un curricolo di scrittura per la scuola superiore - Lend
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© LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato QUALE INPUT NEI DIALOGHI DIDATTICI? Carmen Argondizzo 1. INTRODUZIONE Nella formulazione di un syllabus di programmazione didattica annuale rilevante spazio viene ormai dato da un sempre maggior numero di insegnanti di lingua straniera (LS) ad obiettivi di programmazione rapportati ad abilità di lingua orale – ascolto e parlato –. Ormai frequentemente vengono evidenziati obiettivi generali da far raggiungere agli studenti quali: - comprendere messaggi in contesti familiari - produrre messaggi in tali contesti - comprendere e produrre messaggi in contesti sconosciuti - produrre messaggi orali in modo personalizzato ed adeguato al contesto sociale. Si evince da ciò la necessità di un coinvolgimento, attraverso il materiale didattico, di frazioni di lingua che vadano al di là della singola frase e che siano finalizzate a fornire quell’input necessario che permetterà gradualmente il raggiungimento di abilità pragmatico-comunicative da parte degli studenti. Attraverso accurate attività didattiche, di conseguenza, vengono proposti nelle nostre classi momenti di conversazione che possano creare i presupposti per aiutare gli studenti a comunicare in LS in modo corretto ed accurato. Unitamente alla interazione spontanea, anche se spesso inframmezzata da espressioni in LS e L1 che avviene tra studenti ed insegnante, i momenti di parlato, a cui solitamente esponiamo i nostri ragazzi, vengono presentati attraverso i dialoghi proposti dal materiale didattico e dai libri di testo. Ma spesso ci si chiede, siamo sempre soddisfatti del tipo di lingua presentata in tali dialoghi? Rispecchiano i dialoghi da libro di testo le caratteristiche tipiche della conversazione naturale? Ed inoltre, che genere di interazione scolastica ed extrascolastica incoraggiamo attraverso essi? Partendo da questa premessa, questo articolo fornisce: a) una breve analisi, seguendo un approccio di tipo sociolinguistico, di quei comportamenti conversativi e delle strategie di conversazione solitamente utilizzate in situazioni di interazione naturale (risposte non verbali, esitazioni, gesti, gestualità vista come legame alle modalità culturali rapportate alla LS, ecc.); b) un tentativo di analisi di alcuni dialoghi selezionati tra quelli contenuti nei libri di testo più usati nel triennio della scuola media inferiore e nel biennio della scuola media superiore. 1 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato Obiettivo dell’analisi è cercare risposte appropriate, anche se non definitive, a domande quali: - attraverso l’input linguistico riusciamo ad insegnare quelle convenzioni tipiche di conversazione e del parlato che sovente e spontaneamente vengono utilizzate durante l’interazione verbale naturale? - la lingua presentata attraverso i dialoghi rispecchia modi di dire ed espressioni tipiche della conversazione naturale? - o, al contrario, proponiamo dialoghi che presentano la lingua come un oggetto verbale perfettamente confezionato e spesso basato su forme stereotipe di linguaggio? - e, considerando il primo ed il secondo caso, quali sono i vantaggi o svantaggi di un approccio di tipo più “naturalistico” ed i vantaggi o svantaggi di un approccio più “stereotipo”? ed infine: - l’input socioculturale che i dialoghi dovrebbero fornire amplia le conoscenze dei ragazzi verso altri modelli di interazione conversativa, rendendoli consapevoli che esistono varie e diverse modalità di conversazione rapportate alla realtà socioculturale della lingua parlata? Obiettivo finale di questa analisi è riuscire ad identificare, anche se solo attraverso un campione limitato di dialoghi didattici, quei punti «forti» e, di conseguenza, pedagogicamente utili in contrapposizione ai punti «deboli» e meno utili che il vasto materiale didattico offre e, conseguentemente a ciò, a rendere gli insegnanti maggiormente consapevoli dei punti più rilevanti da valutare nel materiale didattico utilizzato. 2. CARATTERISTICHE E MECCANISMI DI CONVERSAZIONE NATURALE: BACKGROUND TEORICO Lo studio di come avviene il «discorso» in un contesto naturale è stato negli ultimi anni una delle aree di linguistica più considerate. La linguistica tradizionale si era a lungo basata sull’analisi di espressioni singole o speech acts (Austin, 1962; Searle, 1981) isolati, ignorando il contesto sociale in cui queste espressioni venivano enunciate. Più recentemente il focus si era spostato verso 1’analisi di quel discorso spontaneo ed informale che si realizza in situazioni comuni della nostra vita giornaliera, quali l’ambiente familiare, la scuola, il posto di lavoro, le strade, i locali pubblici, i mezzi di trasporto. Addentrarsi in questo campo rende necessario evidenziare il ruolo svolto da tre aree di studio diverse ma strettamente collegate tra di esse: gli studi di sociolinguistica, la pragmatica e l’analisi del discorso. Gli studi di sociolinguistica hanno per primi posto l’attenzione sugli eventi comunicativi che avvengono in situazioni di vita quotidiana. In relazione a questi eventi, si sono tenuti in considerazione il comportamento comunicativo che assumono coloro che si ritrovano coinvolti in tali eventi e, di conseguenza, il rapporto che intercorre tra tale comportamento comunicativo e gli specifici 2 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato contesti socio-culturali. In particolare la sociolinguistica studia il modo in cui L’interlocutore acquisisce la conoscenza di una lingua – la competenza comunicativa – ed il modo in cui acquisisce l’abilità a comunicare appropriatamente in situazioni conversazionali tipiche di una specifica comunità etnica. Rilevanti vantaggi di questa area di studio sono stati l’aver creato i presupposti per distaccarsi da quelle restrizioni della linguistica tradizionale che aveva voluto a lungo considerare la lingua solo come una conoscenza astratta della grammatica della lingua stessa, 1’aver focalizzato la propria attenzione sulle funzioni comunicative della lingua (es.: chiedere indicazioni, chiedere e dare istruzioni, esprimere i propri stati d’animo, ecc.), l’aver introdotto il concetto di competenza comunicativa (Hymes, 1974) considerata come acquisizione di regole diverse ed interrelate, così come ci mostra lo schema: regole linguistiche regole sociolinguistiche regole culturali l’abilità di usare la lingua in modo strutturalmente corretto; l’abilità di comportarsi appropriatamente durante uno specifico evento comunicativo; abilità di condividere i comportamenti culturali del gruppo etnico Seguendo queste direttive, di conseguenza, potremmo affermare che la sociolinguistica incorpora l’analisi di quei principi pratici che ci indicano come si svolgi la conversazione tra due o più interlocutori, cosa rende la conversazione coerente e comprensibile, come gli interlocutori coinvolti introducono e cambiano l’argomento del discorso, come si interrompono, come essi pongono domande e danno o evadono risposte, e, ancora più in generale, come il flusso di conversazione è mantenuto o interrotto da coloro che prendono parte all’evento conversativo. Tale evento viene, quindi, considerato non esclusivamente come un atto comunicativo durante il quale avviene un semplice scambio di messaggi linguistici ma come un evento socialmente significativo in cui i parlanti usano la lingua seguendo dei precisi ruoli e delle precise funzioni sociali. Strettamente collegata a questo campo la pragmatica (Levinson, 1983) si occupa di quegli aspetti del significato di un messaggio che non possono essere catturati dalla sola conoscenza linguistica ma hanno bisogno, da parte dei parlanti coinvolti nell’evento comunicativo, di conoscenze in comune del mondo circostante e delle abitudini e caratteristiche tipiche di esso. Per rendere più chiaro tale concetto consideriamo, per esempio, la frase «self-clearing cafeteria», che sovente ritroviamo in contesti in cui l’inglese viene parlato come L1. Sono due le interpretazioni che potrebbero essere attribuite ad essa: conoscenze linguistiche self-clearing cafeteria conoscenza del mondo circostante Attraverso le nostre conoscenze linguistiche e considerando altre frasi simili 3 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato (per esempio, «self-clearing oven», «self-raising flour»), nel leggere tale messaggio potremmo aspettarci che i piatti e le tazze in questa «cafeteria» si rimettano a posto da soli, ma la conoscenza del mondo circostante ci indica, invece, che saranno i clienti della «cafeteria» a rendersi conto che ci si aspetta siano loro a rimettere a posto le stoviglie da !oro stessi usate (Aitchison, 1992). E ovvio che essi abbiano usato il loro buon senso e la conoscenza del mondo circostante per dare l’interpretazione più plausibile di tale circostanza che non necessariamente era coerente con le strutture linguistiche conosciute. Arriveremo alla stessa conclusione se consideriamo anche questo cambio tra un adulto ed un bambino di quattro anni: Man: Michele: Who cooked your dinner if your mom is here? (chi ha cucinato la tua cena se tua mamma è qui con te?) Somebody’s waiting for us. (qualcuno ci sta aspettando) La frase-risposta apparentemente non coerente con la domanda formulata nasconde l’informazione-messaggio prontamente fornita dal bambino e richiesta dall’adulto, il quale facilmente la interpreterà attraverso un processo di inferenza. Sarà, infatti, quel «somebody waiting for us» a preparare la cena per il bambino. La parola «somebody» nasconde, infatti, l’informazione più dettagliata «auntie» (zia) che il bambino evidentemente non desiderava comunicare al suo interlocutore e, da ciò, se ne dedurrà ciò che poteva, ma non necessariamente doveva, essere espresso in forma più esplicita: la «auntie» che «is waiting for us has probably cooked dinner far me». (la zia che ci sta aspettando ha probabilmente cucinato la cena per me). Tale esempio potrebbe sembrare in contraddizione con il principio di cooperazione del filosofo americano Paul Grice (1975) di cui la pragmatica si occupa ampiamente. Le quattro massime dei principio cooperativo di Grice possono essere brevemente riassunte in: - Massima della quantità (Maxim of Quantity): dare la giusta e necessaria quantità di informazioni. Se viene chiesto «Chi è quel ragazzo?» rispondere «È il nostro nuovo compagno.» e non «Un ragazzo!» (risposta non cooperativa poco esauriente) oppure «È il nostro nuovo compagno. Si chiama Domenico. È nato a Cosenza nel marzo del 1983, ecc... » (risposta non cooperativa troppo esauriente). - Massima della qualità (Maxim of Quality): dire solo ciò che si ritiene vero. Se viene chiesto «che albero è?» non rispondere «un abete» o «un pino» se si sa che si tratta di una quercia. - Massima della relazione (Maxim of Relevance): dire ciò che si ritiene pertinente e significativo per il contesto in cui ci si trova coinvolti. Se si dice «che compiti hai da fare oggi pomeriggio?» rispondere «Inglese e matematica» e non «libri e penne». 4 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato - Massima del modo (Maxim of Manner): essere chiari ed ordinati nell’esposizione del proprio discorso. In breve, descrivere le cose nell’ordine in cui esse sono avvenute, es.: «il treno si fermò per dieci minuti al binario 2 per far salire i passeggeri, e ripartì velocemente» piuttosto che «il treno ripartì velocemente e si fermò per dieci minuti al binario 2 per far salire i passeggeri». Se considerate affrettatamente tali massime potrebbero sembrare un common sense, ovvio da rispettare da parte di qualsiasi conversatore. Diventa interessante, tuttavia, quando si considerano i casi, spesso frequenti, in cui i parlanti apparentemente rompono le regole di questo principio. Se rivediamo, infatti, la risposta del bambino nell’esempio sopra menzionato: Man: Michele: Who cooked your dinner if your mom is here? Somebody’s waiting for us. la massima della relazione non risulterebbe rispettata. Tale esempio, comunque, non evidenzia presupposti a sfavore del principio. Al contrario può dimostrare come esso funziona in pieno. Gli interlocutori (man, in questo caso) sono così convinti che l’altra persona coinvolta nella conversazione (Michele, in questo caso) si sta comportando in modo «cooperativo», che un breakdown superficiale di una massima di conversazione è considerato come poco rilevante. In breve gli ascoltanti interpretano ciò che l’interlocutore dice come se fosse conforme al principio cooperativo anche quando l’interlocutore rompe apertamente questo principio. Essi traggono, quindi, delle conclusioni dalla frase pronunciata che non vengono apertamente evidenziate dal messaggiosignificato linguistico (Aitchison, 1992). 3. CARATTERISTICHE E MECCANISMI DI CONVERSAZIONE NATURALE: RICERCA SUL CAMPO Ricerca sul campo come l’analisi del discorso, sviluppatasi come diretta conseguenza dei nuovi orizzonti linguistici da esplorare evidenziati dagli studi di sociolinguistica, si è concentrata sull’uso della lingua così come viene prodotta nei contesti sociali. In particolare, attraverso studi naturalistici e longitudinali (un soggetto o gruppo viene osservato in situazioni naturali di conversazione per un periodo di tempo piuttosto lungo) e attraverso studi sperimentali (un gruppo viene osservato durante situazioni create dal ricercatore in un preciso e limitato periodo di tempo), tale ricerca ci ha fornito una rilevante ed interessante quantità di dati basati su interazioni o dialoghi tra interlocutori che ci aiuta ad attuare una analisi dettagliata della lingua esplorata come fenomeno a livello di discorso. Questa analisi ci chiarisce che la conversazione è una produzione interattiva e congiunta tra due o più persone il cui comportamento è automatico, inconsapevole e in questo senso spontaneo e pur tuttavia risulta una produzione ben organizzata in modo generalmente non riconoscibile dai parlanti stessi. È l’abilità, quindi, di saper gestire un discorso 5 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato connesso in tempo reale, improvvisando, mantenendo la continuità nel discorso e nella comprensione, rispondendo velocemente a domande non aspettate e, di conseguenza, l’abilità di usare la lingua sotto quello che viene considerato lo stress comunicativo (Givon, 1979). L’analisi del discorso ha contribuito ad evidenziare quali sono le varie strategie usate dai parlanti quando uniscono tra di loro frasi isolate in modo tale da creare un insieme coesivo e coerente. La conversazione non è, tuttavia, solo un unire frasi l’una all’altra, ma è un modo di adattare le frasi all’interno di un framework convenzionale. Le conversazioni seguono, infatti, un format prevedibile, gli scambi sono selezionati tra un numero di strategie comunemente usate e l’opzione scelta da un particolare interlocutore dipende solitamente dalla situazione sociale. Ma, ci si chiede, quali sono queste strategie o opzioni comunemente scelte dagli interlocutori? Da parte di coloro che sono coinvolti nell’insegnamento della LS risulterà necessario familiarizzare con queste caratteristiche della conversazione naturale per diventare consapevoli delle più comuni strategie che riescono a rendere l’interazione o conversazione naturale e spontanea un fenomeno non programmato e casuale, e al tempo stesso una produzione coordinata e sistematica. Da quanto evidenziato nelle sezioni precedenti, potremmo riassumere, quindi, una serie di caratteristiche che vengono spontaneamente utilizzate dai conversatori in situazioni di vita quotidiana: - i turni nel discorso (turn-taking): sono gli scambi intervallati tra un interlocutore ed un altro. Sono solitamente regolati da comportamenti verbali e non verbali. Un interlocutore che vuole inserirsi nella conversazione cerca di attirare l’attenzione degli altri componenti il gruppo con gesti o movimenti del capo e degli occhi, o con brevi monosillabi – uhm, ah – o con brevi frasi introduttive al discorso – I believe, I think –. Al contrario, un interlocutore che sta completando la sua parte di discorso, cerca di coinvolgere 1’altro nel prossimo turno rivolgendosi a lui con lo sguardo o modificando l’intonazione. - Le pause nel discorso (holding the floor, la possibilità che si crea il parlante di fare una pausa per riflettere su quanto sta per dire, o per far prendere tempo mentre riorganizza le idee: well..., you know..., you see..., er..., uhm... - Il feedback: espressioni che hanno la funzione di comunicare la partecipazione di chi ascolta a ciò che gli altri stanno dicendo: mm, uhuh, Really? I see. Go on. Do you? Is it? Is that really? That sounds great! Aha! Would you believe it? - Le inserzioni: brevi espressioni che vengono inserite velocemente tra una frazione e 1’altra del discorso: you know..., you see... 6 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato - Le introduzioni al discorso (openings): brevi espressioni inserite ad inizio di conversazione o frazione di conversazione, per esempio ad inizio del proprio turno di parola: well..., y’know what? …, guess what..., that reminds me... - La negoziazione del significato (negotiating the meaning): espressioni attraverso le quali l’interlocutore-parlante controlla la comprensione di colui che ascolta, o richieste di chiarimento da parte di chi ascolta o conferme della comprensione: you see what I mean? what do you mean? can you say it again? you didn’t go because it was late? - Le sequenze riparative (repairs): enunciati prodotti per riparare ad un errore comunicativo commesso e chiarire e/o modificare il proprio messaggio (self-repair): John arrived yesterday – sorry, I mean today. o chiarire il messaggio del parlante in forma indiretta sollecitando la rettifica (other-repair) quando non si è sicuri di aver capito o quando si sospetta un errore da parte del parlante: Did John really arrive yesterday? Didn’t he arrive today? o, infine, quando i due interlocutori si confrontano indirettamente su una informazione e colui che ascolta gentilmente ripone la domanda a colui che parla il quale corregge l’enunciato iniziale (other-initiated self-repair): John arrived yesterday. Yesterday? Did he really? Oh, no sorry, I mean today. Ed ancora: - espressioni che hanno la funzione di introdurre nella conversazione il proprio punto di vista: I believe..., from my point of view..., in my opinion…, it seems to me..., well..., I must say..., I personally think... - espressioni che hanno la funzione di interrompere chi sta parlando e guadagnarsi uno spazio nella conversazione, o di cambiare discorso: Sorry to interrupt, but... Oh, by the way... Oh, before I forget... 7 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato - espressioni che hanno la funzione di continuare un discorso che era stato precedentemente interrotto: To get back to what you were saying... Thinking back of… - espressioni linguisticamente corrette, apparentemente non coerenti a quanto menzionato prima, ma con significato appropriato al contesto (massima di relazione): Who cooked your dinner if your mom is here? Somebody’s waiting for us. - i registri o il cambiamento nel modo di parlare – da formale ad informale – nell’emettere i messaggi a seconda della persona a cui ci si rivolge e del contesto in cui si è coinvolti: Situazione informale: due bambini che giocano in casa, il primo che si trova a casa propria invita a togliere il giaccone all’altro, ma diventa troppo ripetitivo nella sua richiesta, l’altro reagisce in modo aggressivo. Michele: Are we going outside? Kelvin: No. Michele: And take this off. It’s hot here. Kelvin: Ah, ah. Michele: Are you hot Kelvin in here (repeats three times). Kelvin: (shouts). Michele: Take this off. Yeah. Kelvin: No. Michele: (to mother) Why didn’t he take that off? Mother: He doesn’t want to. Michele: Ok. Michele: (to Kelvin) if if you can… take it on bu... but if you are hot, OK you can take your… Kelvin: (shouts) NO! Situazione formale: due persone il cui rapporto di amicizia non è particolarmente stretto. A. Would you like to take your coat off? B. Oh, I think it’s a good idea, thank you. 4. DIALOGO E STRATEGIE DI CONVERSAZIONE IN L2 Oltre alle strategie solitamente usate da parlanti nativi in situazioni di conversazione, l’analisi del discorso si è anche a lungo concentrata sullo sviluppo delle strategie comunicative durante il processo di acquisizione della lingua inglese come L2 da parte di parlanti – adulti o bambini – non nativi, ma 8 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato che apprendono la lingua nel paese di lingua inglese che li ospita. Principalmente nel caso di acquisizione della L2 da parte di bambini, è stata evidenziata la ricorrenza frequente di strategie quali: l’uso frequente di espressioni formulaiche, il silenzio usato, principalmente dai bambini, come strategia di conversazione durante un periodo di inconsapevole attesa (dai 2 ai 6 mesi approssimativamente) di produzione verbale che avverrà in un momento futuro del processo di acquisizione, l’uso di risposte non verbali – es. gesti, contatti visivi –, la ripetizione di espressioni ascoltate per confermare la comprensione del messaggio e, in situazioni bilingue, l’uso di code-switching e l’uso di prestiti dalla lingua madre (Argondizzo, 1991). In particolare le espressioni formulaiche e l’uso di code-switching interessano più da vicino la discussione su strategie naturali di conversazione nei dialoghi da libro di testo e, di conseguenza sull’input che da essi si può ottenere. Espressioni come: How are you doing? How are you? Get out of here. Don’t do it. It’s time to eat. This is …. . That ‘s it. sono segmenti di lingua formati da un numero di parole che vengono apprese ed usate come se fossero una singola parola. Queste espressioni formulaiche, anche molto spesso chiamate «routines» (Dulay, Burt e Krashen, 1982), vengono facilmente acquisite e spontaneamente utilizzate da parte dei parlanti nei primi periodi di esposizione alla L2. Il code-switching (Gumperz, 1982) è, invece, il cambio da parte del parlante da una lingua ad un’altra o da una varietà della lingua parlata ad un’altra varietà della stessa lingua. Può essere realizzato da uno stesso interlocutore a livello interfrasale, quando il cambio avviene all’interno del discorso, ed intrafrasale, quando il cambio avviene all’interno della frase. Può avvenire tra due interlocutori in una conversazione in cui il primo usa una lingua ed il secondo risponde utilizzandone un’altra chiaramente comprensibile al primo interlocutore (restricted two-way communication). Uno dei fattori che incoraggiano la strategia di code-switching è la necessità da parte del parlante di utilizzare la funzione di «citazione» (quotation) che ricrei l’esatta espressione utilizzata dalla persona di cui si intende riferire il messaggio, per esempio: la maestra mi ha detto «Don’t push» e l’intenzione di usare un metodo più potente e convincente per ottenere quanto desiderato, ponendo quindi, attraverso la formulazione della parola in L2 uno stress maggiore al messaggio: io voglio andare now. Sarà interessante considerare ora quante e quali strategie spontaneamente utilizzate dai parlanti nelle loro conversazioni quotidiane vengono ricreate nei 9 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato dialoghi didattici. 5. LA CONVERSAZIONE NEI LIBRI DI TESTO: ASPETTI POSITIVI E PROBLEMATICHE Consideriamo i seguenti dialoghi (1) Andy: Maria: Andy: Maria: Andy: Maria: Andy: Maria: Andy: Maria: Andy: Maria: Maria, have you ever been to a disco? Yes, I have. I went to a disco when I was on holiday last year. Have you ever slept in a tent? No, I haven’t. Have you ever eaten Chinese food? Yes, I have. We had a Chinese meal last week. Have you ever milked a cow? Milked a cow? Yes. No, I haven’t but I’ve been to a farm. Have you ever visited another country? Yes, we’ve been to France and Spain. … (da Window on the World, 1993) (2) Kate: Cindy: Kate: Cindy: Andy: This is Westminster Bridge. Is that Big Ben in front of us? Yes, and on the left are the Houses of Parliament. Is that where the Prime Minister lives? No, that’s where the Members of Parliament work. The Prime Minister lives at 10 Downing Street… (da Flying Start, 1987) (3) Mother: Jane, can you wash up, please? Jane: Oh, Mum, I’m doing my homework. Mother: Why are you doing your homework now? Where’s Tony? Jane: He’s in the bathroom. Mother: Tony! What are you doing in there? Jane: What? I can’t hear you. I’m having a shower. Mother: Are you ready? Jane: No, I’m putting these clothes in the washing machine. Mother: What are the kids doing? (da Project English I, 1991) (4) Cindy: Man: Excuse me, can you tell me the way to the castle? Yes, go along this street and turn left into Hill Street. Go along Hill Street, then turn left into Castle Street and the castle is on your right at the end of the street. Cindy: Thank you. (da Flying Start, 1987) Se i dialoghi precedenti risultano tutti eccessivamente impeccabili nella loro 10 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato chiarezza, si nota, tuttavia, l’assenza di quelle caratteristiche conversazionali tipiche del discorso spontaneo. In particolare, mancano i momenti di pausa, le inserzioni, le introduzioni al discorso, i momenti di negoziazione del significato e, inoltre, il feedback appare limitato. Questo potrebbe a prima vista farci riflettere sul vantaggio offerto da tali dialoghi costruiti, poiché aiuta apparentemente quegli studenti che iniziano il loro apprendimento della LS. I dialoghi proposti sono, infatti, «ripuliti» da tutte quelle che potrebbero essere considerate con parere affrettato le «impurità» della lingua improvvisata. Tuttavia, questo non contribuisce a rendere gli studenti consapevoli delle caratteristiche naturali della lingua e, di conseguenza, non li abitua a quella che poi sarà la conversazione naturale. Paradossalmente si potrebbe dire che questi estratti di dialoghi ed in generale i dialoghi proposti dai libri di testo rispondono letteralmente alle quattro massime del principio cooperativo di Grice. Eppure gli esempi di discorso visti nella sezione precedente ei hanno dimostrato come nel parlato spontaneo e giornaliero, pur rimanendo fedeli a tali regole, noi spesso le rompiamo attraverso altre caratteristiche del discorso frequentemente utilizzate (cfr. Aitchison, 1992). In particolare, se consideriamo il breve scambio di dialogo riportato in (4), esso contrasta con i dati di conversazione realistica osservati in uno studio condotto da Scotton e Berensten, i quali analizzarono il modo come venivano date indicazioni in un campus americano in risposta alla domanda «How do I get to the Vet Clinic?» (Scotton e Berensten, 1988). Lo studio ci dimostra alcune caratteristiche che ei sono ormai familiari: - il modo di dare indicazioni contiene un certo numero di parti del discorso: una frase di apertura (96% dei dati analizzati), le indicazioni richieste, una frase pre-conclusiva, e possibilmente una frase conclusiva. In più, le indicazioni sono di solito precedute o interrotte con delle verifiche di orientamento, commenti parentetici e conferme ai messaggi attraverso lo scambio; - le pause e le espressioni di riempimento sono molto frequenti (75% dopo la frase di apertura, es.: um o ah), così come lo sono le frasi non complete; - la frase di apertura consiste in una sequenza che include: espressioni di riempimento (um, ah), la domanda ripetuta (The Vet Clinic?), esclamazioni (Oh, man!), pause e riempimenti (well, let’s see) e la frase di apertura in sé (es.: It is kinda a long walk, It’s really far) - sebbene l’imperativo è la struttura più frequentemente «insegnata» per questo tipo di funzione comunicativa (es.: go along, take a right), nel contesto naturale analizzato non viene utilizzata per più del 41 % del totale nei soggetti analizzati. Vengono, invece, usate strutture molto più complesse nel rimanente 59% dei dati analizzati (es.: you probably want to go..., if you..., you’ll hit/you ‘Il find... ) - la frase conclusiva di risposta al thank you dell’interlocutore che ha ricevuto le indicazioni non è sempre you’re welcome (44%), ma piuttosto silenzio o espressioni come yep, okay o mmhuh. Gli esempi estratti dai dati raccolti ed analizzati e qui brevemente riportati 11 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato chiariscono i punti sopra menzionati. S1: S2: S1: S1: S2: S1: S2: S1: S2: S1: … How do I get to the Vet Clinic? Oh, my God. It’s far but um. It’s on, it’s Shaw Lane is right, if you keep going up here you’ll hit Shaw Lane and it’s going that way. But go a little bit more and then cross the parking lot and it goes that way. Um hum. … How do I get to the Vet Clinic? The Vet Clinic? Oh man, it’s a haul. (pausa) Uh, okay. Go up to the bridge, and that’s on Farm Lane. And you want to go right all the way up until you pass – um. Do you know where – um. Are you familiar with the campus? Pretty much. Do you know where the (pausa) Uh Agriculture Hall is? Yeah, I know. Okay. When you see Agriculture Hall, it will be on your right hand side. You want to go left again and down towards Akers. Then the Vet Clinic should be on that road, and it says Vet Clinic. It does? richiesta indicazione frase di apertura, riempimento frase non completa condizionale/futuro imperativo conferma di comprensione domanda ripetuta frase di apertura riempitivi, imperativo you want + … pausa, riempitivo checkers di orientamento conferma comprensione you want + … conferma comprensione Questo tipo di dialoghi anche se sicuramente più difficili per la comprensione, sono maggiormente rispondenti alle aspettative di molti studenti alla ricerca di materiale più realistico. Esempi ridotti ma più vicini a questo modello sono quei dialoghi, nei libri di testo, che pur essendo «ricostruiti» o «guidati» cercano di imitare quanto più possibile le situazioni naturali. Si tratta di brevi conversazioni che vengono a volte utilizzate nella fase di produzione di una unità del libro di testo. Dialoghi di questo tipo creano spesso un maggiore interesse tra gli studenti poiché essi si rendono consapevoli di essere esposti ad esempi più vicini al modello di conversazione reale. Un esempio ci è dato dal seguente dialogo, il quale, pur rimanendo pienamente lineare nell’uso delle strutture, fornisce, attraverso l’ascolto, una pronuncia da parte delle interlocutrici maggiormente caratterizzata, qualche momento di esitazione ed una velocità nello scandire le parole più simile ai dialoghi reali, caratteristiche che ovviamente si perdono attraverso la sola lettura del dialogo: (5) … 12 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato Woman: Girl: Woman: Girl: Woman: … and do you like it there? Yes, it’s really good. What are your favourite subjects? I like Maths and English. Maths and English and what days of the week do you have them? Girl: Well, I do Maths every day of the week, Monday, Tuesday, Wednesday, Thursday and Friday and English on... (da Flying Start, 1987) Nei dialoghi che seguono si notano tentativi di rimanere il più vicino possibile a situazioni di conversazione appropriate a studenti che potrebbero trovarsi coinvolti in viaggi di istruzione all’estero. In (6) alcune espressioni poco accurate (Eh?, Eh? Reedy?), o scolasticamente formali (I?) o incitamenti di input (A little) ripropongono situazioni di lingua nei primi stadi dell’esposizione ad essa da parte degli studenti e quindi nei primi stadi dell’apprendimento. In (7) ed (8) vengono introdotte le espressioni «you see» e «you know», espressioni «naturali» non ancora troppo frequentemente utilizzate nei dialoghi da libro di testo. Inoltre, vengono introdotte espressioni comuni della lingua orale raramente incluse nei dialoghi costruiti, ma tipici di un linguaggio più realistico (Neat. It’s like... timid. I’m afraid. Why not? So what?). Un elemento di novità il – code-switching – viene introdotto in (7), (8) e (9) che aiuta a riflettere su caratteristiche della conversazione bilingue (6) … Mr Pym: First of all, let’s welcome Andrea. We’ll play an easy game. Class: Great. Wow. Neat. Mr Pym: Ask Andrea, in turns. Come on. Doug: Are you shy? Andrea: Eh? Mr Pym: It’s like... timid. Andrea: I? Timid? Mr Pym: Yes. Are you timid? Andrea: No, l’m not. Sarah: Are you generous? Andrea: Yes, I am. Andrea: Are you romantic? Andrea: Romantic? No. Martin: Are you greedy? Andrea: Eh? Reedy? Mr Pym: No, greedy. Andrea: Oh. «Mangione». Eh... Mr Pym: A little, Andrea: Yes, a little. (da Real People, 1993) (7) Tomas: And you? Can you play an instrument? Cristina: Well, I used to play the piano when I was a child. But I gave 13 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato it up, you see... Paul: Oh. Just my luck. Tomas: What happened? Karin: Here comes trouble. Paul: I put a blue sock together with the white stuff. Tomas: Practice makes perfect. Pau1: Toshiro won’t agree, I’m afraid. Karin: Why not? Paul: These were his white pyjamas. (da Real People, 1993) (8) Karin: Cristina: Karin: Karin: Hi, Chris. In your nightie already? Have you been out in the rain? Yes, it was lovely. We played «sardines» in the garden. Whose is that shirt? Insomma. That shirt: There are green stains on the back. Karin: So what? Cristina: But it’s mine. (da Real People, 1993) (9) Mrs Gordon: And l’ve never given the key to girls under eighteen, you know. Pilar’s father: Lo siento. l’m sorry. We’re used te staying up later in Spain. Verdad, Pilar? Pilar’s mother: Yes, And we are very... grateful... for... Pilar, por favor, dile a la senora Gordon cuanto se lo agradecemos quieres? Pilar: Mrs Gordon, my mother wants to say thank you for alI that you’ve done for me. (da Real People, 1993) Nei dialoghi (6) e (7) l’introduzione di «mangione» e «insomma» avvia alla considerazione dell’uso dei prestiti dalla L1 che molto spesso viene utilizzata come parola di «appoggio» da parte di parlanti che si avviano all’acquisizione della LS (es.: chiarificazione a se stessi del significato di una parola poco conosciuta – nel caso di «mangione» – o esclamazione svelta e spontanea in L1 – nel caso di «insomma» –). Il dialogo (8) ci offre un esempio di codeswitching tipico delle situazioni bilingue. Inoltre, i momenti di esitazione che si notano nel dialogo, danno 1’opportunità di fornire un input più creativo e più verosimilmente naturale. Infine, è necessario ricordare i tentativi interessanti fatti in alcuni libri di testo meno recenti che hanno focalizzato la loro attenzione, attraverso dialoghi ed attività ad essi collegate, su tecniche particolari di conversazione quali «l’esitare (hesitating), il mantenere il discorso (holding the floor), il coinvolgere un altro interlocutore (bringing in another speaker). Gli estratti di un dialogo che qui seguono ne sono un breve esempio: (10) Ken: John: Yeah, Ok, well... I mean when you look at this... this... 14 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato Ken: John: ... we’ve heard this sort of thing before... Well, it..; it’s all very well for you to say that but look... I mean how... I mean er... Guy, you,... you’ve been very quiet up to now, what do you think about it? (da Functions of English, 1977) 6. SUGGERIMENTI PEDAGOGICI Se è, quindi, necessario, esporre gli studenti a tali strategie di conversazione ci si chiederà quali attività di insegnamento dovranno essere integrate ai dialoghi proposti dai libri di testo. Le seguenti proposte, sicuramente non esaurienti, suggeriscono qualche risposta e possono essere considerate, come attività di follow-up o di supporto a quelle attività di comprensione di routine dei brani di ascolto solitamente utilizzate in classe. Obiettivo di queste proposte è ovviamente quello di sensibilizzare gradualmente gli studenti ad una maggiore comprensione delle strategie conversative: 1. L’insegnante analizza, con l’aiuto dei ragazzi, un dialogo di libro di testo sottolineando l’importanza di quelle strategie interazionali utilizzate (nel caso il dialogo riproducesse tali strategie) o soffermandosi su quelle caratteristiche interazionali mancanti che molto probabilmente verrebbero inserite in una situazione naturale di conversazione (nel caso il dialogo non riproducesse tali strategie). 2. L’insegnante registra materiale autentico per l’ascolto in classe. I ragazzi, già abituati all’ascolto di dialoghi scolastici, si soffermano su quelle caratteristiche a loro più sconosciute (esitazioni, pause, ripetizioni e riformulazione del discorso, le riparazioni, le correzioni, le contraddizioni). 3. Gli studenti ascoltano un dialogo di materiale autentico e annotano le espressioni di «esitazione» (o altra strategia) utilizzate dagli interlocutori. 4. L’insegnante prepara per gli studenti una lista di espressioni di «esitazione». Essi ascoltano un dialogo di materiale autentico, leggono la lista e segnano quali espressioni sono state utilizzate nel dialogo. 5. Gli studenti ascoltano e, contemporaneamente, leggono un testo conversativo. Durante 1’ascolto sottolineano le espressioni di «esitazione» e di «riempimento» utilizzate nel testo. In una discussione seguente decidono quale ruolo, in termini di strategia di conversazione, ogni espressione ha avuto all’interno del testo. 6. Gli studenti analizzano un dialogo di materiale autentico proposto dall’insegnante soffermandosi sulle infrazioni alle norme conversative che esso contiene. 7. Gli studenti suddivisi in gruppi analizzano un dialogo o più dialoghi di libro di testo e li riutilizzano in una attività di role-play introducendo le caratteristiche interazionali mancanti. I dialoghi durante il role-play vengono registrati. Si riascolta la registrazione e ci si sofferma sulle strategie interazionali utilizzate da ciascuno studente all’interno dei gruppi. 8. Gli studenti con l’aiuto dell’insegnante di L1 e LS analizzano e 15 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato paragonano le tecniche conversazionali utilizzate nelle due lingue. 9. L’insegnante propone quattro testi di conversazione diversi. Gli studenti riconoscono, attraverso l’ascolto o la lettura dei testi, quale testo è una conversazione naturale, quale un brano di una commedia, quale il dialogo di un libro scolastico, e quale una interazione prodotta in classe (cfr. Piazza, 1992). 10. L’insegnante invita costantemente i ragazzi ad iniziare i loro interventi con «Well... » che sostituirà il comune «Allora…». 11. L’insegnante incita i ragazzi ad utilizzare la LS più spesso possibile, incoraggiando anche momenti di code-switching (cfr. Argondizzo, 1992). 12. L’insegnante scrive alla lavagna una lista di strategie di esitazione (hesitation devices): um, er, well, actually, in fact, you see, you know, the thing is, how shall I put it, it’s like this you see, sort of, tbeeee (prolungamento dell’articolo), toooo (prolungamento di to). Gli studenti preparano un breve discorso da fare alla classe. Durante tale discorso non potranno mai interrompere il discorso e non potranno stare in silenzio mentre pensano. Sono invece invitati ad utilizzare le strategie di esitazione annotate sulla lavagna. 13. L’insegnante scrive alla lavagna una lista di espressioni utilizzate per «introdursi in un discorso» (breaking in): Um... Um... (ripetuto finché gli altri interlocutori lasciano parlare), By the way, Sorry to interrupt, but..., That reminds me..., I believe, instead..., And another thing..., but let me say... Tre studenti vengono coinvolti in un role-play, Due studenti parlano tra di loro su un tema scelto. Il terzo deve cercare di intervenire appena riesce utilizzando le espressioni appropriate. 14. L’insegnante scrive alla lavagna una lista di espressioni utili per coinvolgere una terza persona in un discorso: Don’t you agree?, What do you think? You are very quiet, I hope you agree with me if I say... Tre o più studenti vengono coinvolti in un role-play. Due studenti parlano tra di loro su un tema scelto. Gli altri due, volutamente scelti dall’insegnante tra quelli più timidi, vengono invitati ad intervenire in più occasioni dagli altri due che utilizzeranno per questo scopo le espressioni appropriate. . 15. Queste tre ultime attività attentamente preparate vengono, se possibile, video-registrate e poi mostrate agli studenti per un feedback sulla loro performance. 16. L’insegnante utilizza video-cassette (anche tra quelle in commercio) dalle quali più facilmente si percepiscono le strategie conversative degli interlocutori anche grazie alla possibilità di vedere gesti ed espressioni del viso. 7. CONCLUSIONE 16 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato Questa discussione ha offerto un’analisi dei comportamenti conversativi e di strategie di conversazione solitamente utilizzate in situazioni di interazione naturale ed un’analisi di alcuni dialoghi selezionati tra quelli contenuti nei libri di testo. Attraverso questa analisi è risultato evidente che l’input linguistico offerto dai dialoghi di libro di testo non sempre ci aiuta ad insegnare quelle convenzioni tipiche di conversazione e del parlato che sovente e spontaneamente utilizziamo durante l’interazione verbale naturale e, di conseguenza, non con molta frequenza la lingua presentata rispecchia modi di dire ed espressioni tipiche della conversazione naturale. Pur se ne viene avvantaggiata la semplicità dei dialoghi che riescono così ad offrire un input più accessibile agli studenti, ne esce svantaggiata la lingua in sé che viene sovente presentata come un oggetto verbale perfettamente preconfezionato e spesso basato su forme stereotipe di linguaggio. Pur accettando i vantaggi (maggiore semplicità e, quindi, accessibilità dell’input) di un approccio «stereotipo» dei dialoghi costruiti diventa, tuttavia, necessario utilizzare tecniche di insegnamento che integrino momenti più naturalistici durante le attività didattiche. I punti rilevanti di questa discussione sottolineano la necessità di: - una maggiore consapevolezza da parte degli insegnanti di lingua di quali siano quelle caratteristiche e strategie tipiche conversative; - una maggiore consapevolezza da parte degli insegnanti di lingua che tali caratteristiche e strategie debbano essere, seguendo ritmi frequenti, introdotte, insegnate e praticate nelle nostre classi; - una maggiore consapevolezza di quali possano essere dialoghi più «autenticamente creati» e quindi più appropriati per quello che si vuole insegnare della lingua nel momento in cui si fa scelta di un libro di testo; - una maggiore attenzione da parte degli autori di libri di testo nel dare spazio a dialoghi più similmente vicini ai modelli di lingua autentica (alcuni esempi sono stati menzionati nella sezione 5). Inoltre, si sottolinea la necessità di una maggiore consapevolezza da parte degli insegnanti di quali debbano essere gli obiettivi didattici da perseguire sulla base di quanto detto: - sensibilizzare gli studenti verso una maggiore comprensione delle forme e strategie conversative; - rendere gli studenti consapevoli delle varie parti in cui si struttura una conversazione; - rendere gli studenti consapevoli che gli «intoppi» di lingua orale naturale (esitazioni, ecc.) caratterizzano lo scambio conversativo; - incoraggiare gli studenti a produrre questo tipo di strategie conversative; - aiutare gli studenti a riconoscere aspetti della cultura straniera attraverso le strategie conversative tipiche di quella lingua (gesti inclusi) e, di conseguenza; - ampliare le conoscenze dei ragazzi verso altri modelli di interazione conversativa, rendendoli consapevoli che esistono varie e diverse modalità di conversazione rapportate alla realtà socioculturale della lingua parlata. 17 © LEND 2011. Piazza R. (a cura di), Dietro il parlato RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Aitchison J. (1992), Linguistics, London, Hodder and Stoughton. Argondizzo C. (1989), Conversational Strategies in Child Second Language Development, Tesi di MA, Ohio University, Linguistics Department. Argondizzo C. (1991), «Child Second Language Development and ESL Classroom Teaching: Should We Start the Connection?», in Perspectives, Journal of TESOL Italy, n. 2. Firenze, Reporter Editore. Argondizzo C. (1992), Children in Action, Hemel Hempstead, Prentice Hall International. Austin J.1. (1962), How to do things with words, Cambridge, MA, Harvard University Press. Bygate M. (1987), Speaking, Oxford, Oxford University Press. Dulay H., Burt M., Krashen S. (1982), Language Two, Oxford, Pergamon. Gass S., Madden C. (a cura di) (1985), Input in Second Language Acquisition, Rowley, Mass., Newbury House. Givon T. (1979), Syntax and Semantics, XII: Discourse and Syntax, New York, Academic Press. Good T., Brophy J. 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