Italiani ladri di lavoro

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Italiani ladri di lavoro
LA SICILIA
2.
GIOVEDÌ 24 OT TOBRE 2013
il FATTO
Inghilterra. Ventenne di Lecco
MIGRANTI
massacrato di botte in casa da un
gruppo di coetanei. Sotto choc
l’amico che abitava con lui
le tragedie
«Ci rubate il lavoro»
ucciso ragazzo italiano
Fermati 10 lituani, ma il movente xenofobo non è confermato
ALESSANDRO CARLINI
MAIDSTONE. Massacrato di botte in un tranquillo angolo dell’Inghilterra dove era andato per imparare
la lingua e lavorare. Per fare la sua esperienza. Come molti. Joele Leotta, 20 anni di Nibionno (Lecco),
invece a Maidstone, nel Kent, è stato ucciso. Aggredito e ucciso da un gruppo di suoi coetanei o poco
più, nella camera da letto dell’alloggio che aveva
preso in affitto con un amico al piano di sopra del
ristorante italiano dove aveva trovato lavoro come
cameriere.
La polizia inglese ha fermato in tutto dieci persone nell’ambito delle indagini, almeno due sono
stati rilasciati e saranno risentiti dalle autorità a dicembre. Per quattro ragazzi lituani è scattata invece l’accusa formale di omicidio: restano in carcere
e oggi dovranno comparire via video davanti ai giudici della Medway Magistrate’s Court. Sono inoltre
accusati di lesioni gravi ai danni di una seconda vittima dell’aggressione.
È Alex Galbiati l’amico di Joele. Con lui condivideva la stanza. A calci e pugni si sono avventati anche contro di lui domenica sera intorno alle 23.
Alex è finito in ospedale, ma ieri è stato dimesso. È
sotto shock: ha perso il suo migliore amico, ha
guardato in faccia la violenza, la cui natura, il cui
movente ancora rimane misterioso.
Su questo la polizia del Kent proprio non vuole
esprimersi, non vuole «speculare». Però i fatti li riferisce con puntualità e già in mattinata aveva reso noto che i sette cui era stato confermato lo stato di arresto tra i nove fermati «non sono inglesi».
Britannico solo uno dei fermati, poi rilasciato. Il primo elemento a ridimensionare il sospetto che Joele e Alex fossero stati bersaglio di inglesi, come era
trapelato, aggrediti al grido di «ci rubate il lavoro».
Comincia così ad alimentarsi l’orribile sospetto
della violenza a sfondo razziale. Ipotesi però che
con il passare delle ore viene via via smontata dalle dichiarazioni della polizia che centellina le informazioni, fino ad affermare: «Non stiamo trattando
il caso come omicidio a sfondo razziale» e anche
sulla possibilità che la violenza sia scattata dopo
una lite circa il posto di lavoro: ma «non ne siamo
convinti», hanno detto. E poi l’altra ipotesi, quella
di uno “scambio di persona” emersa da un post di
Facebook. «I proprietari del ristorante sono delle
bravissime persone. Inizialmente ci hanno spiegato che la camera in cui dormivano Joele e Alex era
prima occupata da un’altra persona ma che se ne
era andata. Non so che cosa è successo. Saranno le
indagini a chiarirlo», racconta il fratello di Alex
Galbiati, Omar.
Solo dalle indagini si potrà fare chiarezza su
questa storia atroce, dolorosissima soprattutto per
LA PROTESTA DEL 2009.
familiari e amici di Joele. I genitori sono giunti a
Londra e sono costantemente assistiti dal personale del consolato italiano. «L’unica cosa certa è che
mio figlio è stato ucciso, che si tratta di omicidio...
sul movente io non posso ancora dire nulla», ha
detto Ivan Leotta, padre di Joele. «Mio figlio era arrivato qui lunedì 14 e il giorno dopo aveva cominciato a lavorare nel ristorante Vesuvius. Joele era felicissimo di questa esperienza - ha raccontato il padre con la voce rotta dall’emozione - noi siamo tutti talmente frastornati che non riusciamo neppure a pensare, ora vogliamo capire, poi vedremo cosa fare. Mio figlio non era uno a cui piaceva far l’attaccabrighe e comunque, ripeto, era appena arrivato, non avrebbe neppure avuto il tempo per venire in attrito con qualcuno».
Joele Leotta si sentiva al sicuro nel suo appartamentino sopra il ristorante Vesuvius nella tranquilla Maidstone, piena provincia inglese del Kent.
Era arrivato da appena dieci giorni per fare il cameriere e imparare la lingua. Ma ora gli uomini della
Il luogo
Joele Leotta
è stato ucciso
a calci e pugni
da un gruppo
di nove persone
I N G H I LT E R R A
GALLES
Londra
KENT
Maidstone
Da un post
su
Facebook
emerge
anche la
pista dello
scambio
di persona
ANSA
LA TESTIMONIANZA DI CHI LAVORA IN INGHILTERRA
«Un Paese preso d’assalto non solo da italiani
è un’invasione di polacchi, spagnoli e indiani»
LONDRA. Londra! La principale destinazione
di molti italiani da sempre in cerca di lavoro
e di un po’ di fortuna. Per molti, però, anche
una scelta di vita, una passione, ma per altri,
ormai sempre di più, solo un’alternativa al
lavoro da cameriere (se fortunati con i tempi
che corrono...) in Italia. E dopo la tragica
storia della morte del ragazzo di Lecco ucciso
in un pub a Maidstone, nel Kent dopo una
rissa con un gruppo di ragazzi locali e molti
stranieri di altre nazionalità, dobbiamo
veramente cominciare a pensare che noi
italiani emigrati da queste parti stiamo
“rubando” il lavoro agli inglesi? Ci sono
sicuramente diversi pareri. Mary, ragazza
inglese che lavora part time in un negozio
mentre studia per diventare infermiera, la
pensa così: «Non credo che la gente che
viene da altri Paesi tolga il lavoro a noi
inglesi, penso siano, però, disposti a fare
qualsiasi cosa pur di lavorare anche con un
salario basso, magari lavori che noi inglesi
non vogliamo fare, ma se siamo ugualmente
qualificati è giusto che tutti abbiano le stesse
possibilità di ottenere un buon lavoro».
Mentre Anita, ungherese che vive a Londra
da sei anni, sa bene come funziona: «Gli
inglesi sono pigri, preferiscono lavorare part
time e prendere i “benefit” dallo Stato. Non
si impegnano abbastanza quando si parla di
lavorare, mentre quelli che espatriano da
altri Paesi come l’Italia, la Spagna e i Paesi
dell’Est, sono sempre in cerca di straordinari,
lavorano duro perché sono consapevoli che
se vogliono restare nel Regno Unito devono
guadagnare. Molti inglesi infatti contano
tanto sul lavoro di autista di autobus. E sì,
alcuni non sono contenti, ma è solo colpa
loro». Ma non sono solo gli italiani che gli
inglesi temono. Molti polacchi, spagnoli ma
soprattutto indiani sono continuamente in
cerca di qualsiasi lavoro (o più di uno) che
possa pagare l’affitto. Questo,
effettivamente, sta anche scatenando una
guerra tra immigrati, che cercano
disperatamente di aggiudicarsi un lavoro,
qualunque sia. Arrivando un attimo prima di
un altro straniero. Per quanto riguarda le
proteste dei ragazzi locali, invece, credo che
forse questi inglesi dovrebbero lamentarsi di
meno e impegnarsi di più. Io? Torno al mio
lavoro, dove probabilmente tra dieci minuti
qualche ragazza italiana verrà a lasciare il
suo curriculum dicendo. «I’m looking for a
job! ».
FEDERICA LODATO
scientifica vanno avanti e indietro dall’edificio dove il ragazzo è stato ammazzato a calci e pugni.
«Non sono stati i nostri ragazzi ad ucciderlo, come ho sentito dire da un sindaco italiano», commenta uno degli agenti della Kent Police che stanno controllando ogni centimetro dell’edificio su
due piani dove è avvenuto l’omicidio. Poco dopo
sarebbe arrivata la conferma ufficiale: gli accusati di omicidio sono quattro giovani lituani. E non inglesi, come si era detto in un primo momento,
smontando il movente razziale. Pare che comunque una certa tensione tra gli stranieri alla ricerca
di lavoro, in molti casi in arrivo da Paesi europei
che hanno risentito della crisi, possa essere il contesto in cui è avvenuta questa tragedia.
«Qui vivono tanti immigrati, è molto probabile
che si sia trattato di uno scontro tra di loro», dichiara Adam Grove, ventottenne inglese che abita nei
pressi del luogo del delitto. «È folle pensare a quello che è accaduto proprio qui, nella nostra strada»,
aggiunge il giovane.
Si dice che Joele avesse scelto proprio Maidstone e non invece Londra, come fanno tanti altri
suoi coetanei in cerca di un lavoro all’estero, perché
un cugino che vive da queste parti e gli aveva consigliato proprio di rivolgersi ai proprietari del Vesuvius. Lì infatti gli hanno messo a disposizione anche un alloggio, proprio sopra il locale, per essere
così “casa e bottega” e anche per non correre rischi.
Ora di fronte al ristorante campeggia la tenda
per i rilevamenti della scientifica e il tipico nastro
della polizia è stato steso tutto intorno. Il locale era
uno dei più attivi in città: ora è chiuso e al telefono risponde una segreteria. Anche se la cittadina
del Kent viene definita tranquilla «spesso ci sono
atti di vandalismo nelle nostre strade, soprattutto
da parte di giovani alcolizzati», come spiegato Richard Allan, portavoce della locale polizia. E le
possibilità di bere non mancano in un luogo che
non offre molti divertimenti.
Vicino al ristorante Vesuvius c’è un bingo e una
sala di biliardo, dove si gioca sino a tardi ed è frequentata, ha detto il proprietario, «da gente di diverse nazionalità».
Maidstone si trova nel Kent, considerato come la
“porta dell’immigrazione” dall’Europa verso il Regno Unito. Tanti sperano di restare qualche mese
per poi trasferirsi nella grande Londra. Ma per Joele non è stato così.
Migliaia di lavoratori contestarono la gara d’appalto vinta dal gruppo Irem nel Lincolnshire
Quando i sindacati inglesi fecero guerra ai siracusani
«Non stiamo rubando nulla - replicarono i vertici
del gruppo - e in tempi di piena globalizzazione
sarebbe assurdo pensare di chiudere le frontiere»
ANDREA LODATO
CATANIA. «British jobs for British
workers». Scesero in piazza in migliaia
nel gennaio del 2009 per contestare
l’arrivo di squadre di operai italiani
che per conto del gruppo industriale
siracusano Irem dovevano avviare i lavori per costruire un nuovo impianto
ad alta tecnologia della Total nel Lincolnshire, nel nord dell’Inghilterra. Le
tute blu inglesi non avevano digerito il
fatto che un’impresa straniera si era
aggiudicato l’appalto e sostenuti dai
sindacati si scagliarono contro il primo
ministro laburista, Gordon Brown.
La commessa era di circa 200 milioni di sterline, piuttosto appetibile e,
probabilmente, gli stessi sindacati avevano creato tra i lavoratori un’attesa
particolare, anticipando l’idea che
molti disoccupati avrebbero potuto
trovare lavoro proprio con quell’appalto. Finito, invece, legittimamente e
come sempre più spesso capita nel libero mercato europeo con una aperta
concorrenza tra gruppi industriali, nelle mani della Irem. Che, come da anni
fa lavorando non solo in Italia, ma in
mezzo mondo (spedisce operai specializzati anche in America, in Olanda,
negli Emirati Arabi), incaricò subito
un gruppo di tecnici specializzati per
andare nel Lincolnshire e avviare tutte
le operazioni propedeutiche per realizzare il progetto.
La protesta andò avanti a lungo, suscitando interventi non solo in Inghilterra e in Italia, ma di quasi tutti i Paesi dell’Unione Europea. Trascinati in
uno scontro per cui non avevano alcuna responsabilità, ovviamente, i dirigenti della Irem furono molto attenti
ad evitare di provocare ulteriori reazioni, ma furono anche molto chiari. L’attuale Chief financial officer e board
member dell’impresa, Giovanni Musso, intervistato più volte dai media di
mezza Europa, spiegò: «’La storia è
semplice, noi abbiamo vinto una regolare gara d’appalto a cui hanno partecipato diverse aziende. Abbiamo fir-
IL PRESIDIO DELLA POLIZIA INGLESE PER PROTEGGERE GLI ITALIANI NEL LINCOLNSHIRE
mato un contratto con la Jacobs, una
società d’ingegneria, e l’accordo prevede una penale in caso di mancato rispetto degli obblighi assunti. Quindi
siamo pronti a fare quello che dirà il
nostro committente».
Nel contratto era specificato che la
Irem, azienda che aveva già allora un
volume d’affari di 22 milioni di euro,
avrebbe utilizzato il suo personale:
operai specializzati italiani. I lavori nella raffineria per un importo di 17 milio-
ni di euro erano programmati per durare 4 mesi.
«E’ triste - aveva aggiunto ancora
Musso - che in un’economia sempre
più globalizzata si facciano ancora
queste discriminazioni. Sembra di essere tornati indietro di anni. Sono frastornato e stupito. Tra l’altro non c’è
nessuna clausola sociale che prevede
di non assumere operai inglesi: e nel
nostro staff in Inghilterra ne abbiamo
assunti venti. Nello staff abbiamo di-
pendenti inglesi come responsabili di
qualità».
Insomma la Irem stava dando ai sindacati e ai lavoratori inglesi una lezione di totale integrazione di lavoratori
all’interno di un gruppo industriale e
di un sistema produttivo, anche perchè
la Irem non aveva soltanto operai italiani, ma anche in Inghilterra aveva
mandato, essendo questo il fiore all’occhiello del gruppo siracusano, manodopera specializzata di altissima qualità. Lavoratori presi in Italia, in Portogallo e in altri Paesi europei.
Ma ieri come oggi, in una tragica vicenda che va certamente chiarita in
tutte le sue sfumature che hanno portato allo scontro, all’agguato e all’uccisione del povero ragazzo italiano, c’è
un denominatore comune. C’è che ieri a Londra e nel 2009 prima nel Lincolnshire e poi in altre città dove protestavano gli operai inglesi, lo slogan
più ripetuto e urlato era lo stesso: ci rubate il lavoro. Anche in quella circostanza ai vertici della Irem toccò replicare alla stessa accusa: voi rubate il
nostro lavoro. E sempre Giovanni Musso disse, stavolta senza mezzi termini:
«Si tratta di un piccolo lavoro quindi
non mi spiego queste proteste. Noi non
rubiamo il lavoro a nessuno, siamo
una società leader nei montaggi industriali e siamo stati scelti proprio per
questo. Non vorrei - concludeva il vicepresidente - che si tratti di polemiche
strumentali. In Inghilterra l’economia
è ferma e magari questa vicenda si
presta ad essere strumentalizzata».
In quell’episodio clamoroso che ebbe una grande risonanza internazionale, come detto, e in quello tragico di ieri costato la vita al ragazzo di Lecco,
quel che riemerge, comunque, è la
bruttissima sensazione che la crisi che
continua ad avvilire l’Europa, ma anche il movimento di gente, il flusso di
gente che si sposta e che è in crescita,
stia alzando la soglia di paura e, di conseguenza, quella della scarsa tolleranza.
Già nel 2009, in effetti, intervenne
addirittura il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ammonì: «Questa vicenda è inammissibile, con un atteggiamento di frange che
mettono a rischio la libera circolazione
dei lavoratori in Europa».
Insomma Napolitano aveva fatto
scattare un campanello d’allarme che
metteva in guardia proprio dal rischio che una esasperazione della
crisi scatenasse azioni e reazioni
scomposte. Degli inglesi contro gli
stranieri, ma, cosa ancora più complessa, anche degli stranieri contro gli
stranieri, come emerge in queste ore
dalla tragedia di ieri.