Fast fashion: analisi dell`evoluzione storico

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Fast fashion: analisi dell`evoluzione storico
Fast fashion: analisi dell’evoluzione storico-economica del modello di business di Inditex e
H&M di Martina Baldini
Il mio lavoro di tesi esamina lo sviluppo del fenomeno del fast fashion attraverso
l’analisi storico-economica di H&M e Inditex, i due più grandi e noti gruppi a livello mondiale
del settore del fast fashion.
La ricerca nasce dalla curiosità di individuare i tratti peculiari dell’evoluzione di questo
nuovo modello di business negli ultimi anni, periodo caratterizzato da una congiuntura
economica negativa che ha interessato in particolar modo le società occidentali.
Come hanno reagito i gruppi di fast fashion a questa situazione che ormai perdura dal
2008? Ne sono usciti vittoriosi o sconfitti? Quali sono le strategie che hanno adottato in merito?
E quali adotteranno nel futuro? La costante crescita e competitività delle aziende appartenenti a
questo modello di business, è di particolare interesse, e per questo motivo il lavoro mira ad
indagare le origini dalle quali provengono i fattori critici del suo successo.
Il fenomeno del fast fashion rappresenta una vera e propria rivoluzione nel campo della
moda, il cui punto di forza principale deriva dalla capacità di offrire nell’arco di un lead time
ristretto, dei prodotti di tendenza con una rapida scansione temporale. Questo è stato favorito
dall’introduzione di nuovi sistemi di Information Technology che hanno portato il nuovo
consumatore postmoderno ad usufruire di un guardaroba costantemente rinnovato. Efficacia di
vendita e commerciabilità, quindi, sembrano essere le parole ispiratrici delle imprese di fast
fashion.
La ricerca si è basata sull’analisi della letteratura esistente sull’argomento nei diversi
ambiti disciplinari della business history, del management, del marketing, dell’organizzazione
di impresa e dei fashion studies, oltre che sulla rielaborazione e la raccolta di dati e
informazioni presenti nelle pubblicazioni e nei siti di settore, al fine di mettere in luce il
fenomeno nel suo complesso e nella sua entità, anche attraverso un confronto con le altre
principali holding del lusso.
Dal 2008, la crisi economico-finanziaria globale ha costantemente modificando la forma
del mercato caratterizzata da una fascia alta sempre più ristretta. È in questo contesto che lo
sviluppo del fast fashion ha intrapreso una svolta decisiva. L’ascesa del fast fashion, però, ha
coinciso (e forse provocato) un lento declino della moda luxury. Se negli ultimi cinque anni, la
prima industria è stata caratterizzata da una crescita che varia dal 15 e 20% per le diverse
aziende con questo modello di business, la seconda ha ottenuto una crescita media dello 0,8%1.
Considerando, però, un polo del lusso come Kering, si può velocemente notare come nel 2013
abbia subito una decrescita degli utili pari al 95,2%, che fanno pensare ad un declino senza
ripresa del settore2. Discorde alla situazione di Kering è l’altro polo francese del lusso: LVMH.
Nonostante la difficile situazione economico-finanziaria mondiale, il gruppo di Arnault ha
mantenuto i fatturati in crescita costante fino al raggiungimento degli attuali 28 miliardi di euro,
in confronto ai 9 del gruppo di Pinault.
Il fast fashion, perciò, con quasi 32 miliardi di euro di fatturato, considerando gli introiti
provenienti dai brand di entrambi i gruppi analizzati, si conferma come il modello di business
con maggior successo nel panorama attuale della moda, caratterizzato da una crescita sempre
più incisiva ed a lungo termine.
1
A. Bertolini, ‘Con il fast fashion i consumatori indossano la moda “mordi e fuggi”, Mark up, Maggio
2008, pp. 32-35.
2
S. Bennewitz, ‘Ppr diventa Kering. Il logo è una civetta’, La Repubblica, Fashion&Finance, 22 marzo
2013, http://www.repubblica.it/economia/rubriche/fashion-efinance/2013/03/22/news/ppr_diventa_kering_il_logo_una_civetta-55137111/
I Il nuovo consumatore postmoderno, infatti, alle prese con problemi economici o con la
voglia di aggiornare spesso il guardaroba, si rifugia nei grandi flagship store di Zara ed H&M: è
cambiata, quindi, la mentalità di chi, adesso, preferisce un abbigliamento trendy seppur di una
qualità inferiore, rispetto ad un capo costoso di una grande firma, spesso poco pratico sia come
portabilità che come materiali eccessivamente ricercati. L’acquisto di prodotti di brand del
programmato e del lusso da parte di una fascia media e medio-alta si sta sempre più limitando
ad accessori, pelletteria e cosmesi, e la pratica del mix and match sembra essere la nuova
frontiera del consumo. C’è, comunque, chi sostiene che si stia superando anche questo
fenomeno in favore di un shopping totalmente fast.
Zara e H&M, però, realizzano i propri fatturati adottando diverse strategie. La prima
azienda si sta concentrando su un mercato con un’età media più alta di quella tradizionale: non
riveste solo le figlie, ma adesso anche le mamme! Il brand spagnolo, infatti, sta attuando una
vero e proprio upgrading, anche a causa di un rischio interno al gruppo di cannibalismo delle
vendite. I marchi di Inditex, infatti, fino a pochi anni fa non avevano una precisa
diversificazione di target all’interno del mercato, perciò il rischio che si prospettava era quello
di assistere a spiacevoli situazioni di concorrenza in casa. Capi trendy ma più seriosi, adesso,
vanno a posizionarsi in contrasto rispetto agli altri marchi del gruppo come Pull&Bear,
Stradivarius e Bershka, che invece continuano a proporre un abbigliamento giovane, ipercolorato e con un rapporto qualità-prezzo che va a collocarli in un segmento più basso.
L’iniziale accentramento dei brand di Inditex presso la solita tipologia di consumatori si sta,
quindi, modificando alla ricerca di una copertura più accurata del mercato. Questa strategia
provoca, così, un effetto diretto anche sui prezzi di Zara: qualità migliore rispetto al passato e
design più curato hanno determinato inevitabilmente una parziale crescita dei prezzi del brand,
giustificata anche dall’innalzamento dell’età di riferimento dei consumatori che, muniti di uno
stipendio proprio, diversamente da chi appartiene ad un target più giovane, può intraprendere
processi di acquisto in maniera più autonoma ed in relazione a capi con un prezzo più alto.
Accuratezza delle rifiniture, materiali maggiormente ricercati, accessori di tendenza e stile alla
moda, ma non eccessivamente adolescenziale (come, invece, appare quello di H&M) hanno
portato il brand ad un’estensione del target servito. Questo effetto appena descritto, però, può
far pensare anche ad una necessità dell’azienda di cercare maggiori entrate per poter investire in
nuovi mercati ed in nuovi Paesi, creando nuovi punti vendita, unica fonte pubblicitaria che Zara
utilizza.
H&M, al contrario, rimane concentrata su un segmento di mercato con un’età inferiore,
ma la strategia adottata è quella della diversificazione sia all’interno del brand stesso,
proponendo collezioni diverse che vadano a ricoprire le differenti richieste della clientela, sia in
relazione al gruppo. Quest’ultimo, infatti, dal 2006 si è impegnato nella creazione di due diversi
brand, con l’obiettivo di contrastare il nemico storico, Inditex, e nello specifico, l’upgrading di
Zara. Nello specifico, COS e & Other Stories sono marchi creati per clienti diversi, con qualità
(e prezzi) più alti del marchio portabandiera del gruppo, H&M.
Quella tra i colossi del fast fashion, quindi, è una sfida a colpi di outfit sempre più alla
moda, e di miliardi di euro. Il consumatore rimane il centro delle strategie di Zara e H&M,
perché è il fattore principale che riesce a modificare ed influenzare le scelte del management,
che ha così la necessità di essere flessibile e consapevole di ogni processo della catena
produttiva-distributiva, in modo da ridurre i tempi di ognuno di essi. La comunicazione delle
informazioni, infatti, rimane il criterio basilare per avere il controllo del proprio business e, di
conseguenza, del proprio successo.
II