Ugo di Vallepiana - Le Montagne Divertenti
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Ugo di Vallepiana - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina e v r i D tenti N°35 - INVERNO 2015 - EURO 5 Racconti Natale 1943-1945 L’epilogo della guerra in Valmalenco Novità Correre tra le montagne Valmalenco Il giro delle Tremogge Versante Retico Due itinerari per la cima del Desénigo Valchiavenna Monte Tignoso / Don Ugo Bongianni e la casa di San Sisto Alta Valtellina Monte Castelletto Versante Retico Sui monti di Villa di Tirano Percorsi di corsa Dalle vigne a Spriana Personaggi Intervista a Marco De Gasperi ed Elisa Desco Viaggi Tenerife Natura Ermellino: il folletto delle Alpi Inoltre Ricette della nonna (il sapone fatto in casa), foto dei lettori, giochi... Ugo di Vallepiana Precursore dello scialpinismo VALCHIAVENNA - BASSA VALTELLINA - VAL MASINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA 1 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale Beno Quando il vento gelido mi scuote, sono felice d’essere avvolto in una giacca e d’aver lasciato lunga la barba che, foderandosi di ghiaccio, mi ripara il viso. Quando il freddo mi mette una fame da lupi, non desidero altro che il panino col salame che ho nello zaino. Quando sbuco dalla parete in ombra, sorrido al sole che mi abbraccia. Quando la fatica è troppa, ecco il mio compagno che mi dà il cambio nel batter traccia. Poi arrivo in cima e ascolto il silenzio dell’inverno spiegarmi che la libertà sta nel desiderare solo le cose essenziali. 2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 Editoriale: il gruppo Sella - Glüschaint emerge dalle nubi. Ripresa effettuata dal Sasso Moro (18 novembre 2014, foto Beno - www.clickalps.com). In copertina: scialpinismo in val d’Arigna. Sullo sfondo il Dente di Coca (19 febbraio 2015, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). Editoriale LE MONTAGNE DIVERTENTI punta Milano in val Masino (5 ottobre 2015, foto Beno - www.clickalps.com). Ultima di copertina: il volto della 3 Speciali lpinismo peciali E R scursionismo ubriche O Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 A S 8 10 LE MONTAGNE DIVERTENTI Editore Beno Direttore responsabile Enrico Benedetti 34 80 Realizzazione grafica 11 Alessandra Morgillo Beno Gioia Zenoni Roberto Moiola I Redazione Ugo di Vallepiana (1890-1978) Valmalenco Versante Retico Nessuna festa senza una vetta Beno Revisore di bozze Il giro delle Tremogge (m 3441) Viaggi Sui monti di Villa di Tirano Tenerife Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti 90 4 11 A 48 Si ringraziano inoltre 18 Alessandra Morgillo, Antonio Boscacci, Beno, Bruno Mazzoleni, Corpo Volontari Protezione Civile Milano, Dicle, Eliana e Nemo Canetta, Fabio Menino, famiglia Silvio Barri, Federica Pellegrini, Flavio Casello, Giacomo Meneghello, Graziella Pradella, Jacopo Rigotti, Kim Sommerschield, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici, Marco De Gasperi ed Elisa Desco, Marzia Fioroni, Mario Vannuccini, Mario Pagni, Marino Amonini, Maristella Sceresini, Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Maurizio Citarini, Nicola Giana, Piero Tartarini, Raffaele Occhi, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Roberto Moiola, Simona Alberti, Silvio Gaggi, Tiziano Giumelli. R Hanno inoltre collaborato a questo numero Racconti inediti di Antonio Boscacci Versante Retico Media Valtellina Natura Natale Cima del Desénigo (m 2845) Dalle vigne a Spriana Ermellino: il folletto delle Alpi 0 Rubriche Intervista a Marco De Gasperi ed Elisa Desco Le foto dei lettori 13 Approfondimenti 12 Novità Approfondimenti 10 L’epilogo della guerra in Valmalenco Nel canyon del monte Tignoso (m 2376) 0 Valchiavenna 10 1943-1945 70 Bonazzi Grafica - via Francia, 1 - 23100 Sondrio 62 Stampa 28 [email protected] tel. 0342 380138 22 Pubblicità e distribuzione M Avis Comunale Sondrio, Cino Ortelli, Maurizio Torri, Daniela Morelli, Franco Monteforte, la Tipografia Bonazzi, Elia Negrini, Nicola Masoli, Giorgio Gemmi, Luigino Scilironi “Ginetto”, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto... e tutti quelli che ho dimenticato di citare. Per ricevere la nostra newsletter: registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com Contatti, informazioni e merchandising Giochi Contrada Scilironi / Le chiese di Spriana Soluzioni del n. 34 e concorsi del n. 35 13 Arretrati 4 - www.lemontagnedivertenti.com - oppure telefonare al 0342 380138 (basta lasciare i dati in segreteria). Don Ugo Bongianni e la casa di San Sisto Approfondimenti 10 fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su Correre tra le montagne 2 annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) nella causale specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” O Abbonamenti per l’Italia M [email protected] www.lemontagnedivertenti.com [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista Prossimo numero S Alta Valtellina La montagna d’inverno in punta di piedi Inverno 2015 Monte Castelletto (2556) LE MONTAGNE DIVERTENTI Approfondimenti La TV a Sondrio: la prima fu ad Arquino 7 Inverno sostenibile 6 LE MONTAGNE DIVERTENTI 74 4 33 21 marzo 2016 Le ricette della nonna Il sapone fatto in casa Sommario Sommario 5 Localizzazione luoghi Zillis Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers 3062 2115 Mulegns 3378 Cresta St. Moritz Maloja Passo del Maloja 1815 Pizzo Stella Pizzo Quadro 3013 3183 Mera Pizzo Galleggione 3107 CHIAVENNA Prata Camportaccio ra T. Code Bagni 3678 di Masino Pizzo Ligoncio San Martino Corni Bruciati 3032 Delébio Rògolo Còsio Regolédo Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Introbio Lierna Ornica Colorina Pasturo LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Foppolo Carona Cùsio Piazzatorre Cassiglio Olmo al Brembo Ponte in Valt. Caiolo Albosaggia Tartano Mezzoldo Valtorta SONDRIO Adda T. V enin a Bellàno Taceno Bellagio 6 Geròla Boirolo Pizzo Campaggio 2503 80 Tresenda Carona Aprica Còrteno Schilpario Inverno 2015 Vilminore Colere Villa Pizzo Camino 2492 Vione Monte Castelletto (m 2556) (Giacomo Meneghello) 80 Versante Retico Sui monti di Villa di Tirano (Beno e Antonio Boscacci) 90 Versante Retico Dalle vigne a Spriana Ponte di Legno Passo del Tonale 1883 (Beno) Adamello 3554 Monte Fumo 3418 Garda Monte Carè Alto 3462 Berzo Paisco Concarena 2549 (Beno) Edolo Sonico Palone del Torsolazzo 2670 Nel canyon del monte Tignoso (m 2376) Incudine Monno Malonno Pizzo di Coca Monte Torena 2911 3050 Monte Sellero 2743 Pizzo di Redorta Loveno 3039 Monte Gleno Pizzo del Diavolo 2883 Valbondione di Tenda Passo del Vivione 2914 1828 Gromo Vezza d'Oglio Cortenedolo 100 Pezzo Pezzo Monte Serottini 2967 Mazzo Punta San Matteo 3678 Corno corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Passo dell'Aprica Pizzo di Rodes Gandellino Fumero (Luciano Bruseghini) 62 Valchiavenna Passo di Gavia 2618 Cima del Desénigo (m 2845) 74 Alta Valtellina Forni Santa Caterina Sondalo Tovo Lovero Sernio TIRANO Bianzone Teglio Arigna Monte Confinale 3370 Le Prese Adda 2829 Branzi Roncorbello Monte Masuccio 2816 Monte Cevedale 3769 frana di val Pola Grosotto Brusio Chiuro Tremenico Premana 90 T. Livrio Dervio Albaredo 3136 Tresivio Talamona Bema Torre di S. Maria Postalesio Berbenno Castione Le Prese Fonta na Cevo Bùglio Caspano Ardenno Dubino Mantello Mello Traona Dazio Sirta MORBEGNO 3323 Vetta di Ron T. Mallero 2845 48 Verceia Lanzada Caspoggio Chiesa in Valmalenco 3114 Pizzo Scalino Gran Zebrù 3851 Cepina Grosio T. Va l Cima del Desénigo Monte Legnone 2610 Lago di Como Primolo T. Caldenno Lago di Mezzola Monte Disgrazia Malghera Poschiavo Ortles 3905 San Antonio BORMIO Valdisotto San Carlo Sasso Nero 2917 3378 Novate Mezzola Còlico Dongo Cima di Castello o T. Masin Montemezzo Livo Gera Dosso d. Liro Lario Somaggia Chiareggio Oga Cima di Saoseo 3264 i od Lag chiavo Pos 2459 3308 San Cassiano San Pietro Samòlaco Era Pizzo Martello Villa di Chiavenna Pizzo Badile La Rösa Bagni di Bormio Premadio Eita 34 Bondo Isolaccia Cima Piazzi 3439 4049 Passo del Muretto 2562 Vicosoprano Passo del Bernina 2323 Giogo di Santa Maria 2503 Valdidentro T. Roasco Gordona Soglio Castasegna Prosto Mese Piz Palù Pizzo Bernina 3906 Casaccia T. La nte rna Campodolcino Solda Solda Passo dello Stelvio 2757 Arnoga Forcola di Livigno 2315 Sils Can can o Trepalle Passo del Foscagno 2291 Pianazzo 62 hi d i 74 Piz Languard 3268 Silvaplana Juf Fraciscio 48 Versante Retico Cima la Casina Lag 3180 1816 Pontresina Julierpass Bivio Lago d i Lei Madesimo Livigno 3057 Mera 3209 (Luciano Bruseghini) Stelvio Stelvio San Maria Samedan Piz Nair 3392 Pizzo d'Emet Isola Sur Giro delle Tremogge (m 3441 - m 3438 - m 3331) Lago del Gallo Piz Piatta Montespluga 3279 3159 Inn 34Valmalenco Montechiaro Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga Zuoz Albulapass 2312 Julia Curtegns 1864 Ausserferrera Piz Quattervals 3418 Reno Splügen Medels Pizzo Tambò Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Saviore Valle Capo di Ponte Làveno LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Re di Castello 2889 Niardo Niardo © Beno © Beno 2010/2015 2011 - riproduzione - riproduzione vietata vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 7 L e g e n d a Itinerario invernale adatto anche a chi senza automobile e navigatore satellitare non sa andare dalla cucina al salotto. La maggiore difficoltà dell’escursione starà nello scattarsi la foto di gruppo con la rivista. Schede sintetiche, tempistiche e mappe Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del percorso, tra cui dislivello positivo, tempo di percorrenza e difficoltà. Nella pagina a fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Nelle schede sintetiche alla voce “dettagli” viene indicata la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Le tempistiche fornite nel testo descrittivo sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Con dislivello s’intende il dislivello positivo. Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario più consono alle proprie capacità. Nelle mappe, perlopiù realizzate con scala 1:50000, sono rappresentati: dorsali delle montagne, passi, vette, torrenti, laghi, ghiacciai, zone abitate, chiese, rifugi e strade carrozzabili. Per chiarezza non sono disegnati i sentieri, ma, in rosso, il solo itinerario descritto nell'articolo. Altri colori indicano eventuali varianti. se la linea dell'itinerario è continua significa che questo si svolge su sentiero bollato o comunque evidente; il tratteggio invece indica che si è al di fuori dei sentieri o su tracce poco evidenti. Tali rotte sono riservate ad alpinisti o escursionisti esperti. 1 - Se non vi sono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3,5 km/h su itinerario pianeggiante. 2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. BELLEZZA PERICOLOSITÀ Quasi meglio il centro commerciale Carino Assolutamente sicuro Bello Basta stare un po’ attenti Imperdibile FATICA Nulla di preoccupante Impegnativo Un massacro Se effettuato tutti i giorni, lo sforzo inizia a esser tale da garantire chiappe sode. Tuttavia, dato che ci si porta verso l’alta montagna, sconsigliamo di vestirsi col solo perizoma leopardato, tanto gli stambecchi non apprezzerebbero i vostri progressi. Itinerario per buoni sciatori in cerca di ingaggio, ma che offre scarse possibilità di incontri ravvicinati con la signora con la falce. Potrebbero però servire i ferri del mestiere. Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ORE DI PERCORRENZA Anche per uomini larva Le infradito vanno sostituite con calzature più da macho, ma per smarrirsi o farsi male si deve prima aver bevuto una damigiana di vin brulé a stomaco vuoto. meno di 4 ore DISLIVELLO IN SALITA meno di 800 metri dalle 4 alle 9 ore dagli 800 ai 1500 metri dalle 9 alle 13 ore dai 1500 ai 2500 metri oltre le 13 ore oltre i 2500 metri Il gioco si fa duro: se non si è già esperti e avvezzi alla lotta col monte come capre orobiche, è consigliabile una guida. Montagna divertente, itinerario lungo e ricco di insidie di varia natura. È facile farsi prendere dallo sconforto, incengiarsi o rimanere in quota di notte per contrattempo. Nello zaino è bene non dimenticare un taccuino per lasciar testamento. Riservato a chi è così pazzo che anche la signora con la falce ha deciso di non seguirlo più in montagna in quanto reputa le gite troppo pericolose. Ugo di Vallepiana Speciali Raffaele Occhi “Nulla festivitas sine cacumine”, ovvero nessuna festa senza una vetta 10 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE Sommerschield (www.sommerschield.it). UgoMONTAGNE di VallepianaDIVERTENTI ritratto da Kim Ugo di Vallepiana (1890 - 1978) 11 Personaggi Speciali VAGABONDO DELLA MONTAGNA suoi antenati Ottolenghi - originari delle Langhe del Monferrato, da cui prendono nome - si erano trasferiti dal Piemonte a Firenze dove il nonno, direttore della Banca d’Italia e capo della comunità israelita, era stato insignito nel 1883 del titolo onorifico di Conte di Vallepiana. E fu proprio a Firenze che Ugo Ottolenghi di Vallepiana vide la luce nel 1890. La sua prima avventura alpina, preludio di un intenso e duraturo legame con la montagna, il piccolo conte la visse già all’età di quattro anni, a Madesimo. Sfuggito alla sorveglianza della madre, si era avviato solo soletto verso gli Andossi, ma quando da un fiore «si levò un terribile drago: un cala brone al quale ne seguirono altri - così racconta con arguzia - il nostro eroe, pur non conoscendo ancora il detto “soldato che fugge è buono per un’altra volta”, voltò il tergo al nemico», andando a buscarsi dalla madre «un paio di scapac cioni che ancora oggi ignoro se siano stati dati quale punizione per l’impresa alpi nistica non autorizzata o forse, ancor più, per la ignominiosa fuga». Dai primi passi degli Andossi all’alpinismo, con in mezzo ameni episodi e lunghe camminate tra le faggete dell’Appennino tosco-emiliano, il passo fu breve. Ancora ragazzino, in vacanza nelle terre astigiane d’origine, eccolo partirsene in bicicletta con la piccozza del padre per andare a scalinare ripidissimi pendii di terra, anticipazione di pareti di ghiaccio, premiato alfine in I 12 LE MONTAGNE DIVERTENTI vetta da un bel grappolo d’uva dei vigneti sovrastanti. Poi arrivò finalmente il momento di cimentarsi con ghiacciai veri e propri - Gletscher si direbbe in tedesco con maggior enfasi - meta il Piccolo Cervino dal Breuil. Ancor prima dell’alba, col buio più nero, Vallepiana si avviò coi due compagni d’avventura ma, usciti dalla locanda dove alloggiavano, sbagliarono direzione e… si trovarono immersi nei densi e maleodoranti liquami di un laghetto alimentato dagli scoli di una stalla. Il ghiacciaio, e poi la vetta, li raggiunsero ugualmente (dopo un abbondante risciacquo nelle acque del Marmore), ma quell’episodio fu tale che - come ricordò «nell’ambiente dei conoscenti fummo, per qualche tempo, soprannominati “gli esploratori del Busagletscher” e cioè gli esploratori del ghiacciaio della busa, termine piemontese, questo, che non richiede traduzione». Nonostante la canzonatura, l’entusiasmo per la montagna non gli venne mai meno e così, negli anni e nei decenni successivi fu protagonista, finché le forze glielo consentirono, di una sterminata serie di avventure alpinistiche e sciistiche, in tempo di pace e pure in tempo di guerra; sul suo taccuino, dove annotò puntualmente le ascensioni compiute fra il 1905 e il 1967, sono elencate oltre 1100 vette sparse un po’ per tutte le Alpi e fin nel Caucaso - sia cime famose sia cime dimenticate, che raggiunse tanto a piedi che con gli sci - e i nomi di molti personaggi, illustri e meno illustri, che condivisero con lui quella passione che lo accompagnò per l’intera esistenza. Quando, nel 1953, Ugo di Vallepiana fu invitato a tenere una conferenza al prestigioso Alpine Club di Londra, esordì dicendo: «Sono sempli cemente un vagabondo della montagna, uno che, essendosi innamorato delle cime fin da bambino, non ha più potuto sfug gire al loro incantesimo e, salvo poche eccezioni, non ha assolutamente mancato di visitarle almeno ogni domenica». DA FIRENZE ALLA BAVIERA ssociatosi al CAI Firenze nel 1904, già l’anno successivo si cimenta con l’impegnativa punta Budden alle Petites Murailles da Valtournanche; a soli diciassette anni, e sempre ne porterà l’orgoglio, raggiunse invece il Cervino con la guida Ange Maquignaz. Ad un certo punto nella sua vita irruppe lo sci, allora agli albori: «era lo sport dei più assoluti appassionati della montagna i quali avevano trovato, negli sci, il mezzo per percorrere i monti nella stagione che, specie allora, sembrava più ostica: l’inverno». Alpi e Appennini non riusciranno dunque più a scrollarselo di dosso, nemmeno nascondendosi sotto metri di neve o spaventandolo con gelo e tormente; eccolo ad esempio salire in piena bufera, nell’inverno 1909-1910, al passo della Diavolezza, con uno sparuto gruppetto di italiani fra cui il celebre prof. Giuseppe Levi, padre di Natalia Ginsburg, soprannominato Levi-Pom per i suoi capelli rossi, oppure vagabondare spensie- A Inverno 2015 rato tra faggete e crinali innevati sopra l’Abetone, carico come un mulo tanto da far esclamare ad una donna presso il cui casolare i «poeri giovani» avevan fatto una sosta: «quanto vi danno per far cotesto mestiere?» Tornò l’estate e Vallepiana, con un compagno d’eccezione come Hans Pfann compie nel 1911 una serie di salite di rilievo senza guide nel gruppo del monte Bianco, fra cui la seconda ascensione della lunghissima cresta del Brouillard. La sua domanda di entrare a far parte dell’élite del CAAI, accompagnata dall’elenco di quelle salite di grido, viene però respinta in modo irridente, arrivando a mettere in dubbio le sue capacità con la beffarda chiusa della lettera di risposta del segretario dell’Accademico: «mi congratulo soprattutto per la felice scelta del compagno». Vallepiana, punto sul vivo, non ci pensa due volte e gli risponde per le rime con una raccomandata a stretto giro di posta: «molto probabilmente Hans Pfann non si sarebbe degnato di legare alla sua corda né lo pseudo alpinista alla cui lettera io rispondo né alcuno dei suoi compagni». Pur avendo giurato che non sarebbe mai entrato a far parte di quel consesso, presto cambiò idea di fronte alle insistenze di un amico e venne così accolto con grande benevolenza nell’Accademico dall’allora presidente Ettore Canzio. Nel frattempo, dopo gli studi superiori al liceo Michelangelo di Firenze, si era iscritto alla facoltà di legge dell’Università di Pisa; ma dopo un po’, nell’inverno del 1912, la lasciò per andare a studiare economia politica a Monaco di Baviera, dove fece amicizia con i più forti arrampicatori dell’epoca tra i quali Paul Preuss. Ma più che studiare, ci racconta lui stesso, fece finta di studiare; spese invece il suo tempo con gli amici in montagna, nelle Alpi bavaresi e in Tirolo, piuttosto che nell’Oberland Bernese e in Engadina, dedicandosi con passione allo sci alpinismo e alle gare di sci, dove conseguì brillanti risultati. L’amicizia con Preuss si tradusse poi in alcune ascensioni rimaste memorabili che fecero insieme nell’estate del 1913 nel gruppo del monte Bianco, fra cui in particolare la prima salita del Pic Gamba, prima torre sulla cresta sud dell’Aiguille Noire de Peutérey («Quella LE MONTAGNE DIVERTENTI cresta la salirà qualcuno che adoprerà dei chiodi; io preferisco rinunciare», affermò Preuss coerente al principio di non usare mezzi artificiali), o ancora una nuova via sulla cresta sud-ovest dell’Innominata. Paul Preuss, caduto nel 1913 dal Mandlkogel, Vallepiana lo ricordò sì come un grande alpinista ma, forse ancor più, come il «compagno più semplice, più allegro, più scanzonato e, oserei dire, più “birichino” che si possa immaginare e desiderare». “PENNA NERA” l soldato fuggito agli Andossi, ora cresciuto e trasferitosi a Torino, divenne buono per la grande guerra. Vallepiana, come altri compagni della SUCAI (Sezione Universitaria del CAI) partì volontario, non prima di aver fatto testamento di fronte a un notaio stupefatto, lui figlio unico, insieme a sua madre vedova. Dovette arruolarsi inizialmente nei “volontari ciclisti”, perché il distretto di Firenze ove era immatricolato non reclutava truppe alpine; le “penne nere” lo accolsero però di lì a poco al corso Ufficiali a Torino e, quale Accademico e “Senior” della SUCAI, il Comando Supremo Skiatori gli affidò per l’inverno 1915 il ruolo di istruttore di sci a Bardonecchia. Al fronte ci andò nel marzo successivo al comando di un plotone, nelle Giudicarie, e sebbene considerato dai vecchi alpini soltanto un bagai, «più giovane ancora d’aspetto che d’anni e d’esperienza di montagna», Vallepiana riuscì subito a farsi rispettare spendendosi per primo col suo esempio. Poi nel 1916 passò nelle Dolomiti, sopra Cortina, e lì fu protagonista con la guida Joseph Gaspard (primo salitore della cresta di Furggen al Cervino, che aveva conosciuto nel 1913 sul ghiacciaio del Lys), della salita (divenuta in seguito famosa) del “Camino degli I Alpini” alla Tofana di Rozes. Bisognava stanare gli austriaci arroccati sul Castelletto, che da quel baluardo quasi inespugnabile controllavano l’accesso alla val Travenanzes da dove sarebbe stato facile puntare verso Dobbiaco. Nel mentre un gruppo di soldati minatori scavava una galleria di 500 m fino alla camera di scoppio dove una mina di 35 tonnellate avrebbe fatto saltare in aria la parte sommitale del Castelletto, Gaspard e Vallepiana con una snervante scalata non priva di difficoltà e di rischi, accompagnata dalla successiva posa di scale e corde, raggiunsero dopo 16 giorni un punto strategico sulla cresta da cui si dominava il Castelletto, che venne attrezzato con due mitragliatrici, tenendo così sotto tiro gli Austriaci fino alla tremenda esplosione e all’assurda carneficina dell’11 luglio 1916. Quelle vicissitudini sono state narrate da Enrico Camanni ne La guerra di Joseph, «davvero un bel libro, appassionante, interessante, commo vente» - com’ebbe a scrivere Norberto Bobbio - che «narra una vicenda esemplare della tragicità, dell’effera tezza, dell’assurdità della prima guerra mondiale»; una vicenda da cui, prima ancora che quello del soldato, emerge il valore dell’uomo. In quell’irragionevole guerra di posizione dove ci si scannava per un inutile pezzo di roccia o un’arida distesa di pietre, rifacendosi al buzzatiano Deserto dei Tartari Camanni si chiede: «Chi era Vallepiana, se non uno dei tanti tenenti Drogo impantanati sulla montagna in attesa di un giorno decisivo? E cos’era il Castelletto se non una Fortezza Bastiani affacciata sul nulla?». Vallepiana partecipò poi alla battaglia della Bainsizza e nell’ottobre del 1917, al monte Nero cadde prigioniero, guadagnandosi Ugo di Vallepiana (1890 - 1978) 13 Personaggi Speciali l’elogio del comandante delle truppe nemiche per il comportamento fiero ed esemplare della sua compagnia. Dopo la guerra pubblicò su L’Al pino alcuni aneddoti sul suo vissuto di guerra, che raccolse poi in un volumetto del 1930, Nostalgie di penna nera. Non parlò del Camino degli Alpini (sulla cui scalata, pur richiesto nel 1923 dalla Rivista Mensile del CAI, non volle scrivere - reticente ad ogni forma di autoincensamento - se non un elogio di Gaspard); narrò invece un altro episodio vissuto «con il fedelissimo fra i suoi soldati». Erano di pattuglia sulla Tofana di Rozes, a fine maggio 1917 - notte tempestosa, neve e grandine, elettricità nell’aria - quando un fulmine colpì il tugurio dove s’erano riparati, trafiggendo Gaspard. «Due ore di respirazione artificiale lo strappano alla morte; dalla bocca contratta usciva, sotto la pressione del movimento meto dico, odor di bruciato come respiro di cadavere». Furono - ricorda Vallepiana - due ore di orrore, fra le più tragiche della sua vita. Gaspard invocava la moglie, i poveri figli, ma quando Vallepiana stava per partire nella notte tempestosa alla ricerca di soccorsi Gaspard - eroe senza saperlo - lo invitò ad attendere il giorno prima di uscire, «dimenticando se stesso e la propria salvezza e chiamandolo per nome come un fratello: Oh, n’allez pas, il est trop dangereux, il y a trop de neige, attendez le jour». 14 LE MONTAGNE DIVERTENTI QUATTRO STAGIONI D opo gli anni della grande guerra, Ugo di Vallepiana continuò a coltivare la passione per la montagna. Nel 1930 il suo brillante curriculum alpinistico, che presentò all’Alpine Club di Londra per l’ammissione in quel prestigioso consesso, elencava «la maggior parte delle princi pali cime delle Alpi, sia in estate che in inverno», senza peraltro indicare, quasi per una sorta di pudore, le numerose prime ascensioni e vie nuove; inutile aggiungere che ebbe la piena approvazione del colonnello Strutt (comandante in seconda della spedizione all’Everest del 1922), il quale vergò di suo pugno che «il candidato ha fatto tutti i quattromila». Molte di quelle cime le aveva raggiunte con gli sci; se non precursore, Vallepiana fu comunque un convinto sostenitore dell’alpinismo invernale e dello sci alpinismo, che gli permettevano così di frequentare la montagna in tutte le quattro stagioni, ogni domenica, senza soluzione di continuità. Nel 1921 aveva pubblicato con la SUCAI un fortunato Manuale di sci (negli anni successivi ben 5 edizioni!) che - come scrisse in Cento anni di alpinismo giovanile il nostro professor Bruno Credaro, «amico da sempre e per la pelle» di Vallepiana - «insegnava con estrema chiarezza la tecnica fonda mentale dello sciatore alpinista, tanto che fu sempre il libro di testo obbligatorio per i miei studenti sciatori». Delle numerosissime uscite invernali, che Vallepiana annotò puntualmente nel suo personale carnet des courses, troviamo traccia anche in alcuni articoli sulla Rivista Mensile, taluni scritti di suo pugno, taluni a firma di suoi compagni. Lo accompagniamo così in un “Vagabondaggio sciistico in Val d’Ultimo e Val Martello”, piuttosto che in mezzo alle bufere delle Alpi Aurine quando nel gennaio 1923, col «fiero giudice» Umberto Balestreri, «nome luminoso della magistratura di un tempo e dell’alpinismo italiano di sempre», raggiunse con gli sci la cima dei Tauri e la vetta d’Italia. Più volte ritroveremo ancora insieme i due, in Valpelline a spigolar «prime» con Erminio Piantanida, oppure al Gran Paradiso nel febbraio 1925 quando - insieme a Ester della Valle di Casanova, Erasmo Barisone e Italo Brosio - ne fecero in traversata la prima ascensione invernale, questa volta senza sci però, perché ad Aosta gli avevano detto che in alto non c’era neve a sufficienza per i legni. O ancora, a Zermatt, quando i due amici di ritorno dalla Dent Blanche si sentirono ben in «diritto di avere un certo appetito», e consumarono non uno ma addirittura due pranzi completi a testa, vedendosene però addebitato uno solo in quanto la locandiera - «Oh! gran bontà dei “tavernieri antichi”» - non ammetteva che un alpinista non potesse sfamarsi con un diner complet della sua rispettata pensione! Legati sì Inverno 2015 dalla passione per la montagna, ma anche da «una concezione di vita per la quale esiste un solo imperativo: il dovere», eccoli poi guidare sul Cervino Giovanni Bobba, «personificazione vivente del vecchio Piemonte austero ed integerrimo», il quale, nonostante i suoi sessant’anni, «compì l’ascensione brillantemente anche se i due impertinenti che lo accompagna vano si erano detti che sembrava loro di essere due locomotive (i famosi “masto donti dei Giovi”, quelle speciali loco motive, che servivano per trascinare e spingere i treni merci su per la ferrovia che da Genova sale a Busalla)». Così come, forte dell’esperienza sciistica, ne aveva illustrato la tecnica nel Manuale di sci, allo stesso modo, temprato e fatto esperto dalla montagna d’inverno, nel 1925 pubblicò sulla Rivista Mensile “Alcuni consigli per chi intraprenda ascensioni invernali”. Dopo aver passato meticolosamente in rassegna l’equipaggiamento - comprensivo di una «Tasca di riparazione contenente: coltello, martello, sega, succhiello, cacciavite, chiodi, viti, ecc. (solo per comitiva numerosa)» concludeva che «le grandi ascensioni invernali richiedono esperti alpinisti, sciatori molto resistenti, una lunga e fati cosa preparazione, un equipaggiamento completo, grande prudenza e coraggio. Ed oltre a ciò, fortuna!» Quanto all’abbronzatura, che un tempo era considerata sconveniente, tanto che ci si copriva il viso per ripararlo dal sole e dal riverbero della LE MONTAGNE DIVERTENTI neve, Vallepiana ricorda che un bel giorno si ribellò a questa servitù; e capitò che «un tale, mosso a compassione della mia pelle piuttosto rovinata mi disse: “A l’è un gran brut mal” al che non feci altro che rispondere: “Era, però, molto bella”; io pensavo alla montagna scalata; credo che il mio inter locutore l’abbia capita diversamente». Altri suoi contributi trattano della ginnastica presciistica o delle marce in montagna, piuttosto che della tecnica dei ramponi, quando il loro utilizzo non era così scontato e gli antiramponisti adducevano «a conferma delle loro premesse piccozzistiche, le mera vigliose scalate di ghiaccio, eseguite in tempi ormai quasi lontani, da guide famose e con duro lavoro d’ascia, come, ad esempio, il Piz Roseg dalla parete N»; ma Vallepiana, in linea coi tempi, invitava a procurarsi - magari facendoseli forgiare nella “fucina di Vulcano” del vecchio Grivel «un paio di veri ramponi, che siano, cioè, degni di questo nome». Tra una gita e l’altra, Vallepiana trovò anche il tempo di compilare delle guide: nel 1925 Dolomiti di Cortina d’Ampezzo, nel 1928 Guida sciistica della Valle Gardena e infine, nel 1929 questa volta ai confini con l’Alta Valtellina - Valle di Monastero, Valle Venosta: Guida Sciistica Schematica. Trovò pure il tempo per occuparsi dei rifugi alpini, in particolare di quelli in Alto Adige già di proprietà del DuÖAV, e grazie al suo interessamento la Dusseldorfer Hütte sopra Solda venne assegnata alla Sezione di Firenze del CAI che la ribattezzò rifugio Serristori. Nel 1930 Vallepiana compì un tentativo alla parete nord del Monviso; erano due cordate: Aldo Bonacossa con Vitale Bramani, e lui con Willy Jervis. Fermo sul piccolo ghiacciaio pensile a far sicurezza al compagno, «ad un tratto, senza nemmeno un sibilo premonitore, mi sono ritrovato con in mano la parte superiore della piccozza il cui manico una pietruzza invisibile, caduta dall’alto con la velocità di un proiettile, aveva tagliato di netto». Gli era andata di lusso, e almeno per quel giorno pensarono bene di chiuderla col Monviso, concludendo filosoficamente che «la montagne n’a pas voulu» (pure gli era andata di lusso, anni prima, quando risucchiato con la sua canoa sotto i barconi del ponte di Bereguardo se l’era cavata per il rotto della cuffia, ringraziando il Ticino che «n’avait pas voulu»). Ancora con Bonacossa, ma questa volta c’è pure Ninì Pietrasanta, nell’ottobre del 1931 compì il primo percorso integrale della rocciosa cresta SE del Corno di Campo in val Viola Poschiavina. Fra il 1925 e il 1938, Vallepiana fu uno dei principali animatori dello Sci CAI Milano che, sotto la sua presidenza, conobbe un periodo di attività intensissimo; la grande sobrietà e l’intonazione spartana che vi aveva introdotto con intenti egualitari (come già fra i suoi alpini in guerra), fecero sì che quel sodalizio «fosse dagli sciatori gode recci, soprannominato “Sci Club Pane e Cipolle”, soprannome del quale eravamo fierissimi». Non c’era domenica che non si organizzasse una gita, tutti allineati al suo motto “Nulla festivitas sine cacumine” (nessuna festa senza una vetta). E quante ne raggiunsero! E quali! «tutte, ben inteso, in pieno e vero inverno»; ma la gita più memorabile fu quella su per il crepacciatissimo ghiacciaio dell’Eiger, con i turisti alla Kleine Scheidegg incollati ai cannocchiali a seguire con apprensione «quei pazzi d’italiani»! Forse meno memorabili, ma a noi ugualmente care, le gite sociali di Vallepiana fra le nostre montagne, come quella alla punta Kennedy immortalata in una sua foto sul ghiacciaio del Ventina, oppure quella alla cima Piazzi raggiunta da Arnoga per la val Verva, ricordata dal professor Credaro in una sua pagina dove elogiava «l’ar dita impresa del conte di Vallepiana e dei suoi compagni» per aver «fatto entrare Ugo di Vallepiana (1890 - 1978) 15 Personaggi Speciali di colpo la bella montagna nel numero delle classiche salite sciatorie». Per partecipare a quelle gite era necessaria una certa preparazione, e allora Vallepiana aveva introdotto, mutuandolo dallo Sci Club d’Inghilterra, una sorta di esame di ammissione, con prove di telemark, christiana, voltate d’appoggio e salto d’arresto. Refrattario all’autocelebrazione, già più che ottantenne si lasciò convincere a pubblicare Ricordi di vita alpina, una deliziosa raccolta di bozzetti autobiografici ricchi di aneddoti, dallo stile scorrevole e antiretorico, talvolta pungente e sferzante, da cui traspare pienamente il suo carattere fermo ed inflessibile, ma nel contempo ironico e scanzonato. Alcuni episodi particolari delle sue avventure di montagna, rievocati in quei bozzetti, sono legati alla Valtellina come quando, travolti lui e l’amico da una valanga nelle Orobie che li aveva trascinati in canaloni diversi, si confessarono a posteriori che, ritrovatisi ciascuno sano e salvo ma convinto della cattiva sorte dell’altro avevano pensato entrambi: «È terribile, però in fondo è meglio che sia successo a lui che non a me»! Evidentemente le valanghe dovevano avere una sorta di rispetto per lui, se anche un’altra volta, nel gruppo delle Vedrette Giganti, una «valanga, evidentemente di ottima famiglia e molto bene educata, ci scodellò con tanta dolcezza finale accanto ai nostri sci, da non essere nemmeno emozionati per quello che era successo». Ancora le Orobie furono teatro di un altro incidente (questa volta non propriamente di montagna). Si era durante la guerra, voluta da «quel tale che si chiamava “Duce”» e che, con le sue leggi razziali, aveva fatto espellere dal CAI nel 1938 Ugo Ottolenghi di Vallepiana reo - lui invece n’era fiero - di essere «italiano ed ebreo». Ebbene, Vallepiana e un amico, in gita con gli sci, stavano passando vicino a una diga presidiata dalla milizia fascista, quando vennero fermati, arrestati per spionaggio e tradotti in carcere a Sondrio sotto scorta armata. La situazione non era certo piacevole, anche se durante quel soggiorno 16 LE MONTAGNE DIVERTENTI non voluto gli venne concesso di farsi portare il cibo da una trattoria vicina, della cui abbondanza poté avvantaggiarsi pure un coinquilino, «simpaticissimo contrabbandiere». Furono interrogati personalmente dal questore e dal prefetto - due «valent’uomini» come li chiama ironicamente Vallepiana - interessati a «dimostrare come essi fossero inso stituibili e come fossero riusciti a salvare la Patria». Fortuna volle che, al comando dei Carabinieri, furono invece interrogati da un colonnello il quale «indipendentemente dal fatto come si palesasse essere egli un deciso anti-fascista, ci disse chiaramente che era convinto che noi non avessimo avuto alcuna intenzione di fare dello spionaggio, ma che la nostra situazione era pericolosa in quanto c’era troppa gente che aveva interesse a gonfiare le cose». Per farla breve, il prefetto chiamò addirittura da Roma un ufficiale dei Carabinieri del contro-spionaggio per interrogarli, il quale, già messo però al corrente del caso dal colonnello, li scagionò dall’accusa e ne dispose la liberazione, «con grande dispetto di coloro (Prefetto, Questore e Ufficiale della milizia) i quali avevano sperato che il nostro caso avesse potuto loro servire e che, per correttezza, avrebbero dovuto almeno domandarci scusa per il granchio preso». Quando, già anziano, Vallepiana scrisse questi appunti, si dispiaceva di non ricordare il nome del colonnello, che sapeva nel frattempo esser morto. Chi altri poteva essere se non Edoardo Alessi, comandante del Gruppo Carabinieri di Sondrio che, dopo aver rifiutato il giuramento di fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana, dovette riparare in Svizzera, per rientrare poi in Valtellina, nel febbraio 1945, su richiesta del C.L.N., assumere il Comando della 1ª Divisione Alpina Valtellina Volontari della Libertà con il nome di battaglia “Marcello” e finire i suoi giorni in un misterioso agguato a Colombera di Sondrio all’alba del 26 aprile? DAL CAUCASO AL NOVE SETTEMBRE Intrigato dall’amico Poldo Gasparotto per una puntata nel Caucaso, che già aveva ammaliato celebri alpinisti quali Freshfield, Mummery e Déchy o, fra gli italiani, Vittorio Sella e Vittorio Ronchetti, anche Ugo di Vallepiana, nel 1929, non aveva potuto sottrarsi al fascino di quell’elevata regione montuosa a cavallo tra Asia ed Europa. Lui, con un tocco di understatement piemontese, la fece passare semplicemente per un’escursione extra-alpina, che fruttò loro (insieme ad Albert Rand Herron e a Rolph Singer) l’inviolato Ghiulcì - descritto da Sella come «magica visone sopra i tetti di Nalchik» - seguito da una vetta di m 4150 che battezzarono punta Ronchetti1 e dalla punta degli Italiani. Vallepiana a quel punto dovette rientrare in Italia, mentre l’amico effettuava la prima discesa dall’Elbruz con gli sci. Con Gasparotto, Vallepiana condi1 - La punta Ronchetti fu così battezzata in onore del medico ed entomologo milanese che nel Caucaso c’era stato ben 5 volte, portandosi appresso come guide una volta Stefano Schivalocchi di Premadio, un’altra Bernardo Confortola di Uzza. Inverno 2015 vise negli anni successivi diverse uscite sci alpinistiche, come ad esempio al Gran Combin, il 16 aprile 1933, lo stesso giorno in cui, lo avrebbe appreso al ritorno, un crepaccio sul Bernina aveva inghiottito l’amico Umberto Balestreri. L’ultima salita con Gasparotto, quando già l’Italia era in guerra, Vallepiana la fece il giorno di Ferragosto del 1942 alla punta dei Cors; il mese precedente erano stati sul Disgrazia e sulla cima di Valbona. Se gli anni della Grande Guerra, per quanto sostenuti da un ideale, «non furono certo eccessivamente piace voli», quelli della Seconda Guerra Mondiale, «certo né voluta né sentita dal popolo italiano, e ciò nonostante lo stamburamento retorico», furono invece tragici. Più d’uno dei suoi compagni di cordata aveva scelto di impegnarsi attivamente contro il fascismo; tra loro, anche Gasparotto che, nell’angosciosa incertezza del 9 settembre 1943 (il generale Ruggero, a cui un comitato cittadino aveva chiesto di organizzare la difesa di Milano contro l’occupazione tedesca, tenne un atteggiamento ambiguo e infido) tentò di annodare le fila della resistenza organizzando un centro d’arruolamento con il supporto dell’avvocato Mario Boneschi. Ricorda quest’ultimo che ad un certo punto arrivò «un signore che mi si presentò come Ugo Ottolenghi di Vallepiana [...] un patriota lega litario che appariva molto turbato e intimamente combattuto». Vallepiana era rimasto in buoni rapporti con il corpo d’armata, nonostante per volere di Mussolini in persona fosse stata in precedenza respinta la proposta di una sua promozione “per meriti speciali” da capitano a maggiore, e con l’approvazione delle leggi razziali fosse addirittura stato radiato dall’esercito. «Egli - continua Boneschi - si dichiarò seriamente preoccupato rivelandomi che il generale gli aveva confessato di avere intenzione di non darci neppure una cartuccia». Ciò che accadde dopo è fin troppo noto. Vallepiana riuscì a salvarsi dalla tragica sorte riservata agli ebrei; Gasparotto invece, catturato dalla polizia fascista, venne trucidato a freddo dai nazisti a Fossoli il LE MONTAGNE DIVERTENTI La Diva armonia: arrivo in vetta sulla punta Dufour (monte Rosa). Sullo sfondo il Cervino (foto scattata da Ugo di Vallepiana e tratta da Ricordi di vita alpina, Editore Tamari, 1972). 22 giugno 1944. Anche un altro compagno di cordata di Vallepiana, Willy Jervis, che aveva aderito alla resistenza come Gasparotto nelle fila del Partito d’Azione, finì tragicamente i suoi giorni «per aver servito un’idea», fucilato dai tedeschi il 5 agosto 1944 a Villar Pellice. LA “DIVA ARMONIA” Non bastarono l’immane tragedia della guerra e della Shoah, la perdita dei compagni di cordata, a scoraggiare Vallepiana e a tenerlo lontano dalle montagne. Nel gennaio 1957 l’elenco delle sue ascensioni raggiunse quota 1000; una bella foto lo ritrae, sci ai piedi, mentre i compagni gli tributano un picchetto d’onore attraverso un arco di sci alzati. Nel 1960 il CAAI, che quasi cinquant’anni prima l’aveva inizialmente respinto, lo chiamò alla massima carica; nel 1964 venne poi nominato socio onorario del CAI insieme ai nomi illustri di Alfredo Corti, Aldo Bonacossa, Günter Oskar Dyhrenfurth, John Hunt e Guido Bertarelli. La vecchiaia però avanzava e lui, «vecio can d’la naia» e alpinista di vecchio stampo che aveva ancora la forza di gridare dalla Rivista Mensile «Sveglia! (per un Club Alpino più effi ciente)», di fronte alle cose che non andavano confidava all’amico Corti: «Forse troppe cose e il Club Alpino Italiano con esso non rispondono più ai nostri ideali: è il mondo che cambia e noi non siamo quelli che cambiano con esso». I suoi ultimi anni, dopo la perdita della moglie e la progressiva cecità, furono tristi e solitari. Se ne andò, ottantasettenne, nel 1978. Ugo Ottolenghi di Vallepiana «Italiano ed Ebreo; forse discendente da una delle tre tribù guerriere» - ci ha lasciato molte belle fotografie, che vennero elogiate anche sull’Alpine Journal per «la sensibilità nella compo sizione e l’impeccabilità della tecnica». Una tra le più famose ritrae l’arrivo di alcuni alpinisti al tramonto sulla vetta della Dufour, col Cervino fra i vapori sullo sfondo. È un’immagine suggestiva, che volle intitolare la Diva armonia. «Perché andiamo in montagna?» si chiedeva Vallepiana nell’incipit del suo libro chiamando a testimone l’amato Carducci. Perché lassù fra «l’erme alture», nell’apoteosi del creato, vi puoi forse incontrare «Pan l’eterno», che «il dissidio o mortal delle tue cure / nella diva armonia sommergerà». Ugo di Vallepiana (1890 - 1978) 17 Racconti Speciali Racconti inediti di Antonio Boscacci Disegni e introduzione Luisa Angelici P er questo numero di dicembre ho scelto Natale, una favola breve ma molto intensa e dal finale fulminante, che trae spunto dal racconto Il lupo e l’agnello di Esopo: “Un lupo vide un agnello che beveva sulle rive di un fiume e decise di mangiarselo con un pretesto ragione vole. Si pose perciò più in alto di lui e incominciò ad accusarlo di intorpidire l’acqua impedendogli così di dissetarsi. - Ma se bevo a fior di labbra! - osservò l’agnello. - E poi come posso, stando più in basso, rendere torbida l’acqua sopra di me? Vedendo venire meno questo pretesto, il lupo riprese: - Un anno fa hai insultato mio padre. E l’agnello ribattè che non era ancora nato a quell’epoca. - Anche se tu sai trovare un mucchio 18 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI di scuse, sbottò il lupo, non rinuncerò certo a mangiarti! La favola dimostra che una giusta difesa non vale nulla presso quanti hanno già deciso di fare del male”. E sopo, prolifico scrittore greco vissuto nella prima metà del VI secolo a.C., ha dato il via, in Occidente, al genere letterario della favola: un testo brevissimo, in prosa o in poesia, i cui protagonisti, per la maggior parte animali, vengono coinvolti in situazioni tali da fornire all’autore il pretesto per esprimere una morale o un insegnamento. Ad ogni genere di animale Esopo associa un carattere, un comportamento tipicamente umano. Così il lupo è prepotente, l’agnello è debole, la formica è previdente, la cicala una perditempo… Più tardi Fedro, autore vissuto a Roma nella prima metà del I secolo d.C., ha riportato in latino le favole di Esopo, modificando e aggiungendo qualcosa di suo. La morale per la sua favola del lupo e l’agnello, ad esempio, recita: “Questa favola è stata scritta per quegli uomini che con pretesti gli innocenti opprimono”. La favole di Fedro hanno dato voce alla protesta, alla ribellione contro il potere, sono state un’allegoria per denunciare l’oppressione dei più deboli da parte dei prepotenti: nulla è cambiato, anche dopo più di duemila anni di storia! Anche nella favola di Antonio c’è una morale: non ci si deve mai fidare delle lusinghe e del pentimento dei prepotenti; se i cattivi sono cattivi, lo sono sempre, anche a Natale. Natale 19 Speciali Racconti Natale Antonio Boscacci L’anno era passato come spesso passano gli anni. Né bene né troppo male. Dolori e angosce. Carezze e lacrime avevano seguito lo svolgersi delle stagioni. Il lupo aveva fatto il lupo (non sapendo fare niente di diverso). L’agnello aveva continuato a fare l’agnello (anche lui altro non sapeva fare). Il mese di Gennaio era trascorso con la neve. Così Febbraio. E Marzo (ma già verso metà del mese era spuntata la prima erba). Ad Aprile l’agnello era andato al pascolo (il lupo lo guardava, ma il pastore lo proteggeva). Lo protesse a Maggio. A Giugno. Passò Luglio. E Agosto. Venne Settembre. A Ottobre la prima neve. Poi a Novembre ne venne dell’altra. E di più a Dicembre. Venne Natale e l’agnello vide il lupo affamato al limite del bosco. Gli andò incontro per salutarlo (lui non aveva paura del lupo). - Buon Natale, gli disse. - Buon Natale a te. Non era mai successo. E allora si abbracciarono. Il lupo pianse. Dai suoi occhi scesero grosse lacrime. Bagnarono la sua faccia e il suo pelo. Poi spalancò la bocca. E si mangiò l’agnello. 20 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Natale 21 Testimonianze di guerra 1943-1945: l’epilogo della guerra in Valmalenco Speciali Silvio Gaggi iamo nelle ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale. L’8 settembre 1943 viene annunciato S l’armistizio dell’Italia e contestualmente fondata la Repubblica Sociale Italiana (RSI). L’RSI è una sorta di stato “fantoccio” voluto dalla Germania nazista che affida a Benito Mussolini il governo dei territori italiani ancora sotto il controllo tedesco: il nord e parte del centro Italia. Man mano gli Alleati risalgono e conquistano lo Stivale, i fascisti fuggono e si rifugiano nel nord Italia, dove vengono accolti e forzatamente ospitati generando il malumore della popolazione. L’RSI si dota presto di un esercito regolare, l’Esercito Nazionale Repubblicano (oltre 500 mila uomini impegnati a combattere contro gli Alleati), e di una forza armata, la Guardia Nazionale Repubblicana, che svolge una spietata azione di polizia interna contro i partigiani. Il 30 giugno 1944 vengono inoltre istituite la Brigate Nere, un corpo paramilitare ad arruolamento volontario, anch’esso contrapposto alle forze partigiane. È costituito da 41 brigate, una per ogni provincia. Tra i brigatisti si arruolano “fondamentalisti fascisti” che si rendono responsabili di abusi, crimini e violenze verso la popolazione e in particolare verso chi desta in loro anche solo il minimo sospetto di aver aiutato la Resistenza. È un periodo di terrore, anche nella nostra provincia, che durerà fino al 25 aprile 1945, giorno della liberazione. Riporto in questo articolo alcune testimonianze inedite di chi come me ha vissuto in prima persona l’epilogo della Seconda Guerra Mondiale in Valmalenco. È bene che questi ricordi vengano tramandati per far conoscere anche alle generazioni future la brutalità della guerra. TESTIMONIAZA DI ALBERTINA SEM “BERTA” – CLASSE 1934 R acconta Berta che dopo l’8 settembre 1943 giunsero a Chiesa in Valmalenco circa 200 sfollati fascisti che fuggivano all’avanzata degli Alleati. Provenivano da Prato e Firenze, perciò eran detti i Fiurentìn. Furono distribuiti in valle secondo i criteri decisi dal regime. Una cinquantina di questi sfollati furono destinati a Primolo, dove arrivarono a piedi con un semplice fagotto/valigia contenente gli indumenti personali. Grazie ai privilegi derivanti dalla loro posizione all’interno del regime, presero possesso di abitazioni private e alberghi, fra le quali la casa del Seve renu, due appartamenti nella casa di Carlo Sem (falegname) e un appartamento nella casa di Riccardo Pedrolini (Caiser). I rimanenti alloggiarono negli alberghi Primolo e Belvedere. Nella casa di Pedrolini abitava un certo Mariani, che fungeva da responsabile e mediatore tra sfollati e popolazione per tenere l’ordine fra i paesani, ma visto il momento caldo anche per lui 22 LE MONTAGNE DIVERTENTI non fu facile essere un giusto arbitro1. I fascisti presidiavano l’intera zona, in modo da controllare gli espatri clandestini in Svizzera, allora frequenti per evitare di essere catturati e mandati prigionieri in Germania. Nel giro di pochi giorni gli sfollati, appoggiati dal regime e armati fino ai denti, imposero la loro legge a Primolo e dintorni. Gli abitanti terrorizzati subivano ogni sopruso, in un clima di omertà assoluta. I nuovi arrivati razziavano tutto quello che gli capitava sotto mano: pecore, capre e galline. Con freddezza uccidevano le bestie altrui sotto gli occhi dei proprietari. Mentre i contadini mungevano, i fascisti entravano nelle stalle a prendere il latte fresco, privandone così le famiglie. Se riuscivano a individuare le cantine, ben nascoste in mezzo alla contrada, le sorvegliavano a turno finché non giungeva il proprietario. Quindi entravano in azione facendo razzia delle provviste. Inoltre rubavano sistematicamente la verdura negli 1 - Consapevole di aver troppo tollerato i crimini perpetrati dagli sfollati fascisti, dopo 40 anni Mariani è tornato a Primolo e ha chiesto pubblicamente scusa a tutto il paese. orti e le patate e la segale nei campi. I proprietari, del tutto inermi e indifesi, avevano come unica rivalsa, a patto di non esser sentiti, quella di poterli apostrofare come robapatati. Anche la macellazione del maiale, praticata da tutte le famiglie, doveva avvenire di nascosto, nei sotterranei delle cantine al centro della contrada. Questo per non far udire le strida della bestia sgozzata, altrimenti gli sfollati sarebbero accorsi rivendicando metà del prodotto. Gente senza scrupoli dunque, indottrinata dal regime, che acquisiva tutti i privilegi senza alcun dovere. Nei negozi alimentari prelevava i migliori alimenti, tra cui il pane bianco che era solito essere sfornato per le partorienti o i malati gravi e pesantemente razionato tramite l’uso di apposite tessere personali. I fascisti erano persone spietate e dal grilletto facile. Addirittura sparavano in aria minacciando la gente della contrada mentre raccoglieva la legna o lo strame per il letto delle mucche. Sparavano anche per intimorire i bambini perché non tolleravano che giocassero sulla strada al di là della Inverno 2015 Chiesa e Primolo nel 1935 (cartolina archivio Silvio Gaggi). valle di Somprato, di fronte all’albergo Belvedere. Berta dice che si possono notare ancora i segni delle fucilate sui parapetti della strada vicino all’acqua della Madonna, sui muretti di terrazzamento sopra la casa di Lino Lenatti, a sinistra della valle del Rovinaio. C’erano dei giovani rimasti in paese perché esonerati dall’arruolamento, ma, nonostante ciò, in questo periodo potevano comunque essere arrestati e inviati in Germania. Questi, per sottrarsi alla cattura, dormivano in un sotterraneo chiuso da grosse pietre posto sotto il forno della Lüzia nel centro della contrada, mentre di giorno lavoravano in miniera o erano uccel di bosco. Noi tutti eravamo ossessionati dalla presenza dei fiorentini. Ci avevano annientati: era nostro dovere tacere, obbedire, soffrire e patire la fame. Basti pensare che anche presso l’ambulatorio medico, aperto due giorni a settimana, non rispettavano il proprio turno e con prepotenza s’appropriavano del diritto di precedenza anche rispetto ai malati più gravi. Nonostante tutto, i paesani si erano adeguati con pazienza e sopportazione per non incorrere in ritorsioni. Nel 1944, con il sopraggiungere delle Brigate Nere in valle le cose peggiorarono e iniziarono le rappresaglie. LE MONTAGNE DIVERTENTI Un brutto episodio fu quello successo sotto la casa del Pedrolini (Caiser). Una mamma di Primolo stava cercando di calmare un litigio scoppiato fra i bambini del paese e i figli degli sfollati mentre stavano giocando. Intervennero allora i fascisti che non risolsero la questione con il buon senso, bensì con la prepotenza. Come esemplare punizione il figlio diciottenne della madre intervenuta, benché non c’entrasse nulla con l’accaduto, fu mandato in Germania come prigioniero [n.d.a. fu uno dei fortunati a sopravvivere e rientrare in Valmalenco al termine della guerra]. Gli sfollati rubavano persino metalli, oro, cinte da giardino, inferriate, pentolami di rame e sottraevano le vere d’oro alle donne sposate. Come si può notare, dunque, gli abitanti tranquilli e onesti di questo piccolo centro abitato, isolato e privo di comodità, che sopravvivevano esclusivamente di agricoltura e pastorizia, a causa dell’invasione di questi sfollati vissero il periodo peggiore della loro esistenza, perseguitati dalla fame e dalla paura. Berta ricorda che a Primolo risiedevano alcuni ebrei che vivevano nascosti per non essere prelevati e mandati nei campi di concentramento. Un esperto restauratore, che alloggiava all’albergo Primolo, fu nascosto dal parroco sul ripiano del campanile, dove rimase fino alla liberazione. Questi, in segno di ringraziamento, si fermò dopo la guerra per restaurare la facciata esterna del Santuario. La famiglia Carpi, alloggiata nella casa paterna del falegname Sem, posta sotto il Santuario, saputo dell’arrivo degli sfollati fascisti, espatriò in Svizzera attraverso il passo del Muretto, accompagnata dallo zio Fortunato Sem che conosceva bene il percorso. Sparsi nella contrada ne vivevano altri, ma col sopraggiungere dei fascisti, svanirono nel nulla. Due slavi istriani, infine, erano nascosti nella casa di Assalonne Canovo (Tona), sotto il Santuario. Continuarono ad abitare la casa anche nel dopoguerra, fino al 1950 ca. [Conobbi anch’io queste persone perché disegnavano per la mia famiglia gli oggetti in pietra ollare, in collaborazione con le sorelle Franzoni]. Berta racconta anche di Valentino Canovo (Tin). Era un tipo smilzo, piccolo, ben conosciuto perché amava bere. Quando veniva trovato in strada alticcio, i fascisti lo rimproveravano e gli raccomandavano di non bere altrimenti l’avrebbero condotto in prigione a pane e acqua. Allora lui rispondeva “U che béél purtém sübét in présun, èrce madòsche, a ca mia gh’è gné pègn e gné acqua” (Oh! Che bello portatemi subito in prigione, è una fortuna, a casa mia non ho né pane né acqua). 1943-1945 l'epilogo della guerra 23 Testimonianze di guerra Speciali La dogana tedesca ai Carot (tutte le illustrazioni sono di Silvio Gaggi). TESTIMONIAZA DI ADOLFO BAGIOLO (NOFI) – CLASSE 1930 Nel periodo della Seconda Guerra Mondiale, come ricorda Adolfo Bagiolo, l’Hotel Malenco era sede del comando della milizia fascista, mentre le ville Pesenti erano occupate dai tedeschi della Gestapo. Dopo l’8 settembre 1943 anche nei nuclei più sperduti della Valmalenco, che sino ad allora - nonostante la guerra in corso - avevano vissuto nella normale quotidianità, si diffuse confusione, paura e terrore. Nell’ottobre del 1943 i tedeschi iniziarono a presidiare la via per il passo del Muretto, installando anche una dogana ai Carot. Affidarono inoltre a due pastori il compito di controllare chi transitava a Entova (mansione che non venne certo svolta con zelo). I perseguitati dai nazi-fascisti cercavano in tutti i modi di fuggire in Svizzera e la gente del posto si impegnava per aiutarli. Adolfo racconta che suo padre condusse a Chiareggio sei inglesi che volevano attraversare il confine. Questi indossavano scarsi indumenti, riparati dal freddo solo con stracci e senza scarpe. A Chiareggio ad attenderli c’era Adolfo con Roberto Schenatti (Chin cherli), il quale curava le mucche dei fratelli Lenatti (Bracei). 24 LE MONTAGNE DIVERTENTI Adolfo e Roberto accompagnarono gli inglesi fino all’alpe dell’Oro, dove si fermarono una notte dai Bracei. Al mattino presto, sempre guidati dagli alpigiani, gli inglesi raggiunsero il passo del Muretto, per poi proseguire da soli in terra elvetica, liberi e tranquilli d’esser fuori pericolo. Adolfo sottolinea che al tempo i giovani come lui erano del tutto ignari dei guai a cui sarebbero andati incontro se fossero stati intercettati dai tedeschi delle S.S., per cui aiutavano la gente a espatriare senza troppe preoccupazioni. I più grandi, invece, erano consapevoli dei rischi e talvolta, messi alle strette, avevano preferito gettare la spugna anziché esser scoperti. Ad esempio Piero Bagiolo (‘l Munéch) una volta condusse un gruppetto di greci verso il passo del Muretto, ma resosi conto che il rischio di esser visto dalle S.S. si era fatto concreto, giunto all’alpe Entova indicò ai greci la via per il passo e diede loro tutte le raccomandazioni del caso, scusandosi per non poterli accompagnare di persona. Quindi rientrò, compiendo un giro oltremodo ampio per non essere intercettato, alla sua abitazione a Montini (contrada di Chiesa in Valmalenco). Fortunatamente il presidio dei tedeschi durò solo un mese, dopodiché tutti gli alpigiani ripresero la loro quotidianità, anche se in paese vigevano le dure regole del regime, prepo- L’intimidazione subita dalla famiglia di Silvio Gaggi a opera dei soldati tedeschi. Le Brigate Nere radunano le famiglie di Spriana. tenza e cattiveria. Presto il rancore per le vessazioni subite dalla popolazione sfociò in rappresaglie dei partigiani contro i fascisti. Accadde che in piena notte i partigiani snidarono un plotone composto da una ventina di fascisti, colto nel sonno, scortandolo in val di Togno. Chi non camminava era immediatamente fucilato, quelli che arrancavano venivano macabramente scherniti: «Sü ciùn tänt gh-i poch de vif 2». Raggiunto il luogo prescelto, furono tutti giustiziati. Solo due, fingendosi morti, si salvarono. Era la guerra civile e non vi erano più né regole né rispetto della vita e della dignità altrui. Gli uomini agivano guidati solo dal profondo odio tra le fazioni e da sentimenti di vendetta. TESTIMONIANZA DI LIVIA PAROLO – CLASSE 1929 Spriana, con le sue contrade sparse, era un paese di partigiani. Fra gli abitanti però si celavano le spie fasciste. Si viveva perciò nel terrore e nella più assoluta diffidenza. Verso metà febbraio 1944 Livia racconta di aver saputo dell’uccisione di un partigiano presso la contrada Portola. Questi era un certo Otorino, 2 - Avanti maiali, tanto vi resta poco da vivere. Inverno 2015 un alpino reduce dalla campagna di Russia, un uomo di grande tempra che dall’alto controllava con altri la zona, spostandosi in continuazione fra una baita e l’altra per far perdere le tracce. Non sentendosi più al sicuro, a causa dei continui incessanti rastrellamenti da parte della milizia, comunicò la volontà di scappare in Svizzera. Proprio la notte prima della sua fuga, fu vittima di un agguato, il che conferma che tra le persone a cui aveva confidato le sue intenzioni vi erano delle spie. I proiettili che lo uccisero, inoltre, erano di diverso calibro, il che indica un’esecuzione compiuta da più persone. Livia ricorda inoltre che un giorno giunsero a Spriana alcuni della milizia e ordinarono a tutta la popolazione di radunarsi la mattina successiva alle ore 9 al Prato, all’incrocio della carrozzabile Sondrio - Chiesa. Senza conoscere il motivo di questa decisione e tanto meno avere la possibilità di opporsi, avendo il sospetto di essere inviati come prigionieri in Germania, portarono con sé il bagaglio di prima necessità avvolto in fagotti, federe e sacchi, ma anche cassette, armadietti e chi addirittura un cassettone del comò. Questi poveracci spaventati rimasero per ore sul luogo ad aspettare, quando finalmente giunsero alcuni superiori della milizia. I fascisti si trovarono dinnanzi a un gruppo di derelitti malvestiti e terrorizzati coi bambini LE MONTAGNE DIVERTENTI che piangevano dal freddo. Ciò mosse i loro cuori a usar pietà, così ordinarono alla gente di tornare nelle proprie abitazioni. TESTIMONIAZA DI SILVIO GAGGI Avevo poco più di 5 anni e mi trovavo con la mia famiglia al Pirlo, probabilmente il lunedì, giorno che mia madre dopo il bucato andava a sciacquare i panni al torrente. Mio papà lavorava al tornio che si trovava sul sentiero che da Primolo conduce al rifugio Bosio, mentre mio nonno Silvio e mio zio Guerino in quello sottostante. Arrivarono 4-5 soldati tedeschi. Io avevo molta paura dei soldati perché mia madre, veneta, mi raccontava ciò che le scrivevano i parenti dal nord-est che vivevano la guerra in prima linea. I militari chiesero a mio padre e allo zio perché si trovassero lì. Mio padre disse di essere in congedo illimitato per una malattia infettiva, mentre mio zio disse di aver ottenuto l’esonero perché impiegato nell’estrazione della pietra ollare (questa, trasformata in dischetti, era usata come isolante elettrico negli aerei da combattimento, e i minatori dovevano consegnare ai fascisti la metà del prodotto estratto). I soldati non vollero credere loro, considerandoli disertori e pertanto minacciandone l’arresto e la deporta- zione. Intervenne anche il nonno, ai tempi settantenne, mostrando ai tedeschi le condizioni precarie di vita dei minatori e insistendo sull’utilità del loro lavoro per fornire materie prime utili al regime, ma questi non vollero sapere ragioni. Lo zio Guerino disse che non accettava l’arresto e che preferiva essere fucilato, mentre mio padre, che aveva la responsabilità di tutta la famiglia, dovette arrendersi e andò a cambiarsi. Nel frattempo i soldati continuarono la discussione con lo zio, ma questi era fermo sulle sue posizioni, così lo bendarono, lo addossarono a un grosso masso fra il tornio e il torrente. Posizionarono il fucile a una ventina di metri e costrinsero mia sorella, la mamma e il nonno ad assistere alla macabra scena, mentre noi bambini piangevamo disperati. Appena tornò, mio padre provò a convincere lo zio a cambiare idea e arrendersi, ma non ci fu verso, poi tentò un’ultima volta di far ragionare i soldati, chiarendo di non essere né disertori, né spie, né traditori, ma semplici addetti a un lavoro tradizionale. Pertanto mostrò e donò loro alcuni “acquasantini” in pietra ollare che aveva realizzato per la ditta Perelli. Questo gesto, credo unito all’aiuto della Madonna delle Grazie di Primolo, stemprò la situazione e i soldati se ne andarono senza lasciare morti né far 1943-1945 l'epilogo della guerra 25 Testimonianze di guerra Speciali prigionieri, ma solo la sensazione di un terribile atto intimidatorio. INSURREZIONE PARTIGIANA DAL 22 AL 1 MAGGIO 1945 dal quaderno del mio maestro Erminio Dioli (architetto e artista, 1885-1964) che in quei giorni registrò su un taccuino ciò che stava accadendo nella sua Valmalenco Giorno 27 aprile 1945 Insurrezione a Lanzada - Minaccia di fucilazione all’Ing. Brutingam, capo e assistente d’escavazione cristalli a Tornadri. La notte tra il 26 e il 27 aprile 1945, tre partigiani scesero da Campo Moro verso Lanzada a prelevare il commis sario comunicale Guido Liocopazzi, politico sfollato della Toscana, in occu pazione dal 1° agosto 1944 e l’impiegato Zanetti, ritenuti spie, perché concede vano ai fascisti di commettere qualsiasi illecito svaligiamento. Liocopazzi aveva sostituito con autorità il commissario S. Rinaldi lanzadasco. L’Ing. Brutingam tramò la vendetta, a mezzodì alcuni fascisti venuti da Sondrio afferrarono 10 paesani della contrada San Giovanni, al centro del paese, mettendone 5 al muro con minaccia di fucilazione. Giorno 27 aprile 1945 - sera (Dal diario del Partigiano Parolini Carlo di Pietro di Lanzada; Parolini ha preso parte all’insurrezione partigiana per la liberazione della Valle Malenco, iniziata a Lanzada il 24 aprile 1945 e terminata a Sondrio il 6 maggio 1945) Fu annunciato alla radio di Como e Varese l’ordine di insurrezione. I patrioti entrarono alla sera verso le ore otto e i partigiani intimarono la resa al presidio di Vetto, istallato nelle scuole comunali. Alcuni tedeschi, compreso l’Ing. Brutingam delle cave di cristallo, ben armati e equipaggiati alla prima intima zione fuggirono. I partigiani avvisarono gli otto patrioti che stavano a Campo moro, i quali verso mezzanotte scesero per unirsi ai compagni. Anche alla seconda intimidazione i tedeschi risposero negativamente, quindi i partigiani armati di cannoncino 26 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI americano e di armi automatiche, appo stati alle finestre delle case più prossime al presidio, cominciarono a sparare a cannonate contro di loro per 10 minuti ininterrottamente. Alle prime raffiche, furono insul tati dai tedeschi con il termine “tradi tori italiani”, i quali ormai minacciati sporsero dalle loro finestre la bandiera bianca. Disarmati, di loro spontanea volontà, uscirono dal presidio 11 soldati compreso l’Ing. Brutingam, tenendo le mani in alto. Uno fra questi, gravemente ferito morì. Aveva una ferita di pistola alla gamba e una alla schiena e ciò fece supporre che tali lesioni fossero state procurate dall’ingegnere nel tentativo di evitare la resa o la fuga. Fino all’una rimasero davanti al presidio con le mani in alto, dopo di che i partigiani si impossessarono delle loro armi, che sarebbero servite ad armare altri volontari, e condussero i tedeschi a Chiesa per essere imprigionati nella caserma della ex Guardia di Finanza in contrada Faldrini. Nel frattempo altri partigiani comple tarono un rastrellamento. Gente meri tevole di punizione fu imprigionata e ben sorvegliata nel palazzo comunale di Chiesa e in seguito inviata al carcere di Sondrio. Giorno 28 aprile 1945 Ore 2.00 - Pioveva, un partigiano e 11 popolani armati di armi tedesche si appostarono al “Castello” per chiudere e sorvegliare il passo. Ore 7.00 - Un altro gruppo armato, formato da 33 partigiani e 27 popo lani, si diresse verso Torre per espugnare il presidio composto da un gruppo di 30 camicie nere e rafforzato da altri 30 fuggiti dal presidio di Chiesa il giorno 27, armati con mitraglie pesanti e diversi fucili mitragliatori. Due rinforzi fascisti giunsero da Sondrio per aiutare il presidio di Torre, ma fu facile ai partigiani istradarli per Sondrio, mentre un altro gruppo di 35 partigiani si diresse a perlustrare il paese di Spriana, per poi discendere verso Sondrio passando da Ponchiera e trascor rendo una notte piovosa nascosti fra le vigne circostanti. Nel pomeriggio, un numeroso gruppo di partigiani e popolani di Chiesa, Lanzada e Caspoggio, minarono la galleria sopra Arquino per sbarrare la strada nell’eventualità che gli avversari salissero da Sondrio. Giorno 29 aprile 1945 - mezzogiorno Dopo una lunga sparatoria marciarono su Sondrio, diretti al Castello Masegra. Nel frattempo sopraggiunsero anche partigiani della bassa Valtellina, facendo guerra verso Ponte e San Giacomo. La milizia si consegnò al nemico, mentre il comando tedesco si era già arreso il giorno prima. Dopo la liberazione, i partigiani furono orgogliosi del modo in cui condus sero la resistenza e di aver lottato come gli uccel di bosco, in continuo sposta mento per far perdere le tracce al nemico, il quale era sempre in agguato, anche fra fratelli insospettati che seguivano diversi ideali. Fra i rivali vi erano inoltre squa dristi del regime, non solo per un ideale ma per salire sul carro vincente e ottenere benefici. Apparentemente si mostravano bonari, ma non erano altro che persone cattive e invidiose che non perdevano l’occasione di competere per sfogare la loro indole. Stanchi dei soprusi, i partigiani si vendicarono agguantando i più noti squadristi, che vennero condotti, malme nati e trascinati dietro un carro, alle carceri di Sondrio. Qui rimasero a dispo sizione del pubblico, al quale era concessa la possibilità di vendicarsi del male rice vuto. Da testimonianze, pare che pochi abbiano gradito di punirli, preferi vano non sporcarsi con gente squallida e indegna. L’unico sfogo che si sono permessi di compiere fu quello di condurre le belle donne del regime, comprese le fiorentine, presso la fucina di Armando Soldati, un artigiano fabbro detto “’l Giupin” , tipo baldanzoso e scherzoso che suonava la fisarmonica. Alla fucina Armando con altri sicari accorsi in aiuto tagliarono loro a raso i capelli, con la forbice di lattoniere “Magnan”. Questo fu il peggior dispetto che potevano subire. 1 maggio Di notte l’Ing. Brutingam venne trasci nato dalle scuole di Chiesa al cimitero. Dopo un breve conforto religioso fu fuci lato e seppellito la mattina successiva. 1943-1945 l'epilogo della guerra 27 Rifugi Speciali Correre tra le montagne Beno e nella DIVERTENTI successiva: i sentieri della val di Mello, un paradiso per la corsa (24 settembre 2015, foto Roberto Moiola / Roberto Ganassa) Inverno 2015 28In questa LE pagina MONTAGNE LE MONTAGNE DIVERTENTI Correre tra le montagne 29 Corsa Speciali C orro quasi tutti i giorni fino da quando ero bambino. Corro perché mi piace, perché mi rilassa, perché mi permette di stare in mezzo alla natura. Già, la natura. Probabilmente se mi piace così tanto correre è perché vivo in una valle dove anche dal posto più orribile bastano 5 minuti per raggiungere una zona dove apprezzare la pace e la bellezza delle montagne che mi circondano e da lì inoltrarmi lungo un sentiero nei boschi, nei frutteti, nei campi o tra le vecchie contrade per riempirmi il cuore di gioia e di stupore. Serve pure poco tempo per allenarsi: essendo lo sforzo molto concentrato soli trenta minuti sono sufficienti a scaricare i nervi anche dopo una giornata molto stressante. La nostra provincia offre centinaia di percorsi che ben si prestano, oltre che a passeggiate, anche alla corsa. Tra questi vi proporremo, a partire da questo numero della rivista, quelli adatti al “lungo” domenicale, cioè a una sessione di allenamento che, se effettuata ad andatura lenta da un atleta agonista, occupa 1-2 ore, con uno sviluppo tra i 10 e i 20 km e un dislivello positivo non superiore agli 800 metri. Ci muoveremo quanto più possibile lungo i sentieri, limitando i tratti su asfalto alle sole strade poco trafficate. Il profilo altimetrico sarà sempre molto ondulato, per meglio rispecchiare l’orografia del nostro territorio e anche per render più vario il giro. I meno allenati non riusciranno subito a fare le escursioni proposte al trotto, ma dovranno aspettare di prendere maggior confidenza con la corsa, il che può essere uno stimolo a migliorare la propria condizione fisica. Nel segnalare i tracciati ci occuperemo anche di una loro prima pulizia, nella speranza che amministrazioni comunali, gruppi di volontari, associazioni sportive locali e, ovviamente, gli operatori turistici si prendano a cuore la loro manutenzione (si tratta di poche ore di lavoro all’anno). Se riuscissimo a creare e promuovere sul territorio una valida rete di itinerari adatti allo sport, questi farebbero da traino a un turismo sano, innescando un circolo virtuoso che porterebbe a una miglior frequentazione di questa valle. Non si tratta di un progetto utopistico, bensì di intensificare e dilazionare nell’arco di una stagione gli effetti benefici che si sono già riscontrati in seguito a gare che, con grande sacrificio, menti illuminate di uomini volenterosi hanno saputo organizzare. Parlo del ripri- 30 LE MONTAGNE DIVERTENTI Dai 30 anni in su, ma stanno aumentando anche i più giovani, diciamo dai 7 ai 16 anni. La fascia intermedia, quella paradossalmente di maggiore prestanza fisica, è anche quella col minor numero di atleti. Un’eccezione, tra le varie discipline legate al mondo della corsa, la fanno i trail1 . Qui anche i ragazzi di 20 anni trovano stimoli sufficienti per allenarsi. stino e della segnalazione di molti sentieri sia sul versante retico che orobico, dove sempre più persone hanno potuto cimentarsi e comprendere il valore ambientale di questa provincia anche alle quote medio basse, dove si aggiunge l’interesse storico ed etnografico. Ogni numero della rivista conterrà anche alcuni consigli pratici, su trail e corsa in montagna in particolare, oltre a delle brevi schede sui campioni che ci faranno di volta in volta da testimonial. E ssendo questa l’uscita “zero”, l’approfondimento è dedicato a chi compie i primi passi verso il mondo della corsa. Per fare ciò ho intervistato l’amico Cino Ortelli di Sport Side, negozio il cui fulcro è appunto il running. Cino, negli ultimi anni, oltre a vendere attrezzatura sportiva, ti sei impegnato in prima persona nell’organizzare dei “corsi di corsa”, per rispondere al sempre crescente numero di persone che si avvicinano a questo sport. Da quando hai notato e come ti spieghi questa tendenza? Negli ultimi 10 anni, con un netto incremento negli ultimi 5, sempre più persone hanno deciso di iniziare a correre. Credo che in una società ora attenta alla salute e in un periodo di crisi economica e frenesia del vivere, la corsa sia la scelta più naturale per chi decide di fare sport. L’investimento iniziale è minimo (basta un paio di scarpe) e per allenarsi serve davvero poco tempo. Perché la gente inizia a correre? I motivi sono i più disparati. La maggior parte della gente lo fa per dimagrire, ma non mancano gli ex-atleti che vogliono ricominciare, chi cerca una valvola di sfogo dalla vita sedentaria o chi trova motivazione nel vedere gli amici che con soddisfazione praticano questa attività. Tutte queste spiegazioni sono comunque conseguenze del maggior riguardo della società verso il viver sano. Qual è l’età media dei tuoi clienti runner? Molti ritengono che la corsa in montagna o, più in generale, la corsa su sentieri e sterrato, sia foriera di infortuni e perciò pericolosa. Tu che dici? Questo è un luogo comune che va sfatato! La corsa in montagna è decisamente meno traumatica di quella su strada per due ragioni principali: - svolgendosi su terreni irregolari, il movimento è meno ripetitivo e logorante; - l’atleta è mediamente più concentrato su dove mette i piedi e ciò gli evita movimenti traumatici. Supponi che io non abbia mai corso e che venga a chiederti consigli su come iniziare, che attrezzatura prendere... Sicuramente le scarpe. Non perché le vendo, ma perché si tratta dell’unico strumento indispensabile per correre. Ci si dovrebbe rivolgere a un negozio con personale preparato e in grado di fornire la calzatura idonea al proprio peso, al tipo di terreno su cui ci si vuole muovere, alla tipologia di appoggio del piede e agli obbiettivi che l’atleta si è posto. Cosa si intende per una buona calzatura e qual è il suo costo medio? Buon grip, che ammortizza bene, che fascia bene il piede, bilanciata e fatta con materiali di qualità. Di listino siamo sui 120-140 euro. Ovviamente ce ne sono anche di più e di meno costose, o si possono trovare offerte particolari. Comunque questo è l’unico investimento necessario e conviene non sbagliarlo. Cosa comporta l’utilizzo di una scarpa non adatta? Si va incontro a infortuni, anche seri. C’è chi ritiene stupido spendere denaro per una buona scarpa, ma i conti sono presto fatti. Considera un infortunio “tipo” dovuto a uno scompenso di assetto in fase di allenamento con seria infiammazione articolare. Per curarsi servono dalle 5 alle 10 sedute fisioterapiche (che 1 - Gara di corsa su sentieri di notevole sviluppo chilometrico (>20 km). LE MONTAGNE DIVERTENTI costano dai 40 euro in su), a cui vanno aggiunti eventuali laser, tecar e visite mediche. Perciò capisci come prevenire sia molto più economico che curare! Serve altro? Molti le sottovalutano, ma una buona calza può prevenire un sacco di fastidiosi problemi quali fiacche, irritazioni e micosi. Ora siamo attrezzati e pronti a iniziare. Qualche avvertimento? Se parti da zero devi assolutamente evitare di fare le prime uscite tutte correndo, ma vanno alternati corsa e cammino. Inoltre non si deve superare la mezz’ora. Questo per non sovraccaricare muscoli e articolazioni prima di aver acquisito una certa naturalezza nel movimento. Quanta corsa e quanto cammino? Comincerei con 3 minuti di cammino e 2 di corsa lenta. Il tutto per 20 minuti/ mezz’ora. Punterei a fare i 30 minuti di corsa continuativa, coprendo una distanza di circa 5 km, dopo 4 settimane in cui viene diminuito gradualmente il numero delle frazioni di cammino. Non si deve avere fretta o si rischiano grossi infortuni. E una volta che riesco a correre 30 minuti di fila? Puoi crescere gradualmente le lunghezze. Ma a questo punto entriamo nella sfera soggettiva, che richiede un programma personalizzato fornito da un allenatore. Che altro consiglieresti? Prima e specialmente dopo la sessione di allenamento vanno fatti esercizi di stretching e mobilità. Bisogna inoltre ricordarsi di bere evitando di disidratarsi. Già l’acqua è ottima. Mai esagerare coi sali, che non vanno mai presi prima o nelle fasi iniziali dell’attività fisica. Quali sono gli errori più comuni? L’errore più comune del principiante è quello di farsi prendere dall’entusiasmo, non sentendo la stanchezza (come in genere accade alla prima uscita), e realizzando sessioni di sola corsa che possono portare velocemente a infortuni di varia gravità. Poi, tanto per dirne un altro, c’è chi fa correre lunghe distanze (>5 km) ai bambini (<10 anni). I bambini hanno una incredibile resistenza alla fatica, ma le distanze eccessive vanno evitate per non causare problemi a lungo termine. Altri abomini? Beh, vestirsi troppo. Si rischia di surriscaldarsi e di soffrire inutilmente. Io credo che molti lo facciano con l’idea che sudando si dimagrisce... Questo è un altro grottesco luogo comune. Sudando ci si disidrata e basta. Inoltre chi ha caldo va più a piano, quindi consuma ancora meno calorie. C’è chi ascolta musica mentre si allena, è una pratica corretta? Assolutamente no. È vero che la musica è una sorta di doping che isola la mente da tutto il resto e lenisce il senso di affaticamento, ma l’estraniamento comporta anche il rischio di essere investiti, di non accorgersi di pericoli che sopraggiungono, di perdere l’assetto corretto sovraccaricando certe articolazioni. Siamo inoltre portati naturalmente a sincronizzare la nostra andatura col ritmo della musica, il che inficia l’allenamento. Molti si affidano ciecamente agli integratori per migliorare le proprie prestazioni. Sono davvero efficaci? Potenzialmente ci sono degli ottimi prodotti, ma non vanno presi a caso. Pensa ai sali prima dell’allenamento: causano solo mal di stomaco e non danno alcun beneficio, mentre se assunti nella quantità giusta dopo lo sforzo aiutano un recupero più veloce. Tipologie, dosi e modi vanno decisi su consiglio di un esperto e comunque l’integratore è al più una ciliegina su una torta fatta di costanza e allenamento. Una corretta e sana alimentazione non richiederebbe integratori, ma è un’abitudine che in pochi hanno la fortuna di poter avere. La corsa, dicevi, si adatta bene a chi ha poco tempo a disposizione. Come va gestito, ad esempio, l’allenamento in pausa pranzo? La regola è quella di evitare deficit di liquidi e di energie. Perciò si dovrebbe fare, appena si stacca, una breve sessione e poi ricordarsi di mangiare un boccone prima di rientrare al lavoro. Se lungo la mattinata si avesse la possibilità di fare uno spuntino gustoso, allora si potrebbe incrementare il numero di chilometri. Correre tra le montagne 31 Progetti Speciali Inverno sostenibile Marzia Fioroni e Mario Vannuccini Val Tartano (7 gennaio2013, foto Marzia Fioroni). È una tranquilla domenica di febbraio sulle Orobie valtellinesi, quando sul fondo della valle un polverone preannuncia l’arrivo di schiere di automobili, che in breve aprono le fila a scialpinisti, ciaspolatori, motoslittari, accaniti freerider, fotografi naturalisti, uomini muniti di droni, parapendii e chi più ne ha più ne metta. Era una tranquilla domenica di febbraio sulle Orobie valtellinesi. Ma cosa accomuna questa pittoresca schiera di frequentatori della montagna? La voglia di stare all’aria aperta? O piuttosto l’amore per la natura? Già! Ma cosa significa davvero amarla? La brama di neve, adrenalina, begli scorci e aria fina fanno spesso scordare gli effetti negativi che, per lo più inconsapevolmente, possiamo provocare a ecosistemi davvero delicati. L’amore, del resto, spesso è cieco e ci convince che quella lasciata dai nostri sci sia la traccia meno invasiva, che il nostro cane sia del tutto innocuo e inoffensivo, che i motori accesi non siano poi così rumorosi 32 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI e inquinanti, che siano sempre “gli altri” a far peggio di noi. Ignoriamo poi il fatto che l’inverno è una stagione particolarmente delicata per la fauna alpina e che è spesso la dose a fare il veleno: le attività outdoor sono ormai così diffuse e praticate in provincia, che ogni giorno della settimana, a qualunque ora del giorno e della notte e in ogni vallata qualcuno sta solcando il manto bianco, per una ragione o per l’altra. Quali attività sono sostenibili sul lungo periodo? C’è davvero spazio per tutti sulle Alpi? È giunto il tempo di una serena riflessione collettiva, così da comprendere la reale entità degli impatti provocati e trovare soluzioni consapevoli, e possibilmente condivise, che nascano cioè dall’esigenza comune di tutelare un bene prezioso e delicato come l’ambiente alpino. Per trovare delle risposte e anticipare i possibili conflitti che la compresenza di fruitori molto diversi fra loro (pensiamo ad esempio a scialpinisti e motoslittari) può generare, è stato ideato il progetto ‘Inverno Sostenibile’, promosso dall’Associazione Guide Alpine Val Masino - Val di Mello “Il Gigiat” e sostenuto da Pro Valtellina e svariati enti. Composto in primis dal convegno Le Alpi in inverno, conservazione della natura e attività turistiche: c’è spazio per tutti?, che il 28 novembre 2015 ha raccolto su questi temi le opinioni di ricercatori, uomini di montagna e operatori turistici, l’iniziativa prevede poi tavoli di confronto fra amministrazioni, guide alpine, società di elitrasporto, ciaspolatori ecc., per concordare autoregolamentazioni da applicare alle attività più impattanti; infine, 5 serate aperte al pubblico dal titolo La montagna d’inverno in punta di piedi - Consigli pratici per vivere l’out door nel rispetto della natura e azioni di educazione ambientale nelle scuole secondarie della provincia. Per maggiori info: www.facebook.com/invernosostenibile/ Inverno sostenibile 33 Alpinismo Valmalenco Il giro delle Tremogge Una gita scialpinistica che ha come fulcro le vette delle Tremogge, montagne il cui possente e roccioso versante meridionale costituisce l’orizzonte visivo per chi sale in Valmalenco. L’escursione, rivolta a soli sciatori esperti, è molto lunga e impegnativa. Si svolge in ambiente isolato e selvaggio, regalando discese mozzafiato su pendii sostenuti. Data l’orografia dei versanti meridionali, va affrontata solo con neve perfettamente assestata, facendo comunque attenzione alla possibile presenza di tratti ghiacciati. Luciano Bruseghini 34 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Primolo e il gruppo delle Tremogge visti da Torre di Santa giro delle Tremogge 35 Maria (2 maggio 2015, fotoIl Luciano Bruseghini). Alpinismo Valmalenco INTRODUZIONE alendo da Sondrio in Valmalenco, superato l’alto viadotto sul rio Valdone, ci si trova all’improvviso di fronte a tre imponenti cime rocciose che chiudono l’orizzonte verso N: pizzo delle Tremogge (m 3441), pizzo Malenco (m 3438) e Sassa d’Entova (m 3331). In tempi passati questo complesso era chiamato il filùm di Tremögi. Sebbene il pizzo delle Tremogge, oltre a un appariscente edificio sommitale di calcare, vanti il primato di altezza, è il pizzo Malenco a dare il nome a tutta la valle. Quest’ultimo è anche la punta più elevata del gruppo del Bernina completamente in territorio italiano. Alfredo Corti, massimo esponente dell’alpinismo classico in Valtellina, così ne descrive le fattezze: “Domina la Val Malenco con forme robuste e caratteristicamente regolari che gli valsero da qualche alpinista il nome di Sasso Quadro; la parete meridionale è tutta rocciosa, mentre sul lato opposto un manto di ghiaccio lo copre senza interruzione.”1 Il versante settentrionale della triade, decisamente più dolce, ancor ospita ciò che rimane del grande ghiacciaio di Scerscen Inferiore, ben descritto da Giuseppe Nangeroni nel 1928, quando, assieme al ghiacciaio di Scerscen Superiore, costituiva un apparato unitario dalla superficie di ben 1510 ha. Si trattava di uno dei più grandi ghiacciai d’Italia. La separazione tra Scerscen Inferiore e Superiore avvenne negli anni ‘40 del secolo scorso. Dopo un inesorabile e continuo scioglimento delle masse glaciali, la loro superficie complessiva risultava nel 2007 di 954 ha2, con la fronte del ghiacciaio di Scerscen Inferiore arretrata di ben 3,8 km rispetto alla sua massima espansione3, con un ritiro medio annuo di 24 m. Quest’ultimo dato contempla e pondera anni S 1890 Nella pagina a sx la mappa dell’itinerario (la linea continua indica le parti facili, quella tratteggiata le sezioni alpinistiche). Sono disegnate le superfici dei ghiacciai aggiornate al 2013. In questa pagina, invece, è una ricostruzione dei ghiacciai nel 1890 basata su vecchie carte e descrizioni, con la consulenza di Riccardo Scotti (SGL). 2013 BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: rifugio Sasso Nero (m 1506). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SP 15 della Valmalenco. A Chiesa in Valmalenco (12 km) si sceglie la biforcazione occidentale della valle e, dopo diversi tornanti, si arriva a San Giuseppe (5 km), da cui si seguono le indicazioni per il rifugio Sasso Nero e gli impianti sciistici del Palù. Si lascia l’auto nei pressi del rifugio Sasso Nero, approfittando dell’ampio piazzale di servizio degli impianti. Itinerario sintetico: rifugio Sasso Nero (m 1506) - Braciascia (m 1637) - alpe Entova (m 1912) - Ciaz de Sura (m 2500 ca.) - passo delle Tremogge (m 3015) - passo Scerscen (m 3100) - pizzo delle Tremogge (m 3441) - pizzo Malenco (m 3438) Sassa d’Entova (m 3331) - ex rifugio Scerscen Entova (m 2990) - cian di Bö (m 2670) - alpe Entova (m 1912) rifugio Sasso Nero (m 1506). Tempo 36 previsto: 7 ore e mezza. LE MONTAGNE DIVERTENTI Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o ciaspole, kit antivalanga, ramponi, piccozza. Si attraversano ghiacciai, per cui sarebbe opportuno anche avere con sé corda e imbraco. Difficoltà e dislivello: 4,5 su 6, 2400 metri. Dettagli: OSA. Gita scialpinistica in ambiente di alta montagna con pendenze in discesa fino a 45°, tratti esposti e attraversamento di ghiacciai. Sono richieste esperienza e una buona preparazione fisica. I versanti a S del passo Tremogge, della forcola Malenco e dell’ex rifugio Entova-Scerscen vanno affrontati solo con neve perfettamente assestata. Mappe: - CM Valtellina di Sondrio, Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco - Versante Retico, 1:30000; - Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco, 1: 30000, allegato del n. 29 de Le Montagne Divertenti. Inverno 2015 Il ghiacciaio di Scerscen Inferiore nel 1938 (foto Giuseppe Nangeroni) e nel 2010 (foto Simona Alberti - archivio SGL) ritratti dal rifugio Marinelli (fonte I ghiacciai della Lombardia, op. cit.). LE MONTAGNE DIVERTENTI 1 - Luigi Brasca, Guido Silvestri, Romano Balabio, Alfredo Corti, Guida dei monti d’Italia. Alpi Retiche occidentali, CAI, Brescia 1911. 2 - Di questa superficie 462 ettari competono al ghiacciaio di Scerscen Inferiore e 492 ettari a quello di Scerscen Superiore. 3 - La massima espansione dei ghiacciai alpini viene fatta coincidere con la fine della PEG, ovvero attorno al 1850. La PEG, ovvero Piccola Età Glaciale, è collocata tra il XVI e il XVIII secolo, quando un forte abbassamento delle temperature nell’emisfero boreale provocò un incremento di superficie e volume dei ghiacciai. Il giro delle Tremogge 37 Alpinismo Valmalenco Pizzo delle Tremogge Pizzo Malenco (3441) (3438) Forcola Malenco (3210) Passo delle Tremogge (3015) Sassa d’Entova (3331) Pizzo Bernina (4049) Pizzo Roseg (3936) Monte Scerscen (3971) Cresta Güzza (3869) Ex rif. Entova Scerscen Cian di Bö Ciaz de Sura Rif. Longoni Cave di Sellette La Braciascia e la Sassa di Fora (19 marzo 2013, foto Beno). Forcola Malenco Passo delle Tremogge (3210) (3015) Il ripido traverso sotto la Longoni (6 aprile 2014, foto L. Bruseghini). Verso i Ciaz de Sura (6 aprile 2014, foto Luciano Bruseghini). Al passo delle Tremogge (6 aprile 2014, foto Luciano Bruseghini). Cave di Fura Alpe Entova Alpe Senevedo Superiore I tracciati sul versante S visti dal monte Ceresuncolo (15 marzo 2015, foto Luciano Bruseghini). totalmente disastrosi (70 metri tra il 1950 e il 1951) e sporadiche parentesi positive (lento avanzamento tra il 1980 e il 1985). Le ultime due decadi stanno evidenziando un progressivo aumento della velocità di scioglimento4. ITINERARIO artiamo dal piazzale sterrato nei pressi del rifugio Sasso Nero (m 1506) e saliamo per la stradina che ha inizio accanto al ponte sul torrente5. Inizialmente asfaltata, poi sterrata, dopo aver costeggiato i prati della Braciascia, si svolge sulle pendici meridionali della Sassa d’Entova in un fitto bosco di pino silvestre e pino mugo che riparano la neve dai raggi solari. Dopo molti tornanti, un tratto ombroso pianeggiante prean- P 4 - AA.VV., I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione e attualità, HOEPLI, Milano 2011. 5 - Seguire le indicazioni per il rifugio Longoni. La rotabile non viene mai sgomberata dalla neve, per cui normalmente si parte già dal parcheggio con gli sci ai piedi (a primavera inoltrata è possibile proseguire gratuitamente in auto fino nei pressi della Braciascia, oppure, dal 2015, con un fuoristrada si può andare anche oltre, ma occorre il permesso comunale che costa 5€ al giorno). 38 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI nuncia l’alpe Entova (m 1912, ore 1, 4,3 km), un pugno di graziose e minuscole baite in pietra e legno a ridosso del torrente Entovasco. Verso ponente fanno capolino punta Baroni, monte Sissone, cima di Rosso, cima di Vazzeda, cima di Valbona e monte Rosso. Insistiamo sempre lungo la comoda carrareccia che compie un lungo traverso (O) su pendenze modeste. A catturare l’attenzione non sono le nostre mete di giornata, abbastanza defilate sulla dx, ma la portentosa mole della Sassa di Fora che ci si para davanti con le sue rugose e invitanti pendici. Dopo il bivio sulla sx per le cave di serpentino di Fura (da ignorare), la rotabile inizia a prender quota avvolgendosi in tornanti. Trascurata 3 curve più in alto la pista che si diparte sulla sx e porta alle cave di Sellette, contiamo altri 4 tornanti e approdiamo a uno spiazzo a m 2200 nei cui pressi sono un masso recante il triangolo giallo dell’Alta Via e la partenza della teleferica per portare materiale e provviste al sovrastante rifugio Longoni. Qui lasciamo sulla dx la strada, da tempo dismessa, che fino ai primi anni ‘90 serviva il rifugio Entova Scerscen6 e permetteva alle vetture di raggiungere il cian di Bö a oltre m 2700. Pieghiamo a O, poi NO. Sopra di noi è la scura muraglia di serpentino che regge il panoramico terrazzo dove nel 1938 fu costruito il rifugio Longoni. Lambiamo il piede delle rocce, spostandoci a sx (NO), per poi alzarci, attraversare una vallecola7, e approdare ad un crocevia con cartelli segnaletici (m 2400 ca.). Abbassando lo sguardo, possiamo ammirare a NO i pianeggianti Ciaz de Fura. Se andassimo verso E in meno di 5 minuti saremmo al rifugio Longoni8. Noi invece puntiamo a NNE lungo il fianco occidentale della Sassa d’Entova. Dobbiamo prestare molta attenzione a questo traverso 6 - Per approfondimenti: Eliana e Nemo Canetta, Rifugio Entova Scerscen. Un progetto naufragato, LMD n.25 - Estate 2013, pp. 80-81. 7 - Tratto molto ripido e impegnativo che va affrontato solamente con neve sicura. 8 - Il rifugio Longoni, gestito dalla guida alpina Elia Negrini, ha oltre 37 posti letto ed è aperto dai primi di giugno a metà settembre. Nel periodo invernale offre ricovero nella veranda vetrata posta sul lato S. Il giro delle Tremogge 39 Alpinismo Pizzo delle Tremogge Valmalenco (3441) Pizzo Malenco (3438) Sassa d’Entova (3331) Linee di salita e discesa da Tremogge, Malenco e Sassa d’Entova viste dal bivacco Colombo (6 giugno 2010, foto Beno). Inquietante scorcio sul piz Glüschaint dai pressi del passo Scerscen (6 aprile 2014, foto Luciano Bruseghini). perché il manto nevoso, protetto dalla luce solare e lavorato dal vento, è molto compatto e scivoloso. Sfruttando al meglio gli spigoli degli sci e l’ottimo grip delle pelli riusciamo a superare le difficoltà e a scendere brevemente fino all’ampia conca dei Ciaz de Sura (m 2500 ca.)9, da cui abbiamo una completa visuale delle tre vette. È il pizzo Malenco, che incombe proprio sopra le nostre teste con le sue tinte scure, a impressionarci maggiormente. 9 - Il grande masso a N della conca è quotato m 2522. La rotta più semplice e consigliabile punta al passo delle Tremogge, ma è possibile pure una variante più ripida e diretta, che descriveremo in coda a questo articolo e che sale alla forcola Malenco. ttraversiamo il pianoro in direzione N e attacchiamo la scarpata ai piedi del pizzo delle Tremogge. Imbocchiamo una vallecola che si fa man mano sempre più stretta e ripida fino a sbucare nella sua parte alta. Usciti dall’imbuto pieghiamo decisamente a sx (O) e compiamo A Forcola Malenco (3210) un traverso sopra una balza rocciosa (m 2770 ca.). Meglio non scivolare in questo breve tratto10: c’è un salto di oltre cento metri sotto di noi! Finalmente fa capolino anche il sole che ci riscalda con un gradevole tepore mentre sostiamo su un dossetto pietroso. Siamo in una zona molto ventosa, dove la solerzia di Eolo nel pulire il pendio dalla neve obbliga quasi sempre a fare un tratto a piedi. 10 - In caso di neve dura è consigliabile proseguire montando i rampanti o addirittura a piedi e coi ramponi. Rimesse le assi, orliamo sulla sx la conca dove giace il laghetto del passo delle Tremogge (m 2930), d’inverno gelato e coperto da un candido manto bianco. Il valico omonimo è ben visibile in alto a N. Rimontato un facile groppone, traversiamo a dx fino al passo delle Tremogge (m 3015, ore 3, 6,2 km). Stiamo per entrare in territorio elvetico, ma ho dei forti dubbi che qualcuno ci chieda i documenti! A S lo sguardo spazia sul maestoso monte Disgrazia, a N corre lungo la val di Fex, mentre a E il pizzo delle Tremogge, di cui si vede un buon tratto della bella cresta SO, svetta sopra le nostre teste. Rifocillati e rilassati riprendiamo la marcia tagliando sulla dx (NE) l’impervio pendio occupato dal vadret dal Tremoggia11 fino a scollinare appena al di sopra della grossa isola rocciosa che la CNS quota m 3145. Qui il ghiacciaio, modellato dal sole e dal vento, forma un half-pipe 11 - Il ghiacciaio si è recentemente smembrato. Appena sotto il passo vi è perciò una modesta lente glaciale che si è isolata dal resto della vedretta. naturale che noi siamo costretti a seguire. Senza togliere le pelli dagli sci, perdiamo una cinquantina di metri di quota all’interno di questa curiosa formazione, per poi riprendere la marcia (ENE) lungo il ghiacciaio. La fatica comincia a farsi sentire, ma la vista del vicino passo Scerscen12 (m 3100, ore 1, 1,8 km) ci infonde vigore e in un batter d’occhio conquistiamo anche questo valico di confine, massima depressione tra il pizzo della 12 - Fourcla Fex-Scerscen su CNS. Fausto Pedrolini in vetta al pizzo delle Tremogge (31 gennaio 2009, foto Beno). 40 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il giro delle Tremogge 41 Alpinismo Valmalenco Forcola Alta e il pizzo Tremogge, spartiacque tra il ghiacciaio di Scerscen Inferiore e il vadret dal Tremoggia. Rientriamo così in Italia. A NE, sui contrafforti rocciosi del pizzo della Forcola Alta, pochi metri sopra il ghiacciaio, sorge lo spartano bivacco Colombo (m 3170), provvidenziale in caso di maltempo o per chi volesse spezzare la gita in due giorni. Una balza rocciosa chiara a S ci impedisce di salire per la direttissima al pizzo delle Tremogge, per cui dobbiamo spostarci più a E fino a trovare un passaggio innevato con pendenze accettabili che dà accesso al pendio superiore. Con numerose inversioni guadagniamo quota (SSO) e raggiungiamo il culmine: ah no, è solo l’anticima! Una breve discesa e un’altrettanto corta salita ci condu- Sguardo sulla val di Fex dalla vetta del pizzo delle Tremogge (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). In vetta al pizzo Malenco si trova una croce di legno che reca i segni di un fulmine che l’ha colpita (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). La ripida pala N del pizzo Malenco vista dalla spalla E del pizzo delle Tremogge (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). In discesa dal pizzo Malenco. Sullo sfondo le stratificazioni dell’edificio sommitale del pizzo delle Tremogge (31 gennaio 2009, foto Mario Pagni). 42 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il giro delle Tremogge 43 Alpinismo cono sulla prima e più alta vetta di giornata: il pizzo delle Tremogge (m 3441, ore 1, 1,2 km). Panorama eccezionale! A S il monte Disgrazia, che ci ha scortato per tutta la salita, trionfa con le due valli laterali Ventina e Sissone: sembrano braccia che si dipartono da un corpo maestoso. Poi verso O le vette sullo spartiacque tra la Valmalenco e il bacino del Forno: monte Sissone, cima di Rosso, cima di Vazzeda, monte Rosso e, in primo piano, l’imponente Sassa di Fora. In basso, in lontananza a NNO, la rettilinea val di Fex, al cui sbocco si scorge il luccichio tremolante del lago di Sils. A N il massiccio Glüschaint-Sella fa da sipario ai retrostanti giganti: pizzo Roseg, monte Scerscen, pizzo Bernina, Cresta Güzza e pizzo d’Argento: tolgono il fiato solo a guardarli e ci fanno sognare future sfide. Inforcati gli sci, ci buttiamo a capofitto verso E in direzione della forcola Malenco (m 3310, massima depressione tra i pizzi Tremogge e Malenco), facendo attenzione agli infidi blocchetti di calcare che di tanto in tanto affiorano dalla neve. Raggiunta quindi la base dell’erta pala N del pizzo Malenco, calziamo i ramponi e in men che non si dica siamo sulla cima dove si trova una croce di legno (pizzo Malenco, m 3438, ore 0:45, km 1,1). Da qui si domina la Valmalenco che dritta confluisce nella Valtellina proprio in corrispondenza del capoluogo, Sondrio. A E notiamo la Sassa d’Entova, ultima e più bassa vetta di giornata. Con una bella volata lungo la pala N, raggiungiamo il ghiacciaio di Scerscen Inferiore, per traversare perdendo ulteriormente quota in direzione SE fino ai piedi (m 3200 ca.) della piramidale Sassa d’Entova. Rimettiamo le pelli e con alcune risvolte vinciamo facilmente il pendio che ci deposita direttamente in vetta alla Sassa d’Entova (m 3331, ore 0:45, 1,5 km), dove, poco lontano dalla croce dedicata a Fausto Pedrolini - alpinista di Chiesa in Valmalenco scomparso nel 2009 in un incidente in montagna13 -, si trova il libro di vetta. A SE la fatiscente costruzione 13 - Vedi LMD n.9 - Estate 2009. 44 LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco Piz Glüschaint (3594) Sassa d’Entova (3331) Forca d’Entova (2831) Pizzo Malenco (3438) Pizzo delle Tremogge (3441) Ex rifugio Entova Scerscen (2990) Passo Scerscen (3100) L’itinerario visto da E, dal terrazzo del rifugio Marinelli (11 marzo 2011, foto Beno). Salendo l’ultimo pendio per la vetta della Sassa d’Entova. Sullo sfondo il pizzo Malenco (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). Sciando sul ghiacciao di Scerscen Inferiore al cospetto del massiccio Glüschaint- Sella (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). In vetta alla Sassa d’Entova si trova la piccola croce dedicata a Fausto Pedrolini. Sullo sfondo il monte Disgrazia (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). Il rifugio Entova Scerscen fu abbandonato a inizio anni ‘90. Ora la struttura è in parte pericolante: meglio non avvicinarsi troppo (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI dell’ex rifugio Entova Scerscen, prossima tappa della gita. Ci abbassiamo verso N fino a circa m 3160, poiché prima la cresta NE della Sassa d’Entova forma una barra di rocce con grande salto sul versante opposto. Solo quando le pendenze si addolciscono e la possibilità di scavalcare la dorsale senza problemi si fa evidente, pieghiamo a dx (E) e velocemente siamo all’ex rifugio Entova Scerscen (m 2990, ore 0:30, 2,1 km). Ora abbiamo due opzioni: scendere verso dx, seguendo la linea del cavo della vecchia teleferica, oppure a sx, in un delizioso canale. Tra le due io prediligo quest’ultima, in quanto più sicura, anche se entrambe raggiungono pendenze di 40/45°. Scendiamo così di una ventina di metri a valle (S) della costruzione, poi pieghiamo a sx (E) e ci infiliamo in uno stretto imbuto che si amplia man mano che divalliamo consentendoci di guizzare con maggior scioltezza. Toccato il pianoro sottostante, d’estate impreziosito dai laghi del Tricheco e della Balena, pieghiamo verso O senza imboccare la carrareccia che invece porta a S. Passati accanto ad alcune piccole baracche, ci portiamo a circa m 2600 sul fondo di un’ampia conca, quindi pieghiamo a sx e puntiamo all’imbocco dello stretto canale inciso dal torrente. Anche se piuttosto ripido, questo Il giro delle Tremogge 45 Alpinismo Valmalenco Forcola Malenco (3210) Il ripido canale che scende dall’ex rifugio Entova Scerscen al lago del Tricheco supera i 40° (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). Verso i Ciaz de Sura. Indicato il tracciato diretto per la forcola Malenco (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). Forcola Malenco (3210) Nella strettoia del ripido canale che scende dai Cian di Bö verso Entova. A stagione avanzata si deve stare attenti perché si può finire a mollo nel torrente (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). tratto è abbastanza sicuro dalle valanghe perché il pendio tende a bonificarsi subito dopo le precipitazioni. Perdiamo quota rapidamente nella valletta sempre più ampia, per uscirne sulla dx e intercettare la strada non lontano dal guado sul torrente Entovasco. A ridosso della valle dell’Entovasco, continuiamo a disegnare serpentine in spazi aperti fino al limitare del bosco. Affrontiamo la fascia alberata lungo la traiettoria del sentiero estivo, che si mantiene sulla dx idrografica tra i larici. Velocemente appro- 46 LE MONTAGNE DIVERTENTI La via diretta da S per la forcola Malenco. A sx è indicato il canale che, se innevato, consente con più facilità di guadagnare la spalla E del pizzo delle Tremogge (13 marzo 2015, foto Luciano Bruseghini). diamo alla radura che ospita le baite dell’alpe Entova (m 1912, ore 0:30, 2,6 km), dalla quale percorriamo a ritroso la traccia dell’andata fino al piazzale accanto al rifugio Sasso Nero (m 1506, ore 0:30, 4,3 km). VARIANTE PER LA FORCOLA MALENCO Chi volesse fare un percorso alternativo, ben più impegnativo ma che consente di risparmiare circa un’ora di marcia, fatte le debite valutazioni, può dai Ciaz de Sura raggiungere direttamente da S la forcola Malenco, anziché transitare per i passi delle Tremogge e Scerscen. Dai Ciaz de Sura (m 2500 ca.), invece di piegare a sx, continuiamo verso NNE e affrontiamo la scarpata che scende dal circo compreso tra pizzo delle Tremogge e pizzo Malenco, dove si trova il piccolo ghiacciaio delle Tremogge14. Il primo tratto permette di tenere gli sci ai piedi, ma man mano che prendiamo quota le pendenze cominciano a farsi sentire (35°/40°) finché, nei pressi di un roccione, 14 - In forte ritiro (oltre il 60% dal 1990 al 2007), nel 2007 misurava soli 5,5 ha. Inverno 2015 Il canale di misto che porta alla forcola Malenco. Un tempo qui si passava con gli sci! (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). L’uscita del canale (max 50°) che porta direttamente sulla spalla E del Tremogge senza passi d’arrampicata (6 giugno 2011, foto Beno). Salendo la spalla E del pizzo delle Tremogge. Come si nota, il vento fa affiorare degli insidiosi blocchetti di calcare che potrebbero rigare gli sci in discesa (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). La vetta vera e propia del pizzo delle Tremogge si trova alcuni metri oltre la sua anticima NE, da cui è separata da una conca a cui segue una facile cresta (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini). decidiamo di calzare i ramponi e proseguire a piedi. In questo modo viaggiamo più spediti e sicuri perché le punte affilate dei ramponi hanno un’ottima presa su questa neve dura. È meglio tenersi sulla sx, verso il pizzo delle Tremogge. A m 2950 il declivio spiana leggermente. Rimettiamo gli sci, pur tenendo i ramponi a portata di mano perché tra breve ci serviranno di nuovo. Siamo immersi nel tetro anfiteatro compreso tra il pizzo delle Tremogge e il pizzo Malenco. In alto sulla dx (NE), compare l’intaglio della forcola Malenco: sembra impossibile LE MONTAGNE DIVERTENTI vincere l’ultimo dirupo, ma il segreto c’è. Insistiamo verso NE, le pendenze continuano ad aumentare finché risulta impossibile proseguire con gli sci: a m 3150 passiamo ai ramponi. Un tratto assai arduo ci conduce ai piedi di un canalino roccioso (II): è lungo una cinquantina di metri, con neve e ghiaccio sul fondo, ma ottimi appigli per le mani. Lo risaliamo e approdiamo alla forcola Malenco (m 3210, ore 2:30 dai ciaz de Sura)15. 15 - Con buon innevamento, una valida alternativa è quella di prendere il canale nevoso più a sx. Que- Alla forcola Malenco veniamo accolti dai caldi raggi del sole che fino a ora ci erano stati negati, ma soprattutto veniamo catturati dall’imponente e formidabile gruppo Glüschaint-Sella. Rimessi gli sci, ci issiamo sulla spalla orientale del pizzo delle Tremogge che ci conduce prima all’anticima e poi alla vetta vera e propria (m 3441, ore 0:45). sto sbuca sulla cresta E del pizzo delle Tremogge appena a sx di una torre biancastra (m 3300 ca.). Le pendenze sfiorano i 50° in corrispondenza della pancia centrale e dell’uscita, ma non è necessario arrampicare. Il giro delle Tremogge 47 Alpinismo Versante Retico Cima del Desénigo Erano più di dieci anni che ogni mattina, mentre percorrevo la SS 38, guardavo questa vetta che domina la media Valtellina sopra Ardenno. Potere sciare sui larghi fianchi del Desénigo è stato per me un sogno, coronato nel 2014 col versante E e nel 2015 con quello S. Luciano Bruseghini 48 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il versante orientale della cima del Desénigo visto dalla cima di Vignone. L’edificio sommitale ha due vette: la NO, la cima del Desénigo vera e propria (m 2845), e, alla sua sx in foto, l’anticima SE (m 2834 su CTR), capolinea delle gite sciapinistiche 49 (29 marzo 2013, foto Roberto Ganassa).Cima del Desénigo (m 2845) Alpinismo Versante Retico “M assiccio roccioso che, visto da parecchi punti e specialmente dalla Valtellina verso Berbenno, ha una imponenza superiore alla sua altezza e importanza” - così descriveva Aldo Bonacossa questa cima. Effettivamente il Desénigo non ha alte pareti per arrampicare, almeno non quanto i vicini giganti di granito del Masino, ma ha invece bellissimi fianchi per sciare. Esistono tre itinerari scialpinistici per la cima, tutti raramente frequentati e, generalmente, col primo tratto da fare a piedi per mancanza di neve: - dalla val Chiavenna, seguendo la valle dei Ratti; - il classico, lungo il versante S, con partenza da Poira di Dentro; - il più impegnativo e appagante, per il versante E con partenza da Cevo, all’imbocco della val Masino. Vi descriverò questi ultimi due. Cima di Malvedello (2640) Cima del Desénigo (2845) Passo di Visogno (2574) Passo di Colino Ovest (2630) Corno del Colino (2504) Torre di Bering (2608) 2834 Biv. Bottani Va lT oa Alpe Visogno te Pra Succ Baita Colino Peccio Ledìno Poira Poira di Dentro In arancione il tracciato si salita da Poira di Dentro e in blu quello di discesa per la val Toate. In rosso l’itinerario per il versante E. La parte tratteggiata è quella a carattere alpinistico. La gita si ferma all’anticima SE, da cui per la vetta si dovrebbe percorrere un tratto di cresta dentellata ed esposta. Civo Il versante meridionale della cima del Desénigo (6 marzo 2015, foto Luciano Bruseghini). In arancione il tracciato di salita da Poira di Dentro (tratteggiata la parte non visibile che si svolge nella valle dei Ratti) e in blu quello di discesa per la val Toate. BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: Poira di Dentro (m 1080). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SS 38 in direzione Morbegno. Ad Ardenno, poco prima del ponte sul Masino (18 km), si esce a dx sulla SP 9 della val Masino e la si segue per 5 km salendo fino al ponte del Baffo. Qui si svolta a sx sulla SP 10 che sale tortuosa e, dopo Cevo, passa per Caspano, Chempo, dove al bivio (circa 11 km da Ardenno) si abbandona la SP 10 e si prende a dx (frazione Roncaglia Sotto). Dopo 4 km dal bivio e 15 km da Ardenno, si arriva a Poira di Dentro. attenzione agli ultimi metri prima della vetta. Itinerario Mappe: sintetico: Poira di Dentro (m 1080) - Pra Succ (m 1650) - alpe Visogno (m 2005) - bivacco Bottani-Cornaggia (m 2327) - passo di Visogno (m 2574) - valle dei Ratti (ci si abbassa fino a m 2450 circa) - cima del Desénigo (anticima SE, m 2834) - 50 passo del Colino occidentale (m 2630) - alpe Colino (m 1973) - alpe Pesc (m 1613) - Ledìno (m 1181) Poira di Dentro (m 1080). LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 4 ore e mezza per la salita. Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o ciaspole, kit antivalanga, ramponi e piccozza utili per l’ultimo tratto. Difficoltà e dislivello: 3+ su 6, 1800 metri. Dettagli: BSA. Gita scialpinistica molto lunga. Fare - CNS foglio n. 278 - Monte Disgrazia, 1:50000 - Kompass n. 92 - Chiavenna e Val Bregaglia, 1:50000 Inverno 2015 IL DESÉNIGO PER IL VERSANTE SUD (ITINERARIO CLASSICO) opo aver attinto informazioni sull’itinerario dal Roby Ganassa, lasciamo l’auto nel piazzale adiacente la chiesetta in sasso di Poira di Dentro (m 1080), percorriamo a ritroso per una cinquantina di metri la strada asfaltata. Sulla dx si stacca una stretta carrareccia con cartelli che ci indirizzano al bivacco Bottani-Cornaggia. Nel primo tratto, data l’esposizione S e la quota non elevata, la neve è in genere molto scarsa, per non dire assente, però oggi a noi va di lusso in quanto la recente nevicata e le basse temperature degli ultimi giorni hanno permesso a 20 cm di coltre bianca di conservarsi. Calziamo D LE MONTAGNE DIVERTENTI subito gli sci e in marcia decisi. Transitiamo a fianco di graziose villette fino al limitare del bosco, dove ha inizio l’impresa (sentiero Tre Cornini). La pista non sempre è evidente, però ad aiutarci ci sono dei provvidenziali nastri bianco/rossi molto sbiaditi, dondolanti dai rami di alcuni alberi. Con un po’ di tornanti prendiamo quota tra la vegetazione (un misto di abeti, scheletriche querce e castagni) fino a un ruscelletto. Ignorata la deviazione sulla dx per Peccio, il tracciato risale verticalmente il fianco sx della vallecola per poi incontrare un’ampia pista tagliafuoco che oltrepassiamo. Lo spessore della neve aumenta, mentre le piante di pino silvestre prendono il sopravvento. Ancora numerosi andirivieni. Il sentiero piega decisamente verso O, per sbucare dopo un lungo traverso nei pascoli dell’alpe Pra Succ (m 1650, ore 1:20). C’è una splendida vista sulla media e sulla bassa Valtellina. Riprendiamo la marcia ignorando il primo nucleo di baite sulla dx e insistendo verso N su per il pascolo, fino a toccare le abitazioni della parte alta, dietro le quali è segnalata la ripartenza del sentiero. La traccia ora si fa più ampia e rientra nel bosco con andamento N/ NE fino a un avvallamento occupato dal ruscello che scende dall’alta val Visogno (d’inverno il corso d’acqua non è visibile perché ricoperto dalla neve). Attraversata la conca, proseCima del Desénigo (m 2845) 51 Alpinismo guiamo in direzione E e giungiamo a una radura sopra la quale vi è un allettante pendio sgombro da alberi. Con faticose inversioni verso N, siamo al ripiano superiore. Pieghiamo quindi a sx (NO) in piano per un breve tratto. Improvvisamente una piccola costruzione sbuca dalla neve: siamo all’alpe Visogno (m 2005, ore 1). A SO si scorgono nitidamente i Tre Cornini, guglie rocciose conosciute anche come i tre frati, che sorgono sullo spartiacque con la val San Giovanni. In alto a N balza all’occhio, eretto su un dosso roccioso, il rosso bivacco Bottani-Cornaggia. Sembra lontanissimo, invece lo raggiungeremo in breve tempo. A NO la cima di Malvedello (m 2640) domina la parte alta della vallata. Appena il pendio sulla dx (E) diventa accessibile (tratto ripido), lo affrontiamo con decisi zig-zag e, guidati dalla bandiera italiana che sventola alle raffiche di vento, siamo al bivacco Bottani - Cornaggia1 (m 2327, ore 0:45). Alle spalle della struttura in lamiera, iniziamo un traverso (dx, NE) fino a scavalcare un costolone e giungere ai piedi del passo, che guadagniamo raddrizzando il timone verso N. Siamo al passo di Visogno (m 2574, ore 0:40), sullo spartiacque tra costiera dei Cech e valle dei Ratti2. La cima del Desénigo è ben visibile a NE. Abbiamo sudato sette camicie, sia per lo sforzo che per il sole che ci cuoceva, ma ora la situazione cambia decisamente: siamo accolti da un vento gelido che ci raffredda all’istante. Lanciamo un veloce sguardo alla parte alta della valle dei Ratti dominata dal pizzo Ligoncio e dall’impressionante mole rocciosa del Sasso Manduino. Senza perdere tempo pianeggiamo a NE, per quindi puntare in alto: l’edificio sommitale del Desénigo è proprio davanti a noi. Si nota chiaramente che sono due le vette: noi scegliamo quella Versante Retico Cima di Malvedello (2560) Passo di Visogno (2574) Pra Succ (28 febbraio 2015, foto Luciano Bruseghini). Ai piedi della cima di Malvedello (28 febbraio 2015, foto L. Bruseghini). 1 - Dedicato alla memoria degli alpinisti Nino Bottani e Siro Cornaggia è collocato fra le balze rocciose del circo ai piedi della cima di Malvedello. Il bivacco è stato posato nel 1983 ed è di proprietà del G.A.M. (Gruppo Aquile di Morbegno). Dispone di 9 cuccette, un tavolo e una panchina ribaltabile. Pur essendo un bivacco, non è sempre aperto, per cui chi intendesse fruirne deve chiedere le chiavi a Oscar Scheffer del GAM di Morbegno (tel. 0342611022), oppure agli alberghi Scaloni o Ville di Poira, a Poira di Civo. 2 - Il toponimo non è indice della presenza di numerosi roditori, ma deriva dalla famiglia Ratti proprietaria un tempo di gran parte della vallata. 52 LE MONTAGNE DIVERTENTI Dalla vetta del Desénigo (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa). Panorama della conca al cui margine sorge il bivacco Bottani - Cornaggia (28 febbraio 2015, foto Luciano Bruseghini). Appena dopo il dosso del bivacco si deve intraprendere un traverso in salita verso dx (NE), per poi puntare dritti (N) alla sella del passo. Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima del Desénigo (m 2845) 53 Alpinismo meridionale che, anche se di quota leggermente inferiore, è più facilmente raggiungibile d’inverno. Saliamo un dosso roccioso e infine affrontiamo il pendio terminale. Ai piedi dell’impervia scarpata finale parcheggiamo gli sci e proseguiamo a piedi per una quarantina di metri, infine attacchiamo la breve cresta che ci conduce sull’anticima SE della cima del Desénigo (m 2834, ore 0:45)3. Il panorama, anche se in parte celato dalla nebbia, è veramente spettacolare: l’intera Valtellina, la val Masino coi sui giganti di granito e il Disgrazia. Iniziamo subito la discesa perché il tempo sta peggiorando, come preannunciato dalle previsioni meteo. Ricalchiamo le nostre orme fino al deposito sci, poi, rimesse le assi, ci abbassiamo inizialmente verso O per poi piegare a S in un valloncello. Spingendoci a mo’ di fondista risaliamo il breve pendio che ci conduce al passo del Colino Occidentale (m 2630, ore 0:30). Scendiamo un centinaio di metri verso S, poi tagliamo in diagonale verso E (sx) per entrare in val Toate4. Un ampio pendio che intercala dossoni consente deliziose evoluzioni e la discesa sembra non finire mai. Alla baita dell’alpe Colino (m 1973) 3 - Da qui chi volesse andare in vetta deve affrontare la dentellata cresta rocciosa verso NO. Circa 200 metri esposti e con vari spuntoni da aggirare. Prestare molta attenzione ad eventuali cornici instabili. 4 - È anche possibile scendere direttamente tutto il pendio che si sviluppa a S del passo del Colino Ovest, anch’esso entusiasmante. Però, una volta raggiunta la baita isolata e semidistrutta a m 1780 circa, bisogna seguire il sentiero che le passa davanti. Andando a destra (O) si ritorna a Pra Succ, prendendo a sinistra (E) si raggiunge Peccio. L’importante è non continuare la discesa verso S perché il pendio presenta canali incassati e salti di roccia proibitivi. Val Masino Cima del Desénigo (2845) 2834 La cima del Desénigo dal passo di Malvedello. È segnata la traccia di salita dal passo di Visogno (28 febbraio 2015, foto Luciano Bruseghini). Discesa in val Toate (28 febbraio 2015, foto Luciano Bruseghini). la vegetazione comincia a fare la sua comparsa, ma stando al centro della vallata sciamo su ampi e agevoli declivi, facendo lo slalom attorno a grossi massi che di tanto in tanto spuntano dalla glassa bianca. L’alpe Peccio (Pesc) (m 1613) è ben visibile in basso: sono due nuclei ben distinti e noi puntiamo a quello sulla destra (O). Superato un breve tratto nel bosco, raggiungiamo l’alpeggio. A valle delle due costru- zioni imbocchiamo il sentierino per il maggengo di Ledìno. Procediamo con gli sci fino a trovare la pista forestale a m 1450 circa. La attraversiamo e proseguiamo a piedi sul sentiero. Toccato Ledìno (m 1181), la mulattiera diventa una strada sterrata fino alla chiesetta di Poira (m 1070, per la discesa dal passo del Colino Occidentale occorrono, a seconda dell’innevamento, dalle 1 alle 2:30 ore). Il ponte sul Cavrocco nei pressi della centrale idroelettrica (2 marzo 2014, foto Luciano Bruseghini). Il maggengo di Cerésolo è posto nel punto in cui la valle si allarga e il paesaggio si fa meno aspro (2 marzo 2014, foto Luciano Bruseghini). Corte del Dosso (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa). Corte di Cevo (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa). BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: Cevo (m 660). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SS 38 in direzione Morbegno. Ad Ardenno, poco prima del ponte sul Masino (18 km), si esce a dx sulla SP 9 della val Masino e la si segue per 5 km salendo fino al ponte del Baffo. Qui si svolta a sx sulla SP 10 che sale tortuosa e, dopo 1 km si arriva all’abitato di Cevo. Itinerario sintetico: Cevo (m 660) - Cerésolo (m 1040) - Corte del Dosso (m 1450) - Corte di Cevo (m 1770) - casera Spluga (m 1940) - anticima SE del Desénigo (m 2834) - ritorno per lo stesso itinerario. IL DESÉNIGO PER IL VERSANTE EST (ITINERARIO PER AVVENTURIERI) S e per qualcuno fare il Desénigo1 da Poira non fosse abbastanza impegnativo, lo invito a provare l’ascesa lungo la valle di Spluga con partenza da Cevo (m 660), frazione di Civo che sorge all’imbocco della val Masino. Lasciamo l’auto nella piazzetta in 1 - Il Desénigo è indicato sulle mappe anche come monte Spluga, ma questo toponimo non è d’uso comune tra i frequentatori. 54 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 7 ore e mezza. Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o ciaspole, kit antivalanga, ramponi e piccozza utili per l’ultimo tratto. Difficoltà e dislivello: 4+ su 6, 2200 metri. Dettagli: OSA. L’ultimo tratto e la cresta per la vetta richiedono attenzione in quanto ripidi ed esposti. Pendii oltre i 45°. Mappe: - CNS foglio n. 278 - Monte Disgrazia, 1:50000 - Kompass n. 92 - Chiavenna e Val Bregaglia, 1:50000 centro al paese e per viottoli fra le case e sentiero ci portiamo a monte dell’abitato. Incrociamo e prendiamo (dx, NE poi SO) la strada sterrata di servizio della centrale idroelettrica sul torrente Cavrocco, che attraversiamo grazie a un bel ponte, a valle del quale ci sono graziose cascate. Giunti in sx orografica, e passati così dal comune di Civo a quello di Valmasino, imbocchiamo in salita (sx) la vecchia mulattiera selciata della valle di Spluga. La via è stata faticosamente ricavata sul roccioso e ripido fianco del monte, dove corre a tratti scalinata appena sopra e parallela alla stretta gola del torrente. D’inverno in alcuni punti si può trovare ghiaccio vivo: è allora bene prestare molta attenzione, perché una caduta nella forra del torrente potrebbe essere fatale. All’improvviso la valle si apre e giungiamo a Cerésolo (m 1040, ore 1). Si tratta di un gruppetto di baite in una piccola conca erbosa, di cui la maggior parte versa in stato di abbandono. Il nucleo altro non è che il maggengo che faceva riferimento all’alpeggio di Cervìso, adagiato su un terrazzo 450 metri di dislivello più in alto ed esattamente a Cima del Desénigo (m 2845) 55 Alpinismo Val Masino 2834 A Corte di Cevo ci sono 2 metri di neve (2 marzo 2014, foto Luciano Bruseghini). Il tracciato per la cima del Desénigo dall’alta valle di Spluga (2 marzo 2014, foto Luciano Bruseghini). N di Cerésolo. Dirigendoci a NO, troviamo e seguiamo le indicazioni per i laghi2 che ci portano quasi subito ad attraversare (sx) una vecchia frana dove i rovi e le piante di rosa canina se la prendono coi nostri vestiti. Tornati nel bosco, senza ancora aver la possibilità di calzare gli sci, dobbiamo evitare i continui agguati che ci tendono i rami bassi degli alberi. Questi sono carichi di neve fresca e se la scrollano di dosso appena li sfioriamo con le punte degli sci. A circa m 1350 ci sono 20 cm di neve: non molta, ma sufficiente a passare dall’assetto escursionistico a quello scialpinistico. In men che non si dica siamo a Corte del Dosso (m 1450, ore 1), una modesta radura dove sorgono una manciata di baite in sasso tutte abbandonate e in rovina. Qui la coltre bianca raggiunge il metro! Verso SO, dall’altra Non ovunque si accede alla cresta E del Desénigo (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa). Valle di Spluga, al limite della vegetazione. Sullo sfondo le cime della Merdarola (2 marzo 2014, foto Luciano Bruseghini). 56 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI 2 - I laghi della valle di Spluga, di cui il maggiore è posto a m 2160 ai piedi del versante N del Desénigo, costituiscono, assieme a quello di Scermendone, gli unici della val Masino. Cima del Desénigo (m 2845) 57 Alpinismo Val Masino parte della vallata, svettano il corno del Colino e la rocciosa torre di Bering. Il sole riscalda la neve e questa aderisce alle pelli formando un pesante zoccolo che rende la marcia un calvario. Fortunatamente spalmando della sciolina sulle pelli la situazione migliora. Oltre una piccola radura, il sentiero rientra nel bosco e tocca Corte di Cevo (m 1770), dove troviamo due baite di recente ristrutturazione e quasi 2 metri di neve. Sbigottiti da cotanta generosità, ci dirigiamo a NO e in breve usciamo dal limite degli alberi nei pressi di casera Spluga (m 1940, ore 1:15). Non passiamo dalle baite, ma ci portiamo (sx, SSO) sulla dx idrografica per sostare su di un dossone (m 2100 ca.) dal quale possiamo studiare il modo migliore per vincere il ripido pendio che abbiamo di fronte. Due alti salti di roccia bloccano l’accesso diretto alla spalla E del Desénigo, per cui dobbiamo compiere un largo semicerchio da dx a sx per aggirarli. La neve fresca è tanta quanto la fatica della progressione, ma fortunatamente con noi ci sono due “macchine da guerra”: Sgabèl e Lurenzìn che, alternandosi al comando, battono una traccia perfetta. Dopo parecchie inversioni sullo scosceso fianco del monte e numerose soste per rifiatare, guadagniamo la cresta E del Desénigo a circa m 2700. Siamo esausti, ma la cima è vicina. Seguiamo la dorsale verso O fin dove è possibile con gli sci, poi li abbandoniamo e proseguiamo ramponi ai piedi (neve mista a roccette). Non appena possibile, abbandoniamo il filo e ci spostiamo a sx dentro il ripido canale che culmina sulla cresta N. Con prudenza, data la forte inclinazione (>45°), compiamo questa manovra e tocchiamo lo spartiacque tra la val Toate e la valle dei Ratti. Pochi metri verso N e siamo nel punto nodale dove si incontrano la val Toate, la valle dei Ratti e la valle Spluga, ovvero l’anticima SE della cima del Desénigo (m 2834, ore 2:30). Sfiancati dall’enorme lavoro che si è reso necessario per vincere gli ultimi 600 metri di dislivello, ci ritempriamo godendo dell’amplissimo panorama: dal monte Bianco al monte Rosa, dai monti Lariani, al gruppo del Bernina, 58 LE MONTAGNE DIVERTENTI Nel ripido canale che scende dalla cresta N a pochi metri dall’anticima SE del Desénigo. Sullo sfondo la Valtellina (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa). Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima del Desénigo (m 2845) 59 Rubriche Val Masino Verso al cresta E del Desénigo (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa). all’Adamello, passando per le vicine vette della val Masino, mentre a S s’erge la dentatura delle Alpi Orobie. ifocillati, iniziamo il rientro. Con attenzione ci abbassiamo a piedi ripercorrendo il tragitto di salita fino al deposito sci. Messe le assi, diamo libero sfogo a tutta l’adrenalina che abbiamo accumulato in corpo. La pendenza perfetta (30-35°) e la neve farinosa ci consentono di disegnare centinaia di metri di ininterrotte serpentine: sostiamo solamente quando i quadricipiti vomitano lattacido. Nei pressi di casera Spluga, ci immergiamo nel bosco seguendo le tracce di salita. La polvere continua e ci esibiamo in audaci ghirigori fra gli alberi fino a Corte Cevo. Più in basso il sole ha inflaccidito la neve, ma non ci lasciamo abbattere e scivoliamo ancora fino a m 1350, dove siamo costretti a levare definitivamente gli sci e proseguire a piedi. La stanchezza fa sembrare la discesa infinita, ma oramai è fatta e chiudiamo questa fantastica giornata a Cevo (m 660). Da oggi ogni volta che percorrerò la SS 38 da Sondrio a Ardenno, potrò alzare lo sguardo fiero e, anche se quella che mi aspetta è una lunga giornata di lavoro, sorridere ripensandomi lassù a disegnare coi miei sci quegli incredibili pendii! R Scendendo dai fianchi del Desénigo. Sullo sfondo, inconfondibile, la cima centrale del Calvo (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa). 60 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima del Desénigo (m 2845) 61 Alpinismo Valchiavenna Nel canyon del Tignoso Beno Una gita di scialpinismo può nascere da un attento studio dell’itinerario oppure da una scoperta inaspettata. Allora è ancor più affascinante. Così, un pomeriggio al termine della consegna della rivista nelle edicole, ci troviamo a Campodolcino. Vista in alto la sagoma arrotondata del monte Tignoso, decidiamo di raggiungerla nelle poche ore di luce rimanenti. Oramai rassegnati a una discesa al calar del sole senza particolari emozioni, la curiosità ci porterà invece a sperimentare una linea all’interno di un canyon chiuso tra pareti di chiaro calcare. Sul fianco orientale del monte Tignoso il solco val dei Buoi si stringe tanto da formare un canyon, davvero insolito da sciare (18 marzo 2015, foto Roberto Ganassa). 62 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Tignoso (m 2376) 63 Alpinismo Valchiavenna Monte Tignoso (2376) Toiana San Sisto Starleggia Ca de Luc Splughetta Il monte Tignoso visto dai prati di Campodolcino. Nell’immagine è segnato il tracciato di salita dai prati di Campodolcino (18 marzo 2015, foto Beno). BELLEZZA Ruttico gomme Dal 1967 ti aiuta a guidare sicuro FATICA PERICOLOSITÀ PNEUMATICI PER AUTOVETTURA, MOTO, AUTOCARRI E AGRICOLTURA TAGLIANDI, MECCANICA, AMMORTIZZATORI E FRENI RIPARAZIONE GOMME E CERCHI BILANCIATURA E CONVERGENZA D opo pranzo chiedo a Roby cosa si riesca a fare con gli sci partendo da Campodolcino, dove ci troviamo al termine del giro di distribuzione del numero primaverile de Le Montagne Divertenti. Data l’ora, serve una gita non troppo lunga e Roby suggerisce il monte Tignoso, una meta poco ambiziosa sopra San Sisto. Lui non l’ha mai salito, perciò facciamo due passi sui prati dietro il Muvis di Campodolcino per vedere la nostra meta e se i crochi stanno spuntando. Niente fiori, ma invece ecco ASSISTENZA SUL POSTO OFFICINA MOBILE CONVENZIONI CON LE MAGGIORI FLOTTE D’AUTONOLEGGIO Montagna in Valtellina (SO) fine tangenziale direzione Bormio tel 0342/215328 fax 0342/518609 e-mail [email protected] www.rutticogomme.191.it LE MONTAGNE DIVERTENTI si sale lungo la SS 36 dello Spluga in direzione del passo omonimo. Si toccheranno San Giacomo Filippo, Lirone, Cimaganda, Prestone e dopo aver costeggiato un bacino artificiale, Campodolcino (12 km). All’uscita del paese, ci si separa dalla SS 36 e si prende a sx la SP 66 per Isola, quindi, giunti nei pressi del Liro, si abbandona la SP 66 e si attraversa il torrente (sx) immettendosi su via per Starleggia. Dopo un breve piano, in corrispondenza del campeggio Campodolcino Camping, ha inizio la salita per Starleggia. Qui si lascia l’auto (circa 15 km da Chiavenna): la strada per Starleggia è chiusa al transito automobilistico nel periodo invernale. Itinerario sintetico: Campodolcino (m 1090) Splughetta (m 1369) - ca de Luc (m 1475) - Starleggia (m 1565) - San Sisto (m 1779) - Toiana di Sotto MOLLE E KIT SPORTIVI, DISTANZIALI E CERCHI IN LEGA 64 Partenza: Campodolcino (m 1090). Itinerario automobilistico: da Chiavenna Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI (m 1950) - monte Tignoso (m 2376) - San Sisto (m 1779) - Starleggia (m 1565) - ca de Luc (m 1475) Splughetta (m 1369) - Campodolcino (m 1090). Tempo previsto: 4 ore per la salita. Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o ciaspole, kit antivalanghe, consigliati i ramponi. Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / oltre 1250 m in salita. Dettagli: BS+ la discesa per il canyon, altrimenti MS. Pendenze fino a 40° con qualche salto da fare. Se si scende per la via di salita non si incontrano difficoltà. Attenzione alla possibilità di ghiaccio e neve dura sulla cresta sommitale. Mappe: - Kompass n.92 - Valchiavenna e Val Bregaglia, 1:50000 sbucare dai tetti delle case il monte Tignoso: si tratta del dossone pelato all’estremità orientale della dorsale tra la valle di Starleggia e la val Febbraro. La cima del monte Tignoso, geologicamente parlando, è un curioso lembo residuo della falda del Suretta, che in questo settore è divisa dagli gneiss della falda del Tambò da una lente di calcare. Raggiunto con l’auto l’inizio della strada per Starleggia (m 1090), parcheggiamo a lato della carreggiata poco oltre il campeggio. Il fondo scarsamente innevato è segnato dal passaggio delle motoslitte. Il caldo è tale che prevediamo di dover levare gli sci in più punti. Inizia la marcia su pendenze alquanto modeste. Poco dopo il primo tornante, sulla dx, si stacca il sentiero estivo che farebbe guadagnar quota più velocemente, ma con poca neve è meglio restare sulla strada e non andare a cercare avventure nel fitto bosco di abeti, dove gli alberi tendono a non lasciar depositare i fiocchi bianchi e i sassi sono lì pronti ad Monte Tignoso (m 2376) 65 Alpinismo Indicati in rosso il tracciato di salita e in giallo quello di discesa. Le parti tratteggiate individuano le parti più impegnative della gira. Splughetta. Sullo sfondo la valle della Rabbiosa. Da sx pizzo Groppera, pizzo Stella e Cresta del Calcagnolo. In basso si vede Campodolcino (18 marzo 2015, foto Beno). Starleggia e la chiesa di Cristo Re. Edificata nel 1768 fu dotata di campanile solo nel 1921 (18 marzo 2015, foto Beno). 66 LE MONTAGNE DIVERTENTI Starleggia. Sullo sfondo la valle della Rabbiosa. Da sx pizzo Groppera, pizzo Stella, Cresta del Calcagnolo, pizzo Alto e pizzo di Prata. In basso le case di Campodolcino (18 marzo 2015, foto Beno). azzannare le solette degli sci. Il decimo tornante (4,5 km) coincide con Splughetta (m 1369), gruppetto di case a monte del grazioso terrazzo che s’affaccia sulla val San Giacomo. Da qui c’è una ampia vista sia sulla cascata di Pianazzo, che su Campodolcino e la sovrastante valle della Rabbiosa, oltre che sulla dentatura di vette che vanno dal pizzo Stella al monte Mater. Splughetta è inoltre impreziosito dalla cappella ottocentesca dedicata a Santa Maria Madre della Chiesa, posta quasi sul ciglio del balcone e affiancata da una croce. Dopo il quattordicesimo tornante c’è un lungo traverso (N). Due ponti con suggestivi scorci superano le valli del Sancia e di Starleggia. Qui i corsi d’acqua scorrono in selvagge gole ornate da candele di ghiaccio. Segue il nucleo di ca del Luc (m 1475), a N del quale abbandoniamo la strada e pieghiamo a sx (O) risalendo una valletta scevra d’alberi. Ripresa la carrozzabile (sx) siamo subito a Starleggia (m 1565, ore 1:15), dove si trova la chiesa di Cristo Re, edificata nel 1768, ingrandita nel 1914 e dotata di campanile solo nel 1921. Il toponimo Starleggia, secondo alcuni1, deriva dalla voce dialettale stérl, e si riferisce al fatto che fin da tempi remoti si portavano a pascolare le sole bestie sterili su questi fianchi scoscesi. 1 - Mario Gianasso, Guida turistica della provincia di Sondrio, II edizione a cura di Antonio Boscacci, Franco Gianasso e Massimo Mandelli, Banca Popolare di Sondrio, Sondrio 2000. Inverno 2015 Starleggia fu abitata fino alla metà degli anni ‘80, mentre ora le sue case vengono utilizzate per la villeggiatura estiva. Attraversando l’abitato individuiamo e seguiamo sulla sx (indicazioni) il sentiero per San Sisto. Questo si svolge inizialmente sui prati a monte dell’abitato (O), per entrare nel fitto del bosco e riemergervi dopo aver rimontato da dx a sx il gradone roccioso che sospende lo sbocco della valle di Starleggia. È un tratto molto ripido che viene agevolato da numerose risvolte e da alcune protezioni verso valle che, però, d’inverno possono costituire, più che una sicurezza, delle trappole per gli sciatori. Proprio sul ciglio della valle si trova una cappelletta con Madonna col Bambino e, appena a monte di questa, il campanile di San Sisto. È ben distante dalla chiesa omonima, ma l’anomalia è solo apparente: questo, infatti, doveva servire sia San Sisto (detta Starleggia Superiore) che Starleggia. Fu perciò inserito in una più antica torre di guardia posta a metà strada tra le due chiese. Al suo interno si trova una sola campana, installata tra il 1620 e il 1639. Pianeggiando giungiamo all’abitato di San Sisto (m 1779, ore 0:30), posto nella bassa valle di Starleggia. Perla della frazione è la chiesa di San Sisto o della Trasfigurazione, costruita nel 1613. Il paesaggio della valle è costituito da praterie d’alta quota. La sagoma del pizzo Quadro impera a SO, mentre tra i fabbricati si alternano edifici affascinanti LE MONTAGNE DIVERTENTI Sul ciglio sospeso della valle di Starleggia si trova una cappelletta dedicata alla Madonna e l’antico campanile di San Sisto (18 marzo 2015, foto Beno). San Sisto, un tempo noto come Starleggia Superiore, si trova allo sbocco della valle di Starleggia. Sullo sfondo il pizzo Stella (18 marzo 2015, foto Roberto Ganassa). Monte Tignoso (m 2376) 67 Alpinismo Valchiavenna Le baite allineate di Case Rosse (18 marzo 2015, foto Beno). Toiana di Sotto (foto R. Ganassa). Salendo la cresta NE del monte Tignoso. Sullo sfondo al centro è l’aguzzo pizzo d’Emet (18 marzo 2015, foto Beno). In vetta al monte Tignoso (18 marzo 2015, foto Roberto Ganassa). Nel canyon della valle dei Buoi. A circa m 2000 nel canyon della valle dei Buoi (18 marzo 2015, foto Beno). ad alcune palazzine di minor pregio. Prima dell’ingresso in paese, sale sulla dx (N) il sentiero (indicazioni) che presto esce dal bosco e rimonta i pendii pascolivi compresi tra la valle Toiana a dx e la valle dei Buoi a sx. Giungiamo alle baite di Giumello, dalle quali ammiriamo sulla dx le Case Rosse, un gruppo di edifici in pietra allineati. Poco più in alto eccoci a Toiana di Sotto (m 1950), da cui scorgiamo a O una alta grotta calcarea cintata, probabilmente usata come stalla. Insistiamo a NNO e, dopo un tratto piuttosto faticoso, ci affacciamo al pian dei Cavalli. 68 LE MONTAGNE DIVERTENTI Il monte Tignoso è alla nostra sx (OSO). Attraversiamo la valle dei Buoi in un punto dove è poco incisa e di lì ci inerpichiamo zigzagando sul versante orientale del monte. I pendii, dapprima sostenuti (35°), lasciano spazio a una groppa ben più dolce, dove però il vento ha dato il peggio di sé rendendo la neve durissima. Le pelli non tengono più; una scivolata sarebbe alquanto disastrosa, così decidiamo di proseguire a piedi. Anche questa scelta si rivela pericolosa: il fondo è talmente gelato che non si riesce nemmeno a tacchettare con le punte degli scarponi. Rimpiangendo i ramponi che riposano a casa, iniziamo un peregrinare sul crinale alla ricerca di passaggi senza ghiaccio. Fortuna vuole che giungiamo sani e salvi in vetta, imparando che non si devono sottovalutare nemmeno le gite apparentemente più semplici (monte Tignoso, m 2376, ore 1:45). Il sole è già basso sull’orizzonte e velato da nuvole stiracchiate, il panorama amplissimo. Mi colpisce specialmente la vista del canalone SE dei pizzi dei Piani, ambita discesa di sci ripido. Il pian dei Cavalli Inverno 2015 è addormentato sotto una spessa coltre bianca che impedisce di andare alla ricerca di fenomeni carsici o di segni dell’uomo preistorico2, le maggiori attrattive di questa vasta conca. Sciati i pendii superiori, anzichè attraversare la valle dei Buoi, proviamo a seguirne il corso. Il solco si incassa tra chiare rocce 2 - Al pian dei Cavalli, in un’area di circa 25 km2, gli archeologi hanno scoperto le più antiche tracce dell’uomo nelle Alpi Centrali. Gli scavi hanno portato alla luce una trentina di siti con reperti risalenti fino a 10 mila anni fa, un periodo in cui il clima mite permetteva agli uomini di recarsi a quote elevate e praticarvi la caccia. LE MONTAGNE DIVERTENTI calcaree e ripide scarpate assumendo presto l’aspetto di un canyon. Non sappiamo se si passa o se ci troveremo davanti una cascata invalicabile, ma entusiasti dell’ambiente inaspettato in cui stiamo sciando decidiamo di insistere lungo la valle fino a San Sisto. Oltre la prima strettoia, che coincide con un’ansa del torrente, aggiriamo da sx una cascatella (m 1960 ca.). Torniamo sulla mezzeria. Un paio di punti stretti che richiedono agilità, pendenze che non si fanno mai preoccupanti, e dei divertenti saltini scandiscono la sciata. Un po’ più di neve certo non guasterebbe, ma dise- gnando una linea attenta riusciamo a non levare mai le assi. Nella parte bassa il canyon è occupato da grossi massi e alberi caduti. Dobbiamo “ravanare” un po’ per passare indenni nell’intrico, stando attenti anche a non fare il bagno nel torrente che il caldo ha scoperchiato in più punti. È anche questo parte dell’avventura e certamente non guasta! Sbuchiamo dal canyon proprio a San Sisto da cui, ricalcando le orme di salita, rientriamo a Campodolcino al calar delle tenebre. Monte Tignoso (m 2376) 69 Approfondimenti Valchiavenna Don Ugo Bongianni Piero Tartarini e la casa di san sisto S Erano gli anni ‘70 e don Ugo1, giovane sacerdote di Chiavenna, cercava una baita dove stare con i ragazzi dell’oratorio. Per don Ugo, infatti, la montagna era un’occasione speciale di incontro coi giovani, con le famiglie della parrocchia, di ritiro per pregare, riflettere sulla vita, studiare la Bibbia, condividere momenti di gioia e di divertimento. Grazie all’intermediazione del signor Schiavi, trovò ospitalità a San Sisto, presso una baita intitolata all’alpinista Vittorio Guidali e utilizzata come casa vacanza da una famiglia milanese. Era un edificio bianco nei pressi della fontana, lungo la stradina sterrata che da San Sisto porta alla cava di beola. Non era grande, ma i giovani si adattarono ben volentieri, dividendosi per dormire: le ragazze si fermavano alla Guidali, mentre i ragazzi sfruttavano un’altra baita vicina. Malgrado le scomodità, per loro i giorni passati in montagna erano un’avventura. Un’avventura fatta di momenti di riflessione, di gioco, di scherzi, di canti e di passeggiate più o meno impegnative. Durante quei soggiorni, don Ugo mise gli occhi sulla vecchia stazione della teleferica e casa degli operai: due piani, isolata dal resto del paese, sorgeva in prossimità del ciglio sospeso della valle. Costruita dopo la Seconda Guerra Mondiale per servire le cave locali Mosca-Scaramella, divenuta in seguito caserma della Guardia di Finanza per combattere il contrabbando, era da alcuni anni inutilizzata2. Cosciente che la casa Guidali era insufficiente come spazi e che non si poteva approfittare troppo della generosa ospitalità, capì che la stazione della vecchia teleferica forse faceva al caso suo. Con un gruppo di ragazzi girò attorno all’edificio, cercando di immaginare con loro gli spazi interni. Notarono che il portoncino d’entrata era chiuso solamente con del fil di ferro e, dopo qualche attimo di incertezza, sciolsero quel nodo e si avventurarono all’interno: quella casa era proprio ciò che cercavano! Condivise la sua idea con il parroco di Chiavenna don Siro Tabacchi (1916-2010) e insieme contattarono il proprietario, il signor Mosca, imprenditore milanese che viveva a Chiavenna ed era attivo in parrocchia. Mosca non solo ne concesse l’uso, ma la cedette ben volentieri in cambio di una cifra simbolica. Era il 1976. Iniziò una grande avventura, in cui don Ugo seppe coinvolgere molti ragazzi e adulti. Da allora andare a San Sisto non fu più solamente fare la settimana di ritiro dell’oratorio, bensì occuparsi di una grande casa, vederla rinascere, crescere ed evolversi. 1 - Don Ugo Bongianni, originario di Savogno, nacque a Chiavenna il 3 marzo del 1944. Fu ordinato sacerdote a Como il 29 giugno del 1968 e, poco dopo, inviato dal vescovo nella sua Chiavenna come vicario. Qui si occupò da subito dei ragazzi. Divenuto anche parroco di Pianazzola, rimase a Chiavenna fino al 1990, anno in cui fu nominato parroco a Talamona. Morì il 31 dicembre 2006 dopo un lungo cammino di malattia in cui fu assistito, come fossero familiari, da coloro i quali chiamava i suoi “fedelissimi”. 2 - La teleferica Campodolcino - San Sisto, di cui la casa era la stazione a monte, fu realizzata al termine della Seconda Guerra Mondiale su iniziativa dei signori Mosca, proprietari di cave di beola verde nella valle di Starleggia. L’attività estrattiva andò però man mano spegnendosi. Nel 1970 un gruppo locale riavviò una cava all’alpe Gusone e ottenne dai Mosca l’utilizzo gratuito della teleferica Campodolcino - San Sisto, che venne quindi rimontata tra Starleggia e l’alpe Gusone (fonte www.starleggia.it). uonava il clacson della sua FIAT 126 sui tornanti e diceva: “A noi piace la musica”. Quante volte don Ugo Bongianni (1944-2006) ha percorso la strada che unisce Campodolcino a Starleggia, sempre con qualche ragazzo a bordo a cui, ridendo, ripeteva quella battuta. Arrivato a Starleggia indossava il suo zaino rosso, come copricapo un fazzoletto coi nodi, e si incamminava verso la casa di San Sisto. Questa struttura, fulcro dei campi estivi giovanili, è nata da una sua idea quasi 40 anni fa e dal 2007 porta il suo nome. Don Ugo Bongianni, col suo zaino rosso, mentre sale a San Sisto (1990, archivio oratorio San Luigi). 70 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Fraternità sacerdotale a San Sisto: don Ugo a sinistra, don Siro al centro e don Gigi Pini a destra (metà anni ‘90, foto archivio oratorio San Luigi). Carico di mattoni per i lavori alla casa (fine anni ‘70, foto archivio oratorio San Luigi). La gente di San Sisto la chiama baracca, caserma o colonia; per chi ne è stato ospite, è semplicemente la casa della parrocchia a San Sisto; per chi ci ha messo tempo e sudore, è casa propria, anche se oggi, quando si passa a salutare, si entra col passo leggero dell’ospite (2014, archivio oratorio San Luigi). Don Ugo Bongianni e la casa di San Sisto 71 Approfondimenti Valchiavenna Don Ugo celebra la messa al lago Bianco (1984, foto archivio oratorio San Luigi). I ragazzi giocano nel fango nella valle di Starleggia (2000 ca., foto archivio oratorio San Luigi). La messa della dedicazione della casa di San Sisto a don Ugo (10 giugno 2007, foto archivio oratorio San Luigi). Ragazzi del campo estivo di San Sisto in gita nella valle di Starleggia (2005, foto archivio oratorio San Luigi). Gruppo di ragazzi alla casa di San Sisto (fine anni ‘70, foto archivio oratorio San Luigi). Don Siro parla ai ragazzi (2000 ca., foto archivio oratorio San Luigi). Si prepara il falò (10 luglio 2007, foto archivio oratorio San Luigi). Tutti attorno alla chitarra (5 agosto 2007, foto archivio oratorio San Luigi). All’inizio i lavori erano fatti in proprio, grazie alla competenza di amici idraulici ed elettricisti. I ragazzi più giovani facevano da “bocia”, aiutando come potevano. Si saliva di sera o di domenica, zaino carico in spalla e via, col sole o la pioggia, felici di poter essere utili. In seguito sono intervenute anche varie ditte per le opere di muratura. Nel tempo, oltre all’aspetto strutturale, è cambiato anche il modo di gestione della casa. All’inizio, ad esempio, si andava tutte le sere dagli allevatori a prendere il latte per la colazione. Il pane arrivava con la teleferica a contrappeso della cava, così come tutti i rifornimenti per la cucina e il materiale per i lavori; bisognava quindi fare la spola per portare tutto alla casa con le carriole o tramite un grande carrello da spingere a forza di braccia. Poi la cava è stata chiusa e, per i grossi carichi, la teleferica è stata sostituita dall’elicottero. 72 LE MONTAGNE DIVERTENTI Tanti gruppi sono stati ospiti della casa. Merita particolare menzione il Gruppo del Venerdì, associazione di volontariato di Chiavenna che si occupa di disabilità. Per alcuni anni una settimana è stata dedicata a loro. E che festa quando salivano! Soccorso Alpino in prima linea con le barelle (anche chi era costretto in carrozzina poteva arrivare a San Sisto e farsi le vacanze), seguito da parenti, volontari e amici con tutto il necessario per il soggiorno. Poco importa se poi pioveva: si cantava, si facevano grandi tornei di carte, si inventavano giochi, si guardavano i mondiali di calcio in TV (solamente in quell’occasione era ammessa nella casa). al 1990 al 2006, don Ugo salì con i giovani e le famiglie di Talamona di cui, nel frattempo, era divenuto parroco. Don Ugo ha lasciato un segno anche lì: ancora un anno fa, nel loro bollettino, i parrocchiani di Talamona scrivevano infatti: “Ricordiamo i momenti D di incontro con don Ugo, quando le sue parole semplici ed eterne si spande vano nell’aria di una giornata di sole, oppure si facevano largo tra le pieghe della notte attorno ad un falò, per poi penetrare nei nostri cuori, prima che nelle nostre menti; rivediamo lo sguardo sorridente di quel sacerdote che amava la montagna, che ci ricor dava che per arrivare in cima si deve far fatica e continuare, anche se chi ti è vicino non ti segue, ma si viene poi ripagati dei sacrifici...” Particolare importanza per don Ugo avevano le gite. Erano un’occasione per guidare i giovani verso l’alto, per far scorgere loro, tramite la meraviglia per il creato, la grandezza di Dio. Tanti ragazzi era la prima volta che indossavano gli scarponi e percorrevano un sentiero. Immancabile era la gita al lago Bianco, dove si pranzava al sacco e si celebrava la messa. Sul pian dei Cavalli veniva proposta la discesa nel Buco del Nido, grotta naturale Inverno 2015 di origine calcarea. Armati di torcia, i ragazzi vivevano quei pochi passi nel buio come una grande avventura verso il centro della terra. Se il gruppo aveva “una buona gamba”, si poteva arrivare alla cima Bardan e dare un’occhiata alla val Mesolcina. Altra gita di rigore era quella al laghetto artificiale del Sancia, nei pressi del quale spesso si riusciva a far la slitta sulle lingue di neve che scendevano dalla sponda della valle. I più grandi, a volte, se c’erano accompagnatori prestanti, potevano aspirare al pizzo Quadro. E per chi non era ancora stanco, dopo cena c’era ancora da scarpinare per recuperare il latte! Quante partite di pallone nel prato antistante la casa che, a dirla proprio tutta, non assomiglia a un campo di calcio... e quanti palloni persi nel precipizio! Se si voleva giocare davvero bene, occasione per una nuova gita, si saliva a quello che veniva chiamato Wembley, un prato LE MONTAGNE DIVERTENTI pianeggiante poco distante dal lago Bianco. Immancabile, allora come oggi, era riunirsi attorno al chitarrista di turno. Bastava mettere una coperta per terra e, gambe incrociate, si poteva cantare ore, spaziando per tutti i generi! A San Sisto si andava anche con la scusa di dare un’occhiata che tutto fosse in ordine, si coglieva volentieri l’occasione di mangiare il risotto preparato da don Ugo e prendere un po’ di sole. Si saliva lassù anche il lunedì dell’Angelo: si mettevano i tavoli nella neve e si scendeva ustionati dal sole. Coi racconti legati a San Sisto si potrebbero riempire le pagine di un libro in cui i primi capitoli sarebbero strettamente legati alla figura di don Ugo. Molta gente è passata per quella casa; alcuni degli adulti che hanno iniziato con don Ugo, non ci sono più, così come lui. La casa, invece, è ancora là e nel 2016 festeg- gerà il quarantesimo dalla cessione alla parrocchia di San Lorenzo di Chiavenna. Nel 2007, con una messa speciale celebrata dal parroco di San Lorenzo, don Ambrogio, la casa è stata dedicata a don Ugo. Lo ricorda una targa affissa alla facciata. Oggi come allora, i ragazzi vanno a San Sisto accompagnati dal “don di turno”; adesso tocca a don Alessandro guidarli. L’estate del 2015, grazie anche alla bella stagione, è stata intensa e si è conclusa con la demolizione del piano delle camere e l’inizio dei lavori di adeguamento che si concluderanno in primavera. Nel 2015 a tutti gli animatori e ai ragazzi che hanno fatto il campo estivo a San Sisto è stata regalata una felpa che riportava la scritta #LaStoriaContinua... e le nuove leve contano già i giorni che li separano dal loro primo campo alla casa di San Sisto, pronti a continuare una storia iniziata tanto tempo fa. Don Ugo Bongianni e la casa di San Sisto 73 Alpinismo Alta Valtellina Monte Castelletto (m 2556) Giacomo Meneghello Estrema elevazione settentrionale della dorsale che divide la valle di Foscagno dalla Vallaccia di Trepalle, il monte Castelletto è una meta scialpinistica poco faticosa che viene raggiunta, spingendosi poi fino alla successiva quota m 2758, dal ponte del Rez. Questo si trova sulla strada che dal passo del Foscagno porta a Trepalle (comune di Livigno), coi suoi m 2069 il centro abitato più alto d’Italia. 74 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Scendendo in Vallaccia dalle pendici del monte Castelletto. Sullo sfondo Trepalle (23 gennaio 2014, foto Giacomo Monte Castelletto (mMeneghello). 2556) 75 Alpinismo Alta Valtellina L a quota m 2758 a S del monte Castelletto è una classica, breve, facile e divertente sciata invernale alla portata di tutti, ma che va affrontata solo con neve sicura. La pendenza mai eccessiva, l'ampiezza dei versanti, la quota e l'esposizione prevalentemente settentrionale rendono la discesa così piacevole da indurre spesso gli scialpinisti alla ripellata. Pizzo Bernina (4049) Monte della Mine (2883) 2758 Monte della Neve (2785) Monte Castelletto (2556) Il tracciato di salita al monte Castelletto e alla successiva quota m 2758 visto dal monte Rocca (7 aprile 2010, foto Giacomo Meneghello). 2758 In rosso il tracciato di salita, in giallo quello di discesa. BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ Partenza: ponte del Rez (m 2023). Itinerario automobilistico: da Bormio si prende la SS 301 del Foscagno in direzione del passo. Il valico viene raggiunto dopo 23 km, quindi dalla dogana si prosegue in discesa per poco più di 4 km finché, in corrispondenza dell’attraversamento della Vallacia Lunga (ponte del Rez), la strada riprende a salire. Si esce quindi a sx e si parcheggia all’inizio della strada che entra in Vallaccia lunga. Itinerario sintetico: ponte del Rez (m 2023) - Tempo previsto: 2 ore e 10’. Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o ciaspole, kit antivalanga. Difficoltà/dislivello: 2.5 su 6 / 730 m in salita. Dettagli: MS. Gita senza difficoltà, ma che va affrontata solo con neve assestata e non gelata. Mappe: - Kompass n.96 - Bormio-Livigno-Corna di Campo, 1:50000 La dorsale a S del monte Castelletto vista dalla vetta (23 gennaio 2014, foto Giacomo Meneghello). monte Castelletto (m 2556) - quota 2758. P rovenendo da Bormio, valicato il passo del Foscagno, pur rimanendo nella provincia di Sondrio, passiamo dal bacino del Po a quello del Danubio. Il territorio è quello di Livigno: un’area remota dal clima molto rigido e sfavorevole, tanto da essere soprannominata “Piccolo Tibet”. Perciò, a partire dal Medioevo, vennero via via concessi sgravi fiscali per dare un po’ di sollievo alla popolazione. In epoca più recente Livigno - divenuto extra-doganale (1973) anche per benzina, liquori, zucchero, articoli sportivi e tecnologici, ... - ha cominciato ad attrarre turisti non solo per il suo fascino paesaggistico, ma anche per la possibilità di acquisti esentasse. Questo è stato uno dei fattori che ha innescato il circolo virtuoso che ha fatto crescere Livigno fino a diventare la meta più 76 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI frequentata della nostra provincia: un flusso turistico senza eguali, con oltre un milione di presenze annue. Tra questi turisti vi sono anche gli sciatori che, oltre a godere della neve sempre abbondante, approfittano delle gita per fare carburante e shopping. asciata l’auto nel comodo parcheggio nei pressi del ponte del Rez (m 2023) all'imbocco della Vallaccia, attraversiamo il torrente portandoci sulla destra orografica e risaliamo senza percorso obbligato i pendii a NO del monte Castelletto. Alcune inversioni e rimontiamo il facile crinale da cui si osserva interamente il serpentone della strada che va dal passo del Foscagno al passo d’Eira. Proseguendo sulla dorsale (S), senza quasi accorgercene, siamo in vetta al monte Castelletto (m 2556, L Discesa - parte alta (23 gennaio 2014, foto Giacomo Meneghello). ore 1:30), un ampio panettone sulla cresta N del monte di Foscagno. Dopo aver valutato la stabilità della neve, procediamo verso S con un po’ più di attenzione e, aggirate alcune roccette (spesso si devono togliere gli sci), torniamo sullo spartiacque fino alla vicina quota m 2758 (ore 0:40), classica meta scialpinistica. A S la dorsale si abbassa, per poi impennarsi verso il monte Foscagno, ma in questa direzione c’è ben poco da sciare: è perciò giunta l’ora di levare le pelli e scendere. Per la via di salita torniamo al monte Castelletto. Dalla cima, anziché seguire le nostre tracce (N), ci lanciamo a NO per goderci una sciata in neve polverosa e raggiungere il fondo della Vallaccia. Da qui rientriamo all’auto. Monte Castelletto (m 2556) 77 Alpinismo 78 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Verso il fondovalle della Vallaccia dove si trovano le tipiche baite rustiche (23 gennaio 2014, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). Monte Castelletto (m 2556) 79 Escursionismo Versante Retico Sui monti di Villa di Tirano Prendendo spunto da un itinerario inedito di Antonio Boscacci del 1998, ecco un’emozionante passeggiata che dai vigneti di Villa di Tirano sale alle case di Sasso. Si toccano alcuni tra i più caratteristici nuclei di baite del Versante Retico della media Valtellina, percorrendo sentieri dove anche d’inverno il sole impone una piacevole tregua al freddo. Beno Stavello 2015, foto Beno). 80 (24 LE ottobre MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Sui monti di Villa di Tirano 81 Escursionismo 82 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Villa di Tirano sorge ai piedi del fianco SE del Dosso Salarsa (m 2279). Indicato il tracciato dell’escursione. Ripresa effettuata da Santa Cristina Sui(24 monti di 2015, Villafoto di Tirano 83 ottobre Beno). Escursionismo Versante Retico Nella trapezoidale piazza Torelli si trova la collegiata di San Lorenzo, le cui origini parrebbero anteriori al XII secolo, sebbene l’aspetto attuale sia frutto di rifacimenti terminati nel 1880 (24 ottobre 2015, foto Beno). La meridiana della chiesa di San Lorenzo si trova sopra il portale datato 1592 ed è rivolto verso piazza Torelli. Reca una duplice scritta ammonitrice che non passa certo inosservata (24 ottobre 2015, foto Beno). La torre campanaria della chiesa di San Lorenzo culmina con ben 4 piani di trifore a doppia ghiera. Al suo interno oggi sono alloggiate 8 campane realizzate tra il 1950 e il 2005 (24 ottobre 2015, foto Beno). I ripidi terrazzi vitati di Villa di Tirano dalla via acciottolata che sale il fianco del monte. Il rapporto larghezza del terrazzo/altezza del muretto è uno dei più bassi che si osserva in Valtellina (24 ottobre 2015, foto Beno). BELLEZZA Partenza: Villa di Tirano, piazza Luigi Torelli (m 404). FATICA PERICOLOSITÀ - Itinerario automobilistico: dalla rotonda al termine (E) della tangenziale di Sondrio, proseguire sulla SS 38 in direzione Tirano. Dopo 20 km, all’altezza dell’antico ponte di sasso, che si trova a dx della carreggiata al di là della ferrovia, svoltare a sx in via Foppa e seguirla per 150 metri (da qui in avanti si devono seguire le indicazioni per la farmacia e per il municipio). Appena prima della filiale della Banca Popolare di Sondrio, prendere a dx via Europa per 75 metri, quindi imboccare sulla sx via Stretta e lasciare l’auto in uno dei numerosi parcheggi che gravitano attorno alle scuole medie. Piazza Torelli, dove si trovano la chiesa di San Lorenzo e il municipio, è vicinissima: basta continuare a piedi su via Stretta. Itinerario sintetico: Villa di Tirano, piazza Luigi Torelli (m 404) - Maranta (m 440) - Bait (m 675) Piazzo (m 838) - Canova (m 933) - Bertòla (m 1016) Stavello (m 1216) - Sasso (m 1418) - Lughina (m 1468) - «I l sole non ha ancora raggiunto il fondo della Valtellina, mentre percorriamo con l’auto la strada statale 38 in direzione di Tirano. Anzi, una coperta di nebbia, che sembra partire dall’Adda, dove è più fitta, si stende sulla strada e intorno ad essa. Però, non lontano, sui fianchi delle montagne sulla 84 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Ramaione (m 1106) - San Sebastiano (m 735) - Reula (m 700) - Ronco (m 590) - Maranta (m 440) - Villa di Tirano, piazza Luigi Torelli (m 404). Tempo previsto: 6 ore. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1064 m in salita. Dettagli: E. Escursione per lo più su sentieri segnalati (n. 396 - n. 301 - n. 398) da bandierine bianco-rosse, rade però quanto i cartelli indicatori. Portare con sé questo articolo per evitare di perdersi. Si percorrono anche piste forestali e strade cementate. Il sentiero di discesa, ove coperto da fogliame, è estremamente scivoloso: prestare attenzione. Mappe: Cartografia escursionistica della Comunità Montana Valtellina di Tirano, foglio 3 - Teglio e Tirano, 1:25000 (N.B. nella mappa mancano molti toponimi). sinistra della valle, vediamo scendere lentamente la linea che separa il sole dall’ombra. Quando arriviamo a Villa di Tirano ed entriamo in paese, il sole è ancora sopra gli ultimi vigneti; sembra essersi fermato un momento prima di buttarsi a capofitto sul fondovalle. Chiedo a due donne come fare per raggiungere il maggengo di Sasso ma, dalle loro risposte, capisco che non sanno dov’è. Mi dicono infatti che devo scen dere verso Sondrio e allora mi rendo conto che hanno confuso Sasso con Sazzo, frazione di Ponte. Si ferma un tale che passa in auto Sui monti di Villa di Tirano 85 Escursionismo Versante Retico L’interno della baita diroccata in località Bait, a m 675. Tutto intorno un tempo vi erano vigneti (24 ottobre 2015, foto Beno). Canova. Nella parte orientale si trovano delle baite in sasso recentemente ristrutturate (24 ottobre 2015, foto Beno). e, alla mia domanda su come fare per salire a Sasso, mi dice che ci posso andare con l’auto. Quando sente che vogliamo salire a piedi, mi dice che i sentieri, dalla fine degli anni del contrabbando, sono tutti chiusi e pieni di rovi: insomma, ci sconsiglia quella gita. Un contadino che passa con l’Ape, ci ripete che si può salire in auto e, per quanto riguarda i sentieri ci dice che, sì, forse, qualcosa c’è ancora; ci manda più avanti a chiedere informa zioni più approfondite, che lui non è in grado di darci. Decidiamo di affidarci alla cartina e parcheggiamo in un piazzale dove sono collocate le campane per la raccolta diffe renziata dei rifiuti. Mentre sto mettendo lo zaino, vedo un vecchietto appoggiato ad una casa poco lontano; mi avvicino e gli chiedo se è possibile salire a piedi a Sasso. Mi risponde che è semplicissimo e che il percorso parte proprio lì davanti a noi. Abbiamo trovato la persona giusta.» Così inizia il racconto di Antonio Boscacci, datato 12 novembre 1998. Questo suo testo sarà la mia guida 86 LE MONTAGNE DIVERTENTI L’affresco di Lino Tagliaferri a Canova. Nella scena centrale è rappresentata l’apparizione della Madonna al beato Mario degli Omodei, il quale ha con se un cestino coi prodotti dell’orto (24 ottobre 2015, foto Beno). il colpo d’occhio è davvero incredibile. Poco più in alto, dopo un tunnel sotto la strada, entriamo nel bosco dove il sentiero si concede qualche tornante che, tuttavia, non ne smorza le pendenze. Tra gli alberi ancora si distinguono lunghi muretti a secco che reggono piccoli appezzamenti di terra, a dimostrazione che un tempo il limite dei vigneti era molto più alto. Dopo essere passati accanto ad una casa diroccata (Bait, m 675) e, poco più sopra all’altrettanto diroccata casa di Pozzacher (m 750), arriviamo al piccolo ripiano sul quale si trovano le baite di Piazzo (m 838, cartello). «La mulattiera prosegue ricoperta da uno spesso strato di foglie di castagno. Muovendo le foglie con i piedi ci accor giamo che ci sono ancora delle grosse castagne e ci fermiamo a raccoglierle.» Così come ha fatto Antonio, facciamo anche noi, riempiendoci le tasche e felpandoci la lingua nel tentativo di mangiarne qualcuna cruda Oltre un tornante verso dx, vi è una casa recentemente ristrutturata, quindi la mulattiera taglia la strada forestale che proviene da San Sebastiano e arriva alle baite di Canova (m 933, ore 1:30). La prima di queste baite, la più antica e fatiscente delle superstiti, reca sulla facciata S un affresco di Luigi Tagliaferri1, che lo terminò il 20 luglio 1879. Riprendiamo la mulattiera e sbuchiamo accanto a un tornante della strada ai piedi del nucleo di Bertòla (m 1016)2. L’edificio più a valle è in fase di ristrutturazione, mentre alle sue spalle si trova un imponente fabbricato che versa in condizioni precarie. I muri impressionano perché formati da pietre talvolta giganti. Le porte presen1 - Luigi Tagliaferri nato a Pagnona nel 1841, affrescò molte chiese della Valtellina e della Valchiavenna (Piateda Alta, Vione, Lanzada, Gallivaggio, Olmo ecc). Lavorò anche nella chiesa parrocchiale di San Lorenzo a Villa di Tirano (nel 1902, ma certamente anche prima) ed è probabilmente per questo che salì fin qui a dipingere questa bella cappelletta (informazioni scritte da Antonio Boscacci). 2 - Un cartello posto in loco indica m 992, ma dalle mappe il nucleo sembrerebbe collocato interamente sopra l’isoipsa dei m 1000. tano volte e una delle rampe di accesso ai piani superiori è costituita da un pesantissimo lastrone di roccia. Chi ha costruito questa casa certo aveva una tecnica sopraffina per movimentare grossi carichi! Riprendiamo la ripida via selciata che da 600 metri di dislivello è quasi sempre orlata su entrambi i lati da corni e lastroni di pietra piantati a terra. Attraversata un’ultima volta la strada, vinciamo gli ultimi metri di dislivello che ci portano ai prati di Stavello. Le baite si trovano poco sopra, arroccate su un terrazzo (m 1216, ore 0:45). «Tutta la zona intorno a Stavello scrive Antonio Boscacci - è stata fino agli anni cinquanta, accuratamente coltivata, come testimoniano i numerosi piccoli appezzamenti di terreno ricavati sul ripido pendio con lunghi (e a volte possenti) muri a secco. Vi si coltivavano soprattutto segale, grano saraceno, orzo e patate. Questi prodotti, uniti al latte, alle castagne ed all’uva (più in basso) permettevano di sopravvivere, pur con La grande costruzione in località Bertòla ha muri massicci che contengono massi di grandi dimensioni (24 ottobre 2015, foto Beno). per l’intera gita. So bene che in 17 anni le cose cambiano. In genere i sentieri spariscono inghiottiti dai rovi e gli anziani che sanno darti indicazioni non ci sono più, ma qui a Villa di Tirano le vecchie mulattiere sono sopravvissute e alcune indicazioni, se pur rade, aiutano a non perdersi e a godersi appieno la passeggiata. Partiamo dalla centralissima piazza Torelli, dove si trovano il municipio e la chiesa di San Lorenzo (m 404). Ispezionando un palo zeppo di cartelli, individuiamo nel sentiero n. 396 per Stavello la nostra direzione. Ci portiamo sul lato N della collegiata e da lì iniziamo a salire lungo la strada per Maranta. Le nuove architetture residenziali stridono con la classe delle vecchie costruzioni del centro. All’incrocio troviamo un sentierino sulla dx che ci porta in un punto panoramico dove è stata posta la piazzola di sosta della via dei Terrazzamenti. Tavolo, panche e un pannello esplicativo con testi imbarazzanti. Attraversiamo il torrente della val Maggiore su un ponticello e ci immettiamo su una pista cementata. La seguiamo in salita, paralleli al corso d’acqua che in questo tratto compone un quadro suggestivo con alberi e prato. Poco prima che la strada pieghi a sx, sulla dx s’inerpica una ripidissima e dritta via selciata tra i vigneti. «Avendo girato in lungo e in largo la provincia di Sondrio - sottolinea Antonio Boscacci - ci è capitato di incontrare in numerose occasioni delle mulattiere ripide. Quella però che ci stava di fronte superava, da questo punto di vista, ogni nostra immaginazione. Probabilmente le persone che passa vano di qui erano persone del tutto speciali; ma molto speciali dovevano essere anche gli animali che riuscivano a percorrere questa mulattiera. E se in salita la faccenda doveva essere difficile, molto più complicate dovevano essere le cose durante la discesa. Per capire cosa voleva dire vivere su queste montagne basterebbe dare un’occhiata a questa mulattiera.» I polpacci un po’ si lamentano, ma Inverno 2015 Il nucleo occidentale di Stavello, un gruppo di baite ben curate poste su un terrazzo con piazzale (24 ottobre 2015, foto Beno). Il fondovalle valtellinese dai ripidi prati di Stavello. In lontananza si distingue Stazzona (24 ottobre 2015, foto Beno). Sasso, la parte occidentale del maggengo dove si trova una baita in fase di ristrutturazione (24 ottobre 2015, foto Beno). Il grande incendio che bruciò la montagna sopra Villa di Tirano tra il 17 e il 22 marzo 1998 (foto archivio Corpo Volontari Protezione Civile Milano). LE MONTAGNE DIVERTENTI Sui monti di Villa di Tirano 87 Escursionismo difficoltà.» Dallo spiazzo antistante alle baite si domina il fondovalle, baciato da un sole molto più timido di quello che si gode quassù. Dal crocevia nei pressi delle baite (cartello indicatore) saliamo al dritto in quello che assomiglia a un valloncello. È l’unico percorso non segnalato. La pendenza è davvero estrema. Un vecchio castagno ritorto, che chissà quante cose ha visto succedere nella sua lunga vita, pare incitarci a tenere duro. Ci lasciamo sulla sx due minuscoli gruppetti di baite diroccate (il più in alto è chiamato ca del Franzés) che, puntualizza Antonio Boscacci «un tempo sicuramente erano abitate per gran parte dell’anno, come lasciano intendere le volte in sasso delle cantine e alcune soluzioni architettoniche.» Dopo esserci immessi su un sentiero più dolce e comodo e aver incontrato la stradicciola pianeggiante che proviene dal gruppetto più orientale delle baite di Stavello (noi abbiamo visitato quelle più occidentali), prendiamo quota con vari tornanti. Passati accanto a una grande croce in legno, pochi metri e siamo al maggengo di Sasso (m 1418, ore 0:30). Baite ristrutturate e crollate convivono con le betulle e i larici sparsi per la radura. A dx vi è una piccola fontana in legno. Poco sopra c’è la strada proveniente da Lughina che, all’interno del tornante, abbraccia una casa privata in legno che reca il nome “rifugio Picun”. A E del maggengo gli alberi sono fitti e piccoli, in quanto si tratta delle nuove leve spuntate dalle ceneri del grande incendio che nel 1998 aveva arso il fianco della montagna. Questo, come i numerosi altri che avevano flagellato la valle tra il marzo e l’aprile di quell’anno, erano opera di alcuni pirlomani. Ben ricordo, quando ad aprile attraversammo la Valtellina per andare in gita scolastica, che i cieli erano grigi e l’aria acre a causa del fumo. Seguendo l’esempio di Antonio, «riparati dagli alberi, con un sole caldo e molto piacevole, ci distendiamo sull’erba secca e….ci addormentiamo.» Lasciamo il maggengo di Sasso imboccando la carrozzabile pianeggiante sotto la baita “rifugio Picun” e tagliamo il fianco della montagna, ora 88 LE MONTAGNE DIVERTENTI Versante Retico Lughina. Al di là di un piccolo stagno artificiale è già Svizzera e le baite sono numerate con tanto di civico (24 ottobre 2015, foto Beno). La chiesa di San Sebastiano si trova immersa nei boschi poco sopra Reula. A O dell’edificio vi era un frutteto, di cui rimane solo l’impianto di irrigazione (24 ottobre 2015, foto Beno). La bassa val Poschiavo vista dalla rupe panoramica detta Paravis. All’estrema dx si vede la cima da li Gandi Rossi (24 ottobre 2015, foto Beno). Sguardo verso O da Ronco. In primo piano il solco della valle di Sonvico. Sullo sfondo il dosso di Teglio e le Alpi Orobie. Indicato il tracciato per rientrare a piazza Torelli (24 ottobre 2015, foto Beno). Ramaione (24 ottobre 2015, foto Beno). Scendendo la ripida mulattiera selciata che attraversa i vigneti (24 ottobre 2015, foto Beno). Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI fasciato dalla vegetazione, ma che nel novembre del 1998 aveva un aspetto ben più tetro: «qua e là, qualche abete rosso e qualche larice, più forte, o sempli cemente più fortunato, è stato rispar miato, in tutto o in parte, dall’incendio e appare triste e quasi confuso, circondato da una moltitudine di giganti neri.» Dopo una breve risalita, la strada spiana e sbuca accanto al maggengo di Lughina (cartello - m 1450, ore 0:30), dove, su un poggio roccioso, si trovano le rovine della ex caserma della Guardia di Finanza (m 1468). A pochi metri infatti, corre il confine italo-svizzero, che divide il maggengo. Ripresa la strada in discesa, al primo tornante troviamo l’imbocco del sentiero 301 (sentiero Italia), percorso adatto anche a bravi piloti di mountain bike. Perdiamo metri lungo la dorsale che disegna la sponda dx della bassa val Poschiavo. D’improvviso ecco la rupe panoramica detta Paravìs, da cui ci affacciamo sul precipizio del Sasso Lughina. Ai nostri piedi vi è la dogana e l’abitato di Campocologno, ma la vista si estende anche sulla bassa val Poschiavo e sul prospiciente monte Masuccio. Proprio sul suo fianco distinguiamo l’ex caserma di Finanza del Sasso del Gallo e, più a dx, il nucleo di Roncaiola. Attraversata due volte la carrozzabile, la ripida mulattiera, resa insidiosa dal fogliame, tocca Ramaione (m 1106, ore 0:45) e prosegue nella sua corsa verso valle (da qui in poi seguire il sentiero n. 398 - indicazioni per Villa di Tirano). A circa m 1000 la nostra via si separa dal sentiero Italia e traversa decisamente a SO (dx), per incominciare una nuova picchiata che tocca la chiesetta di San Sebastiano (m 735) e il nucleo di Reula (m 700), ai piedi del quale si trovano un meleto e un vigneto recentemente abbandonati. La discesa continua diventando cementata dai pressi di Ronco (m 590) in poi. Persa ulteriormente quota, all’incrocio (m 492) con la strada proveniente da Ragno, prendiamo a dx, alti sopra il paese. Con un bel tour tra i vigneti (O, 1 km) ritroviamo e riprendiamo il sentiero dell’andata nel punto in cui questo passa sotto la strada (m 520 ca.). In men che non si dica chiudiamo le nostre fatiche a piazza Torelli (m 404, ore 2). Sui monti di Villa di Tirano 89 P e r c o r s i Escursionismo Alle porte di Sondrio Dalle vigne a Spriana Accompagnati da due campioni della corsa in montagna, Marco De Gasperi ed Elisa Desco, vi presentiamo uno splendido tracciato, lungo oltre 18 km e con 740 metri di dislivello positivo, che attraversa vigneti, selve e antiche contrade del versante retico tra la Valtellina e la Valmalenco. Beno d i 90 c o r s a LE MONTAGNE DIVERTENTI I campioni di corsa in montagna Marco De Gasperi ed Elisa Desco a Spriana nei pressi della chiesetta della Madonna della Speranza. Il piccolo edificio, abbarbicato su un masso erratico, fu costruito come Ex voto e a protezione contro i sassi che cadono dalle pendici del monte Foppa (21 ottobre 2015, foto Matteo Gianatti). Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Dalle vigne a Spriana 91 Escursionismo Media Valtellina Questo percorso è rivolto agli atleti che hanno un paio d’ore a disposizione e vogliono effettuare una sessione di corsa piuttosto lunga, tecnica nella parte alta, e prevalentemente baciata dal sole, quindi consigliabile nei periodi freddi. Chi non fosse ancora allenato a sufficienza per farlo al trotto, può limitarsi a camminare e godersi con più calma una semplice e suggestiva gita tra vigne e antiche contrade alle porte di Sondrio. BELLEZZA FATICA PERICOLOSITÀ - Partenza: incrocio nei pressi del sottopasso delle condotte dell’acqua forzata a Montagna in Valtellina (via Buscianico, m 431). Antognasco (m 487) - Ponchiera, frazione Scherini, ex chiesa di Sant’Andrea (m 520) - Montagna in Valtellina, via Buscianico (m 431). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la Strada Panoramica dei Castelli e, dopo circa 1 km di salita, si è al cartello che indica l’ingresso nel comune di Montagna in Valtellina. Sulla dx si costeggia il complesso dell’ex convento dei Frati Cappuccini. Si lascia l’auto nel grande piazzale davanti alla chiesa. Ripresa, questa volta a piedi, la strada panoramica, si sale un centinaio di metri (E, dx) fino a incrociare le condotte dell’acqua forzata. Accanto a queste, sulla sx (attenzione nell’attraversare la strada perché non è raro assistere a prove di rally), vi è la bretella sterrata che porta all’incrocio di via Buscianico nei pressi del sottopasso stradale delle condotte. Tempo previsto: 1 ora e 45’ per agonista che effettua il tracciato con andatura lenta. 5 ore camminando. Itinerario sintetico: Montagna in Valtellina, via Mappe: - Comunità Montana Valtellina di Sondrio, Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante Retico, 1:30000; Buscianico (m 431) - Ponchiera, frazione Scherini, ex chiesa di Sant’Andrea (m 520) - Arquino (m 491) ca Ceschina (m 649) - Scilironi (m 723) - Spriana (m 760) - Bedoglio (m 921) - Mialli (m 886) - Ponte t t t c t t t t D t c www.lemontagnedivertenti.com/corsa/ La nuova funzione dedicata agli amanti della corsa in montagna ☞ scopri nuovi PERCORSI per allenarti ☞ REGISTRA E CONDIVIDI i tuoi tempi 92 LE MONTAGNE DIVERTENTI ☞ chi sono stati ☞ Distanza/altezza Passaggio cronometrico I PIÙ VELOCI? le schede e i commenti degli Luogo Attrezzatura richiesta: le scarpe devono avere una suola con buona aderenza (tratti di sentiero scoscesi). Difficoltà/dislivello: 1 su 6, 740 m in salita (sviluppo 18,38 km). Dettagli: E. Escursione su strade e sentieri evidenti. Il tratto di sentiero tra Bedoglio e Mialli è riservato a corridori con buona tecnica, per gli altri è più prudente farlo camminando. Intertempo 1 Intertempo 2 Intertempo 3 Fine giro Ca Ceschina Traliccio prima di Bedoglio Mialli (fontana) Montagna (incrocio via Buscianico) 5,6 km / m 649 8,9 km / m 921 11,2 km / m 886 18,4 km / m 421 30’ 52’ 1h 10’ 1h 45’ (agonista - sessione di lungo lento) ATLETI Inverno 2015 Le distanze e i tempi sono progressivi. I tempi si riferiscono a una sessione di allenamento lento per un atleta agonista, cioè in grado di correre una mezza maratona tra 1h10’ e 1h e 15’. Il lento, senza star lì a scomodare cardiofrequenzimetri e parametri esoterici, è una sessione di allenamento in cui due corridori riescono a chiacchierare tutto il tempo senza che sopravvengano crisi respiratorie. Per visualizzare le prestazioni degli altri atleti e/o inserire le tue, vai alla pagina: www.lemontagnedivertenti.com/corsa/ LE MONTAGNE DIVERTENTI Dalle vigne a Spriana 93 Pizzo Glüschaint (3594) 94 La Sella (3584-3564) LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Roseg (3936) Pizzi Gemelli (3500-3501) Pizzo Scerscen (3971) Pizzo Bernina (4049) Pizzo Sella (3511) Inverno 2015 Cresta Güzza (3869) Pizzo Zupò (3996) LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Palù (3900) La Valmalenco e il Versante Retico sopra Sondrio visti dal pizzo Meriggio (26 ottobre 2015, foto Beno). Escursionismo Dalle vigne a Spriana 95 Escursionismo Media Valtellina La prima parte dell’itinerario si svolge tra i vigneti. È difficile resistere alla tentazione di fare un giro tra i filari (3 novembre 2015, foto Beno). Lungo la strada “bassa” delle vigne, quella che da via Buscianico porta a Ponchiera (3 novembre 2015, foto Beno). Suggestivo passaggio tra le rocce in località Scilironi. La parte bassa della contrada versa in stato di abbandono (3 novembre 2015, foto Beno). Salendo alle case alte di Scilironi si trovano edifici tutt’ora abitati e ben conservati (3 novembre 2015, foto Beno). Salendo da Arquino a ca Ceschina lungo i Turnachè. Questa era la prima carrabile per la Valmalenco, agibile dal 1857. Nel 1873 venne sostituita da un percorso più lineare in sx idrografica del Mallero, da anni caduto in rovina e non più praticabile (3 novembre 2015, foto Matteo Gianatti). Dal Valdone al Prato si segue sempre il sentiero Rusca, che in questo tratto si svolge lungo la vecchia strada realizzata su progetto Maffei (1857). Questa si trova poco al di sotto dell’asse della nuova strada provinciale e all’altezza del depuratore incrocia la carrabile del 1873 (3 novembre 2015, foto M. Gianatti). A Spriana, oltre il parco giochi, si incontra la stradetta asfaltata che passa accanto al cimitero e offre un bello scorcio sulla chiesa parrocchiale di San Gottardo. Di origini quattrocentesche, fu in più riprese rifatta e infine dotata di torre campanaria (3 novembre 2015, foto Beno). Bedoglio, case nuove. A E di queste si trova il nucleo vecchio della contrada. Benché non si trovi sul corpo frana, fu abbandonato nel 1961 dopo che un riattivamento dei movimenti franosi fece rotolare dei blocchi nel canalone adiacente che colpirono le abitazioni (29 ottobre 2011, foto Beno). D al piazzale dell’ex convento dei Frati Cappuccini1 saliamo (E) fino a incrociare le condotte dell’acqua forzata2, quindi attraversiamo con attenzione la strada panoramica e prendiamo la bretella sterrata sulla sx, parallela ai tubi, fino all’incrocio con via Buscianico (m 421). Qui ha inizio il nostro giro. 1 - Localmente si indica quest’area come i “Frati”, riferendosi al complesso che comprendeva il santuario del Cuore Immacolato di Maria e il convento dei Padri Cappuccini, costruiti tra il 1961 e il 1962. Dal 2010 il convento ospita la comunità francescana Santo Spirito. 2 - Nei 2 tubi scorrono, dopo una galleria lunga 10 km, le acque reflue delle centrali di Lanzada, quelle captate da Antognasco e Lanterna e quelle derivate dal Mallero in località Curlo (Chiesa in Valmalenco). Il tutto alimenta i due gruppi generatori della centrale di Sondrio, entrata in funzione nel 1960 e capace di produrre una potenza di 151 mila kVA (fonte: Giuseppe Songini, L’energia elettrica in provincia di Sondrio, III edizione, Sondrio 1994). Lungo i 2700 gradini che seguono per 500 metri di dislivello le condotte forzate si è svolta il 18 aprile 2015 la prima edizione del Valtellina Vertical Tube Race, gara di corsa organizzata dallo stesso team del Valtellina Wine Trail che ha visto affermarsi, sostenuti da migliaia di tifosi, i campioni Bernard De Matteis (14’02”) e Emmie Collinge (16’25”). 96 LE MONTAGNE DIVERTENTI Saliamo (N) per la carrozzabile di servizio ai vigneti. Immediatamente c’è una curva a sx, poi la strada spiana e attraverso i Dossi Salati ci porta a Ponchiera. Dopo le prime case, una curva a gomito (dx) anticipa un quadrivio. Qui intercettiamo il sentiero Rusca3, che seguiremo (cartelli segnaletici gialli) per i prossimi 6 km. Ci avviamo per la strettoia sulla dx. 80 metri e, grazie alla ripida cementata sulla dx, siamo alla cinquecentesca chiesa della Santissima Trinità. 3 - Il sentiero Rusca è un percorso ciclopedonale ultimato in anni recenti che, dove possibile, ricalca la strada cavallera, antica rotta commerciale che univa Sondrio con il passo del Muretto (da cui poi si scendeva in Svizzera a Maloja) attraversando l’intera Valmalenco e superando ben 2300 metri di dislivello positivo. È intitolato all’arciprete di Sondrio Nicolò Rusca che, durante i contrasti religiosi del 1618, fu prelevato da Sondrio e tradotto in Svizzera per il passo del Muretto. Portato a Coira, fu processato e torturato a morte. Ciò innescò ulteriori e più gravi tensioni che culminarono nel Sacro Macello del 1620, dove un efferato gruppo di cattolici uccise tra i 400 e i 600 protestanti. Tornati sulla strada asfaltata, 40 metri a E della chiesa pieghiamo a sx (N). Toccate le contrade Morelli, Buglio e Pozzoni, raggiungiamo Scherini, dove si trovano la piazzola di sosta della via dei Terrazzamenti e la chiesa sconsacrata di Sant’Andrea (m 520). Un bel sentiero in discesa (N) immerso nel bosco ci consente di prender fiato. Oltre una vallecola, la mulattiera viene rimpiazzata da una pista costruita pochi anni fa per la messa in sicurezza della vicina strada Arquino-Ponchiera, investita più volte da grossi blocchi precipitati dai dirupati fianchi del dosso della Foppa. La carrareccia, a dire il vero, è soffocata dai rami di innumerevoli esemplari di Buddleia che, mancando la manutenzione, lasciano solo uno stretto varco per i passanti. Guadagnata la strada asfaltata pianeggiamo verso dx. 300 metri oltre il ponte sulla condotta forzata che scende Inverno 2015 dal vertiginoso fianco del dosso della Foppa4, siamo ad Arquino. Attraversiamo il ponte sul torrente Antognasco e quello ad arco in muratura sopra le spettacolari forre del torrente Mallero (m 491). Quest’ultimo5, chiuso al transito veicolare, ci porta nel comune di Torre di Santa Maria. Al di là della strada principale6, ci immettiamo sulla stretta asfaltata in salita che, al secondo tornante si trasforma in una 4 - L’impianto, realizzato tra il 1909 e il 1912 alimenta la centrale Sondrio-Mallero, che sfrutta le stesse acque della centrale di Sondrio. La centrale ha un solo generatore capace di una potenza di 17000 kVA (fonte: Giuseppe Songini, L’energia elettrica in provincia di Sondrio, op. cit.). 5 - Fino agli anni ‘90 questo stretto ponte era l’unica via di accesso automobilistico alle case di Arquino in dx idrografica del Mallero, in quando da Arquino a Mossini non vi era la strada, ma solo un suggestivo sentiero tra i boschi, e il ponte nuovo non era ancora stato realizzato. L’inaspettato scorcio panoramico che si ha sotto il ponte è ritratto nell’ultima di copertina del n.33 - Estate 2015 de LMD. 6 - Se a questo incrocio si volge lo sguardo a sx si vede un’abitazione privata color verdone. Qui era la trattoria Masoli, il primo locale nel circondario di Sondrio ad avere la televisione in quanto, per strane coincidenze geofisiche, Arquino era l’unico luogo raggiunto dal segnale. LE MONTAGNE DIVERTENTI carrareccia sterrata chiusa al traffico motorizzato. Con numerose risvolte (non per niente questo tratto è detto i Turnachè), prendiamo dolcemente quota sul dosso terrazzato in sx orografica della valle del rio Valdone. Qui si trovano le ultime vigne7, affiancate da altri appezzamenti che negli oltre vent’anni che vengo qui ad allenarmi ho visto man mano imboschirsi. 18 tornanti sterrati ed eccoci a ca Ceschina (intertempo 1 - m 649, ore 1:30)8, dove, al confluire dei Turnachè con la SP 15, si trova una provvidenziale fontana per abbeverarsi. Il sentiero Rusca ora corre poco lontano dallo stradone inoltrandosi in Valmalenco. 7 - D’autunno, per proteggere l’uva dalle bestie selvagge i viticoltori si avvalgono di dissuasori sonori che emettono rumori molto simili allo sparo di un fucile. Questi sono posizionati vicino alla mulattiera, ed è bene saperlo per non prendersi inutilmente grossi spaventi. 8 - Le tempistiche date all’interno dell’articolo sono quelle classiche escursionistiche. Dopo un’area di sosta, la ciclabile si mantiene tra tigli e frassini al di sotto della provinciale. È il vecchio percorso della strada della Valmalenco. Una breve discesa (dx) e pieghiamo a sx, girando così attorno al depuratore. Sulla dx, con le fattezze di un tempio greco stilizzato, è il sifone che dovrebbe permettere all’acqua di defluire qualora collassassero tutti i 70 milioni di metri cubi stimati della famosa frana di Spriana, ostruendo l’alveo del Mallero e creando un lago col pericolo, secondo le previsioni più apocalittiche, di un’improvvisa tracimazione che distruggerebbe la città di Sondrio. Questa gigantesca paleo frana, lì da circa 10 mila anni, si è mossa sensibilmente nel 1912 (forse per l’entrata in funzione della galleria di derivazione che porta l’acqua alla centrale di Arquino) e nel 1961 (facendo evacuare frettolosamente Piazzo e Cucchi, dove era appena stata ultimata la nuova scuola elementare). Dalle vigne a Spriana 97 Escursionismo Media Valtellina La rupe panoramica sopra Mialli. La vista spazia dalla Valmalenco a Sondrio, alle Alpi Orobie (3 novembre 2015, foto Beno). L’ultima riattivazione significativa9 è stata nel 1977-78, quindi, eccetto brevi rigurgiti10, tutto par essersi fermato. Dopo gli avvenimenti legati all’alluvione del 1987, sull’onda della paura contagiata dalla frana di val Pola, si è speso un sacco di denaro per un bypass che, dopo oltre 20 anni di lavori faraonici, indecisioni progettuali e le solite vicende all’italiana, non è ancora stato terminato con tutte le connesse opere necessarie. In località Prato attraversiamo (dx) il Mallero, quindi, appena al di là del ponte, prendiamo il sentiero pianeggiante sulla dx (indicazioni) che ci porta a Scilironi. Alle prime case andiamo subito a sx (bollo) e saliamo per scalinate e viuzze tra i vecchi edifici11. Più in alto troviamo la pista cementata che ci porta sulla SP 15 DIR A in corrispondenza del tornante sinistrorso da cui si stacca 9 - AA.VV., Controllo dell’evoluzione dei fenomeni franosi in Lombardia, ARPA - Regione Lombardia, 2003. 10 - Un’articolata rete di monitoraggio tiene sotto controllo la frana dal 1990. 11 - Non vi è un itinerario preferibile, anche se forse quello più lineare si svolge al margine N (sx) della contrada. 98 LE MONTAGNE DIVERTENTI la strada agro-silvo-pastorale per Piazzo. Seguiamo la provinciale (sx) e, dopo circa 150 metri, troviamo il bel sentiero sulla dx che ci guida alla chiesetta della Madonna della Speranza, singolare edificio costruito sopra un grande masso. A dx del sentiero vi sono altri blocchi di gneiss di dimensioni più modeste, che costituiscono l’apprezzato parco per l’arrampicata di Spriana. Neppure il tempo di riprendere la provinciale, che dobbiamo deviare a dx sulla strada asfaltata per il piccolo centro polifunzionale di Spriana, visibile in alto assieme al campo sportivo. Saliamo passando accanto al cimitero e alla chiesa parrocchiale di San Gottardo (m 760). Prestando attenzione, sulla dx vediamo dipinta su un muretto in pietra la bandierina bianco-rossa che indica l’inizio dell’affascinante sentiero per Bedoglio, grazie al quale, rientrati nel bosco, su pendenze sempre più severe ci spostiamo a SE. Riemergiamo dal fitto degli alberi al di sopra di un’alta barra rocciosa. Il grande traliccio bianco e rosso poco a N di Bedoglio (m 921, ore 1) segna la fine delle ostilità. Un breve tratto pianeggiante ci porta alle case nuove della contrada, dove vi è un’altra provvidenziale fontana12. Poco oltre attraversiamo i ruderi delle case vecchie che, benché al di fuori del corpo frana, furono evacuate negli anni ‘60 perché colpite da grossi massi fatti rotolare nel canalone adiacente dai movimenti di frana13. Dobbiamo stare attenti alle piode pericolanti: è meglio non fermarsi tra gli scheletri delle abitazioni, né tantomeno entrarvi. A breve ci immettiamo sulla pista agro-silvo-pastorale per Piazzo, entrando anche nel corpo della frana. Al primo tornante, ci affidiamo alla carrozzabile che si diparte sulla dx (indicazioni per Mialli e Portola) e pianeggiamo in direzione SSE. Oltre i sensori e le unità remote che fanno parte del sistema di monitoraggio della frana, il tratturo diviene uno stretto sentiero tra i boschi14. È il settore più 12 - Bedoglio è oggi abitata solo d’estate e nei fine settimana da 3 famiglie. 13 - Per approfondimenti: Beno, Gioia Zenoni e Vittorio Sciaresa, Per le antiche contrade di Spriana, LMD n.1 - Estate 2007, pp. 37-47. 14 - Abbiamo ripulito questo sentiero da erba alta e spine nel novembre 2015. Sarà certamente fruibile con tranquillità per tutto il periodo invernale poi, a primavera, quando ricresce l’erba, si deve stare Inverno 2015 tecnico dell’intera gita e richiede abilità se lo si vuole affrontare correndo: una scivolata verso valle potrebbe non essere simpatica. Ci accorgiamo di esser fuori dal corpo frana quando, dopo aver incrociato e ignorato la deviazione per i Cucchi15, aggiriamo una costola rocciosa e saliamo a una baita isolata posta in posizione eccezionalmente panoramica. Da qui la via procede a quota pressoché stabile nella magia del bosco, che d’autunno ha tinte infuocate e fondo foderato da migliaia di foglie dorate. La traversata ha termine nei pressi di una aerea rupe panoramica. Siamo a circa m 1000 nel punto più alto di questa escursione, luogo da cui si dominano Arquino e Sondrio. Una picchiata su sentiero a tratti acciottolato (particolarmente scivoloso se bagnato) ci guida a Mialli, che attraversiamo per raggiungere la fontana sul lato E della contrada (m 886, ore 0:45). Parte delle case sono fatiscenti, mentre altre sono ben tenute o in fase di recupero. Dalla fontana ha inizio una strada che punta a NE e si unisce a quella della val di Togno. All’incrocio, prendiamo a dx e iniziamo la discesa. Dopo 400 metri, sulla sx notiamo un prato con baita. Qui è l’imbocco del vecchio sentiero che saliva da Arquino e della cui rapidità possiamo approfittare per tagliare il primo tornante. Di nuovo sulla strada, la seguiamo per 10 tornanti. Un grosso masso contraddistingue l’ultima curva prima della strada asfaltata. Qui pieghiamo a sx sul sentiero che scende verso il corso dell’Antognasco. Un ponte di pietra ad arco ci fa superare il torrente in un tratto dove forma spettacolari pozze scavate nella roccia. Qui da ragazzo ho trascorso molte giornate d’estate facendo tuffi con gli amici. La pista che segue, in buona parte erbosa, reca i tre caratteristici solchi dovuti al transito degli Ape. Confluiti sulla strada Arquino-Pochiera, chiudiamo la gita ripercorrendo la via dell’andata fino all’incrocio con via Buscianico (m 421, ore 1:30). attenti alle zecche che infestano la zona. 15 - Diffidate del cartello pressofuso in alluminio, messo lì in testa al vecchio sentiero per i Cucchi che, non ricevendo alcuna manutenzione, obbliga a una lotta laocoontica con rovi e rami. LE MONTAGNE DIVERTENTI Mialli visto dalle pendici del dosso della Foppa (3 marzo 2012, foto Beno). Grazie a una reliquia del vecchio sentiero che saliva da Arquino, tagliamo il primo tornante della strada sotto Mialli (3 novembre 2015, foto Beno). Dalle vigne a Spriana 99 Approfondimenti Personaggi 2intervista campioni in 7893 battute a Marco De Gasperi ed Elisa Desco Beno M: Credo che mi sarebbe piaciuto fare qualche lavoro a contatto con la Natura o comunque all’aria aperta. Magari anche l’agricoltore, perché no! E: Sicuramente avrei continuato a lavorare nel sociale. D Marco De Gasperi, 6 volte campione del mondo di corsa in montagna, corre per il Corpo Forestale dello Stato. Negli ultimi anni si è concentrato su gare di grande sviluppo e ha realizzato i primati di salita/discesa dal monte Ortles e dal monte Bianco (2015, foto Fabio Menino). “I nizio col botto” per questa prima puntata di Percorsi di corsa, dato che i testimonial sono Marco De Gasperi (classe 1977) ed Elisa Desco (classe 1982), bormini di fatto lui, d’adozione lei - che nella Magnifica Terra vivono, s’allenano e crescono la loro bambina Lidia. Le loro biografie sono talmente dense di vittorie, sia a livello nazionale che internazionale, da lasciare a bocca aperta. Negli ultimi anni, inoltre, Marco si è prodigato nell’organizzazione di eventi sportivi che permettono a sempre più persone di scoprire le bellezze della nostra provincia1. Una lunga carriera da professionisti la loro, in cui hanno condiviso e festeggiato i successi, riuscendo a dimostrarsi una coppia robusta e coraggiosa nel superare anche i momenti difficili. Una breve intervista doppia è il modo più veloce per conoscere questi due campioni. A che età avete cominciato a correre e chi vi ha avvicinato a questo sport? M: Ho iniziato per gioco a tredici anni, sotto la spinta di Adriano Greco, il mio primo allenatore. 1 - Tra questi il maggiore è il Valtellina Wine Trail, che con 1600 atleti al via nel 2015 si è rivelato il più grande evento legato alla corsa mai svolto in provincia di Sondrio. 100 LE MONTAGNE DIVERTENTI Elisa Desco è un’atleta polivalente che corre per l’Atletica Alta Valtellina. Azzurra di corsa in montagna, cross e mezza maratona, ha saputo distinguersi a livello internazionale anche nei trail e nelle skyrace più impegnative (2015, foto Giumelli Tiziano). E: Ho iniziato nell’estate del 1994, mio papà e mio fratello correvano già da qualche anno. Un bel giorno mi sono presentata sulla porta di casa in calzoncini e maglietta! È stato subito amore? M: Fin da piccolo ho sempre praticato lo sci di fondo, ma senza mai appassionarmi troppo. Facevo molta fatica e i risultati erano abbastanza deludenti. Nella corsa, fin dalle prime gare giovanili, mi sono subito sentito molto più a mio agio, specie quando bisognava correre in salita. I primi tempi mi ricordo che mi fermavo anche ad aiutare qualche mio compagno di squadra, spingendolo nei tratti più duri. E: Quell’estate ho corso la gara non competitiva del mio paese; l’allenatrice dell’Unione Sportiva Sanfront è subito andata da mio papà a chiedere se poteva iscrivermi alla squadra. Io sono andata al primo allenamento solo qualche mese più tardi: non mi entusiasmava, non mi piaceva l’idea di fare fatica, ma poi non ho più smesso. Q ual è stata la vostra prima gara? Vi ricordate il piazzamento? M: Campestre provinciale di Sondalo, novembre 1990. Quarto classificato, dopo una partenza ritar- data di qualche attimo a discutere con il giudice per via del mio tesseramento appena fatto. E: Una campestre regionale in Piemonte nel 1995 dove sono arrivata sesta. Q uando avete deciso di fare i professionisti? M: L’idea è cresciuta dentro di me alle scuole superiori. Ormai avevo capito che la strada che volevo intraprendere era nello sport e ottenere dei buoni risultati era l’unico modo per entrare in un corpo militare. È stato un iter piuttosto lungo e agognato, ma all’età di 23 anni il sogno si è avverato con l’ingresso nel Corpo Forestale dello Stato, che mai smetterò di ringraziare per il suo sostegno. E: Dopo il diploma di scuola superiore ho cercato lavori part-time, in modo di avere mezza giornata libera per potermi allenare tranquillamente. Ho lavorato fino all’estate del 2007 (25 anni) in una comunità per minori e in un dopo scuola, poi mi sono trasferita a Bergamo con Marco. Qui ho trovato una squadra civile che mi garantiva un piccolo rimborso spese mensile e ho provato a fare la professionista. S e non aveste percorso questa strada, che cosa avreste voluto fare nella vita? Inverno 2015 ovendo scegliere: la vostra stagione d’oro e il successo più importante della vostra carriera. M: 2007. La stagione indimenticabile del mio ultimo campionato mondiale a Ovronnaz in Svizzera. Avevo 30 anni, e anche se mi ero allenato moltissimo sin dall’inverno, tutto mi veniva incredibilmente facile. La vittoria più bella? Forse la Jungfrau Marathon del 2010. Sofferta e cercata. E: 2008. Ho corso la mia prima ed unica maratona e ho vinto il Campionato Europeo di Corsa in montagna, Sono 3 le gare che ricordo con maggiore soddisfazione, il Campionato Europeo appunto, La Sierre-Zinal nel 2013 e il Campionato del Mondo di Sky race marathon a Chamonix nel 2014, le ultime due sono state anche grandi rivincite personali! Q uell’anno, nel periodo di massimo carico di lavoro, quanto vi allenavate? M: In quell’inverno ricordo di aver svolto anche 3 settimane di carico da 200-210 km in Portogallo, correndo a ritmi che oggi non posso più avvicinare. E: Nel 2008, preparando la maratona, correvo circa 160 km a settimana e a ritmi molto più forti di adesso: ora corro le maratone in montagna, quindi la preparazione è molto differente. A vete un indumento o un accessorio porta fortuna che indossate nelle gare? Se sì, avete prove certe della sua efficacia? M: Qualche anno fa ero molto scaramantico: mi piaceva portare una bandana di colore rosso e correre senza calzini. Ora non lo sono più, però mi piace mettere una fascetta bianca con il nome del mio sponsor, che è anche un amico. So che non funziona come portafortuna, ma a me piace. E: Io non ho mai avuto nessun portafortuna, dall’anno scorso ho due bracciali con le iniziali di Marco e Lidia che semplicemente guardo prima del via. LE MONTAGNE DIVERTENTI U n infortunio vi ha mai fatto pensare di smettere? M: Nel 2005 ho subito una frattura ischi-pubica. Molto dolorosa e per la quale sono stato fermo 9 mesi. Più recentemente, nel 2013, una lacerazione del muscolo adduttore per colpa di un trattamento fisioterapico. 6 mesi di stop e una lunga riabilitazione prima di rientrare. Nel primo caso, la ripresa è stata molto veloce e mai ho pensato di abbandonare, nel secondo invece qualche pensierino, a oltre 36 anni, confesso di averlo fatto. E: La voglia di correre per ora ha superato anche i vari stop forzati che la vita atletica mi ha messo davanti. A livello sportivo c’è qualche obbiettivo che vi rammaricate di non aver ancora raggiunto? M: Correre una maratona in piano. Mi sono sempre infortunato prima o durante i tentativi fatti. Sento che avrei potuto realizzare un buon tempo, nonostante la mia struttura sia indubbiamente più adatta alla montagna. E: Sono contenta di quello che ho fatto fino a qui. Mi sarebbe piaciuto provare a correre un’altra maratona in piano, ma il mio fisico - o meglio il mio modo di correre - non me lo permette, in quanto fa fatica a sopportare gli allenamenti su asfalto: ho uno stile inconfondibile ed inguardabile! Q uali sono i vostri propositi per la stagione 2016? M: Gare nuove in posti nuovi, e magari portare avanti il mio progetto di montagne #boymountaindreams da qualche parte. E: Mi piacerebbe fare gare nuove, esperienze nuove: la corsa ancora mi fa divertire! V orreste che vostra figlia diventasse una campionessa come voi, o le augurereste di fare altro? M: Sinceramente non mi importa. Se intendesse correre o sognare un futuro nel professionismo in un altro sport, la supporterei di certo, ma con molta discrezione come hanno sempre fatto i miei genitori con me. E: Sarà libera di scegliere qualsiasi sport, se vorrà praticarne uno. Per ora è molto pigra! C he consiglio dareste a un genitore che vuole avviare suo figlio alla corsa? M: Lasciate che i vostri ragazzi seguano i loro tecnici e i loro amici, senza interferire troppo. Non esaltateli mai quando vincono, così come non deprimeteli se arrivano ultimi, siate sempre dietro le quinte e fate finta che, in fondo, a voi non importa troppo di ciò che stanno facendo. So che nessuno avrà la capacità di farlo visto che “ogni scarafone è bello a mamma sua”, però sforzatevi, i vostri ragazzi vi ringrazieranno un giorno per questo. E: Il bambino deve divertirsi in pace: non dev’essere esaltato o mortificato per i risultati ottenuti. A un adulto che decide di incominciare? M: Divertirsi. Approcciare le distanze e le ripetute andando sempre per gradi. Fissare due obiettivi durante l’anno e godersi la strada che porta ad essi. E: Divertiti, ma senza esagerare, senza pretendere troppo da te stesso! S econdo voi, qual’è il pregio più grande di questo sport? M: Ne individuerei tre al volo: porta amicizie profonde e durature (e perché no, anche qualcosa di più), mette le persone di qualunque ceto sociale o popolarità sullo stesso piano e fa vivere la Natura in modo profondo. E: Vedere dei posti magnifici, una natura stupenda, conoscere tante persone che provengono da ogni parte del mondo e condividere con loro tutto questo! I l difetto? M: Quando lo sport si mischia alla politica. Succede anche in realtà piccole, purtroppo. E: Non saprei... N ell’ipotesi che ogni desiderio possa essere esaudito, cosa vi piacerebbe trovare sotto l’albero? M: Un po’ di tranquillità assieme alle persone a cui voglio bene. Nell’ultimo periodo ho vissuto esperienze molto belle e importanti, ma che mi hanno fatto sottrarre tempo agli affetti e agli allenamenti. E: Salute e serenità! Intervista a Marco De Gasperi ed Elisa Desco 101 Approfondimenti Valmalenco C ontrada S cilironi S cilironi è certamente uno dei borghi più noti e studiati della Valtellina. La sua posizione, su una ripida costa proprio di fronte alla strada provinciale della Valmalenco, lo impone alla vista di chi transita di lì; per contro, l’abitato di Spriana Centro, situato in una conca più in alto, non è visibile se non alzandosi parecchio sul lato orografico dx della Valmalenco. Con le sue case a grappolo, addossate le une alle altre sul ripido pendio tra grandi blocchi di gneiss, costituisce un insieme unico e quanto mai pittoresco che giustamente ha attratto l’attenzione di artisti e studiosi. Come nella maggioranza dei casi in Valmalenco e in Valtellina, non sappiamo quando si iniziò ad 102 LE MONTAGNE DIVERTENTI edificare questa frazione. Sta di fatto che la leggenda locale vuole che il nucleo originale fosse spostato poco più a sud, oltre la vallecola omonima. Ma vi fu una frana dalle pendici superiori del monte Foppa (evento tutt’altro che raro nella storia del territorio di Spriana) che distrusse la più antica contrada, costringendo gli abitanti a rifugiarsi sull’opposto lato del rio. Qui avrebbero utilizzato i grandi blocchi di rocce, precipitati in frane precedenti, per realizzare i primi tuguri che poi si sarebbero trasformati in una contrada vera e propria. La parte medio-inferiore del villaggio è quella più antica, con la presenza di grandi massi rocciosi nei quali è anche scavata una quanto mai Eliana e Nemo Canetta caratteristica scaletta che la collega la parte superiore del villaggio. Le case un tempo erano in pietra a secco e il legname era utilizzato solo per i tetti e per le solette. Nelle camere, molto piccole, si miscelavano senza un particolare ordine, stalle, fienili, depositi vari e locali di abitazione. Questi ultimi avevano, in qualche caso, il caratteristico focolare centrale privo di canna fumaria: attraverso le finestre, il fumo usciva all’esterno annerendo le pareti, come in qualche punto è ancora oggi ben visibile. Vi erano inoltre tre forni per la panificazione di uso comune. Il territorio intorno a Scilironi, come tutta la costa su cui sorgono il centro di Spriana e le sue frazioni, era infatti fittamente coltivato anche Inverno 2015 Da sx a dx e dall’alto verso il basso, viste di Scilironi frazione oggi abitata tutto l’anno da una sola famiglia: Scilironi in primavera dal sentiero dei Pizzi (23 maggio 2010, foto Beno). Le case di Scilironi dalla provinciale della Valmalenco (6 dicembre 2012, foto Roberto Ganassa). Scilironi vista dall’alto, esattamente da Bedoglio (15 gennaio 2011, foto Beno). Scilironi addobbata con luminarie nel periodo natalizio (11 dicembre 2011, foto Roberto Ganassa). Vecchia cartolina di Scilironi (1900, archivio Maurizio Cittarini). a cereali e castagni. Gli edifici erano quasi sempre privi di scale interne. Solo quelli più moderni, situati nella parte superiore del nucleo, avevano lunghi ballatoi di legno, utilizzati oltre che per il passaggio, anche per l’essiccazione delle granaglie e delle castagne. Può meravigliare l’assenza in tutta la frazione sia di santelle, che di un qualsivoglia segno di devozione. Sicuramente gli abitanti si recavano nella vicina parrocchiale di San Gottardo, posta all’ingresso del nucleo centrale di Spriana. Resta da ricordare che tutti gli abitanti portavano il cognome Scilironi, a cui si erano poi aggiunti vari soprannomi distintivi. Tra questi Scilironi meritano d’essere citati Pietro e Giacomo che, insieme LE MONTAGNE DIVERTENTI a Michele ed Enrico Schenatti di Chiesa, sono stati, nella seconda metà dell’ ‘800, le prime guide alpine della Valmalenco. Giacomo, detto el Fuin, era specializzato in salite al monte Disgrazia (che a quei tempi veniva asceso il più delle volte con partenza da Torre di Santa Maria) e fu lui che, nel 1884, fu incaricato dall’Istituto Geografico Militare, assieme ai due Schenatti, di costruire una baracca per osservazioni topografiche a poca distanza dalla vetta del Monte Disgrazia: la capanna Maria. Oggi il cognome Scilironi è molto diffuso e a Sondrio ne risultano ben 33 (in tutta la Lombardia 59). La frazione fino a una decina di anni orsono era in condizioni molto buone, tanto che fu oggetto di vari progetti di recupero, sia privati che pubblici, per trasformare un nucleo tanto caratteristico in una sorta di museo all’aperto. Purtroppo tutti questi buoni intenti sono restati sulla carta e oggi le ingiurie del tempo si stanno facendo pesantemente sentire. La parte centrale, forse la più antica e interessante del villaggio, sta gradatamente crollando in seguito all’abbandono e al cedimento dei tetti. Tuttavia nella parte più bassa e nella parte superiore si contano ancora una decina di abitazioni, utilizzate e in parte ristrutturate, che indicano ancora una presenza umana in questo antico insediamento malenco. Contrada Scilironi 103 Approfondimenti Valmalenco L e chiese di S priana S alendo dal Prato verso il centro di Spriana, in corrispondenza del cartello che segna l’entrata nella frazione, si trova, sopra un grande masso, la singolare chiesa della Madonna della Speranza. Sul lato N dell’edificio vi è la scaletta in pietra che porta al piccolo piazzale antistante alla chiesa. Dal parapetto c’è una bellissima vista sulla parte inferiore della Valmalenco, fitta di boschi. La chiesetta (generalmente chiusa, chiavi presso il signor Alberto Cao del piccolo negozio di alimentari nella piazzetta di fronte al municipio) si dice essere molto antica, secondo la tradizione addirittura precedente alla parrocchiale, e costruita come ex-voto perché una frana di grandi blocchi precipitati dal monte Foppa avrebbe risparmiato le case di 104 LE MONTAGNE DIVERTENTI Spriana. Proprio per questo all’interno si trovava un dipinto della Madonna col Bambino con una àncora simbolo di salvezza e speranza (quest’ultima tela tardo settecentesca è ora nella casa parrocchiale in attesa di restauro). L’edificio è anche chiamato “chiesina del mal di denti”: un’antica credenza malenca sostiene infatti che per far passare il mal di denti basti fare il giro dell’edificio. In realtà si tratta di una bonaria presa in giro, in quanto la chiesa, costruita sulla roccia, è impossibile da aggirare se non a rischio di mortale caduta, il che comporterebbe ovviamente la fine di ogni sofferenza! Ai piedi del masso su cui sorge la chiesa della Madonna della Speranza, si trova la cappelletta dedicata alla Eliana e Nemo Canetta Madonna realizzata su progetto dell’ingegner Enrico Vitali di Sondrio. a chiesa parrocchiale di San Gottardo, con il suo alto campanile di pietra a vista, è collocata non lontano dal municipio e dalla piazzetta centrale del paese e accanto alla casa parrocchiale. La chiesa fu eretta nella seconda metà del XV secolo e consacrata nel 1489. All’epoca era vice cura della parrocchia di Montagna da cui Spriana dipendeva anche politicamente. Divenuta parrocchia autonoma nel 1624, nel 1625 la chiesa fu ricostruita e successivamente ampliata nel 1797 e nel 1893. Nonostante la facciata sia stata certamente rifatta nel ‘900, presenta un portale in stile barocco recante data 1818. Poco più a nord, L Inverno 2015 Nella pagina di sx: il centro di Spriana e la parrocchiale di San Gottardo (anni ‘40, cartolina archivio Maurizio Cittarini). Nella parte sx dello stabile del municipio si trovava la scuola elementare, chiusa nel 1970. La scuola venne quindi inserita in un nuovo edificio (quello dove ora si trova la Trattoria dei Contadini), ma fu chiusa sul finire degli anni ‘70 e gli alunni vennero mandati a Torre di Santa Maria (informazioni fornite da Luigino Scilironi “Ginetto”). In questa pagina: la chiesa della Madonna della Speranza vista da diverse angolazioni nelle varie stagioni (23 maggio 2010 e 17 novembre 2015, foto Beno / 2 novembre 2011 e 6 gennaio 2010, foto Roberto Ganassa). ma staccato dall’edificio sacro, è il campanile risalente al 1904, realizzato su progetto dell’ingegner Enrico Vitali da Giacomo Nana e da muratori di Caspoggio. La chiesa è aperta tutti i giorni dalle 8 alle 17.30 (chiavi presso il signor Alberto Cao). L’interno, a una navata, ha il soffitto completamente affrescato con due medaglioni rappresentanti la Vergine Assunta e l’Ostensorio sorretto da angioli in volo, entrambi opera di Luigi Tagliaferri1. Nella cupola del presbiterio si trovano 1 - Il pittore Luigi Tagliaferri (1841-1927) era originario di Pagnona (CO) e figlio del pittore Giovanni Maria. Le opere di Luigi Tagliaferri sono numerose e concentrate soprattutto in Lombardia. Si distinguono per la fluidità narrativa e la morbidezza, non ovunque ravvisabile a causa di restauri non eseguiti a regola d’arte. LE MONTAGNE DIVERTENTI dipinte la Gloria di San Gottardo e la Santissima Trinità, anch’esse dipinte dal Tagliaferri. Sulla parete di sinistra della navata vi era una tela del XVII secolo, rappresentante la Madonna e il Bambino attorniati da una cornice con medaglioni coi Misteri del Rosario (attualmente si trovano nella adiacente casa parrocchiale e sono in attesa di restauro). Nelle due cappelle laterali sono due belle statue, di cui una rappresentante San Giuseppe in sostituzione di una tela col Transito di San Giuseppe, trafugata dalla chiesa una trentina di anni orsono. Sul fondo, dietro l’altare maggiore, un dipinto su legno, datato 1533 e attribuito a Fermo Stella, raffigura la Madonna in trono e il Bambino benedicente, San Gottardo, San Donato e, inginocchiato, San Rocco. Interessanti arredi, oggetti sacri ed intagli sono pure in sagrestia. Nella parrocchiale viene celebrata la Santa Messa ogni domenica alle 9 e si festeggia San Gottardo la domenica più vicina al 4 maggio2. Un tempo la festa del patrono era preceduta da 3 giorni di fiera in cui si commerciavano prodotti di artigianato. La fiera richiamava genti non solo dalla Valmalenco, ma anche dal resto della Valtellina e gli abitanti di Spriana vendevano i pochi prodotti realizzati nel paese: gerle, rastrelli, zoccoli e cestini. 2 - Per approfondimenti: - Mario Gianasso, Guida turistica della provincia di Sondrio, II edizione a cura di Antonio Boscacci, Franco Gianasso e Massimo Mandelli, Banca Popolare di Sondrio, Sondrio 2000 - www.ecomuseovalmalenco.it Le chiese di Spriana 105 Approfondimenti La TV a Sondrio la prima fu alla trattoria Masoli di Arquino Luciano Bruseghini Da sx, Eugenio Masoli, Savina Farina e Nicola Masoli con la famiglia (foto archivio famiglia Masoli). A rquino, ubicato allo sbocco dell’incassata val di Togno nella più ampia Valmalenco, un tempo era molto trafficato: da qui passava l’unica strada carrozzabile per permetteva di collegare il capoluogo con i paesi della valle del Mallero. La strada sterrata proveniente da Ponchiera toccava il nucleo di Caparè per poi attraversare il tumultuoso torrente e proseguire verso la testata della valle sulla destra orografica. Ora questa strada non esiste più, sostituita da quella più ampia che transitando da Mossini risale la vallata sempre sul lato destro orografico evitando l’instabile versante della frana di Spriana. Arquino risulta quindi una località quasi dimenticata, sebbene alcune sue peculiarità meritino di essere raccontate. In primo luogo, è divisa fra due comuni: spetta a Sondrio la parte più abitata, mentre a Torre di Santa Maria il solo spicchio compreso tra il torrente Mallero e il rio Valdone. Inoltre, Arquino ha un cospicuo numero di ponti rispetto alla sua estensione: ben 6 nel raggio di 200 metri! I primi due, paralleli e dotati di una sola carreggiata, superano il torrente Antognasco (quello più a N è in pietra e ad arco; sotto di esso si trovano bellissime pozze scavate nella roccia); poi altri due paralleli permettono di attraversare il Mallero (su quello più antico, costruito dagli Austriaci, con struttura ad arco e parapetti in sasso, oggi è consentito il solo transito ciclopedonale, l’altro in cemento è per il traffico veicolare); infine ancora due ponti sul piccolo ruscello Valdone, che nei mesi estivi è praticamente in secca. Pochi, invece, conoscono un aneddoto che svela un volto completamente diverso di Arquino, assai più festoso di quello odierno. Si tratta di una storia che sicuramente risveglierà nella mente delle persone non più giovani nostalgie dei tempi passati. Agli inizi degli anni cinquanta Eugenio Masoli, classe 1921, autista del cotonificio Fossati, decise di aprire una trattoria ad Arquino. I materiali da costruzione furono facilmente reperiti nelle vicinanze: la sabbia venne estratta dal canale artificiale che portava l’acqua dal Mallero alla sottostante centralina elettrica oggi dismessa; le pietre direttamente dall’alveo del torrente. Così nel piccolo nucleo del comune di Torre di Santa Maria - che allora contava circa 300 abitanti - nacque la trattoria Masoli. Nonostante ci fossero già altri due ristoranti ad Arquino, la struttura ingranò velocemente, richiamando avventori anche da Sondrio e dai paesi della Valmalenco. Durante il giorno Eugenio guidava il camion, sua moglie Lisa Martelli e i figli si occupavano della campagna e delle mucche, mentre alla sera e durante i fine settimana aprivano il locale. Custode dei ricordi legati alla trattoria è il figlio Nicola, classe 1946, che fin da piccolo, ha aiutato i genitori nei momenti liberi dalla scuola e dalle faccende agricole. Solamente in estate abbandonava Arquino per salire all'alpe Monterosso, a fare da garzone ai parenti che lì caricavano il bestiame1. Venivano serviti spuntini a base di pane di segale cotto nel forno a legna dalla signora Savina Farina, classe 1900 - madre di Eugenio, salame e formaggio nostrani, il tutto annaffiato da ottimo vino valtellinese prodotto a Castionetto e Sant’Anna. Inizialmente non venivano utilizzati i bicchieri, ma solamente delle piccole brocche da ¼ o ½ litro da cui i clienti bevevano a turno. Nicola Masoli ricorda ancora gli enormi pentoloni posti sulla terrazza, dove bollivano per ore ossa di maiale e vitello servite poi per cena ai commensali, che erano soprattutto operai che rientravano verso casa a piedi o in moto dopo una giornata di duro lavoro. All’esterno furono costruiti anche due campi per il gioco delle bocce. Per i più piccoli era festa grande quando da Sondrio saliva col carretto dei gelati un signore originario di Spriana, Aleardo Marveggio. Visto l’enorme successo, Eugenio decise 1 - La madre di Nicola era cugina di Adele Menesatti, che ci ha raccontato la storia degli ultimi pastori all'alpe Monterosso: vd. Luciano Bruseghini, Monterosso, LMD, n. 31 Inverno 2014 - pagg. 64-65. 106 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI di ampliare la struttura e di costruire anche una sala da ballo. Andava di moda la Radiola, un giradischi a 78 giri che ha fatto ballare molte persone. Talvolta suonavano dal vivo anche dei complessi musicali. In un’occasione, a causa dell’affollamento, venne sfondata la pelle di un tamburo: si fece una colletta tra tutti i presenti per acquistarne una nuova, mettendo le offerte all’interno dello strumento rotto. Nicola ricorda anche del ballo a comanda: se una donna invitata a ballare non accettava, doveva stare ferma per tre canzoni consecutive. Ma il vero boom doveva ancora arrivare e questo accadde quando fu installato un televisore. Nel 1955 circa fu acquistato presso il negozio Carrara a Sondrio un grosso cubo in legno da 21 pollici con valvole della Magnadyne, storica azienda di Torino produttrice di elettronica di consumo ed elettrodomestici. Istallato dal tecnico Pierluigi Carugo captava il canale B. Il segnale, proveniente dalla sommità del monte Penice2, passava la valle del Livrio. S embra impossibile, ma a metà anni ‘50 a Sondrio non si captava ancora il segnale televisivo, mentre ad Arquino, in questa piccola conca incassata fra le montagne ma sopraelevata rispetto al capoluogo, lo si riceveva benissimo! I programmi più seguiti erano Lascia o raddoppia con Mike Bongiorno, il Caro 2 - Vetta di m 1460 dell’Appennino ligure dove sorgono tutt’ora imponenti ripetitori televisivi che permettono di ricevere le trasmissioni a un ampia fetta del Nord Italia. sello e gli incontri di boxe (erano i tempi di Mazzinghi e D’Agata). In una sala di 90 metri quadrati si accalcavano centinaia di persone, i più fortunati sedevano davanti, altri dietro in piedi sui tavoli e alcuni attaccati alle finestre. A un certo punto si dovettero montare delle inferriate, altrimenti la gente entrava anche da lì. La televisione restava accesa fino alle dieci di sera, poi entrava in scena il giradischi e si ballava. Alcune volte erano più i danni che l’incasso, riferisce Nicola! Mi racconta che una sera, da ragazzo, andò a catturare alcune rane lungo il Valdone con il signor Roberto Cristini di Torre Santa Maria, poi le lanciò nella sala da ballo. «Le signore strillavano come disperate - ricorda sorridendo - ma poi dovetti correre per tre giorni per non farmi acchiappare da mio padre che mi voleva disfare.» Per poter trasmettere le canzoni sul giradischi o quando suonavano i complessi bisognava emettere dei biglietti per la SIAE, per pagare i diritti d’autore. Per risparmiare un po’ di tasse capitava che Nicola o altri parenti salissero sul grande albero davanti alla trattoria a controllare che dalla Ceschina non arrivassero i carabinieri in motocicletta provenienti da Chiesa, lungo la tortuosa strada delle vigne. La grande epoca di questo locale durò fino alla metà degli anni sessanta. Poi, i cambiamenti dello stile di vita e la maggior possibilità economica delle famiglie - che iniziavano ad avere un televisore proprio portarono lentamente al calo dei clienti e quindi alla chiusura definitiva nel 1971. Trattoria Masoli 107 T Rubriche enerife Graziella Pradella T rascorrere una settimana praticando nordic walking con l’istruttore Nicola Giana in luoghi dove l’estate non è ancora finita è diventato per noi fedelissimi compagni di avventure un appuntamento autunnale irrinunciabile. Quest’anno, dopo Lanzarote, Pantelleria, la Cappadocia e Creta, la meta è stata Tenerife, l’isola delle Canarie più famosa e visitata, la più estesa e con le vette più alte. Panorama LE su Masca dal Pico Verde (m 1318) MONTAGNE DIVERTENTI (22 ottobre 2015, foto Marino Amonini). 108 Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Tenerife 109 Rubriche Viaggi L a maggior parte dei vacanzieri pensa a Tenerife, con oltre 2000 km2 di superficie la più grande isola delle Canarie1, solo come a un’isola dalle spiagge assolate e dal clima mite tutto l’anno, dove trascorrere qualche giorno specie nei mesi invernali. Non è così o, perlomeno, non è solo così. Tenerife, grazie alle diverse zone climatiche e all’abbondanza di microclimi, è un incredibile susseguirsi di paesaggi molto diversi tra loro, spesso inaspettati perché è difficile immaginare di trovare, a poca distanza da bananeti e fichi d’india, vere e proprie foreste di pini. Il versante sud è costellato da tamerici, eucalipti e cespugli spinosi resistenti alla siccità e all’aria salmastra e, là dove si è riusciti a portare l’acqua, da estesi bananeti, mentre il nord presenta una vegetazione più ricca e variegata, essendo decisamente più piovoso. Il vero volto dell’isola viene però svelato solo a chi esce dai classici circuiti turistici. Lo sperimentiamo giorno dopo giorno nei nostri spostamenti a piedi, programmati per lo più nella zona nord occidentale, quella che ospita il Parco Rurale di Teno, un’area di grande interesse paesaggistico e naturalistico. Così lungo una vecchia strada forestale e antichi sentieri scendiamo da Erjos verso il mare entro boschi di laurisilva, nella zona di Vilaflor attraversiamo vigneti, sul secolare sentiero che dal Cumbre de Bolico porta a Masca camminiamo tra fichi d’india, estensioni di agavi e cespugli spinosi, tra cui tanti cardi dalla tipica forma a candelabro. Per non farci mancare nulla del paesaggio canario, sul versante nord fin dal primo giorno sperimentiamo nuvoloni neri provenienti da ovest, nebbiolina e pioggia. Siamo preparati: subito dagli zaini escono coloratissime giacche e mantelle che, come per magia, hanno il potere di riportare il sorriso e l’allegria. E il cammino riprende. Nei giorni successivi raggiungiamo 1 - Arcipelago formato da 9 isole di origine vulcanica situate nell’oceano Atlantico e dislocate al largo del Marocco, appena a nord del tropico del Cancro, ma appartenenti alla Spagna. 110 LE MONTAGNE DIVERTENTI Discesa a Los Silos (20 ottobre 2015, foto Marino Amonini). Nuovi terrazzamenti a Vilaflor (21 ottobre 2015, foto Marino Amonini). Garachico (20 ottobre 2015, foto Marino Amonini). Roques de Garcia e il Teide (23 ottobre 2015, foto Maristella Sceresini). il paesaje lunar, una serie di curiose formazioni rocciose in pietra pomice scolpite dall’erosione, tra foreste di pini canàri2 che, man mano si sale di quota, si diradano lasciando meglio intravvedere la nera terra lavica su cui crescono, costellata di lapilli più o meno grossi. Quando invece, ai piedi del Pico Viejo3 percorriamo un anello panoramico e saliamo sulla Montaña silva4, una lussureggiante foresta di lauri sempreverdi endemica di un clima umido subtropicale, caratterizzata da un ricco sottobosco di felci, erica, liane e muschi che spesso ricoprono i tronchi e pendono dai rami degli alberi. È quanto resta dei boschi che milioni di anni fa ricoprivano gran parte del Nord Africa e del sud dell’Europa. E che dire del Teide, l’imponente vulcano tuttora attivo che diede origine all’isola e che con i suoi m 3718 è la montagna più alta dell’intera Spagna? Già i Guanci, l’antica popolazione 2 - Pinus canariensis. Pini longevi, spesso con forme a candelabro. Hanno la corteccia resistente alle altissime temperature che li protegge dal fuoco, così che dopo un incendio rigermogliano senza difficoltà. 3 - Il Pico Viejo, o Montaña Chahorra, è la seconda vetta più alta di Tenerife e delle Isole Canarie; insieme col Teide, sono le uniche due montagne di oltre m 3000 nell’arcipelago. Tra il 9 giugno e l’8 settembre 1798 entrò in eruzione, l’ultima entro i limiti del Parco Nazionale del Teide e la più lunga delle eruzioni storiche di Tenerife, vomitando materiale vulcanico per tre mesi. Samara (m 2122), la vegetazione è ridotta a semplici arbusti, per poi sparire quasi completamente lasciando il posto al nero e al rosso delle colate laviche. È il regno incontrastato dell’erba da stoppa, arbusto dalla tipica forma semisferica che in primavera si ricopre di minuscoli fiori gialli. In lontananza l’oceano è sempre presente. Lo costeggeremo nella zona di Puerto de la Cruz, affascinati dalle sue spiagge nere in netto contrasto con le spumeggianti e minacciose onde. Da ricordare che alcune specie di fiori e piante vivono quasi esclusivamente qui. È il caso della Lauri- Inverno 2015 4 - Descurainia bourgeauana. In passato la Laurisilva copriva parte delle Canarie occidentali, ma si è ridotta notevolmente in seguito ai disboscamenti, allo sviluppo intensivo dell’agricoltura e del pascolo. LE MONTAGNE DIVERTENTI delle Canarie, lo chiamavano echeyde (inferno) e lo credevano la dimora di Guayota, il demone del male5. Il suo alto cono isolato, visibile da vari punti quando libero dalle foschie che spesso lo circondano, ci riserva l’ennesima sorpresa mostrandosi appena spolverato di neve. E noi pensavamo di essere ai tropici! Con i nostri pulmini percorriamo nell’omonimo parco nazionale la strada panoramica che si snoda intorno al vulcano a un’altitudine superiore ai m 2000, soffermandoci ai vari mirador per goderci uno spet5 - La leggenda narra che Guayota rapì Magec, dio della luce e del sole, portandolo con sé all’interno della montagna; i Guanci chiesero la clemenza di Achamàn, dio supremo, che riuscì a sottrarre Magec a Guayota e coprire l’entrata del vulcano. Il diavolo rimase in tal modo contenuto all’interno del vulcano. tacolo sempre nuovo e diverso, fatto di crateri e colate laviche che si sono costituiti nel tempo, straordinario per forme e colori. È uno scenario selvaggio, che incanta e nello stesso tempo incute rispetto. Qui la natura si mostra in tutta la sua grandezza, la sua forza, la sua imprevedibilità, ma anche la sua bizzaria e la sua grazia. Rimpiangiamo di riuscire a vedere solo pochi esemplari in fiore di tajinaste rojo6, specie che si presenta simile a una lancia ed è in grado di raggiungere i due metri di altezza. Questa pianta in maggio riempie il paesaggio di macchie di colore con effetti cromatici sorprendenti. Restiamo comunque affascinati da quanto ci circonda e ci sentiamo piccini piccini, se pur parte integrante del “ Tutto”. Ammiriamo incantati Los Roques de Garcia, formazioni rocciose quasi surrealiste dovute all’azione continua di vari agenti atmosferici, Los Azulejos, depositi di lava dai riflessi verdastri, Le Nariz del Teide, bocche laterali formatesi durante la grande eruzione del 1798, Las Minas de San Josè, rocce di lava rossa e ossidiana disseminate su una distesa sabbiosa che richiama le dune di un deserto. Tutto questo dentro Las Cañadas, una delle caldere più grandi del mondo (oltre 15 chilometri di diametro) risultato di un’eruzione esplosiva che distrusse la parte alta del vulcano, che si stima raggiungesse i m 5000, dentro la quale è possibile leggere la storia millenaria delle varie eruzioni. È un’esperienza unica, specie per quelli di noi che non hanno mai visto un paesaggio vulcanico da vicino. La tranquillità che vi regna fa dimenticare che il vulcano potrebbe risvegliarsi da un momento all’altro: un recente studio ha infatti previsto altre violente eruzioni. In netto contrasto con le scure rocce vulcaniche è la verdissima vallata di La Orotava, “ il giardino di Tenerife” che dalle falde del Teide arriva al mare, tutta coltivata a palme e bananeti. Il nostro vagabondare non interessa solo zone paesaggistiche. Visitiamo anche alcuni centri tipici della costa nord, quali Puerto de la Cruz, Gara6 - Echium wildpretii. Specie vegetale endemica che si trova unicamente nel Parco Nazionale del Teide. Tenerife 111 Rubriche chico, Icod de los Vinos e, sul versante ovest, Masca. Tutti si rivelano una piacevolissima sorpresa. Puerto de la Cruz, dall’inizio del secolo rifugio invernale di migliaia di turisti per lo più provenienti dal nord Europa, accanto a grandi alberghi in cemento offre vari edifici di interesse artistico, un antico borgo di pescatori e una bella passeggiata lungomare. Mentre qualcuno di noi si dà allo shopping più sfrenato, altri sono attratti dal complesso del lago Martiànez, un lussureggiante giardino tropicale con una serie di piscine create tra le rocce vulcaniche su progetto di Cèsar Manrique7, il geniale artista di Lanzarote famoso per saper “arredare” la natura nel massimo rispetto della stessa. C’è chi non resiste a un piacevole bagno ristoratore. Garachico, il più fiorente porto dell’isola fino al 1706 quando la cittadina fu distrutta da una terribile eruzione vulcanica, presenta un patrimonio artistico di eccezionale valore. Rinata dalle ceneri come la mitica Araba Fenice, insieme a Buenavista, Los Silos ed El Tanque, si è vista assegnare la Medaglia d’oro delle Belle Arti, quale riconoscimento dei suoi tesori. Noi abbiamo ammirato, oltre a numerosi palazzi in stile locale, la Chiesa Madre de Santa Ana, uno degli edifici più belli e sfarzosi dell’isola, e il Castillo di San Miguel, una fortezza in pietra a base quadrata a difesa del porto dal XVI secolo. Ci hanno incuriosito anche le piscine naturali lungo la costa, formatesi tra la lava in seguito alla grande eruzione, che alimentate naturalmente dall’acqua del mare sono ancora oggi un forte richiamo per coloro che vogliono un originalissimo luogo dove bagnarsi. Non meno interessante Icod de los Vinos, famosa - come dice il nome - per i suoi vigneti e i suoi vini, con antichi edifici, chiese, conventi e tante case signorili dai tipici balconi. Nell’antico convento di San Fran7 - Pittore, scultore, architetto, ecologo, conservatore del patrimonio artistico, consulente edile, pianificatore urbano, disegnatore di paesaggi e giardini, fu il personaggio di maggior spicco a Lanzarote e nell’intero arcipelago delle Canarie. Dotato di forte temperamento, dai modi gentili e anticonvenzionale, nacque il 24 aprile 1919 ad Arrecife. Morì in seguito a un incidente stradale il 25 settembre 1992. 112 LE MONTAGNE DIVERTENTI Viaggi Echium wildpretii in fiore (17 maggio 2015, foto M. Sceresini). Montaña Samara, ai piedi del Teide (25 ottobre 2015, foto Marino Amonini). Playa San Juan (25 ottobre 2015, foto Marino Amonini). cesco, edificato nel 1641, recentemente restaurato e adibito a biblioteca comunale e centro culturale della cittadina, siamo rimasti stupiti alla vista del chiostro rinascimentale ligneo con bella balconata e delle sale dagli splendidi soffitti in legno intagliato. L’attrazione più nota è però il drago millenario8, una dracena dalle enormi 8 - Dracaena draco. Specie vegetale propria delle zone pianeggianti e calde di Tenerife. Il drago è un albero leggendario che, insieme alla palma costituisce il simbolo vegetale di Tenerife e dell’arcipelago canario. Chiamato anche sangue di drago, per il colore rossiccio della sua saliva, cresce con lentezza Playa del Bolullo (24 ottobre 2015, foto Maristella Sceresini). dimensioni (più di 20 metri di altezza e circa 10 di diametro della chioma), alla quale sono attribuiti più di mille anni. Masca, un tempo covo nascosto e quasi inaccessibile di pirati che sfruttavano le gole della scogliera per cogliere di sorpresa le navi di passaggio, è oggi un grazioso paesino dalle case tradizionali appollaiate sulle strette creste di strane formazioni rocciose a perpendied è molto longevo. Decimato nel passato per l’estrazione della salvia, che era utilizzata per preparare dentifrici, vernici e lacche, è adesso in fase di ripolamento. Inverno 2015 colo sul canyon (barranco) omonimo. Una destinazione da sogno per gli amanti della fotografia. Anche noi saremmo dovuti scendere da qui al mare attraverso una sorprendente fenditura tra le pareti a picco, forse una delle escursioni più suggestive di tutta l’isola, ma la possibilità di trovare acqua sul greto del torrente dove in più punti si cammina e il pericolo di smottamenti o di caduta dall’alto di materiali precari, dovuti alle piogge dei giorni precedenti, ci hanno fatto desistere. Rinuncia inizialmente sofferta, poi rivelatasi provviLE MONTAGNE DIVERTENTI Masca (15 maggio 2015, foto Maristella Sceresini). denziale quando abbiamo saputo di un grave incidente nel vicino Barranco del Infierno. Il gruppo, uno zoccolo duro di amici che si conoscono ormai da anni (non solo valtellinesi ma anche vicentini) cui si aggiunge sempre qualche gradita new entry, è apparso subito ben equilibrato, aperto e disponibile ad ogni tipo di proposta e si è affiatato ogni giorno di più. Del resto niente unisce come il camminare insieme con a fianco un compagno sempre diverso con il quale condividere sensazioni ed emozioni o provare stupore per un fiore mai visto prima. Non sono mancati – se ce ne fosse stato bisogno – momenti di “rinforzo”, quali un bagno in allegria, un aperitivo, una festa di compleanno, una degustazione di vino locale con tapas de queso in una tipica finca, una paella e il commosso ricordo dell’amico Tiziano, compagno di tante scarpinate, che ci ha lasciati troppo presto. Ora il viaggio è finito e ciascuno di noi è tornato alla propria vita con i propri ricordi e tante immagini negli occhi e nel cuore, che aiuteranno a “reggere” i lunghi mesi invernali. Tenerife 113 Ermellino Rubriche il folletto delle Alpi testi Alessandra Morgillo, foto Jacopo Rigotti L’ermellino in veste invernale si mimetizza perfettamente in un ambiente completamente imbiancato dalla neve (3 gennaio 2009, foto Jacopo Rigotti). Queste e altre immagini, oltre alle schede dettagliate degli animali delle Alpi, sono presenti nel libro Alpi Selvagge, disponibile nei migliori punti vendita e ordinabile da shop.clickalps.com e da www.lemontagnedivertenti.com. LE MONTAGNE DIVERTENTI 114 Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Ermellino 115 Fauna Rubriche L’ermellino muta il suo bruno manto estivo per assumere una livrea candida durante i mesi invernali. Un vero e proprio orologio biologico regola questa trasformazione: la riduzione delle ore di luce e le prime nevicate indicano che è arrivato il momento di rinnovare gradualmente la pelliccia (16 gennaio 2009, foto Jacopo Rigotti). alla sua ampia diffusione geografica (si trova in tutta l’Europa settentrionale, in gran parte dell’Asia e in Nord America) oggi non presenta problemi di conservazione. Tuttavia non è affatto facile avvistarlo, complici il criptico mantello, il carattere diffidente e le abitudini elusive. Per i fotografi della natura rappresenta una vera e propria sfida, che richiede una buona dose di pazienza, determinazione e, perché no, anche tanta fortuna. Il fotografo naturalista Jacopo Rigotti1 aveva deciso di fotografare l’ermellino in veste invernale: un progetto ambizioso considerate le condizioni meteoclimatiche stagionali e la difficoltà di individuare un soggetto che si mimetizza perfettamente nella neve. Ma Jacopo è molto determinato e, quando si prefigge un obiettivo, dedica tempo, energie e tutta la sua passione per raggiungerlo. Quando ho visto i suoi splendidi scatti non ho potuto fare a meno di chiedergli come avesse fatto a realizzarli e di svelare ai lettori de Le Montagne Divertenti i segreti di un backstage in alta quota. Cosa ti ha spinto a cercare proprio l’ermellino? A me piace fotografare ciò che non tutti hanno la possibilità o la fortuna di osservare. L’ermellino è uno degli animali simbolo delle Alpi. Ha un musetto simpatico e piace a grandi e piccini, eppure in pochissimi l’hanno visto e, se è capitato, si è trattato con ogni probabilità di un fortuito incontro durato solo qualche istante. Scorgere un batuffolo di peli così tenero che saltella nella neve è un vero spettacolo, molte volte anziché scattare mi sono incantato a osservarlo. B asso profilo, collo allungato, corpo snello e scattante, lungo una quarantina di centimetri, il tutto avvolto in una morbida pelliccia che lo rende un batuffolo tenerissimo. Ecco come si presenta l’ermellino (Mustela erminea), che, come un folletto, appare e scompare, correndo fulmineo tra le rocce delle praterie 116 LE MONTAGNE DIVERTENTI d’alta quota. Dietro a quel musetto dolce si cela in realtà la tempra di un agile e insaziabile cacciatore: non rimane fermo un solo istante, corre e salta, si arrampica, nuota persino e tende infallibili agguati a tutto ciò che si presenti alla sua portata, uccelli o piccoli mammiferi, che cattura con destrezza e astuzia. La sua frenetica attività non cessa nemmeno durante i rigori dell’inverno, quando, per continuare a procurarsi il cibo in un ambiente divenuto ostile, mette in atto una sorprendente strategia, frutto di una raffinata e ingegnosa evoluzione: la muta stagionale. È l’unico mammifero alpino, oltre alla lepre bianca, il cui manto è soggetto a dimorfismo Inverno 2015 cromatico: in estate è bruno-fulvo nella parte dorsale e bianco-giallastro inferiormente, mentre in inverno diviene completamente candido, fatta eccezione per l’estremità della coda che non cambia colore, ma resta nera in ogni stagione. In passato l’ermellino ha subito un’importante pressione venatoria per LE MONTAGNE DIVERTENTI il valore attribuito alla sua pelliccia, tanto pregiata e ricercata nella sua variante bianca da essere stata prima il mantello dei re e poi ornamento delle toghe di coloro che ricoprono le più alte cariche accademiche e giudiziarie. Fortunatamente diversi interventi di tutela hanno salvaguardato questo bellissimo mustelide che, anche grazie È stato difficile trovarlo? In realtà l’ho trovato in cinque zone diverse, sempre tra i m 2000 e i m 2500, ma non tutti gli ermellini 1 - Jacopo Rigotti, classe 1990, vive in Trentino in un paesino immerso nella natura. Dal 2012 si è avvicinato alla fotografia naturalistica specializzandosi in avifauna. Autodidatta, in questi anni ha fatto sue le più complesse tecniche fotografiche in modo da ottenere scatti dinamici, naturali e che evidenzino dettagli e colori dei soggetti. Le sue immagini sono state pubblicate da importanti testate italiane e internazionali (Telegraph, The Guardian, Times solo per citarne alcune) e dal 2014 fa parte dell’agenzia fotografica ClickAlps. Ermellino 117 Fauna Rubriche L’ermellino in veste estiva. L’ermellino e la donnola (Mustela nivalis) sono mustelidi molto simili, ma solo la coda dell’ermellino rimane sempre nera, in ogni stagione. Inoltre la donnola, pur essendo anch’essa soggetta a una muta stagionale, presenta un manto invernale chiaro ma non bianco, se non in rarissimi casi (18 agosto 2011, foto Jacopo Rigotti). sono uguali. Ho cercato un soggetto abbastanza confidente e, una volta individuato, mi sono concentrato su di lui. Quante ore di appostamento sono state necessarie? Quattro giorni! Tra sole, nuvole, pioggia, vento e perfino neve! Quattro giorni? Ma eri preparato a un’attesa tanto lunga? Ero partito con l’intento di ritrarre l’ermellino bianco e mi ero portato viveri per cinque giorni, ma ero deciso a rimanere in quota tutto il tempo necessario, finchè non l’avessi fotografato. Lui si è presentato solo la mattina del quarto giorno… Si è fatto attendere! Racconta. Quella mattina avevo finito l’acqua e mi sono messo a sciogliere la neve. Sapevo che non mi avrebbe dissetato, ma almeno mi avrebbe bagnato la gola. Avevo fatto una gran fatica, fondere la neve a quella quota non è semplice! Non avevi con te il fornelletto da campo? Non potevo portarmelo, ero già carico coi 18 chili di uno zaino che conteneva la mia D5000, il cavalletto, 118 LE MONTAGNE DIVERTENTI il teleobiettivo 200-400 mm, il grandangolo, 5 litri di acqua, qualcosa da mangiare, vestiti e sacco a pelo. Dovevi essere attrezzato anche per le rigide temperature delle notti in quota… Fortunatamente dormivo all’interno di un bivacco fornito di qualche coperta, ma è stata comunque un’avventura. Il primo giorno sono arrivato su distrutto dalla fatica e sono andato a dormire alle 18:30 perchè il sole era già tramontato da almeno un’ora. Mi sono svegliato la mattina dopo alle 8 bello fresco e riposato. Il secondo giorno sono andato a dormire alle 18, ma, forse perchè avevo dormito 14 ore il giorno prima o perchè continuavo a riflettere su come fotografare l’ermellino o per il fatto che mi trovavo da solo a oltre m 2500 e pensavo a come stessero passando il venerdì sera i miei amici, non riuscivo a prendere sonno. Così ho trascorso 8 ore sveglio con il bagliore tremolante di una candela a farmi compagnia. Mi sarò appisolato solo qualche momento, continuando a girarmi e rigirarmi, e non vedevo l’ora che albeggiasse per uscire da quel bivacco. A un certo punto, saranno state le dieci di sera, sono uscito fuori e mi sono trovato al cospetto di uno spet- tacolo indescrivibile: la via lattea in tutto il suo splendore solcava un cielo lucente di stelle, non ne avevo mai viste tante in vita mia! Una bellissima sensazione di pace totalizzante mi invadeva, mentre assaporavo l’emozione di una bellissima stella cadente (ti lascio immaginare quale desiderio io abbia espresso!). È un’esperienza che chiunque dovrebbe fare almeno una volta nella vita, ti fa ritrovare te stesso, riordina le idee, ti fa capire chi sei, cosa vuoi e quanto sei piccolo rispetto all’immensità dell’Universo. Immagino lo spettacolo! Ma poi sei riuscito a prender sonno? No, ahimè. Sono tornato dentro il bivacco dove ho ripreso a fissare la candela che diventava sempre più piccola. Verso mezzanotte ho sentito fuori dei rumori strani: un fruscio e poi ad un certo punto dei colpi sempre più forti, come se qualcuno stesse battendo un martello sulle scalette di ferro del bivacco. Ho pensato fossero degli alpinisti che si erano persi, ma ero sotto le coperte e non avevo voglia di uscire a vedere con quel freddo terribile. Aspettavo immobile da un momento all’altro il loro ingresso, ma dalla porta non entrava nessuno e i colpi aumentavano! La mattina dopo tutto mi è apparso chiaro. Inverno 2015 Un ermellino vigile davanti alla sua tana. Il piccolo predatore non rimane fermo un attimo ed è sempre pronto a nascondersi tra i massi e le pietraie in caso di pericolo (3 gennaio 2009, foto Jacopo Rigotti). L’ermellino? Stambecchi! Ho trovato i loro escrementi. Una notte così credo non la dimenticherò mai. E non li hai neanche potuti fotografare… Era già il terzo giorno e l’ermellino si faceva ancora attendere! Ma non avevo intenzione di arrendermi. Non ti annoiavi fermo e nascosto tutto il giorno? Ogni tanto mi sgranchivo le gambe passeggiando nei dintorni, poi tornavo sul posto. Non mi annoiavo perchè ero in un luogo fantastico e mentre aspettavo l’ermellino fotografavo i gracchi alpini, i camosci e persino l’aquila e il gipeto. Finalmente la mattina del quarto giorno è apparso. Non lo avevo mai visto tutto bianco e, infatti, non posso dire di averlo proprio “visto”, piuttosto ho intravisto la sua ombra, perché è solo quella che si nota da lontano se c’è il sole. Eri emozionato? Appena l’ho visto ho iniziato letteralmente a tremare dall’emozione! Mi è capitato poche volte e con pochi soggetti, di solito sono concentrato sugli scatti e solo dopo LE MONTAGNE DIVERTENTI Il fotografo in azione. Jacopo sfida il freddo e la neve per catturare le immagini migliori (7 novembre 2012, foto Federica Pellegrini). aver finito di scattare sono assalito dall’agitazione. Invece in questo caso mi è capitato sia prima che dopo. Ho dovuto respirare profondamente e affidarmi al mio autocontrollo per mantenere la calma, dovevo concentrarmi, non potevo mancarlo! Quanti scatti sei riuscito a realizzare? L’ho visto soltanto per due volte in 10 minuti quella mattina. Ma durante questo tempo è rimasto nascosto un bel po’, andava e veniva, rimaneva dietro ai sassi a lungo. Così quando si fermava un attimo e si voltava a guardarmi scattavo. Avrò fatto un centinaio di foto a forza di far raffiche. Quando si fermava a guardarti come si comportava, era tranquillo? Mi osservava curioso e chissà, forse un po’ perplesso si chiedeva: che cosa ci starà a fare questo strano animale che non ho mai visto prima, fermo e immobile qui al freddo?! Non avrà proprio nient’altro da fare? Di certo non poteva immaginare tu fossi lì per lui! Già. Dopo avermi concesso soli 10 minuti, si è nascosto definitiva- mente. Ho atteso un’ora, ma non si è più fatto vivo, perciò, abbastanza soddisfatto, sono tornato a casa. Credo che solo una grande passione per la fotografia e l’amore per la natura possano indurre un ragazzo della tua età a trascorrere giornate intere in solitudine, rinunciando qualche volta ai divertimenti e alla compagnia degli amici. Sono sacrifici che faccio volentieri perchè certe emozioni le provo solo stando immerso nella natura. Le persone oggi non sanno più stupirsi, perché sono distratte e non sono più capaci di osservare. Siamo troppo abituati a ottenere subito ciò che vogliamo e non più disposti a cercare e saper attendere. Trascorrere del tempo nella natura alla ricerca di animali selvatici da fotografare mi ha portato a essere più attento e pronto a guardare ciò che succede attorno a me, cogliendone non solo l’insieme, ma anche i dettagli. La natura mi ha insegnato a concentrarmi su ciò che voglio e che occorre pazienza per ottenerlo. È la mia vita e solo così mi sento davvero parte del mondo in cui vivo. Ermellino 119 IL MIGLIOR FOTOGRAFO LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 1 Ponte di ghiaccio (7 marzo 2014, foto Neri Gionata). Recensione (a cura di Roberto Ganassa) Il fotografo - Neri Gionata Questa immagine ha un tocco di classe poiché rappresenta una situazione unica scovata per puro caso o forse per conoscenza approfondita del luogo. Al frequentatore della montagna quello che più colpisce è il tempismo del fotografo: chi è pratico sa che solo per pochi istanti, infatti, il sole si posiziona all’interno dell’occhio le cui palpebre sono costituite dal pendio nevoso e dal ponte di ghiaccio. Chissà quanti scialpinisti sono passati in questo punto sul frequentatissimo ghiacciaio del pizzo Scalino senza notare l’occhio ghiacciato. In pieno inverno, per di più, il sole non arriva nemmeno da queste parti, mentre in primavera inoltrata è già troppo alto sull’orizzonte per rendere possibile questa composizione. Dal punto di vista tecnico il controluce è stato realizzato con un grandangolo e l’accortezza di chiudere molto il diaframma in modo che le 14 lamelle dell’otturatore creassero l’effetto stellato sul disco solare. Le zone in ombra, che il sensore della macchina registra come molto scure per un’intrinseca carenza di dinamica, sono state in seguito aperte con un attento sviluppo digitale. Un’ultima costatazione: questo genere di scatto è indubbiamente emozionante, ma può risultare pericoloso; nessuno infatti sa dirci quanto resisterà il ghiaccio, tant’è che ora il ponte è crollato. Classe 1974, abito a Calolziocorte in provincia di Lecco. Frequento la Valtellina e in particolare la Valmalenco dal 1988. Il mio amore per la montagna e per i ghiacciai è stato affiancato negli ultimi anni dalla passione per la fotografia . Ogni escursione o gita scialpinistica è così diventata un’occasione per immortalare i bellissimi paesaggi delle nostre montagne. MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Due sezioni dedicate ai nostri lettori: - una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected]. - una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate esclusivamente all'indirizzo email [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista (o un oggetto personalizzato LMD, come il retro della nuova mappa della Valmalenco) e, preferibilmente, uno scorcio del luogo. Per esigenze grafiche, e non per corruzione degli addetti, alcune immagini potranno essere pubblicate in anticipo rispetto all'ordine di invio. Pure la grandezza di pubblicazione non è proporzionale al peso del salame "di casa" inviatoci, ma rispecchia solo criteri di grafica. Non si accettano fotomontaggi. 120 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 2 3 1 ➣ Francia - Piera, Raffaele, Ivo, Cinzia e la piccola Serena presso il Mont Saint-Michel (2 settembre 2015). 2 ➣ Valmalenco - Giovanni Faldrini festeggia 85 anni con le figlie Erica e Floriana, nipoti e pronipote (26 luglio 2015). 3 ➣ Valmalenco - Fabio, Davide, Rachele e Stefano con la vitellina Gina all’alpe Fellaria (28 giugno 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 121 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 5 4 6 7 4 ➣ 5 ➣ 6 ➣ 7 ➣ 8 ➣ 122 8 9 Valmalenco - Giuseppe, Carla, Roberta, Ermanno e Armando del CAI Molteno in cima al pizzo Scalino (12 Agosto 2015). Giappone - Ivan, Gabriele, Andrea, Elisabetta e Giada in una tipica Ryo Kan nei pressi di Hakone (17 aprile 2015). Valmalenco - Noemi e Domenico presso il loro alpeggio all’alpe Fellaria (28 agosto 2015). Alta Valtellina - Andrea, Ilaria e Riccardo con Don Stefano presso il rifugio Schiazzera in val Saiento (20 giugno 2015). Svizzera - Gigi, Silvia, Riccardo, Paolo, Helen, Tommaso, Flavia cercano refrigerio alle cascate di Schaffausen (13 agosto 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 10 9 ➣ Piccoli alpinisti crescono - Da sx a dx, dall’alto al basso: Filippo Negrini sui pizzi Tremogge, Malenco (28 luglio 2015) e Sella (6 agosto 2015); papà Daniele all’opera al bivacco Parravicini (5 agosto 2015); Fabio e Filippo sul monte del Forno (13 agosto 2015); Caterina e Filippo in vetta all’Adamello (29 agosto 2015). 10 ➣Isola d’Elba - Rosy e Gio di Tirano sfidano le pungenti ghiaie di capo Bianco (29 giugno 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 123 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 12 11 13 14 15 11 ➣Gruppo dell’Ortles - Marika, Federico, Davide, Exy, Plinio, Ecclesio, Paolo B, Paolo M e Antonio del CAI di Cantù nel giorno dell’inaugurazione del nuovo bivacco Città di Cantù (5 agosto 2015). 12 ➣Versante Retico - Giorgio Gemmi a Prato Valentino (19 giugno 2015). 13 ➣Modena - Patrizio, Maria e Anselmo con mamma e papà a Maranello (4 luglio 2015). 14 ➣Valmalenco - I piccoli Giovanni e Clara all’alpe Prabello (26 luglio 2015). 15 ➣Valmalenco - Stefano, Elisa, Alfredo, Ivan, Michela, Monica e Dennis alla capanna Marinelli (21 agosto 2015). 124 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 16 17 18 19 16 ➣Vione, Mazzo di Valtellina - Ospiti piemontesi presso il B&B “Vecchio mulino” in val Caregna (5 luglio 2015). 17 ➣Valmalenco - Luca e Alessia presso il rifugio Del Grande-Camerini durante la terza tappa dell’Alta Via (10 agosto 2015). 18 ➣Valmalenco - Chi per la prima volta, chi di ritorno dopo anni: uniti nel nome dello Scalino! (26 luglio 2015). 19 ➣Alta Valtellina - Marco e Sonia sul monte delle Scale (16 agosto 2015). LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 125 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 21 20 23 25 26 27 28 29 30 22 24 20 ➣Udine - Michela presso la basilica patriarcale di Santa Maria ad Aquileia (settembre 2015). 21 ➣Valmalenco - Grande abbuffata all’alpe Zocca per Gianluca, Paolo, Pietro, Fabio e Luca, reduci dalla “Resegup” (14 agosto 2015). 22 ➣Alpi Orobie - Cristina, Paola, Marinella, Carla, Stefania, Giulio, Aurelio, Alessia, Adelaide al rifugio Tagliaferri (30 agosto 2015). 23 ➣Valmalenco - Sandro, Diego e Carluccio del Gruppo GEFO di Olginate sulla vetta del monte Spondascia (14 agosto 2015). 24 ➣Val Camonica - Gita al bivacco Linge nella valle delle Messi con il CAI di Aprica (28 agosto 2015). 25 ➣Alta Valtellina - In val di Rezzalo, valligiani in festa a Clevaccio (30 agosto 2015). 26 ➣Alta Valtellina - Anche Andrea ha provato il nostro itinerario al monte delle Scale! (26 agosto 2015). 27 ➣Alpi Orobie - I giovani del CAI Teglio sul pizzo Rodes (26 luglio 2015). 28 ➣Alta Valtellina - Franz e Remy al rifugio Schiazzera (24 luglio 2015). 29 ➣Svizzera - Incontro internazionale fra intagliatori della Valtellina e della val Poschiavo alla Costa (28 giugno 2015). 30 ➣Alta Valtellina - Anna, Loretta e Mario (12 agosto 2015). 126 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 Le foto dei lettori 127 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 31 33 35 32 37 38 39 40 41 42 34 36 31 ➣Georgia - Manuel ed i suoi amici trekker portano LMD in villeggiatura a Ushguli, Svanetia (15 luglio 2015). 32 ➣Valmalenco - Umberto, Donatella, Alberto, Barbara, Marcello in Marinelli (30 agosto 2015). 33 ➣Caspoggio - Le edicolanti de “Lo Scoiattolo” , esercizio che da molti numeri detiene il record di vendite de LMD (28 luglio 2015). 34 ➣Valmalenco - Paola e Marzia al lago Palù con i rispettivi mariti Claudio e Camillo (18 agosto 2015). 35 ➣Costiera dei Cech - Festa all’alpe Bruciata sopra Cercino (9 agosto 2015). 36 ➣Alta Valtellina - Fabio, Giovanna, Stefano, Cristina, Jacopo, Elisa, Anna, Giorgio e Bill alle Presacce in val Grosina (12 agosto 2015). 37 ➣Alpi Orobie - Il coro “Eco di Gambuer” ricorda l’amico Gianpietro “Paleta” presso l’omonima gastronomia in val Belviso (26.06.2015). 38 ➣Valmalenco - Luca, Maicol e Romina: tre piccoli camosci alla Bignami (12 luglio 2015). 39 ➣Francia - Michele e Moreno lungo l’Avenue Verte da Forges-les-Eaux a Dieppe (14 agosto 2015). 40 ➣Veneto - Il piccolo Nicolas in vacanza a Caorle (1 luglio 2015). 41 ➣Engadina - Gli amici di Lanzada e quelli di Chiavenna si ritrovano a Saint Moritz (13 aprile 2014). 42 ➣Toscana - Ida, Angela e Laura presso l’agriturismo “La contea degli angeli” a Castell’Azzara (16 agosto 2015). 128 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 Le foto dei lettori 129 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 43 44 48 49 50 51 52 53 45 46 47 43 ➣Engadina - L’AVIS di Lanzada a Saint Moritz dopo la visita all’alp Grum e al “Giardino dei ghiacciai” di Cavaglia (19 luglio 2015). 44 ➣Val Fontana - La piccola Aurora, mamma Michela, papà Rossano e Catia alla capanna Cederna (19 luglio 2015). 45 ➣Alpi Orobie - Notturna presso il rifugio Alpe Corte di Valcanale con i ragazzi del CAI Nembro (31 luglio 2015). 46 ➣Val Grosina - Martina, Simone, Federica, Cristian, Elisa in val d’Avedo (agosto 2015). 47 ➣Valmalenco - I mat di Barch con l’’introvabile numero 1 della rivista (19 luglio 2015). 48 ➣Val Formazza - Il gruppo escursionistico barzaghese “Mai sècch” in vetta al Blinnenhorn (19 luglio 2015). 49 ➣Tenerife - Marco, Doris, Chiara e Nicolò sul Teide (31 luglio 2015). 50 ➣Caspoggio - “Giragustando” ha offerto anche una succulenta scorpacciata di LMD ai vari gusti! (25 luglio 2015). 51 ➣Grigna Settentrionale - Lucia, Stefania, Attilio ed Elio si godono la meritata sosta presso il rifugio Brioschi (12 luglio 2015). 52 ➣Alta Valtellina - Il CAI Valmalenco in sella all’Ortles (5 luglio 2015). 53 ➣Trentino - Anselmo, Graziella, Katiuscia e il piccolo Tommaso al rifugio Demetz (22 agosto 2015). 130 LE MONTAGNE DIVERTENTI LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 Le foto dei lettori 131 LE FOTO DEI LETTORI Le foto dei lettori 54 57 55 59 56 61 58 62 54 ➣Montagna - Alessia con nonno Franco a Barca (estate 2015). 55 ➣Sondrio - Simpatizzanti de LMD pronti allo scatto (19 settembre 2015). 56 ➣Rwanda - Erik e Katia con i piccoli dell’orfanotrofio di Nyamata (17 agosto 2015). 57 ➣Spagna - Efrem, Valeria e Luciano a Barcellona (7 settembre 2015). 58 ➣Bassa Valtellina - Alberto e Luca all’oratorio dei Sette Fratelli (9 agosto 2015). 132 LE MONTAGNE DIVERTENTI 60 63 59 ➣Alta Valtellina - Gli amici di Ernesto Villa, maestro di montagne, lo ricordano con affetto sul monte Scorluzzo (26 luglio 2015). 60 ➣Alta Valtellina - Aurora, Michela, Rossano e nonno Paolo in val Viola (25 luglio 2015). 61 ➣Valmalenco - Valentina e don Stefano in alta val Sissone al cospetto del ghiacciaio del Disgrazia (15 luglio 2015). 62 ➣Alpi Orobie - Paolo, Gigi, Alberto, Beppe, Jenny, Luca e Nicole alla diga Venina (8 agosto 2015). 63 ➣Minorca - Elena e Ezio Bricalli al “Far de Cavalleria” (23 luglio 2015). Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori 133 soluzioni del n.34 vinti Dente di Coca (2925) Fontaniva Berniga Il taroccone concorsi del n.35 Ma ch’el? Giochi Le tre contrade eliminate sono: Bruga, Berniga e Fontaniva (detta impropriamente Arigna). La vetta spostata è il Dente di Coca (m 2925). I vincitori sono: 1. Stefano Vanotti di Lanzada 2. Antonietta Parolo di Torre di Santa Maria Hanno indovinato anche Sylvia Wright e Mirco, ma rispondendo in anticipo. Tra gli altri nessuno ha fatto centro, così tra quelli che ne hanno riconosciute 3 su 4 sono stati estratti per il premio di consolazione: Paola Pedranzini, Giampiero Abordi e Diego Menghi. oggetto conservato da Valtellina Antichità Restauri di Gianola Nino e C. Vincitori e Bruga Una calzatura in legno con uncino a cosa mai può servire? Dai la tua risposta dalle ore 21:00 del 3 gennaio 2016. Ai due più veloci a indovinare la Befana regalerà un pile tecnico della Mello's (vedi pag. 84). Tra tutti gli altri che avranno indovinato entro le ore 22 dello stesso giorno verranno estratti 3 fortunati a cui andranno la berretta LMD e 1 copia di Alpi Selvagge. Scrivete le vostre risposte esclusivamente sulla pagina dedicata accessibile da www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/ originale taroccata In gh’el? I cugnùset? A Natale siamo più buoni e il gioco lo facciamo facile facile. Qual’è la chiesa incorniciata tra le foglie di vite? Dai la tua risposta dalle ore 21:00 del 4 gennaio 2016. Ai due più veloci a indovinare la Befana regalerà un pile tecnico della Mello’s (vedi pag. 84). Tra tutti quelli che avranno indovinato entro le ore 22 verranno estratti altri 3 fortunati a cui andranno la berretta LMD e 1 copia di Alpi Selvagge. Nella prima foto è il rifugio dedicato al poeta della Valchiavenna Giovanni Bertacchi, ubicato vicino al lago d’Emet. Nella seconda è l’ex capanna Guicciardi, visibile appena sopra la diga di Scais, accanto al sentiero che porta al rifugio Mambretti. Inaugurata nel 1898 è stato presto dismessa diventando la casa privata dell’ing. Messa. I vincitori sono: 1. Alan Muscetti di Sondalo 2. Ivan Andreoli di Teglio Hanno inoltre indovinato: Sergio Proh, Antonietta Parolo, Simone Civati, Thomas Martinoli, Angela Vanotti, Stefano, Paul Testini, Simone Nonini, Debora Contrio, Paola, Alessandro Seregni, Luca Gottiffredi, Patrizia Arrigoni, Patrizia Oregioni, Daniela Bellati, Paola Civati, Enzo Andreoli, Marina Berti, Mario Civati, Alessandra Cavada, Livia Maria Barbetti e Cristina Cristofaletti. 134 LE MONTAGNE DIVERTENTI Scrivete le vostre risposte esclusivamente sulla pagina dedicata accessibile da www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/ ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi 135 LE RICETTE DELLA NONNA Rubriche Il sapone fatto in casa testi Beno, ricetta famiglia Silvio Barri Le saponette preparate secondo questa procedura hanno un delicato profumo di limone (foto Beno). F ino a non molti anni fa prodursi il sapone in casa era una pratica comune a molte famiglie, mentre oggi si preferisce rivolgersi all’industria lasciando così cadere nel dimenticatoio un sapere tradizionale. A Cedrasco la famiglia di Silvio Barri, che sulla fornitura di articoli di pulizia e igiene ha costruito la propria attività, il sapone per l’uso personale lo prepara ancora in casa seguendo la ricetta imparata da una signora di Grosio. Tale procedura consente di ottenere le saponette a freddo partendo dal sego di maiale, cioè il grasso lavorato a caldo. Chi le ha provate può confermare come queste saponette sgrassino efficacemente e inoltre non secchino la pelle. Inoltre ci si può sbizzarrire a creare forme e sagome tali da rendere affascinante anche questo semplice prodotto igienico. 136 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015 LE MONTAGNE DIVERTENTI INGREDIENTI E MATERIALE PER 8-10 SAPONETTE • • • • • • • • • • • • una pentola “da battaglia” mestolo colino e spremiagrumi formine (anche quelle di silicone per dolci vanno bene, altrimenti le si può ottenere tagliando i cartoni del latte) 2 recipenti di silicone o di plastica resistenti alla soda da almeno 10 litri (no metallo) guanti di gomma grembiule impermeabile occhiali antispruzzo 200 g di soda caustica in scaglie (la confezione da 1 kg costa 4-5 € e la si trova nei negozi di casalinghi) 1 limone 1,5 l di acqua 1 kg di sego (lo si ottiene da circa 1,5 kg di grasso di maiale, acquistabile dal macellaio) FASE 1: PREPARARE IL SEGO Il sego di maiale è alla base della produzione del sapone secondo questa ricetta. Messo il grasso di maiale (macinato o tagliato a dadi) in una pentola, la si pone sopra al fuoco (media intensità). La cottura produce odore sgradevole, per cui sarebbe meglio avere un fornello/stufa all’esterno. Si porta all’ebollizione mescolando continuamente e si attende che il liquido e le parti solide assumano un colore dorato (ci vuole almeno 1 ora e mezza dall’inizio del bollore). Con un colino o una schiumarola si separa la parte liquida da quella solida: i ciccioli sono ottimi se messi nella polenta, mentre se lasciati nel sego (occorre frullarli) portano il sapone ad assumere una tinta marrone e un odore che qualcuno potrebbe trovare poco gradevole. Si pone il liquido in un recipiente Giochi 137 ALPI SELVAGGE Rubriche piuttosto grande e si lascia solidificare il sego che diverrà di un bel bianco candido. Da 1,5 kg di grasso si ricava approssimativamente 1 kg di sego. FASE 2: DAL SEGO AL SAPONE Il processo implica l’uso di soda caustica, ovvero di idrossido di sodio (NaOH), una sostanza alcalina molto reattiva che trasforma in sale sodico e glicerina i grassi. Va maneggiata con cautela, allontanando i bambini e indossando occhialini antischizzo per proteggere gli occhi, guanti di gomma, un grembiule di plastica per non rovinare i vestiti e un foulard per riparare il naso e la bocca dal vapore che si produce quando la soda viene a contatto con l’acqua innescando una reazione fortemente esotermica e generando una soluzione estremamente corrosiva. Una volta che ci si è adeguatamente vestiti con tutte le protezioni, si versa 1,5 l di acqua nel recipiente contenente il sego e si aggiunge la soda caustica (non fare il viceversa per evitare schizzi pericolosi). Si attiverà così la reazione chimica. Si mescola la soluzione di soda al sego utilizzando un cucchiaio di legno (ci vogliono circa 40 minuti) o un agitatore meccanico (più veloce ma è facile che schizzi in giro) fino ad ottenere un composto denso e filante al punto che il liquido che cola dal cucchiaio sia in grado di disegnare trame sulla superficie di quello nel recipiente. Ora si aggiunge il succo di un limone e dopo aver brevemente mescolato si versa il composto nelle formine o nei contenitori, stando attenti a non lasciarlo raffreddare troppo (è perciò bene compiere il procedimento in un ambiente caldo), se no si divide e la saponificazione fallisce. Dopo 10 ore il sapone solidifica completamente e può essere tolto dai recipienti (utilizzare ancora i guanti) e eventualmente tagliato in pezzi più piccoli. Le saponette sono fatte, ma per poterle utilizzare bisogna lasciarle riposare 40 giorni in un luogo asciutto affinché la soda caustica si neutralizzi completamente. 138 LE MONTAGNE DIVERTENTI le montagne e i loro animali Posto il grasso del maiale in una pentola lo si fa cuocere per circa 1 ora e mezza finché si forma un liquido dal colore dorato (foto Barri). Le Alpi: vette maestose e paesaggi d’alta quota dove la natura e l’alpinismo si incontrano. Nato da un’idea di Roberto Moiola e Jacopo Rigotti, con le foto sorprendenti del team ClickAlps e i testi brillanti di Beno e della naturalista Alessandra Morgillo, questo volume presenta le 24 cime più importanti dell’arco alpino e l’animale simbolo associato ad ognuna di esse. Con un colino si separa la parte solida (i ciccioli) da quella liquida, che viene versata in un recipiente di plastica o silicone resistente alla soda caustica e al calore (foto Barri). 3 diverse copertine solo 20€ nei migliori punti vendita e su shop.clickalps.com Si scioglie il sego in acqua e soda, mescolando il composto fino a raggiungere la giusta consistenza. Quindi si versa il tutto in formine per sagomare le saponette (foto Beno). Inverno 2015 con le foto di Roberto Moiola, Jacopo Rigotti, Beno, Vittorio Vaninetti, Giacomo Meneghello, Roberto Ganassa, Francesco Vaninetti, Alberto Locatelli, Fabio Vivalda, Maurizio Lancini, Walter Dell’Armellina, Marco Bottigelli, Stefano Caldera, Paolo Bolla, Francesco Sisti, Luca Gino e Giordano Bertocchi Non c’è felicità se quello che hai ottenuto non è frutto di desiderio e fatica Alessandro Gogna (scrittore e alpinista) LE MONTAGNE DIVERTENTI 141