Schede film discussi insieme 2010
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Schede film discussi insieme 2010
10 Gli G li abbracci spezzati regia PEdro alModóvar sceneggiatura PEdro alModóvar fotografia rodriGo PriETo montaggio JoSé SalcEdo musiche alBErTo iGlESiaS scenografia anTxón GóMEZ interpreti Blanca PorTillo, PEnéloPE crUZ, JoSé lUiS GóMEZ, ÁnGEla Molina, llUíS hoMar PEDro ALMoDÓvAr 24.09.1949 - Calzada de Calatrava (Spagna) 2009 2006 2004 2001 1999 1997 1995 1993 Gli abbracci spezzati volver la mala educación Parla con lei Tutto su mia madre carne tremula il fiore del mio segreto Kika - Un corpo in prestito nazione SPaGna durata 129’ 1991 1989 1988 1987 1986 1984 1983 1982 1980 Tacchi a spillo légami! donne sull’orlo di una crisi di nervi la legge del desiderio Matador che cosa ho fatto io per meritare questo? l’indiscreto fascino del peccato labirinto di passioni Pepi, luci, Bom e le altre ragazze del mucchio Gli abbracci spezzati 117 La storia Matteo, Lena, Judit e Ernesto Martel protagonista di una storia di “amour fou” dominata dalla fatalità, dalla gelosia, dall’abuso di potere, dal tradimento, dal complesso di colpa. La critica Ci sono almeno due buone ragioni per andare a vedere l’ultimo film di Pedro Almodóvar, “Abbracci Spezzati”. Il principale si chiama Penelope Cruz e quindi non c’è molto da aggiungere. Attrice magnifica, capace di illuminare da sola film belli e brutti, la Cruz, come il suo compagno Javier Bardem, giustificano in ogni caso il viaggio da casa alla sala. Tanto più quando a dirigerla è il suo regista più geniale e devoto al culto. L’altra ragione è l’isola di Lanzarote, paesaggio onirico caro a grandi scrittori, da Schmitzler a Saramago, che Almodóvar riesce a trasformare in uno dei protagonisti più convincenti del film. Per il resto “Abbracci Spezzati” è un film dispari del maestro e non soltanto perché si tratta del diciassettesimo della serie. A tratti più che un film di sembra un film alla Almodóvar. Il genio spagnolo si diverte a fare un film sul film e a sommare citazioni e omaggi, da Rossellini a Tonino Guerra, da Antonioni ai noir americani degli anni Quaranta, ma il vero omaggio è a sé stesso e alla propria opera omnia. Senza badare a spese – è il più lungo e costoso della serie – ma qualche volta senza badare neppure al pubblico. Per Almodóvar vale sempre, nel bene e nel male, la categoria inventata da Manganelli, la «troppità». C’è sempre troppo di tutto, d’immagini e di parole, di trame e colpi di scena, di riferimenti e suggestioni. Ma nelle opere più felici l’anima prevale sempre sul trucco pesante. Stavolta invece si aspetta a lungo che una scintilla d’emozione ci trascini nei meandri di una storia complessa, altrimenti distante. È la storia dell’ amour fou e quindi tragico fra un regista e un’attrice, perseguitata da un orrido marito squalo della finanza con un’inquietante somiglianza con Rupert Murdoch. Un incidente stradale, forse un caso e forse no, ucciderà lei e renderà cieco il regista. Il quale, peraltro, era cieco metaforicamente da un pezzo, incapace di vedere l’ossessione del 118 Gli FILM abbracci DISCUSSI spezzati INSIEME rivale, la gelosia dell’ex amante e perfino la propria paternità. È una metafora dei crudeli anni Novanta, molto acuta, ma senza il tocco magico che trasforma i film migliori di Almodóvar da perfette e intelligentissime sceneggiature in grande cinema popolare. Ed è forse la scarsa profondità del protagonista, interpretato da Luis Homar, perennemente sovrastato dalla personalità delle sue donne, Penelope Cruz e la straordinaria Bianca Portillo, il punto più debole della costruzione. Detto questo, si tratta di un film di Almodóvar, cioè di qualcosa che contiene sempre un quarto d’ora di sublime. Ma quel finale in cui il regista ormai cieco rimonta il vecchio film a distanza di tanti anni, fa venire nostalgia dell’Almodóvar delle commedie, dei capolavori dove, fra pianti e risa, non si sarebbe mai trovato il tempo di tener conto delle citazioni, dei simboli sparsi qua e là, degli splendidi vestiti delle attrici e di quanto è bella la fotografia. Curzio Maltese, la repubblica, 14 novembre 2009 Un film fatto di tanti altri film in cui tutto è doppio, replicato, spezzato, moltiplicato. Un regista, Pedro Almodóvar, che racconta la storia tragica e barocca di un altro regista, Mateo Blanco, alias Harry Caine, prestandogli diversi tratti del vero Almodóvar (e un’intera sequenza di “Donne sull’orlo di una crisi di nervi”), ma senza per questo confondersi con lui. E poi ancora: una storia che viaggia su diversi piani, passato e presente, realtà e finzione, visibile e invisibile, con un virtuosismo e un piacere del cinema così evidenti che tutto il resto, l’amore, la famiglia, la paternità, il tradimento, la colpa, in fondo conta poco. Perché malgrado tutti i colpi di scena e le piroette, “Gli abbracci spezzati” ruota solo e instancabilmente attorno al cinema e ai suoi poteri. È il cinema che fa e disfa la realtà, non viceversa. È l’ossessione per la settima arte che unisce due uomini, ignari di essere padre e figlio, al lavoro insieme su una sceneggiatura. Ed è sempre il cinema che trasforma il movimento avvolgente di una bobina di pellicola in una scala a spirale. O consente al vecchio produttore di scoprire che la sua amante lo tradisce, facendo leggere da una specialista le labbra della ragazza nelle scene “rubate” sul set... dal figlio del produttore, che sta girando un making of del film medesimo! E via di questo passo in un gioco di specchi vertiginoso e molto almodovariano che non aggiunge molto alla foresta del cinema sul cinema, ma conferma in tutta la sua forza l’arte di Almodóvar. Nessuno sa cogliere come lui l’urgenza del desiderio (vedi la bella scena iniziale in cui il maturo Mateo Blanco/Harry Caine, diventato cieco, seduce la bella sconosciuta che lo ha accompagnato a casa). E nessuno, se non Almodóvar, potrebbe ribaltare la trovata del tradimento scoperto grazie al labiale in una scena in cui la Cruz, smascherata, “doppia” se stessa in diretta infliggendo un’umiliazione definitiva al suo attempato amante. Il problema, perché c’è un problema, è che tutto questo stenta a trasformarsi in personaggi solidi e coinvolgenti. Ma proprio l’invadenza di una trama così minuziosa ed estenuante genera momenti di cinema che irritano e insieme incantano per inventiva e leggerezza. Fabio Ferzetti, il Messaggero, 13 novembre 2009 Ci sono cineasti, come Hitchcock o Preminger, che amano raccontare storie con le immagini, rendono inquietante l’avventura dello sguardo, ma senza farsene accorgere, non provocando e intimorendo platealmente la platea (Lars von Trier adora, invece, il terrore di primo grado, anche se cambia sempre il piano d’attacco). Il cineasta spagnolo, regista e produttore, Pedro Almodóvar fa parte dei cineasti del primo tipo, ma non utilizza le tecniche classiche (uno spazio del racconto omogeneo, l’effetto verosimiglianza) bensì mixa schemi emozionali differenti e disomogenei (la passione del melodramma, la freddura del comico, il suspense del thriller, la concettualità della commedia...) come un veejay che sa di dover comunicare con corpi bisognosi di sostanze speciali per sopravvivere, abituati al frammento e allo shock, indocili ai piaceri visuali basati sulla continuità di luci e suoni e scene e su un unico punto di vista. E stavolta vuole fare una dichiarazione totale al cinema, e non ad alcuni film, ma al mistero del cinema come macchina produttrice di piacere e dolore, e alla realtà di chi lo fabbrica, nessuna maestranza esclusa... Paradossalmente, infine, scegliendo un eroe... cieco. Infatti Almodóvar è reduce da una esperienza traumatica. È stato piuttosto male negli ultimi due anni, ci racconta in un’intervista, e ha subito trattamenti medici che esigevano la completa oscurità per ore. Ha voluto così immedesimarsi nel «cieco», e quasi ha reso omaggio allo scultore, all’artista protagonista del più erotico e sadico dei film sui non vedenti, il thriller giapponese Blind date, di Masumura. E ci rac- conta una doppia storia d’amore intrecciata tra un ricco industriale e sua moglie Lena, che diventerà la storia d’amore parallela e fatale tra lei e Mateo, il regista che la scrittura, visto che lei è desiderosa di far l’attrice. Il marito si trasforma in produttore pur di controllarne ogni mossa sul set, e le mette alle costole il figlio, munito di cinepresa, con il compito di fare il making of più integrale mai concepito... La gelosia ossessiva provocherà violenze, fughe nell’isola vulcanica di Lanzarote, cambiamenti di nome e di identità, incidenti dalle scale e d’auto e perfino l’assunzione di una tecnica del linguaggio labiale che farebbe così comodo durante la Domenica sportiva quando si deve scoprire cosa ha detto Ibrahimovic a Mourinho... Alla fine lei muore e lui diventa cieco, si ricicla in sceneggiatore con il computer modificato (parlante) e 14 anni dopo l’incidente stradale che causò la morte della sua amata riappare il figlio filmaker, copione in mano, e la segretaria del regista che svela alcuni retroscena più che inquietanti: il melodramma diventa una polifonia di sentimenti incrociati e incrostati che fanno di Los abrazos rotos un oggetto di difficile piacere primario. Ovvio che Almodóvar abbia messo dentro il film anche un numero considerevole di riferimenti alla storia del cinema. Alla fine però, nel flamenco struggente finale sui titoli di coda, con il suo ripetitivo ritmo avvolgente e mortale, ci offre la chiave del film, della vita e del cinema. L’accettazione della vita, un grande sì alla vita, fin dentro alla morte, alla fine, al The end. Roberto Silvestri, il Manifesto, 20 maggio 2009 I commenti del pubblico da PrEMio GUIDo PAGLIANI Grande regista, grande film. oTTiMo PAoLA CArPANo Un film che è un puzzle di bellissime sequenze legate insieme da una trama complessa. Gli abbracci spezzati 119 GIULIo KoCH Non è da premio a mio avviso questo bel film di Almodovar, perché rimane finto e un po’ artificiale soprattutto per ciò che riguarda la realtà dei sentimenti e delle situazioni. Bello il tecnicismo del film nel film, ottimi gli attori, splendida la fotografia, eccelso il modo in cui l’isola di Lanzarote diventa uno dei personaggi chiave del film: ma la persistente ricerca del più perfetto (le continue citazioni cinematografiche), il voler “esagerare” con le trovate di un regista ormai più che esperto (gli intrecci assai complicati, passato e presente, finzione e realtà, visto e non visto, artifici eccellenti come la scena da interpretare con tecniche labiali, doppiata in diretta dalla Cruz) tolgono alla pellicola la spontaneità che la renderebbe credibile e godibile. Spezzati non sono solo gli abbracci, ma tutto nel film: con un risultato globale che alla fine lascia con un po’ di amaro in bocca. È un monumento al cinema e alla sua tecnica, non all’uomo. CrIStINA brUNI zAULI Quando un regista è di per sé geniale come Almodovar anche un film non particolarmente riuscito rispetto ai precedenti, riesce lo stesso a incantare lo spettatore. È il caso de “Gli abbracci spezzati”, che al di là delle critiche, resta comunque un gran film fatto di sentimenti, di passioni nascoste. Tutti possono essere padri o madri di figli, innamorati più o meno realizzati, artisti più o meno di successo in questo scambio continuo di ruoli e sensazioni forti. Nella grande “simpateia” nell’accezione classica del termine, che caratterizza le opere di questo eccentrico e a volte amorale regista, ci si perde e ci si ritrova. Magari più saggi di prima: come nel caso del regista protagonista divenuto sceneggiatore per cecità, una cecità omerica, dove chi non vede più con gli occhi riesce finalmente a vedere con la saggezza della mente… Penelope Cruz è guidata magistralmente da una mano esperta. Un grande omaggio per chi ama il cinema, anche se il coinvolgimento emotivo personale non ha raggiunto i toni di “Volver”, “Parla con lei” e “Tutto su mia madre”. MArIAGrAzIA GorNI Mi è piaciuto molto quest’ultimo lavoro di Almodovar per il cromatismo, le ambientazioni, l’amore sviscerato per il cinema che trasuda, gli straordinari spezzoni di “film nel film” (con la scena di Penelope Cruz che doppia se stessa davvero indi120 Gli abbracci spezzati menticabile!) e anche la storia, contrariamente a quanto han scritto tanti critici, mi ha coinvolto e appassionato. Penelope Cruz è sempre più brava e, avendo avuto la fortuna di vedere il film anche in lingua originale, posso dire che sentire lei e gli altri recitare in spagnolo è stato un autentico piacere. roSA LUIGIA MALASPINA Un caleidoscopio di passioni: amore, gelosia, odio, rancore e... cinema. Coloratissimo, contrastato, con un gioco del doppio di tutto. Una ricostruzione della memoria, di frammenti di vita, dolorosa e faticosa, rappresentata dai pezzetti delle foto la cui visione si allarga poco a poco, l’accettazione di sè, della propria identità riappropriandosi del proprio nome e in parallelo la ricostruzione del film come della propria vita, con gli spezzoni. Una cecità fisica e metaforica di quel che non si vuole vedere. Dettagli molto curati, croci messicane negli appartamenti sia di Mateo che della sua amica e agente di produzione simboli del legame passato, da cui poi si scoprirà essere nato Diego. I grandi temi di vita/morte che Almodovar mette nel suo cinema passionale, vulcanico come l’isola di Lanzarote, sfondo della storia altrettanto vulcanica d’amore, della fine tragica con l’incidente che provoca la morte di Lena (Maddalena?) e la cecità di Mateo. Con una fantastica, passionale Penelope Cruz. Forse è un film un po’ esagerato, eccessivo, ma ho un amore speciale per il suo cinema che tutto giustifica. EDoArDo IMoDA Forse il silenzio che è sceso sulla sala dopo i primi interventi di commento, la dice lunga sull’apprezzamento e sui dubbi della platea di fronte a questa ultima fatica di Almodòvar. Film di mestiere, sul suo mestiere, per il suo mestiere che sembra, a prima vista, privo dei guizzi d’arte a cui ci aveva abituato il regista spagnolo. Film di mestiere con un doppio piano narrativo fra presente e passato, fra gelosie e amori proibiti, con la settima arte in versione muto spione, ma anche come autonomo gestore di una grande storia d’amore. Film sul suo mestiere con tutte le storie d’ amore fra regista e prima attrice, di opportunismo di aspiranti attrici e di gelosie di produttori, con registi e sceneggiatori che usano nomi diversi a seconda delle situazioni in cui operano. Film per il suo mestiere per narrarci le debolezze degli uomini, ma anche l’assoluta capacità della settima arte di risorgere, quasi novella fenice, con un montaggio diverso delle scene girate e basta un assaggio di questo nuovo montaggio per riscoprire il vero frizzante Almodòvar. In fondo un ottimo prodotto, ma che per assaporarlo completamente, richiede, da parte dello spettatore, qualche giorno di riflessione. E gli “Abbracci Spezzati” reali o metaforici?. Sullo schermo fra i vari interpreti: il produttore e la prima attrice, il regista e la protagonista, il padre con il figlio, a ciascuno la sua interpretazione, per me anche un pò metaforici, con una buona dose di narcisismo, altro elemento che caratterizza il mondo del cinema, da parte di un regista che ultimamente non si sentiva troppo amato dal suo più affezionato pubblico. BUono CLArA SCHIAvINA Un bel fumettone realizzato e recitato splendidamente. rACHELE roMANÒ Con una sceneggiatura chiara e calzante, dialoghi acuti, incisivi, ed eccellenti interpreti, si svelano le turpitudini di un ambiente artistico – affaristico – politico. Miserevoli i protagonisti. A quando un film di Almodovar sulla rinascita dell’uomo? di pausa, in un vortice continuo di avvenimenti, i sipari di colore, una tenda piena di fiori, che interviene a coprire completamente lo schermo, i crocifissi messicani, un piatto di pomodori, e, apparentemente immobile, la lunga spiaggia di Lanzarote, con Matteo di spalle e Dieghito che gioca: tempi di attesa in attesa di un finale sospeso. PIErANGELA CHIESA Forse perché Almodovar ci ha abituati a film eccellenti, questo mi ha lasciata perplessa. Non mi convince la storia, troppo complessa e sovraccarica, a mezza strada fra il sentimentale e il thriller, senza raggiungere mai il totale coinvolgimento dello spettatore. Solo il finale, nel quale si ritrova il vero Almodovar, riscatta il film. Molto bravi gli attori, anche se costretti a dar vita a personaggi troppo emblematici, predefiniti, senza alcun cedimento o umana fragilità. Bellissime, anche, la fotografia e le ambientazioni, sia quando la scena si svolge in un interno sia nella vie di Madrid o a Lanzarote. ELENA CHINA-bINo Per me si tratta del primo Almòdovar e della prima Penélope Cruz. Mi sentirei quasi di dire che la fama che accompagna i due sia esagerata. Ho trovato questo film poco convincente e poco coinvolgente. Per la recitazione segnalerei su tutti Angela Molina, l’Agente ex amante. Una sola altra cosa vedo emergere prepotentemente: la meraviglia dei paesaggi di Lanzarote. GIUSEPPE GArIo Lì per lì sembra la stessa sindrome di Baarìa. Liberata dai molti involucri che travestono “Gli abbracci spezzati” da film sul film, ecco invece la tragedia classica narrata da un poeta (così così) cieco e annunciata nel manifesto dalla maschera di un’eroina inesorabilmente spinta alla morte dall’amore. L’amore per il padre ne fa l’amante del re, spodestato dal poeta, anch’egli poi subordinato all’amore dell’eroina per la propria parte. Almodóvar intreccia tragedia e romanzo rosa, un tema antico e un linguaggio contemporaneo senza significati. Cita però se stesso e ci fa ricordare i suoi altri film ben più belli e, a mio parere, riusciti. LUISA ALbErINI Sembra che Almodovar non voglia o non sappia rinunciare a nessuno dei suoi personaggi: c’è il gusto di voler donare loro un’altra vita, di replicarli in una storia. che ne perfezioni linguaggio e comportamento. Per le donne un copione spesso già scritto, ma anche gli uomini ricadono in situazioni già viste. A pagarne le conseguenze qui è il protagonista, anche lui centro di un gioco di doppia identità, poco incisivo è sovrastato da un continuo passaggio di altri che non sono mai definitivamente quello che sembrano ma in cerca di quello che dovrebbero diventare. Momenti CAtErINA PArMIGIANI Tra i molti, troppi, temi affrontati dal film, il principale è il ruolo del regista che si presenta come un intellettuale raffinato, un abile creatore di situazioni e personaggi, un sensibile psicologo con un acuto intuito che sa vedere al di là dell’apparenza degli aspiranti attori: “vede” con il cuore e con la mente anche quando diventa cieco e si deve limitare a scrivere sceneggiature. L’amor-fou è l’espediente usato da Almodovar per rendere avvincente il film, che tuttavia non raggiunge il livello di qualità dei precedenti. Gli abbracci spezzati 121 G. ALbErtA zANUSo Anche in questo film Almodovar trasmette tutta la sua esplosiva vitalità latina, come sempre è passionale e a forti tinte, anche in senso metaforico. La Cruz, sua attuale Musa, è la materia ideale su cui imprimere ogni minima sfumatura del suo talento di regista, è bella e brava e veramente l’attrice perfetta per lui. In quanto alla trama, se all’inizio lo spostamento dei tempi, indietro e avanti, può un po’ disorientare, è un’impressione passeggera che non nuoce alla compressione della storia. Se qualche interrogativo rimane non è per caso bensì voluto... Forse questo non era necessario. A mio parere proprio nella sceneggiatura si trova qualche piccolo neo, alcune ingenuità (era evidente che il giovane fosse figlio del protagonista) se così si può dire di un regista esperto come Almodovar. Pregevoli le scene a Lanzarote così diversa da ciò che normalmente si nota in questa interessante isola. Perché si resta un pò delusi? Forse perché da un maestro come lui ci si aspetta sempre il massimo. Certo è che qui non si toccano i vertici emotivi dei suoi migliori film. diScrETo CArLo CHIESA Un po’ confuso e – in alcuni momenti – abbastanza improbabile. EMILIo roNCoroNI Peccato che Almodovar non sia riuscito a realizzare un film dove, come in parecchi suoi altri, riesce a trattare delle vicende umane con delicatezza ma anche con un’intensità emotiva GIUSEPPINA rEGGIorI tArDIvELLo Film gradevolissimo, ma non all’altezza della sensibilità, fantasia e humor di Pedro Almodovar. Forse un po’ lungo per quello che ha da dire. MIrANDA MANFrEDI Sentimenti che diventano passioni, che conducono quasi a un thriller. Personaggi all’inizio difficili da collocare nel loro ruolo e che nella prolissità del film assumono poi una loro identità. Penelope Cruz tiene bene la recitazione e il suo personaggio rimane quello principale anche nel ricordo. È un film che non mi ha convinto, soprattutto per la mancanza di sintesi. 122 Gli abbracci spezzati PIErFrANCo StEFFENINI Film di grande impatto visivo, di colori sgargianti e ambientazione suggestiva. Questa volta Almodovar ha scelto un intreccio ai limiti del giallo, che scopre gradualmente le carte, fino al momento in cui, sul finale, eventi e personaggi trovano la loro collocazione reciproca. Debbo dire che né la storia in sé né la tecnica narrativa mi hanno appassionato, anzi il film mi è parso abbastanza noioso, con un personaggio maschile stranamente antipatico. Sempre brava e bella la Musa Penelope Cruz. CArLA CASALINI Fascinoso Almodovar, ma meno del solito. Come è meno carismatico del regista Pedro il regista suo alter ego Mateo, sia da vedente sia da cieco; e sempre magnifica ma meno magicamente seduttiva è Penelope Cruz. L’uno e l’altra protagonisti di una storia telenovelistica che non dà emozioni. Tra i personaggi di contorno, sono invece ben tratteggiati nella loro eccessività emotiva la segretaria ex amante di lui e il produttore marito di lei, mentre i due figli e il loro rapporto con i padri mi sembrano solo strampalati. Soltanto nella breve sequenza finale – quella del film ricostruito, con la strepitosa figura dell’assessora assatanata di sesso che deve liberarsi della valigia di droga – si ritrova la paradossale veridicità che ha costituito la sigla di Almodovar. Insomma, finisce bene un film che non ha ben centrato i suoi obiettivi.