Titolo della ricerca: LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE

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Titolo della ricerca: LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE
Titolo della ricerca: LA CULTURA DELLA PREVARICAZIONE
Introduzione
1. Che cosa si dice del bullismo
Il termine inglese “bullying” di cui l’italiano “bullismo” è la traduzione letterale di
quello che oggi comunemente viene usato nella letteratura e negli studi portati avanti
sull’argomento1.
La parola che viene utilizzata per riferirsi al bullismo nei paesi Scandinavi è
“mobbing”. Questa assume diversi significati e connotazioni. Da un lato prende come
riferimento un gruppo di persone, abitualmente esteso ed anonimo, coinvolto in azioni di
molestie; d’altra parte considera anche una sola persona che critica, molesta o picchia
un’altra. Secondo Dan Olweus, sebbene quest’uso non sia del tutto adeguato da un punto di
vista linguistico, è importante riferire al concetto di mobbing o bullismo entrambe le
situazioni: sia quella in cui un singolo individuo molesta un altro, sia quella in cui ad esser
responsabile di una molestia è un gruppo2.
Nello specifico: «uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato
o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni
offensive messe in atto da parte di uno o più compagni»3. Infatti, perché si possano
verificare episodi di bullismo, è necessario che all’interno della relazione vi sia
un’asimmetria. Lo studente è indifeso ed impotente, si trova all’interno di una situazione in
cui egli è soltanto vittima di violenza e di molestie da parte di colui o coloro che hanno
deciso di tormentarlo. Pertanto, mentre la violenza tra ragazzini che a volte le danno e a
volte le prendono è un normale scambio tra pari, il bullismo è invece una violenza fisica,
verbale o psicologica ripetuta, che si protrae nel tempo con uno squilibro tra vittima e
1
Cf. D. OLWEUS, Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti, 1993, p.
11.
2
Cf. Ibidem, p. 11.
3
Cf. Ibidem, pp. 11-12.
1
carnefice. Il bullo sceglie la sua vittima, di solito più debole (fisicamente e
psicologicamente) e la perseguita con effetti che nel tempo possono essere devastanti4.
I tre aspetti rilevanti per la definizione di bullismo sono:
-
L’intenzionalità, il prevaricatore o il bullo, pone in atto intenzionalmente dei
comportamenti fisici, verbali o psicologici finalizzati ad offendere o a recare
danno o disagio all’altro;
-
La persistenza, cioè la ripetizione della prevaricazione protratta nel tempo;
-
L’asimmetria, il disequilibrio di forza tra colui che prevarica e colui che
subisce, in quanto non è in grado di difendersi5;
il bullismo può manifestarsi in forme differenti:
-
diretta, consiste in attacchi rivolti nei confronti della vittima. Questa può
manifestarsi mediante una forma fisica ovvero: aggressioni, pugni e/o calci,
smorfie facciali, gesti offensivi; oppure attraverso una forma verbale ovvero:
insulti, prese in giro, derisione.
-
indiretta (o psicologica), consiste in una forma di isolamento sociale e in
un’intenzionale esclusione dal gruppo6;
Il bullo sostiene che il suo comportamento sia divertente, sia solo uno scherzo e che
le vittime prese di mira meritano di essere trattate così. Ciò che spinge i bulli a prevaricare
è un grande bisogno di potere e di dominio a cui segue una piacevole sensazione di
controllo e sottomissione degli altri. Far del male ai più deboli, può essere una
conseguenza di una certa ostilità nei confronti dell’ambiente maturata nel contesto
familiare spesso inadeguato poiché al suo interno vengono utilizzati stili educativi che
oscillano tra l’eccessiva coercizione e il permissivismo7.
Cf. F. MARINI – C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, Roma, Carocci Editore, 1999, p. 46.
Cf. A. CIVITA, Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio giovanile, Milano,
Franco Angeli, 2006, p. 32.
6
Cf. Ibidem, p. 32.
7
Cf. Ibidem, p. 41.
4
5
2
Spesso il bullismo è una conseguenza di alcune sollecitazioni che provengono dalla
famiglia, in quanto diviene motivo di orgoglio per la stessa. Gli adulti pensano che il
compiere degli atti di bullismo sia un modo per prepararsi al saper sopravvivere nella
società attuale, caratterizzata da continue provocazioni di vario tipo8.
Non sono esenti da colpe anche la tv o i videogiochi che trasmettono ripetutamente
scene di violenza spingendoli alla continua competizione prima con se stessi e poi con gli
altri, innescando sentimenti di aggressione manifesti in episodi di bullismo9.
L’essere ansiosi, deboli, insicuri e carenti di autostima sono esempi che favoriscono
il divenire vittima, così come l’avere un atteggiamento negativo verso la violenza e l’uso
dei mezzi violenti. Inoltre, anche le caratteristiche esteriori, come l’essere obeso, l’uso
degli occhiali, il colore dei capelli o altre particolarità riferite all’aspetto estetico e che
solitamente costituiscono delle particolarità che fanno sentire una persona diversa da quelle
che i media propongono come modello ideale, vengono indicate da alcuni bambini come
spunto di prevaricazione. Oltre alle caratteristiche esteriori vi è anche il colore diverso
della pelle che determina dei pregiudizi a causa dei preconcetti inculcati dagli adulti,
considerandoli “diversi”, meritevoli di occupare una posizione sociale di marginalità e di
conseguenti insulti10.
Secondo altre opinioni, il bullismo può essere anche una conseguenza della
competizione scolastica in vista del conseguimento di buoni voti. Il comportamento dei
bulli verso i propri coetanei può essere considerato come una reazione alle frustrazioni e ai
fallimenti scolastici11.
All’interno del contesto scolastico il bullismo riguarda tutti e non solo coloro che
ne prendono parte in maniera più evidente. Ciascun allievo assume ruoli diversi che di
seguito vengono sintetizzati:
-
bullo, chi prende attivamente l’iniziativa nel fare prepotenza ai compagni;
-
aiutante, chi agisce in modo prepotente ma come seguace del bullo;
8
Cf. Ibidem, p. 43.
Cf. Ibidem pp. 43-44.
10
Cf. Ibidem p. 42.
11
Cf. F. MARINI – C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, p. 57.
9
3
-
sostenitore, chi rinforza il comportamento del bullo attraverso segnali di
approvazione, ridendo, incitandolo, o semplicemente stando a guardare;
-
difensore, chi prende le difese della vittima consolandola o cercando di far
cessare le prepotenze;
-
esterno, chi rimane estraneo alle prevaricazioni non prendendo alcuna posizione
né verso il bullo, né verso la vittima;
-
vittima, colui che è oggetto di prepotenza12;
I numerosi studi e le numerose ricerche portate avanti sul campo rilevano che gli
atti di bullismo sono frequenti sia nelle scuole elementari che nelle scuole medie. Il
numero degli studenti coinvolti nel bullismo a scuola raggiunge cifre allarmanti,
rispettivamente il 64 % alle scuole elementari e il 50 % alle scuole medie.
2. La cultura della prevaricazione secondo Baraldi
Negli ultimi decenni, all’interno del sistema educativo i comportamenti devianti
degli studenti sono cresciuti in modo smisurato e questi sono stati interpretati dagli esperti
come atti di bullismo. Inoltre i mass media hanno enfatizzato le informazioni ottenute in
riferimento a questo tipo di comportamenti e le hanno tradotte come indicatori di una
allarmante crisi generazionale13.
Il significato del bullismo è stato studiato cercando di capire le caratteristiche
individuali dei bulli. In particolare è stata attribuita ai bulli una incompetenza nelle
relazioni con gli altri. Tuttavia, questa attribuzione di incompetenza viene attuata da un
osservatore esterno e non dai partecipanti alla relazione, né sulla base di dati inerenti
all’efficacia della relazione tra di essi. Questa attribuzione è basata sul significato di
relazione “positiva” che è assegnato da un osservatore secondo parametri valoriali prima
che scientifici. Nella prospettiva psicologica, questa osservazione appare sconcertante
perché l’attribuzione di incompetenza relazionale è infatti associata ad una tendenziale
12
Cf. A. CIVITA, Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio giovanile, p. 33.
Cf. C. BARALDI, Cultura della prevaricazione e gestione del conflitto, in «Minori e Giustizia» (2007) 4,
p. 275.
13
4
assenza di motivazioni nel comportamento, per cui il bullo fa soffrire la vittima “per il
gusto di farla soffrire”. Dunque si tratta di una combinazione di incompetenza e
arbitrarietà?14.
Secondo gli studi e le ricerche condotte sul campo da Baraldi, il termine bullismo
non indica una realtà oggettiva, psicologica o comportamentale, ma una costruzione di
significati culturali. Il bullismo è un fenomeno culturale in quanto posiziona gli individui
nella società, come autori di azioni offensive e sistematiche considerare come prodotto
culturale. Per esempio: un italiano non si offende se un suo interlocutore agita le braccia
mentre parla oppure punta un dito contro di lui per indicarlo; invece per un vietnamita o un
giapponese questo sarebbe motivo di offesa. I confini culturali dell’offesa non sono sempre
chiari. Lo stesso tipo di scherno o di prepotenza può creare forti difficoltà, se non proprio
danni irreversibili, in un soggetto e nessuna difficoltà significativa in un altro15.
Secondo Baraldi, l’offesa è visibile solo attraverso la delusione di aspettative.
Un’azione offensiva delude le aspettative dell’interlocutore perché infrange una struttura
sociale stabilita, ossia una base conosciuta e condivisa di fiducia nella relazione sociale.
Pertanto l’offesa è intesa come una violazione di una struttura sociale che modifica e mette
in discussione le basi di una relazione. La debolezza di colui che riceve l’offesa traspare
nel momento in cui egli ha una reazione cognitiva. In altre parole: l’offeso è debole se e
quando si adatta senza opporvisi. Questo adattamento può condurre verso la stabilizzazione
di nuove aspettative tali da normalizzare l’azione offensiva così da poter essere ripetuta
con sistematicità nella relazione tra offensore e offeso (e ciò che precedentemente è stato
definito bullismo)16.
Quando si parla di azione offensiva, si deve tener conto non solo dei motivi
singolari e soggettivi dell’individuo incompetente ma è importante guardare all’interazione
e non alla singola azione. L’azione offensiva è sempre rivolta ad un interlocutore, e finisce
con il diventare sistematica nel momento in cui si afferma come struttura normativa di tale
interazione a seguito di un adattamento dell’offeso alla delusione subita17.
14
Cf. Ibidem, p. 276.
Cf. Ibidem, p. 276.
16
Cf. Ibidem, p. 277.
17
Cf. Ibidem, p. 277.
15
5
Una lettura così allargata ed ampia viene impedita da una visione morale che addita
tutte le responsabilità all’offensore e considera l’offeso come una vittima. Se si considera
la vittima come partecipante attivo all’interazione con l’offensore allora si possono
comprendere anche le origini di tali episodi. Seguendo quest’ottica il bullismo viene
considerato come fenomeno sociale che si realizza necessariamente nel quadro di
un’interazione tra offensore ed offeso. Inoltre esso è anche considerato come fenomeno
culturale, poiché l’interazione che lo riproduce proviene da alcuni orientamenti culturali;
quindi ciò che sta dietro alle azioni offensive non è rintracciabile solo nelle menti degli
offensori, ma nella cultura che li circonda. Questo ci permette di comprendere che
offensore ed offeso sono inseriti in un contesto scolastico, hanno delle famiglie alle spalle
e si muovono in gruppi più vasti di coetanei o quasi coetanei18.
La cultura dei pari è la base fondamentale su cui vengono ad edificarsi le azioni
offensive tra offensore ed offeso. La debolezza dell’offeso è complementare rispetto alla
forza dell’offensore. L’offensore può dominare nella scuola, perché chi si oppone si
colloca sul suo versante, e non su quello del debole, e nel momento in cui si produce una
sfida tra forze contrapposte, non si tratta più di bullismo, ma di rissa o scontro, venendo
meno la complementarità forza/debolezza e affermandosi la simmetria. Questa struttura
simmetrica di forze costituisce la cultura della prevaricazione. Questa struttura simmetrica
di forze si costituisce intorno ad una simmetria tra offesa e contro offesa, la quale rende
possibili i ruoli sociali (con la differenza tra soggetti forti e soggetti deboli) e la creazione
di aspettative nella relazione complementare tra offensore ed offeso19.
L’affermazione della cultura della prevaricazione richiede ulteriori condizioni di un
contesto sociale. La struttura simmetrica di forze contrapposte si accompagna ad un
processo di progressivo distacco affettivo dei bambini dalla famiglia e dalla scuola. Questo
distacco prevede, per la crescita del bambino, una crescente rilevanza degli aspetti
cognitivi a scapito di quelli affettivi: la scuola si orienta in questa direzione. Tuttavia c’è da
dire che i preadolescenti si trovano dinnanzi ad un raffreddamento della relazione che vede
protagonisti insegnanti e genitori. Nel caso degli insegnanti essi affermano che non sono
18
19
Cf. Ibidem, p. 277.
Cf. Ibidem, p. 278.
6
degli interlocutori significativi per i loro problemi rilevanti. Nel caso dei genitori essi
dichiarano di avere il timore di perdere la loro fiducia nel caso in cui gli comunicassero le
loro azioni devianti e dunque per preservare l’affetto e la fiducia, si smette di comunicare.
L’assenza di interlocutori adulti conduce i preadolescenti all’interno di un limbo
comunicativo in cui la comunicazione con i coetanei, affettivamente fragile, può essere
facilmente orientata dalla simmetria dei rapporti di forza e dalla complementarità di forza e
debolezza: le azioni offensive si diffondono in modo corrispondente20.
Infine, è attraverso la potenza dei mass media che all’interno delle nostre società si
verificano e si riproducono modelli di simmetria tra forza e debolezza. La cultura della
prevaricazione rimbalza nella quotidianità, si riproduce nei comportamenti dei genitori,
degli insegnanti e in altre numerose situazioni quotidiane. Insomma la cultura della
prevaricazione si costruisce in un’interazione e sulla base di orientamenti culturali
differenziati che coinvolgono i rapporti tra pari, la scuola, la famiglia e la cultura diffusa
dai media e dilagante nella vita quotidiana21.
3. La cultura della prevaricazione e il rapporto con il sistema scolastico
La cultura della prevaricazione è ben visibile e accessibile a tutti i bambini ed
adolescenti e deve a questo la sua riproduzione. Come si è visto la complementarità tra
forza e debolezza genera una padronanza del conflitto, cioè una forma di dominio del forte
sul debole. Il dominio può essere abbattuto attraverso un’azione di forza contraria che però
riproduce la cultura della prevaricazione. Infatti l’imposizione dell’autorità da parte
dell’adulto non è sufficiente per contrastare la cultura della prevaricazione, al contrario,
essa ne riproduce i rapporti di forza cercando di imporre una forza superiore. È evidente
dunque come punizioni, espulsioni, sorveglianze, non fanno altro che alimentare la
distinzione tra forza (avere potere) e debolezza (non averne)22.
20
Cf. Ibidem, pp. 278-279.
Cf. Ibidem, p. 279
22
Cf. Ibidem, p. 279-280.
21
7
L’analisi scientifica che non è investigazione poliziesca, non dovrebbe interessarsi
solo della registrazione numerica delle azioni offensive, ma dovrebbe porre la sua
attenzione a tutte quelle condizioni culturali che rendono possibile la riproduzione di
un’azione offensiva, e dunque alla cultura della prevaricazione e alla cultura
dell’antagonismo diffuse nella nostre società e alimentate dalle continue e frequenti
difficoltà di comunicazione tra adulti e minori.
La cultura della prevaricazione è il risultato del deteriorarsi della comunicazione
sia familiare sia scolastica. Come si spiega la constatazione generale che le scuole medie
inferiori sono un contesto che favorisce, anziché ostacolare la cultura della prevaricazione?
Un bambino o un preadolescente che si sente fuori posto o a disagio nella classe
non ha nessuna possibilità di uscirne, nel senso comunicativo del termine, come
accadrebbe invece in un sistema di frequentazione, e deve quindi subirne necessariamente
tutte le conseguenze, tra le quali c’è anche la possibilità di diventare vittima, oppure
aggressore. Integrare… rispetto al rapporto con la scuola
4. Gestione dialogica dei conflitti
La cultura della prevaricazione se arginata da adulti che utilizzano uno stile
autoritario non è per niente funzionale al buon clima della gestione della classe.
Vediamone un esempio trattato da una ricerca. Un’insegnante rimprovera un bambino con
un tono molto fermo e lo invita categoricamente ad adeguarsi a ciò che gli è stato
suggerito. Il bambino accetta ma nonostante ciò, l’insegnante insiste, poiché pensa che
l’alunno non abbia effettivamente capito la sua richiesta e ritiene necessaria un ulteriore
spiegazione. Questa genera un tentativo di reazione da parte del bambino che però viene
subito represso dall’insegnante con un tono nuovamente fermo tale da segnalargli
nuovamente la richiesta di adattamento. L’alunno rinuncia definitivamente e l’insegnante
può trarre la sua conclusione normativa sulla vicenda23.
Dall’esempio è emerso come l’insegnante abbia assunto un ruolo esclusivamente
istituzionale. Tuttavia questo ruolo evoca delle aspettative normative che sono compatibili
con quelle che fondano la prevaricazione (l’alunno è stato accusato di aver agito in modo
23
Cf. Ibidem, p. 280.
8
offensivo e sanzionato per questo, attraverso un’asimmetrizzazione dei rapporti di forza.
Per affrontare dunque la cultura della prevaricazione sembra più produttivo proporre una
distinzione alternativa rispetto a quelle che la riproducono. Questa produzione di
alternative è stata interpretata in vari modi24.
In primo luogo, si è ritenuto utile educare alla rinuncia alla forza, è bene che in
classe l’insegnante selezioni letture adeguate tali da stimolare ed accrescere il confronto;
avviare simulazioni e giochi di ruolo per far vivere un modo alternativo di gestire le
controversie ed in aggiunta fissare modelli concordati per regolare i conflitti25.
L’obiettivo generale di queste iniziative è poter giungere alla stabilizzazione di
“relazioni positive” per contrastare l’incompetenza relazionale tra bambini ed adolescenti.
Questo incrementa l’ascolto nei confronti degli interlocutori, promuovendo un modo
corretto e rispettoso di porsi nell’interazione ed apprezzando i diversi punti di vista26.
Ovviamente le tecniche dell’ascolto, della verifica del sentire e della partecipazione
dei bambini se non tengono conto delle molteplici variabili che costituiscono la cultura
della prevaricazione allora producono danni ulteriori, mettendo in dubbio la posizione del
più debole dal punto di vista istituzionale a cui poi si allineano tutti gli altri partecipanti. A
questo punto le relazioni positive risultano essere controproducenti, nel momento in cui è
l’insegnante stesso che con il suo ruolo incentiva involontariamente la cultura della
prevaricazione27.
La simmetria di forze è la base di partenza di un conflitto che può degenerare in
violenza o dominio. Ecco perché è utile in queste circostanze attivare una gestione efficace
del conflitto. La gestione del conflitto ha come obiettivo quello di sostituire la simmetria
normativa di forze nella quotidianità scolastica, offrendo un modo alternativo di affrontare
le offese. Questa operazione richiede il coinvolgimento attivo dei bambini e degli
adolescenti28.
24
Cf. Ibidem, p. 281.
Cf. Ibidem, p. 281.
26
Cf. Ibidem, p. 281.
27
Cf. Ibidem, p. 283.
28
Cf. Ibidem, p. 284.
25
9
Una metodologia usuale per coinvolgere attivamente i bambini e gli adolescenti è
quella della mediazione o educazione tra pari (peer education). È una tecnica che consiste
nell’assegnare ruoli attivi ad alcuni studenti i quali si mostrano disponibili ad essere
mediatori e/o coordinatori di gruppi di coetanei, in modo da assicurare un’autonomia nella
gestione dei problemi e un maggiore agio nel risolverli tra pari. Questa forma di
coinvolgimento, è preselezionata dagli insegnanti i quali hanno un ruolo importante di
attivazione e di controllo del percorso; in secondo luogo gli studenti selezionati come
mediatori devono essere formati per il ruolo che accettano di assumere. Su queste basi, gli
studenti prescelti assumono un ruolo diverso da quello dei compagni di classe: di fatto,
rendendo artificiale la gestione dei problemi, l’educazione crea una separazione visibile e
riconosciuta tra chi è competente e chi non lo è. Il coinvolgimento degli studenti è limitato
e predefinito; esso è guidato dagli insegnanti e dagli esperti, differenziato per via di
asimmetrie di ruolo. È molto importante la presenza dell’adulto e in quali modalità questa
presenza sia efficace29.
L’adulto è colui che stimola la riflessione mediante domande che non sollecitano
risposte corrette, ma un confronto di prospettive diverse. L’adulto non esprime giudizi.
Egli apprezza anche le prospettive che non condivide, attirando l’attenzione dei bambini
sui metodi possibili di soluzioni delle controversie, ignorando a sua volta tutti quei
contributi che tendono a creare una distinzione tra forza e debolezza30.
La sua narrazione introduce un’alternativa che viene colta ed elaborata dagli stessi
bambini. L’insegnante non propone nessuna soluzione, è l’interazione tra i bambini che
produce il risultato finale sostenuto dall’apprezzamento dell’adulto. In questo modo i
bambini sono partecipanti attivi ed autonomi che producono soluzioni nell’interazione tra
loro e con l’adulto. I punti di forza di questa metodologia considerano l’operatore come
colui che adotta una posizione promozionale attiva, stimolando i bambini a partecipare,
riflettere, elaborare. D’altra parte evitano qualsiasi richiesta di adattamento o proposta di
normazione. In questo modo si evita di alimentare la cultura della prevaricazione e si
introduce una cultura del dialogo31.
29
Cf. Ibidem, p. 284.
Cf. Ibidem, p. 287.
31
Cf. Ibidem, p. 287.
30
10
L’insegnante, pur non rinunciando al suo ruolo istituzionale, non si presenta come
più competente dei bambini, ma come un partecipante che ha obiettivi diversi dai loro e
che cerca di raggiungere insieme a loro. Si può affermare che l’intervento ha raggiunto il
successo se e quando si produce una negoziazione efficace, che vede il coinvolgimento di
adulti e bambini in un processo comunicativo che soddisfi l’uno e gli altri32.
Questo crea le condizioni di un metodo dialogico di gestione dei conflitti che può
disinnescare la cultura della prevaricazione.
Secondo Baraldi, per affrontare la cultura della prevaricazione, è opportuno:
1) Abbandonare l’osservazione delle azioni offensive come soli comportamenti
individuali;
2) Prendere atto che questa cultura non è semplicemente il prodotto di una
distinzione complementare e di potere tra forze e debolezza, bensì di una
distinzione simmetrica tra forze contrapposte;
3) Prendere atto che questa cultura non riguarda soltanto i bambini e gli
adolescenti, ma coinvolge tutti gli adulti significativi che interagiscono con
loro.
4) Abbandonare un’azione di repressione delle azioni offensive basata sul potere e
sul ruolo istituzionale;
5) Avviare una gestione dialogica quotidiana dei conflitti, che consenta di
affrontare le radici simmetriche della prevaricazione, sulla base della
partecipazione attiva di adulti e bambini/adolescenti, cioè una prova pragmatica
della comunicazione33.
La gestione dialogica dei conflitti richiede sperimentazioni. Ogni occasione in cui
emergono prospettive diverse può essere sfruttata per avviare riflessioni e mediazioni. Si
tratta di sfruttare ogni opportunità per promuovere la partecipazione attiva dei bambini e
degli adolescenti, per creare le opportunità di differenziare le prospettive, aprire conflitti e
quindi riflessioni e mediazioni. In questo modo la scuola può trasformare consapevolmente
32
33
Cf. Ibidem, p. 288.
Cf. Ibidem, p. 289.
11
il suo intervento da repressione o esclusione dei conflitti, in produzione di conflitti come
occasioni per affrontarli in modo dialogico. Secondo quello che è apparentemente un
paradosso, più conflitti attiva, più la scuola diventa efficace nel vincere la cultura della
prevaricazione34.
C’è da dire che una routine scolastica di gestione dialogica dei conflitti non può
contrastare da sola una cultura assai vasta che continua a riprodurre la prevaricazione. La
riflessione sul cosiddetto bullismo, se dirottata verso la riflessione sulla cultura della
prevaricazione, può avviare un cambiamento rilevante nell’interazione tra nuove
generazioni e istituzioni, dove gli adulti si propongono come promotori della
partecipazione, facilitatori della riflessione e mediatori, avendo una concezione dei
bambini e degli adolescenti come partecipanti attivi, autonomi e competenti35.
5.
6. Strategie preventive
34
35
Cf. Ibidem, p. 289.
Cf. Ibidem, p. 290.
12
Bibliografia
MARINI F. – C. MAMELI, Il bullismo nelle scuole, Roma, Carocci Editore, 1999.
CIVITA A., Il bullismo come fenomeno sociale. Uno studio tra devianza e disagio
minorile, Milano, Franco Angeli, 2008.
OLWEUS D., Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono, Firenze,
Giunti, 1996.
BARALDI C., Cultura della prevaricazione e gestione del conflitto, in «Minori e
Giustizia» (2007) 4, pp. 275-290.
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