, conformata in
modo da sottolineare la sua continuità: in effetti la porta è sdoppiata in due archi successivi
disposti sulla linea esterna della passeggiata, ciascuno a tre fornici, due dei quali destinati al
traffico e il terzo a chiudere un piccolo specchio d’acqua il cui scopo è quello di sottolineare, con
il suo rinviare all’immagine del giardino, la continuità della passeggiata, che si vorrebbe
apparisse appena interrotta dal traffico lungo la via Lorenteggio.
Gli archi saranno poi legati da una forma di porta molto stilizzata - un’alta trave trasversale lungo la visuale di via Lorenteggio; una balaustra potrebbe poi venire disposta per delimitare le
corsie di traffico, come appunto si trattasse dell’interruzione di una passeggiata a giardino di sua
natura continua.
Sarà poi bene che i materiali degli archi siano consistenti ma con un carattere più domestico di
quelli disposti a denotare una prospettiva trionfale.
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6. Piazza Segesta
Questa nuova porta corrisponde alla sequenza dei viali alberati provenienti da Novara - che
entrano poi in città da piazza Zavattari - lungo il cui asse collocheremo dunque un arco trionfale,
ma di dimensioni e di aspetto particolarmente grandiosi, adeguati a costituire anche un fondale
appropriato alla sequenza dei grandi boulevard nord-sud del piano del 1912, larghi 50 metri, di
cui piazza Segesta costituisce il termine settentrionale e che verrebbero così conclusi anch’essi in
un modo degno.
D’altra parte la piazza, davvero cruciale, fa anche parte di un’altra sequenza molto rilevante,
quella che - salvo un breve moncherino sul lato opposto chiuso fin da un secolo fa dal parco
ferroviario delle Varesine - inizia da piazza Firenze, che con la nuova porta acquisterà uno
spiccato carattere monumentale, è ritmata da piazza Lotto (per la quale un giorno o l’altro
occorrerà studiare una risistemazione adeguata) e continua in via Paravia.
Per contrassegnare questa sequenza abbiamo qui indicato un obelisco, che echeggerebbe quello di
piazza Firenze - del quale parleremo più oltre - obelisco a sua volta collocato sull’asse visuale
anche di via Gavirate - che costituirebbe con l’arco, come in piazza Lodi, un complesso unitario
della porta -.
La sistemazione complessiva della piazza è stata disegnata come un quadrato centrale di 80 metri
di lato con tre aiuole semicircolari, che costituiscono classiche soluzioni di disegno urbano per lo
sbocco di tridenti - come la si vede allo sbocco di via Vittor Pisani in piazza Duca d’Aosta - ma
in verità questa simmetria del disegno nasconde una asimmetria di fatto perché tutta la parte nord
di piazza Segesta, dove non esistono rilevanti visuali assiali, potrebbe costituire uno spazio
continuo una variata sistemazione a giardino anche con alberi nuovi e per questo quel tratto
trasversale della strada potrebbe non venire eseguito.
Piazza Duca d’Aosta
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Anche in piazza Segesta occorrerà spostare la sede tranviaria o nel cerchio perimetrale o nelle
due strade secanti, mentre dovranno venire tagliati gli alberi che ostacolano la vista dell’arco e
dell’obelisco, ampiamente risarciti da piantumazioni nuove; poiché invece la forma della piazza
non evoca la compattezza di un rondò non sembra necessaria una corona perimetrale di nuove
alberature.
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7. Piazza Firenze
Di tutti i siti designati per una nuova porta piazza Firenze è forse il più clamoroso. Collocato al
fondo della strada trionfale più cospicua della città e nell’ambito della sua sequenza più ricca dal duomo al castello al parco all’arco alla passeggiata - è anche la patte d’oie più vasta e più
nitida della città, e prosegue infine verso una conclusione tematizzata dal cimitero di Musocco,
con la sua facciata neoclassica, in fondo a viale Certosa.
Tuttavia disporre un secondo arco trionfale che racchiuda corso Sempione riprendendo l’arco
della Pace più verso l’esterno, suggerirebbe una simmetria che di fatto non corrisponde alla sua
disposizione nella città, da dentro verso fuori non parallela all’incasato come è cours Belsunce a
Marsiglia.
E’ vero che qualche passeggiata è stata in antico disposta radialmente tra due porte successive - a
Verona, a Valladolid - ma allora la città finiva alla seconda porta mentre in piazza Firenze irradia
da tutte le parti; è anche vero che il medesimo irraggiarsi lo vediamo a Parigi nell’Etoile, attorno
appunto a un arco trionfale imitato da quello milanese, ma non possiamo leggere l’arco del
Carrousel, molto più modesto, come un suo pendant rispetto agli Champs-Elysées.
Suggeriamo dunque un obelisco molto alto - forse 80 metri o più ancora - sull’asse visuale di
tutte le strade che convergono sulla piazza, collocato su un basamento circolare largo a sua volta
60 metri, leggermente sopraelevato per esaltarlo vieppiù sul suo irregolare contesto.
Soluzioni come questa non sono infrequenti per sottolineare la porta di una città mentre la sua
riconoscibilità monumentale dovrà venire sottolineata da una forma visibile immediata, forse
archetipica, qui evocata dal nitore di un cilindro e di un disco in marmo chiaro, quasi a contrasto
con i piccoli giardini sulla corona della piazza che rimarranno come ora.
La massima parte degli alberi esistenti infatti, fuori dal progettato disco centrale, non dovrebbe
venire toccata; le linee tranviarie invece, che oggi attraversano il centro, dovrebbero venire
spostate ai margini della piazza come i disegni suggeriscono.
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8. Piazza Istria
Questo è forse il sito più lineare tra quelli scelti per una nuova porta, nettamente dominato dalla
prospettiva di viale Zara, la cui risistemazione a rondò, portando automobili e tram alla sua
periferia, crea immediatamente uno spazio appropriato per un arco, la cui configurazione dovrà
venire studiata in modo da tenere conto che la sua visibilità arrivando da viale Fulvio Testi, è
condizionata dalla sagoma del sottopasso ferroviario.
Anche l’edilizia di piazza Istria è molto disordinata, e anche qui è stata dunque prevista, per
renderla più regolare, una doppia corona circolare di alberi, delineando un viale esterno per i
pedoni - che lascerebbe un certo spazio davanti alle case - e uno più interno a protezione della
corsia tranviaria.
Recentemente è stata offerta in dono al Comune una scultura di Melotti, lunga circa 24 metri,
molto adatta a venire disposta qui trasversalmente a viale Zara: questo rondò è infatti l’unico con
una sola visuale privilegiata - negli altri convergono sempre più visuali - ed è quindi adatto ad
una scultura con una dimensione prevalentemente lineare.
Questa dimensione sembra tenere conto della veduta in progressivo allargamento, nel senso
orizzontale, che se ne avrebbe arrivando da viale Fulvio Testi, e ovviamente anche da viale Zara.
La sistemazione del parterre intorno alla scultura potrebbe poi essere a prato o in pietra, oppure con un richiamo a quelle precedenti nel Forte di Belvedere a Firenze e nella Villa Arconati a
Bollate - a sabbia grossa o consistente in uno specchio d’acqua.
Sarà necessario abbattere gli alberi che ora fiancheggiano la corsia di traffico, ampiamente
compensati dal triplo filare perimetrale più sopra suggerito.
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