Untitled - Hypocrite

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Untitled - Hypocrite
AMAMI AL FREDDO
Mattia Gennari
Edizioni Hypocrite.
Copertina di Anna Monguzzi
Prefazione dell’Autore
Deve essere una raccolta sul tema amoroso. Non
per una qualche particolare supremazia
quantitativa nell’ambito giornaliero o mensile o
economico ma per due semplici ragioni: il credere
istintivo e selvaggio che tutto l’universo ne
ubbidisca alla legge e in secondo luogo che è per
l’Autore (per+accusativo? Secondo l’autore? Per
quanto riguarda lui?) il punto di osservazione
agevole e privilegiato sull’Universo stesso.
L’ Io, come le gradinate di uno stadio butta nella
mischia e abbraccia.
La costruzione segue difatti la dinamica prima di
questo processo e più in generale dell’uomo
secondo tre colonne a sostegno del resto-tenda.
Nel cuore dunque, come un cuore, il Tu che non
appartiene e che spintona, istintivo e selvaggio .
Il tutto è anche per questo Tu che sorride.
Si ton oeil, ton souris, ton pied, m'ouvrent la porte
D'un Infini que j'aime et n'ai jamais connu ?
L’ io che diventa d-io cioè "d'io" come "racconto
dell'io che diventa io o si pone le giuste domande
per farlo" e "Dio" nel senso di "teso a Lui".
Ci sono delle catastrofi, delle coreografie, delle
frecce e delle mitologie.
Si deve quindi partire dal presupposto che qualcosa
di questo genere, come una calda colla che
amalgama le cose tra loro, immaginiamo così
questo pezzetto di cuore ispezionato a misura.
Ma una poesia senza movimento non è, e dunque
cerchiamo di seguire questi, che sono più degli
zoom usando tecnicismi , degli affondi, spaziali e
temporali di quando la colla ferma il minuto e
agisce tra i lati dei suoi oggetti in azione, che sia
questo, come il freddo che si schiude, come un
canto della Callas che inizia.
Indice
0.0
IO CONTRO E TU NO
Seduto su una poltroncina di pelle di un bagno
pubblico nera
Non riesco a distendere del tutto le
braccia, questo mi desta in attenzione
Tu in quello delle donne ti sciacqui il viso
E
In quelle due gocce sullo specchio ti riassumo
Dolce e impacciata
come un dolce con la crema.
Nel tuo campo visivo vedo il
Tutto-me sopra a gradini
Grato dei tuoi Gloria serali
Ringrazio a modo mio
Dio, che dici ci hai messo
Cinque anni e l’America
E io? No
Ma ti seguo
Ti seguo
Perché non ho una fune mia
Ma ti guardo
Ti guardo
Perché non ho sentiero mio
Ma
Tu viatrice in bellezza
Beatrice viatrice in bellezza
Mi hai compreso
E non parlo di baci- o che mi hai teso
trappole- o agrodolci autrici
Io parlo che sto in seconda fila
E tu ti sei girata e mi tiri avanti!
Dalla fila più avanti volgi i tuoi occhi enormi e
Mi trascini come un bambino
Come se tu fossi qui a condurmi
Come se dovessi guidarmi
Mentre passerei ore solo a respirarti
Con me contro di me.
1.1.1
Per chi si è smarrito
A due passi da casa,
me.
Fratello
Sole
Neo energico
Rosea iride divina
Veglia su lei
Ora e sempre
Che costruisce case
E asfalta le strade
Per me
Amen.
1.1.2
AFFANNO
Mi spaventa il mondo
dove non si guarda
da nessuna parte
dove
soffoco
dall’assenza
dell’essenziale.
E io che mi sento in debito
mi traduco in un
“Affanno”
del non essere abbastanza.
Vedo a volte dei miraggi
forse
è penombra.
Come foglietti di poesie russe
a scaldare il fuoco ai pescatori
e poi andarcene senza viaggio.
1.2.1
SUL ME-COREOGRAFIA DI UN’OMBRA
Perdonami se sono in penombra
Se “prudente, cauto, meticoloso”
Posso solo ingrossare lo spettacolo
Della tua vita
Fare numero nel corteo.
Se devo esaurirmi in sentenze, così
Inutili che neanche le dico.
Tu canterai per me?
Io così ridicolo?
E tu che meriti il sole.
Io comparsa di teatro,
capace a sbrodolarsi con delle prugne
con le camicie sporche di tonno e le mani
sudate
senza sapere guidare e contare
e nemmeno però guardare o sapere
che cosa chiedere.
Tu canti per me e io?
Indegno
Inadatto
Inerme.
1.2.2
ANNIBALI E FIORI
Il valore di una donna sta nella sua
pelle
Al punto tale da doverla toccare
Le nuvole stanno sospese nel cielo
E le montagne non dan’ sospetto di
crollare
Le mie gambe e quelle di tutti non dan
segno di cedere
Ma io –
Fare in modo che i miei occhi dicessero
Gioia e non noia
Fare in modo che l’erba dicesse fiori
-I tulipani lungo i binari
Come se solo loro potessero
occupare quello spazio
Ma io combatto coi nemici interni
Che non danno segno di spogliarsi
raffinati cannibali
Travestiti da paure.
1.3.1
SE FOSSI POETA
Sei comparsa in un’alba
Come una fossetta nel sorriso dei cieli
Io potevo fare al massimo
Il prezzemolo tra i denti.
Un giorno che piove
Che “Mi credevo salvato” vieni a ricordarmi
Che ogni giorno devi ritornare
Che devo riprenderci.
Intanto parlami tantissimo così
Tessiamo i nostri segni
Onomatopeici
Per comunicare quando saremo
Nel buio cosmico:
Mi hai detto che c’è linea.
1.3.2
IL VERO
Veronica io non mi nutrirò di te,
no non mi nutrirò di te
non ti conosco e magari tu si
ti temo.
Sarò morto per miracolo quando ti rivedrò, e
sarà così tardi che ho già fatto schifo.
In un attimo di fede, la voce: è Gloria.
2.1.1
IL NULLA
Nella voglia di vuoto
Mi perdo
Nella rincorsa atea
Di una dissolvenza di me
Bramo, cattivo, il nulla
Che dirò
Quando potrò
Più brevemente:
Nero come gli occhi del mondo.
Piove sulle mie ciglia.
2.1.2
STAGINOI
Ma se mi metto a pensare a quello che farei
Impazzirei
Fermerei il traffico probabilmente
Farei venire la sera
Bloccherei lo scadere dei calendari
Accelererei novembre per vedere la neve che
si sdraia sulle ciglia
E poi rincorrerei la primavera per confonderti
nei prati e nei pop corn
Con l’autunno forse sceglierei che
i tuoi capelli
rossi
come
Alcune
vecchie
industrie lungo lafferrovia
Se pensassi a quali carte giocherei
Se fossi qui sdraiata a fianco a mare
Un bel bolero
Improvviserei
Radunerei tutte le paranoie ed i timori
E li grattugerei per farti vedere che li
distruggiamo insiéme
E chiamarei a raccolta tutti i tuoi amici fascisti
E li manderei dall’altra parte del mondo così
starebbero a testa in giù
E per l’estate infine sceglierei
Che le tue dita come raggi
Migrino sulla mia barba incolta
E loro che san tutto vengano a curare
Tutti gli angoli di me che stanno
Anco-ra
male
2.2.1
MILANO-MURALES
Conoscete una ragazza di milano
La cui faccia celebra il crollo di Berlino
Ogni volta che ride
È una gioia a murales
Pensatevi nudi sotto coperte rosse
Con lo smalto rovinato come icone russe
Che sguilla via come una biglia
E le sussurri all’orecchio che sei felice.
2.2.2
PIERRE
Come dicevamo la sera in cui Pierre piangeva
In uno di quei pomeriggi dove sul tram due
giovani leggono e lei ha la testa sulla sua spalla
e lei ha i capelli corti tagliati da se mentre lui
ha i capelli lunghi e raccolti e la barba incolta.
Uno di quei pomeriggi con la gonna lunga , con
un cane dalle fauci piene dibontá dove la
nonna ti tiene il braccio per andare a salutare
suo marito e stringe sulle strisce pedonali e
pensi all'erasmus e a quali felpe si stringerà.
Quei pomeriggi dove il mendicante con gli
occhi storti decide di smettere di suonare da
quando quello che gli diede 10 euro e gli disse
"suona" e adesso l'ha rivisto e come se la notte
avesse detto al sole "illumina" al suo ritorno
poi mai più. In quei pomeriggi da proteggimi
dal cielo e dalla folla dai colloqui da lavoro del
mercato del lavoro dal liberismo da welfare
dalla cassintegrazione dagli stage e dalle
vacanze . Proteggimi in questi pomeriggi dove
il bene è di più perché mi capisci e sai che cosa
intendo.
2.3.1
CANZONE NOTTURNA
Conoscere a tratti la notte
Come i ladri o i delusi
Tu che risollevi i bui
E poi ti abbatti per i cazzi miei.
Ma l’amore non è un elenco
E i nostri sguardi sono
per uno stessa taglio
A volte, tranne a pranzo
Non chiuderò nessuna finestra
Baratro o alba
Come quando non si dorme
Per non morire.
Era come se cadendo avessi
Solo la luce a cui aggrapparmi
Con le mie mani
Forse tu avevi avuto la luce e,
e io l’acqua
o il buio, m-ma no.
E nel tuo abbraccio
Nel muso avessi
Pace, non ozio borgheese,
come se l’acqua fosse roccia
D’UN TRATTO e la luce forse un
Tu-o-no
Dolce.
2.3.2
CI-N
Quei momenti
In cui i nostri occhi luccicanti
Sono vicini come bicchieri
Che brindano.
Sono il desiderio
E la sua formulazione.
3.1
MARE-FIDUCIA
Se per caso
Diventassi d’un tratto
Quel muro invisibile
Dove il mare sbatte
E poi ritorna.
Di fiducia:
Abbattimi
E prendi i miei cotti
Nel blu del fondale-tu.
3.2
TU CHE SAI TUTTO DI CALCIOMERCATO
Gli schizzi sullo specchio
Assorbo come una spugna di quelle che ti
struccano
Le briciole sotto i piedi ciliegia
Ti aspiro via e ti smacchio anche l’amaranto
dell’ unghie, scarteggiato
Le sigarette umide una via l’altra
Te le rompo perché ti voglio per sempre senza
incenso
Che già sei divina così
E a volte sai di vino , e ti salto sopra il pancino
Ciap.
Mi canti Dante quando bestemmio,
Continui a rubarmi gli amici,
Sebbene tieni gli orecchini di misure diverse
Perché hai un orecchio tagliato
Sebbene solo alzi le spalle a livello del mento
Mi fai sudare
Coi tuoi polpaccetti sul parabrezza
E la tua nausea da viaggio
Mi drogo
Sei tu che sai -divina- tutto di calciomercato
per farmi piacere
E sei così grande che sto in gravitazione
Come un satellite sospeso
Che però ti sta attaccato perché di
allineamenti non ne vogliamo
Già le lenzuola sono la nostra radiazione
cosmica di fondo
Il letto è cosmonave
Il comò invece un mare da anni luce,
e i nostri piedi nudi, asciutti sembrano i dischi
di Saturno
e tu
Sembri una metafora, che ridere.
3.3
SAINT-VICTORIE
Anche quando piove
Forse soprattutto quando piove
Che i capelli ricci lisciati si sgretolano lungo la
faccia e colano a chiazze sulle tempie. Le
guance sono tovaglie e ci rovesci i tuoi caffe.
Ti blocchi sempre davanti alle metro e guardi
in alto per cercare nella borsa
Ma “l’amore non lo canto, è un canto di per
sé”
Non mi piaci mai di meno, sei tipo il cioccolato
E se piove sei sciolta e ti voglio al tavolo
“Bla bla bla” “bla bla”
Poi quiete dopo la tempesta i capelli ritornano
e insorgono
Il trucco rincorre i nei
Mia piccola Saint-Victoire, non smetterò mai di
dirti.
3.0
Affidassi questo punto
Alla foglia caduta, che bisbigliando lo faccia
passare
Di foglia in foglia fino a giungere a apici
O a brezze estive che bacino le gote dei vicini
degli estranei
O ai raggi invernali che penetrano nella neve
O ai treni
O lo depositassi in uno spazio virtuale
Ma nell’ordine speciale delle cose
Al punto più alto il punto più alto
E quella cima sei tu,
con tutta la rabbia dello sbagliare
con tutto il dolore di un Altro
mancare.
3.4
MARSIGLIA-LEGGINS
Quando indossi Mon Matre
Come una collana
Mi fai gioire come chi
Si commissiona un bacio
O un fischio, un sì.
Le foto di famiglia saranno già bruciate
Da tempo
Gli amici hanno i loro confini.
Odio tanto.
Ma signorina Marsiglia-leggins
Fammi ballare sui tuoi pianti.
3.5
PRIMAVERA
Sono passato davanti ai ciliegi
A marzo ricordano le tue braccia
Mi hanno sdraiato:
Somigliano i capelli
Ho pianto, che importa,
importa cadere, per una volta
non prima-di-tutti
sguillare fra le risa, come un dente rotto
l’in-perfezione.
3.6
DISSE “Non io”
Tu che sai porti dal punto di vista
Che vorrei io
Tu che sai porti nello stesso straordinario
Sguardo di Dio.
Resta con me.
Tu che sai vedermi bene: creatura
non agonista cattivo per la strada
che del “me”, sola, non chiedi l’abiura:
il capitalismo mi degrada.
Resta con me.
Sdraiata per terra mi sembri un sorriso
E non è il mio
Non solo il mio.
4.1.1
DONNA
Ascolto
I polpastrelli del sempre
Premere alle mie porte.
4.1.2
LEGGè|éRE
Leggere le frasi i sintagmi dei tuoi sorrisi
Con la costanza
Dei ritardi:
Sgretolerei paure
Che neanche so
4.2.1
DISCREZIONE DEL SOTTOVOCE
La tempesta cercata
E calmata con il tocco del palmo
Sulla spalla di sasso, e la luna contro
Leggevo le lettere di pavese
Diceva che aveva bisogno
Capisco il sospiro rincorso
La discrezione del sottovoce
A tagliare.
4.2.2
KATE MOSS-O
Ritmo Kate-Moss-o
Voglio fare con te quello che Lenin fa con
ottobre
Voglio fare Kate Moss un pomeriggio insieme
Cazzo
Kate Moss sulla spiaggia
Abbracciata a un cappello
le tette piccolissime ci sta un supermercato
I denti uno schifo
da ciminiere
Le lentiggini come un popolo di bandiere
Le sigarette a banda larga
Il corpo una merda
Lo Spirito - Santo
I sandali allacciati, magari a x le strappo.
Caleidoscopio,
il mondo tutto
- in noi.
4.3.1
COMANDAMENTO
Devi promettere
A questo corpo debole come flanella
Devi promettergli più, animella
Degli dei antichi e nuovi, non la bevo
Delle leggende del medioevo
Dei sacramenti e di religioni
Di comandamenti e leggi e copioni
Devi dirmi che resterai doveti posì
Che continuerai a svegliarti così
Con tutti i capelli sul viso sudato
Come la sabbia sul pallone bagnato
Devi restare vicino al cuscino
Chiedermi Cinquantacinque baci, ogni mattino
voglio che chiedi ogni volta
“ancora”, a ogni gesto
Che è sempre sbandato.
Voglio che tifi il mio corpo smussato
Voglio che scegli me tra la ressa
Voglio perché sei mia terra promessa.
4.3.2
PICCOLI PARTY-TI FIORISCONO
Non ho ancora capito come ci poniamo
di fronte alla retorica delle piccole cose
che le mele te le compro tutte e ti faccio gli
orecchini e ti tolgo il fiato
ma non il sorriso o un sacco di parole in iato:
fiatone sguaiato, baciatore biatomico,
mediatore bruciato
che così cadi e ti raccolgo perché con le mele,
faccio (già)
i test della gravità (con te)
come se la mia schiena fosse una stella
cadente (lì)
ma faccio il cameriere, in realtà, (sai)
Come ci poniamo di fronte alle grandi
domande
Dimmelo perché ho perso tutti i cd che
ereditavo dai tuoi ex
Parlo di noi e è già qualcosa (di più)
Che se fossi solo “io” a darti (del “tu”)
Ma senza i segni d’interpunzioni millenari
-Che poi quando porto i piatti
Me li fanno dimenticareMa quando mi metti il Voltaren e digrigni i
denti
La stella è sdraiata e vuole volare
E i sorrisi come fossi eterna, quando ti tagli le
mele e con una mano accarezzi le perle
Dimmi come ci schieriamo nella retorica delle
piccole cose, con che accento cantare Gaber.
5.1.1
ASCIUGAMANI
Coi ricci bagnati e gl_asciugamani per terra
Eravamo sporchissimi
Ma nell’orecchio tu
Mi dicevi che volevi la pace
Adesso
Che non volevi le malattie perenni
Che avresti voluto tagliarmi i capelli per anni
Che avresti voluto farmi la pasta
E chiedermi tutte le volte il timer
Che avresti voluto guardare la tele
Coi cereali e la tazza di latte,
che odio.
Che poi magari chissà se succede
Sebbene mi sfregoli sull’asfalto
E non fa male non cadere sul piede
Restando col collo bello alto
Si deve ascoltare l’odore del caldo
Toccare con mano
Quello che dice
Se vuoi risalire di nuovo alla foce
Io ascolto di te la mia unica voce.
5.1.2
UNIVERSO LAGO
Cosa racconteremo dei mellow yellow
Dei “Cogliti” interrotti
Degli sguardi che mi scavalcavano sempre
Delle rincorse immobili
Delle detrazioni fiscali
Degli extracomunitari che ci spiegano prima
degli esami le loro preghiere
Della televisione che tanto mente sempre
Delle ricostruzioni come fossimo davvero
capaci
Come fossimo i miei amici
Delle braccia che non avremo mai
Del neanche a pagarci
Dei denti con più kilometri che le macchine
usate
Che la patente non la farò mai
Ma ci saliremo sporchi di patatine e birra verso
qualche lago del Nord
Che ci puliamo e poi facciamo l’amore come
sacchetti della spesa nei video degli uragani.
Trovami un’antenna dove ripararci e stare
calmi
Dato che le diramazioni dei nostri sogni stanno
trovando
Un senso unico.
Che le dimostrazioni dei tuoi casini sembrano
sempre così reali.
Don Gallo canta in un vicolo
Ci porta a spasso in due su una moto
L’amore sacro su un fiore di loto
L’amor profano in un letto piccolo.
5.2.1
CARVER300
Scopro di te i gesti ripetuti
Gli sguardi dove si poseranno
A quali parole rideranno
Scopro con te il valore di un amore
Eterosessuale. Cosa vuol dire che
Tu impari e segui il mio gesto che assumi a
virile
Che stiamo parlando di calcio
E vuoi sempre scoprire come fossimo noi
dentro il campo
A contenderci i passi vicini a suon di passaggi e
di goal.
Scopro che smonti iniziali miei impeti di
Atarassia e mi rendi quasi borghese
O che so artigiano
Con i dovuti distinguo.
Ma che io abbia qualcosa da dare
E tu, come sempre,
Mi taglierai i capelli
E ai colloqui di lavoro
Potró continuata a dire
Un sonoro vaffanculo.
5.2.2
CCCIGLIA
Ciglia-colibrì
Sputami parolacce violente
Panna sulla mia spalla destra
Bella
Come lo si può essere
Su questi gradini
Delle chiese “Vendesi”
E quando ai piedi hai delle scarpe
Sono pesi
Dove andrebbe tutta questa ilarità?
E l’alito cattivo / E il lavare la macchina
Sguaiare le poesie, Califano e Carver.
5.3.1
NOVELLA CON-VENZIONE
Buongiorno principessa
Egoista e naturale
Capelli princisbecco,
mio rame sopra il letto
Vieni qui
Ribelle pace
Vietnamita d’un “Ti
porterei anche in
America”, detto da me
Piccola mia
Dammi un bacio
Ebbrì, di carezze e sorrisi
Acie la tua pelle quasi
mai abbronzata
I miei
succhio
tti e la
musica
di
vecchia
data.
Dammi una foto che mi tatuo
Gratitudine
Su, su!
La nostra pace, grattarci
gravosa grazia. Grazie.
Non ti arrabbiare, dai
Infondo i perimetri dei sorrisi sono al
limite del Tangente
“Come sei bozzo”, animale, volgare
Resta vile maschio che mi dai
Spero solo tanto, Svalutazione
di Svalutazioni e “dei”
Se il caso ti ha fatto, io non
credo, mi sento creatura
Il crebro svegliarsi con te, questo aspetto.
Il mondo che ci
svampa, da dietro una
persiana
Creatori di convergenze parallele,
questo è il vostro banchetto!
Troppe
le
coincid
enze
della
traduzi
one
scenica
d’Io e
Te.
Cretino
Come è possibile?
L’Amami la faccia.
Chiagni e mi fotti.
Io, se
fossi
LO.
5.3.2
BELLEZZA SOPRA UN PG32
Bisognerebbe sempre vivere da fermi.
Come la mamma che si sveglia prima e con
orizzonte una palma aspetta le urla della
mattina. Il latte di mandorla in una tazzina, a
volte ripensa al caffè, mischia il suo latte con
caffè d’orzo.
Come gli uccelli davanti a lei, attendono il
sorgere dell’alba, d’inverno si vedono ad occhi
sbarrati, stan sull’apice come in un traffico a
semafori.
Bisognerebbe osservare da fermi con quella
posa di gratitudine e grazia verso la bellezza di
un sacchetto che vola, nel supermercato sotto
casa, sacchetto bianco biodegradabile con
dignità di anima illesa. O ancora il suono di un
verso, Montale “spippola…”, o il movimento
intorno a noi, come le mele, si muove tutto dal
desiderio, cadute.
Bisognerebbe stare così (la ruga dell’occhio
nasconde una piccola macchia marrone
accostata come tela impressionista a una più
chiara che cede al mosaico carne del vecchio)
impassibile al giungere sulla scala luminosa,
anticipando i tempi su quelle sedie bianche
reclinabili, con zaffate di grigio, che di inverno
son dentro al “gabbiotto” e sembra tutto un
western.
L’opaco del bianco ricorda l’occhio, solo la
coda potevo vedere quando seduto vicino a te
potevo solo guardarti di lato e ti accorgevi e
fingevi di no. Come cima di montagna
ch’ancora per poco sovrasta in prospettiva la
villetta a schiera color marsala, è la vittoria
quel triangolino, come bandiera.
E andiamo invece in giro.
Come sfere agitate rimbalzate e rimbalzanti, le
foglie di un turbine di fronte a un mattonato
disabitato o una ex fabbrica a griglie ambrate,
che spasmodiche danzano puttane festanti, e
le risa dei canti e i canti e il ricordo di un era di
fanti, incapaci ma tanti, una giostra con carri
trainanti, tristi di non veder nulla perché vanno
avanti.
La ricerca di queste sfere, impassibili come la
scienza, bellissima, verso campi di gravitazione,
come una donna in ascesa sociale che cerca un
borghese per procreare. Natale, Pasqua,
comunioni, bellissimo.
E che figata i musei con quel fottuto stato di
polvere sempre e comunque, specie se militare
o d’aviazione, oppure i barattoli di salse
piccanti che al quinto cucchiaio stai male e ci
cresce la muffa perché non li chiudi a dovere.
Ancora i quaderni di quando bambino, ritrovi
le scritte, stupido scemo, un sacco di tele e poi
dopo i giornali, i sogni o qualcosa non mi
decifro.
Paura di ritrovare orologi, scandivano tempi
del tutto già dati, merende e cartoni animati,
nutella e cinesi con occhi rifatti.
E soprattutto adorare le grate che ci fanno per
metà volare e per metà pensare che si può.
Le macchine vecchie decidono di fermarsi e
dire ok, ho capito anche io, la benzina costa
troppo.
Il momento in cui il sole e la luna si sfidano al
lati del mondo, annunciano il nuovo giorno o
nuova notte e si lancian parole di sfide, chi
vincerà questa notte. Chi vincerà a capodanno,
ancora una volta dall’altra parte del mondo
arriverà prima che a noi ma che importa.
Che importa chi vince a cantare che è bello
fermarsi dietro le colonne delle metro facendo
finta di avere da fare quando invece è per
quella corda di violino allentata e non si vuole
sembrare scortesi o troppo amanti o
benpensanti o prodigali.
I ritorni in macchina da qualche lavoraccio
sottopagato, con le mani che sanno di grasso e
fatica , non si posson toccare ma stanno
sdraiate come spose non vergini sulla bianca
camicia nuziale.
Che poi fare il cameriere è mestier buono e si
offre e si serve e è l’uomo. E è cibo che è
pregiato e passa in fretta e lo si sa. È ancora
artigianato.
Guardare i granelli di briciole dei biscotti alle
uova ascendere dopo la pausa del cucchiaino
sulla superficie del the, come neve al contrario,
di mirabile altezza, di dolcissima fauna.
E i semi lasciati in giardino, ora battezzati Fiori
o Frutti e forse non erano stati gli uccelli ma
erano lì da generazioni di tuoni.
I segni scalfiti sulle panche delle chiese dalle
chiavi di un motorino adolescente, piansi il
nuovo parroco che le cambiò. La perpetua
rimase la stessa.
I volantini dei leninisti, di belle parole.
Vogliamo più promesse e meno fatti.
T’amo e stammi lontana mi servi a morire.
Capiscilo. In cambio ti dono quell’euforia da
stare fuori dalle righe nella rincorsa alle tue
rughe.
Distraimi! sdraiami! striami! strabuzza gli
occhi! Fammi saltare i ginocchi ridendo.
Rubami le parole uscendo solo mezza vestita,
come scendendo le scale e guardando
dubbiosa, e sdrai i miei pensieri sul divano per
uccidere migliaia di psicologi se ti pilucchi i
nodi dei capelli.
L’arcobaleno che per maggi interri segue una
coppia d’amanti come fossero un romanzo.
Pensare ceh questo sia quasi un diritto.
La neve. Sporcata dal fango. Se dura.
L’iperbole e la sinusoide. La metonimia. Il
narvalo. Le macchine da scrivere, le sigarette
degli anni 30, le pubblicità della Coca-Cola con
gli specchi in cui puoi sentirti uno-importante.
Le finali degli Europei di calcio. Il Real Madrid.
La letteratura sovietica e quella voglia matta
cristologica. E quella volta in cui vincemmo su
tutti i controllori del tram con la logica. Quella
con i pastelli a cera a far le guerre perse sui
cartoncini neri.
Gli sprechi di panna e di zucchero e di
inchiostro e di benzina per andare a Fanculo o
Felicità o in quello strano corridoio del mondo
dove sdraiati o seduti,1 le due cose riescono
incredibilmente a sovrapporsi.
1
tra le lenzuola rosso-amaranto
Dio.
Bellezza da fare piangere anche tutti.
6.0
IO E THE
Magari è che ripongo tutto in te
Mi sembra di capire, nel mio distrarmi
E nel tuo guardarmi
Che non è così:
Te lo dicevo e gli occhietti sembravano i
tombini durante le alluvioni
Te lo dicevo e le guance non capivo che filtri
applicassero, di colore e umidità
Te lo dicevo e con il labbro superiore trattenevi
Quello di sotto
Come le madri coi figli, durante le bombe
Anche se tu sai tutto e sei innocente.
Che so di altro che te?
2006 Czechtek? Il plusvalore?
Quale risposta mi avevi dato al the?
Mario De Biasi, Maria Callas , Venezia 1957
©Archivio Mario De Biasi