md. augusta tescari, le molte acque non hanno

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md. augusta tescari, le molte acque non hanno
Martiri 1
LE MOLTE ACQUE
NON HANNO POTUTO SPEGNERE L’AMORE (Ct. 8, 7)
I martiri di Viaceli e le martiri di Algemesí
Sr. M. Augusta Tescari, OCSO
Per la modalità del martirio, che subirono nel 1936, la frase del Cantico dei Cantici che apre il
Decreto di Beatificazione di Pío Heredia e dei suoi diciassette compagni martiri, ha un significato anche
letterale: almeno undici martiri del monastero di Viaceli perirono annegati nella baia di Santander, nelle
acque tumultuose del Mar Cantabrico. I loro corpi non furono ritrovati, ma sappiamo bene che la
procedura abituale delle esecuzioni consisteva nel condurre in barca i prigionieri legati e nel
sommergerli nelle acque profonde della baia.
Altri cinque martiri, che perirono per arma da fuoco, attraversarono anch’essi le molte acque
della sofferenza, che non hanno potuto però estinguere nei loro cuori l’amore per Cristo e per la sua
Chiesa attraverso la piena accettazione del martirio. Di altri due martiri non conosciamo esattamente la
modalità dell’esecuzione, anche se abbiamo la certezza che consumarono il loro sacrificio per il
semplice fatto di essere religiosi cristiani e quindi odiati per questo unico motivo.
Nell’estate del 1936 i circa sessanta monaci della comunità trappista di Viaceli, monastero
situato a Cóbreces, nella provincia di Santander, erano rimasti una quarantina, dato che molti,
soprattutto i più giovani, erano stati rimandati nelle loro famiglie a causa della rovente situazione
politica e delle vessazioni che la comunità aveva già dovuto subire. Agenti della Federazione degli
anarchici iberici invasero il monastero l’8 settembre 1936 e caricarono su due autocarri trentotto
monaci, trasportandoli sotto scorta a Santander. L’abate, di nazionalità francese, rimase a Cóbreces, in
attesa di essere rimpatriato e riparò in seguito in una zona libera. Quattro religiosi, fra cui i due segretari
della comunità, Padre Eugenio e Padre Vincenzo, furono invece costretti a rimanere sul posto, perché
gli invasori avevano bisogno di loro per imparare a gestire la fabbrica di formaggio del monastero e, più
verosimilmente, per impadronirsi di supposte ed inesistenti somme di denaro nascoste.
Imprigionati a Santander nel collegio dei Salesiani adibito a carcere, i monaci espulsi dovettero
subire umiliazioni e scherni da parte del popolo quando erano condotti in fila alla mensa pubblica del
Fronte Popolare. Se poi, durante la distribuzione del cibo, si formavano delle code, divenivano oggetto
di lazzi e di parole oscene: nonostante gli abiti civili, la plebaglia li identificava subito come religiosi, de
derecha, reputandoli ricchi, contrari ai cambiamenti sociali e quindi nemici.
I monaci furono rimessi in libertà dopo una decina di giorni per intervento di amici influenti; la
maggior parte di loro provenivano dalle province di Burgos e di Léon, che erano occupate militarmente
e quindi irraggiungibili. Nella città di Santander alcuni si dispersero in case private, altri si
raggrupparono formando tre piccole comunità che cercavano di mantenere nascostamente la vita
monastica. Il gruppo capeggiato da Padre Pío Heredia, priore di Viaceli, trovò rifugio quasi di fronte ad
uno dei famigerati commissariati (le famose ceke) della polizia comunista. Padre Pio, da vero padre dei
suoi monaci, era il centro di unità di tutti i fratelli, sia quelli riuniti in gruppi, sia quelli dispersi nelle case
di parenti o conoscenti. La sua santità, che rifulgeva maggiormente in quei difficili momenti, è stata
attestata da tutti i sopravvissuti: egli incoraggiava, consolava, sosteneva i suoi fratelli con amore
paziente e con incredibile serenità, spingendoli ad accettare la volontà di Dio nelle avversità e
impedendo persino di parlare male dei persecutori. Da lui venivano a confessarsi nascostamente anche
laiche cristiane e ricorrevano a lui coloro che avevano bisogno di aiuto e di conforto.
Nonostante le misure prudenziali, il movimento intorno alla casa non poteva essere ignorato dal
vicinissimo commissariato che, come vedremo, non ebbe nessuna difficoltà nel rintracciare ed arrestare
i religiosi all’inizio del mese di dicembre.
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Nei pochi mesi intercorsi fra la prima e la seconda detenzione, i monaci cercarono di vivere la
loro giornata monastica nel miglior modo possibile: nell’appartamento che occupavano dicevano la
Messa sulla tavola della sala da pranzo a mezzanotte o all’alba, con le persiane chiuse; recitavano
l’Ufficio Divino e il Rosario e facevano persino l’adorazione eucaristica, tenendo il SS. Sacramento in
una coppa sportiva, che apparteneva al padrone della casa che li aveva ospitati.
La passione dei monaci di Viaceli era iniziata con l’uccisione dei due confratelli che erano
rimasti in monastero a servizio forzato degli occupanti. Si ha notizia certa che, durante i dodici giorni
che i due sacerdoti trascorsero con gli uomini del Fronte Popolare, furono sottoposti a pressioni e
lusinghe perché abbandonassero il sacerdozio e la fede e si unissero ai progetti dei comunisti. Al netto
rifiuto dei due padri, il 21 settembre fu offerto loro di accompagnarli in macchina a Santander,
ritardando la partenza fino a notte inoltrata. Ad una ventina di chilometri dal monastero furono però
uccisi a colpi di pistola e i cadaveri furono abbandonati sul ciglio della strada. Ritrovati il giorno
seguente, la gente del posto li seppellì nel cimitero di Rumoroso. Soltanto nel 1940, dopo essersi
accertati di tutte le voci che correvano, i monaci di Viaceli esumarono le due spoglie (sepolte senza
cassa, uno sopra l'altro) e, con grande concorso di popolo, le trasportarono al monastero, seppellendole
nel chiostro della lettura dietro il seggio abbaziale.
I due monaci sacerdoti assassinati erano Eugenio García Pampliega (1902-1936) e Vicente
Pastor Garrido (1905-1936).
La notizia dell’uccisione dei due fratelli cominciò a circolare e fu risaputa dai monaci rifugiati a
Santander fin dal mese di ottobre. Pur non avendo conferma certa dell’avvenuta esecuzione (ma
neppure una smentita sicura), l’idea della possibilità del martirio si fece strada nel cuore di tutti. In vista
della prova che avrebbero dovuto sopportare, la preghiera dei religiosi rifugiati si fece più intensa. Padre
Pío vegliava sulla pace dei fratelli, animandoli, tranquillizzandoli, ma anche preparandoli al sacrificio
supremo.
Probabilmente a causa di qualche delazione, il 1° dicembre 1936 fu arrestato il gruppo di
religiosi che comprendeva soltanto fratelli conversi e anche un giovane oblato, un ragazzo che
frequentava la scuola monastica.
La polizia marxista, capeggiata dal famigerato commissario Manuel Neila, voleva sapere da dove
prendevano i mezzi di sussistenza. I religiosi erano gente di ‘destra’, quindi non avevano neppure il
diritto di mangiare e chi li aiutava era considerato un nemico del popolo. Avendo dichiarato al
commissario che era il padre priore che si occupava della cosa, gli arrestati fornirono forse agli agenti
rossi il pretesto per arrestare il secondo gruppo, che comprendeva appunto il priore e altri monaci
sacerdoti e che era rifugiato a brevissima distanza dalla sede della polizia.
Il terzo gruppo di monaci, informato della sorte dei confratelli, scampò all’arresto ed ebbe
tempo e modo di dissolversi.
Padre Pío Heredia non volle assolutamente dichiarare il nome di chi forniva loro degli
aiuti. Dopo penosi interrogatori e maltrattamenti durante il processo istruito nella notte del 2 dicembre
per dare una parvenza di legalità alla condanna dei religiosi, ma in realtà in odio alla fede e per cercare
di impadronirsi del loro denaro, avvenne la condanna a morte. Padre Pío avvisò i fratelli che dovevano
prepararsi al peggio e che l'esecuzione era vicina.
Secondo la testimonianza dell’oblato di quindici anni che abitava con i conversi del
primo gruppo e che era stato arrestato con loro, condividendone la prigionia nella cantina della ‘ceka’, i
religiosi erano sereni e accettavano la loro sorte con fede e tranquillità. Egli testimoniò che il Padre Pío,
tornando nel sotterraneo dopo un terribile interrogatorio, aveva detto testualmente ai compagni di
prigionia: «Prepariamoci a morire bene, perché è questo il destino che ci aspetta». Aveva poi raccomandato al
giovane oblato, che era l’unico che probabilmente sarebbe uscito vivo dal carcere, di andare a riferire
all’abate francese del monastero la sorte toccata ai suoi monaci. Il ragazzo vide che essi furono caricati
su un autocarro in due gruppi separati, uno nella notte del 3 dicembre, l'altro nella notte successiva.
Approfittare delle tenebre della notte e disfarsi dei prigionieri senza lasciare tracce, dando loro la morte
per annegamento, era il classico metodo dei marxisti della Cantabria in quel periodo tristissimo della
guerra civile spagnola. Agli arrestati veniva dato el paseo, un viaggio senza ritorno.
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Dei dettagli della tragica ‘passeggiata’ senza testimoni dei monaci di Viaceli non si seppe mai
nulla. Furono gettati in mare dalla scogliera a picco del faro di Santander o condotti in barca e
sommersi nelle acque profonde della baia? Dato che nei primi giorni di dicembre del 1936 c’erano navi
inglesi ancorate nella baia che sorvegliavano la zona del faro, la seconda ipotesi sembra la più probabile,
anche perché era la modalità più frequente per dare el paseo.
Ecco l'elenco dei martiri del 3 e 4 dicembre:
- Pío Heredia Zubía (1875-1936), priore, sacerdote
- Giovanni Battista Ferrís Llopis (1905-1936), sacerdote
- Amedeo García Rodríguez (1905-1936), sacerdote
- Ezechiele Álvaro de la Fuente (1917-1936), converso a voti temporanei
- Antonio Delgado Gonzáles (1915-1936), oblato di coro
- Valeriano Rodríguez García (1906-1936), sacerdote
- Eustachio García Chicote (1891-1936), sottomaestro dei conversi
- Angelo de la Vega Gonzáles (1868-1936), converso
- Álvaro González López (1915-1936), professo corista a voti temporanei
- Eulogio Alvarez López (1916-1936), converso a voti temporanei
- Benvenuto Mata Ubierna (1908-1936), novizio converso
Alcuni di loro erano giovanissimi: Ezechiele aveva diciannove anni; Eulogio venti; Antonio e
Álvaro ventuno. Nessuno dei monaci aveva partecipato ad attività politiche e nessuno di loro sapeva la
ragione profonda dello scatenarsi della rabbia cieca che li conduceva innocenti alla morte.
L’oblato quindicenne Antonio Martín e il ventitreenne novizio di coro Marcellino Martín Rubio
(1913-1936) furono lasciati in carcere. Il primo fu risparmiato, evidentemente per la sua giovane età,
mentre il secondo fu trattenuto, forse per poter procedere ad accertamenti, dato che nei documenti
personali risultava come muratore. I due ragazzi rimasero in prigione per una quindicina di giorni, senza
quasi ricevere cibo, e furono poi rilasciati. L’oblato sopravvisse e poté quindi testimoniare sulla sorte
toccata ai compagni di prigionia, mentre il novizio Marcellino, denunciato come religioso da un
compaesano che l’aveva incontrato in città, fu di nuovo arrestato e scomparve, subendo la sorte dei
compagni, anche se non sappiamo esattamente come avvenne l’esecuzione. Da qualche indizio che non
è stato possibile verificare, pare sia stato trasportato sulla nave-prigione Alfonso Pérez e sia morto nella
stiva in seguito ai maltrattamenti e alla febbre tifoidea. Di lui ci restano alcune splendide lettere, scritte
alla zia religiosa, che testimoniano la disponibilità sua e di tutti i fratelli ad accettare la morte per amore
di Cristo.
“In questi tempi così brutti per i religiosi, sono contento, allegro, soddisfatto e felice nella misura in cui lo si può
essere in questa vita…Non ho paura della morte…Se Dio permette che dobbiamo anche noi abbandonare il monastero o
soffrire qualsiasi altra disavventura, siamo già preparati a tutto e disposti a soffrire quello che Dio disporrà, anche la
morte, se ci capiterà. Sono tranquillo, pronto a tutto ciò che Dio vorrà mandarmi, anche a morire, se è questa la sua santa
volontà”1.
Erano senz’altro questi i sentimenti anche di fra Leandro Gómez Gil (1915-1936),
converso a voti temporanei, che il 29 dicembre fu scoperto dai miliziani nella casa che aveva ospitato
suo fratello Adolfo, partito per il fronte: apparteneva al gruppo di fratelli conversi che si era
prudentemente dissolto dopo la scomparsa del padre Pío e dei suoi compagni. Gli altri fratelli del
gruppo si erano rifugiati a Bilbao, dove la persecuzione religiosa non era così forte, ma Leandro non
aveva osato farlo, dato che rientrava nella categoria per la quale era giunto l'ordine di mobilitazione ed
era quindi particolarmente soggetto a controlli. La polizia rossa, come vendetta del bombardamento di
Santander del 27 dicembre per opera delle forze nazionaliste, lo maltrattò in modo orribile, fino a farlo
tanto sanguinare dalla bocca, dal naso e dalle orecchie che un lenzuolo ne fu inzuppato.
Il giorno successivo gli agenti tornarono: Leandro fu cacciato a forza in un'auto e scomparve
per sempre. Anche lui fu forse annegato o fucilato. Suo fratello Adolfo, che aveva prestato servizio
militare forzato nell’esercito comunista, seppe i dettagli della sua morte, di come si era dichiarato
spontaneamente religioso e del suo contegno mite di fronte agli assassini. Egli ritrovò in seguito colui
che aveva assassinato suo fratello in odio alla fede e alla Chiesa. Un compagno, al corrente dei fatti, gli
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lettera dell’8 aprile 1936
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aveva passato una pistola, dicendogli: «Ammazzalo, scaricagli tutto il caricatore nella testa». Ricordando però
che fra Leandro era morto perdonando, anche il fratello perdonò all’assassino in nome di Cristo.
Il sedicesimo martire di Viaceli, anche lui ucciso in modo orribile, fu il postulante José
Camí Camí (1907-1936), un sacerdote di ventinove anni, che desiderava entrare in monastero, dove era
già stato accettato. Allo scoppio della guerra si trovava nel suo paese di Aytona, per salutare i familiari
prima dell'ingresso in comunità. Bloccato a causa delle ostilità, fu convocato davanti al comitato del
popolo, ma fu poi rilasciato. Nella notte del 27 luglio 1936 fu cercato di nuovo: volevano 'il prete'. Fu
legato con il vice-parroco di Aytona dietro ad un'auto, che partì a tutta velocità, trascinando i due
sacerdoti per tredici chilometri. Giunti a un crocevia i due, che erano semivivi, ebbero ancora la forza di
alzarsi, abbracciarsi e perdonare agli assassini. Furono finiti a fucilate e schiacciati dalle ruote della
macchina che passò diverse volte sui loro corpi. Un testimone oculare riferì i dettagli dell'uccisione alla
sorella di José.
La furia omicida che si impadronì degli uomini durante la guerra civile, non risparmiò neppure
le donne, religiose inermi e completamente estranee alla politica.
Nel luglio del 1936 le monache di Fons Salutis, monastero di Bernardine situato a Algemesí,
vicino a Valencia, furono espulse dai comunisti.
La badessa, Micaela Baldoví Trull (1869-1936), molto amata dalle sue figlie, aveva
esercitato il suo governo con molto spirito materno e profonda comprensione delle umane debolezze.
Dopo l'espulsione si rifugiò in casa di sua sorella, ma tre mesi dopo furono entrambe arrestate e
condotte proprio nel monastero di Fons Salutis, convertito in prigione. Durante la notte del 9
novembre furono tratte dal carcere e condotte al crocevia di Benifayó, sulla strada di Valencia, dove
furono assassinate. Al termine della guerra, dopo molti accertamenti per scoprire il luogo in cui era
avvenuta l'uccisione, i loro resti furono esumati e si trovarono le due teste separate dal tronco, il che
lascia supporre che le due sorelle furono fucilate e poi decapitate.
Un'altra monaca di Fons Salutis, María de la Natividad Medes Ferris (1880-1936), dopo
l'espulsione si rifugiò presso la famiglia di suo fratello José, dove la raggiunsero due suoi fratelli,
religiosi carmelitani. Arrestati assieme a José, laico appartenente all’Azione Cattolica, furono tutti
detenuti nel monastero di Fons Salutis. Nella notte del 10 novembre i quattro fratelli furono condotti in
un luogo imprecisato fra Alcira e Carlet e fucilati.
La fama di santità delle monache di Fons Salutis perdurò negli anni successivi alla guerra e nel
1962 fu iniziata la causa di martirio. Per i monaci di Viaceli la causa fu introdotta nel 1996. Le due cause
seguirono l’iter consueto e furono unite nel 2001. Il 19 settembre 2013 si celebrò il Congresso Peculiare
dei Consultori teologi, che espresse parere favorevole. I Padri Cardinali e Vescovi nella Sessione
Ordinaria del 20 gennaio 2015 riconobbero che i suddetti Servi e Serve di Dio furono uccisi per la loro
fedeltà a Cristo e alla Chiesa.
L’Azione Cattolica spagnola, che ebbe molti suoi membri assassinati durante la guerra
civile, aveva introdotto già da tempo una causa che giunse a conclusione alcuni anni fa: José, il laico
sposato, fratello di suor María de la Natividad, che morì con lei, è già stato dichiarato Beato. Anche per
i suoi due altri fratelli carmelitani è in corso la causa di martirio, come pure per il sacerdote di Aytona
che morì insieme con il postulante José Camí Camí.
I martiri della guerra spagnola non furono gli unici cistercensi uccisi nel secolo XX a
motivo della loro fede. A loro si devono aggiungere molti altri, che diedero la loro vita per Cristo con
semplicità e coraggio:
In un'isola dell'Oceania che oggi si chiama Nuova Britannia e che apparteneva al
vicariato apostolico di Rabaul, moriva assassinato nel 1904 fra Luigi Gonzaga Bley (1865-1904),
converso del monastero di Mariastern, in Bosnia-Erzegovina.
A Cheiklé, vicino ad Akbès in Siria, nel monastero del S. Cuore, in cui aveva
vissuto per qualche tempo Charles de Foucauld, fu ucciso da bande kemaliste fra Filippo
Dormeyer (1845-1920), un vecchio monaco di coro, non sacerdote, che era venuto in Siria fin
dal 1882. Il monastero era stato abbandonato durante la prima guerra mondiale, ma nel 1919 fra
Filippo era tornato con un altro fratello per tentare di farvi rivivere la vita monastica.
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P. Emmanuel Robial, monaco della Trappa, era partito per Yan-Kia-Ping, in
Cina e poi aveva fatto parte del gruppo che aveva fondato N. S. della Gioia. Fu ucciso insieme
ad altri otto Padri Lazzaristi nel 1937 da soldati giapponesi mentre si trovava nella Missione,
sede episcopale di Mons. Frans Schraven, vescovo lazzarista del luogo. I soldati volevano
vendicarsi del rifiuto del vescovo di consegnare loro le donne rifugiate nella Missione e per
questo uccisero e bruciarono tutti i Padri europei.
I cinque fratelli P. Ignazio, P. Nivardo, fra Lino, M. Edvige e M. Teresa Loeb, di
ascendenza ebrea, furono tutti vittime delle persecuzioni naziste. I tre fratelli furono arrestati
dalla Gestapo nell'abbazia olandese di Koningshoeven, a Tilburg, nella notte del 2 agosto 1942.
Le loro due sorelle, madre Edvige e madre Teresa, monache cistercensi nell'abbazia di Berkel,
vennero anch'esse arrestate nella stessa notte. I cinque fratelli morirono nei forni crematori di
Auschwitz nell’agosto e nel settembre 1942. Un'altra sorella, madre Veronica, dopo numerose
persecuzioni e sofferenze, morì nel suo monastero di Berkel il 1 agosto 1944. Hans, il fratello
minore, che era laico, morì a Buchenwald nel 1945. L’unica sopravvissuta fu l’ultimogenita,
Paola, che si sposò prima della guerra e visse nascosta a Nimega, lontana dal marito e dal figlio.
Crisostomo Chang e i suoi trentadue compagni scrissero una delle più belle
pagine del martirologio cistercense. Erano monaci della trappa di Yang-Kia-Ping, Nostra
Signora della Consolazione, fondata da Tamié nel vicariato apostolico di Pechino. La loro
passione fu vissuta negli anni 1947-48. Altri due monaci di Nostra Signora della Gioia,
fondazione di Yang-Kia-Ping morirono durante la seconda persecuzione comunista, nel 1951,
uno in prigione e l’altro in seguito ai maltrattamenti, subito dopo il rilascio.
Nella notte dal 26 al 27 marzo 1996 sette monaci del monastero di N. D. de
l'Atlas, a Tibhirine, in Algeria, vennero sequestrati e poi uccisi durante la guerra civile, in
circostanze mai chiarite. Non c’è nessun dubbio che – da parte loro – abbiano dato la loro vita
per amore di Cristo, della Chiesa algerina e dei loro fratelli musulmani.
Anche noi, dunque,
circondati da un così gran nugolo di testimoni,
deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia,
corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti,
tenendo fisso lo sguardo su Gesù,
autore e perfezionatore della fede.
Egli in cambio della gioia che gli era posta innanzi,
si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia,
e si è assiso alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi
stanchiate perdendovi d’animo.
Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato.
(Ebr. 12, 1-4)