Untitled - Rizzoli Libri

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JAMES LASDUN
L’ASSEDIO E ALTRI RACCONTI
Traduzioni di Daniela Guglielmino e Laura Noulian
I GRANDI TASCABILI
BOMPIANI
Titolo originale dell’opera:
Delirium eclipse anD OTher sTOries (Delirium eclipse,
property, The siege, escapes, Dead labor, england’s Finest,
The spoiling, The Bugle, heart’s Desire)
Traduzioni dall’inglese
di Daniela Guglielmino (Delirio da eclissi, proprietà, lavoro morto,
la tromba) e di laura noulian (l’assedio, evasioni,
il migliore d’inghilterra, lo scempio, ciò che il cuore desidera)
isBn 978-88-452-7608-8
© 1985 by James lasdun
© 2014 Bompiani/rcs libri s.p.a.
Via angelo rizzoli 8 – 20132 milano
i edizione Tascabili Bompiani aprile 2014
Delirio da eclissi
Lewis Jackson aveva a disposizione circa dieci milioni
di dollari da investire in aiuti multinazionali. Era una somma enorme da gestire per un uomo giovane come lui, ma
Lewis era pienamente consapevole della responsabilità e
fducioso nella sua capacità di assumersela.
Era asceso alle gerarchie più alte con una carriera rapida
e scorrevole. Il volto ancora infantile aveva già la patina
tipica di chi lavora per il successo. Si ritrovava ora a occupare una posizione strategica nel sistema economico mondiale e si sentiva il battito del potere nelle vene.
La sua missione era la prima di una certa importanza
che gli fosse stata assegnata, ed era nell’India meridionale:
doveva amministrare i fondi per una serie di progetti, dallo
scavo di pozzi artesiani nei villaggi, a piantare e irrigare
alberi da frutta per migliaia di ettari.
Mancavano sei settimane all’inizio dell’incarico, e decise di trascorrere quel periodo visitando i grandi monumenti dei Moghul nel nord del paese.
Poco prima della partenza, a una festa in una casa di
Kilburn occupata abusivamente incontrò una ragazza di
nome Clare. Dalla fnestra cui erano affacciati, vedevano il
luccichio bronzeo del canale. Alla luce artifciale, i mattoni
delle case di fronte erano color seppia e il cielo viola.
“Immagina se questo canale fosse il Gange, e quelle case
dei templi”, fu la prima frase di Jackson, dopo di che, con
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disinvoltura, riuscì a portare il discorso sui dieci milioni di
dollari e sui suoi progetti. Parlò di pesche, prugne, manghi
e lime, di funghicidi e di fertilizzanti, di raccolti in attesa di
essere decuplicati... La sua loquacità si era fatta ancor più
animata per l’immediatezza del coinvolgimento personale,
così che se anche Clare non fosse stata interessata all’argomento, non avrebbe potuto fare a meno di notare l’esuberanza del racconto. Fu quest’entusiasmo che l’attirò a lui.
Clare era una donna serena, rilassata e senza malizie. Si
manteneva grazie al sussidio di disoccupazione e trascorreva il tempo tra le lezioni di danza, di lingue straniere e
d’artigianato che il municipio locale metteva a disposizione
di chi non aveva lavoro, a un costo simbolico.
I capelli avevano i colori della stoppa bruciata: oro
splendente sulle punte, più scuri verso le radici. Erano ftti e incolti, trattenuti da un legaccio, come un covone di
grano. Il pallido grigio lavagna degli occhi diventava, nel
ricordo, azzurro intenso. Il volto era largo, dai lineamenti marcati ma anche leggermente infantili, di tipo nordico.
Sembrava avvezzo a esprimere il piacere e poco altro. Se
fosse stato possibile fotografare la sua aura, la si sarebbe
vista brillare intorno al corpo, simile a un fuoco di sant’Elmo, indice di un insolito vigore fsico e spirituale.
Pochi minuti dopo averla incontrata, Jackson già desiderava portarla in India. I tempi erano stretti, la partenza
era prevista qualche giorno dopo, ma mentre srotolava davanti a lei i suoi sogni di gloria, si sentì sicuro di possedere
tutto il fascino, l’astuzia e la forza di volontà necessari per
convincerla ad accompagnarlo. Si sentiva invincibile. Alla
fne, l’unico vero ostacolo da superare fu la riluttanza di
Clare a lasciargli pagare il viaggio, cosa peraltro inevitabile,
visto che lei era a corto di denaro. Si lasciò smuovere solo
quando Jackson la mise al corrente di quanto guadagnava,
e accennò all’entità del conto spese. Era affascinata sia dal6
la spontaneità con cui era nata l’idea che dall’implicita promessa d’avventura, e una volta acconsentito ad andare non
vedeva l’ora di partire. Jackson si congratulò con se stesso
per aver trovato una compagna di viaggio piacevole e tranquilla come Clare, e sotto sotto non dubitò di meritarsela.
Moschee perlacee, incenso, succo di canna, fortini nel deserto, mani abili di massaggiatori ambulanti specialisti nel
massaggio ai piedi, versi lugubri d’avvoltoi sulle carogne...
Viaggiarono con molta calma, fermandosi a guardare tutto.
Godevano della compagnia reciproca. Clare, edonista e
libertina per natura, era paga di concentrare l’intera gamma della sua sensualità su Jackson, che a sua volta si sentiva
come un principe. Stava così bene di salute che presto smise di sciogliere pastiglie di cloro nell’acqua, e come Clare,
che sdegnava tali precauzioni, prese a bere dal rubinetto.
Era d’umore buono, magnanimo. Spargeva monete davanti ai mendicanti, elargiva mance generose ai portatori di
risciò e sovvenzionava gli ambulanti accumulando con avidità ghirlande, collane di perline colorate, sciarpe di seta
lucente e innumerevoli ninnoli, di cui addobbava Clare
con accostamenti sempre più sfarzosi.
L’unico momento in cui quasi litigarono fu all’uscita del
Forte Rosso di Agra, quando Jackson scrisse una cartolina
calorosa e faceta a un conoscente che giusto quella mattina
aveva descritto a Clare in termini di totale disprezzo. Clare
arrossì nel leggerla.
“Non dovresti spedirla”, disse.
“E perché mai?”
“È ipocrita”.
Jackson le disse di non essere sciocca, ma lei insistette
con convinzione caparbia, addolorata. “Vorrei che la strappassi”, disse, e poi: “Io non manderei mai una cartolina
così a una persona che disprezzo”.
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Jackson fnì per risponderle in tono aspro: “Se colleghi
la tua integrità a un’inezia come una cartolina, vuol dire
che non vale un granché. La mia la riservo per questioni
più importanti”.
Clare si rinchiuse in un silenzio ferito. Turbato, Jackson
andò a comprare un francobollo.
Era soddisfatto della sua reazione; gli pareva sia molto
intelligente, sia profondamente vera. Sottolineava un suo
modo gesuitico di vedere il mondo, nel caso specifco l’idea
che l’importanza del suo lavoro lo autorizzasse a quella piccola mancanza di sincerità che tanto scandalizzava Clare.
La missione di irrigare dei frutteti proteggeva l’anima dagli
eventuali danni causati da queste piccole ipocrisie. Anzi,
quanto più uno si esponeva a esse, tanto più forte sentiva la propria convinzione. Raggiunta quella conclusione,
Jackson provò una stretta di pietà per Clare, che nella vita
non aveva nulla di più serio con cui misurarsi della sincerità delle cartoline. Acquistò uno zaffro da un venditore
ambulante di gemme fuori dall’uffcio postale e, tornato al
chiosco dove Clare l’aspettava, glielo regalò.
“Ecco qui”, disse, “ecco cos’è importante per me”.
Clare lo scrutò diffdente, incerta se credergli. Lui la
fssava con il suo sguardo più sincero e risoluto. Notando
che a poco a poco gli stava concedendo il benefcio del
dubbio, si sentì afferrare da una gioia curiosa, complessa:
gli era bastata la pura forza di volontà per convincerla che
lo zaffro fosse un pegno d’amore, cosa che non era, e vedersi riconoscere questo potere lo gratifcava. Allo stesso
tempo, ravvisare che Clare accettava la pietra come pegno
d’amore l’accese di una smania euforica che in precedenza
aveva provato solo per delle estranee – donne bellissime
negli aeroporti o ai concerti, alle quali non avrebbe mai
parlato e che non avrebbe mai più rivisto... Sentire quel
desiderio per una ragazza come Clare che in quel momento
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lo guardava con occhi amorevoli e che poteva portare subito in camera da letto e prendersela quando voleva, era il
colmo della felicità.
Mr. Birla, il direttore dell’albergo nella città santa di Varanasi, era un giovane affabile vestito con i jeans e un’attillata camicia foreale. Parlava bene l’inglese e li informò che
era un angloflo. Disse di avere una riserva di specialità inglesi che stava smaltendo in ordine alfabetico. Il mese scorso aveva rifornito la dispensa di carne in scatola, cordiale al
lime e crema al limone. Questo mese toccava ai maccheroni
al formaggio in scatola, alla marmellata d’arance, ai muffn
e al Marmite. Si augurava sinceramente che non sentissero
nostalgia di casa.
Li accompagnò in una camera con balconcino da dove
si scorgeva la riva di una distesa d’acqua bruna, che scorreva placida sotto una patina oleosa: il Gange.
Li avvisò che erano arrivati in un giorno particolare.
Doveva esserci un’eclissi parziale di sole quel pomeriggio,
un avvenimento importantissimo nel calendario hindu. Era
in programma una processione lungo il fume, con inni “e
cose del genere”. Si offrì di accompagnarli.
Le strade cominciavano già ad affollarsi quando si avviarono. I santoni passeggiavano, cantando e pregando. Un
furgone Mercedes dai fnestrini grigio fumo accostò lungo
una strada per scaricare una dozzina di Hare Krishna dalla
pelle bianca, che si misero a danzare come pupazzi a molla,
percuotendo cimbali e tamburelli e intonando le loro melodie. Di tanto in tanto, per effetto loro o dei santoni, una
scarica di fervore si propagava tra la folla raccolta lì intorno; era però un fervore ancora transitorio, esitante, da cui
chi ne veniva colto poteva facilmente liberarsi un minuto
dopo per andare a comprare un pane indiano o una tazza
di latte caldo speziato.
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Erano tutti diretti ai gradoni di pietra che portavano al
Gange, ormai tappezzati di gente che gironzolava, si spingeva, ondeggiava in processione...
Jackson notò che Clare stava già entrando nello spirito della circostanza. Aveva dipinta sul volto largo, sano,
un’espressione di gioia. Sorrideva radiosa a tutti i passanti. Una vecchia rugosa si spostava barcollando di persona
in persona, balbettando una formula magica e ungendo le
fronti d’olio. Mr. Birla l’allontanò con un rapido gesto di
sdegno. Jackson lo imitò subito. Ma Clare, con grande solennità, scostò i capelli e abbassò la testa verso la donna,
rialzandosi con uno sbaffo rosso sulle sopracciglia. “Chi
era?”, sussurrò a Mr. Birla. “Una santona”, le rispose questi, con voce priva d’espressione. Clare era esultante. Sembrò sollevarsi di qualche centimetro e scivolar via, trascinata dalla folla. Si voltò per guardare Jackson, scrollandosi
dagli occhi la massa d’oro scuro dei capelli. Gli sorrideva
estasiata. Nel ricambiare il sorriso, il cuore di Jackson si
gonfò d’orgoglio, come se egli stesso avesse chiamato in
vita quella radiosa creatura.
Erano giunti al fume. Barche a remi ancorate alle banchine si sballottavano l’un l’altra nell’acqua scura. La gente
nuotava e si lavava. Jackson vide scarichi di fogna, lucenti
come bave di lumaca, gocciolare nell’acqua. Proprio accanto a lui, un ragazzo lavava una mandria di bufali indiani
nell’acqua bassa, ne grattava gli escrementi incrostati sul
didietro e spazzolava le pelli nere e polverose fno a farle
diventare quasi lustre, quasi impomatate, fnché il sole trasse bagliori azzurri all’apice dei muscoli del collo.
Si levò improvviso un suono di cimbali, di tamburi...
Qualcosa accadde alla luce. Non si oscurò, piuttosto si distorse. L’intera cupola del cielo parve un occhio che si
strizzava. Jackson sentì un rombo lontano; era assorto nello spazio immediatamente circostante, come se, nello stra10
volgersi, questo fosse diventato vitreo – una grande orbita
di vetro. Socchiuse gli occhi alzandoli al cielo. Scintillio
freddo al quarzo. “Non guardi il sole”, gli disse Mr. Birla.
Una lama di luce tagliente gli balenò nel campo visivo non
appena distolse lo sguardo; brillava come polvere di diamanti. Per un secondo fu accecato come da un riverbero
sulla neve, le viscere gli si contrassero per un disagio oscuro. Il sole si era deformato. Ebbe l’impressione di vedere
una spada di buio assoluto che lo perforava, l’impercettibile penetrazione della tenebra nella fonte della luce stessa.
Sulla strada del ritorno, oltrepassarono le Poste centrali, il cui recapito Jackson aveva lasciato ai datori di lavoro
e alla famiglia, in caso volessero mettersi in contatto con
lui. Lasciò Clare con Mr. Birla ed entrò a vedere se c’era
qualcosa. Da sopra il bancone gli porsero un telegramma.
Lo strappò per aprirlo. “Agenzia chiude. Fondi trasferiti.
Progetti cancellati. Personale licenziato. Sospendere ogni
spesa. Spiegazioni al ritorno.”
Sedette su una panca in fondo alla stanza mal ventilata,
ingombra di carta straccia, respirando profondamente per
ritrovare il controllo. Era consapevole dell’acuto sfnimento del suo corpo, che arrossì diffusamente come un tizzone riattizzato dall’aria, quando lui riguardò il telegramma.
Appena poté, si alzò e s’incamminò lentamente verso l’uscita. Nel tragitto, accartocciò il telegramma e lo gettò in
un cestino.
“C’era qualcosa?”
“No. Nulla.”
Il mattino seguente, Jackson aveva gli occhi infammati
per la congiuntivite. Fili di venuzze scarlatte si allungavano
dagli angoli verso la pupilla. Era come se avesse immerso i
bulbi oculari nell’acido. Li cosparse con un unguento alla
cloromicetina che aveva nel necessaire. Si guardò allo spec11