Ugo di Vallepiana - Le Montagne Divertenti

Transcript

Ugo di Vallepiana - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
e
v
r
i
D tenti
N°35 - INVERNO 2015 - EURO 5
Racconti
Natale
1943-1945
L’epilogo della guerra
in Valmalenco
Novità
Correre
tra le montagne
Valmalenco
Il giro delle Tremogge
Versante Retico
Due itinerari per
la cima del Desénigo
Valchiavenna
Monte Tignoso /
Don Ugo Bongianni
e la casa di San Sisto
Alta Valtellina
Monte Castelletto
Versante Retico
Sui monti di Villa
di Tirano
Percorsi di corsa
Dalle vigne a Spriana
Personaggi
Intervista a Marco De
Gasperi ed Elisa Desco
Viaggi
Tenerife
Natura
Ermellino: il folletto
delle Alpi
Inoltre
Ricette della nonna
(il sapone fatto in
casa), foto dei lettori,
giochi...
Ugo di Vallepiana
Precursore dello scialpinismo
VALCHIAVENNA
- BASSA VALTELLINA - VAL MASINO - ALPI RETICHE E OROBIE - VALMALENCO - ALTA VALTELLINA
1
LE MONTAGNE DIVERTENTI Editoriale
Beno
Quando il vento gelido mi scuote, sono felice d’essere avvolto in una giacca e d’aver lasciato lunga la barba che, foderandosi
di ghiaccio, mi ripara il viso. Quando il freddo mi mette una fame da lupi, non desidero altro che il panino col salame che
ho nello zaino. Quando sbuco dalla parete in ombra, sorrido al sole che mi abbraccia. Quando la fatica è troppa, ecco il mio
compagno che mi dà il cambio nel batter traccia.
Poi arrivo in cima e ascolto il silenzio dell’inverno spiegarmi che la libertà sta nel desiderare solo le cose essenziali.
2 LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
Editoriale: il gruppo Sella - Glüschaint emerge dalle nubi. Ripresa effettuata dal Sasso Moro (18 novembre 2014, foto Beno - www.clickalps.com).
In copertina: scialpinismo in val d’Arigna. Sullo sfondo il Dente di Coca (19 febbraio 2015, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
Editoriale
LE
MONTAGNE
DIVERTENTI
punta Milano in val Masino (5 ottobre 2015, foto Beno - www.clickalps.com).
Ultima
di copertina:
il volto della
3
Speciali
lpinismo
peciali
E
R
scursionismo
ubriche
O
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
A
S
8
10
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Editore
Beno
Direttore responsabile
Enrico Benedetti
34
80
Realizzazione grafica
11
Alessandra Morgillo
Beno
Gioia Zenoni
Roberto Moiola
I
Redazione
Ugo di Vallepiana (1890-1978)
Valmalenco
Versante Retico
Nessuna festa senza una vetta
Beno
Revisore di bozze
Il giro delle Tremogge (m 3441)
Viaggi
Sui monti di Villa di Tirano
Tenerife
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
90
4
11
A
48
Si ringraziano inoltre
18
Alessandra Morgillo, Antonio Boscacci, Beno, Bruno
Mazzoleni, Corpo Volontari Protezione Civile Milano,
Dicle, Eliana e Nemo Canetta, Fabio Menino, famiglia
Silvio Barri, Federica Pellegrini, Flavio Casello, Giacomo
Meneghello, Graziella Pradella, Jacopo Rigotti, Kim
Sommerschield, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici,
Marco De Gasperi ed Elisa Desco, Marzia Fioroni, Mario
Vannuccini, Mario Pagni, Marino Amonini, Maristella
Sceresini, Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Maurizio
Citarini, Nicola Giana, Piero Tartarini, Raffaele Occhi,
Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa,
Roberto Moiola, Simona Alberti, Silvio Gaggi, Tiziano
Giumelli.
R
Hanno inoltre collaborato a questo numero
Racconti inediti di Antonio Boscacci
Versante Retico
Media Valtellina
Natura
Natale
Cima del Desénigo (m 2845)
Dalle vigne a Spriana
Ermellino: il folletto delle Alpi
0
Rubriche
Intervista a Marco De Gasperi ed Elisa Desco
Le foto dei lettori
13
Approfondimenti
12
Novità
Approfondimenti
10
L’epilogo della guerra in Valmalenco
Nel canyon del monte Tignoso (m 2376)
0
Valchiavenna
10
1943-1945
70
Bonazzi Grafica - via Francia, 1 - 23100 Sondrio
62
Stampa
28
[email protected]
tel. 0342 380138
22
Pubblicità e distribuzione
M
Avis Comunale Sondrio, Cino Ortelli, Maurizio Torri,
Daniela Morelli, Franco Monteforte, la Tipografia Bonazzi,
Elia Negrini, Nicola Masoli, Giorgio Gemmi, Luigino
Scilironi “Ginetto”, gli edicolanti che ci aiutano nel
promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in
questo progetto... e tutti quelli che ho dimenticato di citare.
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Contatti, informazioni e merchandising
Giochi
Contrada Scilironi / Le chiese di Spriana
Soluzioni del n. 34 e concorsi del n. 35
13
Arretrati
4
- www.lemontagnedivertenti.com
- oppure telefonare al 0342 380138 (basta lasciare i dati
in segreteria).
Don Ugo Bongianni e la casa di San Sisto
Approfondimenti
10
fatto il bonifico è necessario
registrare il proprio abbonamento su
Correre tra le montagne
2
annuale (4 numeri della rivista):
costo € 22 da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
nella causale specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
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[email protected] - € 6 cad.
Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista
Prossimo numero
S
Alta Valtellina
La montagna d’inverno in punta di piedi
Inverno 2015
Monte Castelletto (2556)
LE MONTAGNE DIVERTENTI Approfondimenti
La TV a Sondrio: la prima fu ad Arquino
7
Inverno sostenibile
6
LE MONTAGNE DIVERTENTI 74
4
33
21 marzo 2016
Le ricette della nonna
Il sapone fatto in casa
Sommario
Sommario
5
Localizzazione luoghi
Zillis
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
3062
2115
Mulegns
3378
Cresta
St. Moritz
Maloja
Passo del Maloja
1815
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
3183
Mera
Pizzo Galleggione
3107
CHIAVENNA
Prata
Camportaccio
ra
T. Code
Bagni
3678
di Masino
Pizzo Ligoncio
San Martino Corni Bruciati
3032
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Introbio
Lierna
Ornica
Colorina
Pasturo
LE MONTAGNE DIVERTENTI Barzio
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Foppolo
Carona
Cùsio
Piazzatorre
Cassiglio
Olmo
al Brembo
Ponte in Valt.
Caiolo Albosaggia
Tartano
Mezzoldo
Valtorta
SONDRIO
Adda
T. V
enin
a
Bellàno
Taceno
Bellagio
6
Geròla
Boirolo
Pizzo Campaggio
2503
80
Tresenda
Carona
Aprica
Còrteno
Schilpario
Inverno 2015
Vilminore
Colere
Villa
Pizzo Camino
2492
Vione
Monte Castelletto (m 2556)
(Giacomo Meneghello)
80 Versante Retico
Sui monti di Villa di Tirano
(Beno e Antonio Boscacci)
90 Versante Retico
Dalle vigne a Spriana
Ponte
di Legno
Passo del Tonale
1883
(Beno)
Adamello
3554
Monte Fumo
3418
Garda
Monte Carè Alto
3462
Berzo
Paisco
Concarena
2549
(Beno)
Edolo
Sonico
Palone del Torsolazzo
2670
Nel canyon del monte
Tignoso (m 2376)
Incudine
Monno
Malonno
Pizzo di Coca Monte Torena
2911
3050
Monte Sellero
2743
Pizzo di Redorta
Loveno
3039
Monte Gleno
Pizzo del Diavolo
2883
Valbondione
di Tenda
Passo del Vivione
2914
1828
Gromo
Vezza
d'Oglio
Cortenedolo
100
Pezzo
Pezzo
Monte Serottini
2967
Mazzo
Punta San Matteo
3678
Corno
corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Passo dell'Aprica
Pizzo di Rodes
Gandellino
Fumero
(Luciano Bruseghini)
62 Valchiavenna
Passo di Gavia
2618
Cima del Desénigo
(m 2845)
74 Alta Valtellina
Forni
Santa Caterina
Sondalo
Tovo
Lovero
Sernio
TIRANO
Bianzone
Teglio
Arigna
Monte Confinale
3370
Le Prese
Adda
2829
Branzi
Roncorbello
Monte Masuccio
2816
Monte Cevedale
3769
frana
di val Pola
Grosotto
Brusio
Chiuro
Tremenico
Premana
90
T. Livrio
Dervio
Albaredo
3136
Tresivio
Talamona
Bema
Torre
di S. Maria
Postalesio
Berbenno
Castione
Le Prese
Fonta
na
Cevo
Bùglio
Caspano Ardenno
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Sirta
MORBEGNO
3323
Vetta di Ron
T. Mallero
2845
48
Verceia
Lanzada
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
3114
Pizzo Scalino
Gran Zebrù
3851
Cepina
Grosio
T. Va
l
Cima del Desénigo
Monte Legnone
2610
Lago
di Como
Primolo
T. Caldenno
Lago
di Mezzola
Monte Disgrazia
Malghera
Poschiavo
Ortles
3905
San Antonio
BORMIO
Valdisotto
San Carlo
Sasso Nero
2917
3378
Novate
Mezzola
Còlico
Dongo
Cima di Castello
o
T. Masin
Montemezzo
Livo Gera
Dosso d. Liro
Lario
Somaggia
Chiareggio
Oga
Cima di Saoseo
3264
i
od
Lag chiavo
Pos
2459
3308
San Cassiano
San Pietro
Samòlaco
Era
Pizzo Martello
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
La Rösa
Bagni di Bormio
Premadio
Eita
34
Bondo
Isolaccia
Cima Piazzi
3439
4049
Passo del Muretto
2562
Vicosoprano
Passo del Bernina
2323
Giogo di Santa Maria
2503
Valdidentro
T. Roasco
Gordona
Soglio
Castasegna
Prosto
Mese
Piz Palù
Pizzo Bernina 3906
Casaccia
T.
La
nte
rna
Campodolcino
Solda
Solda
Passo dello Stelvio
2757
Arnoga
Forcola
di Livigno
2315
Sils
Can
can
o
Trepalle
Passo del
Foscagno
2291
Pianazzo
62
hi d
i
74
Piz Languard
3268
Silvaplana
Juf
Fraciscio
48 Versante Retico
Cima la Casina
Lag
3180
1816
Pontresina
Julierpass
Bivio
Lago d
i Lei
Madesimo
Livigno
3057
Mera
3209
(Luciano Bruseghini)
Stelvio
Stelvio
San Maria
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Isola
Sur
Giro delle Tremogge
(m 3441 - m 3438 - m 3331)
Lago del Gallo
Piz Piatta
Montespluga
3279
3159
Inn
34Valmalenco
Montechiaro
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
Zuoz
Albulapass
2312
Julia
Curtegns 1864
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Reno
Splügen
Medels
Pizzo Tambò
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Saviore
Valle
Capo
di Ponte
Làveno
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Re di Castello
2889
Niardo
Niardo
© Beno
© Beno
2010/2015
2011 - riproduzione
- riproduzione
vietata
vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
7
L
e g e n d a
Itinerario invernale adatto anche a
chi senza automobile e navigatore
satellitare non sa andare dalla cucina
al salotto. La maggiore difficoltà
dell’escursione starà nello scattarsi
la foto di gruppo con la rivista.
Schede sintetiche, tempistiche e mappe
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del
percorso, tra cui dislivello positivo, tempo di percorrenza e difficoltà. Nella pagina a fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Nelle
schede sintetiche alla voce “dettagli” viene indicata la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Le tempistiche fornite nel testo descrittivo sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Con dislivello s’intende il dislivello positivo.
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica,
permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario più consono alle proprie capacità.
Nelle mappe, perlopiù realizzate con scala 1:50000, sono rappresentati: dorsali delle montagne, passi, vette, torrenti,
laghi, ghiacciai, zone abitate, chiese, rifugi e strade carrozzabili. Per chiarezza non sono disegnati i sentieri, ma, in rosso, il
solo itinerario descritto nell'articolo. Altri colori indicano eventuali varianti.
se la linea dell'itinerario è continua significa che questo si svolge su sentiero bollato o comunque evidente;
il tratteggio invece indica che si è al di fuori dei sentieri o su tracce poco evidenti. Tali rotte sono riservate ad alpinisti o escursionisti esperti.
1 - Se non vi sono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3,5 km/h su itinerario pianeggiante.
2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare
l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
BELLEZZA
PERICOLOSITÀ
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Assolutamente sicuro
Bello
Basta stare un po’ attenti
Imperdibile
FATICA
Nulla di preoccupante
Impegnativo
Un massacro
Se effettuato tutti
i giorni, lo sforzo
inizia a esser
tale da garantire
chiappe sode. Tuttavia,
dato che ci si porta verso
l’alta montagna, sconsigliamo
di vestirsi col solo perizoma
leopardato, tanto gli stambecchi non
apprezzerebbero
i vostri progressi.
Itinerario per buoni sciatori
in cerca di ingaggio,
ma che offre scarse possibilità
di incontri ravvicinati con la
signora con la falce. Potrebbero però
servire i ferri del mestiere.
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ORE DI PERCORRENZA
Anche per uomini larva
Le infradito vanno sostituite
con calzature più da macho,
ma per smarrirsi o farsi male
si deve prima aver bevuto
una damigiana di vin brulé a
stomaco vuoto.
meno di 4 ore
DISLIVELLO IN SALITA
meno di 800 metri
dalle 4 alle 9 ore
dagli 800 ai 1500 metri
dalle 9 alle 13 ore
dai 1500 ai 2500 metri
oltre le 13 ore
oltre i 2500 metri
Il gioco si fa duro: se non si è già
esperti e avvezzi alla lotta col
monte come capre orobiche,
è consigliabile una guida.
Montagna divertente, itinerario lungo e
ricco di insidie di varia natura.
È facile farsi prendere dallo sconforto,
incengiarsi o rimanere in quota
di notte per contrattempo.
Nello zaino è bene non dimenticare
un taccuino per lasciar testamento.
Riservato
a chi è così
pazzo che anche
la signora con la falce
ha deciso di non seguirlo
più in montagna in quanto
reputa le gite troppo
pericolose.
Ugo di Vallepiana
Speciali
Raffaele Occhi
“Nulla festivitas sine cacumine”,
ovvero nessuna festa senza una vetta
10
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE
Sommerschield (www.sommerschield.it).
UgoMONTAGNE
di VallepianaDIVERTENTI
ritratto da Kim
Ugo di Vallepiana (1890 - 1978)
11
Personaggi
Speciali
VAGABONDO DELLA MONTAGNA
suoi antenati Ottolenghi - originari delle Langhe del Monferrato, da cui prendono nome - si erano
trasferiti dal Piemonte a Firenze dove il
nonno, direttore della Banca d’Italia e
capo della comunità israelita, era stato
insignito nel 1883 del titolo onorifico
di Conte di Vallepiana.
E fu proprio a Firenze che Ugo Ottolenghi di Vallepiana vide la luce nel
1890. La sua prima avventura alpina,
preludio di un intenso e duraturo
legame con la montagna, il piccolo
conte la visse già all’età di quattro anni,
a Madesimo. Sfuggito alla sorveglianza
della madre, si era avviato solo soletto
verso gli Andossi, ma quando da un
fiore «si levò un terribile drago: un cala­
brone al quale ne seguirono altri - così
racconta con arguzia - il nostro eroe, pur
non conoscendo ancora il detto “soldato
che fugge è buono per un’altra volta”,
voltò il tergo al nemico», andando a
buscarsi dalla madre «un paio di scapac­
cioni che ancora oggi ignoro se siano stati
dati quale punizione per l’impresa alpi­
nistica non autorizzata o forse, ancor
più, per la ignominiosa fuga».
Dai primi passi degli Andossi all’alpinismo, con in mezzo ameni episodi
e lunghe camminate tra le faggete
dell’Appennino tosco-emiliano, il
passo fu breve.
Ancora ragazzino, in vacanza nelle
terre astigiane d’origine, eccolo partirsene in bicicletta con la piccozza del
padre per andare a scalinare ripidissimi pendii di terra, anticipazione di
pareti di ghiaccio, premiato alfine in
I
12
LE MONTAGNE DIVERTENTI vetta da un bel grappolo d’uva dei
vigneti sovrastanti. Poi arrivò finalmente il momento di cimentarsi con
ghiacciai veri e propri - Gletscher
si direbbe in tedesco con maggior
enfasi - meta il Piccolo Cervino dal
Breuil. Ancor prima dell’alba, col
buio più nero, Vallepiana si avviò
coi due compagni d’avventura ma,
usciti dalla locanda dove alloggiavano,
sbagliarono direzione e… si trovarono
immersi nei densi e maleodoranti
liquami di un laghetto alimentato
dagli scoli di una stalla. Il ghiacciaio, e
poi la vetta, li raggiunsero ugualmente
(dopo un abbondante risciacquo nelle
acque del Marmore), ma quell’episodio fu tale che - come ricordò ­
«nell’ambiente dei conoscenti fummo,
per qualche tempo, soprannominati
“gli esploratori del Busagletscher” e cioè
gli esploratori del ghiacciaio della busa,
termine piemontese, questo, che non
richiede traduzione».
Nonostante la canzonatura, l’entusiasmo per la montagna non gli
venne mai meno e così, negli anni e
nei decenni successivi fu protagonista,
finché le forze glielo consentirono, di
una sterminata serie di avventure alpinistiche e sciistiche, in tempo di pace
e pure in tempo di guerra; sul suo
taccuino, dove annotò puntualmente
le ascensioni compiute fra il 1905 e il
1967, sono elencate oltre 1100 vette
sparse un po’ per tutte le Alpi e fin nel
Caucaso - sia cime famose sia cime
dimenticate, che raggiunse tanto a
piedi che con gli sci - e i nomi di molti
personaggi, illustri e meno illustri, che
condivisero con lui quella passione che
lo accompagnò per l’intera esistenza.
Quando, nel 1953, Ugo di Vallepiana fu invitato a tenere una conferenza al prestigioso Alpine Club di
Londra, esordì dicendo: «Sono sempli­
cemente un vagabondo della montagna,
uno che, essendosi innamorato delle cime
fin da bambino, non ha più potuto sfug­
gire al loro incantesimo e, salvo poche
eccezioni, non ha assolutamente mancato
di visitarle almeno ogni domenica».
DA FIRENZE ALLA BAVIERA
ssociatosi al CAI Firenze nel
1904, già l’anno successivo
si cimenta con l’impegnativa punta
Budden alle Petites Murailles da
Valtournanche; a soli diciassette anni, e
sempre ne porterà l’orgoglio, raggiunse
invece il Cervino con la guida Ange
Maquignaz.
Ad un certo punto nella sua vita
irruppe lo sci, allora agli albori: «era lo
sport dei più assoluti appassionati della
montagna i quali avevano trovato, negli
sci, il mezzo per percorrere i monti nella
stagione che, specie allora, sembrava più
ostica: l’inverno». Alpi e Appennini non
riusciranno dunque più a scrollarselo
di dosso, nemmeno nascondendosi
sotto metri di neve o spaventandolo
con gelo e tormente; eccolo ad esempio
salire in piena bufera, nell’inverno
1909-1910, al passo della Diavolezza,
con uno sparuto gruppetto di italiani
fra cui il celebre prof. Giuseppe Levi,
padre di Natalia Ginsburg, soprannominato Levi-Pom per i suoi capelli
rossi, oppure vagabondare spensie-
A
Inverno 2015
rato tra faggete e crinali innevati sopra
l’Abetone, carico come un mulo tanto
da far esclamare ad una donna presso
il cui casolare i «poeri giovani» avevan
fatto una sosta: «quanto vi danno per
far cotesto mestiere?»
Tornò l’estate e Vallepiana, con un
compagno d’eccezione come Hans
Pfann compie nel 1911 una serie di
salite di rilievo senza guide nel gruppo
del monte Bianco, fra cui la seconda
ascensione della lunghissima cresta del
Brouillard. La sua domanda di entrare
a far parte dell’élite del CAAI, accompagnata dall’elenco di quelle salite di
grido, viene però respinta in modo irridente, arrivando a mettere in dubbio le
sue capacità con la beffarda chiusa della
lettera di risposta del segretario dell’Accademico: «mi congratulo soprattutto
per la felice scelta del compagno». Vallepiana, punto sul vivo, non ci pensa due
volte e gli risponde per le rime con una
raccomandata a stretto giro di posta:
«molto probabilmente Hans Pfann non
si sarebbe degnato di legare alla sua corda
né lo pseudo alpinista alla cui lettera io
rispondo né alcuno dei suoi compagni».
Pur avendo giurato che non sarebbe
mai entrato a far parte di quel consesso,
presto cambiò idea di fronte alle insistenze di un amico e venne così accolto
con grande benevolenza nell’Accademico dall’allora presidente Ettore
Canzio.
Nel frattempo, dopo gli studi superiori al liceo Michelangelo di Firenze,
si era iscritto alla facoltà di legge
dell’Università di Pisa; ma dopo un
po’, nell’inverno del 1912, la lasciò
per andare a studiare economia politica a Monaco di Baviera, dove fece
amicizia con i più forti arrampicatori
dell’epoca tra i quali Paul Preuss. Ma
più che studiare, ci racconta lui stesso,
fece finta di studiare; spese invece il suo
tempo con gli amici in montagna, nelle
Alpi bavaresi e in Tirolo, piuttosto che
nell’Oberland Bernese e in Engadina,
dedicandosi con passione allo sci alpinismo e alle gare di sci, dove conseguì
brillanti risultati.
L’amicizia con Preuss si tradusse poi
in alcune ascensioni rimaste memorabili che fecero insieme nell’estate del
1913 nel gruppo del monte Bianco, fra
cui in particolare la prima salita del Pic
Gamba, prima torre sulla cresta sud
dell’Aiguille Noire de Peutérey («Quella
LE MONTAGNE DIVERTENTI cresta la salirà qualcuno che adoprerà
dei chiodi; io preferisco rinunciare»,
affermò Preuss coerente al principio di
non usare mezzi artificiali), o ancora
una nuova via sulla cresta sud-ovest
dell’Innominata. Paul Preuss, caduto
nel 1913 dal Mandlkogel, Vallepiana
lo ricordò sì come un grande alpinista
ma, forse ancor più, come il «compagno
più semplice, più allegro, più scanzonato
e, oserei dire, più “birichino” che si possa
immaginare e desiderare».
“PENNA NERA”
l soldato fuggito agli Andossi, ora
cresciuto e trasferitosi a Torino,
divenne buono per la grande guerra.
Vallepiana, come altri compagni della
SUCAI (Sezione Universitaria del
CAI) partì volontario, non prima di
aver fatto testamento di fronte a un
notaio stupefatto, lui figlio unico,
insieme a sua madre vedova. Dovette
arruolarsi inizialmente nei “volontari
ciclisti”, perché il distretto di Firenze
ove era immatricolato non reclutava
truppe alpine; le “penne nere” lo accolsero però di lì a poco al corso Ufficiali a
Torino e, quale Accademico e “Senior”
della SUCAI, il Comando Supremo
Skiatori gli affidò per l’inverno 1915
il ruolo di istruttore di sci a Bardonecchia. Al fronte ci andò nel marzo
successivo al comando di un plotone,
nelle Giudicarie, e sebbene considerato
dai vecchi alpini soltanto un bagai,
«più giovane ancora d’aspetto che d’anni
e d’esperienza di montagna», Vallepiana
riuscì subito a farsi rispettare spendendosi per primo col suo esempio. Poi
nel 1916 passò nelle Dolomiti, sopra
Cortina, e lì fu protagonista con la
guida Joseph Gaspard (primo salitore
della cresta di Furggen al Cervino, che
aveva conosciuto nel 1913 sul ghiacciaio del Lys), della salita (divenuta
in seguito famosa) del “Camino degli
I
Alpini” alla Tofana di Rozes.
Bisognava stanare gli austriaci
arroccati sul Castelletto, che da quel
baluardo quasi inespugnabile controllavano l’accesso alla val Travenanzes da
dove sarebbe stato facile puntare verso
Dobbiaco. Nel mentre un gruppo di
soldati minatori scavava una galleria di
500 m fino alla camera di scoppio dove
una mina di 35 tonnellate avrebbe
fatto saltare in aria la parte sommitale
del Castelletto, Gaspard e Vallepiana
con una snervante scalata non priva
di difficoltà e di rischi, accompagnata
dalla successiva posa di scale e corde,
raggiunsero dopo 16 giorni un punto
strategico sulla cresta da cui si dominava il Castelletto, che venne attrezzato con due mitragliatrici, tenendo
così sotto tiro gli Austriaci fino alla
tremenda esplosione e all’assurda
carneficina dell’11 luglio 1916.
Quelle vicissitudini sono state
narrate da Enrico Camanni ne La
guerra di Joseph, «davvero un bel libro,
appassionante, interessante, commo­
vente» - com’ebbe a scrivere Norberto
Bobbio - che «narra una vicenda
esemplare della tragicità, dell’effera­
tezza, dell’assurdità della prima guerra
mondiale»; una vicenda da cui, prima
ancora che quello del soldato, emerge
il valore dell’uomo. In quell’irragionevole guerra di posizione dove ci
si scannava per un inutile pezzo di
roccia o un’arida distesa di pietre,
rifacendosi al buzzatiano Deserto dei
Tartari Camanni si chiede: «Chi era
Vallepiana, se non uno dei tanti tenenti
Drogo impantanati sulla montagna in
attesa di un giorno decisivo? E cos’era il
Castelletto se non una Fortezza Bastiani
affacciata sul nulla?».
Vallepiana partecipò poi alla battaglia della Bainsizza e nell’ottobre del
1917, al monte Nero
cadde prigioniero, guadagnandosi
Ugo di Vallepiana (1890 - 1978)
13
Personaggi
Speciali
l’elogio del comandante delle truppe
nemiche per il comportamento fiero
ed esemplare della sua compagnia.
Dopo la guerra pubblicò su L’Al­
pino alcuni aneddoti sul suo vissuto
di guerra, che raccolse poi in un volumetto del 1930, Nostalgie di penna
nera. Non parlò del Camino degli
Alpini (sulla cui scalata, pur richiesto
nel 1923 dalla Rivista Mensile del CAI,
non volle scrivere - reticente ad ogni
forma di autoincensamento - se non
un elogio di Gaspard); narrò invece un
altro episodio vissuto «con il fedelissimo
fra i suoi soldati». Erano di pattuglia
sulla Tofana di Rozes, a fine maggio
1917 - notte tempestosa, neve e grandine, elettricità nell’aria - quando un
fulmine colpì il tugurio dove s’erano
riparati, trafiggendo Gaspard. «Due ore
di respirazione artificiale lo strappano
alla morte; dalla bocca contratta usciva,
sotto la pressione del movimento meto­
dico, odor di bruciato come respiro di
cadavere». Furono - ricorda Vallepiana
- due ore di orrore, fra le più tragiche
della sua vita. Gaspard invocava la
moglie, i poveri figli, ma quando
Vallepiana stava per partire nella notte
tempestosa alla ricerca di soccorsi
Gaspard - eroe senza saperlo - lo invitò
ad attendere il giorno prima di uscire,
«dimenticando se stesso e la propria
salvezza e chiamandolo per nome come
un fratello: Oh, n’allez pas, il est trop
dangereux, il y a trop de neige, attendez
le jour».
14
LE MONTAGNE DIVERTENTI QUATTRO STAGIONI
D
opo gli anni della grande
guerra, Ugo di Vallepiana
continuò a coltivare la passione per la
montagna. Nel 1930 il suo brillante
curriculum alpinistico, che presentò
all’Alpine Club di Londra per l’ammissione in quel prestigioso consesso,
elencava «la maggior parte delle princi­
pali cime delle Alpi, sia in estate che in
inverno», senza peraltro indicare, quasi
per una sorta di pudore, le numerose
prime ascensioni e vie nuove; inutile
aggiungere che ebbe la piena approvazione del colonnello Strutt (comandante in seconda della spedizione
all’Everest del 1922), il quale vergò di
suo pugno che «il candidato ha fatto
tutti i quattromila».
Molte di quelle cime le aveva
raggiunte con gli sci; se non precursore,
Vallepiana fu comunque un convinto
sostenitore dell’alpinismo invernale e
dello sci alpinismo, che gli permettevano così di frequentare la montagna
in tutte le quattro stagioni, ogni domenica, senza soluzione di continuità.
Nel 1921 aveva pubblicato con la
SUCAI un fortunato Manuale di sci
(negli anni successivi ben 5 edizioni!)
che - come scrisse in Cento anni di
alpinismo giovanile il nostro professor
Bruno Credaro, «amico da sempre e
per la pelle» di Vallepiana - «insegnava
con estrema chiarezza la tecnica fonda­
mentale dello sciatore alpinista, tanto che
fu sempre il libro di testo obbligatorio per
i miei studenti sciatori».
Delle numerosissime uscite invernali,
che Vallepiana annotò puntualmente
nel suo personale carnet des courses,
troviamo traccia anche in alcuni articoli sulla Rivista Mensile, taluni scritti
di suo pugno, taluni a firma di suoi
compagni. Lo accompagniamo così
in un “Vagabondaggio sciistico in Val
d’Ultimo e Val Martello”, piuttosto
che in mezzo alle bufere delle Alpi
Aurine quando nel gennaio 1923, col
«fiero giudice» Umberto Balestreri,
«nome luminoso della magistratura di
un tempo e dell’alpinismo italiano di
sempre», raggiunse con gli sci la cima
dei Tauri e la vetta d’Italia.
Più volte ritroveremo ancora
insieme i due, in Valpelline a spigolar
«prime» con Erminio Piantanida,
oppure al Gran Paradiso nel febbraio
1925 quando - insieme a Ester della
Valle di Casanova, Erasmo Barisone
e Italo Brosio - ne fecero in traversata la prima ascensione invernale,
questa volta senza sci però, perché ad
Aosta gli avevano detto che in alto non
c’era neve a sufficienza per i legni. O
ancora, a Zermatt, quando i due amici
di ritorno dalla Dent Blanche si sentirono ben in «diritto di avere un certo
appetito», e consumarono non uno
ma addirittura due pranzi completi
a testa, vedendosene però addebitato
uno solo in quanto la locandiera - «Oh!
gran bontà dei “tavernieri antichi”» -­
non ammetteva che un alpinista non
potesse sfamarsi con un diner
complet della sua rispettata pensione!
Legati sì
Inverno 2015
dalla
passione
per la montagna, ma anche da
«una concezione di vita per la quale esiste
un solo imperativo: il dovere», eccoli poi
guidare sul Cervino Giovanni Bobba,
«personificazione vivente del vecchio
Piemonte austero ed integerrimo», il
quale, nonostante i suoi sessant’anni,
«compì l’ascensione brillantemente anche
se i due impertinenti che lo accompagna­
vano si erano detti che sembrava loro di
essere due locomotive (i famosi “masto­
donti dei Giovi”, quelle speciali loco­
motive, che servivano per trascinare e
spingere i treni merci su per la ferrovia
che da Genova sale a Busalla)».
Così come, forte dell’esperienza sciistica, ne aveva illustrato
la tecnica nel Manuale di sci, allo
stesso modo, temprato e fatto esperto
dalla montagna d’inverno, nel 1925
pubblicò sulla Rivista Mensile “Alcuni
consigli per chi intraprenda ascensioni
invernali”. Dopo aver passato meticolosamente in rassegna l’equipaggiamento - comprensivo di una «Tasca di
riparazione contenente: coltello, martello,
sega, succhiello, cacciavite, chiodi, viti,
ecc. (solo per comitiva numerosa)» concludeva che «le grandi ascensioni
invernali richiedono esperti alpinisti,
sciatori molto resistenti, una lunga e fati­
cosa preparazione, un equipaggiamento
completo, grande prudenza e coraggio.
Ed oltre a ciò, fortuna!»
Quanto all’abbronzatura, che un
tempo era considerata sconveniente,
tanto che ci si copriva il viso per ripararlo dal sole e dal riverbero della
LE MONTAGNE DIVERTENTI neve,
Vallepiana ricorda che un
bel giorno si ribellò a questa
servitù; e capitò che «un tale, mosso
a compassione della mia pelle piuttosto
rovinata mi disse: “A l’è un gran brut
mal” al che non feci altro che rispondere:
“Era, però, molto bella”; io pensavo alla
montagna scalata; credo che il mio inter­
locutore l’abbia capita diversamente». Altri suoi contributi trattano della
ginnastica presciistica o delle marce in
montagna, piuttosto che della tecnica
dei ramponi, quando il loro utilizzo
non era così scontato e gli antiramponisti adducevano «a conferma delle
loro premesse piccozzistiche, le mera­
vigliose scalate di ghiaccio, eseguite in
tempi ormai quasi lontani, da guide
famose e con duro lavoro d’ascia, come,
ad esempio, il Piz Roseg dalla parete
N»; ma Vallepiana, in linea coi tempi,
invitava a procurarsi - magari facendoseli forgiare nella “fucina di Vulcano”
del vecchio Grivel «un paio di veri
ramponi, che siano, cioè, degni di questo
nome».
Tra una gita e l’altra, Vallepiana
trovò anche il tempo di compilare delle
guide: nel 1925 Dolomiti di Cortina
d’Ampezzo, nel 1928 Guida sciistica
della Valle Gardena e infine, nel 1929 questa volta ai confini con l’Alta Valtellina - Valle di Monastero, Valle Venosta:
Guida Sciistica Schematica.
Trovò pure il tempo per occuparsi
dei rifugi alpini, in particolare di
quelli in Alto Adige già di proprietà
del DuÖAV, e grazie al suo interessamento la Dusseldorfer Hütte sopra
Solda venne assegnata alla Sezione
di Firenze del CAI che la ribattezzò
rifugio Serristori.
Nel 1930 Vallepiana compì un tentativo alla parete nord del Monviso;
erano due cordate: Aldo Bonacossa
con Vitale Bramani, e lui con Willy
Jervis. Fermo sul piccolo ghiacciaio
pensile a far sicurezza al compagno,
«ad un tratto, senza nemmeno un sibilo
premonitore, mi sono ritrovato con in
mano la parte superiore della piccozza
il cui manico una pietruzza invisibile,
caduta dall’alto con la velocità di un
proiettile, aveva tagliato di netto». Gli
era andata di lusso, e almeno per quel
giorno pensarono bene di chiuderla col
Monviso, concludendo filosoficamente
che «la montagne n’a pas voulu» (pure
gli era andata di lusso, anni prima,
quando risucchiato con la sua canoa
sotto i barconi del ponte di Bereguardo
se l’era cavata per il rotto della cuffia,
ringraziando il Ticino che «n’avait pas
voulu»).
Ancora con Bonacossa, ma questa
volta c’è pure Ninì Pietrasanta,
nell’ottobre del 1931 compì il primo
percorso integrale della rocciosa cresta
SE del Corno di Campo in val Viola
Poschiavina.
Fra il 1925 e il 1938, Vallepiana fu
uno dei principali animatori dello Sci
CAI Milano che, sotto la sua presidenza, conobbe un periodo di attività
intensissimo; la grande sobrietà e l’intonazione spartana che vi aveva introdotto con intenti egualitari (come già
fra i suoi alpini in guerra), fecero sì che
quel sodalizio «fosse dagli sciatori gode­
recci, soprannominato “Sci Club Pane e
Cipolle”, soprannome del quale eravamo
fierissimi». Non c’era domenica che
non si organizzasse una gita, tutti allineati al suo motto “Nulla festivitas
sine cacumine” (nessuna festa senza
una vetta). E quante ne raggiunsero! E
quali! «tutte, ben inteso, in pieno e vero
inverno»; ma la gita più memorabile fu
quella su per il crepacciatissimo ghiacciaio dell’Eiger, con i turisti alla Kleine
Scheidegg incollati ai cannocchiali a
seguire con apprensione «quei pazzi
d’italiani»!
Forse meno memorabili, ma a noi
ugualmente care, le gite sociali di Vallepiana fra le nostre montagne, come
quella alla punta Kennedy immortalata in una sua foto sul ghiacciaio
del Ventina, oppure quella alla cima
Piazzi raggiunta da Arnoga per la val
Verva, ricordata dal professor Credaro
in una sua pagina dove elogiava «l’ar­
dita impresa del conte di Vallepiana e dei
suoi compagni» per aver «fatto entrare
Ugo di Vallepiana (1890 - 1978)
15
Personaggi
Speciali
di colpo la bella montagna nel numero
delle classiche salite sciatorie».
Per partecipare a quelle gite era
necessaria una certa preparazione, e
allora Vallepiana aveva introdotto,
mutuandolo dallo Sci Club d’Inghilterra, una sorta di esame di
ammissione, con prove di telemark,
christiana, voltate d’appoggio e salto
d’arresto.
Refrattario
all’autocelebrazione,
già più che ottantenne si lasciò
convincere a pubblicare Ricordi di
vita alpina, una deliziosa raccolta di
bozzetti autobiografici ricchi di aneddoti, dallo stile scorrevole e antiretorico, talvolta pungente e sferzante,
da cui traspare pienamente il suo
carattere fermo ed inflessibile, ma nel
contempo ironico e scanzonato.
Alcuni episodi particolari delle
sue avventure di montagna, rievocati in quei bozzetti, sono legati alla
Valtellina come quando, travolti lui e
l’amico da una valanga nelle Orobie
che li aveva trascinati in canaloni
diversi, si confessarono a posteriori che, ritrovatisi ciascuno sano e
salvo ma convinto della cattiva sorte
dell’altro avevano pensato entrambi:
«È terribile, però in fondo è meglio che
sia successo a lui che non a me»!
Evidentemente le valanghe dovevano avere una sorta di rispetto per
lui, se anche un’altra volta, nel gruppo
delle Vedrette Giganti, una «valanga,
evidentemente di ottima famiglia e
molto bene educata, ci scodellò con
tanta dolcezza finale accanto ai nostri
sci, da non essere nemmeno emozionati
per quello che era successo».
Ancora le Orobie furono teatro di
un altro incidente (questa volta non
propriamente di montagna). Si era
durante la guerra, voluta da «quel
tale che si chiamava “Duce”» e che,
con le sue leggi razziali, aveva fatto
espellere dal CAI nel 1938 Ugo
Ottolenghi di Vallepiana reo - lui
invece n’era fiero - di essere «italiano
ed ebreo». Ebbene, Vallepiana e un
amico, in gita con gli sci, stavano
passando vicino a una diga presidiata
dalla milizia fascista, quando vennero
fermati, arrestati per spionaggio e
tradotti in carcere a Sondrio sotto
scorta armata.
La situazione non era certo piacevole, anche se durante quel soggiorno
16
LE MONTAGNE DIVERTENTI non voluto gli venne concesso di
farsi portare il cibo da una trattoria
vicina, della cui abbondanza poté
avvantaggiarsi pure un coinquilino,
«simpaticissimo
contrabbandiere».
Furono interrogati personalmente
dal questore e dal prefetto - due
«valent’uomini» come li chiama ironicamente Vallepiana - interessati a
«dimostrare come essi fossero inso­
stituibili e come fossero riusciti a
salvare la Patria». Fortuna volle che,
al comando dei Carabinieri, furono
invece interrogati da un colonnello
il quale «indipendentemente dal fatto
come si palesasse essere egli un deciso
anti-fascista, ci disse chiaramente che
era convinto che noi non avessimo
avuto alcuna intenzione di fare dello
spionaggio, ma che la nostra situazione
era pericolosa in quanto c’era troppa
gente che aveva interesse a gonfiare
le cose». Per farla breve, il prefetto
chiamò addirittura da Roma un ufficiale dei Carabinieri del contro-spionaggio per interrogarli, il quale, già
messo però al corrente del caso dal
colonnello, li scagionò dall’accusa e
ne dispose la liberazione, «con grande
dispetto di coloro (Prefetto, Questore e
Uffi­ciale della milizia) i quali avevano
sperato che il nostro caso avesse potuto
loro servire e che, per correttezza,
avrebbero dovuto almeno domandarci
scusa per il granchio preso».
Quando, già anziano, Vallepiana
scrisse questi appunti, si dispiaceva
di non ricordare il nome del colonnello, che sapeva nel frattempo esser
morto. Chi altri poteva essere se non
Edoardo Alessi, comandante del
Gruppo
Carabinieri di
Sondrio che, dopo aver rifiutato il
giuramento di fedeltà alla Repubblica
Sociale Italiana, dovette riparare in
Svizzera, per rientrare poi in Valtellina, nel febbraio 1945, su richiesta
del C.L.N., assumere il Comando
della 1ª Divisione Alpina Valtellina
Volontari della Libertà con il nome
di battaglia “Marcello” e finire i suoi
giorni in un misterioso agguato a
Colombera di Sondrio all’alba del 26
aprile?
DAL CAUCASO AL NOVE
SETTEMBRE
Intrigato dall’amico Poldo Gasparotto per una puntata nel Caucaso,
che già aveva ammaliato celebri alpinisti quali Freshfield, Mummery e
Déchy o, fra gli italiani, Vittorio
Sella e Vittorio Ronchetti, anche
Ugo di Vallepiana, nel 1929, non
aveva potuto sottrarsi al fascino di
quell’elevata regione montuosa a
cavallo tra Asia ed Europa. Lui, con
un tocco di understatement piemontese, la fece passare semplicemente
per un’escursione extra-alpina, che
fruttò loro (insieme ad Albert Rand
Herron e a Rolph Singer) l’inviolato Ghiulcì - descritto da Sella come
«magica visone sopra i tetti di Nalchik»
- seguito da una vetta di m 4150 che
battezzarono punta Ronchetti1 e
dalla punta degli Italiani. Vallepiana a quel punto dovette rientrare
in Italia, mentre l’amico effettuava la
prima discesa dall’Elbruz con gli sci.
Con Gasparotto, Vallepiana condi1 - La punta Ronchetti fu così battezzata in onore
del medico ed entomologo milanese che nel Caucaso c’era stato ben 5 volte, portandosi
appresso come guide una volta Stefano
Schivalocchi di Premadio, un’altra
Bernardo Confortola di Uzza.
Inverno 2015
vise negli anni successivi diverse
uscite sci alpinistiche, come ad
esempio al Gran Combin, il 16
aprile 1933, lo stesso giorno in cui,
lo avrebbe appreso al ritorno, un
crepaccio sul Bernina aveva inghiottito l’amico Umberto Balestreri. L’ultima salita con Gasparotto, quando
già l’Italia era in guerra, Vallepiana la
fece il giorno di Ferragosto del 1942
alla punta dei Cors; il mese precedente erano stati sul Disgrazia e sulla
cima di Valbona.
Se gli anni della Grande Guerra,
per quanto sostenuti da un ideale,
«non furono certo eccessivamente piace­
voli», quelli della Seconda Guerra
Mondiale, «certo né voluta né sentita
dal popolo italiano, e ciò nonostante
lo stamburamento retorico», furono
invece tragici.
Più d’uno dei suoi compagni di
cordata aveva scelto di impegnarsi
attivamente contro il fascismo; tra
loro, anche Gasparotto che, nell’angosciosa incertezza del 9 settembre
1943 (il generale Ruggero, a cui un
comitato cittadino aveva chiesto di
organizzare la difesa di Milano contro
l’occupazione tedesca, tenne un atteggiamento ambiguo e infido) tentò di
annodare le fila della resistenza organizzando un centro d’arruolamento
con il supporto dell’avvocato Mario
Boneschi. Ricorda quest’ultimo che
ad un certo punto arrivò «un signore
che mi si presentò come Ugo Ottolenghi
di Vallepiana [...] un patriota lega­
litario che appariva molto turbato e
intimamente combattuto». Vallepiana
era rimasto in buoni rapporti con il
corpo d’armata, nonostante per volere
di Mussolini in persona fosse stata
in precedenza respinta la proposta
di una sua promozione “per meriti
speciali” da capitano a maggiore, e
con l’approvazione delle leggi razziali
fosse addirittura stato radiato dall’esercito. «Egli - continua Boneschi
- si dichiarò seriamente preoccupato
rivelandomi che il generale gli aveva
confessato di avere intenzione di non
darci neppure una cartuccia». Ciò che
accadde dopo è fin troppo noto.
Vallepiana riuscì a salvarsi dalla
tragica sorte riservata agli ebrei;
Gasparotto invece, catturato dalla
polizia fascista, venne trucidato
a freddo dai nazisti a Fossoli il
LE MONTAGNE DIVERTENTI La Diva armonia: arrivo in vetta sulla punta Dufour (monte Rosa). Sullo sfondo il Cervino (foto
scattata da Ugo di Vallepiana e tratta da Ricordi di vita alpina, Editore Tamari, 1972).
22 giugno 1944. Anche un altro
compagno di cordata di Vallepiana,
Willy Jervis, che aveva aderito alla
resistenza come Gasparotto nelle fila
del Partito d’Azione, finì tragicamente i suoi giorni «per aver servito
un’idea», fucilato dai tedeschi il 5
agosto 1944 a Villar Pellice.
LA “DIVA ARMONIA”
Non bastarono l’immane tragedia
della guerra e della Shoah, la perdita
dei compagni di cordata, a scoraggiare
Vallepiana e a tenerlo lontano dalle
montagne. Nel gennaio 1957 l’elenco
delle sue ascensioni raggiunse quota
1000; una bella foto lo ritrae, sci ai
piedi, mentre i compagni gli tributano un picchetto d’onore attraverso
un arco di sci alzati.
Nel 1960 il CAAI, che quasi
cinquant’anni prima l’aveva inizialmente respinto, lo chiamò alla
massima carica; nel 1964 venne poi
nominato socio onorario del CAI
insieme ai nomi illustri di Alfredo
Corti, Aldo Bonacossa, Günter Oskar
Dyhrenfurth, John Hunt e Guido
Bertarelli.
La vecchiaia però avanzava e lui,
«vecio can d’la naia» e alpinista di
vecchio stampo che aveva ancora la
forza di gridare dalla Rivista Mensile
«Sveglia! (per un Club Alpino più effi­
ciente)», di fronte alle cose che non
andavano confidava all’amico Corti:
«Forse troppe cose e il Club Alpino
Italiano con esso non rispondono più
ai nostri ideali: è il mondo che cambia
e noi non siamo quelli che cambiano
con esso». I suoi ultimi anni, dopo la
perdita della moglie e la progressiva
cecità, furono tristi e solitari. Se ne
andò, ottantasettenne, nel 1978.
Ugo Ottolenghi di Vallepiana «Italiano ed Ebreo; forse discendente
da una delle tre tribù guerriere» - ci
ha lasciato molte belle fotografie, che
vennero elogiate anche sull’Alpine
Journal per «la sensibilità nella compo­
sizione e l’impeccabilità della tecnica».
Una tra le più famose ritrae l’arrivo
di alcuni alpinisti al tramonto sulla
vetta della Dufour, col Cervino fra i
vapori sullo sfondo. È un’immagine
suggestiva, che volle intitolare la Diva
armonia.
«Perché andiamo in montagna?» si
chiedeva Vallepiana nell’incipit del
suo libro chiamando a testimone
l’amato Carducci.
Perché lassù fra «l’erme alture»,
nell’apoteosi del creato, vi puoi forse
incontrare «Pan l’eterno», che «il
dissidio o mortal delle tue cure / nella
diva armonia sommergerà».
Ugo di Vallepiana (1890 - 1978)
17
Racconti
Speciali
Racconti inediti
di Antonio Boscacci
Disegni e introduzione Luisa Angelici
P
er questo numero di dicembre
ho scelto Natale, una favola
breve ma molto intensa e dal finale
fulminante, che trae spunto dal
racconto Il lupo e l’agnello di Esopo:
“Un lupo vide un agnello che beveva
sulle rive di un fiume e decise di
mangiarselo con un pretesto ragione­
vole. Si pose perciò più in alto di lui e
incominciò ad accusarlo di intorpidire
l’acqua impedendogli così di dissetarsi.
- Ma se bevo a fior di labbra! - osservò
l’agnello.
- E poi come posso, stando più in basso,
rendere torbida l’acqua sopra di me?
Vedendo venire meno questo pretesto,
il lupo riprese:
- Un anno fa hai insultato mio padre.
E l’agnello ribattè che non era ancora
nato a quell’epoca.
- Anche se tu sai trovare un mucchio
18
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI di scuse, sbottò il lupo, non rinuncerò
certo a mangiarti!
La favola dimostra che una giusta
difesa non vale nulla presso quanti
hanno già deciso di fare del male”.
E
sopo, prolifico scrittore greco
vissuto nella prima metà del
VI secolo a.C., ha dato il via, in
Occidente, al genere letterario della
favola: un testo brevissimo, in prosa
o in poesia, i cui protagonisti, per la
maggior parte animali, vengono coinvolti in situazioni tali da fornire all’autore il pretesto per esprimere una
morale o un insegnamento.
Ad ogni genere di animale Esopo
associa un carattere, un comportamento tipicamente umano. Così il
lupo è prepotente, l’agnello è debole,
la formica è previdente, la cicala una
perditempo…
Più tardi Fedro, autore vissuto a
Roma nella prima metà del I secolo
d.C., ha riportato in latino le favole
di Esopo, modificando e aggiungendo qualcosa di suo. La morale
per la sua favola del lupo e l’agnello,
ad esempio, recita: “Questa favola è
stata scritta per quegli uomini che con
pretesti gli innocenti opprimono”.
La favole di Fedro hanno dato voce
alla protesta, alla ribellione contro
il potere, sono state un’allegoria per
denunciare l’oppressione dei più
deboli da parte dei prepotenti: nulla è
cambiato, anche dopo più di duemila
anni di storia!
Anche nella favola di Antonio c’è
una morale: non ci si deve mai fidare
delle lusinghe e del pentimento dei
prepotenti; se i cattivi sono cattivi, lo
sono sempre, anche a Natale.
Natale
19
Speciali
Racconti
Natale
Antonio Boscacci
L’anno era passato come spesso passano gli anni.
Né bene né troppo male.
Dolori e angosce.
Carezze e lacrime avevano seguito lo svolgersi delle stagioni.
Il lupo aveva fatto il lupo (non sapendo fare niente di diverso).
L’agnello aveva continuato a fare l’agnello (anche lui altro non sapeva fare).
Il mese di Gennaio era trascorso con la neve.
Così Febbraio.
E Marzo (ma già verso metà del mese era spuntata la prima erba).
Ad Aprile l’agnello era andato al pascolo (il lupo lo guardava, ma il pastore lo proteggeva).
Lo protesse a Maggio.
A Giugno.
Passò Luglio.
E Agosto.
Venne Settembre.
A Ottobre la prima neve.
Poi a Novembre ne venne dell’altra.
E di più a Dicembre.
Venne Natale e l’agnello vide il lupo affamato al limite del bosco.
Gli andò incontro per salutarlo (lui non aveva paura del lupo).
- Buon Natale, gli disse.
- Buon Natale a te.
Non era mai successo.
E allora si abbracciarono.
Il lupo pianse.
Dai suoi occhi scesero grosse lacrime.
Bagnarono la sua faccia e il suo pelo.
Poi spalancò la bocca.
E si mangiò l’agnello.
20
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Natale
21
Testimonianze di guerra
1943-1945: l’epilogo della
guerra in Valmalenco
Speciali
Silvio Gaggi
iamo nelle ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale. L’8 settembre 1943 viene annunciato
S
l’armistizio dell’Italia e contestualmente fondata la Repubblica Sociale Italiana (RSI). L’RSI è una
sorta di stato “fantoccio” voluto dalla Germania nazista che affida a Benito Mussolini il governo dei
territori italiani ancora sotto il controllo tedesco: il nord e parte del centro Italia. Man mano gli Alleati
risalgono e conquistano lo Stivale, i fascisti fuggono e si rifugiano nel nord Italia, dove vengono
accolti e forzatamente ospitati generando il malumore della popolazione.
L’RSI si dota presto di un esercito regolare, l’Esercito Nazionale Repubblicano (oltre 500 mila
uomini impegnati a combattere contro gli Alleati), e di una forza armata, la Guardia Nazionale
Repubblicana, che svolge una spietata azione di polizia interna contro i partigiani. Il 30 giugno 1944
vengono inoltre istituite la Brigate Nere, un corpo paramilitare ad arruolamento volontario, anch’esso
contrapposto alle forze partigiane. È costituito da 41 brigate, una per ogni provincia. Tra i brigatisti si
arruolano “fondamentalisti fascisti” che si rendono responsabili di abusi, crimini e violenze verso la
popolazione e in particolare verso chi desta in loro anche solo il minimo sospetto di aver aiutato la
Resistenza. È un periodo di terrore, anche nella nostra provincia, che durerà fino al 25 aprile 1945,
giorno della liberazione.
Riporto in questo articolo alcune testimonianze inedite di chi come me ha vissuto in prima
persona l’epilogo della Seconda Guerra Mondiale in Valmalenco. È bene che questi ricordi vengano
tramandati per far conoscere anche alle generazioni future la brutalità della guerra.
TESTIMONIAZA DI ALBERTINA
SEM “BERTA” – CLASSE 1934
R
acconta Berta che dopo l’8
settembre 1943 giunsero a
Chiesa in Valmalenco circa 200 sfollati fascisti che fuggivano all’avanzata
degli Alleati. Provenivano da Prato e
Firenze, perciò eran detti i Fiurentìn.
Furono distribuiti in valle secondo i
criteri decisi dal regime.
Una cinquantina di questi sfollati furono destinati a Primolo, dove
arrivarono a piedi con un semplice
fagotto/valigia contenente gli indumenti personali.
Grazie ai privilegi derivanti dalla
loro posizione all’interno del regime,
presero possesso di abitazioni private e
alberghi, fra le quali la casa del Seve­
renu, due appartamenti nella casa di
Carlo Sem (falegname) e un appartamento nella casa di Riccardo Pedrolini (Caiser). I rimanenti alloggiarono
negli alberghi Primolo e Belvedere.
Nella casa di Pedrolini abitava un certo
Mariani, che fungeva da responsabile
e mediatore tra sfollati e popolazione
per tenere l’ordine fra i paesani, ma
visto il momento caldo anche per lui
22
LE MONTAGNE DIVERTENTI non fu facile essere un giusto arbitro1.
I fascisti presidiavano l’intera zona,
in modo da controllare gli espatri clandestini in Svizzera, allora frequenti per
evitare di essere catturati e mandati
prigionieri in Germania.
Nel giro di pochi giorni gli sfollati,
appoggiati dal regime e armati fino ai
denti, imposero la loro legge a Primolo
e dintorni. Gli abitanti terrorizzati
subivano ogni sopruso, in un clima di
omertà assoluta. I nuovi arrivati razziavano tutto quello che gli capitava sotto
mano: pecore, capre e galline. Con
freddezza uccidevano le bestie altrui
sotto gli occhi dei proprietari.
Mentre i contadini mungevano, i
fascisti entravano nelle stalle a prendere il latte fresco, privandone così le
famiglie. Se riuscivano a individuare
le cantine, ben nascoste in mezzo alla
contrada, le sorvegliavano a turno
finché non giungeva il proprietario.
Quindi entravano in azione facendo
razzia delle provviste. Inoltre rubavano sistematicamente la verdura negli
1 - Consapevole di aver troppo tollerato i crimini
perpetrati dagli sfollati fascisti, dopo 40 anni
Mariani è tornato a Primolo e ha chiesto pubblicamente scusa a tutto il paese.
orti e le patate e la segale nei campi. I
proprietari, del tutto inermi e indifesi,
avevano come unica rivalsa, a patto
di non esser sentiti, quella di poterli
apostrofare come robapatati.
Anche la macellazione del maiale,
praticata da tutte le famiglie, doveva
avvenire di nascosto, nei sotterranei
delle cantine al centro della contrada.
Questo per non far udire le strida della
bestia sgozzata, altrimenti gli sfollati
sarebbero accorsi rivendicando metà
del prodotto.
Gente senza scrupoli dunque, indottrinata dal regime, che acquisiva tutti
i privilegi senza alcun dovere. Nei
negozi alimentari prelevava i migliori
alimenti, tra cui il pane bianco che era
solito essere sfornato per le partorienti
o i malati gravi e pesantemente razionato tramite l’uso di apposite tessere
personali.
I fascisti erano persone spietate e dal
grilletto facile. Addirittura sparavano
in aria minacciando la gente della
contrada mentre raccoglieva la legna o
lo strame per il letto delle mucche.
Sparavano anche per intimorire i
bambini perché non tolleravano che
giocassero sulla strada al di là della
Inverno 2015
Chiesa e Primolo nel 1935 (cartolina archivio Silvio Gaggi).
valle di Somprato, di fronte all’albergo
Belvedere.
Berta dice che si possono notare
ancora i segni delle fucilate sui parapetti della strada vicino all’acqua della
Madonna, sui muretti di terrazzamento sopra la casa di Lino Lenatti, a
sinistra della valle del Rovinaio.
C’erano dei giovani rimasti in paese
perché esonerati dall’arruolamento,
ma, nonostante ciò, in questo periodo
potevano comunque essere arrestati e inviati in Germania. Questi,
per sottrarsi alla cattura, dormivano
in un sotterraneo chiuso da grosse
pietre posto sotto il forno della Lüzia
nel centro della contrada, mentre di
giorno lavoravano in miniera o erano
uccel di bosco.
Noi tutti eravamo ossessionati dalla
presenza dei fiorentini. Ci avevano
annientati: era nostro dovere tacere,
obbedire, soffrire e patire la fame.
Basti pensare che anche presso l’ambulatorio medico, aperto due giorni a
settimana, non rispettavano il proprio
turno e con prepotenza s’appropriavano del diritto di precedenza anche
rispetto ai malati più gravi.
Nonostante tutto, i paesani si erano
adeguati con pazienza e sopportazione
per non incorrere in ritorsioni.
Nel 1944, con il sopraggiungere delle Brigate Nere in valle le
cose peggiorarono e iniziarono le
rappresaglie.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Un brutto episodio fu quello
successo sotto la casa del Pedrolini
(Caiser). Una mamma di Primolo
stava cercando di calmare un litigio
scoppiato fra i bambini del paese e
i figli degli sfollati mentre stavano
giocando.
Intervennero allora i fascisti che
non risolsero la questione con il buon
senso, bensì con la prepotenza. Come
esemplare punizione il figlio diciottenne della madre intervenuta, benché
non c’entrasse nulla con l’accaduto, fu
mandato in Germania come prigioniero [n.d.a. fu uno dei fortunati a
sopravvivere e rientrare in Valmalenco
al termine della guerra].
Gli sfollati rubavano persino metalli,
oro, cinte da giardino, inferriate,
pentolami di rame e sottraevano le
vere d’oro alle donne sposate. Come si
può notare, dunque, gli abitanti tranquilli e onesti di questo piccolo centro
abitato, isolato e privo di comodità,
che sopravvivevano esclusivamente
di agricoltura e pastorizia, a causa
dell’invasione di questi sfollati vissero
il periodo peggiore della loro esistenza,
perseguitati dalla fame e dalla paura.
Berta ricorda che a Primolo risiedevano alcuni ebrei che vivevano nascosti
per non essere prelevati e mandati nei
campi di concentramento. Un esperto
restauratore, che alloggiava all’albergo
Primolo, fu nascosto dal parroco sul
ripiano del campanile, dove rimase
fino alla liberazione. Questi, in segno
di ringraziamento, si fermò dopo la
guerra per restaurare la facciata esterna
del Santuario.
La famiglia Carpi, alloggiata nella
casa paterna del falegname Sem, posta
sotto il Santuario, saputo dell’arrivo
degli sfollati fascisti, espatriò in Svizzera attraverso il passo del Muretto,
accompagnata dallo zio Fortunato
Sem che conosceva bene il percorso.
Sparsi nella contrada ne vivevano altri,
ma col sopraggiungere dei fascisti,
svanirono nel nulla.
Due slavi istriani, infine, erano
nascosti nella casa di Assalonne Canovo
(Tona), sotto il Santuario. Continuarono ad abitare la casa anche nel dopoguerra, fino al 1950 ca. [Conobbi
anch’io queste persone perché disegnavano per la mia famiglia gli oggetti in
pietra ollare, in collaborazione con le
sorelle Franzoni].
Berta racconta anche di Valentino
Canovo (Tin). Era un tipo smilzo,
piccolo, ben conosciuto perché amava
bere. Quando veniva trovato in strada
alticcio, i fascisti lo rimproveravano e
gli raccomandavano di non bere altrimenti l’avrebbero condotto in prigione
a pane e acqua. Allora lui rispondeva
“U che béél purtém sübét in présun,
èrce madòsche, a ca mia gh’è gné pègn
e gné acqua” (Oh! Che bello portatemi
subito in prigione, è una fortuna, a
casa mia non ho né pane né acqua).
1943-1945 l'epilogo della guerra
23
Testimonianze di guerra
Speciali
La dogana tedesca ai Carot (tutte le illustrazioni sono di Silvio Gaggi).
TESTIMONIAZA DI ADOLFO
BAGIOLO (NOFI) – CLASSE 1930
Nel periodo della Seconda Guerra
Mondiale, come ricorda Adolfo
Bagiolo, l’Hotel Malenco era sede del
comando della milizia fascista, mentre
le ville Pesenti erano occupate dai tedeschi della Gestapo.
Dopo l’8 settembre 1943 anche nei
nuclei più sperduti della Valmalenco,
che sino ad allora - nonostante la
guerra in corso - avevano vissuto nella
normale quotidianità, si diffuse confusione, paura e terrore. Nell’ottobre del
1943 i tedeschi iniziarono a presidiare
la via per il passo del Muretto, installando anche una dogana ai Carot. Affidarono inoltre a due pastori il compito
di controllare chi transitava a Entova
(mansione che non venne certo svolta
con zelo).
I perseguitati dai nazi-fascisti cercavano in tutti i modi di fuggire in Svizzera e la gente del posto si impegnava
per aiutarli.
Adolfo racconta che suo padre
condusse a Chiareggio sei inglesi che
volevano attraversare il confine. Questi
indossavano scarsi indumenti, riparati dal freddo solo con stracci e senza
scarpe.
A Chiareggio ad attenderli c’era
Adolfo con Roberto Schenatti (Chin­
cherli), il quale curava le mucche dei
fratelli Lenatti (Bracei).
24
LE MONTAGNE DIVERTENTI Adolfo e Roberto accompagnarono
gli inglesi fino all’alpe dell’Oro, dove
si fermarono una notte dai Bracei. Al
mattino presto, sempre guidati dagli
alpigiani, gli inglesi raggiunsero il
passo del Muretto, per poi proseguire
da soli in terra elvetica, liberi e tranquilli d’esser fuori pericolo.
Adolfo sottolinea che al tempo i
giovani come lui erano del tutto ignari
dei guai a cui sarebbero andati incontro
se fossero stati intercettati dai tedeschi
delle S.S., per cui aiutavano la gente a
espatriare senza troppe preoccupazioni.
I più grandi, invece, erano consapevoli dei rischi e talvolta, messi alle
strette, avevano preferito gettare la
spugna anziché esser scoperti.
Ad esempio Piero Bagiolo (‘l Munéch)
una volta condusse un gruppetto di
greci verso il passo del Muretto, ma
resosi conto che il rischio di esser visto
dalle S.S. si era fatto concreto, giunto
all’alpe Entova indicò ai greci la via
per il passo e diede loro tutte le raccomandazioni del caso, scusandosi per
non poterli accompagnare di persona.
Quindi rientrò, compiendo un giro
oltremodo ampio per non essere intercettato, alla sua abitazione a Montini
(contrada di Chiesa in Valmalenco).
Fortunatamente il presidio dei tedeschi durò solo un mese, dopodiché
tutti gli alpigiani ripresero la loro
quotidianità, anche se in paese vigevano le dure regole del regime, prepo-
L’intimidazione subita dalla famiglia di Silvio Gaggi a opera dei soldati tedeschi.
Le Brigate Nere radunano le famiglie di Spriana.
tenza e cattiveria.
Presto il rancore per le vessazioni
subite dalla popolazione sfociò in
rappresaglie dei partigiani contro i
fascisti.
Accadde che in piena notte i partigiani snidarono un plotone composto
da una ventina di fascisti, colto nel
sonno, scortandolo in val di Togno.
Chi non camminava era immediatamente fucilato, quelli che arrancavano
venivano macabramente scherniti: «Sü
ciùn tänt gh-i poch de vif 2». Raggiunto
il luogo prescelto, furono tutti giustiziati. Solo due, fingendosi morti, si
salvarono.
Era la guerra civile e non vi erano
più né regole né rispetto della vita e
della dignità altrui. Gli uomini agivano
guidati solo dal profondo odio tra le
fazioni e da sentimenti di vendetta.
TESTIMONIANZA DI LIVIA
PAROLO – CLASSE 1929
Spriana, con le sue contrade sparse,
era un paese di partigiani. Fra gli
abitanti però si celavano le spie fasciste.
Si viveva perciò nel terrore e nella più
assoluta diffidenza.
Verso metà febbraio 1944 Livia
racconta di aver saputo dell’uccisione
di un partigiano presso la contrada
Portola. Questi era un certo Otorino,
2 - Avanti maiali, tanto vi resta poco da vivere.
Inverno 2015
un alpino reduce dalla campagna di
Russia, un uomo di grande tempra che
dall’alto controllava con altri la zona,
spostandosi in continuazione fra una
baita e l’altra per far perdere le tracce.
Non sentendosi più al sicuro, a causa
dei continui incessanti rastrellamenti
da parte della milizia, comunicò la
volontà di scappare in Svizzera. Proprio
la notte prima della sua fuga, fu vittima
di un agguato, il che conferma che tra
le persone a cui aveva confidato le sue
intenzioni vi erano delle spie. I proiettili che lo uccisero, inoltre, erano di
diverso calibro, il che indica un’esecuzione compiuta da più persone.
Livia ricorda inoltre che un giorno
giunsero a Spriana alcuni della milizia
e ordinarono a tutta la popolazione
di radunarsi la mattina successiva alle
ore 9 al Prato, all’incrocio della carrozzabile Sondrio - Chiesa. Senza conoscere il motivo di questa decisione
e tanto meno avere la possibilità di
opporsi, avendo il sospetto di essere
inviati come prigionieri in Germania,
portarono con sé il bagaglio di prima
necessità avvolto in fagotti, federe e
sacchi, ma anche cassette, armadietti e
chi addirittura un cassettone del comò.
Questi poveracci spaventati rimasero
per ore sul luogo ad aspettare, quando
finalmente giunsero alcuni superiori della milizia. I fascisti si trovarono dinnanzi a un gruppo di derelitti
malvestiti e terrorizzati coi bambini
LE MONTAGNE DIVERTENTI che piangevano dal freddo. Ciò mosse
i loro cuori a usar pietà, così ordinarono alla gente di tornare nelle proprie
abitazioni.
TESTIMONIAZA DI SILVIO GAGGI
Avevo poco più di 5 anni e mi
trovavo con la mia famiglia al Pirlo,
probabilmente il lunedì, giorno che
mia madre dopo il bucato andava a
sciacquare i panni al torrente. Mio
papà lavorava al tornio che si trovava
sul sentiero che da Primolo conduce
al rifugio Bosio, mentre mio nonno
Silvio e mio zio Guerino in quello
sottostante.
Arrivarono 4-5 soldati tedeschi. Io
avevo molta paura dei soldati perché
mia madre, veneta, mi raccontava ciò
che le scrivevano i parenti dal nord-est
che vivevano la guerra in prima linea.
I militari chiesero a mio padre e allo
zio perché si trovassero lì. Mio padre
disse di essere in congedo illimitato per
una malattia infettiva, mentre mio zio
disse di aver ottenuto l’esonero perché
impiegato nell’estrazione della pietra
ollare (questa, trasformata in dischetti,
era usata come isolante elettrico negli
aerei da combattimento, e i minatori
dovevano consegnare ai fascisti la metà
del prodotto estratto).
I soldati non vollero credere loro,
considerandoli disertori e pertanto
minacciandone l’arresto e la deporta-
zione. Intervenne anche il nonno, ai
tempi settantenne, mostrando ai tedeschi le condizioni precarie di vita dei
minatori e insistendo sull’utilità del
loro lavoro per fornire materie prime
utili al regime, ma questi non vollero
sapere ragioni.
Lo zio Guerino disse che non accettava l’arresto e che preferiva essere
fucilato, mentre mio padre, che aveva
la responsabilità di tutta la famiglia,
dovette arrendersi e andò a cambiarsi.
Nel frattempo i soldati continuarono
la discussione con lo zio, ma questi
era fermo sulle sue posizioni, così lo
bendarono, lo addossarono a un grosso
masso fra il tornio e il torrente. Posizionarono il fucile a una ventina di metri
e costrinsero mia sorella, la mamma e il
nonno ad assistere alla macabra scena,
mentre noi bambini piangevamo
disperati.
Appena tornò, mio padre provò
a convincere lo zio a cambiare idea e
arrendersi, ma non ci fu verso, poi
tentò un’ultima volta di far ragionare i soldati, chiarendo di non essere
né disertori, né spie, né traditori, ma
semplici addetti a un lavoro tradizionale. Pertanto mostrò e donò loro
alcuni “acquasantini” in pietra ollare
che aveva realizzato per la ditta Perelli.
Questo gesto, credo unito all’aiuto
della Madonna delle Grazie di Primolo,
stemprò la situazione e i soldati se ne
andarono senza lasciare morti né far
1943-1945 l'epilogo della guerra
25
Testimonianze di guerra
Speciali
prigionieri, ma solo la sensazione di un
terribile atto intimidatorio.
INSURREZIONE PARTIGIANA
DAL 22 AL 1 MAGGIO 1945
dal quaderno del mio maestro
Erminio Dioli (architetto e artista,
1885-1964) che in quei giorni registrò
su un taccuino ciò che stava accadendo
nella sua Valmalenco
Giorno 27 aprile 1945
Insurrezione a Lanzada - Minaccia
di fucilazione all’Ing. Brutingam, capo
e assistente d’escavazione cristalli a
Tornadri.
La notte tra il 26 e il 27 aprile 1945,
tre partigiani scesero da Campo Moro
verso Lanzada a prelevare il commis­
sario comunicale Guido Liocopazzi,
politico sfollato della Toscana, in occu­
pazione dal 1° agosto 1944 e l’impiegato
Zanetti, ritenuti spie, perché concede­
vano ai fascisti di commettere qualsiasi
illecito svaligiamento. Liocopazzi aveva
sostituito con autorità il commissario S.
Rinaldi lanzadasco.
L’Ing. Brutingam tramò la vendetta, a
mezzodì alcuni fascisti venuti da Sondrio
afferrarono 10 paesani della contrada
San Giovanni, al centro del paese,
mettendone 5 al muro con minaccia di
fucilazione.
Giorno 27 aprile 1945 - sera
(Dal diario del Partigiano Parolini
Carlo di Pietro di Lanzada; Parolini ha
preso parte all’insurrezione partigiana
per la liberazione della Valle Malenco,
iniziata a Lanzada il 24 aprile 1945 e
terminata a Sondrio il 6 maggio 1945)
Fu annunciato alla radio di Como e
Varese l’ordine di insurrezione. I patrioti
entrarono alla sera verso le ore otto e i
partigiani intimarono la resa al presidio
di Vetto, istallato nelle scuole comunali.
Alcuni tedeschi, compreso l’Ing.
Brutingam delle cave di cristallo, ben
armati e equipaggiati alla prima intima­
zione fuggirono. I partigiani avvisarono
gli otto patrioti che stavano a Campo­
moro, i quali verso mezzanotte scesero per
unirsi ai compagni.
Anche alla seconda intimidazione i
tedeschi risposero negativamente, quindi
i partigiani armati di cannoncino
26
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI americano e di armi automatiche, appo­
stati alle finestre delle case più prossime
al presidio, cominciarono a sparare a
cannonate contro di loro per 10 minuti
ininterrottamente.
Alle prime raffiche, furono insul­
tati dai tedeschi con il termine “tradi­
tori italiani”, i quali ormai minacciati
sporsero dalle loro finestre la bandiera
bianca. Disarmati, di loro spontanea
volontà, uscirono dal presidio 11 soldati
compreso l’Ing. Brutingam, tenendo le
mani in alto. Uno fra questi, gravemente
ferito morì. Aveva una ferita di pistola
alla gamba e una alla schiena e ciò fece
supporre che tali lesioni fossero state
procurate dall’ingegnere nel tentativo di
evitare la resa o la fuga.
Fino all’una rimasero davanti al
presidio con le mani in alto, dopo di che
i partigiani si impossessarono delle loro
armi, che sarebbero servite ad armare
altri volontari, e condussero i tedeschi
a Chiesa per essere imprigionati nella
caserma della ex Guardia di Finanza in
contrada Faldrini.
Nel frattempo altri partigiani comple­
tarono un rastrellamento. Gente meri­
tevole di punizione fu imprigionata e
ben sorvegliata nel palazzo comunale di
Chiesa e in seguito inviata al carcere di
Sondrio.
Giorno 28 aprile 1945
Ore 2.00 - Pioveva, un partigiano e
11 popolani armati di armi tedesche si
appostarono al “Castello” per chiudere e
sorvegliare il passo.
Ore 7.00 - Un altro gruppo armato,
formato da 33 partigiani e 27 popo­
lani, si diresse verso Torre per espugnare
il presidio composto da un gruppo di 30
camicie nere e rafforzato da altri 30
fuggiti dal presidio di Chiesa il giorno
27, armati con mitraglie pesanti e diversi
fucili mitragliatori.
Due rinforzi fascisti giunsero da
Sondrio per aiutare il presidio di Torre,
ma fu facile ai partigiani istradarli per
Sondrio, mentre un altro gruppo di 35
partigiani si diresse a perlustrare il paese
di Spriana, per poi discendere verso
Sondrio passando da Ponchiera e trascor­
rendo una notte piovosa nascosti fra le
vigne circostanti.
Nel pomeriggio, un numeroso gruppo
di partigiani e popolani di Chiesa,
Lanzada e Caspoggio, minarono la
galleria sopra Arquino per sbarrare la
strada nell’eventualità che gli avversari
salissero da Sondrio.
Giorno 29 aprile 1945
- mezzogiorno
Dopo una lunga sparatoria marciarono
su Sondrio, diretti al Castello Masegra.
Nel frattempo sopraggiunsero anche
partigiani della bassa Valtellina, facendo
guerra verso Ponte e San Giacomo.
La milizia si consegnò al nemico,
mentre il comando tedesco si era già
arreso il giorno prima.
Dopo la liberazione, i partigiani
furono orgogliosi del modo in cui condus­
sero la resistenza e di aver lottato come
gli uccel di bosco, in continuo sposta­
mento per far perdere le tracce al nemico,
il quale era sempre in agguato, anche fra
fratelli insospettati che seguivano diversi
ideali. Fra i rivali vi erano inoltre squa­
dristi del regime, non solo per un ideale
ma per salire sul carro vincente e ottenere
benefici. Apparentemente si mostravano
bonari, ma non erano altro che persone
cattive e invidiose che non perdevano
l’occasione di competere per sfogare la loro
indole.
Stanchi dei soprusi, i partigiani si
vendicarono agguantando i più noti
squadristi, che vennero condotti, malme­
nati e trascinati dietro un carro, alle
carceri di Sondrio. Qui rimasero a dispo­
sizione del pubblico, al quale era concessa
la possibilità di vendicarsi del male rice­
vuto. Da testimonianze, pare che pochi
abbiano gradito di punirli, preferi­
vano non sporcarsi con gente squallida e
indegna. L’unico sfogo che si sono permessi
di compiere fu quello di condurre le belle
donne del regime, comprese le fiorentine,
presso la fucina di Armando Soldati, un
artigiano fabbro detto “’l Giupin” , tipo
baldanzoso e scherzoso che suonava la
fisarmonica. Alla fucina Armando con
altri sicari accorsi in aiuto tagliarono loro
a raso i capelli, con la forbice di lattoniere
“Magnan”. Questo fu il peggior dispetto
che potevano subire.
1 maggio
Di notte l’Ing. Brutingam venne trasci­
nato dalle scuole di Chiesa al cimitero.
Dopo un breve conforto religioso fu fuci­
lato e seppellito la mattina successiva.
1943-1945 l'epilogo della guerra
27
Rifugi
Speciali
Correre tra le montagne
Beno
e nella DIVERTENTI
successiva: i sentieri
della val di Mello, un paradiso per la corsa (24 settembre 2015, foto Roberto Moiola / Roberto
Ganassa)
Inverno
2015
28In questa
LE pagina
MONTAGNE
LE MONTAGNE DIVERTENTI Correre tra le montagne
29
Corsa
Speciali
C
orro quasi tutti i giorni fino da
quando ero bambino. Corro
perché mi piace, perché mi rilassa, perché
mi permette di stare in mezzo alla natura.
Già, la natura. Probabilmente se mi piace
così tanto correre è perché vivo in una
valle dove anche dal posto più orribile
bastano 5 minuti per raggiungere una
zona dove apprezzare la pace e la bellezza
delle montagne che mi circondano e da lì
inoltrarmi lungo un sentiero nei boschi,
nei frutteti, nei campi o tra le vecchie
contrade per riempirmi il cuore di gioia
e di stupore. Serve pure poco tempo per
allenarsi: essendo lo sforzo molto concentrato soli trenta minuti sono sufficienti a
scaricare i nervi anche dopo una giornata
molto stressante.
La nostra provincia offre centinaia di
percorsi che ben si prestano, oltre che a
passeggiate, anche alla corsa. Tra questi vi
proporremo, a partire da questo numero
della rivista, quelli adatti al “lungo” domenicale, cioè a una sessione di allenamento
che, se effettuata ad andatura lenta da un
atleta agonista, occupa 1-2 ore, con uno
sviluppo tra i 10 e i 20 km e un dislivello
positivo non superiore agli 800 metri. Ci
muoveremo quanto più possibile lungo i
sentieri, limitando i tratti su asfalto alle sole
strade poco trafficate. Il profilo altimetrico
sarà sempre molto ondulato, per meglio
rispecchiare l’orografia del nostro territorio
e anche per render più vario il giro.
I meno allenati non riusciranno subito
a fare le escursioni proposte al trotto, ma
dovranno aspettare di prendere maggior
confidenza con la corsa, il che può essere
uno stimolo a migliorare la propria condizione fisica.
Nel segnalare i tracciati ci occuperemo
anche di una loro prima pulizia, nella
speranza che amministrazioni comunali,
gruppi di volontari, associazioni sportive
locali e, ovviamente, gli operatori turistici
si prendano a cuore la loro manutenzione
(si tratta di poche ore di lavoro all’anno).
Se riuscissimo a creare e promuovere
sul territorio una valida rete di itinerari
adatti allo sport, questi farebbero da traino
a un turismo sano, innescando un circolo
virtuoso che porterebbe a una miglior
frequentazione di questa valle. Non si tratta
di un progetto utopistico, bensì di intensificare e dilazionare nell’arco di una stagione
gli effetti benefici che si sono già riscontrati
in seguito a gare che, con grande sacrificio,
menti illuminate di uomini volenterosi
hanno saputo organizzare. Parlo del ripri-
30
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dai 30 anni in su, ma stanno aumentando anche i più giovani, diciamo dai 7 ai
16 anni. La fascia intermedia, quella paradossalmente di maggiore prestanza fisica,
è anche quella col minor numero di atleti.
Un’eccezione, tra le varie discipline legate
al mondo della corsa, la fanno i trail1 . Qui
anche i ragazzi di 20 anni trovano stimoli
sufficienti per allenarsi.
stino e della segnalazione di molti sentieri
sia sul versante retico che orobico, dove
sempre più persone hanno potuto cimentarsi e comprendere il valore ambientale di
questa provincia anche alle quote medio
basse, dove si aggiunge l’interesse storico ed
etnografico.
Ogni numero della rivista conterrà
anche alcuni consigli pratici, su trail e
corsa in montagna in particolare, oltre
a delle brevi schede sui campioni che ci
faranno di volta in volta da testimonial.
E
ssendo questa l’uscita “zero”, l’approfondimento è dedicato a chi
compie i primi passi verso il mondo della
corsa. Per fare ciò ho intervistato l’amico
Cino Ortelli di Sport Side, negozio il cui
fulcro è appunto il running.
Cino, negli ultimi anni, oltre a
vendere attrezzatura sportiva, ti sei
impegnato in prima persona nell’organizzare dei “corsi di corsa”, per rispondere al sempre crescente numero di
persone che si avvicinano a questo
sport. Da quando hai notato e come ti
spieghi questa tendenza?
Negli ultimi 10 anni, con un netto
incremento negli ultimi 5, sempre più
persone hanno deciso di iniziare a correre.
Credo che in una società ora attenta alla
salute e in un periodo di crisi economica
e frenesia del vivere, la corsa sia la scelta
più naturale per chi decide di fare sport.
L’investimento iniziale è minimo (basta
un paio di scarpe) e per allenarsi serve
davvero poco tempo.
Perché la gente inizia a correre?
I motivi sono i più disparati. La maggior
parte della gente lo fa per dimagrire, ma non
mancano gli ex-atleti che vogliono ricominciare, chi cerca una valvola di sfogo dalla
vita sedentaria o chi trova motivazione nel
vedere gli amici che con soddisfazione praticano questa attività. Tutte queste spiegazioni
sono comunque conseguenze del maggior
riguardo della società verso il viver sano.
Qual è l’età media dei tuoi clienti
runner?
Molti ritengono che la corsa in
montagna o, più in generale, la corsa su
sentieri e sterrato, sia foriera di infortuni
e perciò pericolosa. Tu che dici?
Questo è un luogo comune che va
sfatato! La corsa in montagna è decisamente
meno traumatica di quella su strada per due
ragioni principali:
- svolgendosi su terreni irregolari, il movimento è meno ripetitivo e logorante;
- l’atleta è mediamente più concentrato
su dove mette i piedi e ciò gli evita movimenti traumatici.
Supponi che io non abbia mai corso
e che venga a chiederti consigli su come
iniziare, che attrezzatura prendere...
Sicuramente le scarpe. Non perché
le vendo, ma perché si tratta dell’unico
strumento indispensabile per correre. Ci
si dovrebbe rivolgere a un negozio con
personale preparato e in grado di fornire
la calzatura idonea al proprio peso, al
tipo di terreno su cui ci si vuole muovere,
alla tipologia di appoggio del piede e agli
obbiettivi che l’atleta si è posto.
Cosa si intende per una buona calzatura e qual è il suo costo medio?
Buon grip, che ammortizza bene, che
fascia bene il piede, bilanciata e fatta
con materiali di qualità. Di listino siamo
sui 120-140 euro. Ovviamente ce ne
sono anche di più e di meno costose,
o si possono trovare offerte particolari.
Comunque questo è l’unico investimento
necessario e conviene non sbagliarlo.
Cosa comporta l’utilizzo di una
scarpa non adatta?
Si va incontro a infortuni, anche seri.
C’è chi ritiene stupido spendere denaro
per una buona scarpa, ma i conti sono
presto fatti. Considera un infortunio
“tipo” dovuto a uno scompenso di assetto
in fase di allenamento con seria infiammazione articolare. Per curarsi servono
dalle 5 alle 10 sedute fisioterapiche (che
1 - Gara di corsa su sentieri di notevole sviluppo
chilometrico (>20 km).
LE MONTAGNE DIVERTENTI costano dai 40 euro in su), a cui vanno
aggiunti eventuali laser, tecar e visite
mediche. Perciò capisci come prevenire sia
molto più economico che curare!
Serve altro?
Molti le sottovalutano, ma una buona
calza può prevenire un sacco di fastidiosi problemi quali fiacche, irritazioni e
micosi.
Ora siamo attrezzati e pronti a
iniziare. Qualche avvertimento?
Se parti da zero devi assolutamente
evitare di fare le prime uscite tutte
correndo, ma vanno alternati corsa e
cammino. Inoltre non si deve superare
la mezz’ora. Questo per non sovraccaricare muscoli e articolazioni prima di
aver acquisito una certa naturalezza nel
movimento.
Quanta corsa e quanto cammino?
Comincerei con 3 minuti di cammino
e 2 di corsa lenta. Il tutto per 20 minuti/
mezz’ora. Punterei a fare i 30 minuti di
corsa continuativa, coprendo una distanza
di circa 5 km, dopo 4 settimane in cui
viene diminuito gradualmente il numero
delle frazioni di cammino. Non si deve
avere fretta o si rischiano grossi infortuni.
E una volta che riesco a correre
30 minuti di fila?
Puoi
crescere
gradualmente
le
lunghezze. Ma a questo punto entriamo
nella sfera soggettiva, che richiede un
programma personalizzato fornito da un
allenatore.
Che altro consiglieresti?
Prima e specialmente dopo la sessione
di allenamento vanno fatti esercizi di
stretching e mobilità. Bisogna inoltre
ricordarsi di bere evitando di disidratarsi. Già l’acqua è ottima. Mai esagerare
coi sali, che non vanno mai presi prima o
nelle fasi iniziali dell’attività fisica.
Quali sono gli errori più comuni?
L’errore più comune del principiante è
quello di farsi prendere dall’entusiasmo,
non sentendo la stanchezza (come in genere
accade alla prima uscita), e realizzando
sessioni di sola corsa che possono portare
velocemente a infortuni di varia gravità.
Poi, tanto per dirne un altro, c’è chi
fa correre lunghe distanze (>5 km) ai
bambini (<10 anni). I bambini hanno
una incredibile resistenza alla fatica, ma
le distanze eccessive vanno evitate per non
causare problemi a lungo termine.
Altri abomini?
Beh, vestirsi troppo. Si rischia di surriscaldarsi e di soffrire inutilmente.
Io credo che molti lo facciano con
l’idea che sudando si dimagrisce...
Questo è un altro grottesco luogo
comune. Sudando ci si disidrata e basta.
Inoltre chi ha caldo va più a piano, quindi
consuma ancora meno calorie.
C’è chi ascolta musica mentre si
allena, è una pratica corretta?
Assolutamente no. È vero che la musica
è una sorta di doping che isola la mente
da tutto il resto e lenisce il senso di affaticamento, ma l’estraniamento comporta
anche il rischio di essere investiti, di non
accorgersi di pericoli che sopraggiungono,
di perdere l’assetto corretto sovraccaricando certe articolazioni. Siamo inoltre
portati naturalmente a sincronizzare la
nostra andatura col ritmo della musica, il
che inficia l’allenamento.
Molti si affidano ciecamente agli integratori per migliorare le proprie prestazioni. Sono davvero efficaci?
Potenzialmente ci sono degli ottimi
prodotti, ma non vanno presi a caso. Pensa
ai sali prima dell’allenamento: causano
solo mal di stomaco e non danno alcun
beneficio, mentre se assunti nella quantità
giusta dopo lo sforzo aiutano un recupero
più veloce.
Tipologie, dosi e modi vanno decisi su
consiglio di un esperto e comunque l’integratore è al più una ciliegina su una
torta fatta di costanza e allenamento. Una
corretta e sana alimentazione non richiederebbe integratori, ma è un’abitudine che
in pochi hanno la fortuna di poter avere.
La corsa, dicevi, si adatta bene a chi
ha poco tempo a disposizione. Come
va gestito, ad esempio, l’allenamento in
pausa pranzo?
La regola è quella di evitare deficit di
liquidi e di energie. Perciò si dovrebbe
fare, appena si stacca, una breve sessione
e poi ricordarsi di mangiare un boccone
prima di rientrare al lavoro. Se lungo la
mattinata si avesse la possibilità di fare
uno spuntino gustoso, allora si potrebbe
incrementare il numero di chilometri.
Correre tra le montagne
31
Progetti
Speciali
Inverno sostenibile
Marzia Fioroni e Mario Vannuccini
Val Tartano (7 gennaio2013, foto Marzia Fioroni).
È
una tranquilla domenica di
febbraio sulle Orobie valtellinesi, quando sul fondo della valle
un polverone preannuncia l’arrivo di
schiere di automobili, che in breve
aprono le fila a scialpinisti, ciaspolatori, motoslittari, accaniti freerider,
fotografi naturalisti, uomini muniti di
droni, parapendii e chi più ne ha più
ne metta.
Era una tranquilla domenica di
febbraio sulle Orobie valtellinesi.
Ma cosa accomuna questa pittoresca schiera di frequentatori della
montagna? La voglia di stare all’aria
aperta? O piuttosto l’amore per la
natura? Già! Ma cosa significa davvero
amarla? La brama di neve, adrenalina,
begli scorci e aria fina fanno spesso
scordare gli effetti negativi che, per
lo più inconsapevolmente, possiamo
provocare a ecosistemi davvero delicati. L’amore, del resto, spesso è cieco
e ci convince che quella lasciata dai
nostri sci sia la traccia meno invasiva, che il nostro cane sia del tutto
innocuo e inoffensivo, che i motori
accesi non siano poi così rumorosi
32
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI e inquinanti, che siano sempre “gli
altri” a far peggio di noi.
Ignoriamo poi il fatto che l’inverno è una stagione particolarmente
delicata per la fauna alpina e che è
spesso la dose a fare il veleno: le attività outdoor sono ormai così diffuse
e praticate in provincia, che ogni
giorno della settimana, a qualunque
ora del giorno e della notte e in ogni
vallata qualcuno sta solcando il manto
bianco, per una ragione o per l’altra.
Quali attività sono sostenibili sul
lungo periodo? C’è davvero spazio
per tutti sulle Alpi?
È giunto il tempo di una serena
riflessione collettiva, così da comprendere la reale entità degli impatti
provocati e trovare soluzioni consapevoli, e possibilmente condivise, che
nascano cioè dall’esigenza comune di
tutelare un bene prezioso e delicato
come l’ambiente alpino.
Per trovare delle risposte e anticipare i possibili conflitti che la compresenza di fruitori molto diversi fra loro
(pensiamo ad esempio a scialpinisti
e motoslittari) può generare, è stato
ideato il progetto ‘Inverno Sostenibile’, promosso dall’Associazione
Guide Alpine Val Masino - Val di
Mello “Il Gigiat” e sostenuto da Pro
Valtellina e svariati enti. Composto
in primis dal convegno Le Alpi in
inverno, conservazione della natura e
attività turistiche: c’è spazio per tutti?,
che il 28 novembre 2015 ha raccolto
su questi temi le opinioni di ricercatori, uomini di montagna e operatori
turistici, l’iniziativa prevede poi tavoli
di confronto fra amministrazioni,
guide alpine, società di elitrasporto,
ciaspolatori ecc., per concordare
autoregolamentazioni da applicare
alle attività più impattanti; infine,
5 serate aperte al pubblico dal titolo
La montagna d’inverno in punta di
piedi - Consigli pratici per vivere l’out­
door nel rispetto della natura e azioni
di educazione ambientale nelle scuole
secondarie della provincia.
Per maggiori info:
www.facebook.com/invernosostenibile/
Inverno sostenibile
33
Alpinismo
Valmalenco
Il giro delle Tremogge
Una gita scialpinistica che ha come fulcro le vette delle Tremogge, montagne il cui
possente e roccioso versante meridionale costituisce l’orizzonte visivo per chi sale in
Valmalenco. L’escursione, rivolta a soli sciatori esperti, è molto lunga e impegnativa.
Si svolge in ambiente isolato e selvaggio, regalando discese mozzafiato su pendii
sostenuti. Data l’orografia dei versanti
meridionali, va affrontata solo con
neve perfettamente assestata,
facendo comunque attenzione
alla possibile presenza di
tratti ghiacciati.
Luciano Bruseghini
34
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Primolo e il gruppo delle Tremogge visti da Torre di Santa
giro delle
Tremogge
35
Maria (2 maggio 2015, fotoIl
Luciano
Bruseghini).
Alpinismo
Valmalenco
INTRODUZIONE
alendo da Sondrio in Valmalenco, superato l’alto viadotto
sul rio Valdone, ci si trova all’improvviso di fronte a tre imponenti
cime rocciose che chiudono l’orizzonte verso N: pizzo delle Tremogge
(m 3441), pizzo Malenco (m 3438)
e Sassa d’Entova (m 3331). In tempi
passati questo complesso era chiamato
il filùm di Tremögi. Sebbene il pizzo
delle Tremogge, oltre a un appariscente edificio sommitale di calcare,
vanti il primato di altezza, è il pizzo
Malenco a dare il nome a tutta la
valle. Quest’ultimo è anche la punta
più elevata del gruppo del Bernina
completamente in territorio italiano.
Alfredo Corti, massimo esponente
dell’alpinismo classico in Valtellina,
così ne descrive le fattezze: “Domina
la Val Malenco con forme robuste e
caratteristicamente regolari che gli
valsero da qualche alpinista il nome di
Sasso Quadro; la parete meridionale è
tutta rocciosa, mentre sul lato opposto
un manto di ghiaccio lo copre senza
interruzione.”1
Il versante settentrionale della
triade, decisamente più dolce, ancor
ospita ciò che rimane del grande
ghiacciaio di Scerscen Inferiore, ben
descritto da Giuseppe Nangeroni nel
1928, quando, assieme al ghiacciaio
di Scerscen Superiore, costituiva un
apparato unitario dalla superficie
di ben 1510 ha. Si trattava di uno
dei più grandi ghiacciai d’Italia. La
separazione tra Scerscen Inferiore e
Superiore avvenne negli anni ‘40 del
secolo scorso. Dopo un inesorabile e
continuo scioglimento delle masse
glaciali, la loro superficie complessiva
risultava nel 2007 di 954 ha2, con la
fronte del ghiacciaio di Scerscen Inferiore arretrata di ben 3,8 km rispetto
alla sua massima espansione3, con un
ritiro medio annuo di 24 m. Quest’ultimo dato contempla e pondera anni
S
1890
Nella pagina a sx la mappa dell’itinerario (la linea continua indica le parti facili, quella
tratteggiata le sezioni alpinistiche). Sono disegnate le superfici dei ghiacciai aggiornate al 2013.
In questa pagina, invece, è una ricostruzione dei ghiacciai nel 1890 basata su vecchie carte e
descrizioni, con la consulenza di Riccardo Scotti (SGL).
2013
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: rifugio Sasso Nero (m 1506).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende
la SP 15 della Valmalenco. A Chiesa in Valmalenco
(12 km) si sceglie la biforcazione occidentale della
valle e, dopo diversi tornanti, si arriva a San Giuseppe
(5 km), da cui si seguono le indicazioni per il rifugio
Sasso Nero e gli impianti sciistici del Palù. Si lascia
l’auto nei pressi del rifugio Sasso Nero, approfittando
dell’ampio piazzale di servizio degli impianti.
Itinerario sintetico: rifugio Sasso Nero
(m 1506) - Braciascia (m 1637) - alpe Entova
(m 1912) - Ciaz de Sura (m 2500 ca.) - passo delle
Tremogge (m 3015) - passo Scerscen (m 3100) - pizzo
delle Tremogge (m 3441) - pizzo Malenco (m 3438) Sassa d’Entova (m 3331) - ex rifugio Scerscen Entova
(m 2990) - cian di Bö (m 2670) - alpe Entova (m 1912)
rifugio Sasso Nero (m 1506).
Tempo
36
previsto: 7 ore e mezza.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o
ciaspole, kit antivalanga, ramponi, piccozza. Si
attraversano ghiacciai, per cui sarebbe opportuno
anche avere con sé corda e imbraco.
Difficoltà e dislivello: 4,5 su 6, 2400 metri.
Dettagli: OSA. Gita scialpinistica in ambiente di
alta montagna con pendenze in discesa fino a 45°,
tratti esposti e attraversamento di ghiacciai. Sono
richieste esperienza e una buona preparazione fisica.
I versanti a S del passo Tremogge, della forcola
Malenco e dell’ex rifugio Entova-Scerscen vanno
affrontati solo con neve perfettamente assestata.
Mappe:
- CM Valtellina di Sondrio, Cartografia Escursionistica,
Fogli 1-2: Valmalenco - Versante Retico, 1:30000;
- Valmalenco. Speciale Alta Via della Valmalenco,
1: 30000, allegato del n. 29 de Le Montagne
Divertenti.
Inverno 2015
Il ghiacciaio di Scerscen Inferiore nel 1938 (foto Giuseppe Nangeroni) e nel 2010 (foto Simona
Alberti - archivio SGL) ritratti dal rifugio Marinelli (fonte I ghiacciai della Lombardia, op. cit.).
LE MONTAGNE DIVERTENTI 1 - Luigi Brasca, Guido Silvestri, Romano Balabio,
Alfredo Corti, Guida dei monti d’Italia. Alpi Retiche
occidentali, CAI, Brescia 1911.
2 - Di questa superficie 462 ettari competono al
ghiacciaio di Scerscen Inferiore e 492 ettari a quello
di Scerscen Superiore.
3 - La massima espansione dei ghiacciai alpini viene
fatta coincidere con la fine della PEG, ovvero
attorno al 1850. La PEG, ovvero Piccola Età Glaciale, è collocata tra il XVI e il XVIII secolo, quando
un forte abbassamento delle temperature nell’emisfero boreale provocò un incremento di superficie e
volume dei ghiacciai.
Il giro delle Tremogge
37
Alpinismo
Valmalenco
Pizzo delle Tremogge
Pizzo Malenco
(3441)
(3438)
Forcola Malenco
(3210)
Passo delle Tremogge
(3015)
Sassa d’Entova
(3331)
Pizzo Bernina
(4049)
Pizzo Roseg
(3936) Monte Scerscen
(3971)
Cresta Güzza
(3869)
Ex rif. Entova Scerscen
Cian di Bö
Ciaz de Sura
Rif. Longoni
Cave di Sellette
La Braciascia e la Sassa di Fora (19 marzo 2013, foto Beno).
Forcola Malenco
Passo delle Tremogge
(3210)
(3015)
Il ripido traverso sotto la Longoni (6 aprile 2014, foto L. Bruseghini).
Verso i Ciaz de Sura (6 aprile 2014, foto Luciano Bruseghini).
Al passo delle Tremogge (6 aprile 2014, foto Luciano Bruseghini).
Cave di Fura
Alpe Entova
Alpe Senevedo Superiore
I tracciati sul versante S visti dal monte Ceresuncolo (15 marzo 2015, foto Luciano Bruseghini).
totalmente disastrosi (70 metri tra il
1950 e il 1951) e sporadiche parentesi positive (lento avanzamento
tra il 1980 e il 1985). Le ultime
due decadi stanno evidenziando un
progressivo aumento della velocità di
scioglimento4.
ITINERARIO
artiamo dal piazzale sterrato
nei pressi del rifugio Sasso
Nero (m 1506) e saliamo per la stradina che ha inizio accanto al ponte
sul torrente5. Inizialmente asfaltata,
poi sterrata, dopo aver costeggiato i
prati della Braciascia, si svolge sulle
pendici meridionali della Sassa d’Entova in un fitto bosco di pino silvestre
e pino mugo che riparano la neve dai
raggi solari. Dopo molti tornanti, un
tratto ombroso pianeggiante prean-
P
4 - AA.VV., I ghiacciai della Lombardia. Evoluzione
e attualità, HOEPLI, Milano 2011.
5 - Seguire le indicazioni per il rifugio Longoni. La
rotabile non viene mai sgomberata dalla neve, per
cui normalmente si parte già dal parcheggio con gli
sci ai piedi (a primavera inoltrata è possibile proseguire gratuitamente in auto fino nei pressi della Braciascia, oppure, dal 2015, con un fuoristrada si può
andare anche oltre, ma occorre il permesso comunale che costa 5€ al giorno).
38
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI nuncia l’alpe Entova (m 1912,
ore 1, 4,3 km), un pugno di graziose
e minuscole baite in pietra e legno a
ridosso del torrente Entovasco.
Verso ponente fanno capolino
punta Baroni, monte Sissone, cima
di Rosso, cima di Vazzeda, cima di
Valbona e monte Rosso.
Insistiamo sempre lungo la comoda
carrareccia che compie un lungo
traverso (O) su pendenze modeste.
A catturare l’attenzione non sono le
nostre mete di giornata, abbastanza
defilate sulla dx, ma la portentosa
mole della Sassa di Fora che ci si para
davanti con le sue rugose e invitanti
pendici.
Dopo il bivio sulla sx per le cave di
serpentino di Fura (da ignorare), la
rotabile inizia a prender quota avvolgendosi in tornanti. Trascurata 3
curve più in alto la pista che si diparte
sulla sx e porta alle cave di Sellette,
contiamo altri 4 tornanti e approdiamo a uno spiazzo a m 2200 nei cui
pressi sono un masso recante il triangolo giallo dell’Alta Via e la partenza
della teleferica per portare materiale e provviste al sovrastante rifugio
Longoni. Qui lasciamo sulla dx la
strada, da tempo dismessa, che fino
ai primi anni ‘90 serviva il rifugio
Entova Scerscen6 e permetteva alle
vetture di raggiungere il cian di Bö
a oltre m 2700. Pieghiamo a O, poi
NO. Sopra di noi è la scura muraglia
di serpentino che regge il panoramico
terrazzo dove nel 1938 fu costruito il
rifugio Longoni. Lambiamo il piede
delle rocce, spostandoci a sx (NO),
per poi alzarci, attraversare una vallecola7, e approdare ad un crocevia con
cartelli segnaletici (m 2400 ca.).
Abbassando lo sguardo, possiamo
ammirare a NO i pianeggianti Ciaz
de Fura. Se andassimo verso E in
meno di 5 minuti saremmo al rifugio
Longoni8. Noi invece puntiamo a
NNE lungo il fianco occidentale della
Sassa d’Entova. Dobbiamo prestare
molta attenzione a questo traverso
6 - Per approfondimenti: Eliana e Nemo Canetta,
Rifugio Entova Scerscen. Un progetto naufragato,
LMD n.25 - Estate 2013, pp. 80-81.
7 - Tratto molto ripido e impegnativo che va affrontato solamente con neve sicura.
8 - Il rifugio Longoni, gestito dalla guida alpina Elia
Negrini, ha oltre 37 posti letto ed è aperto dai primi
di giugno a metà settembre. Nel periodo invernale
offre ricovero nella veranda vetrata posta sul lato S.
Il giro delle Tremogge
39
Alpinismo
Pizzo delle Tremogge
Valmalenco
(3441)
Pizzo Malenco
(3438)
Sassa d’Entova
(3331)
Linee di salita e discesa da Tremogge, Malenco e Sassa d’Entova viste dal bivacco Colombo (6 giugno 2010, foto Beno).
Inquietante scorcio sul piz Glüschaint dai pressi del passo Scerscen (6 aprile 2014, foto Luciano Bruseghini).
perché il manto nevoso, protetto dalla
luce solare e lavorato dal vento, è molto
compatto e scivoloso. Sfruttando al
meglio gli spigoli degli sci e l’ottimo
grip delle pelli riusciamo a superare
le difficoltà e a scendere brevemente
fino all’ampia conca dei Ciaz de Sura
(m 2500 ca.)9, da cui abbiamo una
completa visuale delle tre vette. È il
pizzo Malenco, che incombe proprio
sopra le nostre teste con le sue tinte
scure, a impressionarci maggiormente.
9 - Il grande masso a N della conca è quotato
m 2522.
La rotta più semplice e consigliabile
punta al passo delle Tremogge, ma è
possibile pure una variante più ripida
e diretta, che descriveremo in coda a
questo articolo e che sale alla forcola
Malenco.
ttraversiamo il pianoro in direzione N e attacchiamo la scarpata ai piedi del pizzo delle Tremogge.
Imbocchiamo una vallecola che si
fa man mano sempre più stretta e
ripida fino a sbucare nella sua parte
alta. Usciti dall’imbuto pieghiamo
decisamente a sx (O) e compiamo
A
Forcola Malenco
(3210)
un traverso sopra una balza rocciosa
(m 2770 ca.). Meglio non scivolare
in questo breve tratto10: c’è un salto di
oltre cento metri sotto di noi!
Finalmente fa capolino anche il
sole che ci riscalda con un gradevole
tepore mentre sostiamo su un dossetto
pietroso. Siamo in una zona molto
ventosa, dove la solerzia di Eolo nel
pulire il pendio dalla neve obbliga
quasi sempre a fare un tratto a piedi.
10 - In caso di neve dura è consigliabile proseguire
montando i rampanti o addirittura a piedi e coi
ramponi.
Rimesse le assi, orliamo sulla sx la
conca dove giace il laghetto del passo
delle Tremogge (m 2930), d’inverno
gelato e coperto da un candido manto
bianco. Il valico omonimo è ben visibile in alto a N. Rimontato un facile
groppone, traversiamo a dx fino al
passo delle Tremogge (m 3015,
ore 3, 6,2 km).
Stiamo per entrare in territorio elvetico, ma ho dei forti dubbi che qualcuno ci chieda i documenti! A S lo
sguardo spazia sul maestoso monte
Disgrazia, a N corre lungo la val di Fex,
mentre a E il pizzo delle Tremogge, di
cui si vede un buon tratto della bella
cresta SO, svetta sopra le nostre teste.
Rifocillati e rilassati riprendiamo la
marcia tagliando sulla dx (NE) l’impervio pendio occupato dal vadret dal
Tremoggia11 fino a scollinare appena al
di sopra della grossa isola rocciosa che
la CNS quota m 3145.
Qui il ghiacciaio, modellato dal
sole e dal vento, forma un half-pipe
11 - Il ghiacciaio si è recentemente smembrato.
Appena sotto il passo vi è perciò una modesta lente
glaciale che si è isolata dal resto della vedretta.
naturale che noi siamo costretti a
seguire. Senza togliere le pelli dagli
sci, perdiamo una cinquantina di
metri di quota all’interno di questa
curiosa formazione, per poi riprendere
la marcia (ENE) lungo il ghiacciaio.
La fatica comincia a farsi sentire, ma
la vista del vicino passo Scerscen12
(m 3100, ore 1, 1,8 km) ci infonde
vigore e in un batter d’occhio conquistiamo anche questo valico di confine,
massima depressione tra il pizzo della
12 - Fourcla Fex-Scerscen su CNS.
Fausto Pedrolini in vetta al pizzo delle Tremogge (31 gennaio 2009, foto Beno).
40
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il giro delle Tremogge
41
Alpinismo
Valmalenco
Forcola Alta e il pizzo Tremogge, spartiacque tra il ghiacciaio di Scerscen
Inferiore e il vadret dal Tremoggia.
Rientriamo così in Italia. A NE, sui
contrafforti rocciosi del pizzo della
Forcola Alta, pochi metri sopra il
ghiacciaio, sorge lo spartano bivacco
Colombo (m 3170), provvidenziale
in caso di maltempo o per chi volesse
spezzare la gita in due giorni.
Una balza rocciosa chiara a S ci
impedisce di salire per la direttissima al pizzo delle Tremogge, per
cui dobbiamo spostarci più a E fino
a trovare un passaggio innevato con
pendenze accettabili che dà accesso
al pendio superiore. Con numerose
inversioni guadagniamo quota (SSO)
e raggiungiamo il culmine: ah no, è
solo l’anticima! Una breve discesa e
un’altrettanto corta salita ci condu-
Sguardo sulla val di Fex dalla vetta del pizzo delle Tremogge (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
In vetta al pizzo Malenco si trova una croce di legno che reca i segni di un fulmine che l’ha colpita
(15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
La ripida pala N del pizzo Malenco vista dalla spalla E del pizzo delle Tremogge (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
In discesa dal pizzo Malenco. Sullo sfondo le stratificazioni dell’edificio sommitale del pizzo delle Tremogge (31 gennaio 2009, foto Mario Pagni).
42
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il giro delle Tremogge
43
Alpinismo
cono sulla prima e più alta vetta di
giornata: il pizzo delle Tremogge
(m 3441, ore 1, 1,2 km).
Panorama eccezionale! A S il monte
Disgrazia, che ci ha scortato per tutta
la salita, trionfa con le due valli laterali Ventina e Sissone: sembrano
braccia che si dipartono da un corpo
maestoso. Poi verso O le vette sullo
spartiacque tra la Valmalenco e il
bacino del Forno: monte Sissone, cima
di Rosso, cima di Vazzeda, monte
Rosso e, in primo piano, l’imponente
Sassa di Fora. In basso, in lontananza
a NNO, la rettilinea val di Fex, al cui
sbocco si scorge il luccichio tremolante
del lago di Sils. A N il massiccio Glüschaint-Sella fa da sipario ai retrostanti
giganti: pizzo Roseg, monte Scerscen,
pizzo Bernina, Cresta Güzza e pizzo
d’Argento: tolgono il fiato solo a guardarli e ci fanno sognare future sfide.
Inforcati gli sci, ci buttiamo a capofitto verso E in direzione della forcola
Malenco (m 3310, massima depressione tra i pizzi Tremogge e Malenco),
facendo attenzione agli infidi blocchetti di calcare che di tanto in tanto
affiorano dalla neve. Raggiunta
quindi la base dell’erta pala N del
pizzo Malenco, calziamo i ramponi
e in men che non si dica siamo sulla
cima dove si trova una croce di legno
(pizzo Malenco, m 3438, ore 0:45,
km 1,1).
Da qui si domina la Valmalenco
che dritta confluisce nella Valtellina
proprio in corrispondenza del capoluogo, Sondrio. A E notiamo la Sassa
d’Entova, ultima e più bassa vetta
di giornata. Con una bella volata
lungo la pala N, raggiungiamo il
ghiacciaio di Scerscen Inferiore, per
traversare perdendo ulteriormente
quota in direzione SE fino ai piedi
(m 3200 ca.) della piramidale Sassa
d’Entova. Rimettiamo le pelli e con
alcune risvolte vinciamo facilmente
il pendio che ci deposita direttamente in vetta alla Sassa d’Entova
(m 3331, ore 0:45, 1,5 km), dove,
poco lontano dalla croce dedicata a
Fausto Pedrolini - alpinista di Chiesa
in Valmalenco scomparso nel 2009 in
un incidente in montagna13 -, si trova
il libro di vetta.
A SE la fatiscente costruzione
13 - Vedi LMD n.9 - Estate 2009.
44
LE MONTAGNE DIVERTENTI Valmalenco
Piz Glüschaint
(3594)
Sassa d’Entova
(3331)
Forca d’Entova
(2831)
Pizzo Malenco
(3438)
Pizzo delle Tremogge
(3441)
Ex rifugio Entova Scerscen
(2990)
Passo Scerscen
(3100)
L’itinerario visto da E, dal terrazzo del rifugio Marinelli (11 marzo 2011, foto Beno).
Salendo l’ultimo pendio per la vetta della Sassa d’Entova. Sullo sfondo il pizzo Malenco (15 aprile
2015, foto Luciano Bruseghini).
Sciando sul ghiacciao di Scerscen Inferiore al cospetto del massiccio Glüschaint- Sella (15 aprile
2015, foto Luciano Bruseghini).
In vetta alla Sassa d’Entova si trova la piccola croce dedicata a Fausto Pedrolini. Sullo sfondo il
monte Disgrazia (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
Il rifugio Entova Scerscen fu abbandonato a inizio anni ‘90. Ora la struttura è in parte
pericolante: meglio non avvicinarsi troppo (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI dell’ex rifugio Entova Scerscen, prossima tappa della gita.
Ci abbassiamo verso N fino a circa
m 3160, poiché prima la cresta NE
della Sassa d’Entova forma una barra
di rocce con grande salto sul versante
opposto. Solo quando le pendenze
si addolciscono e la possibilità di
scavalcare la dorsale senza problemi
si fa evidente, pieghiamo a dx (E)
e velocemente siamo all’ex rifugio
Entova Scerscen (m 2990, ore 0:30,
2,1 km). Ora abbiamo due opzioni:
scendere verso dx, seguendo la linea
del cavo della vecchia teleferica,
oppure a sx, in un delizioso canale.
Tra le due io prediligo quest’ultima, in
quanto più sicura, anche se entrambe
raggiungono pendenze di 40/45°.
Scendiamo così di una ventina di
metri a valle (S) della costruzione, poi
pieghiamo a sx (E) e ci infiliamo in
uno stretto imbuto che si amplia man
mano che divalliamo consentendoci
di guizzare con maggior scioltezza.
Toccato il pianoro sottostante,
d’estate impreziosito dai laghi del
Tricheco e della Balena, pieghiamo
verso O senza imboccare la carrareccia che invece porta a S. Passati
accanto ad alcune piccole baracche,
ci portiamo a circa m 2600 sul fondo
di un’ampia conca, quindi pieghiamo
a sx e puntiamo all’imbocco dello
stretto canale inciso dal torrente.
Anche se piuttosto ripido, questo
Il giro delle Tremogge
45
Alpinismo
Valmalenco
Forcola Malenco
(3210)
Il ripido canale che scende dall’ex rifugio Entova Scerscen al lago del
Tricheco supera i 40° (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
Verso i Ciaz de Sura. Indicato il tracciato diretto per la forcola Malenco
(15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
Forcola Malenco
(3210)
Nella strettoia del ripido canale che scende dai Cian di Bö verso Entova.
A stagione avanzata si deve stare attenti perché si può finire a mollo nel
torrente (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
tratto è abbastanza sicuro dalle
valanghe perché il pendio tende a
bonificarsi subito dopo le precipitazioni. Perdiamo quota rapidamente
nella valletta sempre più ampia, per
uscirne sulla dx e intercettare la strada
non lontano dal guado sul torrente
Entovasco.
A ridosso della valle dell’Entovasco,
continuiamo a disegnare serpentine
in spazi aperti fino al limitare del
bosco. Affrontiamo la fascia alberata lungo la traiettoria del sentiero
estivo, che si mantiene sulla dx idrografica tra i larici. Velocemente appro-
46
LE MONTAGNE DIVERTENTI La via diretta da S per la forcola Malenco. A sx è indicato il canale che,
se innevato, consente con più facilità di guadagnare la spalla E del pizzo
delle Tremogge (13 marzo 2015, foto Luciano Bruseghini).
diamo alla radura che ospita le baite
dell’alpe Entova (m 1912, ore 0:30,
2,6 km), dalla quale percorriamo a
ritroso la traccia dell’andata fino al
piazzale accanto al rifugio Sasso Nero
(m 1506, ore 0:30, 4,3 km).
VARIANTE PER LA FORCOLA
MALENCO
Chi volesse fare un percorso alternativo, ben più impegnativo ma che
consente di risparmiare circa un’ora
di marcia, fatte le debite valutazioni,
può dai Ciaz de Sura raggiungere
direttamente da S la forcola Malenco,
anziché transitare per i passi delle
Tremogge e Scerscen.
Dai Ciaz de Sura (m 2500 ca.),
invece di piegare a sx, continuiamo
verso NNE e affrontiamo la scarpata
che scende dal circo compreso tra
pizzo delle Tremogge e pizzo Malenco,
dove si trova il piccolo ghiacciaio delle
Tremogge14. Il primo tratto permette
di tenere gli sci ai piedi, ma man mano
che prendiamo quota le pendenze
cominciano a farsi sentire (35°/40°)
finché, nei pressi di un roccione,
14 - In forte ritiro (oltre il 60% dal 1990 al 2007),
nel 2007 misurava soli 5,5 ha.
Inverno 2015
Il canale di misto che porta alla forcola Malenco. Un tempo qui si
passava con gli sci! (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
L’uscita del canale (max 50°) che porta direttamente sulla spalla E del
Tremogge senza passi d’arrampicata (6 giugno 2011, foto Beno).
Salendo la spalla E del pizzo delle Tremogge. Come si nota, il vento fa
affiorare degli insidiosi blocchetti di calcare che potrebbero rigare gli
sci in discesa (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
La vetta vera e propia del pizzo delle Tremogge si trova alcuni metri
oltre la sua anticima NE, da cui è separata da una conca a cui segue una
facile cresta (15 aprile 2015, foto Luciano Bruseghini).
decidiamo di calzare i ramponi e
proseguire a piedi. In questo modo
viaggiamo più spediti e sicuri perché
le punte affilate dei ramponi hanno
un’ottima presa su questa neve dura.
È meglio tenersi sulla sx, verso il pizzo
delle Tremogge. A m 2950 il declivio
spiana leggermente. Rimettiamo gli
sci, pur tenendo i ramponi a portata
di mano perché tra breve ci serviranno
di nuovo. Siamo immersi nel tetro
anfiteatro compreso tra il pizzo delle
Tremogge e il pizzo Malenco. In alto
sulla dx (NE), compare l’intaglio della
forcola Malenco: sembra impossibile
LE MONTAGNE DIVERTENTI vincere l’ultimo dirupo, ma il segreto
c’è. Insistiamo verso NE, le pendenze
continuano ad aumentare finché
risulta impossibile proseguire con gli
sci: a m 3150 passiamo ai ramponi.
Un tratto assai arduo ci conduce ai
piedi di un canalino roccioso (II): è
lungo una cinquantina di metri, con
neve e ghiaccio sul fondo, ma ottimi
appigli per le mani. Lo risaliamo e
approdiamo alla forcola Malenco
(m 3210, ore 2:30 dai ciaz de
Sura)15.
15 - Con buon innevamento, una valida alternativa
è quella di prendere il canale nevoso più a sx. Que-
Alla forcola Malenco veniamo
accolti dai caldi raggi del sole che
fino a ora ci erano stati negati, ma
soprattutto veniamo catturati dall’imponente e formidabile gruppo Glüschaint-Sella. Rimessi gli sci, ci issiamo
sulla spalla orientale del pizzo delle
Tremogge che ci conduce prima
all’anticima e poi alla vetta vera e
propria (m 3441, ore 0:45).
sto sbuca sulla cresta E del pizzo delle Tremogge
appena a sx di una torre biancastra (m 3300 ca.). Le
pendenze sfiorano i 50° in corrispondenza della
pancia centrale e dell’uscita, ma non è necessario
arrampicare.
Il giro delle Tremogge
47
Alpinismo
Versante Retico
Cima del Desénigo
Erano più di dieci anni che ogni mattina, mentre percorrevo la SS 38,
guardavo questa vetta che domina la media Valtellina sopra
Ardenno. Potere sciare sui larghi fianchi del Desénigo è
stato per me un sogno, coronato nel 2014 col
versante E e nel 2015 con quello S.
Luciano Bruseghini
48
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il versante orientale della cima del Desénigo visto dalla cima di Vignone. L’edificio
sommitale ha due vette: la NO, la cima del Desénigo vera e propria (m 2845), e, alla
sua sx in foto, l’anticima SE (m 2834 su CTR), capolinea delle gite sciapinistiche
49
(29 marzo 2013, foto Roberto Ganassa).Cima del Desénigo (m 2845)
Alpinismo
Versante Retico
“M
assiccio roccioso che, visto da parecchi punti e specialmente dalla Valtellina verso
Berbenno, ha una imponenza superiore alla sua altezza e importanza” - così
descriveva Aldo Bonacossa questa cima. Effettivamente il Desénigo non ha alte pareti
per arrampicare, almeno non quanto i vicini giganti di granito del Masino, ma ha
invece bellissimi fianchi per sciare.
Esistono tre itinerari scialpinistici per la cima, tutti raramente frequentati e,
generalmente, col primo tratto da fare a piedi per mancanza di neve:
- dalla val Chiavenna, seguendo la valle dei Ratti;
- il classico, lungo il versante S, con partenza da Poira di Dentro;
- il più impegnativo e appagante, per il versante E con partenza da Cevo, all’imbocco
della val Masino.
Vi descriverò questi ultimi due.
Cima di Malvedello
(2640)
Cima del Desénigo
(2845)
Passo di Visogno
(2574)
Passo di Colino Ovest
(2630)
Corno del Colino
(2504)
Torre di Bering
(2608)
2834
Biv. Bottani
Va
lT
oa
Alpe Visogno
te
Pra Succ
Baita Colino
Peccio
Ledìno
Poira
Poira di Dentro
In arancione il tracciato si salita da Poira di Dentro e in blu quello di discesa per la val Toate. In rosso l’itinerario per il versante E. La parte tratteggiata è
quella a carattere alpinistico. La gita si ferma all’anticima SE, da cui per la vetta si dovrebbe percorrere un tratto di cresta dentellata ed esposta.
Civo
Il versante meridionale della cima del Desénigo (6 marzo 2015, foto Luciano Bruseghini). In arancione il tracciato di salita da Poira di Dentro (tratteggiata
la parte non visibile che si svolge nella valle dei Ratti) e in blu quello di discesa per la val Toate.
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: Poira di Dentro (m 1080).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si
prende la SS 38 in direzione Morbegno. Ad Ardenno,
poco prima del ponte sul Masino (18 km), si esce a
dx sulla SP 9 della val Masino e la si segue per 5 km
salendo fino al ponte del Baffo. Qui si svolta a sx
sulla SP 10 che sale tortuosa e, dopo Cevo, passa
per Caspano, Chempo, dove al bivio (circa 11 km
da Ardenno) si abbandona la SP 10 e si prende a dx
(frazione Roncaglia Sotto). Dopo 4 km dal bivio e
15 km da Ardenno, si arriva a Poira di Dentro.
attenzione agli ultimi metri prima della vetta.
Itinerario
Mappe:
sintetico: Poira di Dentro (m 1080) -
Pra Succ (m 1650) - alpe Visogno (m 2005) - bivacco
Bottani-Cornaggia (m 2327) - passo di Visogno
(m 2574) - valle dei Ratti (ci si abbassa fino a m 2450
circa) - cima del Desénigo (anticima SE, m 2834) -
50
passo del Colino occidentale (m 2630) - alpe Colino
(m 1973) - alpe Pesc (m 1613) - Ledìno (m 1181) Poira di Dentro (m 1080).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 4 ore e mezza per la salita.
Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o
ciaspole, kit antivalanga, ramponi e piccozza utili per
l’ultimo tratto.
Difficoltà e dislivello: 3+ su 6, 1800 metri.
Dettagli: BSA. Gita scialpinistica molto lunga. Fare
- CNS foglio n. 278 - Monte Disgrazia, 1:50000
- Kompass n. 92 - Chiavenna e Val Bregaglia,
1:50000
Inverno 2015
IL DESÉNIGO PER IL VERSANTE
SUD (ITINERARIO CLASSICO)
opo aver attinto informazioni sull’itinerario dal Roby
Ganassa, lasciamo l’auto nel piazzale
adiacente la chiesetta in sasso di Poira
di Dentro (m 1080), percorriamo a
ritroso per una cinquantina di metri
la strada asfaltata. Sulla dx si stacca
una stretta carrareccia con cartelli
che ci indirizzano al bivacco Bottani-Cornaggia. Nel primo tratto, data
l’esposizione S e la quota non elevata,
la neve è in genere molto scarsa, per
non dire assente, però oggi a noi va
di lusso in quanto la recente nevicata
e le basse temperature degli ultimi
giorni hanno permesso a 20 cm di
coltre bianca di conservarsi. Calziamo
D
LE MONTAGNE DIVERTENTI subito gli sci e in marcia decisi.
Transitiamo a fianco di graziose
villette fino al limitare del bosco,
dove ha inizio l’impresa (sentiero
Tre Cornini). La pista non sempre
è evidente, però ad aiutarci ci sono
dei provvidenziali nastri bianco/rossi
molto sbiaditi, dondolanti dai rami di
alcuni alberi. Con un po’ di tornanti
prendiamo quota tra la vegetazione
(un misto di abeti, scheletriche querce
e castagni) fino a un ruscelletto. Ignorata la deviazione sulla dx per Peccio,
il tracciato risale verticalmente il fianco
sx della vallecola per poi incontrare
un’ampia pista tagliafuoco che oltrepassiamo. Lo spessore della neve aumenta,
mentre le piante di pino silvestre prendono il sopravvento. Ancora numerosi
andirivieni. Il sentiero piega decisamente verso O, per sbucare dopo un
lungo traverso nei pascoli dell’alpe Pra
Succ (m 1650, ore 1:20). C’è una
splendida vista sulla media e sulla bassa
Valtellina.
Riprendiamo la marcia ignorando il
primo nucleo di baite sulla dx e insistendo verso N su per il pascolo, fino
a toccare le abitazioni della parte alta,
dietro le quali è segnalata la ripartenza
del sentiero.
La traccia ora si fa più ampia e
rientra nel bosco con andamento N/
NE fino a un avvallamento occupato
dal ruscello che scende dall’alta val
Visogno (d’inverno il corso d’acqua
non è visibile perché ricoperto dalla
neve). Attraversata la conca, proseCima del Desénigo (m 2845)
51
Alpinismo
guiamo in direzione E e giungiamo a
una radura sopra la quale vi è un allettante pendio sgombro da alberi. Con
faticose inversioni verso N, siamo al
ripiano superiore. Pieghiamo quindi a
sx (NO) in piano per un breve tratto.
Improvvisamente una piccola costruzione sbuca dalla neve: siamo all’alpe
Visogno (m 2005, ore 1). A SO si
scorgono nitidamente i Tre Cornini,
guglie rocciose conosciute anche come
i tre frati, che sorgono sullo spartiacque
con la val San Giovanni. In alto a N
balza all’occhio, eretto su un dosso
roccioso, il rosso bivacco Bottani-Cornaggia. Sembra lontanissimo, invece
lo raggiungeremo in breve tempo. A
NO la cima di Malvedello (m 2640)
domina la parte alta della vallata.
Appena il pendio sulla dx (E) diventa
accessibile (tratto ripido), lo affrontiamo con decisi zig-zag e, guidati
dalla bandiera italiana che sventola
alle raffiche di vento, siamo al bivacco
Bottani - Cornaggia1 (m 2327,
ore 0:45).
Alle spalle della struttura in lamiera,
iniziamo un traverso (dx, NE) fino
a scavalcare un costolone e giungere
ai piedi del passo, che guadagniamo
raddrizzando il timone verso N.
Siamo al passo di Visogno (m 2574,
ore 0:40), sullo spartiacque tra costiera
dei Cech e valle dei Ratti2. La cima del
Desénigo è ben visibile a NE.
Abbiamo sudato sette camicie,
sia per lo sforzo che per il sole che ci
cuoceva, ma ora la situazione cambia
decisamente: siamo accolti da un
vento gelido che ci raffredda all’istante.
Lanciamo un veloce sguardo alla parte
alta della valle dei Ratti dominata dal
pizzo Ligoncio e dall’impressionante
mole rocciosa del Sasso Manduino.
Senza perdere tempo pianeggiamo a
NE, per quindi puntare in alto: l’edificio sommitale del Desénigo è proprio
davanti a noi. Si nota chiaramente che
sono due le vette: noi scegliamo quella
Versante Retico
Cima di Malvedello
(2560)
Passo di Visogno
(2574)
Pra Succ (28 febbraio 2015, foto Luciano Bruseghini).
Ai piedi della cima di Malvedello (28 febbraio 2015, foto L. Bruseghini).
1 - Dedicato alla memoria degli alpinisti Nino Bottani e Siro Cornaggia è collocato fra le balze rocciose
del circo ai piedi della cima di Malvedello. Il bivacco
è stato posato nel 1983 ed è di proprietà del G.A.M.
(Gruppo Aquile di Morbegno). Dispone di 9 cuccette, un tavolo e una panchina ribaltabile. Pur
essendo un bivacco, non è sempre aperto, per cui
chi intendesse fruirne deve chiedere le chiavi a
Oscar Scheffer del GAM di Morbegno (tel. 0342611022), oppure agli alberghi Scaloni o Ville di
Poira, a Poira di Civo.
2 - Il toponimo non è indice della presenza di
numerosi roditori, ma deriva dalla famiglia Ratti
proprietaria un tempo di gran parte della vallata.
52
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dalla vetta del Desénigo (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa).
Panorama della conca al cui margine sorge il bivacco Bottani - Cornaggia
(28 febbraio 2015, foto Luciano Bruseghini). Appena dopo il dosso del
bivacco si deve intraprendere un traverso in salita verso dx (NE), per poi
puntare dritti (N) alla sella del passo.
Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima del Desénigo (m 2845)
53
Alpinismo
meridionale che, anche se di quota
leggermente inferiore, è più facilmente
raggiungibile d’inverno. Saliamo un
dosso roccioso e infine affrontiamo
il pendio terminale. Ai piedi dell’impervia scarpata finale parcheggiamo
gli sci e proseguiamo a piedi per una
quarantina di metri, infine attacchiamo
la breve cresta che ci conduce sull’anticima SE della cima del Desénigo
(m 2834, ore 0:45)3.
Il panorama, anche se in parte celato
dalla nebbia, è veramente spettacolare:
l’intera Valtellina, la val Masino coi sui
giganti di granito e il Disgrazia.
Iniziamo subito la discesa perché il
tempo sta peggiorando, come preannunciato dalle previsioni meteo. Ricalchiamo le nostre orme fino al deposito
sci, poi, rimesse le assi, ci abbassiamo
inizialmente verso O per poi piegare a
S in un valloncello. Spingendoci a mo’
di fondista risaliamo il breve pendio
che ci conduce al passo del Colino
Occidentale (m 2630, ore 0:30).
Scendiamo un centinaio di metri
verso S, poi tagliamo in diagonale
verso E (sx) per entrare in val Toate4.
Un ampio pendio che intercala
dossoni consente deliziose evoluzioni
e la discesa sembra non finire mai.
Alla baita dell’alpe Colino (m 1973)
3 - Da qui chi volesse andare in vetta deve affrontare
la dentellata cresta rocciosa verso NO. Circa
200 metri esposti e con vari spuntoni da aggirare.
Prestare molta attenzione ad eventuali cornici instabili.
4 - È anche possibile scendere direttamente tutto il
pendio che si sviluppa a S del passo del Colino Ovest,
anch’esso entusiasmante. Però, una volta raggiunta la
baita isolata e semidistrutta a m 1780 circa, bisogna
seguire il sentiero che le passa davanti. Andando a
destra (O) si ritorna a Pra Succ, prendendo a sinistra
(E) si raggiunge Peccio. L’importante è non continuare la discesa verso S perché il pendio presenta
canali incassati e salti di roccia proibitivi.
Val Masino
Cima del Desénigo
(2845)
2834
La cima del Desénigo dal passo di Malvedello. È segnata la traccia di salita dal passo di Visogno
(28 febbraio 2015, foto Luciano Bruseghini).
Discesa in val Toate (28 febbraio 2015, foto Luciano Bruseghini).
la vegetazione comincia a fare la sua
comparsa, ma stando al centro della
vallata sciamo su ampi e agevoli declivi,
facendo lo slalom attorno a grossi
massi che di tanto in tanto spuntano
dalla glassa bianca. L’alpe Peccio (Pesc)
(m 1613) è ben visibile in basso: sono
due nuclei ben distinti e noi puntiamo
a quello sulla destra (O). Superato un
breve tratto nel bosco, raggiungiamo
l’alpeggio. A valle delle due costru-
zioni imbocchiamo il sentierino per il
maggengo di Ledìno. Procediamo con
gli sci fino a trovare la pista forestale a
m 1450 circa. La attraversiamo e proseguiamo a piedi sul sentiero. Toccato
Ledìno (m 1181), la mulattiera diventa
una strada sterrata fino alla chiesetta
di Poira (m 1070, per la discesa dal
passo del Colino Occidentale occorrono, a seconda dell’innevamento,
dalle 1 alle 2:30 ore).
Il ponte sul Cavrocco nei pressi della centrale idroelettrica (2 marzo 2014,
foto Luciano Bruseghini).
Il maggengo di Cerésolo è posto nel punto in cui la valle si allarga e il
paesaggio si fa meno aspro (2 marzo 2014, foto Luciano Bruseghini).
Corte del Dosso (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa).
Corte di Cevo (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa).
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: Cevo (m 660).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si
prende la SS 38 in direzione Morbegno. Ad Ardenno,
poco prima del ponte sul Masino (18 km), si esce a
dx sulla SP 9 della val Masino e la si segue per 5 km
salendo fino al ponte del Baffo. Qui si svolta a sx
sulla SP 10 che sale tortuosa e, dopo 1 km si arriva
all’abitato di Cevo.
Itinerario sintetico: Cevo (m 660) - Cerésolo
(m 1040) - Corte del Dosso (m 1450) - Corte di Cevo
(m 1770) - casera Spluga (m 1940) - anticima SE del
Desénigo (m 2834) - ritorno per lo stesso itinerario.
IL DESÉNIGO PER IL VERSANTE
EST (ITINERARIO PER
AVVENTURIERI)
S
e per qualcuno fare il Desénigo1
da Poira non fosse abbastanza
impegnativo, lo invito a provare
l’ascesa lungo la valle di Spluga con
partenza da Cevo (m 660), frazione
di Civo che sorge all’imbocco della val
Masino.
Lasciamo l’auto nella piazzetta in
1 - Il Desénigo è indicato sulle mappe anche come
monte Spluga, ma questo toponimo non è d’uso
comune tra i frequentatori.
54
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Tempo previsto: 7 ore e mezza.
Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o
ciaspole, kit antivalanga, ramponi e piccozza utili per
l’ultimo tratto.
Difficoltà e dislivello: 4+ su 6, 2200 metri.
Dettagli: OSA. L’ultimo tratto e la cresta per
la vetta richiedono attenzione in quanto ripidi ed
esposti. Pendii oltre i 45°.
Mappe:
- CNS foglio n. 278 - Monte Disgrazia, 1:50000
- Kompass n. 92 - Chiavenna e Val Bregaglia, 1:50000
centro al paese e per viottoli fra le
case e sentiero ci portiamo a monte
dell’abitato. Incrociamo e prendiamo
(dx, NE poi SO) la strada sterrata di
servizio della centrale idroelettrica sul
torrente Cavrocco, che attraversiamo
grazie a un bel ponte, a valle del quale
ci sono graziose cascate. Giunti in sx
orografica, e passati così dal comune
di Civo a quello di Valmasino, imbocchiamo in salita (sx) la vecchia mulattiera selciata della valle di Spluga. La
via è stata faticosamente ricavata sul
roccioso e ripido fianco del monte,
dove corre a tratti scalinata appena
sopra e parallela alla stretta gola del
torrente. D’inverno in alcuni punti
si può trovare ghiaccio vivo: è allora
bene prestare molta attenzione, perché
una caduta nella forra del torrente
potrebbe essere fatale. All’improvviso
la valle si apre e giungiamo a Cerésolo
(m 1040, ore 1). Si tratta di un gruppetto di baite in una piccola conca
erbosa, di cui la maggior parte versa
in stato di abbandono. Il nucleo altro
non è che il maggengo che faceva
riferimento all’alpeggio di Cervìso,
adagiato su un terrazzo 450 metri di
dislivello più in alto ed esattamente a
Cima del Desénigo (m 2845)
55
Alpinismo
Val Masino
2834
A Corte di Cevo ci sono 2 metri di neve (2 marzo 2014, foto Luciano Bruseghini).
Il tracciato per la cima del Desénigo dall’alta valle di Spluga (2 marzo 2014, foto Luciano Bruseghini).
N di Cerésolo.
Dirigendoci a NO, troviamo e
seguiamo le indicazioni per i laghi2 che
ci portano quasi subito ad attraversare
(sx) una vecchia frana dove i rovi e le
piante di rosa canina se la prendono
coi nostri vestiti.
Tornati nel bosco, senza ancora
aver la possibilità di calzare gli sci,
dobbiamo evitare i continui agguati
che ci tendono i rami bassi degli alberi.
Questi sono carichi di neve fresca e
se la scrollano di dosso appena li sfioriamo con le punte degli sci.
A circa m 1350 ci sono 20 cm di
neve: non molta, ma sufficiente a
passare dall’assetto escursionistico a
quello scialpinistico.
In men che non si dica siamo a
Corte del Dosso (m 1450, ore 1),
una modesta radura dove sorgono una
manciata di baite in sasso tutte abbandonate e in rovina. Qui la coltre bianca
raggiunge il metro! Verso SO, dall’altra
Non ovunque si accede alla cresta E del Desénigo (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa).
Valle di Spluga, al limite della vegetazione. Sullo sfondo le cime della Merdarola (2 marzo 2014, foto Luciano Bruseghini).
56
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI 2 - I laghi della valle di Spluga, di cui il maggiore è
posto a m 2160 ai piedi del versante N del Desénigo,
costituiscono, assieme a quello di Scermendone, gli
unici della val Masino.
Cima del Desénigo (m 2845)
57
Alpinismo
Val Masino
parte della vallata, svettano il corno del
Colino e la rocciosa torre di Bering.
Il sole riscalda la neve e questa
aderisce alle pelli formando un pesante
zoccolo che rende la marcia un
calvario. Fortunatamente spalmando
della sciolina sulle pelli la situazione
migliora. Oltre una piccola radura, il
sentiero rientra nel bosco e tocca Corte
di Cevo (m 1770), dove troviamo due
baite di recente ristrutturazione e quasi
2 metri di neve.
Sbigottiti da cotanta generosità, ci
dirigiamo a NO e in breve usciamo dal
limite degli alberi nei pressi di casera
Spluga (m 1940, ore 1:15). Non
passiamo dalle baite, ma ci portiamo
(sx, SSO) sulla dx idrografica per
sostare su di un dossone (m 2100 ca.)
dal quale possiamo studiare il modo
migliore per vincere il ripido pendio
che abbiamo di fronte. Due alti salti
di roccia bloccano l’accesso diretto
alla spalla E del Desénigo, per cui
dobbiamo compiere un largo semicerchio da dx a sx per aggirarli. La
neve fresca è tanta quanto la fatica
della progressione, ma fortunatamente
con noi ci sono due “macchine da
guerra”: Sgabèl e Lurenzìn che, alternandosi al comando, battono una
traccia perfetta. Dopo parecchie inversioni sullo scosceso fianco del monte
e numerose soste per rifiatare, guadagniamo la cresta E del Desénigo a circa
m 2700.
Siamo esausti, ma la cima è vicina.
Seguiamo la dorsale verso O fin dove
è possibile con gli sci, poi li abbandoniamo e proseguiamo ramponi ai
piedi (neve mista a roccette). Non
appena possibile, abbandoniamo il
filo e ci spostiamo a sx dentro il ripido
canale che culmina sulla cresta N. Con
prudenza, data la forte inclinazione
(>45°), compiamo questa manovra
e tocchiamo lo spartiacque tra la val
Toate e la valle dei Ratti. Pochi metri
verso N e siamo nel punto nodale dove
si incontrano la val Toate, la valle dei
Ratti e la valle Spluga, ovvero l’anticima SE della cima del Desénigo
(m 2834, ore 2:30).
Sfiancati dall’enorme lavoro che si
è reso necessario per vincere gli ultimi
600 metri di dislivello, ci ritempriamo
godendo dell’amplissimo panorama:
dal monte Bianco al monte Rosa, dai
monti Lariani, al gruppo del Bernina,
58
LE MONTAGNE DIVERTENTI Nel ripido canale che scende dalla cresta N a pochi metri
dall’anticima SE del Desénigo. Sullo sfondo la Valtellina
(24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa).
Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima del Desénigo (m 2845)
59
Rubriche
Val Masino
Verso al cresta E del Desénigo (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa).
all’Adamello, passando per le vicine
vette della val Masino, mentre a S
s’erge la dentatura delle Alpi Orobie.
ifocillati, iniziamo il rientro.
Con attenzione ci abbassiamo
a piedi ripercorrendo il tragitto di
salita fino al deposito sci. Messe le
assi, diamo libero sfogo a tutta l’adrenalina che abbiamo accumulato in
corpo. La pendenza perfetta (30-35°)
e la neve farinosa ci consentono di
disegnare centinaia di metri di ininterrotte serpentine: sostiamo solamente
quando i quadricipiti vomitano lattacido. Nei pressi di casera Spluga, ci
immergiamo nel bosco seguendo le
tracce di salita. La polvere continua e
ci esibiamo in audaci ghirigori fra gli
alberi fino a Corte Cevo. Più in basso
il sole ha inflaccidito la neve, ma non
ci lasciamo abbattere e scivoliamo
ancora fino a m 1350, dove siamo
costretti a levare definitivamente gli sci
e proseguire a piedi. La stanchezza fa
sembrare la discesa infinita, ma oramai
è fatta e chiudiamo questa fantastica
giornata a Cevo (m 660).
Da oggi ogni volta che percorrerò
la SS 38 da Sondrio a Ardenno, potrò
alzare lo sguardo fiero e, anche se
quella che mi aspetta è una lunga giornata di lavoro, sorridere ripensandomi
lassù a disegnare coi miei sci quegli
incredibili pendii!
R
Scendendo dai fianchi del Desénigo. Sullo sfondo, inconfondibile,
la cima centrale del Calvo (24 febbraio 2014, foto Roberto Ganassa).
60
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Cima del Desénigo (m 2845)
61
Alpinismo
Valchiavenna
Nel canyon del Tignoso
Beno
Una gita di scialpinismo può nascere da un attento studio dell’itinerario oppure da una
scoperta inaspettata. Allora è ancor più affascinante.
Così, un pomeriggio al termine della consegna della rivista nelle edicole, ci troviamo a
Campodolcino. Vista in alto la sagoma arrotondata del monte Tignoso, decidiamo di
raggiungerla nelle poche ore di luce rimanenti.
Oramai rassegnati a una discesa al calar del sole senza particolari emozioni,
la curiosità ci porterà invece a sperimentare una linea all’interno di un
canyon chiuso tra pareti di chiaro calcare.
Sul fianco orientale del monte Tignoso il solco val dei
Buoi si stringe tanto da formare un canyon, davvero
insolito da sciare (18 marzo 2015, foto Roberto Ganassa).
62
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Monte Tignoso (m 2376)
63
Alpinismo
Valchiavenna
Monte Tignoso
(2376)
Toiana
San Sisto
Starleggia
Ca de Luc
Splughetta
Il monte Tignoso visto dai prati di Campodolcino. Nell’immagine è segnato il tracciato di salita dai prati di Campodolcino (18 marzo 2015, foto Beno).
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D
opo pranzo chiedo a Roby cosa si
riesca a fare con gli sci partendo
da Campodolcino, dove ci troviamo al
termine del giro di distribuzione del
numero primaverile de Le Montagne
Divertenti. Data l’ora, serve una gita
non troppo lunga e Roby suggerisce il
monte Tignoso, una meta poco ambiziosa sopra San Sisto. Lui non l’ha mai
salito, perciò facciamo due passi sui prati
dietro il Muvis di Campodolcino per
vedere la nostra meta e se i crochi stanno
spuntando. Niente fiori, ma invece ecco
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LE MONTAGNE DIVERTENTI si sale lungo la SS 36 dello Spluga in direzione del
passo omonimo. Si toccheranno San Giacomo
Filippo, Lirone, Cimaganda, Prestone e dopo aver
costeggiato un bacino artificiale, Campodolcino
(12 km). All’uscita del paese, ci si separa dalla
SS 36 e si prende a sx la SP 66 per Isola, quindi,
giunti nei pressi del Liro, si abbandona la SP 66 e
si attraversa il torrente (sx) immettendosi su via per
Starleggia. Dopo un breve piano, in corrispondenza
del campeggio Campodolcino Camping, ha inizio la
salita per Starleggia. Qui si lascia l’auto (circa 15 km
da Chiavenna): la strada per Starleggia è chiusa al
transito automobilistico nel periodo invernale.
Itinerario sintetico: Campodolcino (m 1090) Splughetta (m 1369) - ca de Luc (m 1475) - Starleggia
(m 1565) - San Sisto (m 1779) - Toiana di Sotto
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64
Partenza: Campodolcino (m 1090).
Itinerario automobilistico: da Chiavenna
Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI (m 1950) - monte Tignoso (m 2376) - San Sisto
(m 1779) - Starleggia (m 1565) - ca de Luc (m 1475) Splughetta (m 1369) - Campodolcino (m 1090).
Tempo previsto: 4 ore per la salita.
Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o
ciaspole, kit antivalanghe, consigliati i ramponi.
Difficoltà/dislivello: 3 su 6 / oltre 1250 m in
salita.
Dettagli: BS+ la discesa per il canyon, altrimenti
MS. Pendenze fino a 40° con qualche salto da fare.
Se si scende per la via di salita non si incontrano
difficoltà. Attenzione alla possibilità di ghiaccio e neve
dura sulla cresta sommitale.
Mappe:
- Kompass n.92 - Valchiavenna e Val Bregaglia,
1:50000
sbucare dai tetti delle case il monte
Tignoso: si tratta del dossone pelato
all’estremità orientale della dorsale tra la
valle di Starleggia e la val Febbraro. La
cima del monte Tignoso, geologicamente
parlando, è un curioso lembo residuo
della falda del Suretta, che in questo
settore è divisa dagli gneiss della falda del
Tambò da una lente di calcare.
Raggiunto con l’auto l’inizio della
strada per Starleggia (m 1090),
parcheggiamo a lato della carreggiata
poco oltre il campeggio.
Il fondo scarsamente innevato è
segnato dal passaggio delle motoslitte.
Il caldo è tale che prevediamo di dover
levare gli sci in più punti.
Inizia la marcia su pendenze alquanto
modeste. Poco dopo il primo tornante,
sulla dx, si stacca il sentiero estivo che
farebbe guadagnar quota più velocemente, ma con poca neve è meglio restare
sulla strada e non andare a cercare avventure nel fitto bosco di abeti, dove gli
alberi tendono a non lasciar depositare i
fiocchi bianchi e i sassi sono lì pronti ad
Monte Tignoso (m 2376)
65
Alpinismo
Indicati in rosso il tracciato di salita e in giallo quello di discesa. Le parti tratteggiate individuano le
parti più impegnative della gira.
Splughetta. Sullo sfondo la valle della Rabbiosa. Da sx pizzo Groppera, pizzo Stella e Cresta del
Calcagnolo. In basso si vede Campodolcino (18 marzo 2015, foto Beno).
Starleggia e la chiesa di Cristo Re. Edificata nel 1768 fu dotata di campanile solo nel 1921 (18 marzo
2015, foto Beno).
66
LE MONTAGNE DIVERTENTI Starleggia. Sullo sfondo la valle della Rabbiosa. Da sx pizzo Groppera, pizzo Stella, Cresta del
Calcagnolo, pizzo Alto e pizzo di Prata. In basso le case di Campodolcino (18 marzo 2015, foto Beno).
azzannare le solette degli sci.
Il decimo tornante (4,5 km) coincide
con Splughetta (m 1369), gruppetto di
case a monte del grazioso terrazzo che
s’affaccia sulla val San Giacomo. Da qui
c’è una ampia vista sia sulla cascata di
Pianazzo, che su Campodolcino e la sovrastante valle della Rabbiosa, oltre che sulla
dentatura di vette che vanno dal pizzo
Stella al monte Mater. Splughetta è inoltre
impreziosito dalla cappella ottocentesca dedicata a Santa Maria Madre della
Chiesa, posta quasi sul ciglio del balcone e
affiancata da una croce.
Dopo il quattordicesimo tornante
c’è un lungo traverso (N). Due ponti
con suggestivi scorci superano le valli
del Sancia e di Starleggia. Qui i corsi
d’acqua scorrono in selvagge gole ornate
da candele di ghiaccio. Segue il nucleo
di ca del Luc (m 1475), a N del quale
abbandoniamo la strada e pieghiamo a sx
(O) risalendo una valletta scevra d’alberi.
Ripresa la carrozzabile (sx) siamo subito
a Starleggia (m 1565, ore 1:15), dove
si trova la chiesa di Cristo Re, edificata
nel 1768, ingrandita nel 1914 e dotata di
campanile solo nel 1921.
Il toponimo Starleggia, secondo
alcuni1, deriva dalla voce dialettale stérl,
e si riferisce al fatto che fin da tempi
remoti si portavano a pascolare le sole
bestie sterili su questi fianchi scoscesi.
1 - Mario Gianasso, Guida turistica della provincia di
Sondrio, II edizione a cura di Antonio Boscacci,
Franco Gianasso e Massimo Mandelli, Banca Popolare di Sondrio, Sondrio 2000.
Inverno 2015
Starleggia fu abitata fino alla metà degli
anni ‘80, mentre ora le sue case vengono
utilizzate per la villeggiatura estiva.
Attraversando l’abitato individuiamo e
seguiamo sulla sx (indicazioni) il sentiero
per San Sisto. Questo si svolge inizialmente sui prati a monte dell’abitato (O),
per entrare nel fitto del bosco e riemergervi dopo aver rimontato da dx a sx il
gradone roccioso che sospende lo sbocco
della valle di Starleggia. È un tratto molto
ripido che viene agevolato da numerose
risvolte e da alcune protezioni verso valle
che, però, d’inverno possono costituire,
più che una sicurezza, delle trappole per
gli sciatori.
Proprio sul ciglio della valle si trova una
cappelletta con Madonna col Bambino e,
appena a monte di questa, il campanile
di San Sisto. È ben distante dalla chiesa
omonima, ma l’anomalia è solo apparente: questo, infatti, doveva servire sia
San Sisto (detta Starleggia Superiore)
che Starleggia. Fu perciò inserito in una
più antica torre di guardia posta a metà
strada tra le due chiese. Al suo interno si
trova una sola campana, installata tra il
1620 e il 1639.
Pianeggiando giungiamo all’abitato
di San Sisto (m 1779, ore 0:30), posto
nella bassa valle di Starleggia. Perla della
frazione è la chiesa di San Sisto o della
Trasfigurazione, costruita nel 1613.
Il paesaggio della valle è costituito da
praterie d’alta quota. La sagoma del
pizzo Quadro impera a SO, mentre tra i
fabbricati si alternano edifici affascinanti
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sul ciglio sospeso della valle di Starleggia si trova una cappelletta dedicata alla Madonna e l’antico
campanile di San Sisto (18 marzo 2015, foto Beno).
San Sisto, un tempo noto come Starleggia Superiore, si trova allo sbocco della valle di Starleggia. Sullo
sfondo il pizzo Stella (18 marzo 2015, foto Roberto Ganassa).
Monte Tignoso (m 2376)
67
Alpinismo
Valchiavenna
Le baite allineate di Case Rosse (18 marzo 2015, foto Beno).
Toiana di Sotto (foto R. Ganassa).
Salendo la cresta NE del monte Tignoso. Sullo sfondo al centro è l’aguzzo pizzo d’Emet (18 marzo 2015, foto Beno).
In vetta al monte Tignoso (18 marzo 2015, foto Roberto Ganassa).
Nel canyon della valle dei Buoi.
A circa m 2000 nel canyon della valle dei Buoi (18 marzo 2015, foto Beno).
ad alcune palazzine di minor pregio.
Prima dell’ingresso in paese, sale sulla
dx (N) il sentiero (indicazioni) che presto
esce dal bosco e rimonta i pendii pascolivi compresi tra la valle Toiana a dx e la
valle dei Buoi a sx. Giungiamo alle baite di
Giumello, dalle quali ammiriamo sulla dx
le Case Rosse, un gruppo di edifici in pietra
allineati. Poco più in alto eccoci a Toiana di
Sotto (m 1950), da cui scorgiamo a O una
alta grotta calcarea cintata, probabilmente
usata come stalla. Insistiamo a NNO e,
dopo un tratto piuttosto faticoso, ci affacciamo al pian dei Cavalli.
68
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il monte Tignoso è alla nostra sx (OSO).
Attraversiamo la valle dei Buoi in un punto
dove è poco incisa e di lì ci inerpichiamo
zigzagando sul versante orientale del
monte.
I pendii, dapprima sostenuti (35°),
lasciano spazio a una groppa ben più dolce,
dove però il vento ha dato il peggio di sé
rendendo la neve durissima.
Le pelli non tengono più; una scivolata
sarebbe alquanto disastrosa, così decidiamo
di proseguire a piedi. Anche questa scelta si
rivela pericolosa: il fondo è talmente gelato
che non si riesce nemmeno a tacchettare
con le punte degli scarponi. Rimpiangendo
i ramponi che riposano a casa, iniziamo
un peregrinare sul crinale alla ricerca di
passaggi senza ghiaccio.
Fortuna vuole che giungiamo sani e salvi
in vetta, imparando che non si devono
sottovalutare nemmeno le gite apparentemente più semplici (monte Tignoso,
m 2376, ore 1:45).
Il sole è già basso sull’orizzonte e velato
da nuvole stiracchiate, il panorama amplissimo. Mi colpisce specialmente la vista del
canalone SE dei pizzi dei Piani, ambita
discesa di sci ripido. Il pian dei Cavalli
Inverno 2015
è addormentato sotto una spessa coltre
bianca che impedisce di andare alla ricerca
di fenomeni carsici o di segni dell’uomo
preistorico2, le maggiori attrattive di questa
vasta conca.
Sciati i pendii superiori, anzichè attraversare la valle dei Buoi, proviamo a seguirne
il corso. Il solco si incassa tra chiare rocce
2 - Al pian dei Cavalli, in un’area di circa 25 km2, gli
archeologi hanno scoperto le più antiche tracce
dell’uomo nelle Alpi Centrali. Gli scavi hanno portato alla luce una trentina di siti con reperti risalenti
fino a 10 mila anni fa, un periodo in cui il clima
mite permetteva agli uomini di recarsi a quote elevate e praticarvi la caccia.
LE MONTAGNE DIVERTENTI calcaree e ripide scarpate assumendo presto
l’aspetto di un canyon. Non sappiamo
se si passa o se ci troveremo davanti una
cascata invalicabile, ma entusiasti dell’ambiente inaspettato in cui stiamo sciando
decidiamo di insistere lungo la valle fino
a San Sisto. Oltre la prima strettoia, che
coincide con un’ansa del torrente, aggiriamo da sx una cascatella (m 1960 ca.).
Torniamo sulla mezzeria. Un paio di punti
stretti che richiedono agilità, pendenze che
non si fanno mai preoccupanti, e dei divertenti saltini scandiscono la sciata. Un po’
più di neve certo non guasterebbe, ma dise-
gnando una linea attenta riusciamo a non
levare mai le assi.
Nella parte bassa il canyon è occupato
da grossi massi e alberi caduti. Dobbiamo
“ravanare” un po’ per passare indenni
nell’intrico, stando attenti anche a non fare
il bagno nel torrente che il caldo ha scoperchiato in più punti. È anche questo parte
dell’avventura e certamente non guasta!
Sbuchiamo dal canyon proprio a San
Sisto da cui, ricalcando le orme di salita,
rientriamo a Campodolcino al calar delle
tenebre.
Monte Tignoso (m 2376)
69
Approfondimenti
Valchiavenna
Don Ugo Bongianni
Piero Tartarini
e la casa di san sisto
S
Erano gli anni ‘70 e don Ugo1,
giovane sacerdote di Chiavenna,
cercava una baita dove stare con i
ragazzi dell’oratorio. Per don Ugo,
infatti, la montagna era un’occasione
speciale di incontro coi giovani, con le
famiglie della parrocchia, di ritiro per
pregare, riflettere sulla vita, studiare
la Bibbia, condividere momenti di
gioia e di divertimento.
Grazie all’intermediazione del
signor Schiavi, trovò ospitalità a
San Sisto, presso una baita intitolata
all’alpinista Vittorio Guidali e utilizzata come casa vacanza da una famiglia milanese. Era un edificio bianco
nei pressi della fontana, lungo la stradina sterrata che da San Sisto porta
alla cava di beola. Non era grande,
ma i giovani si adattarono ben volentieri, dividendosi per dormire: le
ragazze si fermavano alla Guidali,
mentre i ragazzi sfruttavano un’altra
baita vicina. Malgrado le scomodità,
per loro i giorni passati in montagna
erano un’avventura. Un’avventura
fatta di momenti di riflessione, di
gioco, di scherzi, di canti e di passeggiate più o meno impegnative.
Durante quei soggiorni, don
Ugo mise gli occhi sulla vecchia
stazione della teleferica e casa degli
operai: due piani, isolata dal resto
del paese, sorgeva in prossimità del
ciglio sospeso della valle. Costruita
dopo la Seconda Guerra Mondiale
per servire le cave locali Mosca-Scaramella, divenuta in seguito caserma
della Guardia di Finanza per combattere il contrabbando, era da alcuni
anni inutilizzata2. Cosciente che la
casa Guidali era insufficiente come
spazi e che non si poteva approfittare
troppo della generosa ospitalità, capì
che la stazione della vecchia teleferica forse faceva al caso suo. Con un
gruppo di ragazzi girò attorno all’edificio, cercando di immaginare con
loro gli spazi interni. Notarono che
il portoncino d’entrata era chiuso
solamente con del fil di ferro e, dopo
qualche attimo di incertezza, sciolsero quel nodo e si avventurarono
all’interno: quella casa era proprio ciò
che cercavano!
Condivise la sua idea con il parroco
di Chiavenna don Siro Tabacchi
(1916-2010) e insieme contattarono il proprietario, il signor Mosca,
imprenditore milanese che viveva a
Chiavenna ed era attivo in parrocchia. Mosca non solo ne concesse
l’uso, ma la cedette ben volentieri in
cambio di una cifra simbolica. Era il
1976.
Iniziò una grande avventura, in
cui don Ugo seppe coinvolgere molti
ragazzi e adulti. Da allora andare a
San Sisto non fu più solamente fare la
settimana di ritiro dell’oratorio, bensì
occuparsi di una grande casa, vederla
rinascere, crescere ed evolversi.
1 - Don Ugo Bongianni, originario di Savogno, nacque a Chiavenna il 3 marzo del 1944. Fu ordinato
sacerdote a Como il 29 giugno del 1968 e, poco
dopo, inviato dal vescovo nella sua Chiavenna come
vicario. Qui si occupò da subito dei ragazzi. Divenuto anche parroco di Pianazzola, rimase a Chiavenna fino al 1990, anno in cui fu nominato parroco a Talamona.
Morì il 31 dicembre 2006 dopo un lungo cammino
di malattia in cui fu assistito, come fossero familiari,
da coloro i quali chiamava i suoi “fedelissimi”.
2 - La teleferica Campodolcino - San Sisto, di cui la
casa era la stazione a monte, fu realizzata al termine
della Seconda Guerra Mondiale su iniziativa dei
signori Mosca, proprietari di cave di beola verde
nella valle di Starleggia. L’attività estrattiva andò
però man mano spegnendosi. Nel 1970 un gruppo
locale riavviò una cava all’alpe Gusone e ottenne dai
Mosca l’utilizzo gratuito della teleferica Campodolcino - San Sisto, che venne quindi rimontata tra
Starleggia e l’alpe Gusone (fonte www.starleggia.it).
uonava il clacson della sua
FIAT 126 sui tornanti e
diceva: “A noi piace la musica”.
Quante volte don Ugo Bongianni
(1944-2006) ha percorso la strada
che unisce Campodolcino a Starleggia, sempre con qualche ragazzo
a bordo a cui, ridendo, ripeteva
quella battuta. Arrivato a Starleggia
indossava il suo zaino rosso, come
copricapo un fazzoletto coi nodi, e
si incamminava verso la casa di San
Sisto. Questa struttura, fulcro dei
campi estivi giovanili, è nata da una
sua idea quasi 40 anni fa e dal 2007
porta il suo nome.
Don Ugo Bongianni, col suo zaino rosso, mentre sale a San Sisto (1990, archivio oratorio San Luigi).
70
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Fraternità sacerdotale a San Sisto: don Ugo a sinistra, don Siro al centro e don Gigi Pini a destra (metà
anni ‘90, foto archivio oratorio San Luigi).
Carico di mattoni per i lavori alla casa (fine anni ‘70, foto archivio oratorio San Luigi).
La gente di San Sisto la chiama baracca, caserma o colonia; per chi ne è stato ospite, è semplicemente
la casa della parrocchia a San Sisto; per chi ci ha messo tempo e sudore, è casa propria, anche se oggi,
quando si passa a salutare, si entra col passo leggero dell’ospite (2014, archivio oratorio San Luigi).
Don Ugo Bongianni e la casa di San Sisto
71
Approfondimenti
Valchiavenna
Don Ugo celebra la messa al lago Bianco (1984, foto archivio oratorio San
Luigi).
I ragazzi giocano nel fango nella valle di Starleggia (2000 ca., foto archivio
oratorio San Luigi).
La messa della dedicazione della casa di San Sisto a don Ugo (10 giugno
2007, foto archivio oratorio San Luigi).
Ragazzi del campo estivo di San Sisto in gita nella valle di Starleggia (2005,
foto archivio oratorio San Luigi).
Gruppo di ragazzi alla casa di San Sisto (fine anni ‘70, foto archivio oratorio
San Luigi).
Don Siro parla ai ragazzi (2000 ca., foto archivio oratorio San Luigi).
Si prepara il falò (10 luglio 2007, foto archivio oratorio San Luigi).
Tutti attorno alla chitarra (5 agosto 2007, foto archivio oratorio San Luigi).
All’inizio i lavori erano fatti in
proprio, grazie alla competenza
di amici idraulici ed elettricisti.
I ragazzi più giovani facevano da
“bocia”, aiutando come potevano.
Si saliva di sera o di domenica, zaino
carico in spalla e via, col sole o la
pioggia, felici di poter essere utili.
In seguito sono intervenute anche
varie ditte per le opere di muratura.
Nel tempo, oltre all’aspetto strutturale, è cambiato anche il modo
di gestione della casa. All’inizio, ad
esempio, si andava tutte le sere dagli
allevatori a prendere il latte per la
colazione. Il pane arrivava con la
teleferica a contrappeso della cava,
così come tutti i rifornimenti per
la cucina e il materiale per i lavori;
bisognava quindi fare la spola per
portare tutto alla casa con le carriole
o tramite un grande carrello da
spingere a forza di braccia. Poi la
cava è stata chiusa e, per i grossi
carichi, la teleferica è stata sostituita
dall’elicottero.
72
LE MONTAGNE DIVERTENTI Tanti gruppi sono stati ospiti della
casa. Merita particolare menzione
il Gruppo del Venerdì, associazione
di volontariato di Chiavenna che
si occupa di disabilità. Per alcuni
anni una settimana è stata dedicata
a loro. E che festa quando salivano!
Soccorso Alpino in prima linea con
le barelle (anche chi era costretto in
carrozzina poteva arrivare a San Sisto
e farsi le vacanze), seguito da parenti,
volontari e amici con tutto il necessario per il soggiorno. Poco importa
se poi pioveva: si cantava, si facevano
grandi tornei di carte, si inventavano
giochi, si guardavano i mondiali di
calcio in TV (solamente in quell’occasione era ammessa nella casa).
al 1990 al 2006, don Ugo
salì con i giovani e le famiglie
di Talamona di cui, nel frattempo,
era divenuto parroco. Don Ugo ha
lasciato un segno anche lì: ancora
un anno fa, nel loro bollettino, i
parrocchiani di Talamona scrivevano infatti: “Ricordiamo i momenti
D
di incontro con don Ugo, quando le
sue parole semplici ed eterne si spande­
vano nell’aria di una giornata di sole,
oppure si facevano largo tra le pieghe
della notte attorno ad un falò, per
poi penetrare nei nostri cuori, prima
che nelle nostre menti; rivediamo lo
sguardo sorridente di quel sacerdote
che amava la montagna, che ci ricor­
dava che per arrivare in cima si deve
far fatica e continuare, anche se chi ti
è vicino non ti segue, ma si viene poi
ripagati dei sacrifici...”
Particolare importanza per don
Ugo avevano le gite. Erano un’occasione per guidare i giovani verso
l’alto, per far scorgere loro, tramite
la meraviglia per il creato, la grandezza di Dio. Tanti ragazzi era la
prima volta che indossavano gli scarponi e percorrevano un sentiero.
Immancabile era la gita al lago
Bianco, dove si pranzava al sacco e
si celebrava la messa. Sul pian dei
Cavalli veniva proposta la discesa
nel Buco del Nido, grotta naturale
Inverno 2015
di origine calcarea. Armati di torcia,
i ragazzi vivevano quei pochi passi
nel buio come una grande avventura verso il centro della terra. Se il
gruppo aveva “una buona gamba”,
si poteva arrivare alla cima Bardan e
dare un’occhiata alla val Mesolcina.
Altra gita di rigore era quella al
laghetto artificiale del Sancia, nei
pressi del quale spesso si riusciva a
far la slitta sulle lingue di neve che
scendevano dalla sponda della valle.
I più grandi, a volte, se c’erano
accompagnatori prestanti, potevano
aspirare al pizzo Quadro. E per chi
non era ancora stanco, dopo cena
c’era ancora da scarpinare per recuperare il latte!
Quante partite di pallone nel
prato antistante la casa che, a dirla
proprio tutta, non assomiglia a un
campo di calcio... e quanti palloni
persi nel precipizio! Se si voleva
giocare davvero bene, occasione per
una nuova gita, si saliva a quello che
veniva chiamato Wembley, un prato
LE MONTAGNE DIVERTENTI pianeggiante poco distante dal lago
Bianco.
Immancabile, allora come oggi,
era riunirsi attorno al chitarrista di
turno. Bastava mettere una coperta
per terra e, gambe incrociate, si
poteva cantare ore, spaziando per
tutti i generi!
A San Sisto si andava anche con la
scusa di dare un’occhiata che tutto
fosse in ordine, si coglieva volentieri
l’occasione di mangiare il risotto
preparato da don Ugo e prendere
un po’ di sole. Si saliva lassù anche
il lunedì dell’Angelo: si mettevano i
tavoli nella neve e si scendeva ustionati dal sole.
Coi racconti legati a San Sisto si
potrebbero riempire le pagine di un
libro in cui i primi capitoli sarebbero strettamente legati alla figura di
don Ugo. Molta gente è passata per
quella casa; alcuni degli adulti che
hanno iniziato con don Ugo, non
ci sono più, così come lui. La casa,
invece, è ancora là e nel 2016 festeg-
gerà il quarantesimo dalla cessione
alla parrocchia di San Lorenzo di
Chiavenna. Nel 2007, con una
messa speciale celebrata dal parroco
di San Lorenzo, don Ambrogio, la
casa è stata dedicata a don Ugo. Lo
ricorda una targa affissa alla facciata.
Oggi come allora, i ragazzi vanno
a San Sisto accompagnati dal “don
di turno”; adesso tocca a don Alessandro guidarli. L’estate del 2015,
grazie anche alla bella stagione, è
stata intensa e si è conclusa con la
demolizione del piano delle camere
e l’inizio dei lavori di adeguamento
che si concluderanno in primavera.
Nel 2015 a tutti gli animatori e
ai ragazzi che hanno fatto il campo
estivo a San Sisto è stata regalata
una felpa che riportava la scritta
#LaStoriaContinua... e le nuove leve
contano già i giorni che li separano
dal loro primo campo alla casa di
San Sisto, pronti a continuare una
storia iniziata tanto tempo fa.
Don Ugo Bongianni e la casa di San Sisto
73
Alpinismo
Alta Valtellina
Monte Castelletto (m 2556)
Giacomo Meneghello
Estrema elevazione settentrionale della dorsale che divide la valle di Foscagno dalla
Vallaccia di Trepalle, il monte Castelletto è una meta scialpinistica poco faticosa che
viene raggiunta, spingendosi poi fino alla successiva quota m 2758, dal ponte del Rez.
Questo si trova sulla strada che dal passo del Foscagno porta a Trepalle (comune di
Livigno), coi suoi m 2069 il centro abitato più alto d’Italia.
74
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Scendendo in Vallaccia dalle pendici del monte
Castelletto. Sullo sfondo Trepalle
(23 gennaio
2014,
foto Giacomo
Monte
Castelletto
(mMeneghello).
2556)
75
Alpinismo
Alta Valtellina
L
a quota m 2758 a S del monte Castelletto è una classica, breve, facile e divertente sciata
invernale alla portata di tutti, ma che va affrontata solo con neve sicura. La pendenza mai
eccessiva, l'ampiezza dei versanti, la quota e l'esposizione prevalentemente settentrionale
rendono la discesa così piacevole da indurre spesso gli scialpinisti alla ripellata.
Pizzo Bernina
(4049)
Monte della Mine
(2883)
2758
Monte della Neve
(2785)
Monte Castelletto
(2556)
Il tracciato di salita al monte Castelletto e alla successiva quota m 2758 visto dal monte Rocca (7 aprile 2010, foto Giacomo Meneghello).
2758
In rosso il tracciato di salita, in giallo quello di discesa.
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
Partenza: ponte del Rez (m 2023).
Itinerario automobilistico: da Bormio si
prende la SS 301 del Foscagno in direzione del passo.
Il valico viene raggiunto dopo 23 km, quindi dalla
dogana si prosegue in discesa per poco più di 4 km
finché, in corrispondenza dell’attraversamento della
Vallacia Lunga (ponte del Rez), la strada riprende a
salire. Si esce quindi a sx e si parcheggia all’inizio della
strada che entra in Vallaccia lunga.
Itinerario
sintetico: ponte del Rez (m 2023) -
Tempo previsto: 2 ore e 10’.
Attrezzatura richiesta: da scialpinismo o
ciaspole, kit antivalanga.
Difficoltà/dislivello: 2.5 su 6 / 730 m in salita.
Dettagli: MS. Gita senza difficoltà, ma che va
affrontata solo con neve assestata e non gelata.
Mappe:
- Kompass n.96 - Bormio-Livigno-Corna di Campo,
1:50000
La dorsale a S del monte Castelletto vista dalla vetta (23 gennaio 2014, foto Giacomo Meneghello).
monte Castelletto (m 2556) - quota 2758.
P
rovenendo da Bormio, valicato
il passo del Foscagno, pur rimanendo nella provincia di Sondrio,
passiamo dal bacino del Po a quello
del Danubio. Il territorio è quello
di Livigno: un’area remota dal clima
molto rigido e sfavorevole, tanto da
essere soprannominata “Piccolo Tibet”.
Perciò, a partire dal Medioevo, vennero
via via concessi sgravi fiscali per dare
un po’ di sollievo alla popolazione.
In epoca più recente Livigno - divenuto extra-doganale (1973) anche per
benzina, liquori, zucchero, articoli sportivi e tecnologici, ... - ha cominciato
ad attrarre turisti non solo per il suo
fascino paesaggistico, ma anche per la
possibilità di acquisti esentasse. Questo
è stato uno dei fattori che ha innescato
il circolo virtuoso che ha fatto crescere
Livigno fino a diventare la meta più
76
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI frequentata della nostra provincia: un
flusso turistico senza eguali, con oltre
un milione di presenze annue.
Tra questi turisti vi sono anche gli
sciatori che, oltre a godere della neve
sempre abbondante, approfittano delle
gita per fare carburante e shopping.
asciata l’auto nel comodo
parcheggio nei pressi del ponte
del Rez (m 2023) all'imbocco della
Vallaccia, attraversiamo il torrente
portandoci sulla destra orografica e
risaliamo senza percorso obbligato i
pendii a NO del monte Castelletto.
Alcune inversioni e rimontiamo il
facile crinale da cui si osserva interamente il serpentone della strada che va
dal passo del Foscagno al passo d’Eira.
Proseguendo sulla dorsale (S),
senza quasi accorgercene, siamo in
vetta al monte Castelletto (m 2556,
L
Discesa - parte alta (23 gennaio 2014, foto
Giacomo Meneghello).
ore 1:30), un ampio panettone sulla
cresta N del monte di Foscagno.
Dopo aver valutato la stabilità della
neve, procediamo verso S con un po’
più di attenzione e, aggirate alcune
roccette (spesso si devono togliere gli
sci), torniamo sullo spartiacque fino
alla vicina quota m 2758 (ore 0:40),
classica meta scialpinistica.
A S la dorsale si abbassa, per poi
impennarsi verso il monte Foscagno,
ma in questa direzione c’è ben poco
da sciare: è perciò giunta l’ora di
levare le pelli e scendere.
Per la via di salita torniamo al
monte Castelletto. Dalla cima,
anziché seguire le nostre tracce (N),
ci lanciamo a NO per goderci una
sciata in neve polverosa e raggiungere
il fondo della Vallaccia. Da qui rientriamo all’auto.
Monte Castelletto (m 2556)
77
Alpinismo
78
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Verso il fondovalle della Vallaccia dove si trovano le tipiche baite rustiche
(23 gennaio 2014, foto Giacomo Meneghello
- www.clickalps.com).
Monte Castelletto
(m 2556)
79
Escursionismo
Versante Retico
Sui monti di Villa di Tirano
Prendendo spunto da un itinerario inedito di Antonio Boscacci del 1998, ecco
un’emozionante passeggiata che dai vigneti di Villa di Tirano sale alle case di Sasso.
Si toccano alcuni tra i più caratteristici nuclei di baite del Versante Retico della
media Valtellina, percorrendo sentieri dove anche d’inverno il sole impone una
piacevole tregua al freddo.
Beno
Stavello
2015, foto
Beno). 80 (24
LE ottobre
MONTAGNE
DIVERTENTI
Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sui monti di Villa di Tirano
81
Escursionismo
82
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Villa di Tirano sorge ai piedi del fianco
SE del Dosso Salarsa (m 2279).
Indicato il tracciato dell’escursione.
Ripresa effettuata da Santa Cristina
Sui(24
monti
di 2015,
Villafoto
di Tirano
83
ottobre
Beno).
Escursionismo
Versante Retico
Nella trapezoidale piazza Torelli si trova la collegiata di San Lorenzo, le
cui origini parrebbero anteriori al XII secolo, sebbene l’aspetto attuale sia
frutto di rifacimenti terminati nel 1880 (24 ottobre 2015, foto Beno).
La meridiana della chiesa di San Lorenzo si trova sopra il portale datato
1592 ed è rivolto verso piazza Torelli. Reca una duplice scritta ammonitrice
che non passa certo inosservata (24 ottobre 2015, foto Beno).
La torre campanaria della chiesa di San Lorenzo culmina con ben 4 piani
di trifore a doppia ghiera. Al suo interno oggi sono alloggiate 8 campane
realizzate tra il 1950 e il 2005 (24 ottobre 2015, foto Beno).
I ripidi terrazzi vitati di Villa di Tirano dalla via acciottolata che sale il
fianco del monte. Il rapporto larghezza del terrazzo/altezza del muretto è
uno dei più bassi che si osserva in Valtellina (24 ottobre 2015, foto Beno).
BELLEZZA
Partenza: Villa di Tirano, piazza Luigi Torelli
(m 404).
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Itinerario automobilistico: dalla rotonda al
termine (E) della tangenziale di Sondrio, proseguire
sulla SS 38 in direzione Tirano. Dopo 20 km,
all’altezza dell’antico ponte di sasso, che si trova a dx
della carreggiata al di là della ferrovia, svoltare a sx in
via Foppa e seguirla per 150 metri (da qui in avanti
si devono seguire le indicazioni per la farmacia e per
il municipio). Appena prima della filiale della Banca
Popolare di Sondrio, prendere a dx via Europa per 75
metri, quindi imboccare sulla sx via Stretta e lasciare
l’auto in uno dei numerosi parcheggi che gravitano
attorno alle scuole medie. Piazza Torelli, dove si
trovano la chiesa di San Lorenzo e il municipio, è
vicinissima: basta continuare a piedi su via Stretta.
Itinerario
sintetico: Villa di Tirano, piazza Luigi
Torelli (m 404) - Maranta (m 440) - Bait (m 675) Piazzo (m 838) - Canova (m 933) - Bertòla (m 1016) Stavello (m 1216) - Sasso (m 1418) - Lughina (m 1468) -
«I
l sole non ha ancora raggiunto
il fondo della Valtellina, mentre
percorriamo con l’auto la strada statale
38 in direzione di Tirano. Anzi, una
coperta di nebbia, che sembra partire
dall’Adda, dove è più fitta, si stende
sulla strada e intorno ad essa. Però, non
lontano, sui fianchi delle montagne sulla
84
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Ramaione (m 1106) - San Sebastiano (m 735) - Reula
(m 700) - Ronco (m 590) - Maranta (m 440) - Villa
di Tirano, piazza Luigi Torelli (m 404).
Tempo previsto: 6 ore.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6, 1064 m in salita.
Dettagli: E. Escursione per lo più su sentieri
segnalati (n. 396 - n. 301 - n. 398) da bandierine
bianco-rosse, rade però quanto i cartelli indicatori.
Portare con sé questo articolo per evitare di perdersi.
Si percorrono anche piste forestali e strade cementate.
Il sentiero di discesa, ove coperto da fogliame, è
estremamente scivoloso: prestare attenzione.
Mappe:
Cartografia escursionistica della Comunità Montana
Valtellina di Tirano, foglio 3 - Teglio e Tirano,
1:25000 (N.B. nella mappa mancano molti toponimi).
sinistra della valle, vediamo scendere
lentamente la linea che separa il sole
dall’ombra.
Quando arriviamo a Villa di Tirano
ed entriamo in paese, il sole è ancora
sopra gli ultimi vigneti; sembra essersi
fermato un momento prima di buttarsi
a capofitto sul fondovalle.
Chiedo a due donne come fare per
raggiungere il maggengo di Sasso ma,
dalle loro risposte, capisco che non sanno
dov’è. Mi dicono infatti che devo scen­
dere verso Sondrio e allora mi rendo
conto che hanno confuso Sasso con
Sazzo, frazione di Ponte.
Si ferma un tale che passa in auto
Sui monti di Villa di Tirano
85
Escursionismo
Versante Retico
L’interno della baita diroccata in località Bait, a m 675. Tutto intorno un
tempo vi erano vigneti (24 ottobre 2015, foto Beno).
Canova. Nella parte orientale si trovano delle baite in sasso recentemente
ristrutturate (24 ottobre 2015, foto Beno).
e, alla mia domanda su come fare per
salire a Sasso, mi dice che ci posso andare
con l’auto. Quando sente che vogliamo
salire a piedi, mi dice che i sentieri, dalla
fine degli anni del contrabbando, sono
tutti chiusi e pieni di rovi: insomma, ci
sconsiglia quella gita. Un contadino che
passa con l’Ape, ci ripete che si può salire
in auto e, per quanto riguarda i sentieri
ci dice che, sì, forse, qualcosa c’è ancora;
ci manda più avanti a chiedere informa­
zioni più approfondite, che lui non è in
grado di darci.
Decidiamo di affidarci alla cartina e
parcheggiamo in un piazzale dove sono
collocate le campane per la raccolta diffe­
renziata dei rifiuti. Mentre sto mettendo
lo zaino, vedo un vecchietto appoggiato
ad una casa poco lontano; mi avvicino
e gli chiedo se è possibile salire a piedi a
Sasso. Mi risponde che è semplicissimo e
che il percorso parte proprio lì davanti
a noi.
Abbiamo trovato la persona giusta.»
Così inizia il racconto di Antonio
Boscacci, datato 12 novembre 1998.
Questo suo testo sarà la mia guida
86
LE MONTAGNE DIVERTENTI L’affresco di Lino Tagliaferri a Canova. Nella scena centrale è rappresentata
l’apparizione della Madonna al beato Mario degli Omodei, il quale ha con
se un cestino coi prodotti dell’orto (24 ottobre 2015, foto Beno).
il colpo d’occhio è davvero incredibile. Poco più in alto, dopo un tunnel
sotto la strada, entriamo nel bosco
dove il sentiero si concede qualche
tornante che, tuttavia, non ne smorza
le pendenze.
Tra gli alberi ancora si distinguono
lunghi muretti a secco che reggono
piccoli appezzamenti di terra, a dimostrazione che un tempo il limite dei
vigneti era molto più alto.
Dopo essere passati accanto ad una
casa diroccata (Bait, m 675) e, poco
più sopra all’altrettanto diroccata casa
di Pozzacher (m 750), arriviamo al
piccolo ripiano sul quale si trovano le
baite di Piazzo (m 838, cartello).
«La mulattiera prosegue ricoperta da
uno spesso strato di foglie di castagno.
Muovendo le foglie con i piedi ci accor­
giamo che ci sono ancora delle grosse
castagne e ci fermiamo a raccoglierle.»
Così come ha fatto Antonio, facciamo
anche noi, riempiendoci le tasche e
felpandoci la lingua nel tentativo di
mangiarne qualcuna cruda
Oltre un tornante verso dx, vi è una
casa recentemente ristrutturata, quindi
la mulattiera taglia la strada forestale che proviene da San Sebastiano
e arriva alle baite di Canova (m 933,
ore 1:30).
La prima di queste baite, la più
antica e fatiscente delle superstiti, reca
sulla facciata S un affresco di Luigi
Tagliaferri1, che lo terminò il 20 luglio
1879.
Riprendiamo la mulattiera e
sbuchiamo accanto a un tornante della
strada ai piedi del nucleo di Bertòla
(m 1016)2. L’edificio più a valle è in
fase di ristrutturazione, mentre alle sue
spalle si trova un imponente fabbricato che versa in condizioni precarie. I
muri impressionano perché formati da
pietre talvolta giganti. Le porte presen1 - Luigi Tagliaferri nato a Pagnona nel 1841, affrescò molte chiese della Valtellina e della Valchiavenna
(Piateda Alta, Vione, Lanzada, Gallivaggio, Olmo
ecc). Lavorò anche nella chiesa parrocchiale di San
Lorenzo a Villa di Tirano (nel 1902, ma certamente
anche prima) ed è probabilmente per questo che salì
fin qui a dipingere questa bella cappelletta (informazioni scritte da Antonio Boscacci).
2 - Un cartello posto in loco indica m 992, ma dalle
mappe il nucleo sembrerebbe collocato interamente
sopra l’isoipsa dei m 1000.
tano volte e una delle rampe di accesso
ai piani superiori è costituita da un
pesantissimo lastrone di roccia. Chi ha
costruito questa casa certo aveva una
tecnica sopraffina per movimentare
grossi carichi!
Riprendiamo la ripida via selciata
che da 600 metri di dislivello è quasi
sempre orlata su entrambi i lati
da corni e lastroni di pietra piantati a terra. Attraversata un’ultima
volta la strada, vinciamo gli ultimi
metri di dislivello che ci portano ai
prati di Stavello. Le baite si trovano
poco sopra, arroccate su un terrazzo
(m 1216, ore 0:45).
«Tutta la zona intorno a Stavello scrive Antonio Boscacci - è stata fino
agli anni cinquanta, accuratamente
coltivata, come testimoniano i numerosi
piccoli appezzamenti di terreno ricavati
sul ripido pendio con lunghi (e a volte
possenti) muri a secco. Vi si coltivavano
soprattutto segale, grano saraceno, orzo
e patate. Questi prodotti, uniti al latte,
alle castagne ed all’uva (più in basso)
permettevano di sopravvivere, pur con
La grande costruzione in località Bertòla ha muri massicci che contengono
massi di grandi dimensioni (24 ottobre 2015, foto Beno).
per l’intera gita. So bene che in 17
anni le cose cambiano. In genere i
sentieri spariscono inghiottiti dai rovi
e gli anziani che sanno darti indicazioni non ci sono più, ma qui a Villa
di Tirano le vecchie mulattiere sono
sopravvissute e alcune indicazioni, se
pur rade, aiutano a non perdersi e a
godersi appieno la passeggiata.
Partiamo dalla centralissima piazza
Torelli, dove si trovano il municipio e
la chiesa di San Lorenzo (m 404).
Ispezionando un palo zeppo di
cartelli, individuiamo nel sentiero
n. 396 per Stavello la nostra direzione.
Ci portiamo sul lato N della collegiata e da lì iniziamo a salire lungo la
strada per Maranta. Le nuove architetture residenziali stridono con la classe
delle vecchie costruzioni del centro.
All’incrocio troviamo un sentierino sulla dx che ci porta in un punto
panoramico dove è stata posta la piazzola di sosta della via dei Terrazzamenti. Tavolo, panche e un pannello
esplicativo con testi imbarazzanti.
Attraversiamo il torrente della val
Maggiore su un ponticello e ci immettiamo su una pista cementata. La
seguiamo in salita, paralleli al corso
d’acqua che in questo tratto compone
un quadro suggestivo con alberi e
prato. Poco prima che la strada pieghi
a sx, sulla dx s’inerpica una ripidissima
e dritta via selciata tra i vigneti.
«Avendo girato in lungo e in largo
la provincia di Sondrio - sottolinea
Antonio Boscacci - ci è capitato di
incontrare in numerose occasioni delle
mulattiere ripide. Quella però che ci
stava di fronte superava, da questo punto
di vista, ogni nostra immaginazione.
Probabilmente le persone che passa­
vano di qui erano persone del tutto
speciali; ma molto speciali dovevano
essere anche gli animali che riuscivano
a percorrere questa mulattiera. E se in
salita la faccenda doveva essere difficile,
molto più complicate dovevano essere le
cose durante la discesa. Per capire cosa
voleva dire vivere su queste montagne
basterebbe dare un’occhiata a questa
mulattiera.»
I polpacci un po’ si lamentano, ma
Inverno 2015
Il nucleo occidentale di Stavello, un gruppo di baite ben curate poste su un
terrazzo con piazzale (24 ottobre 2015, foto Beno).
Il fondovalle valtellinese dai ripidi prati di Stavello. In lontananza si
distingue Stazzona (24 ottobre 2015, foto Beno).
Sasso, la parte occidentale del maggengo dove si trova una baita in fase di
ristrutturazione (24 ottobre 2015, foto Beno).
Il grande incendio che bruciò la montagna sopra Villa di Tirano tra il 17 e
il 22 marzo 1998 (foto archivio Corpo Volontari Protezione Civile Milano).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Sui monti di Villa di Tirano
87
Escursionismo
difficoltà.»
Dallo spiazzo antistante alle baite si
domina il fondovalle, baciato da un
sole molto più timido di quello che si
gode quassù.
Dal crocevia nei pressi delle baite
(cartello indicatore) saliamo al dritto
in quello che assomiglia a un valloncello. È l’unico percorso non segnalato. La pendenza è davvero estrema.
Un vecchio castagno ritorto, che chissà
quante cose ha visto succedere nella
sua lunga vita, pare incitarci a tenere
duro. Ci lasciamo sulla sx due minuscoli gruppetti di baite diroccate (il
più in alto è chiamato ca del Franzés)
che, puntualizza Antonio Boscacci
«un tempo sicuramente erano abitate
per gran parte dell’anno, come lasciano
intendere le volte in sasso delle cantine e
alcune soluzioni architettoniche.»
Dopo esserci immessi su un sentiero
più dolce e comodo e aver incontrato la stradicciola pianeggiante che
proviene dal gruppetto più orientale
delle baite di Stavello (noi abbiamo
visitato quelle più occidentali), prendiamo quota con vari tornanti. Passati
accanto a una grande croce in legno,
pochi metri e siamo al maggengo di
Sasso (m 1418, ore 0:30).
Baite ristrutturate e crollate convivono con le betulle e i larici sparsi
per la radura. A dx vi è una piccola
fontana in legno. Poco sopra c’è la
strada proveniente da Lughina che,
all’interno del tornante, abbraccia una
casa privata in legno che reca il nome
“rifugio Picun”. A E del maggengo gli
alberi sono fitti e piccoli, in quanto
si tratta delle nuove leve spuntate
dalle ceneri del grande incendio che
nel 1998 aveva arso il fianco della
montagna. Questo, come i numerosi
altri che avevano flagellato la valle tra
il marzo e l’aprile di quell’anno, erano
opera di alcuni pirlomani. Ben ricordo,
quando ad aprile attraversammo la
Valtellina per andare in gita scolastica,
che i cieli erano grigi e l’aria acre a
causa del fumo.
Seguendo l’esempio di Antonio,
«riparati dagli alberi, con un sole caldo e
molto piacevole, ci distendiamo sull’erba
secca e….ci addormentiamo.»
Lasciamo il maggengo di Sasso
imboccando la carrozzabile pianeggiante sotto la baita “rifugio Picun” e
tagliamo il fianco della montagna, ora
88
LE MONTAGNE DIVERTENTI Versante Retico
Lughina. Al di là di un piccolo stagno artificiale è già Svizzera e le baite sono numerate con
tanto di civico (24 ottobre 2015, foto Beno).
La chiesa di San Sebastiano si trova immersa nei boschi poco sopra Reula. A O dell’edificio
vi era un frutteto, di cui rimane solo l’impianto di irrigazione (24 ottobre 2015, foto Beno).
La bassa val Poschiavo vista dalla rupe panoramica detta Paravis. All’estrema dx si vede la cima da li
Gandi Rossi (24 ottobre 2015, foto Beno).
Sguardo verso O da Ronco. In primo piano il solco della valle di Sonvico. Sullo sfondo il dosso di
Teglio e le Alpi Orobie. Indicato il tracciato per rientrare a piazza Torelli (24 ottobre 2015, foto Beno).
Ramaione (24 ottobre 2015, foto Beno).
Scendendo la ripida mulattiera selciata che attraversa i vigneti (24 ottobre 2015, foto Beno).
Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI fasciato dalla vegetazione, ma che nel
novembre del 1998 aveva un aspetto
ben più tetro: «qua e là, qualche abete
rosso e qualche larice, più forte, o sempli­
cemente più fortunato, è stato rispar­
miato, in tutto o in parte, dall’incendio e
appare triste e quasi confuso, circondato
da una moltitudine di giganti neri.»
Dopo una breve risalita, la strada
spiana e sbuca accanto al maggengo
di Lughina (cartello - m 1450,
ore 0:30), dove, su un poggio roccioso,
si trovano le rovine della ex caserma
della Guardia di Finanza (m 1468).
A pochi metri infatti, corre il confine
italo-svizzero, che divide il maggengo.
Ripresa la strada in discesa, al primo
tornante troviamo l’imbocco del
sentiero 301 (sentiero Italia), percorso
adatto anche a bravi piloti di mountain bike. Perdiamo metri lungo la
dorsale che disegna la sponda dx della
bassa val Poschiavo. D’improvviso
ecco la rupe panoramica detta Paravìs,
da cui ci affacciamo sul precipizio del
Sasso Lughina. Ai nostri piedi vi è la
dogana e l’abitato di Campocologno,
ma la vista si estende anche sulla bassa
val Poschiavo e sul prospiciente monte
Masuccio. Proprio sul suo fianco
distinguiamo l’ex caserma di Finanza
del Sasso del Gallo e, più a dx, il
nucleo di Roncaiola.
Attraversata due volte la carrozzabile, la ripida mulattiera, resa insidiosa dal fogliame, tocca Ramaione
(m 1106, ore 0:45) e prosegue nella
sua corsa verso valle (da qui in poi
seguire il sentiero n. 398 - indicazioni
per Villa di Tirano). A circa m 1000 la
nostra via si separa dal sentiero Italia
e traversa decisamente a SO (dx), per
incominciare una nuova picchiata che
tocca la chiesetta di San Sebastiano
(m 735) e il nucleo di Reula (m 700),
ai piedi del quale si trovano un meleto
e un vigneto recentemente abbandonati. La discesa continua diventando
cementata dai pressi di Ronco (m 590)
in poi. Persa ulteriormente quota,
all’incrocio (m 492) con la strada
proveniente da Ragno, prendiamo a
dx, alti sopra il paese. Con un bel tour
tra i vigneti (O, 1 km) ritroviamo e
riprendiamo il sentiero dell’andata
nel punto in cui questo passa sotto la
strada (m 520 ca.). In men che non
si dica chiudiamo le nostre fatiche a
piazza Torelli (m 404, ore 2).
Sui monti di Villa di Tirano
89
P
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r
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Escursionismo
Alle porte di Sondrio
Dalle vigne
a Spriana
Accompagnati da due campioni della corsa in montagna,
Marco De Gasperi ed Elisa Desco, vi presentiamo
uno splendido tracciato, lungo oltre 18 km e
con 740 metri di dislivello positivo, che
attraversa vigneti, selve e antiche
contrade del versante retico tra
la Valtellina e la Valmalenco.
Beno
d
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90
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a
LE MONTAGNE DIVERTENTI I campioni di corsa in montagna Marco De Gasperi ed Elisa Desco a Spriana nei pressi della
chiesetta della Madonna della Speranza. Il piccolo edificio, abbarbicato su un masso erratico,
fu costruito come Ex voto e a protezione contro i sassi che cadono dalle pendici del monte Foppa
(21 ottobre 2015, foto Matteo Gianatti).
Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dalle vigne a Spriana
91
Escursionismo
Media Valtellina
Questo percorso è rivolto agli atleti che hanno un paio d’ore a disposizione e vogliono
effettuare una sessione di corsa piuttosto lunga, tecnica nella parte alta, e prevalentemente
baciata dal sole, quindi consigliabile nei periodi freddi. Chi non fosse ancora allenato a
sufficienza per farlo al trotto, può limitarsi a camminare e godersi con più calma una
semplice e suggestiva gita tra vigne e antiche contrade alle porte di Sondrio.
BELLEZZA
FATICA
PERICOLOSITÀ
-
Partenza: incrocio nei pressi del sottopasso delle
condotte dell’acqua forzata a Montagna in Valtellina
(via Buscianico, m 431).
Antognasco (m 487) - Ponchiera, frazione Scherini,
ex chiesa di Sant’Andrea (m 520) - Montagna in
Valtellina, via Buscianico (m 431).
Itinerario
automobilistico: da Sondrio si
prende la Strada Panoramica dei Castelli e, dopo circa
1 km di salita, si è al cartello che indica l’ingresso nel
comune di Montagna in Valtellina. Sulla dx si costeggia
il complesso dell’ex convento dei Frati Cappuccini. Si
lascia l’auto nel grande piazzale davanti alla chiesa.
Ripresa, questa volta a piedi, la strada panoramica, si
sale un centinaio di metri (E, dx) fino a incrociare le
condotte dell’acqua forzata. Accanto a queste, sulla
sx (attenzione nell’attraversare la strada perché non è
raro assistere a prove di rally), vi è la bretella sterrata
che porta all’incrocio di via Buscianico nei pressi del
sottopasso stradale delle condotte.
Tempo previsto: 1 ora e 45’ per agonista che
effettua il tracciato con andatura lenta. 5 ore camminando.
Itinerario sintetico: Montagna in Valtellina, via
Mappe:
- Comunità Montana Valtellina di Sondrio,
Cartografia Escursionistica, Fogli 1-2: Valmalenco Versante Retico, 1:30000;
Buscianico (m 431) - Ponchiera, frazione Scherini, ex
chiesa di Sant’Andrea (m 520) - Arquino (m 491) ca Ceschina (m 649) - Scilironi (m 723) - Spriana
(m 760) - Bedoglio (m 921) - Mialli (m 886) - Ponte
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92
LE MONTAGNE DIVERTENTI ☞
chi sono stati
☞
Distanza/altezza
Passaggio cronometrico
I PIÙ VELOCI?
le schede e i commenti degli
Luogo
Attrezzatura richiesta: le scarpe devono avere
una suola con buona aderenza (tratti di sentiero
scoscesi).
Difficoltà/dislivello: 1 su 6, 740 m in salita
(sviluppo 18,38 km).
Dettagli: E. Escursione su strade e sentieri
evidenti. Il tratto di sentiero tra Bedoglio e Mialli è
riservato a corridori con buona tecnica, per gli altri è
più prudente farlo camminando.
Intertempo 1
Intertempo 2
Intertempo 3
Fine giro
Ca Ceschina
Traliccio prima di
Bedoglio
Mialli (fontana)
Montagna (incrocio via
Buscianico)
5,6 km / m 649
8,9 km / m 921
11,2 km / m 886
18,4 km / m 421
30’
52’
1h 10’
1h 45’
(agonista - sessione di lungo lento)
ATLETI
Inverno 2015
Le distanze e i tempi sono progressivi. I tempi si riferiscono a una sessione di allenamento lento per un atleta agonista, cioè in grado
di correre una mezza maratona tra 1h10’ e 1h e 15’. Il lento, senza star lì a scomodare cardiofrequenzimetri e parametri esoterici, è
una sessione di allenamento in cui due corridori riescono a chiacchierare tutto il tempo senza che sopravvengano crisi respiratorie. Per
visualizzare le prestazioni degli altri atleti e/o inserire le tue, vai alla pagina: www.lemontagnedivertenti.com/corsa/
LE MONTAGNE DIVERTENTI Dalle vigne a Spriana
93
Pizzo Glüschaint
(3594)
94
La Sella
(3584-3564)
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Roseg
(3936)
Pizzi Gemelli
(3500-3501)
Pizzo Scerscen
(3971)
Pizzo Bernina
(4049)
Pizzo Sella
(3511)
Inverno 2015
Cresta Güzza
(3869)
Pizzo Zupò
(3996)
LE MONTAGNE DIVERTENTI Pizzo Palù
(3900)
La Valmalenco e il Versante Retico sopra Sondrio visti dal pizzo Meriggio (26 ottobre 2015, foto Beno).
Escursionismo
Dalle vigne a Spriana
95
Escursionismo
Media Valtellina
La prima parte dell’itinerario si svolge tra i vigneti. È difficile resistere alla
tentazione di fare un giro tra i filari (3 novembre 2015, foto Beno).
Lungo la strada “bassa” delle vigne, quella che da via Buscianico porta a
Ponchiera (3 novembre 2015, foto Beno).
Suggestivo passaggio tra le rocce in località Scilironi. La parte bassa della
contrada versa in stato di abbandono (3 novembre 2015, foto Beno).
Salendo alle case alte di Scilironi si trovano edifici tutt’ora abitati e ben
conservati (3 novembre 2015, foto Beno).
Salendo da Arquino a ca Ceschina lungo i Turnachè. Questa era la prima
carrabile per la Valmalenco, agibile dal 1857. Nel 1873 venne sostituita
da un percorso più lineare in sx idrografica del Mallero, da anni caduto
in rovina e non più praticabile (3 novembre 2015, foto Matteo Gianatti).
Dal Valdone al Prato si segue sempre il sentiero Rusca, che in questo tratto si
svolge lungo la vecchia strada realizzata su progetto Maffei (1857). Questa si
trova poco al di sotto dell’asse della nuova strada provinciale e all’altezza del
depuratore incrocia la carrabile del 1873 (3 novembre 2015, foto M. Gianatti).
A Spriana, oltre il parco giochi, si incontra la stradetta asfaltata che passa
accanto al cimitero e offre un bello scorcio sulla chiesa parrocchiale di San
Gottardo. Di origini quattrocentesche, fu in più riprese rifatta e infine
dotata di torre campanaria (3 novembre 2015, foto Beno).
Bedoglio, case nuove. A E di queste si trova il nucleo vecchio della contrada.
Benché non si trovi sul corpo frana, fu abbandonato nel 1961 dopo che un
riattivamento dei movimenti franosi fece rotolare dei blocchi nel canalone
adiacente che colpirono le abitazioni (29 ottobre 2011, foto Beno).
D
al piazzale dell’ex convento
dei Frati Cappuccini1 saliamo
(E) fino a incrociare le condotte
dell’acqua forzata2, quindi attraversiamo con attenzione la strada
panoramica e prendiamo la bretella
sterrata sulla sx, parallela ai tubi,
fino all’incrocio con via Buscianico
(m 421).
Qui ha inizio il nostro giro.
1 - Localmente si indica quest’area come i “Frati”,
riferendosi al complesso che comprendeva il santuario del Cuore Immacolato di Maria e il convento dei
Padri Cappuccini, costruiti tra il 1961 e il 1962. Dal
2010 il convento ospita la comunità francescana
Santo Spirito.
2 - Nei 2 tubi scorrono, dopo una galleria lunga
10 km, le acque reflue delle centrali di Lanzada,
quelle captate da Antognasco e Lanterna e quelle
derivate dal Mallero in località Curlo (Chiesa in Valmalenco). Il tutto alimenta i due gruppi generatori
della centrale di Sondrio, entrata in funzione nel
1960 e capace di produrre una potenza di 151 mila
kVA (fonte: Giuseppe Songini, L’energia elettrica in
provincia di Sondrio, III edizione, Sondrio 1994).
Lungo i 2700 gradini che seguono per 500 metri di
dislivello le condotte forzate si è svolta il 18 aprile
2015 la prima edizione del Valtellina Vertical Tube
Race, gara di corsa organizzata dallo stesso team del
Valtellina Wine Trail che ha visto affermarsi, sostenuti da migliaia di tifosi, i campioni Bernard De
Matteis (14’02”) e Emmie Collinge (16’25”).
96
LE MONTAGNE DIVERTENTI Saliamo (N) per la carrozzabile di
servizio ai vigneti. Immediatamente
c’è una curva a sx, poi la strada spiana
e attraverso i Dossi Salati ci porta a
Ponchiera.
Dopo le prime case, una curva a
gomito (dx) anticipa un quadrivio.
Qui intercettiamo il sentiero Rusca3,
che seguiremo (cartelli segnaletici
gialli) per i prossimi 6 km. Ci avviamo
per la strettoia sulla dx. 80 metri e,
grazie alla ripida cementata sulla dx,
siamo alla cinquecentesca chiesa della
Santissima Trinità.
3 - Il sentiero Rusca è un percorso ciclopedonale
ultimato in anni recenti che, dove possibile, ricalca
la strada cavallera, antica rotta commerciale che
univa Sondrio con il passo del Muretto (da cui poi si
scendeva in Svizzera a Maloja) attraversando l’intera
Valmalenco e superando ben 2300 metri di dislivello positivo.
È intitolato all’arciprete di Sondrio Nicolò Rusca
che, durante i contrasti religiosi del 1618, fu prelevato da Sondrio e tradotto in Svizzera per il passo
del Muretto. Portato a Coira, fu processato e torturato a morte. Ciò innescò ulteriori e più gravi tensioni che culminarono nel Sacro Macello del 1620,
dove un efferato gruppo di cattolici uccise tra i 400
e i 600 protestanti.
Tornati sulla strada asfaltata,
40 metri a E della chiesa pieghiamo
a sx (N). Toccate le contrade Morelli,
Buglio e Pozzoni, raggiungiamo
Scherini, dove si trovano la piazzola
di sosta della via dei Terrazzamenti e
la chiesa sconsacrata di Sant’Andrea
(m 520).
Un bel sentiero in discesa (N)
immerso nel bosco ci consente di
prender fiato. Oltre una vallecola, la
mulattiera viene rimpiazzata da una
pista costruita pochi anni fa per la
messa in sicurezza della vicina strada
Arquino-Ponchiera, investita più
volte da grossi blocchi precipitati
dai dirupati fianchi del dosso della
Foppa. La carrareccia, a dire il vero,
è soffocata dai rami di innumerevoli
esemplari di Buddleia che, mancando
la manutenzione, lasciano solo uno
stretto varco per i passanti. Guadagnata la strada asfaltata pianeggiamo
verso dx. 300 metri oltre il ponte
sulla condotta forzata che scende
Inverno 2015
dal vertiginoso fianco del dosso della
Foppa4, siamo ad Arquino. Attraversiamo il ponte sul torrente Antognasco
e quello ad arco in muratura sopra le
spettacolari forre del torrente Mallero
(m 491). Quest’ultimo5, chiuso al
transito veicolare, ci porta nel comune
di Torre di Santa Maria. Al di là della
strada principale6, ci immettiamo
sulla stretta asfaltata in salita che, al
secondo tornante si trasforma in una
4 - L’impianto, realizzato tra il 1909 e il 1912 alimenta la centrale Sondrio-Mallero, che sfrutta le
stesse acque della centrale di Sondrio. La centrale ha
un solo generatore capace di una potenza di 17000
kVA (fonte: Giuseppe Songini, L’energia elettrica in
provincia di Sondrio, op. cit.).
5 - Fino agli anni ‘90 questo stretto ponte era l’unica
via di accesso automobilistico alle case di Arquino in
dx idrografica del Mallero, in quando da Arquino a
Mossini non vi era la strada, ma solo un suggestivo
sentiero tra i boschi, e il ponte nuovo non era ancora
stato realizzato. L’inaspettato scorcio panoramico
che si ha sotto il ponte è ritratto nell’ultima di
copertina del n.33 - Estate 2015 de LMD.
6 - Se a questo incrocio si volge lo sguardo a sx si
vede un’abitazione privata color verdone. Qui era la
trattoria Masoli, il primo locale nel circondario di
Sondrio ad avere la televisione in quanto, per strane
coincidenze geofisiche, Arquino era l’unico luogo
raggiunto dal segnale.
LE MONTAGNE DIVERTENTI carrareccia sterrata chiusa al traffico
motorizzato. Con numerose risvolte
(non per niente questo tratto è detto
i Turnachè), prendiamo dolcemente
quota sul dosso terrazzato in sx orografica della valle del rio Valdone. Qui
si trovano le ultime vigne7, affiancate
da altri appezzamenti che negli oltre
vent’anni che vengo qui ad allenarmi
ho visto man mano imboschirsi.
18 tornanti sterrati ed eccoci a ca
Ceschina (intertempo 1 - m 649,
ore 1:30)8, dove, al confluire dei
Turnachè con la SP 15, si trova una
provvidenziale fontana per abbeverarsi. Il sentiero Rusca ora corre poco
lontano dallo stradone inoltrandosi in
Valmalenco.
7 - D’autunno, per proteggere l’uva dalle bestie selvagge i viticoltori si avvalgono di dissuasori sonori
che emettono rumori molto simili allo sparo di un
fucile. Questi sono posizionati vicino alla mulattiera, ed è bene saperlo per non prendersi inutilmente grossi spaventi.
8 - Le tempistiche date all’interno dell’articolo sono
quelle classiche escursionistiche.
Dopo un’area di sosta, la ciclabile
si mantiene tra tigli e frassini al di
sotto della provinciale. È il vecchio
percorso della strada della Valmalenco.
Una breve discesa (dx) e pieghiamo
a sx, girando così attorno al depuratore. Sulla dx, con le fattezze di un
tempio greco stilizzato, è il sifone
che dovrebbe permettere all’acqua di
defluire qualora collassassero tutti i
70 milioni di metri cubi stimati della
famosa frana di Spriana, ostruendo
l’alveo del Mallero e creando un lago
col pericolo, secondo le previsioni più
apocalittiche, di un’improvvisa tracimazione che distruggerebbe la città
di Sondrio. Questa gigantesca paleo
frana, lì da circa 10 mila anni, si è
mossa sensibilmente nel 1912 (forse
per l’entrata in funzione della galleria
di derivazione che porta l’acqua
alla centrale di Arquino) e nel 1961
(facendo evacuare frettolosamente
Piazzo e Cucchi, dove era appena stata
ultimata la nuova scuola elementare).
Dalle vigne a Spriana
97
Escursionismo
Media Valtellina
La rupe panoramica sopra Mialli. La vista spazia dalla Valmalenco a Sondrio, alle Alpi Orobie (3 novembre 2015, foto Beno).
L’ultima riattivazione significativa9 è
stata nel 1977-78, quindi, eccetto brevi
rigurgiti10, tutto par essersi fermato.
Dopo gli avvenimenti legati all’alluvione del 1987, sull’onda della paura
contagiata dalla frana di val Pola, si è
speso un sacco di denaro per un bypass
che, dopo oltre 20 anni di lavori faraonici, indecisioni progettuali e le solite
vicende all’italiana, non è ancora stato
terminato con tutte le connesse opere
necessarie.
In località Prato attraversiamo
(dx) il Mallero, quindi, appena al di
là del ponte, prendiamo il sentiero
pianeggiante sulla dx (indicazioni)
che ci porta a Scilironi. Alle prime
case andiamo subito a sx (bollo) e
saliamo per scalinate e viuzze tra i
vecchi edifici11. Più in alto troviamo
la pista cementata che ci porta sulla
SP 15 DIR A in corrispondenza del
tornante sinistrorso da cui si stacca
9 - AA.VV., Controllo dell’evoluzione dei fenomeni
franosi in Lombardia, ARPA - Regione Lombardia,
2003.
10 - Un’articolata rete di monitoraggio tiene sotto
controllo la frana dal 1990.
11 - Non vi è un itinerario preferibile, anche se forse
quello più lineare si svolge al margine N (sx) della
contrada.
98
LE MONTAGNE DIVERTENTI la strada agro-silvo-pastorale per
Piazzo. Seguiamo la provinciale (sx) e,
dopo circa 150 metri, troviamo il bel
sentiero sulla dx che ci guida alla chiesetta della Madonna della Speranza,
singolare edificio costruito sopra un
grande masso. A dx del sentiero vi
sono altri blocchi di gneiss di dimensioni più modeste, che costituiscono
l’apprezzato parco per l’arrampicata di
Spriana.
Neppure il tempo di riprendere la
provinciale, che dobbiamo deviare a
dx sulla strada asfaltata per il piccolo
centro polifunzionale di Spriana, visibile in alto assieme al campo sportivo.
Saliamo passando accanto al cimitero e alla chiesa parrocchiale di San
Gottardo (m 760). Prestando attenzione, sulla dx vediamo dipinta su un
muretto in pietra la bandierina bianco-rossa che indica l’inizio dell’affascinante sentiero per Bedoglio, grazie al
quale, rientrati nel bosco, su pendenze
sempre più severe ci spostiamo a SE.
Riemergiamo dal fitto degli alberi al
di sopra di un’alta barra rocciosa. Il
grande traliccio bianco e rosso poco a
N di Bedoglio (m 921, ore 1) segna
la fine delle ostilità. Un breve tratto
pianeggiante ci porta alle case nuove
della contrada, dove vi è un’altra provvidenziale fontana12. Poco oltre attraversiamo i ruderi delle case vecchie
che, benché al di fuori del corpo frana,
furono evacuate negli anni ‘60 perché
colpite da grossi massi fatti rotolare
nel canalone adiacente dai movimenti
di frana13. Dobbiamo stare attenti
alle piode pericolanti: è meglio non
fermarsi tra gli scheletri delle abitazioni, né tantomeno entrarvi.
A breve ci immettiamo sulla pista
agro-silvo-pastorale
per
Piazzo,
entrando anche nel corpo della frana.
Al primo tornante, ci affidiamo alla
carrozzabile che si diparte sulla dx
(indicazioni per Mialli e Portola) e
pianeggiamo in direzione SSE. Oltre
i sensori e le unità remote che fanno
parte del sistema di monitoraggio della
frana, il tratturo diviene uno stretto
sentiero tra i boschi14. È il settore più
12 - Bedoglio è oggi abitata solo d’estate e nei fine
settimana da 3 famiglie.
13 - Per approfondimenti: Beno, Gioia Zenoni e
Vittorio Sciaresa, Per le antiche contrade di Spriana,
LMD n.1 - Estate 2007, pp. 37-47.
14 - Abbiamo ripulito questo sentiero da erba alta e
spine nel novembre 2015. Sarà certamente fruibile
con tranquillità per tutto il periodo invernale poi, a
primavera, quando ricresce l’erba, si deve stare
Inverno 2015
tecnico dell’intera gita e richiede abilità
se lo si vuole affrontare correndo: una
scivolata verso valle potrebbe non
essere simpatica. Ci accorgiamo di
esser fuori dal corpo frana quando,
dopo aver incrociato e ignorato la
deviazione per i Cucchi15, aggiriamo
una costola rocciosa e saliamo a una
baita isolata posta in posizione eccezionalmente panoramica. Da qui la
via procede a quota pressoché stabile
nella magia del bosco, che d’autunno
ha tinte infuocate e fondo foderato da
migliaia di foglie dorate. La traversata
ha termine nei pressi di una aerea rupe
panoramica. Siamo a circa m 1000 nel
punto più alto di questa escursione,
luogo da cui si dominano Arquino e
Sondrio.
Una picchiata su sentiero a tratti
acciottolato (particolarmente scivoloso se bagnato) ci guida a Mialli,
che attraversiamo per raggiungere
la fontana sul lato E della contrada
(m 886, ore 0:45). Parte delle case
sono fatiscenti, mentre altre sono ben
tenute o in fase di recupero.
Dalla fontana ha inizio una strada
che punta a NE e si unisce a quella
della val di Togno. All’incrocio, prendiamo a dx e iniziamo la discesa.
Dopo 400 metri, sulla sx notiamo un
prato con baita. Qui è l’imbocco del
vecchio sentiero che saliva da Arquino
e della cui rapidità possiamo approfittare per tagliare il primo tornante. Di
nuovo sulla strada, la seguiamo per
10 tornanti. Un grosso masso contraddistingue l’ultima curva prima della
strada asfaltata. Qui pieghiamo a sx
sul sentiero che scende verso il corso
dell’Antognasco. Un ponte di pietra
ad arco ci fa superare il torrente in un
tratto dove forma spettacolari pozze
scavate nella roccia. Qui da ragazzo
ho trascorso molte giornate d’estate
facendo tuffi con gli amici. La pista
che segue, in buona parte erbosa,
reca i tre caratteristici solchi dovuti
al transito degli Ape. Confluiti sulla
strada Arquino-Pochiera, chiudiamo
la gita ripercorrendo la via dell’andata
fino all’incrocio con via Buscianico
(m 421, ore 1:30).
attenti alle zecche che infestano la zona.
15 - Diffidate del cartello pressofuso in alluminio,
messo lì in testa al vecchio sentiero per i Cucchi che,
non ricevendo alcuna manutenzione, obbliga a una
lotta laocoontica con rovi e rami.
LE MONTAGNE DIVERTENTI Mialli visto dalle pendici del dosso della Foppa (3 marzo 2012, foto Beno).
Grazie a una reliquia del vecchio sentiero che saliva da Arquino, tagliamo il primo tornante della
strada sotto Mialli (3 novembre 2015, foto Beno).
Dalle vigne a Spriana
99
Approfondimenti
Personaggi
2intervista
campioni in 7893 battute
a Marco De Gasperi ed Elisa Desco
Beno
M: Credo che mi sarebbe piaciuto
fare qualche lavoro a contatto con la
Natura o comunque all’aria aperta.
Magari anche l’agricoltore, perché no!
E: Sicuramente avrei continuato a
lavorare nel sociale.
D
Marco De Gasperi, 6 volte campione del mondo di corsa in montagna,
corre per il Corpo Forestale dello Stato. Negli ultimi anni si è concentrato
su gare di grande sviluppo e ha realizzato i primati di salita/discesa dal
monte Ortles e dal monte Bianco (2015, foto Fabio Menino).
“I
nizio col botto” per questa
prima puntata di Percorsi di
corsa, dato che i testimonial sono
Marco De Gasperi (classe 1977) ed
Elisa Desco (classe 1982), bormini di fatto lui, d’adozione lei - che nella
Magnifica Terra vivono, s’allenano e
crescono la loro bambina Lidia.
Le loro biografie sono talmente
dense di vittorie, sia a livello nazionale che internazionale, da lasciare a
bocca aperta. Negli ultimi anni, inoltre,
Marco si è prodigato nell’organizzazione di eventi sportivi che permettono a sempre più persone di scoprire le
bellezze della nostra provincia1.
Una lunga carriera da professionisti
la loro, in cui hanno condiviso e festeggiato i successi, riuscendo a dimostrarsi
una coppia robusta e coraggiosa nel
superare anche i momenti difficili.
Una breve intervista doppia è il
modo più veloce per conoscere questi
due campioni.
A
che età avete cominciato a
correre e chi vi ha avvicinato a
questo sport?
M: Ho iniziato per gioco a tredici
anni, sotto la spinta di Adriano Greco,
il mio primo allenatore.
1 - Tra questi il maggiore è il Valtellina Wine Trail,
che con 1600 atleti al via nel 2015 si è rivelato il più
grande evento legato alla corsa mai svolto in provincia di Sondrio.
100
LE MONTAGNE DIVERTENTI Elisa Desco è un’atleta polivalente che corre per l’Atletica Alta Valtellina.
Azzurra di corsa in montagna, cross e mezza maratona, ha saputo
distinguersi a livello internazionale anche nei trail e nelle skyrace più
impegnative (2015, foto Giumelli Tiziano).
E: Ho iniziato nell’estate del 1994,
mio papà e mio fratello correvano già
da qualche anno. Un bel giorno mi
sono presentata sulla porta di casa in
calzoncini e maglietta!
È
stato subito amore?
M: Fin da piccolo ho sempre
praticato lo sci di fondo, ma senza
mai appassionarmi troppo. Facevo
molta fatica e i risultati erano abbastanza deludenti. Nella corsa, fin dalle
prime gare giovanili, mi sono subito
sentito molto più a mio agio, specie
quando bisognava correre in salita.
I primi tempi mi ricordo che mi
fermavo anche ad aiutare qualche mio
compagno di squadra, spingendolo
nei tratti più duri.
E: Quell’estate ho corso la gara non
competitiva del mio paese; l’allenatrice dell’Unione Sportiva Sanfront è
subito andata da mio papà a chiedere
se poteva iscrivermi alla squadra. Io
sono andata al primo allenamento solo
qualche mese più tardi: non mi entusiasmava, non mi piaceva l’idea di fare
fatica, ma poi non ho più smesso.
Q
ual è stata la vostra prima
gara?
Vi
ricordate
il
piazzamento?
M: Campestre provinciale di
Sondalo, novembre 1990. Quarto
classificato, dopo una partenza ritar-
data di qualche attimo a discutere con
il giudice per via del mio tesseramento
appena fatto.
E: Una campestre regionale in
Piemonte nel 1995 dove sono arrivata
sesta.
Q
uando avete deciso di fare i
professionisti?
M: L’idea è cresciuta dentro di me
alle scuole superiori. Ormai avevo
capito che la strada che volevo intraprendere era nello sport e ottenere dei
buoni risultati era l’unico modo per
entrare in un corpo militare. È stato
un iter piuttosto lungo e agognato, ma
all’età di 23 anni il sogno si è avverato
con l’ingresso nel Corpo Forestale dello
Stato, che mai smetterò di ringraziare
per il suo sostegno.
E: Dopo il diploma di scuola superiore ho cercato lavori part-time, in
modo di avere mezza giornata libera
per potermi allenare tranquillamente.
Ho lavorato fino all’estate del 2007 (25
anni) in una comunità per minori e in
un dopo scuola, poi mi sono trasferita
a Bergamo con Marco. Qui ho trovato
una squadra civile che mi garantiva un
piccolo rimborso spese mensile e ho
provato a fare la professionista.
S
e non aveste percorso questa
strada, che cosa avreste voluto
fare nella vita?
Inverno 2015
ovendo scegliere: la vostra
stagione d’oro e il successo
più importante della vostra carriera.
M: 2007. La stagione indimenticabile del mio ultimo campionato
mondiale a Ovronnaz in Svizzera.
Avevo 30 anni, e anche se mi ero
allenato moltissimo sin dall’inverno,
tutto mi veniva incredibilmente
facile. La vittoria più bella? Forse la
Jungfrau Marathon del 2010. Sofferta
e cercata.
E: 2008. Ho corso la mia prima ed
unica maratona e ho vinto il Campionato Europeo di Corsa in montagna,
Sono 3 le gare che ricordo con
maggiore soddisfazione, il Campionato Europeo appunto, La Sierre-Zinal
nel 2013 e il Campionato del Mondo
di Sky race marathon a Chamonix nel
2014, le ultime due sono state anche
grandi rivincite personali!
Q
uell’anno, nel periodo di
massimo carico di lavoro,
quanto vi allenavate?
M: In quell’inverno ricordo di aver
svolto anche 3 settimane di carico da
200-210 km in Portogallo, correndo a
ritmi che oggi non posso più avvicinare.
E: Nel 2008, preparando la maratona, correvo circa 160 km a settimana
e a ritmi molto più forti di adesso: ora
corro le maratone in montagna, quindi
la preparazione è molto differente.
A
vete un indumento o un accessorio porta fortuna che indossate nelle gare? Se sì, avete prove certe
della sua efficacia?
M: Qualche anno fa ero molto
scaramantico: mi piaceva portare una
bandana di colore rosso e correre senza
calzini. Ora non lo sono più, però mi
piace mettere una fascetta bianca con
il nome del mio sponsor, che è anche
un amico. So che non funziona come
portafortuna, ma a me piace.
E: Io non ho mai avuto nessun portafortuna, dall’anno scorso ho due bracciali con le iniziali di Marco e Lidia che
semplicemente guardo prima del via.
LE MONTAGNE DIVERTENTI U
n infortunio vi ha mai fatto
pensare di smettere?
M: Nel 2005 ho subito una frattura
ischi-pubica. Molto dolorosa e per la
quale sono stato fermo 9 mesi. Più
recentemente, nel 2013, una lacerazione del muscolo adduttore per
colpa di un trattamento fisioterapico.
6 mesi di stop e una lunga riabilitazione prima di rientrare. Nel primo
caso, la ripresa è stata molto veloce e
mai ho pensato di abbandonare, nel
secondo invece qualche pensierino, a
oltre 36 anni, confesso di averlo fatto.
E: La voglia di correre per ora ha
superato anche i vari stop forzati che la
vita atletica mi ha messo davanti.
A
livello sportivo c’è qualche
obbiettivo che vi rammaricate
di non aver ancora raggiunto?
M: Correre una maratona in piano.
Mi sono sempre infortunato prima
o durante i tentativi fatti. Sento
che avrei potuto realizzare un buon
tempo, nonostante la mia struttura
sia indubbiamente più adatta alla
montagna.
E: Sono contenta di quello che ho
fatto fino a qui. Mi sarebbe piaciuto
provare a correre un’altra maratona
in piano, ma il mio fisico - o meglio
il mio modo di correre - non me lo
permette, in quanto fa fatica a sopportare gli allenamenti su asfalto: ho uno
stile inconfondibile ed inguardabile!
Q
uali sono i vostri propositi per
la stagione 2016?
M: Gare nuove in posti nuovi, e
magari portare avanti il mio progetto
di montagne #boymountaindreams da
qualche parte.
E: Mi piacerebbe fare gare nuove,
esperienze nuove: la corsa ancora mi fa
divertire!
V
orreste che vostra figlia diventasse una campionessa come
voi, o le augurereste di fare altro?
M: Sinceramente non mi importa. Se
intendesse correre o sognare un futuro
nel professionismo in un altro sport,
la supporterei di certo, ma con molta
discrezione come hanno sempre fatto i
miei genitori con me.
E: Sarà libera di scegliere qualsiasi
sport, se vorrà praticarne uno. Per ora
è molto pigra!
C
he consiglio dareste a un genitore che vuole avviare suo
figlio alla corsa?
M: Lasciate che i vostri ragazzi
seguano i loro tecnici e i loro amici,
senza interferire troppo. Non esaltateli
mai quando vincono, così come non
deprimeteli se arrivano ultimi, siate
sempre dietro le quinte e fate finta che,
in fondo, a voi non importa troppo di
ciò che stanno facendo. So che nessuno
avrà la capacità di farlo visto che “ogni
scarafone è bello a mamma sua”, però
sforzatevi, i vostri ragazzi vi ringrazieranno un giorno per questo.
E: Il bambino deve divertirsi in pace:
non dev’essere esaltato o mortificato
per i risultati ottenuti.
A
un adulto che decide di
incominciare?
M: Divertirsi. Approcciare le distanze
e le ripetute andando sempre per gradi.
Fissare due obiettivi durante l’anno e
godersi la strada che porta ad essi.
E: Divertiti, ma senza esagerare, senza
pretendere troppo da te stesso!
S
econdo voi, qual’è il pregio più
grande di questo sport?
M: Ne individuerei tre al volo: porta
amicizie profonde e durature (e perché
no, anche qualcosa di più), mette le
persone di qualunque ceto sociale o
popolarità sullo stesso piano e fa vivere
la Natura in modo profondo.
E: Vedere dei posti magnifici, una
natura stupenda, conoscere tante
persone che provengono da ogni parte
del mondo e condividere con loro tutto
questo!
I
l difetto?
M: Quando lo sport si mischia
alla politica. Succede anche in realtà
piccole, purtroppo.
E: Non saprei...
N
ell’ipotesi che ogni desiderio
possa essere esaudito, cosa vi
piacerebbe trovare sotto l’albero?
M: Un po’ di tranquillità assieme alle
persone a cui voglio bene. Nell’ultimo
periodo ho vissuto esperienze molto
belle e importanti, ma che mi hanno
fatto sottrarre tempo agli affetti e agli
allenamenti.
E: Salute e serenità!
Intervista a Marco De Gasperi ed Elisa Desco
101
Approfondimenti
Valmalenco
C ontrada S cilironi
S
cilironi è certamente uno dei
borghi più noti e studiati della
Valtellina. La sua posizione, su una
ripida costa proprio di fronte alla
strada provinciale della Valmalenco,
lo impone alla vista di chi transita
di lì; per contro, l’abitato di Spriana
Centro, situato in una conca più in
alto, non è visibile se non alzandosi
parecchio sul lato orografico dx della
Valmalenco.
Con le sue case a grappolo, addossate
le une alle altre sul ripido pendio tra
grandi blocchi di gneiss, costituisce
un insieme unico e quanto mai
pittoresco che giustamente ha attratto
l’attenzione di artisti e studiosi.
Come nella maggioranza dei
casi in Valmalenco e in Valtellina,
non sappiamo quando si iniziò ad
102
LE MONTAGNE DIVERTENTI edificare questa frazione. Sta di fatto
che la leggenda locale vuole che il
nucleo originale fosse spostato poco
più a sud, oltre la vallecola omonima.
Ma vi fu una frana dalle pendici
superiori del monte Foppa (evento
tutt’altro che raro nella storia del
territorio di Spriana) che distrusse
la più antica contrada, costringendo
gli abitanti a rifugiarsi sull’opposto
lato del rio. Qui avrebbero utilizzato
i grandi blocchi di rocce, precipitati
in frane precedenti, per realizzare
i primi tuguri che poi si sarebbero
trasformati in una contrada vera e
propria.
La parte medio-inferiore del
villaggio è quella più antica, con la
presenza di grandi massi rocciosi nei
quali è anche scavata una quanto mai
Eliana e Nemo Canetta
caratteristica scaletta che la collega la
parte superiore del villaggio.
Le case un tempo erano in pietra
a secco e il legname era utilizzato
solo per i tetti e per le solette. Nelle
camere, molto piccole, si miscelavano
senza un particolare ordine, stalle,
fienili, depositi vari e locali di
abitazione. Questi ultimi avevano, in
qualche caso, il caratteristico focolare
centrale privo di canna fumaria:
attraverso le finestre, il fumo usciva
all’esterno annerendo le pareti, come
in qualche punto è ancora oggi ben
visibile. Vi erano inoltre tre forni
per la panificazione di uso comune.
Il territorio intorno a Scilironi,
come tutta la costa su cui sorgono
il centro di Spriana e le sue frazioni,
era infatti fittamente coltivato anche
Inverno 2015
Da sx a dx e dall’alto verso il basso, viste di Scilironi frazione oggi abitata tutto l’anno da una sola famiglia:
Scilironi in primavera dal sentiero dei Pizzi (23 maggio 2010, foto Beno).
Le case di Scilironi dalla provinciale della Valmalenco (6 dicembre 2012, foto Roberto Ganassa).
Scilironi vista dall’alto, esattamente da Bedoglio (15 gennaio 2011, foto Beno).
Scilironi addobbata con luminarie nel periodo natalizio (11 dicembre 2011, foto Roberto Ganassa).
Vecchia cartolina di Scilironi (1900, archivio Maurizio Cittarini).
a cereali e castagni. Gli edifici erano
quasi sempre privi di scale interne.
Solo quelli più moderni, situati nella
parte superiore del nucleo, avevano
lunghi ballatoi di legno, utilizzati
oltre che per il passaggio, anche per
l’essiccazione delle granaglie e delle
castagne. Può meravigliare l’assenza
in tutta la frazione sia di santelle,
che di un qualsivoglia segno di
devozione. Sicuramente gli abitanti si
recavano nella vicina parrocchiale di
San Gottardo, posta all’ingresso del
nucleo centrale di Spriana.
Resta da ricordare che tutti gli
abitanti portavano il cognome
Scilironi, a cui si erano poi aggiunti
vari soprannomi distintivi. Tra
questi Scilironi meritano d’essere
citati Pietro e Giacomo che, insieme
LE MONTAGNE DIVERTENTI a Michele ed Enrico Schenatti di
Chiesa, sono stati, nella seconda metà
dell’ ‘800, le prime guide alpine della
Valmalenco. Giacomo, detto el Fuin,
era specializzato in salite al monte
Disgrazia (che a quei tempi veniva
asceso il più delle volte con partenza
da Torre di Santa Maria) e fu lui che,
nel 1884, fu incaricato dall’Istituto
Geografico Militare, assieme ai due
Schenatti, di costruire una baracca
per osservazioni topografiche a
poca distanza dalla vetta del Monte
Disgrazia: la capanna Maria.
Oggi il cognome Scilironi è molto
diffuso e a Sondrio ne risultano ben
33 (in tutta la Lombardia 59).
La frazione fino a una decina di
anni orsono era in condizioni molto
buone, tanto che fu oggetto di vari
progetti di recupero, sia privati che
pubblici, per trasformare un nucleo
tanto caratteristico in una sorta di
museo all’aperto. Purtroppo tutti
questi buoni intenti sono restati sulla
carta e oggi le ingiurie del tempo si
stanno facendo pesantemente sentire.
La parte centrale, forse la più
antica e interessante del villaggio, sta
gradatamente crollando in seguito
all’abbandono e al cedimento dei
tetti. Tuttavia nella parte più bassa
e nella parte superiore si contano
ancora una decina di abitazioni,
utilizzate e in parte ristrutturate,
che indicano ancora una presenza
umana in questo antico insediamento
malenco.
Contrada Scilironi
103
Approfondimenti
Valmalenco
L e chiese di S priana
S
alendo dal Prato verso il centro
di Spriana, in corrispondenza
del cartello che segna l’entrata nella
frazione, si trova, sopra un grande
masso, la singolare chiesa della
Madonna della Speranza. Sul lato N
dell’edificio vi è la scaletta in pietra che
porta al piccolo piazzale antistante alla
chiesa. Dal parapetto c’è una bellissima
vista sulla parte inferiore della
Valmalenco, fitta di boschi. La chiesetta
(generalmente chiusa, chiavi presso il
signor Alberto Cao del piccolo negozio
di alimentari nella piazzetta di fronte al
municipio) si dice essere molto antica,
secondo la tradizione addirittura
precedente alla parrocchiale, e costruita
come ex-voto perché una frana di
grandi blocchi precipitati dal monte
Foppa avrebbe risparmiato le case di
104
LE MONTAGNE DIVERTENTI Spriana. Proprio per questo all’interno
si trovava un dipinto della Madonna
col Bambino con una àncora simbolo
di salvezza e speranza (quest’ultima
tela tardo settecentesca è ora nella casa
parrocchiale in attesa di restauro).
L’edificio è anche chiamato
“chiesina del mal di denti”: un’antica
credenza malenca sostiene infatti che
per far passare il mal di denti basti
fare il giro dell’edificio. In realtà si
tratta di una bonaria presa in giro,
in quanto la chiesa, costruita sulla
roccia, è impossibile da aggirare se
non a rischio di mortale caduta, il che
comporterebbe ovviamente la fine di
ogni sofferenza!
Ai piedi del masso su cui sorge la
chiesa della Madonna della Speranza,
si trova la cappelletta dedicata alla
Eliana e Nemo Canetta
Madonna realizzata su progetto
dell’ingegner Enrico Vitali di Sondrio.
a chiesa parrocchiale di San
Gottardo, con il suo alto
campanile di pietra a vista, è collocata
non lontano dal municipio e dalla
piazzetta centrale del paese e accanto
alla casa parrocchiale.
La chiesa fu eretta nella seconda
metà del XV secolo e consacrata nel
1489. All’epoca era vice cura della
parrocchia di Montagna da cui Spriana
dipendeva
anche
politicamente.
Divenuta parrocchia autonoma nel
1624, nel 1625 la chiesa fu ricostruita
e successivamente ampliata nel 1797
e nel 1893. Nonostante la facciata
sia stata certamente rifatta nel ‘900,
presenta un portale in stile barocco
recante data 1818. Poco più a nord,
L
Inverno 2015
Nella pagina di sx: il centro di Spriana e la parrocchiale di San Gottardo (anni ‘40, cartolina archivio Maurizio Cittarini). Nella parte sx dello stabile del
municipio si trovava la scuola elementare, chiusa nel 1970. La scuola venne quindi inserita in un nuovo edificio (quello dove ora si trova la Trattoria dei
Contadini), ma fu chiusa sul finire degli anni ‘70 e gli alunni vennero mandati a Torre di Santa Maria (informazioni fornite da Luigino Scilironi “Ginetto”).
In questa pagina: la chiesa della Madonna della Speranza vista da diverse angolazioni nelle varie stagioni (23 maggio 2010 e 17 novembre 2015, foto Beno
/ 2 novembre 2011 e 6 gennaio 2010, foto Roberto Ganassa).
ma staccato dall’edificio sacro, è il
campanile risalente al 1904, realizzato
su progetto dell’ingegner Enrico Vitali
da Giacomo Nana e da muratori di
Caspoggio.
La chiesa è aperta tutti i giorni dalle
8 alle 17.30 (chiavi presso il signor
Alberto Cao). L’interno, a una navata,
ha il soffitto completamente affrescato
con due medaglioni rappresentanti
la Vergine Assunta e l’Ostensorio
sorretto da angioli in volo, entrambi
opera di Luigi Tagliaferri1. Nella
cupola del presbiterio si trovano
1 - Il pittore Luigi Tagliaferri (1841-1927) era originario di Pagnona (CO) e figlio del pittore Giovanni
Maria. Le opere di Luigi Tagliaferri sono numerose
e concentrate soprattutto in Lombardia. Si distinguono per la fluidità narrativa e la morbidezza, non
ovunque ravvisabile a causa di restauri non eseguiti
a regola d’arte.
LE MONTAGNE DIVERTENTI dipinte la Gloria di San Gottardo e la
Santissima Trinità, anch’esse dipinte
dal Tagliaferri. Sulla parete di sinistra
della navata vi era una tela del XVII
secolo, rappresentante la Madonna e
il Bambino attorniati da una cornice
con medaglioni coi Misteri del
Rosario (attualmente si trovano nella
adiacente casa parrocchiale e sono in
attesa di restauro). Nelle due cappelle
laterali sono due belle statue, di cui
una rappresentante San Giuseppe in
sostituzione di una tela col Transito
di San Giuseppe, trafugata dalla
chiesa una trentina di anni orsono.
Sul fondo, dietro l’altare maggiore,
un dipinto su legno, datato 1533 e
attribuito a Fermo Stella, raffigura
la Madonna in trono e il Bambino
benedicente, San Gottardo, San
Donato e, inginocchiato, San Rocco.
Interessanti arredi, oggetti sacri ed
intagli sono pure in sagrestia.
Nella parrocchiale viene celebrata la
Santa Messa ogni domenica alle 9 e si
festeggia San Gottardo la domenica più
vicina al 4 maggio2. Un tempo la festa
del patrono era preceduta da 3 giorni di
fiera in cui si commerciavano prodotti
di artigianato. La fiera richiamava
genti non solo dalla Valmalenco, ma
anche dal resto della Valtellina e gli
abitanti di Spriana vendevano i pochi
prodotti realizzati nel paese: gerle,
rastrelli, zoccoli e cestini.
2 - Per approfondimenti:
- Mario Gianasso, Guida turistica della provincia di
Sondrio, II edizione a cura di Antonio Boscacci,
Franco Gianasso e Massimo Mandelli, Banca Popolare di Sondrio, Sondrio 2000
- www.ecomuseovalmalenco.it
Le chiese di Spriana
105
Approfondimenti
La TV a Sondrio
la prima fu alla trattoria Masoli di Arquino
Luciano Bruseghini
Da sx, Eugenio Masoli, Savina Farina
e Nicola Masoli con la famiglia
(foto archivio famiglia Masoli).
A
rquino, ubicato allo sbocco dell’incassata val di Togno nella più ampia
Valmalenco, un tempo era molto trafficato:
da qui passava l’unica strada carrozzabile
per permetteva di collegare il capoluogo
con i paesi della valle del Mallero. La strada
sterrata proveniente da Ponchiera toccava
il nucleo di Caparè per poi attraversare il
tumultuoso torrente e proseguire verso la
testata della valle sulla destra orografica.
Ora questa strada non esiste più, sostituita da quella più ampia che transitando
da Mossini risale la vallata sempre sul
lato destro orografico evitando l’instabile
versante della frana di Spriana.
Arquino risulta quindi una località quasi
dimenticata, sebbene alcune sue peculiarità
meritino di essere raccontate.
In primo luogo, è divisa fra due comuni:
spetta a Sondrio la parte più abitata, mentre
a Torre di Santa Maria il solo spicchio
compreso tra il torrente Mallero e il rio
Valdone. Inoltre, Arquino ha un cospicuo
numero di ponti rispetto alla sua estensione: ben 6 nel raggio di 200 metri! I primi
due, paralleli e dotati di una sola carreggiata, superano il torrente Antognasco
(quello più a N è in pietra e ad arco; sotto
di esso si trovano bellissime pozze scavate
nella roccia); poi altri due paralleli permettono di attraversare il Mallero (su quello
più antico, costruito dagli Austriaci, con
struttura ad arco e parapetti in sasso, oggi
è consentito il solo transito ciclopedonale,
l’altro in cemento è per il traffico veicolare);
infine ancora due ponti sul piccolo ruscello
Valdone, che nei mesi estivi è praticamente
in secca.
Pochi, invece, conoscono un aneddoto
che svela un volto completamente diverso
di Arquino, assai più festoso di quello
odierno. Si tratta di una storia che sicuramente risveglierà nella mente delle persone
non più giovani nostalgie dei tempi passati.
Agli inizi degli anni cinquanta Eugenio
Masoli, classe 1921, autista del cotonificio
Fossati, decise di aprire una trattoria ad
Arquino. I materiali da costruzione furono
facilmente reperiti nelle vicinanze: la sabbia
venne estratta dal canale artificiale che
portava l’acqua dal Mallero alla sottostante
centralina elettrica oggi dismessa; le pietre
direttamente dall’alveo del torrente. Così
nel piccolo nucleo del comune di Torre di
Santa Maria - che allora contava circa 300
abitanti - nacque la trattoria Masoli. Nonostante ci fossero già altri due ristoranti ad
Arquino, la struttura ingranò velocemente,
richiamando avventori anche da Sondrio e
dai paesi della Valmalenco. Durante il giorno Eugenio guidava il
camion, sua moglie Lisa Martelli e i figli si
occupavano della campagna e delle mucche,
mentre alla sera e durante i fine settimana
aprivano il locale.
Custode dei ricordi legati alla trattoria è il
figlio Nicola, classe 1946, che fin da piccolo,
ha aiutato i genitori nei momenti liberi
dalla scuola e dalle faccende agricole. Solamente in estate abbandonava Arquino per
salire all'alpe Monterosso, a fare da garzone
ai parenti che lì caricavano il bestiame1.
Venivano serviti spuntini a base di pane
di segale cotto nel forno a legna dalla
signora Savina Farina, classe 1900 - madre
di Eugenio, salame e formaggio nostrani, il
tutto annaffiato da ottimo vino valtellinese
prodotto a Castionetto e Sant’Anna. Inizialmente non venivano utilizzati i bicchieri,
ma solamente delle piccole brocche da ¼
o ½ litro da cui i clienti bevevano a turno.
Nicola Masoli ricorda ancora gli enormi
pentoloni posti sulla terrazza, dove bollivano per ore ossa di maiale e vitello servite
poi per cena ai commensali, che erano
soprattutto operai che rientravano verso
casa a piedi o in moto dopo una giornata
di duro lavoro. All’esterno furono costruiti
anche due campi per il gioco delle bocce.
Per i più piccoli era festa grande quando
da Sondrio saliva col carretto dei gelati
un signore originario di Spriana, Aleardo
Marveggio.
Visto l’enorme successo, Eugenio decise
1 - La madre di Nicola era cugina di Adele Menesatti, che ci ha raccontato la storia degli ultimi
pastori all'alpe Monterosso: vd. Luciano Bruseghini, Monterosso, LMD, n. 31 Inverno 2014 - pagg.
64-65.
106
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI di ampliare la struttura e di costruire
anche una sala da ballo. Andava di moda
la Radiola, un giradischi a 78 giri che ha
fatto ballare molte persone. Talvolta suonavano dal vivo anche dei complessi musicali.
In un’occasione, a causa dell’affollamento,
venne sfondata la pelle di un tamburo: si
fece una colletta tra tutti i presenti per acquistarne una nuova, mettendo le offerte all’interno dello strumento rotto. Nicola ricorda
anche del ballo a comanda: se una donna
invitata a ballare non accettava, doveva stare
ferma per tre canzoni consecutive.
Ma il vero boom doveva ancora arrivare e
questo accadde quando fu installato un televisore. Nel 1955 circa fu acquistato presso il
negozio Carrara a Sondrio un grosso cubo in
legno da 21 pollici con valvole della Magnadyne, storica azienda di Torino produttrice
di elettronica di consumo ed elettrodomestici. Istallato dal tecnico Pierluigi Carugo
captava il canale B. Il segnale, proveniente
dalla sommità del monte Penice2, passava la
valle del Livrio.
S
embra impossibile, ma a metà anni
‘50 a Sondrio non si captava ancora
il segnale televisivo, mentre ad Arquino,
in questa piccola conca incassata fra le
montagne ma sopraelevata rispetto al
capoluogo, lo si riceveva benissimo!
I programmi più seguiti erano Lascia o
raddoppia con Mike Bongiorno, il Caro­
2 - Vetta di m 1460 dell’Appennino ligure dove sorgono tutt’ora imponenti ripetitori televisivi che permettono di ricevere le trasmissioni a un ampia fetta
del Nord Italia.
sello e gli incontri di boxe (erano i tempi
di Mazzinghi e D’Agata). In una sala di
90 metri quadrati si accalcavano centinaia
di persone, i più fortunati sedevano davanti,
altri dietro in piedi sui tavoli e alcuni attaccati alle finestre. A un certo punto si dovettero montare delle inferriate, altrimenti la
gente entrava anche da lì.
La televisione restava accesa fino alle dieci
di sera, poi entrava in scena il giradischi e
si ballava. Alcune volte erano più i danni
che l’incasso, riferisce Nicola! Mi racconta
che una sera, da ragazzo, andò a catturare
alcune rane lungo il Valdone con il signor
Roberto Cristini di Torre Santa Maria, poi
le lanciò nella sala da ballo. «Le signore strillavano come disperate - ricorda sorridendo
- ma poi dovetti correre per tre giorni per
non farmi acchiappare da mio padre che mi
voleva disfare.»
Per poter trasmettere le canzoni sul giradischi o quando suonavano i complessi
bisognava emettere dei biglietti per la SIAE,
per pagare i diritti d’autore. Per risparmiare
un po’ di tasse capitava che Nicola o altri
parenti salissero sul grande albero davanti
alla trattoria a controllare che dalla Ceschina
non arrivassero i carabinieri in motocicletta
provenienti da Chiesa, lungo la tortuosa
strada delle vigne.
La grande epoca di questo locale durò
fino alla metà degli anni sessanta. Poi, i
cambiamenti dello stile di vita e la maggior
possibilità economica delle famiglie - che
iniziavano ad avere un televisore proprio portarono lentamente al calo dei clienti e
quindi alla chiusura definitiva nel 1971.
Trattoria Masoli
107
T
Rubriche
enerife
Graziella Pradella
T
rascorrere una settimana praticando nordic walking
con l’istruttore Nicola Giana in luoghi dove l’estate
non è ancora finita è diventato per noi fedelissimi compagni
di avventure un appuntamento autunnale irrinunciabile.
Quest’anno, dopo Lanzarote, Pantelleria, la Cappadocia e
Creta, la meta è stata Tenerife, l’isola delle Canarie più famosa
e visitata, la più estesa e con le vette più alte.
Panorama LE
su Masca
dal Pico
Verde (m 1318)
MONTAGNE
DIVERTENTI
(22 ottobre 2015, foto Marino Amonini).
108
Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Tenerife
109
Rubriche
Viaggi
L
a maggior parte dei vacanzieri pensa a Tenerife, con oltre
2000 km2 di superficie la più grande
isola delle Canarie1, solo come a
un’isola dalle spiagge assolate e dal
clima mite tutto l’anno, dove trascorrere qualche giorno specie nei mesi
invernali.
Non è così o, perlomeno, non è solo
così. Tenerife, grazie alle diverse zone
climatiche e all’abbondanza di microclimi, è un incredibile susseguirsi di
paesaggi molto diversi tra loro, spesso
inaspettati perché è difficile immaginare di trovare, a poca distanza da
bananeti e fichi d’india, vere e proprie
foreste di pini.
Il versante sud è costellato da tamerici, eucalipti e cespugli spinosi resistenti alla siccità e all’aria salmastra e,
là dove si è riusciti a portare l’acqua,
da estesi bananeti, mentre il nord
presenta una vegetazione più ricca e
variegata, essendo decisamente più
piovoso.
Il vero volto dell’isola viene però
svelato solo a chi esce dai classici
circuiti turistici. Lo sperimentiamo
giorno dopo giorno nei nostri spostamenti a piedi, programmati per lo più
nella zona nord occidentale, quella che
ospita il Parco Rurale di Teno, un’area
di grande interesse paesaggistico e
naturalistico.
Così lungo una vecchia strada forestale e antichi sentieri scendiamo da
Erjos verso il mare entro boschi di
laurisilva, nella zona di Vilaflor attraversiamo vigneti, sul secolare sentiero
che dal Cumbre de Bolico porta a
Masca camminiamo tra fichi d’india,
estensioni di agavi e cespugli spinosi,
tra cui tanti cardi dalla tipica forma a
candelabro.
Per non farci mancare nulla del
paesaggio canario, sul versante nord
fin dal primo giorno sperimentiamo
nuvoloni neri provenienti da ovest,
nebbiolina e pioggia. Siamo preparati: subito dagli zaini escono coloratissime giacche e mantelle che, come
per magia, hanno il potere di riportare il sorriso e l’allegria. E il cammino
riprende.
Nei giorni successivi raggiungiamo
1 - Arcipelago formato da 9 isole di origine vulcanica situate nell’oceano Atlantico e dislocate al largo
del Marocco, appena a nord del tropico del Cancro,
ma appartenenti alla Spagna.
110
LE MONTAGNE DIVERTENTI Discesa a Los Silos (20 ottobre 2015, foto Marino Amonini).
Nuovi terrazzamenti a Vilaflor (21 ottobre 2015, foto Marino Amonini).
Garachico (20 ottobre 2015, foto Marino Amonini).
Roques de Garcia e il Teide (23 ottobre 2015, foto Maristella Sceresini).
il paesaje lunar, una serie di curiose
formazioni rocciose in pietra pomice
scolpite dall’erosione, tra foreste di
pini canàri2 che, man mano si sale di
quota, si diradano lasciando meglio
intravvedere la nera terra lavica su
cui crescono, costellata di lapilli più
o meno grossi.
Quando invece, ai piedi del Pico
Viejo3 percorriamo un anello panoramico e saliamo sulla Montaña
silva4, una lussureggiante foresta di
lauri sempreverdi endemica di un
clima umido subtropicale, caratterizzata da un ricco sottobosco di felci,
erica, liane e muschi che spesso ricoprono i tronchi e pendono dai rami
degli alberi. È quanto resta dei boschi
che milioni di anni fa ricoprivano
gran parte del Nord Africa e del sud
dell’Europa.
E che dire del Teide, l’imponente vulcano tuttora attivo che
diede origine all’isola e che con i
suoi m 3718 è la montagna più alta
dell’intera Spagna?
Già i Guanci, l’antica popolazione
2 - Pinus canariensis. Pini longevi, spesso con forme
a candelabro. Hanno la corteccia resistente alle altissime temperature che li protegge dal fuoco, così che
dopo un incendio rigermogliano senza difficoltà.
3 - Il Pico Viejo, o Montaña Chahorra, è la seconda
vetta più alta di Tenerife e delle Isole Canarie;
insieme col Teide, sono le uniche due montagne di
oltre m 3000 nell’arcipelago. Tra il 9 giugno e l’8
settembre 1798 entrò in eruzione, l’ultima entro i
limiti del Parco Nazionale del Teide e la più lunga
delle eruzioni storiche di Tenerife, vomitando materiale vulcanico per tre mesi.
Samara (m 2122), la vegetazione
è ridotta a semplici arbusti, per
poi sparire quasi completamente
lasciando il posto al nero e al rosso
delle colate laviche. È il regno incontrastato dell’erba da stoppa, arbusto
dalla tipica forma semisferica che in
primavera si ricopre di minuscoli fiori
gialli.
In lontananza l’oceano è sempre
presente. Lo costeggeremo nella zona
di Puerto de la Cruz, affascinati dalle
sue spiagge nere in netto contrasto
con le spumeggianti e minacciose
onde.
Da ricordare che alcune specie di
fiori e piante vivono quasi esclusivamente qui. È il caso della Lauri-
Inverno 2015
4 - Descurainia bourgeauana. In passato la Laurisilva
copriva parte delle Canarie occidentali, ma si è
ridotta notevolmente in seguito ai disboscamenti,
allo sviluppo intensivo dell’agricoltura e del pascolo.
LE MONTAGNE DIVERTENTI delle Canarie, lo chiamavano echeyde
(inferno) e lo credevano la dimora di
Guayota, il demone del male5.
Il suo alto cono isolato, visibile da
vari punti quando libero dalle foschie
che spesso lo circondano, ci riserva
l’ennesima sorpresa mostrandosi
appena spolverato di neve.
E noi pensavamo di essere ai tropici!
Con i nostri pulmini percorriamo nell’omonimo parco nazionale
la strada panoramica che si snoda
intorno al vulcano a un’altitudine
superiore ai m 2000, soffermandoci
ai vari mirador per goderci uno spet5 - La leggenda narra che Guayota rapì Magec, dio
della luce e del sole, portandolo con sé all’interno
della montagna; i Guanci chiesero la clemenza di
Achamàn, dio supremo, che riuscì a sottrarre Magec
a Guayota e coprire l’entrata del vulcano. Il diavolo
rimase in tal modo contenuto all’interno del vulcano.
tacolo sempre nuovo e diverso, fatto
di crateri e colate laviche che si sono
costituiti nel tempo, straordinario
per forme e colori. È uno scenario
selvaggio, che incanta e nello stesso
tempo incute rispetto.
Qui la natura si mostra in tutta
la sua grandezza, la sua forza, la sua
imprevedibilità, ma anche la sua
bizzaria e la sua grazia. Rimpiangiamo
di riuscire a vedere solo pochi esemplari in fiore di tajinaste rojo6, specie
che si presenta simile a una lancia ed
è in grado di raggiungere i due metri
di altezza. Questa pianta in maggio
riempie il paesaggio di macchie di
colore con effetti cromatici sorprendenti. Restiamo comunque affascinati
da quanto ci circonda e ci sentiamo
piccini piccini, se pur parte integrante
del “ Tutto”.
Ammiriamo incantati Los Roques
de Garcia, formazioni rocciose quasi
surrealiste dovute all’azione continua
di vari agenti atmosferici, Los
Azulejos, depositi di lava dai riflessi
verdastri, Le Nariz del Teide, bocche
laterali formatesi durante la grande
eruzione del 1798, Las Minas de San
Josè, rocce di lava rossa e ossidiana
disseminate su una distesa sabbiosa che
richiama le dune di un deserto. Tutto
questo dentro Las Cañadas, una delle
caldere più grandi del mondo (oltre
15 chilometri di diametro) risultato
di un’eruzione esplosiva che distrusse
la parte alta del vulcano, che si stima
raggiungesse i m 5000, dentro la quale
è possibile leggere la storia millenaria
delle varie eruzioni. È un’esperienza
unica, specie per quelli di noi che non
hanno mai visto un paesaggio vulcanico da vicino.
La tranquillità che vi regna fa
dimenticare che il vulcano potrebbe
risvegliarsi da un momento all’altro:
un recente studio ha infatti previsto
altre violente eruzioni.
In netto contrasto con le scure rocce
vulcaniche è la verdissima vallata di
La Orotava, “ il giardino di Tenerife”
che dalle falde del Teide arriva al mare,
tutta coltivata a palme e bananeti.
Il nostro vagabondare non interessa
solo zone paesaggistiche. Visitiamo
anche alcuni centri tipici della costa
nord, quali Puerto de la Cruz, Gara6 - Echium wildpretii. Specie vegetale endemica che
si trova unicamente nel Parco Nazionale del Teide.
Tenerife
111
Rubriche
chico, Icod de los Vinos e, sul versante
ovest, Masca. Tutti si rivelano una
piacevolissima sorpresa.
Puerto de la Cruz, dall’inizio del
secolo rifugio invernale di migliaia di
turisti per lo più provenienti dal nord
Europa, accanto a grandi alberghi in
cemento offre vari edifici di interesse
artistico, un antico borgo di pescatori
e una bella passeggiata lungomare.
Mentre qualcuno di noi si dà allo
shopping più sfrenato, altri sono
attratti dal complesso del lago
Martiànez, un lussureggiante giardino tropicale con una serie di
piscine create tra le rocce vulcaniche
su progetto di Cèsar Manrique7, il
geniale artista di Lanzarote famoso
per saper “arredare” la natura nel
massimo rispetto della stessa. C’è
chi non resiste a un piacevole bagno
ristoratore.
Garachico, il più fiorente porto
dell’isola fino al 1706 quando la
cittadina fu distrutta da una terribile
eruzione vulcanica, presenta un patrimonio artistico di eccezionale valore.
Rinata dalle ceneri come la mitica
Araba Fenice, insieme a Buenavista,
Los Silos ed El Tanque, si è vista assegnare la Medaglia d’oro delle Belle
Arti, quale riconoscimento dei suoi
tesori. Noi abbiamo ammirato, oltre
a numerosi palazzi in stile locale,
la Chiesa Madre de Santa Ana, uno
degli edifici più belli e sfarzosi dell’isola, e il Castillo di San Miguel, una
fortezza in pietra a base quadrata a
difesa del porto dal XVI secolo.
Ci hanno incuriosito anche le
piscine naturali lungo la costa, formatesi tra la lava in seguito alla grande
eruzione, che alimentate naturalmente dall’acqua del mare sono
ancora oggi un forte richiamo per
coloro che vogliono un originalissimo
luogo dove bagnarsi.
Non meno interessante Icod de
los Vinos, famosa - come dice il
nome - per i suoi vigneti e i suoi vini,
con antichi edifici, chiese, conventi e
tante case signorili dai tipici balconi.
Nell’antico convento di San Fran7 - Pittore, scultore, architetto, ecologo, conservatore del patrimonio artistico, consulente edile, pianificatore urbano, disegnatore di paesaggi e giardini,
fu il personaggio di maggior spicco a Lanzarote e
nell’intero arcipelago delle Canarie. Dotato di forte
temperamento, dai modi gentili e anticonvenzionale, nacque il 24 aprile 1919 ad Arrecife. Morì in
seguito a un incidente stradale il 25 settembre 1992.
112
LE MONTAGNE DIVERTENTI Viaggi
Echium wildpretii in fiore (17 maggio 2015, foto M. Sceresini).
Montaña Samara, ai piedi del Teide (25 ottobre 2015, foto Marino Amonini).
Playa San Juan (25 ottobre 2015, foto Marino Amonini).
cesco, edificato nel 1641, recentemente restaurato e adibito a
biblioteca comunale e centro culturale della cittadina, siamo rimasti
stupiti alla vista del chiostro rinascimentale ligneo con bella balconata
e delle sale dagli splendidi soffitti in
legno intagliato.
L’attrazione più nota è però il drago
millenario8, una dracena dalle enormi
8 - Dracaena draco. Specie vegetale propria delle
zone pianeggianti e calde di Tenerife. Il drago è un
albero leggendario che, insieme alla palma costituisce il simbolo vegetale di Tenerife e dell’arcipelago
canario. Chiamato anche sangue di drago, per il
colore rossiccio della sua saliva, cresce con lentezza
Playa del Bolullo (24 ottobre 2015, foto Maristella Sceresini).
dimensioni (più di 20 metri di altezza
e circa 10 di diametro della chioma),
alla quale sono attribuiti più di mille
anni.
Masca, un tempo covo nascosto e
quasi inaccessibile di pirati che sfruttavano le gole della scogliera per cogliere
di sorpresa le navi di passaggio, è oggi
un grazioso paesino dalle case tradizionali appollaiate sulle strette creste di
strane formazioni rocciose a perpendied è molto longevo. Decimato nel passato per l’estrazione della salvia, che era utilizzata per preparare
dentifrici, vernici e lacche, è adesso in fase di ripolamento.
Inverno 2015
colo sul canyon (barranco) omonimo.
Una destinazione da sogno per gli
amanti della fotografia.
Anche noi saremmo dovuti scendere
da qui al mare attraverso una sorprendente fenditura tra le pareti a picco,
forse una delle escursioni più suggestive di tutta l’isola, ma la possibilità
di trovare acqua sul greto del torrente
dove in più punti si cammina e il
pericolo di smottamenti o di caduta
dall’alto di materiali precari, dovuti
alle piogge dei giorni precedenti, ci
hanno fatto desistere. Rinuncia inizialmente sofferta, poi rivelatasi provviLE MONTAGNE DIVERTENTI Masca (15 maggio 2015, foto Maristella Sceresini).
denziale quando abbiamo saputo di
un grave incidente nel vicino Barranco
del Infierno.
Il gruppo, uno zoccolo duro di
amici che si conoscono ormai da anni
(non solo valtellinesi ma anche vicentini) cui si aggiunge sempre qualche
gradita new entry, è apparso subito
ben equilibrato, aperto e disponibile
ad ogni tipo di proposta e si è affiatato
ogni giorno di più. Del resto niente
unisce come il camminare insieme con
a fianco un compagno sempre diverso
con il quale condividere sensazioni ed
emozioni o provare stupore per un
fiore mai visto prima.
Non sono mancati – se ce ne fosse
stato bisogno – momenti di “rinforzo”,
quali un bagno in allegria, un aperitivo, una festa di compleanno, una
degustazione di vino locale con tapas
de queso in una tipica finca, una paella
e il commosso ricordo dell’amico
Tiziano, compagno di tante scarpinate, che ci ha lasciati troppo presto.
Ora il viaggio è finito e ciascuno di
noi è tornato alla propria vita con i
propri ricordi e tante immagini negli
occhi e nel cuore, che aiuteranno a
“reggere” i lunghi mesi invernali.
Tenerife
113
Ermellino
Rubriche
il folletto delle Alpi
testi Alessandra Morgillo, foto Jacopo Rigotti
L’ermellino in veste invernale si mimetizza perfettamente
in un ambiente completamente imbiancato dalla neve
(3 gennaio 2009, foto Jacopo Rigotti). Queste e altre
immagini, oltre alle schede dettagliate degli animali delle
Alpi, sono presenti nel libro Alpi Selvagge, disponibile nei
migliori punti vendita e ordinabile da shop.clickalps.com e
da
www.lemontagnedivertenti.com.
LE MONTAGNE DIVERTENTI 114
Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI Ermellino
115
Fauna
Rubriche
L’ermellino muta il suo bruno manto estivo per
assumere una livrea candida durante i mesi
invernali. Un vero e proprio orologio biologico
regola questa trasformazione: la riduzione delle
ore di luce e le prime nevicate indicano che è
arrivato il momento di rinnovare gradualmente
la pelliccia (16 gennaio 2009, foto Jacopo Rigotti).
alla sua ampia diffusione geografica
(si trova in tutta l’Europa settentrionale, in gran parte dell’Asia e in Nord
America) oggi non presenta problemi
di conservazione.
Tuttavia non è affatto facile avvistarlo, complici il criptico mantello,
il carattere diffidente e le abitudini
elusive. Per i fotografi della natura
rappresenta una vera e propria sfida,
che richiede una buona dose di
pazienza, determinazione e, perché
no, anche tanta fortuna.
Il fotografo naturalista Jacopo
Rigotti1 aveva deciso di fotografare
l’ermellino in veste invernale: un
progetto ambizioso considerate le
condizioni meteoclimatiche stagionali e la difficoltà di individuare un
soggetto che si mimetizza perfettamente nella neve. Ma Jacopo è molto
determinato e, quando si prefigge un
obiettivo, dedica tempo, energie e
tutta la sua passione per raggiungerlo.
Quando ho visto i suoi splendidi scatti
non ho potuto fare a meno di chiedergli come avesse fatto a realizzarli
e di svelare ai lettori de Le Montagne
Divertenti i segreti di un backstage in
alta quota.
Cosa ti ha spinto a cercare proprio
l’ermellino?
A me piace fotografare ciò che non
tutti hanno la possibilità o la fortuna
di osservare. L’ermellino è uno degli
animali simbolo delle Alpi. Ha un
musetto simpatico e piace a grandi e
piccini, eppure in pochissimi l’hanno
visto e, se è capitato, si è trattato
con ogni probabilità di un fortuito
incontro durato solo qualche istante.
Scorgere un batuffolo di peli così
tenero che saltella nella neve è un vero
spettacolo, molte volte anziché scattare mi sono incantato a osservarlo.
B
asso profilo, collo allungato,
corpo snello e scattante, lungo
una quarantina di centimetri, il tutto
avvolto in una morbida pelliccia
che lo rende un batuffolo tenerissimo. Ecco come si presenta l’ermellino (Mustela erminea), che, come un
folletto, appare e scompare, correndo
fulmineo tra le rocce delle praterie
116
LE MONTAGNE DIVERTENTI d’alta quota. Dietro a quel musetto
dolce si cela in realtà la tempra di
un agile e insaziabile cacciatore: non
rimane fermo un solo istante, corre
e salta, si arrampica, nuota persino
e tende infallibili agguati a tutto ciò
che si presenti alla sua portata, uccelli
o piccoli mammiferi, che cattura con
destrezza e astuzia. La sua frenetica
attività non cessa nemmeno durante
i rigori dell’inverno, quando, per
continuare a procurarsi il cibo in un
ambiente divenuto ostile, mette in atto
una sorprendente strategia, frutto di
una raffinata e ingegnosa evoluzione:
la muta stagionale. È l’unico mammifero alpino, oltre alla lepre bianca, il
cui manto è soggetto a dimorfismo
Inverno 2015
cromatico: in estate è bruno-fulvo
nella parte dorsale e bianco-giallastro inferiormente, mentre in inverno
diviene completamente candido, fatta
eccezione per l’estremità della coda
che non cambia colore, ma resta nera
in ogni stagione.
In passato l’ermellino ha subito
un’importante pressione venatoria per
LE MONTAGNE DIVERTENTI il valore attribuito alla sua pelliccia,
tanto pregiata e ricercata nella sua
variante bianca da essere stata prima il
mantello dei re e poi ornamento delle
toghe di coloro che ricoprono le più
alte cariche accademiche e giudiziarie.
Fortunatamente diversi interventi di
tutela hanno salvaguardato questo
bellissimo mustelide che, anche grazie
È stato difficile trovarlo?
In realtà l’ho trovato in cinque
zone diverse, sempre tra i m 2000 e
i m 2500, ma non tutti gli ermellini
1 - Jacopo Rigotti, classe 1990, vive in Trentino in
un paesino immerso nella natura. Dal 2012 si è
avvicinato alla fotografia naturalistica specializzandosi in avifauna. Autodidatta, in questi anni ha
fatto sue le più complesse tecniche fotografiche in
modo da ottenere scatti dinamici, naturali e che evidenzino dettagli e colori dei soggetti.
Le sue immagini sono state pubblicate da importanti testate italiane e internazionali (Telegraph, The
Guardian, Times solo per citarne alcune) e dal 2014
fa parte dell’agenzia fotografica ClickAlps.
Ermellino
117
Fauna
Rubriche
L’ermellino in veste estiva. L’ermellino e la donnola (Mustela nivalis) sono mustelidi molto simili, ma solo la coda dell’ermellino rimane sempre
nera, in ogni stagione. Inoltre la donnola, pur essendo anch’essa soggetta a una muta stagionale, presenta un manto invernale chiaro ma non
bianco, se non in rarissimi casi (18 agosto 2011, foto Jacopo Rigotti).
sono uguali. Ho cercato un soggetto
abbastanza confidente e, una volta
individuato, mi sono concentrato su
di lui.
Quante ore di appostamento sono
state necessarie?
Quattro giorni! Tra sole, nuvole,
pioggia, vento e perfino neve!
Quattro giorni? Ma eri preparato a
un’attesa tanto lunga?
Ero partito con l’intento di ritrarre
l’ermellino bianco e mi ero portato
viveri per cinque giorni, ma ero
deciso a rimanere in quota tutto il
tempo necessario, finchè non l’avessi
fotografato.
Lui si è presentato solo la mattina
del quarto giorno…
Si è fatto attendere! Racconta.
Quella mattina avevo finito l’acqua
e mi sono messo a sciogliere la neve.
Sapevo che non mi avrebbe dissetato, ma almeno mi avrebbe bagnato
la gola. Avevo fatto una gran fatica,
fondere la neve a quella quota non è
semplice!
Non avevi con te il fornelletto da
campo?
Non potevo portarmelo, ero già
carico coi 18 chili di uno zaino che
conteneva la mia D5000, il cavalletto,
118
LE MONTAGNE DIVERTENTI il teleobiettivo 200-400 mm, il grandangolo, 5 litri di acqua, qualcosa da
mangiare, vestiti e sacco a pelo.
Dovevi essere attrezzato anche per
le rigide temperature delle notti in
quota…
Fortunatamente dormivo all’interno di un bivacco fornito di qualche
coperta, ma è stata comunque un’avventura. Il primo giorno sono arrivato
su distrutto dalla fatica e sono andato
a dormire alle 18:30 perchè il sole era
già tramontato da almeno un’ora. Mi
sono svegliato la mattina dopo alle
8 bello fresco e riposato. Il secondo
giorno sono andato a dormire alle
18, ma, forse perchè avevo dormito
14 ore il giorno prima o perchè
continuavo a riflettere su come fotografare l’ermellino o per il fatto che
mi trovavo da solo a oltre m 2500 e
pensavo a come stessero passando il
venerdì sera i miei amici, non riuscivo
a prendere sonno. Così ho trascorso
8 ore sveglio con il bagliore tremolante di una candela a farmi compagnia. Mi sarò appisolato solo qualche
momento, continuando a girarmi
e rigirarmi, e non vedevo l’ora che
albeggiasse per uscire da quel bivacco.
A un certo punto, saranno state le
dieci di sera, sono uscito fuori e mi
sono trovato al cospetto di uno spet-
tacolo indescrivibile: la via lattea in
tutto il suo splendore solcava un cielo
lucente di stelle, non ne avevo mai
viste tante in vita mia! Una bellissima
sensazione di pace totalizzante mi
invadeva, mentre assaporavo l’emozione di una bellissima stella cadente
(ti lascio immaginare quale desiderio
io abbia espresso!). È un’esperienza
che chiunque dovrebbe fare almeno
una volta nella vita, ti fa ritrovare te
stesso, riordina le idee, ti fa capire
chi sei, cosa vuoi e quanto sei piccolo
rispetto all’immensità dell’Universo.
Immagino lo spettacolo! Ma poi
sei riuscito a prender sonno?
No, ahimè. Sono tornato dentro
il bivacco dove ho ripreso a fissare la
candela che diventava sempre più
piccola. Verso mezzanotte ho sentito
fuori dei rumori strani: un fruscio e
poi ad un certo punto dei colpi sempre
più forti, come se qualcuno stesse
battendo un martello sulle scalette di
ferro del bivacco. Ho pensato fossero
degli alpinisti che si erano persi, ma
ero sotto le coperte e non avevo voglia
di uscire a vedere con quel freddo
terribile. Aspettavo immobile da un
momento all’altro il loro ingresso, ma
dalla porta non entrava nessuno e i
colpi aumentavano! La mattina dopo
tutto mi è apparso chiaro.
Inverno 2015
Un ermellino vigile davanti alla sua tana. Il piccolo predatore non rimane
fermo un attimo ed è sempre pronto a nascondersi tra i massi e le pietraie
in caso di pericolo (3 gennaio 2009, foto Jacopo Rigotti).
L’ermellino?
Stambecchi! Ho trovato i loro
escrementi. Una notte così credo
non la dimenticherò mai.
E non li hai neanche potuti
fotografare…
Era già il terzo giorno e l’ermellino
si faceva ancora attendere! Ma non
avevo intenzione di arrendermi.
Non ti annoiavi fermo e nascosto
tutto il giorno?
Ogni tanto mi sgranchivo le gambe
passeggiando nei dintorni, poi
tornavo sul posto. Non mi annoiavo
perchè ero in un luogo fantastico e
mentre aspettavo l’ermellino fotografavo i gracchi alpini, i camosci e
persino l’aquila e il gipeto.
Finalmente la mattina del quarto
giorno è apparso. Non lo avevo mai
visto tutto bianco e, infatti, non
posso dire di averlo proprio “visto”,
piuttosto ho intravisto la sua ombra,
perché è solo quella che si nota da
lontano se c’è il sole.
Eri emozionato?
Appena l’ho visto ho iniziato
letteralmente a tremare dall’emozione! Mi è capitato poche volte e
con pochi soggetti, di solito sono
concentrato sugli scatti e solo dopo
LE MONTAGNE DIVERTENTI Il fotografo in azione. Jacopo sfida il freddo e la neve per catturare le
immagini migliori (7 novembre 2012, foto Federica Pellegrini).
aver finito di scattare sono assalito
dall’agitazione. Invece in questo caso
mi è capitato sia prima che dopo.
Ho dovuto respirare profondamente
e affidarmi al mio autocontrollo per
mantenere la calma, dovevo concentrarmi, non potevo mancarlo!
Quanti scatti sei riuscito a
realizzare?
L’ho visto soltanto per due volte
in 10 minuti quella mattina. Ma
durante questo tempo è rimasto
nascosto un bel po’, andava e veniva,
rimaneva dietro ai sassi a lungo. Così
quando si fermava un attimo e si
voltava a guardarmi scattavo. Avrò
fatto un centinaio di foto a forza di
far raffiche.
Quando si fermava a guardarti come si comportava, era
tranquillo?
Mi osservava curioso e chissà, forse
un po’ perplesso si chiedeva: che cosa
ci starà a fare questo strano animale
che non ho mai visto prima, fermo
e immobile qui al freddo?! Non avrà
proprio nient’altro da fare?
Di certo non poteva immaginare
tu fossi lì per lui!
Già. Dopo avermi concesso soli
10 minuti, si è nascosto definitiva-
mente. Ho atteso un’ora, ma non si
è più fatto vivo, perciò, abbastanza
soddisfatto, sono tornato a casa.
Credo che solo una grande
passione per la fotografia e l’amore
per la natura possano indurre un
ragazzo della tua età a trascorrere giornate intere in solitudine, rinunciando qualche volta
ai divertimenti e alla compagnia
degli amici.
Sono sacrifici che faccio volentieri perchè certe emozioni le provo
solo stando immerso nella natura.
Le persone oggi non sanno più
stupirsi, perché sono distratte e non
sono più capaci di osservare. Siamo
troppo abituati a ottenere subito ciò
che vogliamo e non più disposti a
cercare e saper attendere. Trascorrere
del tempo nella natura alla ricerca di
animali selvatici da fotografare mi ha
portato a essere più attento e pronto
a guardare ciò che succede attorno a
me, cogliendone non solo l’insieme,
ma anche i dettagli. La natura mi
ha insegnato a concentrarmi su ciò
che voglio e che occorre pazienza per
ottenerlo. È la mia vita e solo così mi
sento davvero parte del mondo in
cui vivo.
Ermellino
119
IL MIGLIOR FOTOGRAFO
LE FOTO DEI LETTORI
Le foto dei lettori
1
Ponte di ghiaccio (7 marzo 2014, foto Neri Gionata).
Recensione (a cura di Roberto Ganassa)
Il fotografo - Neri Gionata
Questa immagine ha un tocco di classe poiché rappresenta una situazione unica scovata per
puro caso o forse per conoscenza approfondita del luogo. Al frequentatore della montagna
quello che più colpisce è il tempismo del fotografo: chi è pratico sa che solo per pochi istanti,
infatti, il sole si posiziona all’interno dell’occhio le cui palpebre sono costituite dal pendio
nevoso e dal ponte di ghiaccio.
Chissà quanti scialpinisti sono passati in questo punto sul frequentatissimo ghiacciaio del pizzo
Scalino senza notare l’occhio ghiacciato. In pieno inverno, per di più, il sole non arriva nemmeno
da queste parti, mentre in primavera inoltrata è già troppo alto sull’orizzonte per rendere
possibile questa composizione.
Dal punto di vista tecnico il controluce è stato realizzato con un grandangolo e l’accortezza di
chiudere molto il diaframma in modo che le 14 lamelle dell’otturatore creassero l’effetto stellato
sul disco solare. Le zone in ombra, che il sensore della macchina registra come molto scure per
un’intrinseca carenza di dinamica, sono state in seguito aperte con un attento sviluppo digitale.
Un’ultima costatazione: questo genere di scatto è indubbiamente emozionante, ma può
risultare pericoloso; nessuno infatti sa dirci quanto resisterà il ghiaccio, tant’è che ora il ponte è
crollato.
Classe 1974, abito a Calolziocorte
in provincia di Lecco. Frequento
la Valtellina e in particolare la
Valmalenco dal 1988.
Il mio amore per la montagna e
per i ghiacciai è stato affiancato
negli ultimi anni dalla passione per
la fotografia . Ogni escursione o
gita scialpinistica è così diventata
un’occasione per immortalare i
bellissimi paesaggi delle nostre
montagne.
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
- una che premia il fotografo più bravo tra quelli che invieranno, con oggetto "miglior fotografo", i loro scatti inerenti i monti di Valtellina
e Valchiavenna all'indirizzo email [email protected].
- una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate esclusivamente all'indirizzo
email [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista (o un oggetto personalizzato LMD, come
il retro della nuova mappa della Valmalenco) e, preferibilmente, uno scorcio del luogo. Per esigenze grafiche, e non per corruzione
degli addetti, alcune immagini potranno essere pubblicate in anticipo rispetto all'ordine di invio. Pure la grandezza di pubblicazione
non è proporzionale al peso del salame "di casa" inviatoci, ma rispecchia solo criteri di grafica. Non si accettano fotomontaggi.
120
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
2
3
1 ➣ Francia - Piera, Raffaele, Ivo, Cinzia e la piccola Serena presso il Mont Saint-Michel (2 settembre 2015).
2 ➣ Valmalenco - Giovanni Faldrini festeggia 85 anni con le figlie Erica e Floriana, nipoti e pronipote (26 luglio 2015).
3 ➣ Valmalenco - Fabio, Davide, Rachele e Stefano con la vitellina Gina all’alpe Fellaria (28 giugno 2015).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori
121
LE FOTO DEI LETTORI
Le foto dei lettori
5
4
6
7
4 ➣
5 ➣
6 ➣
7 ➣
8 ➣
122
8
9
Valmalenco - Giuseppe, Carla, Roberta, Ermanno e Armando del CAI Molteno in cima al pizzo Scalino (12 Agosto 2015).
Giappone - Ivan, Gabriele, Andrea, Elisabetta e Giada in una tipica Ryo Kan nei pressi di Hakone (17 aprile 2015).
Valmalenco - Noemi e Domenico presso il loro alpeggio all’alpe Fellaria (28 agosto 2015).
Alta Valtellina - Andrea, Ilaria e Riccardo con Don Stefano presso il rifugio Schiazzera in val Saiento (20 giugno 2015).
Svizzera - Gigi, Silvia, Riccardo, Paolo, Helen, Tommaso, Flavia cercano refrigerio alle cascate di Schaffausen (13 agosto 2015).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
10
9 ➣ Piccoli alpinisti crescono - Da sx a dx, dall’alto al basso: Filippo Negrini sui pizzi Tremogge, Malenco (28 luglio 2015) e Sella (6 agosto 2015); papà Daniele all’opera al bivacco Parravicini (5 agosto 2015); Fabio e Filippo sul monte del Forno (13 agosto 2015); Caterina e Filippo in vetta all’Adamello (29 agosto 2015).
10 ➣Isola d’Elba - Rosy e Gio di Tirano sfidano le pungenti ghiaie di capo Bianco (29 giugno 2015).
LE MONTAGNE DIVERTENTI Le foto dei lettori
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LE FOTO DEI LETTORI
Le foto dei lettori
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11 ➣Gruppo dell’Ortles - Marika, Federico, Davide, Exy, Plinio, Ecclesio, Paolo B, Paolo M e Antonio del CAI di Cantù nel giorno dell’inaugurazione del nuovo bivacco Città di Cantù (5 agosto 2015).
12 ➣Versante Retico - Giorgio Gemmi a Prato Valentino (19 giugno 2015).
13 ➣Modena - Patrizio, Maria e Anselmo con mamma e papà a Maranello (4 luglio 2015).
14 ➣Valmalenco - I piccoli Giovanni e Clara all’alpe Prabello (26 luglio 2015).
15 ➣Valmalenco - Stefano, Elisa, Alfredo, Ivan, Michela, Monica e Dennis alla capanna Marinelli (21 agosto 2015).
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16 ➣Vione, Mazzo di Valtellina - Ospiti piemontesi presso il B&B “Vecchio mulino” in val Caregna (5 luglio 2015).
17 ➣Valmalenco - Luca e Alessia presso il rifugio Del Grande-Camerini durante la terza tappa dell’Alta Via (10 agosto 2015).
18 ➣Valmalenco - Chi per la prima volta, chi di ritorno dopo anni: uniti nel nome dello Scalino! (26 luglio 2015).
19 ➣Alta Valtellina - Marco e Sonia sul monte delle Scale (16 agosto 2015).
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20 ➣Udine - Michela presso la basilica patriarcale di Santa Maria ad Aquileia (settembre 2015).
21 ➣Valmalenco - Grande abbuffata all’alpe Zocca per Gianluca, Paolo, Pietro, Fabio e Luca, reduci dalla “Resegup” (14 agosto 2015).
22 ➣Alpi Orobie - Cristina, Paola, Marinella, Carla, Stefania, Giulio, Aurelio, Alessia, Adelaide al rifugio Tagliaferri (30 agosto 2015).
23 ➣Valmalenco - Sandro, Diego e Carluccio del Gruppo GEFO di Olginate sulla vetta del monte Spondascia (14 agosto 2015).
24 ➣Val Camonica - Gita al bivacco Linge nella valle delle Messi con il CAI di Aprica (28 agosto 2015).
25 ➣Alta Valtellina - In val di Rezzalo, valligiani in festa a Clevaccio (30 agosto 2015).
26 ➣Alta Valtellina - Anche Andrea ha provato il nostro itinerario al monte delle Scale! (26 agosto 2015).
27 ➣Alpi Orobie - I giovani del CAI Teglio sul pizzo Rodes (26 luglio 2015).
28 ➣Alta Valtellina - Franz e Remy al rifugio Schiazzera (24 luglio 2015).
29 ➣Svizzera - Incontro internazionale fra intagliatori della Valtellina e della val Poschiavo alla Costa (28 giugno 2015).
30 ➣Alta Valtellina - Anna, Loretta e Mario (12 agosto 2015).
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31 ➣Georgia - Manuel ed i suoi amici trekker portano LMD in villeggiatura a Ushguli, Svanetia (15 luglio 2015).
32 ➣Valmalenco - Umberto, Donatella, Alberto, Barbara, Marcello in Marinelli (30 agosto 2015).
33 ➣Caspoggio - Le edicolanti de “Lo Scoiattolo” , esercizio che da molti numeri detiene il record di vendite de LMD (28 luglio 2015).
34 ➣Valmalenco - Paola e Marzia al lago Palù con i rispettivi mariti Claudio e Camillo (18 agosto 2015).
35 ➣Costiera dei Cech - Festa all’alpe Bruciata sopra Cercino (9 agosto 2015).
36 ➣Alta Valtellina - Fabio, Giovanna, Stefano, Cristina, Jacopo, Elisa, Anna, Giorgio e Bill alle Presacce in val Grosina (12 agosto 2015).
37 ➣Alpi Orobie - Il coro “Eco di Gambuer” ricorda l’amico Gianpietro “Paleta” presso l’omonima gastronomia in val Belviso (26.06.2015).
38 ➣Valmalenco - Luca, Maicol e Romina: tre piccoli camosci alla Bignami (12 luglio 2015).
39 ➣Francia - Michele e Moreno lungo l’Avenue Verte da Forges-les-Eaux a Dieppe (14 agosto 2015).
40 ➣Veneto - Il piccolo Nicolas in vacanza a Caorle (1 luglio 2015).
41 ➣Engadina - Gli amici di Lanzada e quelli di Chiavenna si ritrovano a Saint Moritz (13 aprile 2014).
42 ➣Toscana - Ida, Angela e Laura presso l’agriturismo “La contea degli angeli” a Castell’Azzara (16 agosto 2015).
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43 ➣Engadina - L’AVIS di Lanzada a Saint Moritz dopo la visita all’alp Grum e al “Giardino dei ghiacciai” di Cavaglia (19 luglio 2015).
44 ➣Val Fontana - La piccola Aurora, mamma Michela, papà Rossano e Catia alla capanna Cederna (19 luglio 2015).
45 ➣Alpi Orobie - Notturna presso il rifugio Alpe Corte di Valcanale con i ragazzi del CAI Nembro (31 luglio 2015).
46 ➣Val Grosina - Martina, Simone, Federica, Cristian, Elisa in val d’Avedo (agosto 2015).
47 ➣Valmalenco - I mat di Barch con l’’introvabile numero 1 della rivista (19 luglio 2015).
48 ➣Val Formazza - Il gruppo escursionistico barzaghese “Mai sècch” in vetta al Blinnenhorn (19 luglio 2015).
49 ➣Tenerife - Marco, Doris, Chiara e Nicolò sul Teide (31 luglio 2015).
50 ➣Caspoggio - “Giragustando” ha offerto anche una succulenta scorpacciata di LMD ai vari gusti! (25 luglio 2015).
51 ➣Grigna Settentrionale - Lucia, Stefania, Attilio ed Elio si godono la meritata sosta presso il rifugio Brioschi (12 luglio 2015).
52 ➣Alta Valtellina - Il CAI Valmalenco in sella all’Ortles (5 luglio 2015).
53 ➣Trentino - Anselmo, Graziella, Katiuscia e il piccolo Tommaso al rifugio Demetz (22 agosto 2015).
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54 ➣Montagna - Alessia con nonno Franco a Barca (estate 2015).
55 ➣Sondrio - Simpatizzanti de LMD pronti allo scatto (19 settembre 2015).
56 ➣Rwanda - Erik e Katia con i piccoli dell’orfanotrofio di Nyamata (17 agosto 2015).
57 ➣Spagna - Efrem, Valeria e Luciano a Barcellona (7 settembre 2015).
58 ➣Bassa Valtellina - Alberto e Luca all’oratorio dei Sette Fratelli (9 agosto 2015).
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59 ➣Alta Valtellina - Gli amici di Ernesto Villa, maestro di montagne, lo ricordano con affetto sul monte Scorluzzo (26 luglio 2015).
60 ➣Alta Valtellina - Aurora, Michela, Rossano e nonno Paolo in val Viola (25 luglio 2015).
61 ➣Valmalenco - Valentina e don Stefano in alta val Sissone al cospetto del ghiacciaio del Disgrazia (15 luglio 2015).
62 ➣Alpi Orobie - Paolo, Gigi, Alberto, Beppe, Jenny, Luca e Nicole alla diga Venina (8 agosto 2015).
63 ➣Minorca - Elena e Ezio Bricalli al “Far de Cavalleria” (23 luglio 2015).
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soluzioni del n.34
vinti
Dente di Coca
(2925)
Fontaniva
Berniga
Il taroccone
concorsi del n.35
Ma ch’el?
Giochi
Le tre contrade eliminate sono: Bruga, Berniga e Fontaniva (detta impropriamente Arigna). La vetta spostata è
il Dente di Coca (m 2925).
I vincitori sono:
1. Stefano Vanotti di Lanzada
2. Antonietta Parolo di Torre di Santa Maria
Hanno indovinato anche Sylvia Wright e Mirco, ma
rispondendo in anticipo.
Tra gli altri nessuno ha fatto centro, così tra quelli che ne
hanno riconosciute 3 su 4 sono stati estratti per il premio
di consolazione: Paola Pedranzini, Giampiero Abordi e
Diego Menghi.
oggetto conservato da Valtellina Antichità Restauri di Gianola Nino e C.
Vincitori e
Bruga
Una calzatura in legno con uncino a cosa mai può servire?
Dai la tua risposta dalle ore 21:00 del 3 gennaio 2016.
Ai due più veloci a indovinare la Befana regalerà un pile tecnico della Mello's
(vedi pag. 84).
Tra tutti gli altri che avranno indovinato entro le ore 22 dello stesso giorno
verranno estratti 3 fortunati a cui andranno la berretta LMD e 1 copia di Alpi
Selvagge.
Scrivete le vostre risposte esclusivamente sulla pagina dedicata accessibile da
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/
originale
taroccata
In gh’el?
I cugnùset?
A Natale
siamo più buoni e il gioco lo
facciamo facile facile. Qual’è la chiesa
incorniciata tra le foglie di vite?
Dai la tua risposta dalle ore 21:00 del
4 gennaio 2016. Ai due più veloci a indovinare la Befana regalerà un pile tecnico
della Mello’s (vedi pag. 84).
Tra tutti quelli che avranno indovinato
entro le ore 22 verranno estratti altri 3
fortunati a cui andranno la berretta LMD
e 1 copia di Alpi Selvagge.
Nella prima foto è il rifugio dedicato al poeta della
Valchiavenna Giovanni Bertacchi, ubicato vicino al lago
d’Emet. Nella seconda è l’ex capanna Guicciardi, visibile
appena sopra la diga di Scais, accanto al sentiero che porta
al rifugio Mambretti. Inaugurata nel 1898 è stato presto
dismessa diventando la casa privata dell’ing. Messa.
I vincitori sono:
1. Alan Muscetti di Sondalo
2. Ivan Andreoli di Teglio
Hanno inoltre indovinato: Sergio Proh, Antonietta
Parolo, Simone Civati, Thomas Martinoli, Angela
Vanotti, Stefano, Paul Testini, Simone Nonini, Debora
Contrio, Paola, Alessandro Seregni, Luca Gottiffredi,
Patrizia Arrigoni, Patrizia Oregioni, Daniela Bellati,
Paola Civati, Enzo Andreoli, Marina Berti, Mario Civati,
Alessandra Cavada, Livia Maria Barbetti e Cristina
Cristofaletti.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Scrivete le vostre risposte esclusivamente
sulla pagina dedicata accessibile da
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi/
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Giochi
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LE RICETTE
DELLA NONNA
Rubriche
Il sapone fatto in casa
testi Beno, ricetta famiglia Silvio Barri
Le saponette preparate secondo questa procedura hanno un delicato profumo di limone (foto Beno).
F
ino a non molti anni fa prodursi
il sapone in casa era una pratica
comune a molte famiglie, mentre
oggi si preferisce rivolgersi all’industria lasciando così cadere nel dimenticatoio un sapere tradizionale.
A Cedrasco la famiglia di Silvio
Barri, che sulla fornitura di articoli di
pulizia e igiene ha costruito la propria
attività, il sapone per l’uso personale
lo prepara ancora in casa seguendo
la ricetta imparata da una signora
di Grosio. Tale procedura consente
di ottenere le saponette a freddo
partendo dal sego di maiale, cioè il
grasso lavorato a caldo.
Chi le ha provate può confermare
come queste saponette sgrassino efficacemente e inoltre non secchino la
pelle.
Inoltre ci si può sbizzarrire a creare
forme e sagome tali da rendere affascinante anche questo semplice
prodotto igienico.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI Inverno 2015
LE MONTAGNE DIVERTENTI INGREDIENTI E MATERIALE PER
8-10 SAPONETTE
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una pentola “da battaglia”
mestolo
colino e spremiagrumi
formine (anche quelle di silicone per dolci vanno bene,
altrimenti le si può ottenere
tagliando i cartoni del latte)
2 recipenti di silicone o di
plastica resistenti alla soda da
almeno 10 litri (no metallo)
guanti di gomma
grembiule impermeabile
occhiali antispruzzo
200 g di soda caustica in scaglie
(la confezione da 1 kg costa
4-5 € e la si trova nei negozi di
casalinghi)
1 limone
1,5 l di acqua
1 kg di sego (lo si ottiene da
circa 1,5 kg di grasso di maiale,
acquistabile dal macellaio)
FASE 1: PREPARARE IL SEGO
Il sego di maiale è alla base della
produzione del sapone secondo
questa ricetta.
Messo il grasso di maiale (macinato
o tagliato a dadi) in una pentola, la
si pone sopra al fuoco (media intensità). La cottura produce odore sgradevole, per cui sarebbe meglio avere
un fornello/stufa all’esterno.
Si porta all’ebollizione mescolando
continuamente e si attende che il
liquido e le parti solide assumano un
colore dorato (ci vuole almeno 1 ora e
mezza dall’inizio del bollore).
Con un colino o una schiumarola
si separa la parte liquida da quella
solida: i ciccioli sono ottimi se messi
nella polenta, mentre se lasciati
nel sego (occorre frullarli) portano
il sapone ad assumere una tinta
marrone e un odore che qualcuno
potrebbe trovare poco gradevole.
Si pone il liquido in un recipiente
Giochi
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ALPI SELVAGGE
Rubriche
piuttosto grande e si lascia solidificare
il sego che diverrà di un bel bianco
candido. Da 1,5 kg di grasso si ricava
approssimativamente 1 kg di sego.
FASE 2: DAL SEGO AL SAPONE
Il processo implica l’uso di soda
caustica, ovvero di idrossido di
sodio (NaOH), una sostanza alcalina
molto reattiva che trasforma in sale
sodico e glicerina i grassi. Va maneggiata con cautela, allontanando i
bambini e indossando occhialini
antischizzo per proteggere gli occhi,
guanti di gomma, un grembiule di
plastica per non rovinare i vestiti e un
foulard per riparare il naso e la bocca
dal vapore che si produce quando
la soda viene a contatto con l’acqua
innescando una reazione fortemente
esotermica e generando una soluzione estremamente corrosiva.
Una volta che ci si è adeguatamente vestiti con tutte le protezioni,
si versa 1,5 l di acqua nel recipiente
contenente il sego e si aggiunge la
soda caustica (non fare il viceversa
per evitare schizzi pericolosi). Si attiverà così la reazione chimica.
Si mescola la soluzione di soda
al sego utilizzando un cucchiaio di
legno (ci vogliono circa 40 minuti)
o un agitatore meccanico (più veloce
ma è facile che schizzi in giro) fino
ad ottenere un composto denso e
filante al punto che il liquido che
cola dal cucchiaio sia in grado di
disegnare trame sulla superficie di
quello nel recipiente.
Ora si aggiunge il succo di un
limone e dopo aver brevemente
mescolato si versa il composto nelle
formine o nei contenitori, stando
attenti a non lasciarlo raffreddare
troppo (è perciò bene compiere
il procedimento in un ambiente
caldo), se no si divide e la saponificazione fallisce.
Dopo 10 ore il sapone solidifica
completamente e può essere tolto
dai recipienti (utilizzare ancora i
guanti) e eventualmente tagliato in
pezzi più piccoli.
Le saponette sono fatte, ma per
poterle utilizzare bisogna lasciarle
riposare 40 giorni in un luogo
asciutto affinché la soda caustica si
neutralizzi completamente.
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LE MONTAGNE DIVERTENTI le montagne e i loro animali
Posto il grasso del maiale in una pentola lo si fa cuocere per circa 1 ora e mezza finché si forma
un liquido dal colore dorato (foto Barri).
Le Alpi: vette maestose e paesaggi d’alta quota dove la natura e l’alpinismo
si incontrano.
Nato da un’idea di Roberto Moiola e Jacopo Rigotti, con le foto sorprendenti
del team ClickAlps e i testi brillanti di Beno e della naturalista Alessandra
Morgillo, questo volume presenta le 24 cime più importanti dell’arco alpino
e l’animale simbolo associato ad ognuna di esse.
Con un colino si separa la parte solida (i ciccioli) da quella liquida, che viene versata in un
recipiente di plastica o silicone resistente alla soda caustica e al calore (foto Barri).
3 diverse copertine
solo 20€
nei migliori punti vendita
e su shop.clickalps.com
Si scioglie il sego in acqua e soda, mescolando il composto fino a raggiungere la giusta
consistenza. Quindi si versa il tutto in formine per sagomare le saponette (foto Beno).
Inverno 2015
con le foto di Roberto Moiola, Jacopo Rigotti, Beno, Vittorio Vaninetti, Giacomo Meneghello,
Roberto Ganassa, Francesco Vaninetti, Alberto Locatelli, Fabio Vivalda, Maurizio Lancini,
Walter Dell’Armellina, Marco Bottigelli, Stefano Caldera, Paolo Bolla, Francesco Sisti, Luca Gino e Giordano Bertocchi
Non c’è felicità
se quello che hai ottenuto
non è frutto
di desiderio e fatica
Alessandro Gogna (scrittore e alpinista)
LE MONTAGNE DIVERTENTI 141