"Elf" di Maia Barbiero - IC Valle dei Laghi-Dro
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"Elf" di Maia Barbiero - IC Valle dei Laghi-Dro
ELF L’anziano Harrison odiava tutti. In paese veniva chiamato, anche se non alla portata del suo orecchio, “Undici”. Questo soprannome derivava dal fatto che lui, odiando la gente, trovava che fosse insopportabile il fatto di veder riunite così tante persone che ridevano insieme a Natale. Ora uno dei simboli di questa festività è l’elfo, l’aiutante fantastico di “Babbo Natale”. “Elf”, in tedesco, significa “undici”, ed ecco spiegato il motivo di tale soprannome. Nessuno sapeva che lui era a conoscenza di questo nomignolo, ma Harrison non era uno stupido, al contrario di ciò che la gente diceva sul suo conto. Quell’anno l’inverno era sopraggiunto tardi, ma Harrison era contento: mancava una settimana a Natale, non era ancora caduto un solo fiocco di neve e le previsioni metereologiche prevedevano sole fino a tre settimane dopo. Se non c’era neve, non poteva esserci il Natale. Harrison si sfregò le mani contento. Ma dovette mangiarsi il fegato: era accaduto un miracolo… Durante la notte tra il 23 e il 24 dicembre, era caduta talmente tanta neve che i cumuli ammonticchiati intorno alle strade dagli spazzaneve superavano i tre metri. Harrison uscì di casa infagottato in una miriade di strati di vestiario posti uno sopra l’altro, come una gigantesca cipolla. La lunga sciarpa che aveva annodato al collo gli copriva la visuale, così non vide la pozzanghera ghiacciata, ci posò sopra il piede destro, scivolò, cadde addosso a una signora che portava un pesante pacco in mano. Quando Harrison riaprì gli occhi dopo la spettacolare caduta, si ritrovò un trenino di legno a due centimetri dall’occhio, e la signora che aveva investito pericolosamente vicina alle sue labbra. Quest’ultima si alzò di scatto, lo gelò con lo sguardo, e gli sibilò contro. “Sa, Undici, forse dovrebbe farsi regalare per Natale un paio di occhiali nuovi e un paio di mentine. Cielo, quand’è stata l’ultima volta che si è lavato i denti? Il secolo scorso?” Raccattò dal naso di uno stupefatto Harrison il trenino in legno, e si avviò impettita verso la piazza. Quest’ultimo rimase immobile un paio di minuti, troppo stupito e imbarazzato per muoversi. Finalmente si rimise in piedi, e pensò: “Maledetta signora, maledetto ghiaccio, maledetta vecchiaia e stra-maledetto Natale!” Detto questo, furibondo, se ne tornò a casa. Giunto a destinazione, aprì in modo stizzito la porta, e la richiuse con tanta forza da rompere i pannelli di vetro all’ingresso. Quando si voltò verso il tavolo, sentì arrivare un attutito urletto di gioia. Lui era sia curioso che spaventato. Cos’era quel rumore? Spalancò la porta della camera da letto, e quasi svenne dalla paura. C’era un ragazzo sul suo letto, vestito di bianco, e aveva tra le braccia una bambina nera come una tazza di cioccolata calda fondente. Avrà avuto sì e no sei mesi. Il giovane osservava Harrison, a cui tremarono le ginocchia. Gli disse: “Dio è grande. Dio perdona. Lascialo entrare nel tuo cuore”. E sparì. Ma la bambina rimase. Lo guardava con immensi occhi nero ebano, grandi come quelli di un cerbiatto, e sorrideva. Harrison le disse in modo dolce, per non spaventarla: “Ciao, piccolina. Come ti chiami?” Lei lo guardò con occhioni innocenti, e il sorriso divenne così grande da mettere in mostra le gengive sdentate. “Che ne dici di Astra?” Il sorriso della bambina si spense. “Mm... Molly?” Sembrava quasi arrabbiata, ora. Harrison tentò l’ultima spiaggia. “Jenny?” I suoi occhi brillarono, e la sua bocca perse il broncio. Lui scoppiò a ridere, e disse: “Ѐ il meno peggio, vero?” La bambina rise contenta. “Cosa facevi lì con quel signore?” Jenny lo guardò enigmatico. “Ti riporto da mamma e papà, va bene? Stai tranquilla, è tutto a posto.” Lei rimase come di stucco, poi scosse appena la testa. “Patafe cot tu”. Harrison la squadrò. “Come prego?” Ripeté: “Patafe cot tu”. “Patate col tofu?” “O!” rispose la bambina. “Passare con te?” “Oooo.” ripeté la piccola. “Natale con te?” Jenny batté le mani. “D’accordo, cucciola, ma…” Non se la sentiva di rivelare alla piccola che lui non sapeva nemmeno come festeggiarlo, il Natale, ma non poteva rifiutare una cosa così piccola a una creaturina così dolce. Allora sospirò, prese in braccio Jenny, non senza difficoltà, a causa della schiena. Uscirono insieme, nella strada, inseguendo un fiocco di neve particolarmente grosso che aveva attratto la piccola. Questo si depositò sullo zerbino di un negozio natalizio, e tutti gli abitanti guardarono straniti il vecchio Harrison con una bambina in braccio entrare nel negozio con gioia e spensieratezza. Quando lui e la bambina uscirono, erano carichi di palline colorate. Molta gente gli pose delle domande, e lui rispose cordialmente, ma quando una signora esclamò “Ma tra tutte le bambine che potevi sceglierti, proprio una nera dovevi prenderti? Guarda che quando crescerà, ti ruberà in casa e poi non si farà vedere mai più”; lui rispose: “Il mondo è piccolo, mia cara signora, e prima o poi Lei avrà a che fare con questa popolazione di diverso colore; ma secondo Lei, se ora Le sporco il viso di fuliggine, Lei sarà inferiore a chi è ancora bianco?” La signora abbassò lo sguardo, imbarazzata e paonazza, e se ne andò. Il vecchio Harrison, a casa, addobbò l’entrata, sotto lo sguardo supervisore di Jenny, che dopo la risposta che aveva dato Harrison a quella signora impertinente, era felice come non mai. Era la sera del 24 dicembre, e Jenny ebbe il permesso di rimanere alzata fino a tardi. Quando venne spedita a letto, lei non protestò, anzi, tutta contenta gli diede una sbavatina sulla guancia che Harrison prese per un bacio. Erano ormai le due passate, e lui decise di andare a dormire. Andò in camera, e si sdraiò sul letto, cullato dal dolce e tranquillo respiro di Jenny. Che, però, ad un tratto si spense. Harrison si destò di colpo, e rimase impietrito nel constatare che una giovane vita si era appena spenta nel mondo. Pianse, gridò, cercò di rianimare la piccola, ma senza risultato. Aveva il cuore a pezzi. Allora invocò Dio, gli chiese aiuto. E una luce sfolgorante ed immensa gli apparve dinanzi, e il ragazzo che gli aveva affidato la piccola Jenny apparve. Harrison gli gridò contro tutta la sua frustrazione: “Perché il tuo Signore ha permesso ciò? Ridammela! Riportamela indietro! Ti prego!” cadde in ginocchio, scosso dai singulti, ma il ragazzo, calmo, rispose: “Ora il tuo compito è terminato.” Harrison lo guardò, stupito. “Ora hai capito il vero Spirito del Natale.” Continuò lui. “Natale è condivisione, e tu hai dato un pezzo del tuo grande cuore a Jenny. Natale è generosità, e tu l’hai accolta a braccia aperte. Natale è perdonare: la signora che ti ha offeso, tu l’hai perdonata. Ora puoi venire a casa del Signore. Perché il tuo cuore è grande, e questa ultima sfida ne era la prova.” E sparì nel cielo, portandosi dietro Harrison e Jenny, che sono ancora insieme tutt’oggi, a giocare nei prati immensi della casa di Dio. La ragazza che trovò i loro corpi, li vide abbracciati, con un lieve sorriso sulle labbra, con l’aria di essere le persone più fortunate del mondo, perché hanno vissuto il Natale più bello di sempre, per poi affrontare la morte, con serenità, poiché essa non è una fine, bensì un inizio.